INDICE Introduzione “La farfalla con le ruote” 1. Far spazio all

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INDICE Introduzione “La farfalla con le ruote” 1. Far spazio all
INDICE
Introduzione
“La farfalla con le ruote”
1. Far spazio all’integrazione: il progetto Spazio Educativo
1.1 Dare visibilità all’invisibile
1.2 Far spazio all’integrazione: una risorsa della scuola e del territorio
2. La realizzazione del progetto
2.1 Storia di una ricerca
2.2 Gli sviluppi dello Spazio Educativo
2.3 Il contesto come spazio della mediazione
3. Il canovaccio
3.1 Il Piano dell’Offerta Formativa (P.O.F.): informazioni e procedure
3.2 I servizi del territorio e il lavoro di rete
3.3 La formazione dei docenti e degli operatori come processo di “ricerca-azione”
3.4 Aspetti logistici
3.5 Aspetti professionali: ruoli e competenze
3.6 Aspetti metodologici
3.6.1 Le modalità di programmazione
3.6.2 Le modalità di intervento (laboratori/esperienze con specialisti/attività comuni)
3.6.3 Le modalità di strutturazione della giornata scolastica
4. Alla ricerca delle modalità di inclusione
4.1 Quali strumenti e strategie concorrono ad architettare un intervento strategico di inclusione?
4.2 Se, come e su quali aspetti le risorse attivate ricadono non soltanto sui percorsi di vita dei
bambini con disabilità, ma diventano patrimonio spendibile del contesto stesso
4.3 Come i percorsi di integrazione della disabilità contribuiscono a sostenere la consapevolezza di
docenti e genitori sui vissuti, sul proprio operato e sapere pedagogico
Conclusioni
Bibliografia
LO SPAZIO EDUCATIVO: COME CREARE UN CONTESTO INCLUSIVO NEI PERCORSI
SCOLASTICI DEGLI ALUNNI CON DISABILITÀ
di Stefania Barbaro
Grazie a tutti
coloro che, come
me, ci credono e ci
lavorano.
Introduzione
“La farfalla con le ruote”
La farfalla con le ruote
Alza le gambe, corre veloce
Mangia cucchiai di nettare blu
Lenta e leggera rotola giù
Apre le ali
Ti tocca le mani
Con occhi grandi
Sbircia il domani
La farfalla con le ruote
Carezza liscia sopra le gote.1
La variazione della luce, i colori evidenti, le sagome più care…Le voci familiari, il frastuono, il
silenzio, l’intensità dei suoni prendono le forme dell’aula, dei corridoi, del giardino, della mensa,
del bagno. Le carezze, le coccole, gli abbracci, gli accudimenti, gli spostamenti, le vicinanze
diventano, col tempo, il ritmo affettuoso della giornata. Gli odori, i sapori nuovi sono la sua finestra
sulle nuove esperienze. Questo, forse, il mondo conosciuto da una piccola farfallina di sette anni,
che come tutte le altre, si appresta a spiccare il suo primo temerario volo verso il grande fiore di
tutti, che custodisce il polline dai mille colori, nutrimento essenziale per le competenze sociali,
relazionali e cognitive della popolazione di giovani farfalline. Lei però, a detta delle amiche, è una
farfalla “un po’ diversa, un po’ speciale, un po’ strana, non si capisce che è una come le altre, non si
capisce come comunicare con lei. Sorride alle voci e al canto, con gli occhi cerca con tenacia chi le
sta vicino, ride al solletico; lavora come tutte, anche se a volte si addormenta; bisogna parlarle a
voce alta per farle aprire gli occhi; occorre suonare gli strumenti e farle toccare cose pelose, lisce,
ruvide per comunicare con lei, a modo suo.”2 Non ha potuto disegnare trame leggiadre e giocose,
perché da sola non si sa muovere; qualcuno allora ha dotato le sue grandi ali di quattro ruotine, che
le consentono di essere spostata con facilità tra le brezze del grande spazio e di raggiungere il
grande fiore di tutti.
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Filastrocca inventata dai compagni per A. in occasione dello spettacolo teatrale “Nanna Nonna”, rappresentato nella
terza classe della scuola primaria.
2
Queste frasi sono tratte da alcune lettere scritte dagli alunni di due classi e indirizzate ai compagni con disabilità.
Ora dunque anche lei è pronta per seguire, a modo suo, le medesime rotte di quelle altre farfalline
che, volando autonomamente, non hanno bisogno di ausili speciali, di sostegni particolari, di
strategie di supporto, di percorsi differenziati. Ma, affinché una farfalla con bisogni educativi
speciali (Ianes, 2005) possa compiere il suo percorso di crescita nel grande fiore di tutti, è
indispensabile iniziare a immaginare un tragitto fattibile: ciò significa esplorare territori poco noti,
dove la variabilità e la complessità dell’esperienza definiscono lo sfondo di un viaggio che pone
molti interrogativi.
Sì, perché quando ci si confronta con la diversità, che può interessare allievi e insegnanti in diversi
modi o forme, emergono domande, dubbi e perplessità educative, didattiche, etiche, umane, che
suggeriscono la diffusione di una comune cultura dell’integrazione nel fare e nel sentire quotidiano.
Proprio in questo momento storico, in cui le questioni della diversità e dell’integrazione fanno
capolino in modo assiduo nel mondo della scuola (e non solo in esso), occorre accogliere la sfida
della complessità dei percorsi, in una prospettiva orientata al cambiamento, provando a ridefinirne
in modo innovativo le trame.
Questo progetto di ricerca-azione vuol essere l’esempio di un possibile disegno di reale integrazione
degli alunni in situazione di disabilità complessa3, realizzato attraverso la tessitura di un
canovaccio, il progetto Spazio Educativo che, di situazione in situazione, può essere portato sulla
scena come punto di partenza di un itinerario concretamente percorribile.
Si intrecciano così, passo dopo passo, i fili: procedure, gruppi di lavoro, formazione e
coordinamento definiscono la cornice del disegno; spazi e tempi divengono il prodotto delle azioni;
persone, ruoli e attività vanno a costruire i tasselli del mosaico; relazioni, emozioni, sentimenti,
consapevolezze, modificazioni cognitive e affettive sono i nodi che si stringono con forza nel
tessuto sociale dentro e fuori la scuola.
1. Far spazio all’integrazione: il progetto Spazio Educativo
1.1 Dare visibilità all’invisibile
L’ipotesi di offrire alle farfalle con le ruote percorsi di crescita all’interno del mandato istituzionale
della scuola italiana, per cui la persona con bisogni educativi speciali può realmente dare piena
espressione ai propri diritti, vivendo nella scuola di tutti un’esperienza personale e significativa, è
stata la scelta di fondo di questa esperienza di ricerca-azione, ma anche la sua inedita scommessa.
Infatti, esiste uno scarto radicale tra il quadro normativo avanzatissimo 4 e il dispositivo della scuola
italiana, rappresentato dai vincoli spazio-temporali e dall’organizzazione prettamente disciplinare di
somministrazione del sapere. All’interno di una istituzione già definita nella sua architettura e
organizzazione, gli impedimenti sono spesso relativi alla difficoltà di offrire la risposta concreta ai
bisogni speciali e, armonicamente, la condivisione partecipe e attiva alle esperienze di
insegnamento-apprendimento della classe e della scuola. Ne derivano una miriade di interventi, a
volte interessanti, altre volte deludenti che, dopo trent’anni di storia dell’integrazione, non riescono
ancora a rendere limpido nella pienezza del proprio orientamento, il panorama legislativo.
Questo territorio dal confine non ben definito continua però ad essere esplorato, fino a raggiungere
nuove frontiere. In particolare, si riflette criticamente sulle connessioni tra il pensiero
sull’inclusione e le pratiche didattico-educative, fino a dare avvio ad un processo di socializzazione
dell’accadere educativo in termini di pratiche, princìpi e sapere pedagogico. Si scoprono così,
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Le disabilità complesse in età evolutiva rappresentano un’area clinica variegata, caratterizzata dalla presenza di
problemi di salute e/o deficit funzionali multipli che richiedono un’assistenza multi-specialistica e multidisciplinare
fortemente integrata tra strutture sanitarie e strutture sociali territoriali. Buona parte delle patologie che determinano una
disabilità complessa sono su base genetica e/o sono malattie rare e possono presentare, stabilmente o a seconda delle
fasi evolutive, la preminenza di problematiche pediatriche, neuropsichiatriche, educative o riabilitative. Nella maggior
parte dei casi, si tratta di patologie ad elevato impatto sanitario e sociale sia nell’immediato che per il futuro, con una
quota significativa di utenti ad elevata dipendenza.
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Si vedano in proposito gli articoli 12, 13, 14, 15, 16 della Lg. 104/92.
inevitabilmente, i pezzetti invisibili del mosaico, quelli che spesso in modo frammentario appaiono
all’evidenza solo per caso, sembrando insignificanti. Quelli per i quali, invece, occorre ritrovare la
collocazione più appariscente all’interno della trama, nella prospettiva di sperimentare la capacità
inclusiva del contesto scolastico, partendo da quello che non si vede, ma che c’è già, con la
possibilità di immaginare e pensare oltre.
La logica dell’inclusione, per la quale tutti gli alunni (compresi quelli con diversa abilità) sono una
risorsa nel contesto e nella rete di sostegno che lo alimenta, valorizza la diversità, crea un clima
cooperativo, garantisce la vicinanza e apre le porte alle varie opportunità di crescita ambientali e
materiali. La stessa logica porta a chiedersi quale rapporto intercorra tra ciò che si fa a scuola e
quanto accade nelle altre agenzie educative. Occorre infatti pensare ad un progetto scolastico che
non si esaurisca in se stesso, ma si integri al più complessivo progetto di vita del minore, che si va
pian piano a costruire, a partire dal coinvolgimento attivo del disabile, insieme con la famiglia e con
tutti gli operatori che se ne occupano. In altri termini, le pratiche inclusive agite in ambito scolastico
divengono aspetti integranti del più complessivo progetto di vita. Questo richiede l’apporto
professionale di competenze e strategie plurime e dunque l’opportunità di tessere una fitta rete intra
e interistituzionale, dove ciascuna agenzia (famiglia, scuola, servizi sociali e sanitari, associazioni,
reti amicali e di volontariato…) superi il proprio modo esclusivo di intervenire, per arrivare a
pensare e agire come parte di un intreccio di relazioni e di risorse.
1.2 Far spazio all’integrazione: una risorsa della scuola e del territorio
L’esperienza prende forma dalla necessità di rendere fruibile ai bambini con pluriminorazioni il
contesto scolastico, predisponendo l’istituzione ad accogliere i bisogni e il modo di esistere del
bambino in situazione di disabilità, che non potrebbe trarre vantaggio dal solo inserimento nella
classe e dal supporto del solo insegnante di sostegno statale, ma deve poter usufruire di interventi
educativi complementari a quelli scolastici. Contemporaneamente, si vuole sostenere l’esperienza di
inserimento e inclusione nella scuola di tutti i bambini. Il contesto naturale della scuola sarà così
teatro di un intervento socio-educativo integrato con le iniziative scolastiche, luogo di incontro e
apprendimento con il gruppo dei pari, dove il “fare” insieme è occasione di crescita per tutti, uno
strumento della scuola e per la scuola.
Si tratta di offrire all’utenza scolastica una diversa opportunità di intendere il mandato didatticoeducativo. Vivere giorno dopo giorno la propria socialità e il proprio modo di apprendere nel
continuo confronto con la diversità, intesa nel senso più generale delle maniere più differenti
attraverso cui ciascuno si realizza come persona, diviene per ogni bambino una sana occasione di
ricerca della propria identità, delle potenzialità e dei limiti soggettivi. Vuol dire, inoltre, che anche a
scuola è possibile imparare a prendersi cura degli altri (Palmieri, 2003)5, magari affiancando il
compagno nel compito o dando letteralmente la mano all’amico che da solo non ce la fa a
camminare.
Lo studio delle discipline, in tutto questo, diventa il necessario supporto di contenuti e di
conoscenze specifiche alla messa in scena di se stessi su quel palcoscenico, in cui la diversa abilità
viene concepita come risorsa che aiuta a diventare grandi.
Questo è far spazio all’integrazione: architettare un percorso che non dia solo risposte speciali, ma
che possa superare le piccole, isolate “gemme” (esperienze estemporanee o avulse alla
programmazione quotidiana delle attività) a favore di un progetto che mira a essere invece parte
integrante di una scuola fino quasi a scomparire, proprio per il suo carattere ordinario. In tal senso,
il progetto Spazio Educativo è uno spazio nella mente di tutti coloro che si trovano ad avere in mano
anche uno solo di quei fili che convoglieranno in un complesso disegno comune. Esso viene a
configurarsi quale servizio per le famiglie che la scuola e l’Amministrazione comunale offrono a
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Il presupposto è che la “cura educativa” possa essere utilizzata come chiave di lettura e di comprensione delle pratiche
relazionali in atto in un contesto educativo e che la relazione sia determinata proprio da quel processo educativo di cui
occorre prendersi cura.
supporto dell’itinerario formativo di tutti i soggetti in età evolutiva, con particolare riguardo a chi
più di tutti ne ha bisogno.
Ciò che dà vita allo Spazio è l’idea che si possa e si debba partire dai bisogni di tutti e di ciascuno
per fare vera integrazione: questo sollecita modi di pensare e agire adeguati alle esigenze particolari
di quegli alunni, per i quali “i normali bisogni educativi che tutti gli alunni hanno, si arricchiscono
di qualcosa di speciale” (Ianes, 2005, pag. 23). A caratterizzare lo Spazio è dunque lo sguardo al
processo evolutivo di tutti i bambini, nessuno escluso, che si rende ancora più prezioso grazie alla
specificità dei bisogni educativi speciali.
L’attivazione del Progetto Spazio Educativo abbraccia così una logica inversa rispetto ad altre
strutture che affiancano l’istituzione scolastica di base nel sostenere le situazioni di disabilità. Le
cosiddette Scuole Speciali e i Centri Socio-Educativi per Piccoli (esempi di enti istituzionali
presenti in Lombardia) hanno come obiettivo quello di supportare la disabilità dell’individuo
attraverso la realizzazione di interventi specialistici, che vengono predisposti in strutture
appositamente costruite. Invece, il progetto Spazio Educativo si pone, come punto di arrivo
prioritario, il progetto di vita dell’individuo, ricercato attraversando il percorso scolastico “normale”
e riorganizzato intorno ai bisogni speciali dei bambini e alla specialità tecnica di alcuni interventi.
Esso prevede una logistica, un’organizzazione e l’apporto di professionalità differenti interne alla
strutturazione generale dell’offerta formativa della scuola. Ovvero, la giornata scolastica (e spesso
anche quella extra-scolastica) prevede, anche per il bambino in situazione di disabilità, la fruizione
di spazi della scuola, la partecipazione alle attività secondo la scansione definita dall’orario di
classe, la presenza di adulti con diversi ruoli, che si preoccupano di attuare percorsi educativi e
didattici sia comuni che individuali. In altre parole, il progetto viene ad inserirsi nell’ambito di una
strutturazione già in essere, della quale alcuni aspetti vengono rivisti, smontati e ricostruiti. Sono i
bisogni speciali del bambino con disabilità ad indicare le aree da ristrutturare: logistiche,
organizzative, professionali, metodologiche. Queste modifiche, sopra quello che già esiste a scuola,
creano le condizioni per l’accoglienza reale della disabilità. Scrive Rosaria, insegnante di sostegno:
“Con il progetto Spazio Educativo è la scuola che si adegua al bambino, che viene messo al centro
del percorso educativo tenendo conto dei suoi tempi, dei suoi bisogni, dei suoi spazi”.
Si tratta, per i docenti, di modificare un po’ (solo un po’…) le modalità di proporre alcuni momenti
della didattica, adottando un piano di lavoro che fin dal principio tenga conto della presenza, nella
classe, di modalità di approccio all’apprendimento “originali”. Queste danno la prerogativa di poter
utilizzare codici plurimi e variegati, modelli di condivisione del sapere nell’ottica della
personalizzazione dell’offerta didattica ed educativa, spazi di confronto e relazione costruttivi di
significati.
Per l’istituzione scolastica e i servizi del territorio c’è in gioco la capacità di accettare la presenza
fattiva della disabilità come stimolo al cambiamento. Ciò significa, per un verso ripensare
all’opportunità di collocare il bambino disabile in età evolutiva nello stesso ambiente frequentato
dai coetanei; per l’altro, diventa occasione per attrezzarsi ed offrire un servizio di qualità a tutti
quanti gli utenti.
In realtà, la fatica sta nell’essere disponibili a far spazio nella mente a questo modello. Esso non fa
viaggiare la disabilità su binari paralleli a quelli di chi disabile non è, con alcuni scambi durante il
percorso; in altri modi, si propone di avviare sullo stesso treno le esperienze educativo-didattiche di
tutti, predisponendo il contesto quale strumento di mediazione tra la scuola e il bambino in
situazione di disabilità. Tutti gli elementi che lo compongono vengono considerati variabili
qualitative della tessitura di un progetto-canovaccio. E, come tali, non devono essere
standardizzate, ma vanno considerate modificabili a seconda delle necessità, delle risorse
disponibili, delle esigenze dei bambini e delle famiglie, della stessa organizzazione e strutturazione
scolastica.
La flessibilità, che peraltro appare essere un punto di forza di tale canovaccio sull’inclusione,
costituisce la qualità più importante dello spazio nella mente di ciascun operatore coinvolto nel
progetto Spazio Educativo. Con queste due connotazioni, però: la prima, vede l’essere flessibile del
progetto come necessaria condizione per adattare i diversi approcci insegnativi, comunicativi,
relazionali alle differenti domande che la speciale normalità pone (Ianes, 2005). La seconda,
considera la flessibilità strettamente connessa con la progettualità e l’intenzionalità programmatica,
nel senso che le scelte strutturali, organizzative, professionali ed educativo-didattiche sono il
prodotto di un pensiero condiviso e co-gestito dai diversi protagonisti.
2. La realizzazione del progetto
2.1 Storia di una ricerca
Il progetto Spazio Educativo nasce sette anni fa, a Concorezzo.6 Prendendo spunto da altri modelli
sperimentati sul territorio di Monza e della Brianza (Centri Socio-educativi per Piccoli, scuola
potenziata…), si inizia a progettare l’itinerario di due bambini con disabilità grave in entrata alla
scuola elementare. Si costituisce una Commissione Tecnica di operatori (Dirigente Scolastico,
Assessori, responsabili servizio Pubblica Istruzione e Servizi Sociali del Comune, psicopedagogista
consulente del Comune, rappresentanza di insegnanti), che procede ad una valutazione delle risorse
già presenti nella realtà istituzionale. La Commissione analizza da vicino la struttura
dell’organizzazione scolastica (tempo-scuola, attività laboratoriali, progetti d’istituto, rapporti con
enti e/o specialisti esterni), le modalità e i criteri di assegnazione e distribuzione delle risorse
(personale docente e non docente, finanziamenti per progetti e materiali), l’articolazione e
l’attribuzione dei diversi ruoli e, non da ultimo, la cultura dell’integrazione che sottende i
comportamenti evidenti. Dunque, si implementa il progetto partendo da quello che già esiste,
presupponendo un lavoro “a monte” di destrutturazione della materialità consueta (spazi, tempi,
condizioni strutturali, organizzative, culturali…), per andare poi a ricostruire il contesto intorno ai
bisogni dei due piccoli alunni.
Iniziano così i lavori di adeguamento dei locali scolastici, l’individuazione del personale docente e
non docente e la sua formazione sulla tematica dell’inclusione e della disabilità grave, la
condivisione con le famiglie dell’ipotesi dell’itinerario di viaggio. In particolare, si comincia a
pensare a come poter organizzare la giornata scolastica dei due bambini, coniugando sia la
scansione temporale che le modalità di proposta di attività con i bisogni (tempo scuola abbreviato,
momenti di pausa fuori dalla classe, somministrazione di cure o farmaci) e gli eventuali impegni
extrascolastici (terapie riabilitative e/o di supporto alla famiglia).
Dopo un paio di mesi di osservazione sul campo da parte di tutti gli operatori della scuola coinvolti
e della psicopedagogista, gli stessi stendono il piano di lavoro annuale nel Piano Educativo
Individualizzato (P.E.I.), nel quale si espongono non solo gli obiettivi didattico-educativi, ma anche
la progettazione relativa alle attività che, si suppone, prefigurino maggiori possibilità di
integrazione. Tale documento si condivide con la famiglia e con gli enti medico-specialisticiriabilitativi, e diviene così l’unico prospetto fondamentale da cui tutti, pur avendo competenze
diverse, devono partire nell’operatività quotidiana.
A questo punto, il progetto Spazio Educativo viene presentato nell’assemblea di classe a tutti i
genitori, spiegando che le scelte metodologiche e organizzative coinvolgeranno tutti gli alunni in un
percorso graduale di avvicinamento, prima, e di integrazione, poi, di ogni bambino agli amici in
situazione di disabilità. Le attività e i modi differenti di proporle, che spesso terranno conto delle
caratteristiche, delle potenzialità e dei limiti di ciascuno, saranno la trama sulla quale si
costruiranno, grazie al supporto costante della mediazione degli adulti, i significati dell’esperienza
in atto. Proprio per questo, si richiede non solo la partecipazione effettiva delle famiglie, ma
soprattutto il loro determinante aiuto nel rendere noto ai propri figli il senso di alcuni modi di
affrontare la condivisione del sapere e le interazioni quotidiane. Si prevedono anche momenti di
restituzione alle assemblee dei genitori del lavoro svolto, nelle quali si cerca di volta, in volta, di
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Concorezzo è una cittadina di circa 16.000 abitanti, confinante con il Comune di Monza.
ipotizzare insieme semplici ma concrete risposte all’interrogativo di fondo di questa esperienza: se,
come e su quali aspetti le risorse attivate ricadono non soltanto sui percorsi di vita dei bambini con
disabilità, ma diventano patrimonio spendibile nel contesto.
Forti di questo contenitore, le due piccole farfalline con le ruote riescono, un giorno dopo l’altro, a
svolazzare, seguendo andature agevoli, procedendo con scansioni opportune, sostando, accelerando
e avanzando nel rispetto dei ritmi del loro sviluppo. Nel frattempo, altre farfalle con bisogni
educativi speciali si sono aggiunte e hanno cominciato a danzare. Le altre compagne e gli adulti che
le accompagnano procedono insieme con loro, esternando a volte dubbi, perplessità e domande
sulla complessità e sulle difficoltà che un siffatto progetto presuppone. Altre volte, si dispongono
favorevolmente, chi più, chi meno, all’arduo tentativo di comprendere i vantaggi delle fatiche
richieste; altre volte ancora, si emozionano di fronte ai piccolissimi, quasi invisibili progressi delle
farfalle disabili, costatando anche i loro stessi cambiamenti.
2.2 Gli sviluppi dello Spazio Educativo
Sulla scia della positività dell’esperienza di Spazio Educativo, sia per i risultati ottenuti in termini di
qualità dell’integrazione, sia per l’efficacia del supporto dato alle famiglie dei bambini con
disabilità, il progetto conosce un suo sviluppo.
Il Gruppo di Progetto di ricercare per Fare7 inizia a vedere nell’esperienza dello Spazio Educativo
un modello operativo esportabile nelle scuole delle reti dei territori del trezzese-vimercatese,
Monza e Brianza. Presupposto alla pianificazione di interventi mirati anche in altre realtà diviene
l’organizzazione di corsi di formazione per docenti e operatori, che si propongono di analizzare i
vissuti sulla tematica dell’integrazione della disabilità grave nella scuola, ne trattano la
problematicità e complessità e tentano di ideare gli interventi possibili. In più, il piano formativo
prevede la fruizione degli spazi e di alcuni momenti della vita scolastica dello Spazio Educativo, per
condividere la validità della metodologia didattica. Semplicemente, la formazione si rivela un primo
importante tentativo di sensibilizzazione, un’occasione di raccordo e riflessione degli adulti che
lavorano nei diversi ordini di scuola, un invito a fermarsi un momento a pensare alla possibilità che,
dato un certo contesto, lo stesso minore con disabilità “…rende gli altri abili rispetto a determinate
competenze ignote ai cosiddetti “normodotati”, uno scambio, non una semplice presenza.” (Elena,
educatrice).
L’esportazione del modello avviene di conseguenza. Si riportano alcuni esempi in merito.
1. Al termine dei cinque anni di scuola primaria, due dei sette bambini che attualmente
usufruiscono del progetto vengono inseriti alla scuola secondaria di primo grado, mettendo
in scena lo stesso canovaccio, ovviamente modificato sulla realtà della nuova tipologia di
scuola. Esperienza questa dello Spazio Educativo Ragazzi che, pur essendo a tutt’oggi nella
sua fase iniziale, sta lasciando già un’ottima impressione in ordine a possibilità di proseguire
la ricerca-azione anche in contesti scolastici di grado diverso.
2. Il secondo esempio, riguarda l’I.C. “A.Manzoni” di Ornago: nella scuola primaria viene ad
essere integrato, attraverso l’adattamento del canovaccio Spazio Educativo, un bambino con
disabilità complessa di quarta che, fino alla terza, aveva visto il suo percorso scolastico
scindersi tra la frequenza a scuola in alcuni momenti della giornata scolastica e quella al
C.S.E.p., sito tra l’altro in un Comune distante circa 10 Km da quello di residenza
dell’alunno e dell’ubicazione della scuola. In questo modo, il bambino, ritornando
completamente sul suo territorio, può iniziare a sfogliare le pagine dell’unico progetto di
vita, del quale l’esperienza scolastica si configura come una delle tante risorse messe in
gioco. In questa realtà, il progetto Spazio Educativo si è caratterizzato, fin dall’inizio, come
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Gruppo di lavoro interistituzionale che propone iniziative nell’ambito della informazione/formazione per
l’integrazione a insegnanti, operatori, famiglie, promosso inizialmente da alcuni genitori dell’Associazione Capirsi
Down di Monza e praticato da professionalità differenti, che mettono a disposizione le proprie competenze nella ricerca
di modelli di intervento condivisi.
“risorsa della scuola primaria”, aprendosi, attraverso diverse iniziative, a tutte le classi del
plesso scolastico e dunque coinvolgendo anche altri bambini con diversa abilità.
3. Un terzo esempio è relativo all’inserimento di un bimbetto con disabilità complessa nella
scuola dell’Infanzia di Concorezzo. In questo caso, il progetto Spazio Educativo acquista
una ancora differente connotazione, trattandosi appunto di un contesto che non è
equiparabile alla scuola dell’obbligo in termini di mandato istituzionale, ma che rappresenta
comunque la base dei percorsi di socializzazione e apprendimento dei soggetti in età
evolutiva. Qui i bambini si incontrano per la prima volta con gli altri, si mettono in gioco
nelle relazioni, imparando a interagire secondo proprie modalità, iniziano a confrontarsi con
le regole e le differenze personali e sociali. Da questo punto di vista, assume importanza
degna di nota un’esperienza come quella dell’integrazione del compagno con disabilità, che
lascia passare, attraverso i ritmi della quotidianità di ciascuno e le emozioni condivise, i
significati e gli intendimenti che, in futuro, potranno essere oggetto di pensieri e riflessioni.
Altre due realtà territoriali sono sembrate interessate all’esperienza dello Spazio Educativo: si tratta
di superare gli ostacoli reali, che spesso sono più di ordine culturale ed emotivo che realmente
tangibili, e mettersi all’opera per riscrivere il copione più adatto, partendo appunto dal canovaccio.
Infine, esperienze gradite a tutti gli operatori dello Spazio Educativo sono state sia la presentazione
del progetto ad una lezione della professoressa Ottavia Albanese all’Università degli Studi di
Milano Bicocca, facoltà di Scienze della Formazione Primaria, sia la visita nelle scuole di
Concorezzo di Louise Lafortune, professoressa del Département des sciences de l’éducation
all’Università del Québec di Trois-Rivières. Apprezzabile, infatti, è stata la possibilità di portare nel
luogo per eccellenza deputato al pensiero pedagogico, un modo di utilizzare il tempo della scuola,
che favorisce la co-evoluzione affettiva, cognitiva sociale di tutti i bambini nei diversi momenti
della vita scolastica.
2.2 il contesto come spazio della mediazione
L’assunto sul quale si costruisce l’impalcatura del progetto è la convinzione che l’esperienza di
apprendimento mediatizzato sia il mezzo più idoneo per “modificare l’individuo in maniera
durevole, in modo tale che l’esposizione a stimoli ricchi e variati lo renda capace di rispondere
attivamente” (Feuerstein, Rand, Rynders, 1984). Ogni bambino ha le potenzialità per cambiare:
occorre l’intervento di un intermediario che colleghi lo stimolo al soggetto e, attraverso l’esperienza
emozionale, lo renda intelligibile. Mediatori formidabili sono genitori, insegnanti, educatori e
chiunque si presti con intenzionalità e reciprocità al difficile compito di rendere evidente e
comprensibile il senso di ciascuna esperienza di vita. Mediatori fondamentali sono anche le
tradizioni, i rituali, i simboli, i luoghi, le scansioni temporali che, superando l’immediato significato
dell’oggetto, lo collegano alla storia individuale e collettiva. “Nelle società tradizionali, gran parte
delle mediazioni avveniva quasi inconsciamente. Ogni momento della vita era accompagnato da
oggetti, parole, azioni che avevano un significato simbolico, carico di significati: per esempio,
l’abito della festa, la benedizione, le feste della semina e del raccolto. Senza questa fitta trama di
rapporti, oggi la mediazione ricade soprattutto sulla famiglia e sugli educatori” (Laniado 2003).
Come dunque creare le condizioni per organizzare un contesto mediatizzato dentro il variegato
tessuto che compone l’offerta formativa dell’istituzione scolastica?
Nel percorso di integrazione dell’alunno con bisogni educativi speciali, la mediazione ha luogo
mediante la predisposizione di un contesto con le sue interazioni sociali, con i suoi strumenti, le sue
regole, i suoi significati, nelle sue dimensioni spaziale e temporale.
Il progetto Spazio Educativo agisce, modificandole in modo intenzionale, sulle dimensioni riportate,
che si potrebbero immaginare come l’articolazione del progetto-canovaccio:
a. L’offerta formativa e la rete territoriale.
b. La formazione dei docenti e degli operatori come processo di “ricerca-azione”.
c. Gli spazi.
d.
e.
f.
g.
I ruoli degli operatori.
Le modalità di programmazione.
Le modalità di intervento (attività/laboratori/esperienze con specialisti).
Le modalità di strutturazione della giornata scolastica.
3. Il canovaccio
3.1 Il Piano dell’Offerta Formativa (P.O.F.): informazioni e procedure
Il modello Spazio Educativo è uno dei progetti che L’I.C. “Guglielmo Marconi” di Concorezzo8
attiva per facilitare la realizzazione dell’integrazione della persona diversamente abile e di un
contesto realmente inclusivo (altri interventi vengono sostenuti dai progetti sull’Autismo e sulla
Dislessia). Questi progetti si ritrovano nelle linee guida espresse nel P.O.F., dove appunto viene
indicato alle famiglie quali risorse mette a disposizione la scuola con la stretta partecipazione dei
servizi comunali. Esse vengono finalizzate, da un lato, a favorire la conoscenza delle situazioni di
disabilità sia da parte dei bambini e dei genitori direttamente coinvolti, sia da parte del personale
operante nella scuola (insegnanti, collaboratori scolastici, ausiliari, educatori, psicopedagogisti,
esperti...) e di chi collabora con essa sul territorio (servizio Pubblica Istruzione, Servizio Sociale,
Ufficio cultura del Comune). Dall’altro lato, sono volte al riconoscimento e alla valorizzazione
della problematica della disabilità per farne propria la cultura.
A questo proposito, è stato stilato un protocollo d’Istituto durante le riunioni del Gruppo di Lavoro
sull’Handicap (G.L.H.) e integrato dai gruppi di ricerca-azione (Spazio Educativo, Autismo,
Dislessia) che:
a. Consente la raccolta delle informazioni iniziali.
b. Fornisce informazioni ai docenti delle classi successive.
c. Stabilisce i criteri per la formazione delle sezioni e per l’assegnazione del team docente, in
presenza di un alunno disabile, nei diversi ordini di scuola.
d. Stabilisce una prassi di accoglienza per gli alunni in ingresso.
Esiste nella scuola un docente cui viene assegnata la funzione strumentale sull’integrazione della
disabilità, che fa da referente per i docenti dell’Istituto. Inoltre, il Dirigente Scolastico, gli
insegnanti vicari e responsabili di plesso delle scuole dell’Istituto, in presenza di colleghi neo
immessi in ruolo e/o supplenti, provenienti da altre realtà, creano momenti di accoglienza e di
descrizione delle modalità di funzionamento/organizzative che regolano la vita della scuola. Essi
illustrano, in tempi brevi, le situazioni particolari presenti nelle classi di docenza, così da acquisire
fin da subito elementi significativi per attivare azioni didattiche ed educative mirate senza
dispersioni di energie e tempi preziosi, soprattutto nella gestione delle disabilità più compromesse.
Inoltre, gli insegnanti che seguono gli alunni disabili vengono supportati dai gruppi di
riflessione/ricerca in atto nell’Istituto, attraverso la partecipazione agli incontri specifici organizzati
(formazione/monitoraggio al team). È presente anche una procedura per l’assegnazione
dell’insegnante di sostegno alla classe in base al suo percorso formativo, che deve essere il più
affine possibile alla patologia dell’alunno. Determinante diventa la possibilità di garantire la
continuità delle insegnanti di sostegno all’interno dello stesso ciclo di studi, specie per chi è
indispensabile venga accompagnato da figure di riferimento stabili e rassicuranti in ciascun ordine
di scuola.
Almeno altri due documenti dell’I.C. sono assunti nell’offerta formativa della scuola come
caratteristici protocolli volti a creare le condizioni per far diventare procedure d’inclusione le
cosiddette “pratiche”: il Gruppo di Lavoro sull’Handicap e il Progetto Ponte.
Il G.L.H. si incontra regolarmente ormai da diversi anni. Esso vede la partecipazione del Dirigente
Scolastico, del docente con funzione strumentale, di una rappresentanza di insegnanti dei tre ordini
8
Che comprende: due scuole dell’infanzia, due scuole primarie e una secondaria di primo grado per un totale di circa
1400 alunni.
di scuola, di operatori comunali (assistente sociale, educatori), della psicopedagogista consulente
del Comune e dei genitori. Questo gruppo di lavoro ha un ruolo centrale sul piano organizzativo,
promozionale e della ricerca: gli incontri sono momenti significativi di confronto e di riflessione su
tematiche di interesse comune e su problematiche riguardanti l’integrazione degli alunni con
patologie particolarmente gravi. Il G.L.H. collabora con la Commissione Continuità e con la
Commissione Tecnica9 per compiere tutti gli interventi preparatori di carattere strutturale,
strumentale, di individuazione e formazione del personale, in ordine ai quali i membri della
commissione prendono decisioni, che rispondono alle esigenze riscontrate.
Il Progetto Ponte è un altro degli interventi promossi per la creazione di quei presupposti favorenti
l’inserimento iniziale e la progressiva integrazione nel tessuto scolastico della persona disabile,
forte del fatto che la costituzione di una rete di informazioni e azioni condivise rafforzi le possibilità
di successo del passaggio dell’alunno da un ordine di scuola all’altro. Insegnanti, educatori,
famiglia, psicopedagogista, sono così chiamati a confrontarsi e collaborare per contribuire,
attraverso ambiti di competenza specifici, alla definizione degli obiettivi, delle fasi operative, delle
strategie d’intervento, delle modalità di strutturazione degli spazi e dei tempi.
Il Progetto Ponte si articola in tre momenti fondamentali: nella prima fase (che avviene circa un
anno prima del passaggio del bambino al nuovo ordine di scuola) si predispongono alcune azioni
dirette alla raccolta delle informazioni curate dal Dirigente Scolastico, dalla psicopedagogista e dal
docente con funzione strumentale (es.: incontri con famiglia e con l’equipe medico-specialistica,
individuazione del team o consiglio di classe cui affidare il bambino…). Nella seconda (periodo
aprile-maggio dell’anno scolastico precedente all’inserimento), avvengono i contatti diretti tra
teams dei docenti ed educatori nominati con gli insegnanti della scuola di provenienza del bambino,
nonchè le osservazioni sul campo dell’alunno in situazione di disabilità. Viene inoltre concordato
un calendario che pianifica le attività di raccordo (visite, laboratori nella nuova scuola…), i tempi e
le modalità di avvicinamento dell’alunno disabile alla nuova realtà e alla conoscenza di essa da
parte della famiglia. Il terzo ed ultimo momento (mesi di maggio, giugno, settembre) viene dedicato
al passaggio di informazioni alla Commissione Formazione classi prime, alla preparazione di spazi
e materiali, alla strutturazione dei momenti dell’accoglienza e del congedo (settembre).
Aggiornamento, formazione e documentazione sono altre condizioni da considerare per rendere le
cosiddette buone pratiche delle efficaci risorse inclusive.
Il piano di formazione del personale docente e non docente recepisce le linee guida espresse nel
P.O.F. in riferimento ai bisogni educativi speciali. Vale a dire che, in relazione ai bisogni e alle
caratteristiche degli alunni (deficit e disturbi specifici), vengono attivati gruppi di Ricerca-Azione
(autismo, Spazio Educativo, dislessia, mediazione conflitti), che prevedono incontri di riflessione e
studio: ove possibile, ci si avvale delle competenze già acquisite dal personale docente; in altri casi,
l’intervento di formazione e/o supervisione è garantito da esperti (psicopedagogista e/o formatori) ai
team/consigli di classe ai quali sono stati affidati gli alunni con gravi disabilità e si realizza in
incontri periodici, che analizzano le problematiche riscontrate, valutano gli interventi realizzati e
ridefiniscono le proposte educative, in considerazione delle possibilità di risposta degli alunni con
disabilità e del gruppo dei coetanei con i quali essi condividono le esperienze pensate per tutti. Non
mancano momenti di formazione/verifica/monitoraggio rivolti all’intero collegio (o a gruppi di
esso), che curano gli aspetti riferiti alle metodologie didattiche utilizzabili per la gestione della
disabilità, incoraggiano la circolazione di competenze tecnologiche (attrezzature e ausili
informatici), favoriscono la condivisione delle esperienze positive e degli interventi realizzati.
Per quanto riguarda la documentazione, esistono forme di documentazione/comunicazione relativa
alle esperienze realizzate sia nella versione cartacea sia in quella informatica (dispense attestanti i
percorsi formativi, verifiche finali anche in sede di Collegio dei Docenti, relazioni dei docenti con
CD fotografico, registrazioni tematiche svolte, produzione di video-esperienze…). Traccia dei
progetti riferiti all’attività svolta dal gruppo di lavoro sullo Spazio Educativo e di quelli intrapresi
9
Vedi parag. 2.1, pag. 5 del presente lavoro.
dalla classe (psicomotricità, musicoterapia, piscina, teatro…) figura nei verbali del G.L.H., della
Commissione Tecnica, delle Commissioni Continuità e Formazione, dove vengono descritte le
azioni in atto, con particolare attenzione agli aspetti e agli scopi peculiari caratterizzanti le singole
esperienze, perché siano conosciuti dal personale scolastico e dalle famiglie. E’ altresì visibile l’iter
operativo, dal quale si evince la lettura delle decisioni assunte, delle azioni compiute nel tempo,
degli adeguamenti messi in atto per rispondere al modificarsi delle esigenze ed offrire modalità di
lavoro utili per le riflessioni future.
Esperienza particolarmente significativa sul piano della divulgazione delle esperienze, è stata quella
dei due convegni (a Villasanta, a cura di Ricercare per Fare: “Le difficoltà dell’insegnare/le
difficoltà dell’apprendere” del 7 Settembre 2006; a Concorezzo “Come le rondini. Dal mal di
scuola al Desiderio di Imparare…”, del 18 Ottobre 2008), in cui, tra gli altri, il progetto Spazio
Educativo è stato proposto nei comuni e nelle scuole del territorio.
3.2 I servizi del territorio e il lavoro di rete
Il progetto Spazio Educativo è inserito in un territorio dove, per tradizione locale e culturale, enti,
servizi e scuole lavorano con sinergia e in rete. Qui il percorso della presa in carico viene
accompagnato da un dialogo a più voci, che riesce a reperire e a conservare nel tempo e nei vari
contesti i contributi progettuali e le attenzioni indispensabili per favorire la piena espressione delle
potenzialità della persona nella cornice di un progetto di vita integrato e significativo. In questo
senso, protocolli e accordi tra gli enti possono arrivare a configurare un reale paesaggio di
integrazione, attraverso la realizzazione unitaria di interventi e la definizione dei reciproci rapporti
di collaborazione e di responsabilità. Rossana, responsabile dell’ufficio Pubblica Istruzione
racconta: “L'Amministrazione Comunale e l'ufficio di riferimento, per quanto attiene il punto di
vista più "tecnico", partecipano a pieno titolo, non solo perché mettono a disposizione tutte le
risorse umane e finanziarie senza le quali il progetto non potrebbe realizzarsi, ma anche perché
condividono pienamente tutti i pensieri e i significati di questo intervento. Infatti non danno un
"mandato in bianco" (i soldi e gli incarichi) chiedendo poi ai tecnici di fare e realizzare tutti gli
interventi, ma vogliono "esserci". Vale la pena ricordare che, quando siamo partiti, nulla era così
chiaro e abbiamo fatto tutti una scommessa su questo progetto (ho in mente alcune espressioni usate
da più parti durante le prime riunioni: "è un po' un salto nel vuoto, vedremo se e come funzionerà"...
E il primo a crederci, se non altro perché ha deciso di investirci finanziariamente, è stato proprio il
Comune, per dare risposta a dei bisogni speciali di due piccoli cittadini e delle loro famiglie. Poteva
scegliere di dirottare le famiglie su CSE piccoli, fare convenzioni con altri enti, invece ha deciso di
essere protagonista in questa avventura.”
Si citano qui di seguito documenti e collaborazioni, che saranno tra l’altro lo spunto per la
costituzione di un ulteriore protocollo, obiettivo per cui si sta lavorando appunto a livello di
territorio per la definizione di un progetto di vita per la persona diversamente abile, che favorisca la
sua effettiva inclusione nel sociale.
1. Protocollo d'intesa sull'organizzazione territoriale della scuola del vimercatese-trezzese,
finalizzato all’organizzazione territoriale del sistema educativo e formativo nel territorio del
vimercatese-trezzese, nonché alla programmazione e realizzazione di un sistema condiviso
di politiche scolastiche e formative, considerate di rilevanza strategica per lo sviluppo
complessivo del territorio.
2. Accordo di rete”Tre-Vi” tra i dirigenti degli Istituti scolastici del Trezzese e Vimercatese
per il perseguimento di obiettivi comuni, atti a promuovere e realizzare l’autonomia
didattica e organizzativa e le relazioni interistituzionali.
3. Accordo tra Scuola, Comuni, ASL3, AO per l’integrazione scolastica degli alunni
diversamente abili con la finalità di facilitare la realizzazione unitaria di interventi, che
favoriscano la piena attuazione del diritto allo studio degli alunni diversamente abili e la loro
integrazione nel contesto sociale.
4. Protocollo d’intesa tra i 29 Comuni e le 27 Istituzioni scolastiche del Vimercatese e
Trezzese e le Cooperative AERIS e la Grande Casa, atto a definire modalità per
l’attivazione, l’erogazione e il controllo del servizio di assistenza educativa.
5. Accordo di rete snodo handicap - IC Cornate d’Adda per rendere effettivo e concreto il
processo di integrazione degli alunni diversamente abili attraverso collaborazioni e sinergie
tra scuole, scambi di esperienze e materiali, approfondimenti tematici e sostegno alla
formazione dei docenti.
6. Piani di zona: L.328/2000.
7. Tavolo handicap, formato dai rappresentanti dei Comuni, (Amministratori, funzionari e
assistenti sociali), dal dirigente della scuola snodo (I.C.Cornate d’Adda) e dai rappresentanti
del Terzo settore.
8. Progetto per i disabili sensoriali (passato per competenze dalla Provincia ai Comuni) per
l’attivazione di assistenti alla comunicazione.
9. Collaborazione con i servizi che operano nel territorio a supporto del collocamento mirato
(L. 68), in particolare con l’UOIL, con il quale si è giunti a progettare attività di
informazione per i genitori di alunni disabili frequentanti tutte le scuole di primo e secondo
grado del vimercatese e trezzese.
10. Collaborazione con strutture specialistiche: prezioso l’intervento continuativo e sistematico
delle tiflologhe dell’Istituto dei Ciechi di Milano, che porta un ampio contributo sul piano
dell’osservazione e delle rilevazioni sul campo, nonché nella scelta dei contenuti e delle
modalità con cui presentare le attività ai bambini. Anche il dialogo con altri servizi
terapeutico-riabilitativi è fondamentale per sincronizzare non solo gli interventi, ma anche il
modo di prendersi cura (fisico e mentale) del personale dello Spazio Educativo e gli esperti
esterni.
11. Convenzione del Progetto Ricercare per Fare tra gli Snodi handicap, l’Associazione
Capirsi Down e l’Università per il lavoro di formazione del personale docente e non docente
su tutta la Brianza.
3.3 La formazione dei docenti e degli operatori come processo di ricerca-azione
“Quella dell’educare è una professione ad elevata complessità, poiché richiede di gestire differenti
situazioni per le quali non è disponibile un sapere dal valore generale… Chi educa, infatti, si trova a
far fronte continuamente a situazioni problematiche aperte, cioè situazioni per le quali non esiste
una risposta risolutiva anticipatamente disponibile… L’azione educativa così intesa ha necessità di
un sapere che si apprende dall’esperienza, cioè a partire da un’interrogazione riflessiva sulla pratica.
Il sapere prassico è costituito da indicazioni dal valore probabilistico che dovrebbero consentire al
pratico di agire con saggezza. L’agire pratico è, infatti, quello in cui siamo chiamati a prendere delle
decisioni per far fronte alle situazioni indeterminate… La forma perfetta del sapere prassico non è
la capacità di applicare regole date, ma va individuata in un’adeguata capacità a deliberare bene…
A orientare le scelte non è un sapere tecnico disponibile in anticipo e che quindi si può apprendere
attraverso un processo di insegnamento prestrutturato, ma è un’azione riflessiva concepita sul
campo e supportata da un sapere che si viene modulando attraverso l’esperienza” (Mortari, 2003).
Questa lunga citazione serve per delineare lo spirito con cui questo progetto di ricerca-azione ha
cercato di introdurre e portare avanti la formazione dei docenti e degli operatori. Lanciato nel
Convegno “Le difficoltà dell’insegnare/ le difficoltà dell’apprendere”, 10 il percorso formativo “Lo
Spazio Educativo come luogo di mediazione: verso un modello di integrazione della disabilità
grave”, è solo il primo passo di un progetto più ampio di formazione permanente “sul campo”.
Rivolto a docenti di classe e di sostegno di ogni ordine e grado, genitori, operatori ed educatori dei
servizi territoriali, il percorso si propone come spazio di studio e di riflessione sul tema. Il fine è
10
Convegno promosso da Ricercare per Fare, il 7 settembre 2006, nella Sala Astrolabio a Villasanta.
quello di valorizzare le esperienze in atto nei differenti contesti scolastici, con l’auspicio di far
prendere consapevolezza della valenza dell’azione educativa quotidiana, per attivare interventi
rivolti a classi frequentate da bambini portatori di disabilità grave. Inoltre, intende sostenere
l'attività di ricerca-azione sulla disabilità grave tra insegnanti provenienti dalle scuole degli Snodi
Handicap su due livelli: il primo, avente carattere teorico-informativo; il secondo, pensato come
formazione permanente orientata a garantire, attraverso un confronto tra esperienze concrete di
lavoro, una possibile traduzione sul piano operativo delle premesse teoriche. In tal senso, si vuole
valorizzare la comunicazione e lo scambio di esperienze tra le scuole coinvolte, per trasferire ed
applicare le competenze acquisite nei contesti didattici di appartenenza.
Durante le due trance del corso di formazione, svoltesi in due anni scolastici successivi, sono stati
maggiormente presi in considerazione due concetti: quello della progettualità e quello della
destrutturazione del contesto. Quali aspetti centrali del percorso di inclusione, il progetto e il
contesto si sono rivelati essere il nucleo riflessivo della mente del gruppo di formazione, che ha
concentrato gli apprendimenti proprio sulla conoscenza e sull’elaborazione del loro significato e del
trasferimento delle consapevolezze conseguite nella realtà di ciascuno.
L’esperienza della formazione è stata inoltre socializzata in un incontro aperto a tutto il territorio: il
senso di uno scambio tra corsisti e non stava proprio nel poter mettere in luce quali caratteristiche di
Spazio Educativo possono avere una valenza generale e quindi potrebbero essere applicate in un
altro contesto. Ecco le considerazioni emergenti.
a. Progettualità, destrutturazione del contesto, lavoro di squadra tra professionalità differenti
con un coordinamento, sono stati i tre punti di rilevanza positiva che i gruppi di formazione
hanno riportato come potenzialità del progetto Spazio Educativo trasferibili nella pratica
quotidiana.
b. Mancanza di spazi fisici nelle scuole, esigua flessibilità nel trovare risposte alle situazioni
problematiche, carente preparazione del personale docente sono stati indicati come punti di
debolezza delle realtà scolastiche e territoriali che maggiormente ostacolano
l’implementazione di un progetto di inclusione.
c. Alcune pratiche sono state ritenute importanti spunti di riflessione da riportare nella
quotidianità, indipendentemente dalla presenza di persone con diversa abilità. Eccone
alcune: dedicare tempo all’accoglienza; rispettare la gradualità e i tempi, sia nelle proposte,
sia nella relazione; curare il significato della predisposizione degli spazi; dare valore anche
ai tempi “vuoti” come tempi dedicati alla relazione; prestare attenzione anche a ciò che
viene dato per scontato.
d. La ricerca di strategie di apprendimento “su misura”, alternative alla semplificazione dei
contenuti o all’adattamento delle attività, sono un primo passo verso la creazione di una vera
cultura dell’integrazione, che viene considerata spesso mancante.
È a partire a questa possibilità di meditare sull’agire pratico che il progetto di ricerca-azione si
esprime nella pienezza della sua caratterizzazione: quella di costruire, passo dopo passo, il “sapere
esperienziale”, quel tipo di sapere cioè che si elabora e si teorizza con l’impegno a trovare soluzioni
efficaci alle singole situazioni. In quest’ottica, il gruppo di lavoro dello Spazio Educativo continua
la sua ricerca quotidianamente, utilizzando la pratica del “pensare riflessivo”. Anna, insegnante
elementare di lunga esperienza, ricorda: “L’esperienza dello Spazio Educativo ha contribuito a far
crescere la nostra professionalità in quanto ci ha permesso:
1. Di costituire una “comunità critica di ricercatori”, composta non solo dalle insegnanti e
dalle educatrici del team di lavoro, ma dalla tutor (psicopedagogista consulente del
Comune), dagli esperti, dai bambini. Si è venuto così a realizzare un “pensare per reti” che
ci ha portato ad iniziare un “agire per reti”, dove la responsabilità e la fatica della riflessione
erano distribuite.
2. Di sperimentare e consolidare una pratica riflessiva sull’esperienza che ci ha permesso di
analizzare e ricostruire la nostra autobiografia di insegnanti, capire e comprendere le ragioni
più esperienziali che teoretiche per cui abbiamo scelto certi modelli pedagogici piuttosto che
altri.
3. Di aver riconosciuto che un “sapere di senso” parte dalla riflessione sulla propria esperienza
in un confronto costante con la teoria. Solo partendo dal “ pensare a partire da sé”, cioè
dalla propria esperienza, è possibile dare spazio e valorizzare pratiche culturali veramente
efficaci.”
3.4 Aspetti logistici
Approfittando della ristrutturazione di un’ala della scuola primaria in cui sarebbe partito il progetto
Spazio Educativo (“Don Gnocchi” di Via Ozanam a Concorezzo), per lo spazio fisico sono state
scelte due aule al piano terra che si affacciano direttamente sull’arena, struttura ricettiva
polifunzionale, e sul corridoio principale, di fronte all’ingresso della scuola. Collocazione
evidentemente non casuale, ma appositamente individuata per fare in modo che, anche visibilmente,
i locali frequentati dai bambini con disabilità si aprano direttamente sulla scuola. Gli spazi sono stati
predisposti per favorire la realizzazione di ambienti adattabili sia all’attività di laboratorio sia a
quella individuale e/o a piccolo gruppo.
Gli ambienti interni sono stati pensati in modo differenziato ed articolato, per offrire ad ogni attività
educativa e alle relative attrezzature uno posto adeguato.
Vi sono infatti “angoli” per attività diverse:
1. cucina – quest’aula è stata pensata sia per attività di laboratorio di classe o a piccolo gruppo,
sia per attività individuali, sia, al bisogno, come luogo protetto, dove il bambino con
disabilità possa consumare il pasto con il gruppo di 3/4 compagni;
2. attività espressive – nell’aula denominata Spazio Educativo, angolo attrezzato per attività
ludico-espressive, dotato di materiale adeguato alle difficoltà dei bambini ed ausili di
supporto;
3. attività cognitive – è un altro angolo nell’aula denominata Spazio Educativo pensato per
facilitare interventi individuali a sostegno di specifiche competenze, per le quali si richiede
maggiore attenzione al compito, dove il materiale è accuratamente strutturato in relazione
alle difficoltà di apprendimento e di comunicazione dei bambini. Parallelamente, sono
previste attività di gioco-apprendimento per tutti i bambini della classe e della scuola;
4. angolo “morbido” – è il terzo spazio nell’aula denominata Spazio Educativo, individuato in
risposta alle esigenze di “pausa” dei bambini, un angolo dove il benessere psico-fisico è
prioritario nelle esigenze del bambino, che può diventare un tranquillo rifugio o uno spazio
per l’attività psicomotoria fatta con il gruppo dei pari;
5. bagno – spazio attrezzato con materiale accuratamente scelto per le esigenze dei bambini in
situazione di disabilità grave (fasciatolo, riduttori water, armadi..);
6. aula della classe, nella quale si ritrova non soltanto il banco dell’alunno disabile, ma si
ricostruisce, in un angolo, lo spazio necessario all’alunno disabile ad affrontare con
maggiore facilità alcuni momenti della giornata scolastica, collocando, ad esempio,
giocattoli, cuscini, libretti, pennarelli, ecc…
Una strutturazione, questa, che arricchisce l’offerta della scuola a favore di tutti, bambini e docenti
e che restituisce agli stessi, vivendo ogni giorno dentro quegli ambienti, il preciso significato dei
gesti consueti del prendersi cura quotidiano. In quest’ottica, predisporre un contesto fisico adatto a
rispondere ai bisogni dei bambini disabili, vuol dire anche scegliere di dare un messaggio
importante a tutti gli altri: i “luoghi dell’abitare” della disabiltà non solo devono corrispondere,
nella loro predisposizione, alle modalità di apprendimento individuali, ma devono anche poter
semplificare la speciale comprensione del mondo, che ogni bambino con disabilità gradualmente
sviluppa. In questo senso, una chiara distinzione degli ambienti sembra facilitare l’interiorizzazione
della funzione degli stessi, delle attività connesse, della scansione dei tempi e delle persone
coinvolte. Per questo motivo l’organizzazione degli spazi e il loro utilizzo devono essere pensati e
predisposti in relazione al modo di imparare dei bambini dello Spazio Educativo. Per esempio, il
bambino può apprendere che nell’angolo delle attività a tavolino deve attivarsi alle richieste di
attenzione che vengono fatte; così come realizza che, per affrontare il momento del pasto, si deve
disporre a mettere in gioco le abilità cognitive che occorrono. Anche le suppellettili, gli oggetti, gli
armadi possono diventare strumento didattico: ad esempio, R., che utilizza prevalentemente un
linguaggio fatto di simboli, sia per la comprensione che per la comunicazione orale, ha la possibilità
di imparare a classificare ciò che vede nella quotidianità usando appunto l’oggettistica familiare. A.,
che utilizza prevalentemente il canale uditivo e olfattivo per accedere alla realtà, apprende ad
associare rumori, suoni e profumi ai diversi ambienti e alle attività che si praticano in ciascuno di
essi. F., che fatica a prevedere i ritmi del quotidiano, riesce però ad accedere alla scansione della
giornata scolastica con serenità, perché ritrova un setting determinato e riconoscibile attraverso i
suoi canali di categorizzazione del mondo.
3.5 Aspetti professionali: ruoli e competenze
La scuola è il contesto naturale del progetto Spazio Educativo e, conseguentemente, tutto il
personale ne è coinvolto, ciascuno secondo le proprie funzioni e mansioni. È importante, perciò, che
le modalità di attuazione dell’integrazione vengano rese note a tutti, personale docente e non
docente, affinché si socializzi il significato delle varie iniziative che vengono intraprese. Anche gli
esperti che seguono gli interventi specialistici, come la psicomotricità, la musicoterapia, il
laboratorio di animazione teatrale, ecc… devono poter integrare le attività proposte con il percorso
del progetto. Vengono così individuati dentro la struttura scolastica “spazi” e “tempi” di raccordo,
di scambio, di azione e di formazione comune a tutti gli operatori scolastici ed extra-scolastici, dove
realizzare attività, creare comunicazione, utilizzare strumenti, elaborare contenuti, sviluppare
abilità, stimolare il processo di crescita di tutti i bambini delle classi coinvolte.
PERSONALE DELLA SCUOLA
Insegnanti di classe:
Tutto il team dei docenti (o consiglio di classe per la scuola secondaria di primo grado) ha
responsabilità sulla progettazione del percorso per l’alunno con disabilità, sulle scelte didattiche ed
educative, sulle eventuali modifiche in itinere, sulle valutazioni curricolari e sulla verifica del
progetto. Il team, insieme con il personale dello Spazio Educativo, viene chiamato sistematicamente
a riunirsi per la progettazione, la stesura del P.E.I., la verifica periodica degli obiettivi. A tal fine è
necessario stendere all’inizio di ciascun anno scolastico un calendario di questi impegni comuni,
che rientri nel Piano delle Attività Annuali (P.A.A.) d’Istituto: sono previsti, in genere,
appositamente tre incontri (uno a fine ottobre, uno a marzo, l’ultimo a maggio), nei quali appunto
tutti gli attori del progetto pensano insieme, si confrontano e vengono messi in condizione di
affrontare il faticoso percorso dell’inclusione, grazie proprio allo scambio fattivo di competenze tra
professionalità diverse. Poter rimandare il senso dell’integrazione alle differenti inclinazioni
professionali significa che l’insegnante non viene ad essere lasciato da solo a prendersi carico dei
bambini con disabilità. Vuol dire, cioè, che verrà sostenuto a prendersene cura, nel rispetto del suo
ruolo e nell’ambito del suo stesso mandato, ma anche di più: c’è la possibilità di mettere in evidenza
le singole competenze professionali e valorizzarle come risorsa spendibile proprio per la
realizzazione di esperienze di gruppo o di classe, partendo comunque sempre dai bisogni speciali.
Ad esempio, l’insegnante di musica diventa il musicista della sceneggiatura di un’esperienza fatta a
scuola o fuori di essa, che si esprime in forma privilegiata attraverso il canale uditivo-sonoro,
maggiormente predisposto in alcune disabilità.
Il team, inoltre, si preoccuperà di attivare i progetti educativi speciali (piscina, teatro) o specialistici
(musicoterapia, psicomotricità) per il gruppo classe, quali attività di supporto alla programmazione
di classe e di presidiare le altre attività organizzate al di fuori dell’aula. L’insegnante Milena scrive:
“Di sicuro, i momenti di uscita dei bambini della classe a piccoli gruppi, per svolgere attività legate
a progetti pensati appositamente per la bambina con disabilità, servono per creare legami e
migliorare le dinamiche di gruppo, oltre che stimolare abilità. Rispetto all’esperienza precedente, ho
dovuto pertanto modificare anche l’idea di distribuire in modo uniforme gli strumenti di
apprendimento: chi resta in classe usufruirà di certi mezzi (spiegazione frontale, schede,
esercitazioni a coppie…), chi è fuori di altri (attività più pratiche). Trovo inoltre che le varie
esperienze che si svolgono nei piccoli gruppi siano molto stimolanti per suggerire nuove idee e
contenuti per le attività di classe in qualunque disciplina.”
E’ importante, come detto già più sopra, che il team verifichi sistematicamente e restituisca ai
genitori la ricaduta di alcuni aspetti del progetto di integrazione su tutti gli alunni, affinché si venga
a creare una consapevolezza maggiore rispetto alle modalità di integrazione. Nel verbale di
un’assemblea di classe la mamma rappresentante scrive: “E’ evidente quanto questa esperienza sia
veramente speciale per tutti, insegnanti, bimbi e genitori, che sono stimolati a modificare le
modalità di relazione in base alle esigenze di M. Molti genitori hanno espresso la gioia e la
sensibilità inaspettata che i bambini esprimono parlando e vivendo con M. E’ intervenuta anche la
mamma di M. ringraziando i nostri figli per la gioia che stanno comunicando e trasmettendo a M.,
che in pochi mesi ha fatto grandi progressi… credo che però siamo noi a dover ringraziare i genitori
di M., che ci stanno regalando un’esperienza unica.”
Insegnante di sostegno:
Si occupa principalmente di favorire l’inserimento e l’integrazione dei bambini nella classe. Il suo
intervento, progettato con il team, viene rivolto a mantenere il più possibile il collegamento con le
attività e i contenuti della classe e della scuola (laboratori, eventi, feste, gite). In particolare, il
docente di sostegno si attiva per favorire la relazione e l’apprendimento nei momenti e nei progetti
di integrazione pensati da tutti gli operatori, in modo da far ricadere anche sulla classe le risorse che
vanno a caratterizzare il percorso didattico-educativo del bambino con disabilità. Ad esempio,
nell’affrontare l’argomento della conoscenza della natura, si avrà cura di prevedere un percorso
sensoriale di approccio ad essa (sonoro, tattile, olfattivo, gustativo), che va ad arricchire
l’acquisizione verbale e figurata dei concetti e, nello stesso tempo, mostra agli alunni la corsia
preferenziale per la conoscenza del mondo del compagno con disabilità. Infine, competenza
specifica del docente di sostegno, è quella di facilitare i contenuti di apprendimento attraverso la
ricerca di modalità alternative alla lezione frontale, trovando strategie adeguate al livello di
sviluppo, alle potenzialità e ai limiti del bambino con disabilità. Ad esempio, organizzare una
ricerca in un piccolo gruppo, nel quale al bambino diversamente abile viene attribuito un ruolo, che
non acquisirà importanza rispetto all’entità del lavoro da fare, ma relativamente al riconoscimento
che esso potrà avere da parte dei compagni. Si comprende come sia centrale qui la restituzione del
significato da parte dell’insegnante di sostegno, che diviene appunto di sostegno alla classe stessa,
non soltanto nel supporto sui contenuti scolastici, ma soprattutto nell’indicare la strada per
incontrare la disabilità. A questo proposito, Enza scrive: “Il mio modo di lavorare prima era molto
sbilanciato all’integrazione didattica e questo aspetto esauriva quasi l’intera dimensione della mia
professionalità. La classe aveva una sua programmazione, il bambino o la bambina inseriti
dovevano inseguire anche a fatica gli obiettivi della classe con semplificazioni affrettate, soprattutto
per mancanza di tempo in cui fermarsi a progettare o aspettare i ritmi di ciascuno…Dopo 25 anni di
insegnamento come insegnante di sostegno, posso dire che l’esperienza dello Spazio Educativo ha
cambiato radicalmente il mio modo di vedere l’inserimento e l’integrazione dei bambini disabili…”
PERSONALE INCARICATO DALL’ENTE LOCALE
Educatore/Educatrice professionale
La mansione dell’educatore professionale è complementare e integrata alle competenze degli
insegnanti di sostegno e di classe. Essa favorisce, con interventi specifici, lo sviluppo delle
potenzialità dei bambini con disabilità in tutte le aree di intervento, sia nella programmazione di
attività individuali sia in quelle per la classe, attivando nello Spazio Educativo le risorse necessarie
alle proposte che saranno programmate e verificate con l’intero gruppo degli insegnanti. In
quest’ottica, l’educatore coordina sul campo le diverse attività programmate ed è il riferimento per
tutto il personale docente e non docente per quanto riguarda la gestione delle questioni pratiche, la
raccolta delle problematiche da discutere e affrontare insieme. Ma non solo: egli diventa anche
risorsa per tutta la scuola. Scrivono Monica, Riccardo, Tecla (educatori): “L’inserimento dello
Spazio Educativo Ragazzi alla scuola secondaria di primo grado porta con sé considerazione da
parte del gruppo di insegnanti, possibilità di proporre attività e la consapevolezza che gli educatori
sono libri da cui imparare, uno spunto e una risorsa, non agenti esterni, invisibili, utilizzati solo per
gestire l’utente in situazione di disabilità in maniera improvvisata e non condivisa…” La
competenza specifica dell’educatore professionale viene utilizzata al fine di integrare gli obiettivi
specificatamente scolastici con gli obiettivi educativi più generali ed adeguati alle esigenze dei
bambini in un contesto di crescita e sviluppo. Tutte le attività dell’educatore si differenziano da
quelle scolastiche sul piano dei tempi, delle modalità e degli strumenti utilizzati; perseguono però
gli obiettivi presenti nell’unico P.E.I.. La specificità dei suoi interventi deve quindi essere vista
nell’approccio più individualizzato nelle attività, nella continua ricerca delle modalità più idonee a
entrare in relazione con il bambino, alla possibilità di adattare continuamente i tempi e gli spazi del
lavoro alle esigenze del bambino stesso. L’educatore mette il bimbo nelle condizioni di poter
imparare attraverso strumenti e modi differenti da quelli scolastici, più legati alle esperienze vissute,
all’utilizzazione di tutti i sensi, alle sequenze temporali della quotidianità. Scrive Sara,: “Ho
incontrato e sto vivendo un nuovo modo di fare scuola, in cui lo Spazio Educativo ne è pienamente
parte integrante e non un progetto a parte. Come educatrice, nel rapporto con i bambini ho
compreso come una programmazione debba essere flessibile e non rigida e adattarsi alle esigenze,
agli stati emotivi e di salute che quotidianamente il bambino vive a scuola…”
Ausiliaria11
Le mansioni dell’ausiliaria si offrono a supporto degli interventi di cura dei bambini, (igiene
personale, preparazione e/o somministrazione pasto, cambio pannolino, controllo cambi puliti)
dell’assistenza sanitaria di base (per esempio, manovre di primo soccorso in caso di epilessia), degli
spostamenti (corrette posture e interventi sul corpo), delle uscite sul territorio. Esse si realizzano
anche nel riordino, nella cura e nella pulizia dello spazio fisico (aule in cui si svolgono le attività) e
dei materiali e oggetti in esso collocati. L’ausiliaria può eventualmente affiancare l’educatore nel
mettere in pratica attività specifiche. Diventa indispensabile il suo contributo nella fase delle
osservazioni sugli alunni con disabilità e nella pianificazione del progetto, poiché è proprio lei ad
occuparsi di alcuni dei momenti cruciali della vita quotidiana dei bambini. Com’è noto, infatti, tutte
le pratiche di accudimento hanno un’importanza decisiva nella formazione della vita emotiva e
relazionale del bambino, con la loro ritualità e simbolicità legate al distacco/riavvicinamento con le
figure parentali. A maggior ragione, nei casi di disabilità complessa, queste pratiche rivestono un
delicato aspetto sia nella costruzione dell’interazione adulto/bambino, sia nell’istaurare una
relazione di fiducia con i genitori (con la mamma, in particolare). Teresa e Monica scrivono: “Ci è
stato insegnato che il ruolo di ausiliaria era principalmente sanitario e legato all’igiene.
Nell’esperienza dello Spazio Educativo ho potuto mettere in campo altre competenze: creatività,
abilità manuali e organizzative. Ma soprattutto vivo quotidianamente un contatto emotivo con la
11
Si precisa che questa figura professionale non è strettamente necessaria, anche se preziosa e arricchente. La sua
presenza dipende dal numero di bambini con disabilità presenti nella scuola e dalla tipologia di bisogni. In assenza
dell’ausiliaria, le sue mansioni vengono svolte da una delle educatrici.
famiglia che mi affida il proprio figlio, concentrando in me molte aspettative sul riconoscimento dei
bisogni e degli stati fisici ed emotivi”.
Ovviamente, anche le mansioni dell’ausiliaria, così come quelle di tutti gli altri operatori comunali,
vengono messe a disposizione di chi ne ha bisogno all’interno della scuola; opportuno però è
organizzare le modalità, i tempi e il ruolo preciso che si decide di mettere in campo. Per esempio, se
c’è necessità di accompagnare in bagno altri bambini con disabilità fisica, l’ausiliaria si rende
disponibile non tanto su richiesta improvvisata, quanto secondo un preciso piano di intervento.
Assistenti educativi/e, assistenti alla comunicazione
Essi integrano le competenze degli altri operatori, in particolare, supportano i bisogni affettivi e
relazionali del bambino e si pongono a volte come figure di collegamento con l’ambiente familiare.
Infatti, prerogativa di queste figure è quella di avere una maggiore vicinanza nell’interazione con il
bambino con disabilità, che si esterna poi nella possibilità di accogliere i suoi messaggi impliciti ed
espliciti nelle diverse occasioni della giornata scolastica. In particolare, questo avviene nei momenti
dedicati al pranzo o alla merenda, momenti appunto di grande convivialità, che le educatrici
colgono per restituire alcuni importanti significati. Scrive Elena: “Per F. uno dei momenti di
maggiore integrazione è quello del pranzo in cucina, che mi vede al suo fianco, con due suoi
compagni presenti a turno al tavolo. Questi aiutano F., raccogliendogli la forchetta se cade,
avvicinandogliela alla mano quando non la prende, versandogli l’acqua, domandandogli se vuole il
pane. F. sembra apprezzare molto tali attenzioni e lo manifesta dicendo continuamente “ciao” a
compagni ed educatrice, oltre che toccandoli e ricercando con insistenza un loro sguardo, un loro
cenno di interazione. I compagni si vivono in questo momento come privilegiati nello stargli
accanto e nell’aiutarlo.”
Psicopedagogista
Il progetto Spazio Educativo ha come caratteristica principale l’integrazione di diverse competenze
per sostenere lo sviluppo armonico dei bambini, che necessitano di interventi diversi ed articolati.
Ciascuno degli attori coinvolti può e deve esprimere consapevolmente la propria professionalità su
obiettivi e percorsi chiari e condivisi, affinché il progetto mantenga la sua integrità. La regia su
questo palcoscenico è affidata alla professionalità psicopedagogica, che ha la responsabilità di
presidiare tale complessità e di vigilare sul dispiegarsi del progetto in tutte le sue dimensioni:
soggettiva, contestuale, culturale, istituzionale.
Nelle fasi della progettazione, la psicopedagogista ha il compito di verificare le condizioni effettive
di realizzazione del progetto, di raccogliere le informazioni sul bambino e la famiglia, di
evidenziarne i bisogni speciali, di chiarire la disponibilità delle risorse; di imbastire, infine, il
canovaccio, ipotizzando spazi, persone e i percorsi indispensabili alla costruzione dello Spazio
Educativo.
Nella realizzazione del progetto, il coordinamento della psicopedagogista si ripartisce su due piani:
il primo raccorda i bisogni dei bambini disabili con i vincoli/risorse della scuola e
dell’amministrazione comunale attraverso la pianificazione didattico-educativa, il monitoraggio
delle situazioni, l’osservazione dei diversi momenti della giornata scolastica, la progettazione degli
aspetti di continuità e discontinuità nei casi di passaggio da un ordine di scuola all’altro, il dialogo
sistematico con i responsabili dei settori comunali di competenza (servizio pubblica istruzione e
servizio sociale), con le equipe medico-terapeutiche e con la famiglia. Su un secondo piano, la
supervisione della psicopedagogista mira a supportare emotivamente tutti gli operatori coinvolti,
mediando nelle dinamiche relazionali, ribadendo i ruoli e i compiti di ciascuno, sostenendo il
difficile mandato per tutti di lavorare in un ambito che molto esige in termini di impegno e
preparazione personale e professionale. Supporta inoltre i vissuti e le fatiche di tutti gli operatori,
restituendo il senso dell’intervento e suggerendo strategie operative didattico-educative. Anna,
insegnante di lunga esperienza ricorda: “…di aver avuto un’azione di sostegno efficace da parte
della tutor (psicopedagogista), che ha monitorato l’esperienza, creando un clima di fiducia
reciproca, guidandoci e stimolandoci ad analizzare la nostra esperienza in profondità. Spesso le
situazioni che ci trovavamo ad analizzare erano ingarbugliate e problematiche e, se non avessimo
avuto da parte sua la spinta di attivare un “pensare contestuale e analitico” dell’esperienza,
avremmo semplificato il problema ed evitato di interrogarci più a fondo.”
La psicopedagogista fa da referente del progetto anche per le famiglie, spiegando il significato e le
prospettive dello stesso sul bambino. Ha cura inoltre di socializzare l’esperienza non solo presso gli
insegnanti della scuola e gli educatori comunali, ma anche con i colleghi che si occupano di
integrazione dei minori in situazione di disabilità complessa. In questo modo si propone come
promotore della transitività del progetto in altre scuole e/o territori, come supervisore nelle fasi di
progettazione dello Spazio Educativo negli altri contesti, e come garante della implementazione
delle necessarie condizioni, nonché delle buone prassi che consentono la riuscita del percorso in
termini di qualità del progetto di vita.
La psicopedagogista, infine, si occupa della raccolta della documentazione relativa ai singoli utenti,
ma anche alla storia del progetto stesso.
Il ruolo della famiglia
La famiglia del minore con disabilità rappresenta un altro attore fondamentale nel copione dello
Spazio Educativo. Essa contribuisce infatti inizialmente al percorso di conoscenza del bambino e
alla individuazione delle risorse che incontrano i suoi bisogni speciali; poi, in modo continuativo,
rimanda agli operatori del progetto il modificarsi degli stessi e la misura in cui le competenze
acquisite in ambito scolastico vengono trasferite negli altri contesti di vita. Questo è uno dei criteri
di valutazione più significativi per la riuscita del progetto, in quanto, si lavora a scuola in funzione
della qualità della vita del soggetto e della sua famiglia. Perciò, avere un costante confronto con i
genitori significa prendere in considerazione almeno due livelli di riflessione. Primo, ciò consente
di avvicinarsi alla portata e alla complessità delle problematiche che il nucleo familiare con un
bambino disabile ha in sé; secondo, si prende coscienza, insieme con il genitore di quanto sia lungo
e difficile il percorso di acquisizione di consapevolezza sull’accettazione e la discussione della
tematica della disabilità. Scrivono Mara e Marco, genitori di R. che, dopo cinque anni di scuola
elementare con lo Spazio Educativo, ora frequenta la prima media con lo Spazio Educativo Ragazzi:
“Per noi il progetto Spazio Educativo è stato una scoperta che giorno dopo giorno, nell’affrontare
varie e specifiche situazioni, ha espresso nel tempo tutto il suo valore. Esso ha sviluppato le sue
finalità a partire dall’attenzione a R., dai suoi limiti (non pochi) e dalle sue risorse (non sempre
evidenti); ha dilatato i tempi e gli spazi della classe dove era inserito e della scuola quando si
rendeva necessario, con la cura di mantenere un equilibrio delle attività didattiche con i progetti
curricolari di classe e di rispettare un ordine fra i vari attori e le esigenze della scuola stessa. E’ nata
così, per ogni aspetto della vita scolastica, una ricchezza di esperienza del tutto inaspettata per R.,
per noi, per i docenti, gli operatori, i collaboratori. Dall’accoglienza del mattino, allo spazio mensa
e ricreativo, ai lavori fatti da R., trasmessi alla classe, i laboratori, i teatri, le gite, abbiamo visto che
tutto è stato occasione di relazione e attiva partecipazione di R. alla vita reale della scuola. I
benefici ottenuti da R., che sono di tipo relazionale, cognitivo, ma anche su alcuni suoi limiti, vanno
ricercati nell’unità di intenti fra tutte le parti coinvolte e nella chiara motivazione che ha originato
questo progetto.”
3.6 Aspetti metodologici
Questo percorso prevede che tutti gli alunni seguano la programmazione della classe e che vengano
proposti programmi adatti, stimolanti e adeguati ai bisogni e alle potenzialità di ciascuno. Ciò
contribuisce a far nascere il sostegno reciproco, il senso di accettazione e appartenenza. Nel corso di
questa esperienza, è sembrato particolarmente valido intraprendere uno stile di lavoro “a classi
aperte” perché, consentendo di far conoscere l’alunno in difficoltà a più gruppi di bambini, permette
di aprire la scuola al territorio e di sviluppare reti di sostegno, in grado di accompagnare il viaggio
nella scuola e fuori di essa del bambino con disabilità e della sua famiglia, nell’ottica appunto di un
progetto di vita condiviso e di qualità.
3.6.1 Le modalità di programmazione
Le attività educative dell’intero progetto Spazio Educativo sono articolate sulla base di un’ipotesi di
lavoro, ipotesi che prende forma dal contributo di tutti gli attori: gli insegnanti di classe e gli
insegnanti di sostegno, l’educatore, l’ausiliaria, la psicopedagogista, le figure specialistiche e la
famiglia.
Questo gruppo di lavoro definisce prima i bisogni, poi gli obiettivi generali, infine promuove la
proposta per gli interventi nelle diverse aree: affettivo-relazionale, motorio-prassica, della
comprensione dei diversi linguaggi (verbale, non verbali, logico-matematico, dell’autonomia). Le
insegnanti di classe e di sostegno, con l’educatore declinano gli obiettivi specifici e le attività, sia
quelle volte all’inserimento in classe, sia quelle da realizzarsi negli spazi appositi e le programmano
mensilmente nel corso dell’anno scolastico.
Tutto ciò implica conseguenze rilevanti non solo sul piano dell’articolazione degli interventi, ma
innanzitutto nel modo di intendere l’incontro con la disabilità a scuola.
Infatti, vanno delineate proposte che siano funzionali a livello individuale e, contemporaneamente,
alla programmazione di classe, cercando di armonizzare il progetto didattico-educativo con il
quadro delle proposte riabilitative. La programmazione delle attività e degli spazi di inserimento in
classe vengono perciò definiti in relazione alla programmazione della classe, alla programmazione
delle singole educazioni e sulla base dei bisogni di tutti gli alunni della classe. Tutti i bambini,
quindi, frequentano la loro classe e lo Spazio Educativo seguendo un piano di intervento concordato
e condiviso.
Tutte le fasi di programmazione e di verifica del P.E.I. vengono sostenute e condivise con la
psicopedagogista. Il P.E.I. è presentato, in forma di bozza, ai genitori, ne vengono condivisi
obiettivi e modalità e poi viene redatto in forma definitiva (che comunque è sempre passibile di
eventuali modifiche funzionali al percorso del bambino). La valutazione, ovviamente, avviene
tenendo conto non tanto dei risultati in termini di prestazione, quanto si valorizza e si dà un giudizio
al processo avvenuto nelle diverse aree evolutive.
Vengono calendarizzati, come già ricordato, incontri in itinere per la verifica del Progetto Educativo
dei singoli bambini con tutto il team di insegnanti, personale educativo e psicopedagogista. Una
volta alla settimana la psicopedagogista incontra l’èquipe degli educatori, che viene “aperta” anche
agli insegnanti disponibili (o che al bisogno partecipano).
Inoltre, due/tre volte all’anno si svolgono verifiche a gruppo completo (cioè con tutti gli operatori e
i docenti di tutte le classi o sezioni che si avvalgono dell’attivazione del progetto) sull’andamento
dell’intero progetto Spazio Educativo, coordinate dalla psicopedagogista. Questi momenti sono
molto utili alla socializzazione delle esperienze, poiché danno la possibilità di condividere strategie
e strumenti di lavoro, ma anche le emozioni: vivere così da vicino la fatica e la sofferenza determina
comportamenti e relazioni a volte più fragili, altre volte invece sostiene la comune necessità dello
stare uniti nel rapportarsi alla disabilità. Scrive l’insegnante Arianna: “è stato proprio il “non
sentirmi sola” che mi ha consentito di superare le prime paure… accettare tutti i progetti, i
laboratori, le accoglienze, vincendo i timori - è una perdita di tempo, cosa penseranno le famiglie,
non abbiamo aperto il quaderno e sta suonando l’intervallo-; poi sospinta in un angolino della mente
dai bambini, scoprivo che loro vivevano bene la giornata scolastica, erano felici di fare tante nuove
esperienze, dimostravano di acquisire competenze diversificate, un notevole senso critico, capacità
di mediazione, di comprensione e di accettazione degli altri.” Maria, docente della scuola primaria
ribadisce: “Lavorare con un bambino con una disabilità così grave mi spaventava, mi sconcertava;
Spazio Educativo mi ha aiutata molto ad affrontare questa nuova situazione. Ora spesso mi ritrovo
ad osservare con i miei occhi increduli i progressi del mio bambino e della classe e riscontro che si
realizzano con successo gli obiettivi di socializzazione e di relazione con la disabilità”. Silvia,
educatrice, aggiunge: “quando ci sediamo intorno a un tavolo, confrontando il nostro operato, mi
accorgo che sta accadendo qualcosa di grande; ho imparato che la collaborazione passa soltanto
attraverso la condivisione degli stessi obiettivi ed è la forza che ogni giorno mi aiuta a fare il meglio
del mio lavoro.”
Non si possono non ricordare le difficoltà che si incontrano in una organizzazione così complessa:
relative agli operatori, che tentano di soddisfare le esigenze dei bambini e delle famiglie, i loro
bisogni e le aspettative; all’organizzazione complessa dei tempi e degli spazi nell’agire quotidiano;
all’elevato numero di persone con diverse competenze che entrano nel progetto e che devono essere
tutte ascoltate, comprese e sostenute, ciascuno per il proprio mandato. Scrive ancora Arianna: “se
qualcuno mi chiedesse se consiglio di accettare questa esperienza, risponderei di sì per quello che
dà agli operatori, agli alunni e alle loro famiglie, ma non mancherei di ricordare che occorre la
disponibilità a mettersi costantemente in gioco ed anche a fare un po’ di fatica: gestire la
quotidianità non è sempre semplice, soprattutto quando si svolgono più attività
contemporaneamente, ma l’unione fa la forza, se si ha l’umiltà di accettare l’aiuto di tutti, alunni
inclusi.”
Scrive Gianna: “Certo, ci sono momenti di difficoltà, soprattutto quando ho dovuto scontrarmi con
quella che consideravo una sconfitta: con R. non posso ragionare in termini di didattica e risultati
verificabili con un test, come faccio con gli altri. Di R. devo accettare i passi che sembrano piccoli
ma nascondono mesi di lavoro e sono invece fondamentali per garantirgli un futuro a sua
dimensione”.
3.6.2 Le modalità di intervento (laboratori/esperienze con specialisti/attività comuni)
“…abbiamo fatto moltissimi laboratori insieme, come la costruzione di vetrate, la costruzione di
una città ebrea in pongo, musica, cucina, un laboratorio sui suoni della natura… in cui abbiamo
capito che nel mondo non tutti hanno la nostra fortuna; tu non puoi correre, saltare, parlare e molte
altre cose, ma nei laboratori ci hai insegnato molte cose, ad esempio come usare gli altri sensi oltre
alla vista, ad ascoltare, a suonare, a tenere il ritmo…”
“da due anni facciamo piscina con R. questa esperienza mi ha aiutato a capire che lui è un bambino
uguale a noi, che pur essendo in carrozzina, nuota come noi…”12
Le proposte che si alternano alla cosiddetta lezione frontale sono molte; tutte però sono sostanziate
dall’idea di poter facilitare l’integrazione dei bambini con disabilità attraverso la valorizzazione dei
linguaggi espressivi e della creatività in contesti di gruppo ristretto di alunni:
A. Laboratori espressivi a classi aperte .
B. Progetti con specialisti (psicomotricità, piscina, musicoterapia, pedagogia teatrale, teatro).
C. Uscite sul territorio, gite, occasioni speciali, feste in occasione di ricorrenze durante l’anno
scolastico, progetto interculturale.
L’organizzazione di atelier, che prevedono attività manipolative, espressive, musicali, corporee, di
drammatizzazione, di costruzione, di movimento, muove dal presupposto che la comunicazione e la
socializzazione vengano incoraggiate dal poter progettare insieme, dando valore a idee, espressioni,
prodotti propri e degli altri, dalla necessità di concordare i compiti o le modalità di esecuzione
prima di realizzarle, dalla consapevolezza di saper attribuire un giusto valore non tanto al prodotto,
ma all’esperienza, dallo sviluppo della fantasia, dei propri interessi e del pensiero divergente.
La classe e i gruppi classe di tutta la scuola si aprono a queste esperienze per alcune ore durante la
settimana; al termine di ogni “turno” di attività, che dura circa due mesi, è previsto un momento di
comunicazione collettiva di quanto realizzato (manufatti, danze, canti, drammatizzazioni…).
12
Queste frasi sono tratte da alcune lettere scritte dagli alunni di due classi e indirizzate ai compagni con disabilità.
Inoltre, gli educatori dello Spazio Educativo organizzano alcuni laboratori durante l’anno scolastico
aperti a tutte le classi della scuola: “Da lettore a protagonista”, ad esempio, è il titolo
dell’esperienza laboratoriale predisposta alla scuola secondaria di primo grado sulla lettura e messa
in opera in un dvd di un racconto, che mira a far conoscere gli spazi, gli amici e le peculiarità del
progetto Spazio Educativo Ragazzi, ma che contemporaneamente coinvolge anche chi, pur
frequentando la scuola, non ne è direttamente partecipe. Il tentativo è quello di dare a tutti
l’occasione di potersi esprimere in percorsi appunto alternativi per imparare, con l’obiettivo di
riconoscere potenzialità e limiti diversificati a seconda della predisposizione di ciascuno.
I laboratori con gli specialisti sono altrettante attività fatte spesso nel piccolo gruppo con finalità
educative e non certo riabilitative. Essi rappresentano delle esperienze di comunicazione non
consuete dove, nell’incontro con il compagno con disabilità, “i bambini portano delle parti di sé:
davanti alle difficoltà grandi di A., sono riusciti a tirar fuori problemi di relazione, ansie e angosce;
hanno potuto conoscere A. attraverso un lavoro sul suo corpo e sul suo cibo, dal quale è uscita
l’attenzione alla sua cura; lavorando sull’immedesimazione, erano concentrati sugli stimoli che A.
dava, che poi sono andati a definire le ipotesi dei bambini sull’inserimento drammaturgico di A.
nello spettacolo teatrale”. Questo uno dei percorsi portati avanti da Marina, animatrice teatrale,
all’interno della rassegna “Un Palcoscenico per i ragazzi”, dedicata appunto all’importanza
formativa delle arti nell’educazione. Le arti arricchiscono e permettono di far coesistere accanto ad
una pedagogia disciplinare e programmata, una pedagogia del vissuto che, partendo dal desiderio di
esprimersi e di apprendere degli alunni, riconcilia il discorso con l’azione, l’intelletto con l’affetto.
Le attività di teatro spaziano dalle spontanee drammatizzazioni, al teatro d’ombra, di burattini, fino
alla creazione di spettacoli con una drammaturgia prodotta dai bambini stessi. Scrive Gianna,
insegnante: “Tutti, chi più, chi meno, hanno contribuito alla costruzione dello spettacolo. Anche R.,
durante le improvvisazioni, ci ha inconsapevolmente suggerito tanti movimenti da inserire nello
spettacolo, lui che si muove in modo un po’ goffo perché ha imparato a camminare a tre anni, a
dispetto degli specialisti che pensavano che non avrebbe mai camminato. Tutti si sono presi cura di
R. aiutandolo ad entrare in scena quando era il momento; R., dal canto suo, è stato miracolosamente
in situazione per tutto il tempo dello spettacolo. Inutile sottolineare quanto questa esperienza sia
servita loro, più di tante lezioni e prediche, sia in termini di memorizzazione, che di collaborazione
e solidarietà.”
Numerosi sono, nel corso dell’anno, i momenti di “festa” che bambini, insegnanti ed educatori
preparano insieme, in base a una tematica scelta o ad un bisogno e che contattano anche gruppi ed
organizzazioni presenti sul territorio (CSE adulti, anziani…). Ormai sono diventate mete fisse che
rientrano nella programmazione collettiva e hanno lo scopo di far vivere insieme le scadenze
significative dell’esperienza personale e scolastica, di progettare insieme situazioni ludiche e/o
comunicative fortemente motivanti, di imparare a dedicare una parte del proprio tempo a progetti
e/o ad attività che vanno anche a beneficio di altri.
All’interno dei progetti e delle attività sono previsti ruoli diversificati che richiedono la
distribuzione dei carichi professionali tra i docenti, educatori comunali, esperti, operatori scolastici
e ausiliari specialmente nella gestione ed inclusione dei casi più gravi.
3.6.3 Le modalità di strutturazione della giornata scolastica
La scansione del tempo
La destrutturazione del contesto, intesa come modulazione flessibile di spazi e di tempi nell’arco
della giornata e della settimana, viene ricondotta ad alcuni momenti fondamentali per l’integrazione
del bambino con disabilità: l’accoglienza, l’intervallo di metà mattina, il pranzo, la pausa dopo la
mensa, il congedo. Ciascun alunno disabile vive insieme con i compagni questi momenti, durante i
quali prende parte attiva assumendo un ruolo che gli restituisce il significato di ciò che sta
accadendo. Tra questi, quello riservato all’accoglienza è stato particolarmente curato
quotidianamente nelle singole classi, attraverso proposte diversificate nei tempi e nelle modalità,
secondo le caratteristiche personali dei bambini/ragazzi disabili e del contesto educativo e didattico
all’interno del quale si è svolta l’azione. Il contenuto di queste esperienze viene sempre legato ad
una proposta didattica. Per esempio: si recita una filastrocca sul girasole in presenza dell’alunno
disabile, che nella mattinata verrà ripresa dalla classe per esercitarsi sull’ortografia o per condurre
un lavoro di scienze, mentre il bambino con disabilità farà un lavoro tattile con i semi del girasole,
che poi presenterà in un momento concordato alla classe. In pratica, l’alunno disabile esce dalla
classe con una sorta di “testimone” dell’attività della sua classe che gli servirà per tenere il
collegamento con la stessa, anche se ha bisogno di lavorare in altri spazi, con altri tempi, in diversi
modi. A questo proposito l’insegnante Cristina scrive: “uno degli aspetti che mi lasciva perplessa
era il momento dell’accoglienza, in quanto ho sempre ritenuto che la prima ora del mattino fosse
estremamente preziosa e proficua per l’attività didattica e l’idea di utilizzarla per svolgere attività
ludiche mi spaventava. Tuttavia mi sono ricreduta, poichè ho notato come realmente questo
momento sia importante per V., che viene a trovarsi come tutti gli altri bambini della classe in
un’attività socializzante e stimolante. Inoltre, come mi è stato suggerito da chi ha già avuto
esperienza dello Spazio Educativo, ho cercato, nei limiti del possibile, di collegare l’attività svolta
durante l’accoglienza all’attività didattica che poi avrei proposto, con l’intento di renderla ancora
più significativa.”
Nell’arco della settimana, la scansione dei tempi dello Spazio Educativo si articola intorno ad
alcune tipologie di attività, pensate per garantire momenti di lavoro diversificato: individuale, di
piccolo gruppo, lezione in classe, progetti speciali, laboratori, uscite sul territorio. La stesura dei
percorsi non si limita, quindi, alla semplificazione dei concetti o alla riduzione dei contenuti previsti
nel piano di studio ipotizzato per la classe di riferimento; bensì, comporta la dichiarazione di scelte
metodologiche diversificate mirate, flessibili e considerate valide per curare gli aspetti che
interessano la sfera relazionale e quella cognitiva della persona disabile. Un esempio della
strutturazione della settimana di uno dei bambini dello Spazio Educativo viene riportato in tabella.
4. Alla ricerca delle modalità di inclusione
Procedure e pratiche educative inclusive sono l’esito di un lungo e impegnativo percorso di
consapevolezza sui modi, le metodologie e gli strumenti attraverso cui gli interventi di inclusione
trovano espressione. Si tratta di riuscire a tirar fuori dalle molteplici esperienze sul campo quegli
spunti con i quali avviarsi alla ricerca di criteri condivisi rispetto al “fare esperienza della diversità
attraverso l’incontro diretto con persone disabili” (Palmieri, 2003, pag 7). In questo senso, le
modalità di accoglienza, di cura, di attenzione, di rispetto dei tempi, la ricerca di strumenti didattici
adeguati respirati quotidianamente dal gruppo dei pari possono, col tempo, generare non soltanto
riscontri positivi educativi e didattici, ma agire più in profondità, contribuendo a modificare la
visione non sempre positiva che si ha della disabilità, fino ad essere percepita come risorsa e non
come condizione limitante.
Accettando questa grande sfida, si rifletterà di seguito su tre filoni di possibile indagine sulle
modalità dell’inclusione, riportando alcuni degli esiti relativi all’esercizio delle stesse nel progetto
Spazio Educativo.
4.1 Quali strumenti e strategie concorrono ad architettare un intervento strategico di inclusione?
Nel progetto Spazio Educativo ogni classe ha un itinerario di integrazione specifico, studiato a
partire dai bisogni del compagno disabile e dal suo modo di imparare e di conoscere il mondo.
Proprio le modalità di apprendimento speciali vengono assunte come leitmotiv del disegno
didattico-educativo di tutti gli alunni della classe. Ecco alcuni esempi in merito.
1. Per R., alunno di classe terza della scuola primaria, è stato adottato un pacchetto di simboli
convenzionali chiamato P.C.S.,13 che gli consente di raggiungere due degli obiettivi primari
del P.E.I.: l’espressione dei bisogni primari e la socializzazione. R, dopo una lunga e
sistematica esposizione alle immagini simboliche, ha imparato a riconoscerle e a utilizzarle,
per migliorare sia la comprensione, sia la produzione dei messaggi, anche in assenza di
linguaggio verbale. Ciò ha permesso l’uscita di R. da una condizione di inaccessibilità alle
relazioni, a favore di una sempre più efficace interazione con adulti e compagni. Ma non
solo: l’uso della simbologia ha aperto alcune piste di lavoro anche per gli altri bambini della
classe. Essi hanno potuto non soltanto avvicinare un codice nuovo di espressione e
apprezzarne la significatività in ambito relazionale, ma questo ha facilitato anche qualche
attività prettamente didattica, come ad esempio l’analisi grammaticale. Infatti, le categorie
con cui il P.C.S. classifica le figure, si prestano perfettamente ad essere affiancate alle parti
della frase (soggetto, verbo, oggetti ecc…). Così, durante il momento dell’analisi, ciascuna
componente della frase la mamma va a casa viene supportata da un’immagine-simbolo del
P.C.S., in modo che non solo R. venga esposto a stimoli comprensibili, pur non facendo lo
stesso tipo di attività degli altri, ma per tutti i bambini la comprensione della classificazione
grammaticale sia maggiormente accessibile.
2. L’itinerario di integrazione individuato per i bambini con compromissione importante della
vista, riguarda l’esercizio della percezione e della comunicazione attraverso tutti i sensi, in
particolare la sensorialità tattile.14 Infatti, in modo piuttosto ampio e organizzato, si è dato
spazio ad esporre i bambini delle classi di R., A.,V. e M. a contenuti espressi in forma tattile
e ad approntare anche elaborati con la stessa modalità. Si è spiegato alle classi che ciò
facilita non solo la comprensione dei compagni con disabilità, ma può essere un valido aiuto
13
P.C.S., ovvero Picture Communication Symbols di Roxana, Johnson, ed. italiana elaborata da GISCAA.
Supposto che la comunicazione iniziale tra bambino e adulto si esprime attraverso il contatto corporeo (holding), dal
quale ha origine il suo rapporto emozionale con il mondo, la vicinanza fisica e il contatto sono fondamentali per un
lavoro soddisfacente con bambini e adulti, la cui capacità di comunicazione non è andata oltre lo stadio iniziale.
14
per qualunque forma di comunicazione. I bambini hanno così sperimentato l’efficacia di un
doppio canale sensoriale nella loro stessa esperienza di apprendimento, oltre che
relativamente alla maggiore capacità di istaurare una significativa relazione con gli amici in
situazione di disabilità.
3. Un altro esempio di itinerario di integrazione può essere quello che ha come leitmotiv
l’incontro, l’espressione e la gestione delle emozioni. per R., F. e F. l’ingresso alla scuola
elementare comporta una fatica importante nel dover mettere in discussione il piano dei
vissuti emotivi e la connessa gestione dei comportamenti-problema. La natura delle
difficoltà deve essere fatta risalire al deficit di accesso al codice delle emozioni e ai
comportamenti sociali, che spesso si riscontra nei bambini con disabilità complessa. Perciò
si è pensato che una costante e intenzionale mediazione degli adulti di riferimento fosse da
dedicare alla decodifica degli stati emotivi e al loro riconoscimento, anche attraverso attività
strutturate e materiale didattico adatto. La classe, partecipando attivamente a questi
momenti, ha potuto godere di un contesto qualitativamente predisposto a raccogliere anche
le richieste di tutti i bambini, in particolare di chi si mostra bisognoso di essere sorretto da
una mediazione sostenuta sul piano emotivo-relazionale.
Altre strategie, che si sono rivelate fondanti l’agire pratico quotidiano, vengono proposte di seguito;
interessante chiedersi se, forse, possano essere assunte anche come indicatori della qualità
dell’inclusione nella fase di valutazione dei progetti scolastici di integrazione. Come alcuni studiosi
suggeriscono, si possono scegliere alcuni indicatori di qualità rapportati al contesto stesso di
riferimento, non certo “acontestuali, astratti, assoluti o con pretesa di essere tali” (Canevaro, 2006,
pag. 137). Nella logica che “il sapere dell’esperienza educativa è un sapere che si costruisce con
l’esperienza” (Mortari, 2003, pag. 12), sembra utile elencare le scelte fattibili, le pratiche di
connessione, gli snodi critici, come se si costruisse un piano di regia intorno ad alcuni aspetti
fondamentali, in cui si evidenzia il livello di partecipazione alla stessa costruzione dei vari attori
coinvolti.
ASPETTI ORGANIZZATIVI DEL CONTESTO
a.
b.
c.
d.
e.
Scelta, configurazione, connessione degli spazi.
Progettazione dei tempi.
Dare senso e valore agli oggetti e agli elementi simbolici presenti.
Evoluzione dei linguaggi utilizzati e regole di comunicazione.
Costituzione di ritualità come modalità mediate per affrontare esperienze complesse, sia per
i significati sottesi, sia per il livello di affettività implicata, sia per il valore sociale.
f. Attenzione e caratterizzazione dei diversi ruoli coinvolti.
ASPETTI DI METODO DI LAVORO
a. Lavoro d’équipe tra insegnanti, educatori e altri operatori.
b. Coordinamento e supervisione del progetto da parte di un operatore con competenze
psicopedagogiche.
c. Generalizzazione della differenziazione del percorso formativo a tutti gli alunni, non
esclusivamente al bambino diversamente abile.
d. Connessione tra la programmazione di classe con quella individualizzata.
e. Lavoro interdisciplinare.
f. Utilizzo dei contenuti per progettare interventi con modalità adeguate alle caratteristiche,
alle potenzialità e ai limiti di ciascuno.
g. Il filo conduttore delle proposte è il contenuto, mentre le modalità si scelgono di volta in
volta.
h. Restituzione sistematica alla classe dei lavori fatti fuori dalla stessa.
i.
j.
k.
l.
m.
n.
o.
p.
I laboratori (musica, psicomotricità, teatro, espressivi e manuali) si pensano partendo dai
bisogni della classe; sono poi realizzati nel merito delle abilità e potenzialità di ciascuno.
Così vengono incoraggiate le competenze più diverse, che poi ciascun bambino potrà
sostanziare con il proprio apporto personale.
Predisposizione di strumenti come schede di osservazione, appunti, videoregistrazioni,
documentazione, da utilizzare in itinere.
Seguire “andature agevoli” procedendo con scansioni opportune, sostando, accelerando e
avanzando nel rispetto dei ritmi di sviluppo dei bambini e accogliendo ogni piccolo
significativo.
Preparare i coetanei all’incontro con il bambino con disabilità.
Lavorare sulla consapevolezza sulle diverse modalità di approccio allo stesso tipo compito e
delle diverse finalità per cui si utilizza.
Organizzazione delle lezioni e della programmazione didattico-educativa in modo flessibile
ma sistematico.
Possibilità di scambiarsi dei docenti nella conduzione delle lezioni.
Modalità flessibili di organizzazione della lezione (es.: lavoro in piccolo gruppo, modalità
orale, proseguire nelle attività appositamente pensate per l’integrazione anche in assenza del
compagno disabile…).
ASPETTI DI RELAZIONE
a. Attribuire importanza al lavoro sulle competenze sociali e personali (es.: autocontrollo,
ascolto, affettività, strategie di relazione…), esplicitandolo sia ai ragazzi della classe e della
scuola che ai genitori.
b. Considerare ed esplicitare a ragazzi e genitori la ricaduta delle modalità con cui si attua il
progetto sulle competenze cognitive (es.: attenzione, concentrazione, capacità di
osservazione, problem-solving, linguaggio…).
c. Gli obiettivi individualizzati per il bambino disabile si presentano ai compagni.
d. Coinvolgere gli allievi della classe nella riflessione sul significato della propria esperienza in
un progetto di inclusione e di quella relativa ai compagni diversamente abili.
e. Parlare dei compagni con diversa abilità, delle loro caratteristiche, potenzialità e limiti.
f. Chiedere ai ragazzi della classe dei suggerimenti pratici in merito alla
relazione/comunicazione con i compagni con diversa abilità e la decodifica dei loro
comportamenti.
g. Affidare ai bambini/ragazzi incarichi e responsabilità, aventi lo scopo di migliorare il grado
di autonomia personale e quello di autostima nel gruppo, attingendo al mutuo aiuto e alla
disponibilità di alcuni in particolare ad assumere il ruolo di tutor (cooperative learning).
h. Riflettere sul modo di rapportarsi di ciascun adulto con la diversa abilità, anche in relazione
al ruolo e alla professionalità che ciascuno riveste (es.: che cosa posso fare io, in quanto
insegnante di lettere, per questo ragazzo diversamente abile?).
i. Sostegno alle famiglie.
j. Collegamento con operatori extra-scolastici.
k. Seguire un itinerario che va dalla conoscenza alla cura: partendo dagli stimoli degli stessi
bambini con disabilità, coinvolgere gli altri nell’attenzione quotidiana. Scrivono le
insegnanti di A.: “I bambini hanno dimostrato molta spontaneità nel muovere A. dietro le
quinte e sul palco durante la scena in cui era coinvolta: sono stati particolarmente attenti alla
sua cura. Infatti si sono accorti da soli che un piede di A. era scivolato dalla carrozzina e con
molta naturalezza e delicatezza glielo hanno sistemato”.
ASPETTI RELATIVI ALL’INDIVIDUO
a. Progetto unitario in considerazione dell’unitarietà del soggetto: non frammentare, né
settorializzare, invece differenziare e individualizzare.
b. Valutazione dei progressi specifici sugli obiettivi definiti dal P.E.I.
c. Fare dell’aspetto valutativo un momento di riflessione comune sulle potenzialità e difficoltà
del compagno con disabilità.
d. Proporre attività gratificanti, che garantiscano il successo dell’alunno diversamente abile.
e. Dare significato al tempo che l’allievo disabile trascorre in classe.
f. Attribuire, coinvolgendolo lui e i compagni, un ruolo al bambino diversamente abile nelle
diverse situazioni della vita scolastica.
4.2 Se, come e su quali aspetti le risorse attivate ricadono non soltanto sui percorsi di vita dei
bambini con disabilità, ma diventano patrimonio spendibile del contesto stesso.
La vicinanza degli alunni disabili con i compagni contribuisce, soprattutto in alcuni casi e per certe
disabilità in particolare, al miglioramento delle competenze, allo sviluppo di abilità e alla
valorizzazione della dimensione sociale/amicale. La progressione degli apprendimenti,
l’acquisizione e il miglioramento delle autonomie, seppur minime per alcuni, le possibilità di star
bene con gli altri nei momenti strutturati all’interno della giornata scolastica sono evidenti negli
alunni con disabilità, ma anche negli altri. Il valore aggiunto del progetto Spazio Educativo è che
esso si rivela sorprendentemente funzionale al potenziamento di competenze relazionali e cognitive
di tutti gli alunni coinvolti: bambini/ragazzi che vivono il privilegio della presenza di un compagno
disabile sanno cogliere il senso di tutti i gesti compiuti dagli adulti e attivano di conseguenza
comportamenti altrettanto significativi di avvicinamento all’altro e di immedesimazione per sentirsi
e percepirsi con maggiore consapevolezza, responsabilità e senso di appartenenza al gruppo.
Il senso della mediazione di adulti e bambini.
“Ho cominciato a capirti meglio quando abbiamo iniziato il laboratorio con Marina, perché lei ci
spiegava come trattarti e come imparare delle cose da te.”
“All’inizio avevo un po’ di timore nei tuoi confronti, perché pensavo che potevo farti male o che
quello che facevo non ti piaceva”… “Avevo paura di accarezzarti e stare con te perché credevo di
diventare anch’io come te… poi però, con i miei amici che ti avevano già conosciuto all’asilo, sono
riuscito a stare con te…”
“Ovviamente troverai anche alcuni di noi che spiegheranno ai prof. e ai compagni il tuo modo di
essere felice e loro impareranno subito, vedrai!”
Realizzare percorsi di apprendimento, incoraggiando l’uso e lo sviluppo di competenze emotive,
relazionali e cognitive.
“Tu mi hai insegnato che non hai una vita facile, non è detta l’ultima parola, tu hai combattuto e sei
riuscita a fare molte cose importanti.”
“Tu ci hai fatto imparare a prenderci cura degli altri…”
“Io, in questi cinque anni che ho passato con te ho scoperto che ho imparato cose nuove, come
comunicare con te a modo tuo…”
“Quando sono stato sulla carrozzina ho capito come stavi: molto male. Mentre tutti giocavano, tu
dovevi guardarli e a volte rimanevi sola”.
Lavorare sulla consapevolezza dei bambini rispetto al significato dell’integrazione, facendo il più
possibile ricadere sulla classe anche le attività svolte in contesto diverso da quello disciplinare.
15
Queste frasi sono tratte da alcune lettere scritte dagli alunni di due classi e indirizzate ai compagni con disabilità.
In questi 5 anni ho imparato a utilizzare anche materiali diversi, quelli tattili, quindi devo solo
ringraziarti…”
“Io con te ho imparato a stare con tutti e a fare cose nuove.” “Se nella nostra classe non c’eri, noi
non avremmo fatto tutte quelle attività con te che mi sono piaciute molto.”
“In tutti i 5 anni R. con Tecla ha fatto dei libri tattili molto belli e quando ce li faceva vedere
raccontava pezzi di storia ed era molto bravo. Quest’anno fa molti lavori a computer che sono molto
divertenti con tutti i disegni molto belli, quando li porta in classe penso - Evviva, una nuova storia
di R. - ”.
Far emergere alcune consapevolezze sulla tematica della disabilità
“R. mi ha aiutato a crescere, non di altezza né di peso ma di carattere e di cuore.”
“A me tutte queste esperienze hanno aiutato a capire che, anche se un bambino è disabile, è sempre
una persona e puoi stare con lui per fare cose divertenti, come chiacchierare e fare esperienze
belle.”
“In questi 5 anni ho imparato che tutti gli uomini e tutte le donne disabili non devono essere lasciati
in disparte, anche se sono diversi da noi fisicamente, perché hanno un cervello e un cuore come noi
e sono tristi se li lasciamo soli.”
4.3 Come i percorsi di integrazione della disabilità contribuiscono a sostenere la consapevolezza di
docenti e genitori sui vissuti, sul proprio operato e sapere pedagogico?
Un quesito che indica una pista di ricerca tutta da definire: come i percorsi di integrazione della
disabilità contribuiscono a sostenere la consapevolezza di docenti e genitori sui vissuti, sul proprio
operato e sapere pedagogico. Su questo argomento sarebbe interessante aprire un franco e sereno
dibattito su esperienze e opinioni di ogni genere, che possano far luce sopra un punto affatto
secondario della formazione psicopedagogia di docenti ed educatori. Come la ricaduta
dell’inclusione possa incidere sulla professionalità, sulla riflessione pedagogica e quindi sulle scelte
concrete nell’operato di ciascuno degli adulti, che affiancano il bambino disabile in età evolutiva, è
infatti un campo poco esplorato, ma ricco di motivi di grande interesse pedagogico ed
epistemologico. Quindi, da parte del personale che opera o che si prepara a lavorare nella scuola
secondo livelli di competenza e ruoli specifici, riservare spazi alla riflessione critica sul senso e la
direzione dei cambiamenti possibili nel modo personale di svolgere il proprio mestiere diviene
azione prioritaria. Essa potrebbe non soltanto favorire il superamento delle paure, dei pregiudizi e
delle diffidenze, ma anche portare ulteriori modificazioni nell’operare quotidiano, dettate da una
sempre crescente consapevolezza del proprio ruolo, degli strumenti, delle strategie di volta in volta
adottate.
Accogliendo la sfida che la diversità pone, alcuni docenti e operatori hanno saputo rilevare in che
modo e in che cosa l’esperienza dello Spazio Educativo ha arricchito o comunque trasformato le
competenze specifiche della propria parte che, tornando alla metafora teatrale, li vede attori sulla
scena dell’inclusione. Si riportano dunque di seguito alcuni dei loro pensieri, nella speranza che
possano servire come spunti di analisi e di ulteriore indagine.
Carla, insegnante di classe scrive: “La mia professionalità si è sicuramente potenziata, dopo cinque
anni di esperienza di Spazio Educativo. Ho ricevuto competenze specifiche sui bambini disabili
gravi, nate dal rapporto diretto e dal confronto con le colleghe, gli specialisti e i genitori. I confronti
sono avvenuti a più livelli: da quello quotidiano, dell’osservazione diretta, più emotivo e concreto, a
quello più concettuale degli incontri collegiali periodici. Mi hanno formato e quindi migliorato le
osservazioni sistematiche del bambino, del clima di classe, delle relazioni interpersonali tra i
bambini e con gli adulti, perché mi hanno aiutato a riflettere e a confrontarmi su ciò che stavamo
costruendo insieme. Attraverso questa esperienza ho acquisito maggior consapevolezza della
valenza formativa dell’integrazione dei bambini disabili, dei loro diritti, del percorso educativo
necessario alla loro crescita, dell’importanza di armonizzare le diversità all’interno di un gruppo. Il
rapporto instaurato con il bambino disabile ha portato a potenziare la relazione educativa con tutti:
ho aumentato l’attenzione ai bambini difficili, ho dato ancor più importanza data all’area emotivo –
affettiva, alle relazioni dentro il gruppo classe. Spesso ho dovuto rivedere il mio ruolo
professionale: davanti alle difficoltà mi sono sentita sempre un’esploratrice, una viaggiatrice, con
una meta non ben definita, con tante domande alle quali non era sempre possibile rispondere con
certezze. Questa situazione a volte mi ha messo in crisi e mi creato ansie. Poco alla volta ho
imparato a gestire l’incertezza, ad assumere un atteggiamento più flessibile e fiducioso, ad accettare
maggiormente i miei limiti e quelli del contesto, a saper aspettare, rispettando i differenti ritmi, a
rinunciare al mio punto di vista a favore del dialogo e della reciprocità. Col tempo, nel gruppo di
lavoro si è creata una condivisione di aspettative, proposte, pratiche, strategie, significati, idee,
volontà, responsabilità; si è delineata e seguita una direzione comune che è diventata un percorso
formativo e professionale. Nel gruppo sono diventati prioritari il processo comunicativo, la
collaborazione, la motivazione, il coinvolgimento affettivo ed emotivo, l’attenzione a ciò che stava
succedendo. Sento di aver acquisito molte capacità professionali, di aver assunto un positivo
atteggiamento di ricerca, di aver ampliato la mia riflessione sul processo educativo e di
apprendimento e di averne meglio compreso il senso.”
Scrive Gianna, insegnante di classe: “Questa esperienza ha inciso in molti modi nella mia
professionalità, ha cambiato la prospettiva: nelle esperienze precedenti semplificavo, adeguavo il
lavoro programmato per tutti alle necessità del bambino con disabilità, ora parto da R. e dal lavoro
programmato per lui e cerco il modo, per quanto possibile, di integrarlo in quello degli altri.
Soprattutto, mi ha arricchito molto osservare come i compagni sanno interpretare le
“comunicazioni” di R. e con quale facilità alcuni si sanno prendere cura di lui: spesso sono stati
proprio loro, con la loro semplicità, a fornirmi la soluzione alle cose che non capisco. Con R. mi
sono dovuta “spogliare” del ruolo di “maestra” e inventarmene altri che cambiano in base alla
situazione: è lui a condurre il gioco, a dettare le regole. Ogni sua conquista è una vittoria sua, di
tutta l’équipe, dei suoi compagni che si sforzano di trattarlo.”
L’insegnante Milena scrive: “Nella mia precedente esperienza, a parte il lunedì mattina, quando si
lasciava spazio ai bambini di raccontare l’esperienza del fine settimana, le prime ore venivano
considerate preziose e pertanto dedicate all’insegnamento-apprendimento di discipline come
l’italiano e la matematica. Nella logica dell’accoglienza, invece, vengono sfruttati gli impulsi della
musica, dell’educazione motoria o dell’arte per stimolare l’attenzione anche dei bambini più fragili
o con particolari difficoltà di apprendimento. Devo dire che inizialmente questa prospettiva mi
spaventava un po’, temendo di non avere sufficientemente tempo per svolgere le altre discipline.
Devo dire invece che i bambini, dopo l’iniziale attività piuttosto animata, sono anche più disponibili
a stare seduti nei banchi e a prestare attenzione a lezioni più teoriche e ciò permette anche una più
rapida conoscenza e integrazione tra tutti. I momenti di accoglienza sono stati pensati sulla base
delle abilità e interessi della bambina diversamente abile, (canzoni animate, giochi di parole con le
rime, filastrocche, recita in gruppo di una poesia, ascolto di storie e conversazioni…), ma sono
diventati in realtà un trampolino di lancio per andare incontro anche alle difficoltà degli alunni.
Sicuramente questa esperienza ha modificato la mia professionalità, rendendomi più duttile ad un
continuo cambiamento e adattamento della programmazione, per farla corrispondere meglio alla
realtà della classe.”
Conclusioni
Parafrasando due autorevoli voci in questo ambito (Stainback, Stainback, 1993, pag. 84),16 tutte le
farfalline senza distinzione devono essere integrate nel grande fiore di tutti, perché tendono ad
16
“Gli alunni senza distinzione devono essere integrati nelle scuole normali perché tendono ad imparare di più ed
acquisiscono maggiori abilità relazionali e sociali”.
imparare di più e acquisiscono maggiori abilità relazionali e sociali. Alcuni studi hanno provato
(Ianes, 2005) che la scuola integrata permette il consolidamento di amicizie e l’acquisizione di
valori sociali e civili. I ragazzi che lavorano insieme si aiutano a vicenda, si abituano alle differenze
ed alle somiglianze sulla base delle potenzialità e delle risorse di ognuno; più precocemente questo
modello si attua, maggiori saranno le possibilità che permanga da adulti.
Questo lavoro vuol essere solo un esempio di applicazione di quei principi, a dimostrazione del
fatto che comunque è possibile realizzarli concretamente. Ci si augura possa essere di utilizzato,
anche solo in qualcuna delle sue parti, a chi si appresta ad affrontare situazioni simili, affinché le
buone prassi di integrazione tanto agognate diventino sistematici progetti di inclusione a favore di
tutti i cittadini. Con un unico rammarico, però, coi tempi che corrono: quello di dover sempre di più
contare sulla sapienza, la disponibilità e la buona volontà di chi accetta queste sfide, invece di
poterle includere in un reale e fattibile mandato istituzionale.
Lasciamoci ancora una volta guidare dai bambini: una di loro scrive: “Avere in classe un bambino
con disabilità è difficile: devi fare molti sacrifici, rinunciando a giocare con l’amico del cuore,
saltando intervalli ecc… Naturalmente, ci sono anche i lati positivi: puoi andare in piscina, a
musicoterapia, a psicomotricità, fare teatro…Questa esperienza mi ha fatto imparare che vale la
pena dedicare del tempo ai bambini che vengono esclusi e che non bisogna lasciare da parte
nessuno.”
Bibliografia
Canevaro (2006), Le logiche del confine e del sentiero, Edizioni Erickson.
Feuerstein F, Y. Rand, J. E. Rynders, (1984), Non accettarmi come sono, Sansoni Editore.
Garbo R. (2005), Nuove forme di integrazione, ed. junior.
Ianes D. (2005), Gli alunni con bisogni educativi speciali: bisogni e risorse per l’inclusione,
Edizioni Erickson.
Istituto dei Ciechi di Milano (2003), Insieme nella scuola.
Johnson D.W., Johnson R.T., Holubec E.J., (1996), Apprendimento cooperativo in classe, Edizioni
Erickson.
Laniado N. (2003), Come insegnare l’intelligenza ai vostri bambini, edizioni Red.
Mortari L. (2003), Apprendere dall’esperienza, Carocci.
Palmieri C. (2003), La cura educativa, Franco Angeli.
Stainback e S. Stainback (1993), La gestione avanzata dell’integrazione scolastica, Edizioni
Erickson.