Global Perspectives for Growth Europe, North Africa and the Middle

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Global Perspectives for Growth Europe, North Africa and the Middle
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Global Perspectives for Growth
Advantage financial
Europe, North Africa and the Middle East
Conclusioni di
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Lorenzo Bini Smaghi
Harvard University
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Milano, 22 Maggio 2012
Il convegno ha affrontato temi importanti, che riguardano le prospettive di sviluppo dell’economia mondiale nei prossimi anni. Mi concentrerò su alcuni aspetti essenziali del dibattito, con un risvolto anche sulla situazione italiana.
Il problema principale che devono affrontare i paesi avanzati è la crescita, che stenta a ripartire dopo la crisi in atto negli ultimi quattro anni, o si è addirittura arrestata
come è il caso in alcuni paesi europei. Per capire, tuttavia, quali politiche mettere in
atto per far ripartire la crescita in modo duraturo e sostenibile, bisogna aver prima
fatto una diagnosi corretta sul tipo di crisi che stiamo affrontando e sui principali
fattori che l’hanno provocata. In particolare, le ricette per uscire da una crisi principalmente di natura ciclica sono molto diverse da quelle necessarie affrontare una
crisi di natura strutturale.
Non esistono crisi puramente cicliche o interamente strutturali. Tuttavia, concordo
con quanto ha affermato Rajan, che la crisi attuale, negli Stati Uniti e in Europa, ha
una forte componente strutturale. La domanda aggregata, in alcuni casi soprattutto
la componente pubblica e in alcuni altri quella privata – in alcuni casi entrambe – è
cresciuta troppo a lungo a un ritmo superiore alla capacità di offerta delle rispettive
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economie. Ciò ha determinato un eccesso di debito, pubblico e/o privato. Ha deAdvantage financial
terminato anche una serie di distorsioni economiche, in particolare una tassazione
elevata dei fattori prodittivi, che hanno contratto la capacità di crescita economica
in molti paesi.
Questa diagnosi non riguarda solo gli Stati Uniti, dove le aspettative
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crescita di
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una larga parte della popolazione si sono rivelate eccessive e hanno alimentato il ricorso al debito per mantenere un tenore di vita che non era più sostenibile. Riguarda anche il Giappone, dove l’indebitamento pubblico ha continuato a salire
nell’ultimo decennio, anche se ampiamente compensato dal risparmio privato. RiAdvantage financial
guarda anche molti paesi europei, soprattutto quelli in cui l’entrata nell’euro ha determinato un allentamento delle condizioni finanziarie, favorito dalla marcata riduzione dei tassi d’interesse, che ha stimolato la domanda aggregata, in particolare
quella immobiliare.
Questa diagnosi si applica anche all’Italia. L’entrata nell’euro ha agevolato le condizioni di indebitamento delle famiglie e delle imprese, anche se il livello era più basso
rispetto agli altri paesi europei. Il calo dei tassi ha anche favorito ingenti risparmi
nel servizio del debito pubblico, che non sono però stati utilizzati per ridurre la
pressione fiscale, in particolare sul lavoro, ma per aumentare la spesa pubblica. La
produttività ha ristagnato per oltre dieci anni, determinando una grave perdita di
competitività del paese. Di fatto, la crisi ha riportato il debito pubblico sui livelli
precedenti all’entrata dell’euro, ma nel contempo anche il settore privato si trova ad
essere più indebitato e ha perso competitività, e dunque ha un potenziale di crescita
più basso.
Come ha ricordato Rajan, si possono seguire quattro vie per risolvere una crisi di
eccesso di debito.
La prima consiste nella cancellazione del debito, o una sua ristrutturazione. Questa
soluzione produce meno effetti sistemici se è limitata al settore privato, ma non è
facilmente perseguibile politicamente, perché crea incentivi perversi per il futuro.
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Negli Stati Uniti, ad esempio, sarebbe più efficace affrontare il problema dei mutui
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incagliati delle famiglie attraverso una loro ristrutturazione, il che consentirebbe di
stabilizzare il mercato immobiliare, piuttosto che continuare a operare attraverso gli
stimoli fiscali per sostenere i consumi. E’ tuttavia difficile trovare una maggioranza
politica nel Congresso disponibile a concedere un trattamento di favore a chi si è
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indebitato troppo.
Lo stesso problema politico influisce sulle scelte riguardanti il debito pubblico, come si può verificare dalle difficoltà incontrate nell’Unione europea per risolvere la
crisi dei paesi periferici. Ai problemi di azzardo morale si aggiungono i rischi di
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contagio che possono derivare da un default o da una ristrutturazione del debito
sovrano, come dimostrano gli andamenti dei mercati finanziari di questi giorni.
La seconda soluzione è l’inflazione. Alcuni economisti suggeriscono, in modo soffuso, questa soluzione, come se non comportasse alcun costo. L’esperienza degli ultimi quarant’anni dimostra invece che problemi strutturali come quelli che stiamo
attraversando non vengono risolti con l’inflazione, che genera instabilità e richiede
poi un aggiustamento ancor più duro. Si ricorderà il tentativo di superare il primo
shock petrolifero degli anni Settanta con l’inflazione, che determinò una ripresa
economica temporanea negli Stati Uniti ma poi necessitò un drastico intervento
monetario, messo in atto da Volker, con una forte recessione ne primi anni Ottanta.
La terza soluzione è lo stimolo fiscale. Ma se la causa principale della crisi è un eccesso di debito, aggiungere altro debito non aiuta necessariamente a risollevare la
crescita. Non è un caso se negli Stati uniti, nonostante la politica fiscale espansiva e
i bassissimi tassi d’interesse, le imprese sono restie ad investire e a creare occupazione in modo duraturo, proprio a causa delle incertezze fiscali. L’esperienza del
Giappone dimostra anch’essa che gli investimenti pubblici, finanziati a debito, non
si ripagano e aumentano ulteriormente il debito senza effetti rilevanti sulla crescita.
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Se la crisi è dovuta al debito, non c’è via di uscita che non comporti una riduzione
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del debito, e della leva finanziaria pubblica e privata. Alcuni chiamano questa soluzione l’austerità, altri “mettere la propria casa in ordine”. Non c’è però alternativa.
L’austerità è una pre-condizione della crescita, non un’alternativa.
La quarta via, da seguire se si vogliono accelerare i tempi dell’aggiustamento
e miAdvantage financial
nimizzarne i costi, è di rafforzare la capacità competitiva dell’economia, attraverso
riforme strutturali mirate a sciogliere i nodi che strozzano i mercati. Questa è
l’esperienza tedesca del passato decennio. Nel 2001-2004 la Germania era la “malata d’Europa”. Non cresceva e il disavanzo pubblico superava il tetto previsto dal
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Trattato di Maastricht. Il Governo chiese un anno in più per rientrare nei parametri
di Maastricht, in cambio del proseguimento delle riforme che stava attuando e
dell’impegno a proseguire il risanamento. In poco più di un biennio la Germania è
diventata la locomotiva d’Europa e il paese che meglio ha retto alla crisi, con una
disoccupazione oggi più bassa che prima dello scoppio della crisi.
La crisi non può però essere risolta solo mettendo la propria casa in ordine. La perdita di fiducia non riguarda solo la capacità di tenuta di alcune economie ma anche
del sistema istituzionale sottostante all’euro. Le misure di stabilizzazione sono state
prese sistematicamente troppo tardi e sotto la pressione dei mercati. Sono stati
commessi troppi errori, come quello riguardante il coinvolgimento del settore privato deciso a Deauville da Merkel e Sarkozy, che ha fatto scappare gli investitori internazionali dall’euro.
I punti fragili della costruzione europea devono essere risolti, in modo da togliere
qualsiasi dubbio che l’euro è irreversibile e che i paesi indebitati sono in grado di
rimborsare i propri debiti.
Il processo di costruzione europea è complesso e multi-dimensionale. Riguarda i
cittadini, il loro rapporto con i rispettivi eletti e i rapporti tra i governi dei paesi
membri, attraverso meccanismi che devono essere al contempo capaci di affrontare
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l’emergenza dell’instabilità finanziaria ma anche di creare incentivi per comportaAdvantage financial
menti virtuosi in futuro.
Prenderò in esempio il tema degli Eurobond, di cui si parla molto in questi giorni.
Emettere Eurobond significa condividere il rischio di credito, che viene coperto
dalle entrate fiscali non più di ogni singolo paese ma da tutti.
Ciò significa
che i
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paesi creditori prestano la loro maggior credibilità ai paesi debitori. L’emissione di
Eurobond pone una serie di questioni che devono essere risolte in via preliminare.
Prima tra tutti è l'autorizzazione delle emissioni. Ciascun paese non può essere libero di emettere la quantità di Eurobond che vuole. Sono necessari vincoli precisi, da
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stabilire attraverso un processo decisionale europeo. Inoltre, bisogna determinare la
copertura fiscale delle emissioni, indicando quale risorsa finanziaria può essere utilizzata in caso di necessità. Ciò significa attribuire a livello europeo una potestà fiscale sugli stati membri. Tutto ciò richiede una modifica dei trattati, per consentire
di trasferire alle istituzioni europee il potere di controllare e decidere, in caso di necessità, sulla tassazione applicata nei vari paesi.
Così avvenne negli Stati Uniti, all’inizio del diciannovesimo secolo, quando Hamilton nazionalizzò i debiti dei 13 stati confederali, in cambio del trasferimento del potere di tassazione a livello federale.
Si tratta di un passo avanti molto incisivo nel processo di integrazione economico e
politico, che deve essere preparato con cura e condiviso tra i paesi membri e al loro
interno. Per questo motivo il Cancelliere tedesco afferma che gli Eurobonds sono il
compimento di un processo di integrazione, non l’inizio. Non si devono creare illusioni che ci siano scorciatoie al riguardo.
Bisogna anche evitare di creare miti e illusioni. Gli Eurobonds consentirebbero di
evitare alcune tensioni sui mercati ma non di risolvere i problemi connessi alla debole crescita economica che stanno attraversando alcuni paesi come il nostro. Negli
anni precedenti alla crisi i tassi d’interesse italiani erano molto simili a quelli tedeschi, eppure l’economia italiana non cresceva. I motivi non sono di natura finanzia5
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ria ma legati all’economia reale e alle sue rigidità strutturali. Non è con gli EuroAdvantage financial
bond, ma semmai sciogliendo questi nodi strutturali che l’Italia può riprendere a
crescere e ridurre il debito pubblico in modo sostenibile.
Il rischio, in una situazione di crisi come quella che stiamo attraversando, è di cercare dei capri espiatori. L’Europa, e l’euro in particolare, ma
anche gli financial
altri paesi,
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sono facili capri espiatori, che distolgono l’attenzione dalle misure necessarie per effettivamente sciogliere i nodi strutturali che non fanno crescere la nostra economia.
Si sente spesso affermare che il principale responsabile della mancata risoluzione
della crisi è l’atteggiamento tedesco – in particolare della Merkel – che non consenAdvantage financial
te di far fronte in modo definitivo alla speculazione dei mercati. Non ci sono dubbi
che sono stati commessi degli errori nella gestione della crisi, a partire dall’accordo
di Deauville sul coinvolgimento del settore privato. Tuttavia, non si deve distogliere
l’attenzione dalle responsabilità di ciascuno, in particolare dei paesi che maggiormente si sono indebitati in passato nel tentativo di vivere al di sopra dei propri
mezzi, e che comunque devono fare l’aggiustamento.
Il rischio maggiore in questo periodo di forti incertezze è di seguire l’illusione che vi
siano vie facili per l’aggiustamento, come la cancellazione del debito o l’uscita
dall’euro. Questa illusione può essere sfruttata da tentazioni populistiche. Chi ha
analizzato con attenzione queste problematiche sa bene che queste soluzioni sono
molto dolorose, non solo per il sistema economico ma anche per il tessuto sociale e
per la tenuta del sistema politico. I recenti sviluppi sui mercati finanziari confermano la drammaticità di tali scenari.
L’uscita da questa crisi richiede più Europa, ma l’integrazione europea richiede tempo per essere fatta in modo adeguato e democratico. Nel frattempo, è necessario rafforzare la rete di salvataggio, aumentando le risorse e facendo il più possibile leva sui
mercati, e accelerare il processo di aggiustamento in corso in tutti i paesi. Le tensioni
sui mercati si sono accentuate ogni qual volta le autorità politiche hanno cercato di
rinviare e dilazionare l’aggiustamento, invece di prendere il toro per le corna e affron-
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tare in modo deciso il problema. Il modo in cui è stato affrontato il problema bancario in Spagna ne è la conferma più limpida.
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L’esempio degli Stati Uniti può essere utile al riguardo. Dopo le prime esitazioni,
che hanno seguito il fallimento di Lehman Brothers e hanno portato inizialmente il
Congresso a votare contro l’erogazione di aiuti, c’è stata una
rapida inversione
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tendenza, soprattutto per quel che riguarda la ricapitalizzazione del sistema bancario. Anche negli Stati Uniti rimangono irrisolti molti problemi, ma i mercati sembrano essere fiduciosi sulla capacità delle autorità americane di affrontare il problema in modo deciso rispetto all’inefficienza del meccanismo decisionale europeo.
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L’esempio viene anche dall’esperienza diversa di alcuni paesi emergenti, in particolare quelli latino americani. A cavallo degli anni 1990 e 2000 Brasile e Argentina sono entrati in crisi per l’insostenibilità del loro regime di cambio e delle politiche sottostanti. Ad entrambe fu consigliato di ristrutturare il debito e svalutare massicciamente. L’Argentina segui quel percorso. Il Brasile no, e portò avanti un rigoroso
piano di risanamento. I risultati a dieci anni di distanza si vedono. La via che sembrava facile si è rivelata fallimentare e le conseguenze economiche e politiche sono
sotto gli occhi di tutti.
La crisi che stiamo affrontando è strutturale e richiede riforme drastiche in tutti i
paesi avanzati. Il ritardo nel prendere le misure adeguate ha determinato una perdita
di fiducia, da parte dei mercati e dei cittadini. È su questo punto che bisogna lavorare in Europa, per ridare fiducia ai mercati sulla capacità di stabilizzare il sistema e
ridare fiducia ai cittadini che le misure di risanamento sono necessarie ma porteranno a prospettive migliori se accompagnate da riforme incisive. Non è facile, ma riconquistare questa fiducia è necessario per salvaguardare la prosperità conquistata
dal nostro continente dopo l’ultimo conflitto che l’ha martoriato.
Grazie per la vostra attenzione.
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