M9 A New Museum for a New City Concorso Internazionale di

Transcript

M9 A New Museum for a New City Concorso Internazionale di
M9
A New Museum
for a New City
Concorso Internazionale
di Architettura
International
Architectural Competition
Massimo Carmassi
David Chipperfield
Pierre-Louis Faloci
Luis Mansilla/Emilio Tuñón
Matthias Sauerbruch/Louisa Hutton
Eduardo Souto de Moura
Giuliano Segre
Presidente
President
Plinio Danieli
Presidente
President
Consiglio di Amministrazione
Board of Governors
Consiglio di Amministrazione
Board of Governors
Gianpaolo Fortunati
Vicepresidente
Vice President
Pierpaolo Cagnin
Fabio Cerchiai
Marino Folin
Guido Guerzoni
Lorenza Pandiani
Marco Cappelletto
Fabio Cerchiai
Marino Folin
Ignazio Musu
Consiglio Generale
General Council
Cesare Mirabelli
Vicepresidente
Vice President
Giorgio Baldo
Franco Bassanini
Mariano Beltrame
Vasco Boatto
Francesca Bortolotto Possati
Carlo Carraro
Anna Laura Geschmay Mevorach
Mario Geymonat
Gianni Mion
Giorgio Piazza
Amerigo Restucci
Franco Reviglio
Gianni Toniolo
Collegio dei Revisori
Audit Committee
Fabio Cadel
Presidente
President
Giampietro Brunello
Franco Fontana
In collaborazione con
In collaboration with
Team di progetto
Project Team
Guido Guerzoni
Project Manager
Fabio Achilli
Vicedirettore Fondazione di Venezia
Vice Director
Antonio Rigon
Direttore Polymnia Venezia
Director
Elisa Bramati
Silvia Carraro
Annalisa Ferrario
Giulia Francescon
Daniela Martinello
Silvia Pellizzeri
Marco Zavagno
Concorso competition
mostra Exhibition
Commissione Tecnica
Technical Commission
M9 / A New Museum for a New City
Concorso Internazionale di Architettura
The International Architectural Competition
Francesco Dal Co
Coordinatore
Coordinator
Plinio Danieli
Marino Folin
Carlo Magnani
Giuria
Jury
Giuliano Segre
Presidente
President
Membri effettivi
Members of the Jury
Cesare Annibaldi
Roberto Cecchi
Plinio Danieli
Marino Folin
Carlo Magnani
Giorgio Orsoni
Membri supplenti
Substitute members
Fabio Achilli
Guido Guerzoni
Consulente scientifico
Scientific advisor
Francesco Dal Co
Consulente tecnico
Technical advisor
Favero&Milan Ingegneria
Hanno collaborato al progetto
Project participants
Rilievi
Surveys
Università IUAV di Venezia
Sistema dei Laboratori
CIRCE, Laboratorio di fotogrammetria
Bando e documentazione di concorso
Competition rules and documentation
Università IUAV di Venezia
Sistema dei Laboratori
Laboratorio LAR
Favero&Milan Ingegneria
Fotografie
Photos
ORCH/orsenigo_chemollo
Assistenza legale
Legal assistance
Studio Legale Biagini
In collaborazione con
In collaboration with
Comune di Venezia
Regione del Veneto
Direzione regionale per i Beni culturali
e paesaggistici del Veneto
Soprintendenza per i Beni architettonici
e paesaggistici di Venezia e Laguna
Massimo Carmassi
David Chipperfield
Pierre-Louis Faloci
Luis Mansilla / Emilio Tuñón
Matthias Sauerbruch / Louisa Hutton
Eduardo Souto de Moura
Mostra ideata e promossa da
Exhibition created and promoted by
Fondazione di Venezia
A cura di
Curated by
Francesco Dal Co
per la sezione architettura
for the section on architecture
Fabio Achilli e Guido Guerzoni
per le rimanenti sezioni
for the remaining sections
Coordinamento generale
General coordination
Fabio Achilli
Annalisa Ferrario
Silvia Pellizzeri
Coordinamento organizzativo/amministrativo
Organisational/administrative coordination
Polymnia Venezia
Antonio Rigon
Silvia Carraro
Progetto espositivo e direzione dei lavori
Exhibition conception and management
MAP Studio
Francesco Magnani e Traudy Pelzel
Architetti Associati
Allestimento
Preparation
Michele Tosetto s.r.l.
Progetto grafico e immagine coordinata
Graphic design
Studio Camuffo
Andrea Codolo
Ricerca iconografica e video
Picture research
Giuliano Sergio
Elisa Bramati
Giulia Francescon
Marco Zavagno
Servizi tecnici
Technical services
Civita Tre Venezie
Favero&Milan Ingegneria
Nesting
Sponsor tecnico trasporti
Technical sponsor transport
Ufficio Stampa
Press Office
Ad Hoc Communication Advisors
Valeria Alemà Regazzoni
Pietro Cavalletti
Comunicazione e sito internet
Communication
Ogilvy Italia
In collaborazione con
In collaboration with
Comune di Venezia
Regione del Veneto
Si ringrazia
Thanks go to
Andrea Adami, Emanuela Bassetti,
Francesca Bertuzzo, Alfredo Biagini,
Malvina Borgherini, Giulia Bortolotto,
Giovanna Burrascano, Massimiliano Cadamuro,
Giorgio Camuffo, Silvia Carrer,
Michele Casarin, Roberto Casarin,
Roberto Cecchi, Alessandra Chemollo,
Renata Codello, Giusy Conti, Matteo De Fina,
Giuseppe De Rita, Guerino Delfino,
Alvise di Canossa, Giovanni Esposito,
Giovanna Fanello, Sandro Favero,
Carlo Ferro, Umberto Ferro, Marino Folin,
Emanuele Garbin, Francesca Gennari,
Monica Giannini, Andrea Giuman,
Oscar Girotto, Marco Gnesutta,
Costantino Grego, Francesco Guerra,
Paolo Iabichino, Giampaolo Lenarduzzi,
Silvia Mander, Benedetta Marazzi,
Sara Marini, Vittorio Milan,
Demos Nicola, Fulvio Orsenigo,
Giorgio Orsoni, Nando Pagnoncelli,
Nicola Pegolo, Mario Pellegatta,
Nicola Pellicani, Claudio Perin,
Micol Pillon, Franca Pittaluga,
Luca Pilot, Brando Posocco, Elena Rosa,
Stefano Rossi, Giovanni Battista Rudatis,
Marisa Scarso, Matteo Sirinati,
Ugo Soragni, Stefania Stara, Mario Tassoni,
Marina Tosetto, Michele Tosetto,
Paolo Venier, Gianluca Vianello, Federico Zaggia,
Luca Zaia, Marco Zanetti, Michele Zanolli.
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Se c’è un limite evidente del nostro sistema museale è quello di essere lontano dai luoghi
nei quali si trova. Può apparire un paradosso, ma è facile verificare che alcuni musei, anche molto importanti, quasi si ritraggono dal contesto in cui si trovano, altri si rendono
disponibili solo a tratti, altri ancora è proprio un problema poterli vedere. E comunque,
non è mai dato percepire una strategia che metta queste realtà in relazione tra di loro e
loro con la città.
E questo accade nonostante quella mirabile riflessione di André Chastel secondo cui è
proprio il rapporto tra collezione, edificio e città a essere la cifra del nostro patrimonio
culturale, “il pullulare straordinario delle opere antiche d’ogni luogo e d’ogni tempo, rattiene, irrita e talvolta scoraggia la nostra sensibilità; l’esaltazione dell’oggetto, dell’opera in
sé, al di fuori del contesto originario è la conseguenza inevitabile di questa formidabile evoluzione. Che siano nel vostro studiolo o in museo, questi oggetti erratici sono testimoni che
non basta designare, che vogliono essere interrogati. Abbiamo creato dei talismani preziosi
per mantenerci svegli, ma con il rischio che un’accumulazione monotona ne annulli a poco
a poco la virtù”. In Italia “tutto ciò è diverso, quando, grazie a una sorta d’incastro esemplare, la collezione s’iscrive nell’edificio che la città riveste, e queste tre forme di museo
si rispondono mutuamente. Tale situazione è ancora situazione caratteristica dell’Italia”.
Questo rapporto c’è perché quei documenti materiali del passato son lì, sono parte della
nostra identità, ma abbiamo rinunciato a pensare in modo strutturato la loro presenza nel
nostro futuro. Ci limitiamo a pensarli come una realtà discreta che si fa evidente solo in
casi particolari, con eventi di una qualche rilevanza, per poi tornare in una sorta di torpore.
Questo progetto museale M9 a Mestre, invece, si propone programmaticamente come
punto di coagulo per la città, in un luogo molto particolare della regione del Veneto. Un
luogo che è stato ed è frutto di importanti trasformazioni, accanto a un’ingombrante eccellenza della memoria come Venezia.
Difficile dire che cosa sarà questo luogo dopo l’avvio del progetto. La novità non sarà la
presenza di grandi opere d’arte, ma una riflessione sulla memoria che parte dalle cose, da
quelle di tutti i giorni, perché come osserva Plinio ogni cosa in questo teatro del mondo
è degna di memoria.
C’è una sfida alle porte di Venezia che si chiama “Museo del ’900”. La sfida non è solo
quella di creare uno spazio che superi i confini regionali e diventi patrimonio culturale
nazionale. È anche quella di rigenerare, nel cuore della città di Mestre, un’area fortemente identificata contribuendo, grazie a questo innovativo intervento, allo sviluppo
economico e sociale del territorio. Allo stesso tempo sarà salvaguardato il rapporto storico e identitario di una comunità con le proprie peculiarità architettoniche e la propria
memoria culturale.
La Regione del Veneto è accanto alla Fondazione di Venezia nella realizzazione di questo
museo, la cui concezione non ha pari in Italia. Esso è concepito per diventare sia un modello di comunicazione culturale (non solo spazi espositivi polifunzionali, ma anche una
mediateca-archivio del Novecento e un auditorium) sia un luogo di ritrovo sociale e di
sviluppo economico grazie all’insediamento di attività commerciali di qualità.
Proprio per raggiungere questi obiettivi, è stato sottoscritto di recente un Accordo di
Programma a cui hanno aderito anche il Comune di Venezia, la Direzione Regionale per
i Beni culturali e paesaggistici del Veneto e la Soprintendenza per i Beni architettonici e
paesaggistici di Venezia e Laguna. Grazie all’iniziativa del privato, gli enti pubblici parteciperanno quindi a un’operazione che porterà alla costruzione nel centro di Mestre di
una vera e propria cittadella della cultura, che fungerà da volano per la crescita – di respiro internazionale – di questa realtà urbana collocata tra Venezia e il resto del Veneto.
Sono stati a questo scopo coinvolti esperti dell’architettura, chiamati a partecipare per
concorso, con le loro idee innovative, agli interventi sul nuovo complesso museale. Si
tratta di sei tra i maggiori studi di architettura del mondo, specializzati non solo nella
progettazione museografica, ma anche nel restauro architettonico e nella integrazione
tra edifici storici e nuovi interventi costruttivi.
L’esposizione, pensata come evento collaterale della 12° Biennale di Architettura, conferma la volontà di dialogare sullo scenario internazionale, e servirà a presentare – come
modello del fare squadra tra istituzioni pubbliche e private – un progetto che racconta
la determinazione di questa città a presentarsi quale polo culturale dell’area metropolitana veneziana.
If there is an evident limit of our museum system it is that of being distant from the places in which it is found. It can appear paradoxical, but it isn’t difficult to note that some
museums, even some of the most important, find themselves withdrawing from the context in which they are in, whilst others make themselves available in some aspects, and
yet others are almost impossible to see. It is unusual to perceive a strategy which places
this reality in relation amongst them and them with the city.
It is this which happens in the excellent reflections of André Chastel where it is exactly
the relationship between collections, building and city which is the value of our cultural
heritage, “the extraordinary springing up of ancient works from everyplace and every period, irritates and even discourages our feelings; the exaltation of the object, of the work
itself, outside its original context is the inevitable consequence of this extraordinary evolution. Whether in your study or in a museum, these erratic objects are witness to the fact that
it is not enough to designate; they wish to be interrogated. We have created precious talismans to keep us awake, but with the risk that a monotonous accumulation of them annuls
their value”. In Italy “everything that is diverse, when, thanks to a type of exemplary joint,
the collection enters into the building which the city has, and these three forms of museum
mutely respond. This situation is still that found today in Italy”.
This report exists because those material documents of the past are there, they are part
of our identity, but we have renounced thinking in a structured way of their presence in
our future. We limit ourselves to think of them as a discreet reality which becomes evident only in particular cases, with events of importance, then return in a sort of stupor.
The M9 Mestre museum project, instead, presents itself programmatically as a meeting
point for the city, in a singular place within the Veneto region. A place which was and still
is the product of important transformations, next to an enormous greatness of memory
such as Venice.
It is difficult to say what this place will be after the start of the project. The innovation
won’t be the presence of great works of art, but a reflection on memory which starts from
things, from those of every day, because as Pliny observes everything in this theatre that
is the world deserves memory.
A challenge called the “Museum of the 20th Century” exists just outside Venice. The
challenge lies not only in creating a space that extends beyond regional boundaries to
become a national cultural heritage but also in regenerating an area with a strong identity right in the heart of Mestre and, with this innovative step, contribute to local economic and social development. At the same time, it must safeguard the historical and
identity relationship of a community that has its own distinctive architecture and cultural memory.
The Regione del Veneto stands alongside the Fondazione di Venezia in the creation of
this museum, the concept of which is unmatched in Italy. It is designed to become both
a model of cultural communication (not just mixed-use exhibition spaces but also a mediatheque-archive of the 20th century and an auditorium) and a social rendezvous and
place of economic development thanks to its quality retail provision.
It was to achieve these very aims that a programme agreement was recently also signed
by the Comune di Venezia, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del
Veneto and the Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna. Private initiative is drawing public bodies into a project for the construction of a
bastion of culture in the centre of Mestre. This will serve as a driving force for the growth
– on an international scale – of this city set between Venice and the rest of Veneto.
Expert architects were asked to produce innovative ideas for a competition for a new
museum complex. They are six of the world’s leading architectural practices, specialised
not only in museum design but also in architectural restoration and in combining historical buildings and new builds.
The exhibition is a fringe event of the 12th Architecture Biennale and confirms the desire
for international exchange. A model of teamwork between public and private bodies, it
presents a project that shows the city’s determination to stand as a cultural pole of the
Venetian metropolitan area.
Roberto Cecchi
Segretario Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Secretary-general of Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Luca Zaia
Presidente della Regione del Veneto
President - Regione del Veneto
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Mestre ha compiuto in questi ultimi anni un notevole passo in avanti. Da città segnata da
una cattiva urbanizzazione, mal congeniata architettonicamente e poco pronta ad affrontare l’idea di uno sviluppo compatibile, si prepara oggi a diventare moderna e accogliente.
Parti di città che per anni, a volte per decenni, sono state sottratte alla popolazione ora si
riattivano e si offrono ad un uso funzionale.
Mestre avrà il suo nuovo polo culturale, vivo, messo in rete con le altre realtà. Ma sbaglia
chi crede che questo territorio abbia bisogno solo di un museo, se per museo intendiamo
l’esposizione di oggetti, il racconto di una memoria vicina che va comunque ricercata.
Mestre ha bisogno di un cuore culturale, che in sistole e diastole riattivi il circolo della
produzione, delle idee, della creatività, degli eventi. L’M9 dovrà essere questo: nel pieno
centro di Mestre, in un’area rigenerata, riattivata, un polo culturale non certo alternativo a quello della città storica, che dialoghi con tutto il resto e sia parte di una costellazione con il Candiani rinnovato e il suo cinema, il Toniolo, Villa Erizzo, con la Torre civica,
il Contemporaneo.
L’M9 è dunque il simbolo di un risveglio, non solo culturale di questa città. Uno spazio
ridato alla sua gente che riqualifica un’area centrale e si inserisce in un programma di
recupero urbanistico di estremo valore per tutti. I cantieri edili che si apriranno, mi auguro in tempi brevissimi, sono anche quelli che rafforzano l’identità di ciascuno di noi
rinnovando un nuovo sentimento di appartenenza a questa comunità.
Mestre has taken a major step forward in recent years. A city that used to be characterised by bad urbanisation, poor architecture and an inability to address the concept of
compatible development is about to become a modern and welcoming one.
Parts of the city that have been closed to the local population for years and sometimes
even decades are now being reinstated and given a function.
Mestre will have a new vibrant cultural pole linked to others. Those who believe this
area only needs a museum are wrong if by museum they mean a display of objects and
the narration of recent memories that must be sought out. Mestre needs a cultural heart
that expands and contracts to reactivate the circulation of production, ideas, creativity,
and events. M9 must be all this. Situated right in the centre of Mestre, it will be a regenerated and revived area, a cultural pole that is not an alternative to that of the old city
centre but dialogues with all the rest and forms part of a constellation along with the
renovated Candiani cultural centre and its cinema, the Toniolo theatre, Villa Erizzo, the
Torre Civica and the Contemporaneo gallery.
M9 is the symbol of more than just a cultural reawakening of this city. A space returned
to its population that will regenerate a central area and forms part of an urban redevelopment programme that is of great value for all. The works that will, I hope, commence
very soon will also reinforce the identity of each and every one of us, bringing this community a new sense of belonging.
Giorgio Orsoni
Sindaco di Venezia
Mayor of Venice
M9 è per la Fondazione di Venezia il progetto di maggior impegno. Lo sforzo economico
e gestionale è rilevante. Ampia e profonda è stata la discussione in seno agli organi di
indirizzo della Fondazione in una difficile fase storica per l’economia. Ma la decisione è
stata compiuta. M9 è il testimone del radicale cambiamento operativo della Fondazione,
abbandonata la modalità operativa dell’erogazione, la Fondazione si pone come soggetto
in grado di progettare e gestire iniziative complesse, capaci di sviluppare opportunità di
crescita e collaborazione per e con il territorio.
Il progetto M9 è la realizzazione di un polo culturale capace di divenire un punto di
riferimento per la città e l’area metropolitana. Un centro in cui qualità architettonica,
servizi innovativi e nuovi spazi collettivi coroneranno un’istituzione culturale di nuova
concezione, capace di offrire un palinsesto culturale ricco, vario e attento alle istanze di
pubblici differenti.
M9 – la cui genesi progettuale è avvenuta a fine 2005, si è concretamente avviato nella primavera del 2008 – è oggi giunto al primo cruciale passo del suo cammino. Si è concluso il
concorso internazionale di architettura che ha visto partecipare studi di statura mondiale, impegnati in una competizione che ha posto temi progettuali di non facile risoluzione.
Il progetto vincitore connoterà, dal punto di vista architettonico/urbanistico e culturale,
una zona centrale della città e della più ampia area metropolitana individuata dal recente studio OCSE come una delle più strutturate per crescita e sviluppo a livello europeo.
Con il progetto M9 la Fondazione ha consolidato uno stretto dialogo con le amministrazioni locali, dal Comune alla Regione, dalle Soprintendenze all’Università, permettendo
rapporti e collaborazioni con realtà internazionali e professionalità del territorio, senza tralasciare il continuo aggiornamento alla cittadinanza sull’avanzamento dei lavori,
connotando una modalità esecutiva volta alla più ampia trasparenza, necessaria allo
sviluppo di un progetto di tale portata. Le competenze pubbliche e private, locali e internazionali, unite alle professionalità espresse dal team di lavoro strutturato dalla Fondazione, la cui età media è di 33 anni, hanno permesso sino a oggi di rispettare i tempi di
lavoro determinati nella fase di avvio del progetto.
La mostra e il catalogo, insieme alla pubblicazione M9 Step by step, raccontano il percorso
sinora intrapreso e presentano le proposte progettuali dei sei studi internazionali invitati.
Per la Fondazione è motivo di soddisfazione presentare questi primi concreti risultati e
ringrazia enti, società e tutte le persone che a diversi livelli hanno collaborato.
M9 is, for the Fondazione di Venezia, an extremely important project. The economic
and management endeavour is considerable. The discussion among the members of the
Fondazione’s policy making body went deep and wide within the climate of such a difficult economic period. But the decision was made. M9 is testimony to the radical operative changes of the Fondazione; having abandoned the simple operative method of
distribution, the Fondazione presents itself as a subject able to plan and run complex
initiatives, capable of developing opportunities for growth for and with the territory.
The M9 project is the realisation of a cultural centre which might become e reference
point for the city and the metropolitan area. A centre in which the architectural quality, innovative services and new collective spaces will crown a cultural institute of new
conceptions, capable of offering a rich cultural schedule, both varied, and aware of the
requirements of diverse publics.
M9 – whose inception happened at the end of 2005, finally came into a more concrete being in the spring of 2008 – is today making its first crucial step. The international competition has reached its conclusion and saw the participation of companies of international
standing involved in a competition which posed planning issues not easily resolved.
The winning project will concern, from the points of view of town planning, architecture and culture, a central area of the city and of a larger metropolitan area identified
by a recent OECD study as one of the most structured for development and growth in a
European setting.
With the M9 project the Fondazione has consolidated a close relationship with the local
administrative boards, from the town council to the Regione, from the Soprintendenze to
the University, allowing relationship building and collaboration in an international situation and territorial professionalism, and without abandoning the continuous updates
of the inhabitants on the progress of the works, comporting a work process focused on
transparency; of fundamental importance to such a project. The public and private, local
and international bodies, united with the professionalism expressed by the work team
structured by the Fondazione, whose average age is 33 years old, have allowed the project
to respect the delivery and completion terms determined at the start of the mission.
The exhibition and the catalogue, together with the publication of M9 Step by step, tell
of the story so far and present the proposals of the six invited international companies.
With great satisfaction the Fondazione presents these first concrete results and thanks all
the individuals, institutes, bodies and companies who have collaborated in different ways.
Fondazione di Venezia
M9
A New Museum
for a New City
Concorso Internazionale di Architettura
International Architectural Competition
a cura di
curated by
Francesco Dal Co
per la sezione architettura
for the section on architecture
Fabio Achilli e Guido Guerzoni
per le rimanenti sezioni
for the remaining sections
Progetto editoriale
Publishing concept
Fabio Achilli
Alba Scapin
Coordinamento editoriale
Editorial coordination
Alba Scapin
Grafica
Art direction
Studio Camuffo
Andrea Codolo
Copertina
Cover
modello model Ideainterni
fotografia photo Mauro Magliani
Traduzioni
Translation by
Barbara Fisher
Susan Steer
Louisa Warman
Referenze fotografiche
Photo credits
per i saggi introduttivi
introductory essays
Comune di Venezia, Archivio Giacomelli
Archivio Fondazione Gianni Pellicani
Pierpaolo Favaretto
Giovanni Pascoli
Giovanni Vio
ORCH/orsenigo_chemollo
O’Gehry, Archivio SAVE
Studio Zuanier Associati, E. Mantese, C. Eusebi
Studio Architetti Mar
per le immagini fotografiche degli architetti
architects’ photographs
Mario Ciampi
Christian Richters
Stiftung Preussischer Kulturbesitz /
David Chipperfield / Christian Richters
Daniel Osso
Luis Asín
Annette Kisling
Gerrit Engel
Luis Ferreira Alves
La Fondazione di Venezia si scusa anticipatamente
nel caso in cui alcune referenze fotografiche
fossero state involontariamente omesse.
The Fondazione di Venezia apologises in advance
for any photo credits unintentionally omitted.
Mestre e il suo contesto
Mestre and its Context
10 La città del Novecento
The Twentieth-Century City
Michele Casarin
14 Mestre città contemporanea:
governo, cittadini, infrastrutture
The Contemporary City of Mestre:
Local Government, Population
and Infrastructures
Nicola Pellicani / Marino Folin
18 Architetture a Mestre
a colpo d’occhio
Mestre Architecture at a Glance
Renata Codello
M9: motivazioni di un progetto
M9: the Reasons behind the Project
20 Una Fondazione
per Venezia Metropoli
A Foundation
for the Venice Metropolis
Giuliano Segre
23 Istituzioni culturali
e rigenerazione urbana
Cultural Institutions
and Urban Regeneration
Giuseppe De Rita
24 I numeri di un territorio
The Area in Numbers
Nando Pagnoncelli
25 Il museo del ’900
The Twentieth Century Museum
Guido Guerzoni
Area dell’intervento
Site
Concorso
Competition
32 Sei architetti per M9
Six Architects for M9
Ragioni, finalità, modalità
del concorso internazionale
a inviti bandito
dalla Fondazione di Venezia
per la costruzione
del nuovo museo di Mestre
The Reasons, Purpose and Method
behind the International Competition
by Invitation for the Construction
of a new Museum in Mestre held
by the Fondazione di Venezia
Francesco Dal Co
36 Bando di concorso
Competition Rules
Annalisa Ferrario
Partecipanti al concorso
Participants
38 Massimo Carmassi
58 David Chipperfield
78 Pierre-Louis Faloci
102 Luis Mansilla/Emilio Tuñón
118 Matthias Sauerbruch/Louisa Hutton
138 Eduardo Souto de Moura
Appendice
Appendix
160 Il percorso decisionale
della Fondazione di Venezia
Fondazione di Venezia:
the Decision Process
8
9
10
Mestre e il suo contesto / Mestre and its context
La città del Novecento
The Twentieth-Century City
Michele Casarin
Associata alla famigerata tangenziale, per anni protagonista con Milano e il grande
raccordo anulare di Roma dei bollettini mattutini del traffico, etichettata come “periferia di Venezia” o “città più brutta d’Italia”, invisibile alle mappe, Mestre rimane
nell’immaginario comune qualcosa di non ben definito e maldestramente modellato dai luoghi comuni più frettolosi. E da quel grande abbaglio che troppo spesso impedisce di guardare Venezia nella sua complessa interezza di città vasta e articolata
tra litorali, laguna, fiumi e terra. La Venezia moderna e contemporanea non è città
senza Mestre, Marghera e tutte le sue parti, così come viceversa; è più un problema
di nomi che non di sostanza.
Mestre è il risultato complesso di uno straordinario intreccio di eventi e di condizioni straordinarie che hanno caratterizzato la storia di Venezia e dei suoi contesti,
quelli più specifici, locali e nazionali, e quelli più generali che la avvicinano alle vicende di molte altre grandi aree urbane in Europa e nel mondo occidentale.
La fine di Venezia come stato dopo mille anni di indipendenza e di assetto territoriale vasto, la sua collocazione in un ambito nazionale nuovo in tutti i sensi e la sua riduzione fisica e culturale alla dimensione di centro storico nel corso dell’Ottocento
rappresentano il punto di partenza obbligato per comprendere ciò che si vede oggi
osservando una mappa satellitare e ancora di più viaggiando attraverso la città, le
sue forme, le sue fratture e persino i suoi vuoti. La storia degli eventi si intreccia,
creando una matassa complessa da districare, con la questione culturale di un rapporto tormentato, mai risolto e il più delle volte conflittuale con la modernità; una
questione secolare che contribuì in modo determinante alla caduta stessa della Repubblica per l’incapacità di rinnovarsi come stavano facendo quelli che sarebbero
diventati i grandi stati moderni. Il modo in cui la Venezia italiana rilancerà se stessa verso il Novecento e le vicende che caratterizzeranno tutto il percorso del secolo
richiameranno sempre quel disagio culturale e quel conflitto che però, paradossalmente, finirà per renderla ciò che è oggi e cioè una metropoli in cui è possibile osservare quei processi moderni che nella maggior parte delle grandi città occidentali
sono già terminati, così come sono stati affrontati i problemi che ne derivano. Una
sorta di bolla temporale che consente di ragionare e progettare sul passato senza
che questo sia terminato. Venezia venne
spinta – come avrebbe detto un grande
storico veneziano, Gianantonio Paladini
– ad uscire dall’isola, o meglio ancora, a
ri-uscire dall’isola, rifondando se stessa su nuove basi territoriali, più ampie
possibili che trovarono realizzazione in
una tripartizione funzionale programmata: Venezia e il Lido per il turismo e
la cultura (esibire, mostrare, vendere
il proprio passato senza modificare i
propri assetti urbani e culturali); Marghera per il porto e la grande industria
Costruzione acquedotto fronte stazione, 1926
Construction of water mains opposite
the station, 1926
Costruzione delle strade a Porto Marghera
zona ovest, 1922
Road building - Porto Marghera
Zona Ovest, 1922
Associated with its notorious by-pass, which for many years featured in the morning
traffic bulletins together with Milan and Rome’s orbital motorway, labelled “Venice’s
suburb” or “the ugliest city in Italy”, and invisible on maps, Mestre has been defined by
lazy clichés and remains ill-defined in the public’s imagination. These misconceptions
often prevent us from seeing Venice in its complex whole – as a vast city formed by coast,
lagoon, rivers and land. Without Mestre and Marghera and all its other component
parts, there is no modern, contemporary Venice, and, likewise, Mestre is no city without
Venice; yet it is more a problem of nomenclature than substance. Mestre is the complicated result of an exceptional culmination of extraordinary events and circumstances
which shaped the history of Venice and its surrounding areas; these include particular,
specific, local circumstances as well as the global events which link Venice to other important urban centres in Europe and the Western world.
To even begin to understand what we now see on a satellite map or, better, when travelling through the city, seeing its forms, fractures and empty spaces, we must understand
how the nineteenth century brought the end of the millennium-old independent Venetian State with its vast territories, and how, within the brand new nation of Italy, Venice
was reduced both physically and culturally to the size and significance of an historic town
centre. The events of history have become entwined, making a tangle which is difficult
for us to unravel. There is the cultural problem of its difficult, unresolved relationship
with modernity. In fact, this is a centuries-old issue for Venice, one which had a decisive
impact on the fall of the Republic itself, for, unlike other states which went on to become
the great modern nations, it was incapable of reinventing itself. The way in which Italian
Venice launched herself into the twentieth century, and the events which characterised
the course of that century, inevitably result from this conflicted, cultural unease which,
paradoxically, finally made her what she is today – that is, a metropolis where it is still possible to observe the processes of modernisation underway, processes which other great
Western cities have already completed. Likewise, we can observe how problems arising
from those processes are being addressed. Venice is a sort of time capsule which allows
us to make sense of, and shape, the past because it is yet to be concluded. As the great
Venetian historian Gianantonio Paladini would have said, Venice was forced to leave
Mestre e il suo contesto / Mestre and its context
(la modernità più temuta); Mestre per la residenza (alleggerire la pressione demografica sul centro storico e le relative tensioni sociali).
In un contesto locale si generò un’idea precorritrice basata su due punti essenziali
che consentirono di creare la prima zona portuale-industriale del mondo: sfruttare la funzione portuale di scarico delle materie prime come fase iniziale del ciclo
produttivo industriale; trasferire una quota della manodopera impiegata in attività
industriali localizzate in centro storico e in parte obsolete, e ridurre così pressione demografica e tensioni sociali. Un obiettivo così ambizioso in una situazione
di grande incertezza e precarietà dovuta alla guerra e alle difficoltà economiche e
sociali richiedeva la messa in gioco di forze straordinarie per qualità e quantità.
Forze che si esplicitarono in una strettissima commistione tra pubblico e privato.
Nel 1917, in piena guerra mondiale, lo Stato e il Comune di Venezia firmarono un
contratto con un consorzio di industriali e banchieri, guidato dal presidente della Società Adriatica di Elettricità, Giuseppe Volpi, che prevedeva la creazione e la
gestione di una zona industriale nell’area detta dei Bottenighi (Marghera). Di quel
consorzio facevano parte imprese elettriche, ferroviarie, marittime, siderurgiche,
meccaniche, di costruzioni; privati come Nicolò Papadopoli Aldobrandini, Stucky
e poi l’Ilva di Terni, le Acciaierie di Piombino, l’Ansaldo, i Cantieri Riuniti. Nel consiglio di amministrazione c’erano i Piaggio, Cini, Gaggia, la Banca Commerciale, la
Montecatini, la Breda. Si concretizzò il collegamento tra la grande finanza italiana e il progetto di industrializzazione triveneta. Pochi giorni dopo, la stipula venne
trasformata in una legge le cui disposizioni riprendevano, applicandole al caso di
Marghera, la disciplina di un’altra legge speciale che nel 1904 era stata varata, su
disegno di Francesco Saverio Nitti, per il risanamento economico di Napoli. Una
legge le cui agevolazioni avrebbero fatto da riferimento a una serie di altre zone industriali italiane e, dopo il 1950, allo stesso intervento straordinario della Cassa per
il Mezzogiorno. Quelle agevolazioni erano particolarmente vantaggiose per gli investitori, soprattutto per le grandi imprese: esenzioni dall’imposta sulla ricchezza
mobile e da altre tasse; deroga alla normativa daziaria con franchigia sulle materie
prime e sulle macchine importate; sovvenzioni indirette, agevolazioni sui trasporti,
sulle operazioni di carico e scarico, facilitazioni per gli espropri. Nel 1919 si scava il
Canale Vittorio Emanuele III dalla Marittima a Marghera e la Sade inizia la costruzione della prima centrale termoelettrica; nel 1922 viene approvato il progetto di
quartiere urbano per 30.000 abitanti; nel 1925 si sono insediate già 33 aziende con
3.500 addetti; nel 1926 il Comune di Venezia si annette quattro comuni della terraferma, tra cui Mestre. All’inizio degli anni ’40 le aziende saranno già oltre 100 con
15.000 addetti; nel 1950 nasce la seconda zona industriale e nel 1963 si inizia a parlare della terza; nel 1970 le aziende saranno 227 e gli addetti 31.000. Nella sola zona
industriale si svilupperanno 135 km di ferrovia, 40 km di strade, 20 km di canali.
Un processo di crescita urbana, economica e demografica che rilanciò Venezia tra le
grandi città italiane ed europee in chiave moderna; un processo che non si realizzò
nel deserto ma che si sovrappose, inglobandolo, a quello avviato autonomamente,
dal Comune di Mestre prima dell’annessione del 1926. Mestre passò dai poco più
11
her island, or, rather, to re-emerge from
her isolation and to redefine herself along
new territorial lines. This was realised in
the planned tri-partite division of Venice
according to function: Venice and the Lido
for tourism and culture (where the past
could be displayed and marketed without
modification to the urban layout or cultural landscape); Marghera for her port and
heavy industry (that most feared aspect
of modernity); Mestre for residential use
(alleviating the pressure caused by overcrowding and related social tensions).
A forward-looking idea, conceived locally,
would see the creation of the first industrial-port zone in the world. It was based
on two principals: firstly, exploitation of
the port operation so that the unloading
of raw materials became the first process
in the industrial production cycle; and,
secondly, transferring to this area some of
the workforce which was then employed
in the historic centre’s manufacturing
facilities, some of which were obsolete,
thus reducing demographic pressure and
related social tensions. This was an ambitious goal which would require extraor Ponte della campana, 1933
dinary efforts, especially in times of great Viale Principe di Piemonte, 1933
uncertainty and instability caused by the
Case coloniche destinate all’abbattimento
first World War as well as economic and per fare spazio a viale Principe di Piemonte social problems. These efforts were re- (Corso del Popolo), 1932
alised by means of close collaboration Farmhouses earmarked for demolition
to make way for the construction of Viale between the public and private sectors. Principe di Piemonte (Corso del Popolo), 1932
In 1917, at the height of the war, the Italian State and the City of Venice signed a
contract with a consortium of industrialists and bankers which was headed by Giuseppe
Volpi, then President of the Adriatic electricity corporation, Società Adriatica de Elettricità (SADE), which would see the creation and management of an industrial zone in
the area which was then called Bottenighi (Marghera). The consortium comprised electricity corporations, as well as engineering, steel, construction, shipping and railway
companies. Private stakeholders included Senator Nicolò Papadoli Aldobrandini, Giovanni Stucky, as well as the steel manufacturers Ilva di Terni and Piombino Acciaierie,
the Ansaldo engineering company, and Cantieri Riunit shipbuilders. The Piaggio, Cini,
Gaggia, Banca Commerciale, Montecatini, and Breda corporations were represented on
the board. Ties between Italian high finance, big business and the project for the industrialisation of North East Italy were formalised. A few days later the agreement Became
law, the provisions of which would apply to Marghera, but were based on another piece
of special legislation – that devised by Francesco Saverio Nitti for the economic recovery
of Naples (1904). The concessions provided in that legislation would serve as a reference
in the creation of a number of industrial zones in Italy and, after 1950, would likewise be
applied in the establishment of the special Fund for the Mezzogiorno southern regions of
Italy. There were particularly advantageous concessions for investors and, in particular,
for big business: tax breaks included exemptions on taxable income from lending and
entrepreneurial activities; rules on customs duties were varied to allow for exemptions
on duty on raw materials and imported plant and machinery; there were indirect subsidies, with concessions for transportation and loading and unloading operations; the
compulsory purchase of land was facilitated. In 1919 the Vittorio Emanuele III Canal
was dug from the Marritima dock area in Venice to Marghera, and SADE began construction work on the first power-plant. In 1922 plans were approved for the development of a
neighbourhood for 30,000 inhabitants. By 1925, there were already 33 companies established in the area with 3,500 employees between them. In 1926, the City of Venice took
over the four municipal districts on the nearby mainland, including Mestre. By the early
1940s there were already over 100 companies established in the industrial area, numbering over 15,000 employees between them. A second industrial area was created in 1950
and in 1963 there was talk of a third. By 1970 there were 227 companies, numbering a total of 31,000 employees. In the industrial area there were 135km of railway, 40km of road,
and 20km of canal. This process of urban, economic and demographic development
re-launched Venice as a modern metropolis, one of the great cities of Italy and, indeed,
Europe. However, these developments had not occurred in isolation, but rather had
12
Mestre e il suo contesto / Mestre and its context
di 6.000 abitanti del 1835 ai 26.000 del
1925 per superare i 200.000 all’inizio
degli anni ’70 e acquisire una dimensione metropolitana – di poco inferiore
al milione – con i comuni di prima e seconda cintura. Le grandi trasformazioni
urbane, territoriali, economiche, sociali
e demografiche che caratterizzeranno
la storia novecentesca nella dimensione della Grande Venezia si sovrapposero a quelle avviate nella seconda parte
dell’Ottocento con le demolizioni di alcune parti antiche dell’abitato mestrino
(il teatro Balbi nel 1811, la torre Belfredo
Il quartiere urbano di Marghera, 1928
nel 1876, alcuni spalti del castello nel
Marghera neighbourhood, 1928
1880) per costruire nuove strade e dota Il quartiere popolare di Ca’ Emiliani, 1946
re di strutture moderne il piccolo paese
Social housing at Ca’ Emiliani, 1946
con ambizioni di città. È così che nasco Porto Marghera, Commissariato
no viale Garibaldi, il Teatro Toniolo, gal per l’emigrazione, Corso Cementisti, 1924
leria Matteotti, l’ospedale, l’acquedotto,
Porto Marghera, Commissariat for Emigration, abitazioni per la borghesia, scuole, la
Corso Cementisti, 1924
rete tranviaria tra il 1891 e il 1912 (prima
trainata da cavalli e poi elettrificata nel
1909) e la prima industrializzazione lungo il canal Salso.
La città del Novecento è dunque il risultato di un processo che plasma le esigenze di
ciò che rimaneva della Serenissima, di una città che non voleva uscire dalla Storia con
alcuni elementi nuovi, territoriali e culturali. La Venezia del Novecento è a tutti gli effetti una città reinventata nella sua articolazione territoriale, nei suoi equilibri interni, nelle sue connotazioni culturali, demografiche e sociali, in un processo di trasformazione così rapido da averne reso molto complessa la decifrazione e la coscienza.
Fino alla fine del secolo XX l’incidenza dell’urbanistica, intesa come pianificazione
e progettazione della città, è quasi irrilevante. A parte il piano per la creazione del
quartiere urbano di Marghera ispirato alle città giardino britanniche, il resto è più
teoria e strategie che altro. Il piano del 1937 pur con il presupposto importante di
orientare in modo deciso le capacità funzionali di Mestre e un suo ampliamento verso un più stretto collegamento con Venezia e pur adottato dal Comune, non ottenne
mai la necessaria approvazione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Il piano
di ricostruzione, approvato dal ministero nel 1950, andò forse peggio: dalla buona
impostazione strategica di considerare Mestre “non come elemento di abitato a
sé stante ma come elemento indissolubilmente legato alla città lagunare”, il piano
porta sì nuova viabilità ma soprattutto nuove espansioni residenziali quasi tutte
senza licenza e non accompagnate dalle cosiddette opere di urbanizzazione (acquedotti, illuminazione, fognature), tant’è che Wladimiro Dorigo, scriverà nel 1973 che
taken over from, and superseded, processes which the City of Mestre had already started
independently, before Venice took over the municipality in 1926. The population of Mestre grew from a little over 6,000 people in 1835, to 26,000 in 1925, and by the early 1970s
the population exceeded 200,000; counting neighbouring municipal districts, Mestre
had grown to metropolitan proportions, numbering just under a million inhabitants.
The important economic, social, demographic, urban and territorial transformations
which characterise the twentieth-century history of ‘Greater Venice’ overlapped with
processes of change which had begun in the second half of the nineteenth century with
the demolition of some to the most historic parts of Mestre (the Balbi Theatre in 1811, the
Belfredo tower in 1876, certain ramparts of the town fortifications in 1880) to make way
for new streets and provide modern buildings and facilities for this little village with cityscale ambitions. These changes allowed for the creation of Viale Garibaldi, the Toniolo
Theatre, the Matteotti Arcade, the hospital, mains water supply, housing for the middle
classes, schools, the first industrial developments along the Salso Canal and, between
1891 and 1912, the tram system (at first horse-drawn and then electrified in 1909).
Processes of change shaped the needs of the remaining vestiges of the Serenissima – a
city which did not want to leave its past behind to take on a new territories and cultures
– and thus determined the form of the twentieth-century city. To all intents and purposes, twentieth-century Venice reinvented itself in terms of its territorial articulation,
its internal balance, and in its demographic, social and cultural characteristics, through
processes of change which have been so rapid as to make them very complicated to decipher and understand.
Up to the end of the twentieth century, the influence on the city of urban planning (i.e.
town planning and design) was so minimal as to be almost irrelevant. Apart form the plan
for the creation of the neighbourhood in Marghera, which was inspired by the British
Garden Cities, the rest has been so much theory and strategy. The 1937 plan was drawn
up on the premise that Mestre’s services and facilities, as well as its enlargement, should
be decisively aimed at creating closer ties with Venice; but although this plan was adopted
by the City Council, it never received the necessary approval from the Higher Board of
Public Works. The reconstruction plan, approved by the Ministry in 1950, arguably fared
worse: the plan was based on the commendable strategic approach that Mestre “should
not be treated as a separate independent settlement, but rather as part of, and inseparable from, the lagoon city”, and it did indeed ensure new roads, but above all it led to the
expansion of residential areas, which were developed almost entirely without planning
permission and without the necessary urban infrastructure (mains water, street-lighting,
sewers), such that Wladimiro Dorigo would write in 1973 that “the suburbs of Rome, although, of course, much larger, were model districts in comparison”. The 1962 general
zoning plan (PRG), drafted largely by Dorigo himself when he was councillor with responsibility for Town Planning on the City Council in the late 1950s, confirmed the basic tenet
of the Greater Venice project, even though it came out of a very different political context.
The layout of Mestre would be distinguished by its “equipped axes”, or rather, transportation infrastructure designed to promote the rapid movement of people and goods, which
would function in combination with general improvements to the port facilities.
Mestre e il suo contesto / Mestre and its context
“le borgate romane, salve naturalmente le ben maggiori proporzioni, erano, al confronto, quartieri modello”. Il PRG del 1962, redatto sostanzialmente proprio da Dorigo quando questi era assessore all’Urbanistica (fine anni ’50) seppur si inquadrasse in un quadro politico molto differente conferma l’idea di fondo del progetto della
Grande Venezia. Mestre si contraddistingueva in questo assetto per la presenza degli “assi attrezzati” ossia una serie di infrastrutture volte a permettere una rapida
circolazione di merci e persone abbinata a un generale incremento della dotazione
infrastrutturale portuale. Negli anni ’70, di fronte ai problemi ambientali, alla crisi
del paradigma economico che caratterizzava Marghera e all’emergere di condizioni lavorative disumane, inizia a svilupparsi una nuova interpretazione e cultura del
territorio e con essa un lungo percorso di reinterpretazione della città che, dal punto di vista urbanistico, si concretizza a metà degli anni ’90 nel piano del Benevolo e
nel suo tentativo di lavorare per la prima volta sulla qualità della città e del vivere,
ricucendo le fratture e sanando ciò che sembrava irrimediabilmente compromesso.
Oggi per Mestre c’è una questione che viene prima di tutte le altre: diventare nei
fatti, nell’immaginario collettivo, nei progetti, estensione contemporanea di Venezia, in termini di qualità urbana, ambizioni, monumentalità. Dopo essere usciti
dall’isola bisogna ora uscire dall’idea novecentesca di città attraverso la quale Venezia antica ha costruito la propria sopravvivenza nel mondo moderno relegando
in terraferma gli aspetti che le facevano più paura. La retorica di urbanisti, politici,
storici e di tutti coloro che si sono appassionati al tema della Venezia moderna e
contemporanea si è costruita quasi sempre su un inconsapevole abbaglio: ragionare
di unioni, relazioni, integrazioni quando né il progetto novecentesco né la struttura
ed il contesto culturale di riferimento includevano l’idea di Venezia e Mestre come
di un’unica città. Basti pensare agli innumerevoli quanto goffi artifici nel nominare
e definire (Venezia, Mestre, Venezia Mestre, Marghera, centro storico, terraferma,
ecc.) o all’espressione “le due città” che appartengono ancora oggi al linguaggio
comune. Le politiche pubbliche di fine secolo hanno costruito i propri successi e i
propri fallimenti sulla cura dei sintomi di quanto accaduto nel corso del Novecento.
Oggi, per fare il salto di qualità e di scala, la città ha bisogno di trasformare i suoi
pezzi in parti integrate e comunicanti. Non due entità distinte che si sorreggono
all’occorrenza. È complicato perché serve una vera e propria rivoluzione culturale
che passi magari attraverso un atto simbolico molto simile a ciò che è stata la caduta
del muro per Berlino. Solo un’operazione di questo tipo, abbandonata la cura dei
sintomi, consentirebbe a Mestre di passare dalla dimensione periferica (per aspetto, funzioni, immaginario) a quella di una centralità costruita sulla qualità delle
architetture e di ogni intervento urbanistico, sulla ricerca della monumentalità
diffusa, su un nuovo, ricco e ambizioso sistema di simboli. Ma anche a Venezia di
liberarsi della sindrome del villaggio disneyano e di diventare un centro eccellente
di una metropoli contemporanea.
Insomma le cose possono cambiare solo se Venezia diventa Mestre e Mestre diventa
Venezia. Una città unica capace di essere metropoli contemporanea, come Barcellona, Berlino, Londra, Parigi.
13
In the 1970s, in the wake of environmental problems, the crisis in the economic
model on which operations at Marghera
were based, and the revelation of inhuman working conditions, new approaches
to the territory began to develop, and so
began the long journey to reinterpret the
city. In the case of urban planning, this
took shape in the plan which Leonardo
Benevolo drew up in the mid-1990s, which
represented the first attempt to work on
improving the quality of the city itself,
and the quality of life there, and aimed to
mend the city’s fractures, to heal what had
seemed hopelessly compromised.
For Mestre today there is one over-riding
question: how to become as a matter of fact
and in the collective imagination, the contemporary extension of Venice – in terms
of design, urban quality, ambition and
monumentality. Having left the island,
we must now leave behind the twentiethcentury conception of the city, through
which historic Venice had managed to
survive in the modern world, relegating
to the mainland the aspects of modernity
that it most feared. The rhetoric of plan Porto Marghera, scavi sotterranei
ners, politicians, historians, and all those Porto Marghera, underground earthworks
who care passionately about the subject Operai in bicicletta sul cavalcavia
of contemporary Venice, is almost always Mestre-Marghera, 1935
Workers cycling on the Mestre-Marghera
founded on an unwitting misconception: flyover, 1935
they discuss unification, relationships and
integration, when neither the twentiethcentury project, nor the city’s structure, nor prevailing cultural contexts, are premised
on the concept of Mestre and Venice as a single city. Just think of the contrived ways
there are of naming and defining the city, as numerous as they are clumsy (Venezia, Mestre, Venezia Mestre, Marghera, historic centre, mainland etc), or the expression “the two
cities” which is still used in common parlance today. At the end of the century, public
policy built its successes and failures by curing symptoms brought on by the events of the
twentieth-century. Today, in order to make a leap in terms of quality and scale, the city
needs to change its disparate pieces into integrated and interconnected component parts
– no longer two distinct entities which prop each other up when necessity dictates. It is
complicated, because a real cultural revolution would be necessary, which could perhaps
come about through a symbolic act, similar in meaning to the destruction of the Wall for
Berlin. Having abandoned the cure of the symptoms, only a symbolic gesture of this type
would allow Mestre to pass from suburbandom (in appearance, functions and image) to a
position of centrality, through the quality of its architecture and of every planning intervention, aiming for a diffused monumentality to create a new, rich and ambitious system
of symbols. But Venice must also free herself of the Disneyfication syndrome, to become
an first-rate centre of a contemporary metropolis. To summarise, things can change, but
only if Venice becomes Mestre and Mestre becomes Venice. A single city capable of becoming a contemporary metropolis like Barcellona, Berlin, London and Paris.
14
Mestre e il suo contesto / Mestre and its context
Mestre città contemporanea:
Governo, Cittadini, Infrastrutture
The contemporary city of Mestre:
local government, population and infrastructures
Nicola Pellicani / Marino Folin
Il modo migliore per farsi un’idea di Mestre è salire in cima a uno di quei palazzoni anonimi, cresciuti negli anni del boom edilizio. Non sono alti come grattacieli, ma ce ne sono
certi che hanno un’altezza sufficiente da offrire uno sguardo largo sulla città, capace di
andare ben al di là dei confini di Mestre.
L’impatto con il panorama non è mai morbido. Di solito la prima occhiata riflette un’immagine ostile, di caos e cemento. Sono le ferite lasciate dalla tempesta urbana che si è
abbattuta su Mestre, con rara brutalità. Una speculazione edilizia ottusa e cinica che ne
ha cancellato il passato, proiettandola di colpo nel Novecento.
Mestre, pur stravolta nella sua forma e nella sua identità, si è trovata di colpo nel vivo di
una storia straordinaria. Fatta d’industria, di urbanizzazione, d’immigrazione, di conflitti sociali.
Ma oggi che Mestre sta chiudendo i conti con il Novecento, la città ferita, la città dormitorio, la città vittima della modernità non esiste più.
Oggi che anche la tangenziale ha smesso di essere un incubo quotidiano, questa idea di
città resta un luogo comune, duro a morire, ma lontano dalla realtà.
Dall’alto di uno di quei palazzoni senza qualità, si vedono i contorni della grande città in
trasformazione, che va oltre i confini di Mestre, fino a disegnare quella città-territorio che
supera i confini municipali e rappresenta l’area urbana vasta che viviamo quotidianamente.
Una città metropolitana, costituita da Mestre, Venezia, Padova e Treviso, già individuata per la prima volta negli anni settanta dall’Unesco e a lungo indagata dagli studiosi
e da diversi soggetti istituzionali, da ultimo l’Ocse, secondo cui rappresenta una delle
maggiori economie italiane. Il rapporto Ocse, da poco concluso, colloca la “City-Region
Venezia”, com’è stata definita, nel top ten
delle regioni metropolitane a più alta crescita nel panorama internazionale.
La “Città-Regione”, con una popolazione
di 2,6 milioni, ha un tasso di crescita economica che può essere comparato a quello
di Londra, Stoccolma e Houston. Non solo.
Nel decennio dei “miracoli” (1995-2005) il
tasso di crescita di quell’area, che comunemente chiamiamo PaTreVe, ha viaggiato a
una velocità doppia rispetto a Stoccolma e
tripla rispetto a New York, con livelli di produttività paragonabili a Francoforte, Londra, Monaco e Tokyo. Dati significativi, dal
momento che in tutto il mondo, le grandi
Veduta del centro di Mestre
Mestre city centre
aree metropolitane sono i motori dell’integrazione globale e le vere protagoniste del Veduta serale della zona della stazione
di Mestre
lo sviluppo economico, sociale e culturale.
Mestre station in the evening
I numeri aiutano a decifrare un territo Tangenziale di Mestre
rio, a comprenderne le potenzialità, ma
Mestre ring road
la sua unicità deriva anzitutto dal fatto di
essere una Città Metropolitana senza periferia, perciò priva di una polarità che accentra tutto su di sé. In questo senso è una
Città costituita da spazi pieni e vuoti, che convivono assieme con funzioni diverse. Traendo la propria forza da questo contesto così ricco, composto da aree molto urbanizzate,
zone dedicate all’industria, accanto ad aree coltivate e a parchi naturali di grande pregio, come quello lagunare. In questa logica la laguna non è un semplice specchio d’acqua di oltre 500 chilometri quadrati, bensì un ecosistema straordinario, fonte di mille
opportunità. È parte strategica della Grande Città così delineata, formata da un crocevia
The best way to get a good idea of Mestre is
to climb to the top of one of those anonymous tower-blocks which were erected
during the years of the building boom.
They may not be as tall as sky-scrapers,
but they are high enough to lend a good
view of Mestre and well beyond.
The city has a stark impact on the panorama. Usually the first impression is of
hostility, chaos and concrete. These are the
wounds of the urban storm which lashed
Mestre with unusual brutality. Cynical
and wrong-headed property speculation
wiped out the past and thrust the city abruptly into the twentieth century. Mestre, its
form and identity despoiled, suddenly found itself in the midst of an extraordinary moment in history, in terms of its industry, urbanisation, immigration and social conflict.
But today, Mestre – the abused, dormitory city, victim of an obsolete idea of modernity
- is closing the door on the twentieth century. Today, when even the bypass is no longer a
daily nightmare, this clichéd image of the city persists – yet it is far removed from reality.
From the top of one of those substandard tower blocks, one can see the outline of a great
city in the process of transformation. It extends beyond the confines of Mestre, beyond
other municipal boundaries, to the vast urban area in which we live out our daily lives: a
“City-Region”. A metropolitan city comprising Mestre, Venice, Padua and Treviso, was
identified for the first time in the 1970s by the United Nations Educational, Scientific
and Cultural Organization (UNESCO), and has long been the subject of investigation
by academics and various institutions. Most recently, the Organisation for Economic
Co-Ordination and Development (OECD) described it as one of Italy’s major economies. The recently-completed OECD report ranked the “Venice City-Region”, as it was
Mestre e il suo contesto / Mestre and its context
di paesaggi, ognuno dei quali diventa complementare e indispensabile all’altro, dove
convivono benissimo polarità forti, quali Venezia, Mestre, Padova e Treviso.
Un sistema metropolitano ancora scarsamente integrato, ma che l’apertura del Passante autostradale (Mira-Quarto d’Altino) e l’entrata in funzione del Sistema ferroviario
metropolitano regionale contribuiranno a saldare ulteriormente, dando sempre più sostanza alla “Città-Regione”.
Ma se quest’area ha qualcosa di speciale lo si deve molto a ciò che si può osservare dall’ultimo piano di uno di quei palazzi, che rappresenta il motore della “Città-regione”, disegnata dall’Ocse.
È raro trovare città che presentino una varietà di panorami e di orizzonti, come Mestre.
Panorami che significano storia, funzioni, oltre che infrastrutture. E tutto è a portata di
mano. A cominciare da Venezia, con cui solo Mestre può interloquire in modo talmente
stretto fino a essere la stessa cosa. Ma c’è molto di più.
Di là verso Tessera, c’è l’aeroporto, dove nelle ore di punta atterra o decolla un aereo ogni
due minuti. Si tratta del terzo scalo nazionale. È qui che arriverà l’Alta Velocità e nascerà
il Quadrante di Tessera che, accanto a un’area dedicata al commercio e agli uffici, ospiterà un vero e proprio distretto dell’intrattenimento con il nuovo stadio e la nuova sede
del casinò, funzioni strategiche per la crescita complessiva della “Città-regione”.
Da qui corre sul bordo della laguna quel
waterfront, sospeso tra terra e acqua, che
si snoda per 30 chilometri fino a Fusina e
Parco di San Giuliano, sullo sfondo Venezia
Parco di San Giuliano, with Venice
costituisce la più grande opportunità della
in the background
territorio.
È un waterfront che sorge in un ecosistema unico al mondo, che contiene in sé da
una parte l’aeroporto, dall’altra il porto, un’area industriale di duemila ettari, con 14.000
addetti e 700 aziende. In mezzo si apre il watefront urbano, che mette in comunicazione
la terraferma con il centro storico, attraverso l’asta di via Torino, le aree del Vega e del
Parco di San Giuliano.
Basta ruotare lo sguardo per seguire il percorso tortuoso del waterfont che approda verso Sud, a Porto Marghera. Ecco in primo piano le gru giganti di Fincantieri, l’arsenale
moderno, dove si costruiscono le grandi navi, in un cantiere che fonde assieme tecnologia d’avanguardia e manodopera proveniente da tutto il mondo. Accanto, il porto, con le
navi che arrivano da tutti i mari della terra. Alle spalle si vedono con chiarezza le fiaccole
e i camini che sputano vapore del Petrolchimico. Un’area in gran parte da riconvertire a
nuove attività, legate in particolare alla logistica, una volta che sarà finalmente sciolto
il nodo delle bonifiche. Un ostacolo che paralizza la riconversione di una parte di Porto
Marghera da almeno un ventennio.
È un’area industriale immensa, quella di Porto Marghera, che rappresenta un pezzo di
storia dell’industria fordista, ma anche una testimonianza fondamentale della storia
politico-sociale novecentesca.
Non è finita qui. Più lontano, verso Nord si notano le colline del Montello e la Pedemontana della Marca, dove si è sviluppato uno dei motori della Grande Città, la capitale delle
piccole imprese, ma dov’è cresciuta anche un’agricoltura specializzata nella viticoltura,
Veduta della zona industriale di Marghera
con il ponte strallato
The Marghera industrial zone
and the cable-stayed bridge
15
defined, in the top ten fastest-growing
metropolitan economies of the world.
The “City Region” with its population of
2.6 million, enjoys an economic growth
rate which can be compared to those of
London, Stockholm or Houston. Moreover, in the “miracle decade” between 1995
and 2005, the growth rate of the area
which we normally refer to as “PaTreVe”
has sped at double the rate of Stockholm
and three times as fast as New York, with
productivity levels comparable to Frankfurt, London, Munich and Tokyo. These
data are significant, since throughout the world the great metropolitan areas are the
driving force of global integration and are the key to economic, social and cultural development.
The numbers help us make sense of the territory, to understand its potential. However,
its unity stems above all from the fact that, as a Metropolitan City, it has no hinterland, or
rather, it is not so centralised that everything is concentrated in a single location. In this
sense, it is a city comprised of both developed and open spaces, co-existing in close proximity, but with different functions. It draws its strength from this rich context which is
comprised of highly urbanised areas and industrial zones, adjacent to agricultural land
and natural landscapes of great importance, such as that of the lagoon. By this reasoning, the lagoon is not simply an expanse of water extending over five hundred square
kilometres, but rather an extraordinary “ecosystem”, full of potential. A key strategy of
the Great City, defined in this way, is that each element in its matrix of landscapes is indispensable and complementary to the others, so that the important centres of Venice,
Mestre, Padua and Treviso harmoniously co-exist.
The metropolitan transportation system is still poorly integrated, but the opening of
the new motorway link between Mira and Quarto d’Altino and the implementation of
the new metropolitan regional railway will help to improve connections further, lending
more substance to the reality of the “City-Region”.
But if this area has something special, it owes much to what can be seen from the top
floor of one of those tower-blocks - the engine of the “City-Region”, as it was described
by the OECD. Only rarely does a city present such a wide variety of panoramas and horizons as Mestre. The views reveal history, different land-uses, as well as infrastructure.
And it is all to hand. We could start with Venice, with whom Mestre alone has such a
close relationship as to be one and the same. But there is much more.
Over there, near Tessera, is the airport, where at peak times an aeroplane takes off or
lands every two minutes, making it Italy’s third busiest airport. The high speed train
will arrive here, and this is where the Quandrante di Tessera will be created. The latter
will comprise an area for commerce and offices, adjacent to sports and leisure facilities
including a new stadium and a new home for the Casino - resources of strategic importance for the overall growth of the “City-Region”.
The edge of the lagoon, suspended between land and sky, wends its way to Fusina; this
thirty-kilometre stretch of waterfront represents the most important opportunity for
the territory. This waterfront constitutes an unique “ecosystem”, like none other in the
world, which comprises the airport on one side, and on the other side the port, an industrial zone covering two-thousand hectares occupied by 700 business providing employment for 14,000 people. Mid-way along is the stretch of urban waterfront which connects the mainland to Venice’s historic centre through the corridor of Via Torino, and
the areas of San Giuliano Park and the VEGA science and technology park.
We can turn our gaze to follow the winding course of the waterfront as it goes south towards Porto Marghera. In the foreground are the giant cranes of Fincantieri, the modern-day Arsenale, where great ships are constructed in a shipyard which uses the latest
technology together with an international workforce. Beside the shipyard are the docks
where ships arrive from all over the world. Beyond, you can clearly see the fiery flues
and chimneys spewing steam of the petrochemical plant. Much of this area is to be converted for new uses, in particular for logistics operations, once the knotty problem of the
clean-up of contaminated land is resolved once and for all. This issue has paralysed the
regeneration of the Porto Marghera area for at least two decades.
Porto Marghera is an immense area, a piece in the history of Fordian production techniques, but it is also testament to the political and social history of the twentieth century.
We are not done yet. Farther away, to the north, we can see the Montello and Pedemontana hills of the Marca region, where another of the engines of the Great City is located.
Not only is this the capital of small business, but here flourishes a world-beating viticulture and wine-production industry. Further north still, we can clearly see the outlines
of the Dolomite mountain range, which are covered in snow in winter. But of primary
importance, beneath the Euganean Hills, lies Padua, one of the great strengths of the
16
Mestre e il suo contesto / Mestre and its context
tra le prime nel mondo. Sempre a Nord si vedono con nitidezza i profili delle Dolomiti, in
inverno bianchi di neve. Ma è prima, sotto ai Colli Euganei, che c’è Padova, uno dei punti
forza della Città Metropolitana, così concepita. Un territorio integrato, tenuto assieme
da un sistema autostradale e da uno snodo ferroviario, tra i più infrastrutturati del Nord
Italia, che convergono su Mestre.
Più si avvicina lo sguardo e meglio si mettono a fuoco i luoghi urbani più familiari che
connotano il centro di Mestre. Da piazza Barche parte quel pezzo di waterfront che arriva da Venezia e penetra in città toccando il Parco Scientifico Tecnologico, il polo universitario in fieri di via Torino, a poca distanza da dove campeggia il Laguna Palace, uno
dei segni architettonici più significativi della rinascita di Mestre. Eppoi continua costeggiando l’area straordinaria di Forte Marghera e il Parco di San Giuliano, uno spazio verde
di 74 ettari, nato su un’ex discarica industriale, che si affaccia sulla laguna, davanti a Venezia. Quasi a rimarcare il fatto che la città è una sola e sta attraversando una stagione di
grandi trasformazioni, che interessano in particolare la parte più interna di Mestre, ben
visibile dal nostro punto di osservazione.
Una città che nel Novecento ha conosciuto diverse migrazioni che hanno segnato profondamente l’identità e la composizione sociale della popolazione. Prima con l’immigrazione interna, negli anni del boom economico, adesso con i flussi di stranieri.
Oggi, oltre il 10 per cento della popolazione residente proviene dall’estero (da oltre 10
paesi differenti). Una crescita costante, se solo nel 2004 i migranti stranieri erano il 5,2
per cento. In questa composizione variegata si ritrova il carattere metropolitano di Mestre, una città popolata di minoranze che cercano quotidianamente di trovare un orizzonte comune.
In questo contesto, risulta superato anche il dibattito sulla ricerca dell’identità mestrina. Non c’è un “mitico” passato da recuperare, basta “riconoscere” la città che viviamo
tutti i giorni per ritrovarsi e cogliere il carattere autentico di una realtà metropolitana,
frutto di quasi un secolo di storia.
In questo senso Mestre è una città moderna, aperta al nuovo, che trova punti di contatto
con le grandi metropoli.
Negli ultimi tempi Mestre attraversa una stagione di crescita anche per numero di
abitanti, all’interno della “Città-regione”. La popolazione, dopo aver superato quota
200.000 alla fine degli anni settanta, era scesa nel 2002 sotto la soglia dei 175.000. Da
qualche anno ha ripreso a crescere, tornando sopra i 180.000 abitanti. E le proiezioni
per il futuro confermano questo trend. Ma soprattutto oggi la popolazione di Mestre è
costituita da city users in costante aumento, tanto che si stima che solo dalla provincia di
Venezia entrino a Mestre ogni giorno circa 26.000 persone.
Migliaia di persone che si muovono in un reticolo di strade e marciapiedi, dove dietro a
ogni angolo si trova però la conferma di come Mestre stia ancora scontando gli effetti di
quell’idea “periferica” di città, che è stata la bussola dello sviluppo scriteriato del Novecento. Un modello di sviluppo, che ha prodotto come prima conseguenza, la costruzione
di un’edilizia “periferica”. Ovvero una cattiva edilizia, che si traduce, ancor oggi, in un
patrimonio abitativo molto vecchio, costruito per oltre il 60 per cento tra il 1946 e il 1971
e con 8.800 alloggi classificati in pessime condizioni. In quest’ottica, nell’ambito di un
ciclo virtuoso di rigenerazione urbana, in parte già avviato, Mestre deve poter seguire
le politiche di sviluppo sostenibile attuate con successo in molte città del Nord Europa.
Nel 2010 Stoccolma è stata premiata come Capitale Verde dalla Commissione europea,
Metropolitan City as it has been conceived. This integrated territory, is held
together by the motorway systems and
railway networks (which benefit from one
of the best infrastructures of Northern
Italy) which converge on Mestre.
The closer we look, the better we can focus on the more familiar urban locations
which connote the centre of Mestre. A
stretch of Venetian waterway penetrates
the centre of Mestre, from Piazza Barche
it passes the Science and Technology Park,
the site of the new university campus under construction in Via Torino, and continues near the new Laguna Palace Hotel
(one of the most significant architectural
landmarks to herald the revitalisation
of Mestre). It then wraps its way around
the extraordinary area of Forte Marghera
and the San Giuliano Park, a seventy-four
hectare green space created on a former
industrial landfill site which faces Venice
across the lagoon, as though to emphasise that the city is a single entity which is
undergoing an important period of transformation, particularly in the centre of
Mestre, as can readily be seen from our
Veduta del centro di Mestre
Mestre city centre
vantage point.
In the twentieth century the city experi Veduta di Piazza Ferretto
enced several waves of inward migration Piazza Ferretto
which has had a profound effect on the
Veduta di Piazza Barche con il tratto
identity and social composition of its population; in the first instance with the inter- finale del Canal Salso
Piazza Barche and the final stretch
nal migration of Italy’s economic boom of of the Canal Salso
the 1950s and ’60s, and now with the influx of foreign migrants. Today, more than
10% of the resident population comes from abroad (from over ten different countries of
origin), and this upward trend continues, given that in 2004 the proportion of foreign
migrants stood at just 5.2%. It is in this picture of diversity that the metropolitan character of Mestre can be found; it is a city populated by minorities who daily seek to find a
common horizon. In this context, it can be seen that the debate around the search for a
“Mestrian” identity has been superseded, for there is no mythical past to be recovered,
rather, it should suffice to recognise the city that we live in every day to find and capture
the authentic character of that urban reality which is the result of almost a century of
history. In this sense, Mestre is a modern city, open to new ideas, and has much in common with great metropolitan cities.
In recent years, Mestre has also experienced a period of growth in the overall number of
residents. Having reached its peak of 200,000 at the end of the 1970s, the population of
Mestre had declined to under the 175,000 level by 2002. In the last few years, the population has started to grow again, to return to over 180,000. The projected figures for
the future confirm this upward trend. Moreover, today the population of Mestre is also
constituted of growing numbers of “city users”, such that estimates indicate that about
26,000 people come into Mestre every day from the Venice provincial district alone.
Thousands of people move through a network of streets and paths where, around every
corner, are reminders that Mestre is still paying the price of the “city suburb” concept the only guiding principle which applied when Mestre underwent the mindless development of the twentieth century. The consequence of this model of urban development was
“suburban architecture”, or, rather, low-quality construction, which means that today
we are left with very old housing stock, over 60% of which was built between 1946 and
1971, with 8,000 dwellings classified as being in very poor condition. Given this situation,
Mestre should be permitted to follow the sustainable development policies which have
already been implemented successfully in many cities in Northern Europe, to enter the
virtuous circle of urban regeneration which, to some extent, has already begun.
In 2010 the European Commission awarded Stockholm the status of European Green
Capital. Stockholm presented an urban model premised on environmental sustainability, where ecology and development are kept in equilibrium, guaranteeing an improved
quality of life which is measured through a series of green indicators, from low-energy
housing, to the location of homes to within three hundred meters of parkland, and the
use of public transport by 80% of the population at peak times. In 2011 the winning city
Mestre e il suo contesto / Mestre and its context
presentando un modello urbano fondato sulla sostenibilità ambientale nel quale ecologia
e sviluppo stanno in equilibrio, garantendo un’elevata qualità della vita certificata da una
serie di indicatori “green”, a cominciare dalle abitazioni a basso impatto energetico e i
parchi pubblici a trecento metri da casa e con l’80 per cento di persone che usa i mezzi
pubblici nelle ore di punta.
Nel 2011 la città vincitrice sarà Amburgo, ma sono molte le città a cui ispirarsi. Ad esempio Friburgo, in Germania, che ha più o meno lo stesso numero di abitanti di Mestre, e
costituisce una città all’avanguardia in Europa in tema di economia sostenibile. E pensare che a Friburgo la cultura ambientale ha iniziato a crescere negli anni Settanta in
seguito a una protesta contro l’installazione di una centrale nucleare.
Nel terzo millennio a Mestre la cultura del riscatto è un patrimonio acquisito, che ha già consentito di conseguire obiettivi importanti, come la realizzazione del Parco di San Giuliano.
Ma per continuare a crescere in questa direzione, qualificandosi come città delle opportunità, il modello non può che essere lo sviluppo sostenibile del Nord Europa, partendo
da un progetto concreto di riqualificazione del patrimonio edilizio e di pulizia dei siti
industriali dismessi di Porto Marghera.
La Città Nuova non può che nascere su queste basi. Perciò diventa strategica l’opera di
rigenerazione urbana prevista nel centro di Mestre. Una Città più Ecologica, in linea con
i parametri internazionali che hanno consentito a Stoccolma di diventare Capitale Verde, si costruisce anche così.
Grazie all’apertura del Passante autostradale, all’entrata in funzione del tram e del Sistema ferroviario metropolitano regionale, Mestre è destinata anzitutto a diventare una
città più permeabile. Si tratta di un momento epocale che, a regime, consentirà di passare da una città “inaccessibile”, ostaggio permanente del “valico” della tangenziale, ad
una città “accessibile” con i mezzi pubblici. Una rivoluzione che consentirà al centro di
Mestre di essere raggiungibile in tempi ragionevoli da ogni parte della Città Metropolitana, favorendo la circolarità di persone e la conseguente rivitalizzazione del centro.
Un trasporto pubblico efficiente si sposa alla perfezione con il piano di riqualificazione
urbana del centro in via di definizione che prevede la riconversione a uso residenziale
dell’area dell’Umberto I, il recupero dell’asse compreso tra Forte Marghera, piazza Barche, via Poerio e Riviera XX Settembre e ruota attorno alla realizzazione di un vero e
proprio “distretto” della cultura con al centro M9, il Museo del Novecento che sarà operativo nel 2014 e diventerà il motore di una rete di luoghi della cultura, che comprendono la biblioteca comunale in corso di ristrutturazione in Villa Erizzo, il Centro culturale
Candiani, Villa Settembrini, il Teatro Toniolo e la Torre civica. Un “distretto culturale
evoluto” può essere il motore di un riposizionamento funzionale del territorio così da
ingenerare attività nuove e sussidiarie necessarie per potenziare l’impatto del processo
di rivalorizzazione di tutto il centro cittadino all’interno di una zona pedonale riqualificata che, una volta realizzata, sarà decisiva per assegnare, prima ancora che una “nuova”
funzione al centro di Mestre, una “nuova” anima. Il centro di una “città intelligente”,
una smart city nella quale le dimensione della mobilità, dell’ambiente, della cultura e del
turismo si sposino un quadro di trasformazioni urbane realizzate per migliore la qualità
della vita degli abitanti.
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will be Hamburg, but there are many cities from which we can draw inspiration.
For example, Freiburg in Germany, which
has more or less the same population as
Mestre, is one of the leading cities in Europe in terms of its sustainable economy.
And to think that the environmentalist
culture started to take hold in Freiburg in
the 1970s following protests against the
installation there of a nuclear power plant. In the Mestre of the third millennium, the
regeneration culture is a resource which
has already helped the city achieve important goals, such as the creation of San
Giuliano Park. But to continue to grow in
this direction, and to make the grade as a
city of opportunity, the only model to follow is the Northern European one of sustainable development, starting with the
rehabilitation of the built environment
and the cleaning up of the disused industrial sites at Porto Marghera.
Only on this basis can the new city be created. For this reason, the urban regeneration project which is planned for the
centre of Mestre is crucial. A greener city,
designed according to the international
Veduta aerea di Forte Marghera
criteria which saw Stockholm become Aerial view of Forte Marghera
European Green Capital, can be built in
Il Canal Salso nella zona di viale Ancona,
this way. Thanks to the opening of the new sullo sfondo il Laguna Palace
motorway link, the implementation of the Canal Salso near viale Ancona,
tram system and the new metropolitan with the Laguna Palace in the background
regional railway, Mestre is destined to be Veduta aerea della tangenziale di Mestre
come, above all, a more porous city. It is an Aerial view of the Mestre ring road
epoch-making moment, which will gradually allow Mestre to change from being an
“inaccessible” city, a hostage to its clogged bypass, to being made accessible by means of
public transport. This revolution will make the centre of Mestre reachable in reasonable
time from every corner of the Metropolitan City, encouraging the movement of people
and, in consequence, will revitalise the city centre.
An efficient public transport network will be perfectly integrated with the regenerated city centre. The details of the urban regeneration project are still being drawn up,
but it entails the conversion of the area of the former Umberto I hospital to residential use, and the regeneration of the axis which extends from Forte Marghera, through
Piazza Barche, Via Poerio, Riviera XX Settembre, and the Umberto I area, to wind its
way around the site of a brand new cultural district. At its centre will stand the M9, the
Museum of the Twentieth Century, which will open its doors in 2014, and will become
the driving force of a network of cultural venues which will comprise the city library at
Villa Erizzo, where refurbishment is underway, the Candiani Cultural Centre, Villa Settembrini, the Toniolo Theatre and the Clock Tower. An “evolved cultural district” can
drive forward the functional repositioning of the territory, stimulating new enterprise
and ancillary services and thereby intensifying the effect of the regeneration process on
the whole of the city centre. It will be set in a revitalised pedestrian zone which, once
realised, will prove decisive in giving back a soul to the centre of Mestre – and this will
prove to be of paramount importance, even more than its new function – to create the
centre of a “smart city” where aspects of mobility, environment, culture and tourism
are integrated within a framework of urban changes which are designed to enhance the
quality of life of the populace.
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Mestre e il suo contesto / Mestre and its context
Architetture a Mestre
a colpo d’occhio
Mestre architecture at a glance
Renata Codello
Quando nel 1926 viene sancita l’annessione amministrativa di Mestre a Venezia
pensando a una “naturale” complementarietà tra la città insulare e la terraferma,
viene di fatto segnato anche un programma di sviluppo a scala territoriale che assegna a Marghera e Mestre la funzione
produttiva e residenziale ed esclude la
città di Venezia da un sistema produttivo
vero e proprio.
L’espansione rapida e massiccia di tutti
i centri di terraferma non avviene sulla
base di una pianificazione territoriale e
urbanistica efficace, anche se il piano regolatore del 1934 aveva indicato una serie
di relazioni urbane che avrebbero dovuto
generare un proficuo rapporto tra i nuclei
di Marghera, Mestre e la città insulare.
Visti dalla terraferma, gli studi urbanistici di Piccinato, Samonà, Trincanato che
portarono, tra il 1949 e il 1963, alle realizzazioni di viale San Marco e alle indicazioni di
espansione della città verso i bordi lagunari, erano assai ricchi di indicazioni programmatiche tant’è che nel 1958 si sviluppa un ampio dibattito disciplinare sul tema del nuovo insediamento delle Barene di San Giuliano. E, ancora, è del 1964 il concorso per la
nuova sacca del Tronchetto a dimostrare la forte potenzialità dell’ampio “spazio intermedio” che ancora oggi rappresenta fisicamente il luogo della complementarietà tra i
due centri di un’unica grande realtà urbana.
In questo contesto, deve essere ricordato che, soprattutto con l’edificazione del secondo
dopoguerra, sono state completamente stravolte le tracce storiche più significative presenti nelle aree di espansione. Demolite porzioni di edilizia storica, interrati i canali che
comunque costituivano dei sistemi ordinatori del territorio sia dal punto di vista fisico
che sotto il profilo della funzionalità idraulica, cancellate le tracce e le testimonianze
materiali della Mestre medievale e delle epoche successive. Si è trattato di un costante e
continuo impoverimento del rapporto con l’esistente; oppure – secondo altre interpretazioni di questo complesso sistema di fenomeni – della negazione di un possibile rapporto con il luogo e la storia là dove le sue tracce si presentavano più deboli, con questo
assegnando a Venezia il compito di indiscusso testimone di dieci secoli di vicende. Non
solo, la rapidità e la dimensione dello sviluppo edilizio erano di per se stesse in conflitto con qualunque elemento già esistente sul territorio non ancora edificato. Le regole
ferree dell’espansione edilizia non ammisero impedimenti e, meno che mai, vennero
intralciate da tratti di mura antiche, elementi di passate fortificazioni, reperti archeologici, impronte del territorio agrario. A questo si aggiunse una scarsa consapevolezza
del valore delle testimonianze materiali presenti e sopravvissute. Solo in anni recenti,
gli studi condotti in discipline quali l’archeologia urbana, l’analisi dei suoli, l’urbanistica
storica, il paesaggio e i segni del disegno
del territorio, hanno restituito una visione
Complesso Umberto I previsto
nel centro di Mestre
ampia e integrata di ampie zone del terri Umberto I complex planned
torio veneto.
for the centre of Mestre
Le questioni sono, ovviamente, molto più
complesse e numerosi studi su questi temi
Nuovo Ospedale dell’Angelo
ne danno ampio riscontro, ma è pur vero
New Ospedale dell’Angelo (hospital)
When approval was given in 1926 for the City of Venice to take over the municipality of
Mestre, it was thought that the island city and the mainland town would naturally complement each other. This concept was signalled in a local development plan which assigned to Marghera and Mestre industrial and residential functions respectively, while
Venice would be denied a productive role in the proper sense.
The massive and rapid expansion of all the mainland urban centres was not founded on
sound and effective town planning principals, despite the fact that the 1934 regulatory
plan had designated a series of urban relationships which should have engendered fruitful synergies between the centres of Marghera, Mestre and Venice.
Between 1949 and 1963 the town planning projects of Piccinato, Samonà and Trincanato brought about the construction of Viale San Marco and proposed the development
of the mainland city to the edges of the lagoon. For the mainland, their work had thus
provided ample programmed direction, and in 1958 gave rise to a broad debate in the
discipline on the theme of a new settlement in the Barene San Giuliano area. Further, in
1964 the competition was held for the construction of the new Tronchetto island, demonstrating the strong potential of this extensive “mediating space”, which today remains
the meeting point of the two complementary centres and is where they merge to form a
large, unified urban reality.
With this in mind, it should be remembered that some of the city’s most important
historic features were devastated to allow for urban expansion, especially in the postwar period. Sections of historic structures were demolished, canals were in-filled (even
though these were important organising features of the landscape, significant both for
their physical form as well as their function as waterways), so the traces and material
evidence of Mestre’s medieval and later history were erased. There was a constant and
continuing erosion of the relationship between past and present. Or, according to other
interpretations of this complex system of negation, any relationship between the place
and its history was denied where those traces were relatively weak, and this role was instead assigned to Venice, as the indisputable witness to ten centuries of history. Moreover, the scale and pace of development would in themselves threaten any pre-existing
features of the areas which had not already been redeveloped.
The prevailing dogma in the period of expansion was that no obstacle should stand in
its way, so much less would the developers be hampered by sections of ancient city wall,
parts of historic fortifications, archaeological remains or the remnants of agricultural
activity. This was compounded by a scant awareness of the value of surviving material
evidence. It is only in recent years that academic studies in the disciplines of urban archaeology, soil analysis, town planning history, and in landscape and its design, have reconstructed a more fully integrated picture of extensive areas of the Veneto.
Mestre e il suo contesto / Mestre and its context
che, per alcuni decenni, queste contraddizioni sono state tenute insieme dalla produzione industriale in quanto capace di
essere fonte di coesione e di sviluppo per
la collettività. Altri territori della regione
del Veneto, pur in diversi contesti, presentano fenomeni urbani simili a quelli
accennati perché è il tracollo industriale
di alcune produzioni a “liberare” enormi
aree di territorio, a radicalizzare la crisi di
un modello di sviluppo che non ammette
salvataggi, a imporre la ricerca di altre coordinate di orientamento in una logica più
ampia di relazioni territoriali.
In questi ultimi anni, Mestre sta facendo
un grande sforzo, per riconoscere e ricostruire la propria struttura. Interventi di
riqualificazione degli spazi pubblici come
piazza Ferretto, piazzale e centro culturale
Candiani, unitamente agli interventi realizzati a Marghera da piazza Sant’Antonio
a piazzale Concordia; il restauro di importanti edifici storici come il Teatro Toniolo
e Villa Erizzo; la grande riconversione urbana che ha portato alla realizzazione del
parco di San Giuliano; i nuovi interventi
del Laguna Palace e la riqualificazione
di via Ancona, il tribunale dei Minori, il
nuovo ospedale dell’Angelo; la conversione tecnologica attuata con dieci moderni
edifici del parco scientifico e tecnologico
del VEGA.
Parco scientifico e tecnologico VEGA
VEGA science and technology park
Questi esempi sono i primi risultati di sforzi e investimenti economici che affermano
Complesso universitario di via Torino
la vitalità di un sistema e, al contempo, te University complex in via Torino
stimoniano la ricerca di un riscatto a tutto
Il progetto Venice Gateway di Frank O’Ghery
tondo. Le architetture antiche vengono
Frank O’Gehry’s Venice Gateway project
valorizzate in servizi culturali alla città e
contribuiscono a ricucire il rapporto con il
luogo. Le nuove architetture guardano a un
futuro in rapida evoluzione e sono i primi riferimenti di uno sviluppo autonomo e aperto alle relazioni con la grande area metropolitana che include Padova, Treviso e il fronte
orientale del Veneto. Il parco di San Giuliano affronta la dimensione dei rapporti con aree
fortemente degradate eppure capaci di essere rigenerate in spazi verdi, ciclabili, sportivi
e di intrattenimento.
Su tutte la grande sfida della riqualificazione di Porto Marghera dove aree enormi attendono di essere ripensate e offrono l’opportunità di collocare la città di Venezia-Mestre in
una dimensione europea.
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The issues are, obviously, much more complex, as numerous studies have amply demonstrated, but it is indeed true that for some decades certain contradictions were resolved
through industrial activity, which was used as a means of promoting community development and cohesion. Other areas of the Veneto region, although indeed in different
contexts, have presented urban phenomena similar to those noted here; because it was
the collapse of certain industrial sectors leading to the “freeing up” of vast tracts of land,
a crisis deepened by adherence to a model of development which proscribed rescue attempts, which forced the search for another way forward, towards a broader logic in the
development of territorial relationships.
In recent years Mestre has been making great strides in recognising and rebuilding its
structure. Initiatives have included the refurbishment of public spaces, such as Piazza
Ferretto, Piazzale Candiani and the Candiani Cultural Centre, together with interventions in Marghera from Piazza Sant’Antonio to Piazzale Concordia; important historic buildings, such as the Toniolo Theatre and the Villa Erizzo, have been restored;
San Giuliano Park represents an important urban renewal scheme; new developments
include the Laguna Palace hotel, the Juvenile Courts, and the new hospital, Ospedale
dell’Angelo, and Viale Ancona has been redeveloped; technological revolution was
brought about with ten modern buildings in the VEGA Science and Technology Park.
These examples represent the first fruits of endeavour and economic investment which
affirm the city’s vitality and which, at the same time, are witness to the pursuit of its full
recovery. Historic buildings are being given a new cultural role, and contribute by helping to mend the city’s damaged relationship with its location. The new architecture of
the city looks to a rapidly evolving future, and represents the first sign of an open and
autonomous development in relations with the larger metropolitan area which includes
Padua, Treviso and the eastern fringe of the Veneto. At San Giuliano Park the issue of the
city’s industrial wastelands has been tackled, demonstrating how these can be rehabilitated into green spaces for cycling, sports and entertainment.
Above all, there is the important challenge posed by the regeneration of Porto Marghera,
where great expanses of land await re-evaluation and represent an opportunity to set
the city of Venice-Mestre on a European stage.
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M9: motivazioni di un progetto / M9: the reasons behind the project
una fondazione
Per Venezia Metropoli
A Foundation
for the Venice Metropolis
Giuliano Segre
Nel mondo qualsiasi lettura della città di Venezia è, quasi per definizione, ristretta ai
confini della stupenda città storica: ne sono noti e magnificati i palazzi, i ponti, i campanili, le aree pubbliche e gli spazi privati, vi sono variamente frequentati gli oltre quaranta
splendidi musei e il mondo conosce in profondità gli eventi culturali che ogni anno si
dispiegano sulla laguna; ogni pietra di Venezia, da Ruskin in poi, è ovunque nota, censita, celebrata. Tutto intorno a questi pregi invece il nulla, come se i più di 400 kmq che
restano della superficie del quindicesimo più vasto comune italiano fossero deserti. Invece essi ospitano da soli la popolazione della diciassettesima città italiana per numero
di abitanti. Eppure è qui che si stanno configurando i più significativi cambiamenti economici e infrastrutturali del Nord Est italiano. E proprio Mestre, la parte in terraferma
del Comune di Venezia – caso esemplare e paradigmatico delle grandi trasformazioni
occorse nel Novecento, dall’urbanizzazione all’industrializzazione, dalle evoluzioni demografiche e sociali ai cambiamenti paesaggistici e territoriali – sta affermandosi come
centro di gravità di quell’area metropolitana, la cui struttura a rete innerva le province di
Venezia, Padova e Treviso, tra le più produttive dell’intero sistema paese. Nuova capitale
di un’Euroregione che, superando i limiti del Triveneto, si spinge anche oltre i confini
nazionali, la parte di terra di Venezia riporta anche i siti storicamente costruiti sull’acqua a strutturarsi come crocevia imprescindibile nella geografia dei traffici europei.
Pur con un deplorevole ritardo, nel febbraio 2009 si apre un semplice raddoppio autostradale e sboccia una nuova realtà territoriale: cade la localizzazione nella terraferma
della città di Venezia della più forte corrente europea di traffico est-ovest degli anni
duemila e torna l’agibilità del territorio. Si presenta un nuovo volto urbano: circolazione più aperta, penetrazione più facile, allargamento della città dovuto a un massiccio
flusso d’interventi finanziari pubblico-privati orientati verso il nuovo ospedale a nord,
la creazione di un moderno quartiere direzionale, commerciale e universitario a sudest e un intervento di rigenerazione urbana di un ettaro nel pieno centro della città di
terraferma. Ora Porto e Aeroporto (entrambi di grande taglia, essenziale per l’Italia)
portano la città di terraferma subito a contatto con il mondo economico, accoppiando
questa qualità di terziario avanzato sia alla funzione di capoluogo amministrativo e di
terminale mondiale di attività culturali della città storica, sia alla dimostrazione di efficienza prototipale espressa dalla realizzazione del progetto Mose sulla frontiera della
difesa della terra dalle acque.
Su queste considerazioni si chiude l’evidenza del passato sulla storia recente della città di Venezia. Si apre invece il nuovo capitolo di Venezia metropoli: la grande nebulosa
urbano-rurale del Veneto sta trovandovi un punto di unione, quel centro identitario che
coagula un pulviscolo territoriale tutto case, fabbriche e minuscoli appezzamenti coltivati, dove la trama ordinata degli insediamenti preindustriali è stata consumata dallo
sviluppo che ha portato i singoli a ritenere lo spazio comune piegabile alle proprie esigenze funzionali allo sviluppo economico.
Il nuovo punto di aggregazione va definendosi nell’area centrale che connette Padova,
Treviso e Mestre, capiente di quasi due milioni di abitanti, ormai capaci di percorrerla come si transita da un quartiere all’altro in qualsiasi grande città: si tratta di un’area
a lungo frazionata da sentimenti di concorrenza urbana inesistente, che sta per esser
unificata spazialmente dalle aperture del sistema autostradale e della ferrovia metropolitana disegnata dalla amministrazione regionale. A questa realtà ha dato corpo formale
il nuovo Piano Territoriale Regionale di Coordinamento della Regione del Veneto che
finalmente prende posizione individuando nel “bilanciere” Padova-Venezia il principale
centro motore per la realtà veneta contemporanea.
In effetti una forte mutazione è in corso nel territorio, mutazione che avviene intorno e
a fianco della antica Venezia e che fa emergere da uno sconnesso e articolato intreccio
residenziale, industriale e agricolo un altrettanto scomposto assetto unitario in via però
di composizione. Con crescente evidenza si va innervando d’infrastrutture ormai di
Worldwide any reading of the city of Venice is, almost by definition, confined to the perimeter of the historic city: the palaces, bridges, bell towers, public areas and private
spaces are noted and praised, the more than forty wonderful museums are visited and
the world knows about the cultural events which unfold against the lagoon setting each
year; every stone of Venice, from Ruskin onwards, is noted, assessed, celebrated. Instead
surrounding these valuable sites is nothing, as if the 400sq km and more which remains
of the fifteenth largest Italian municipal district contains nothing but wasteland. This is
not the case, in fact the area hosts the population of the seventeenth largest Italian city
in terms of number of inhabitants. And indeed it is here that the most important economic transformations in terms of economy and infrastructure are happening in North
East Italy. It is precisely Mestre, the mainland part of the municipality of Venice – an
exemplary case and a model for the important changes of the twentieth century, from
urbanization to industrialization, from demographic and social evolution to changes
in the landscape and in the territory – that is confirming itself as the centre of gravity
of the metropolitan area. An area whose network structure innervates the provinces of
Venice, Padua and Treviso, amongst the most productive in the country’s entire system.
New capital of a Euroregion which, extending beyond the limits of the Triveneto, pushes
beyond national borders, the land areas of Venice also include sites historically constructed on water to structure themselves as unavoidable crossroads in the geography
of European traffic.
With a regrettable delay, in February 2009 a simple widened motorway was opened and
a new territorial reality unfolded: the localization in the city of Venice’s mainland territory of the most congested European flow of east-west traffic in the twenty-first century
ceased and the territory once again became practicable. A new urban face was presented:
more open circulation, more easy penetration into the area, the widening of the city due
to a substantial flow of financial public-private interventions directed towards the new
hospital in the north, the creation of a modern office district, commercial and university
district in the south-east and an intervention of urban regeneration of a hectare in the
very centre of the mainland city. Now the port and airport (both of massive dimensions,
and essential to Italy) bring the mainland city immediately in contact with the economic
world, coupling its quality as high-tech service industry both to its function as administrative capital and international terminal of cultural activity of the historic city, and
also to its demonstration of efficiency as a prototype, expressed by the realization of the
Mose project at the frontier of the protection of the land from the water.
With these considerations the focus of the past on the recent history of the city of Venice is closed. Instead opens the new chapter on Venice metropolis: the great nebulous
urban-rural area of the Veneto is discovering a point of union, that identifying centre
which brings together a territorial spread of houses, factories and small cultivated areas,
where the format set out by the preindustrial settlements has been consumed by the development which lead individuals to believe common space to be flexible for their own
functional requirements for economic development.
The new point of aggregation is defined in the central area which connects Padua, Treviso
and Mestre hosting around two million inhabitants, and which it is now possible to cross
as if passing from one district to another of any other large city: it is an area long divided
by feelings of inexistent urban competition, which are now being spatially unified by the
opening of the motorway system and the metropolitan train network designed by the regional government. This reality was given form by the new Piano Territoriale Regionale di
Coordinamento of the Regione del Veneto which has now taken a position individualizing
in the Padua-Venice press the principle engine centre for the contemporary Veneto reality.
In fact there is a very strong transformation underway in the area, a transformation which
happens around and next to ancient Venice: and which allows an incoherent unitary arrangement at least in the process of finding composition to emerge from an uneven and
M9: motivazioni di un progetto / M9: the reasons behind the project
dimensione metropolitana un ambito territoriale consistente, la cui perimetrazione,
data dei confini amministrativi, non è interessante ed è anzi fuorviante e irrilevante:
come in ogni esperienza leggibile a livello mondiale non è la guaina amministrativa il
momento creatore della struttura spaziale, ma viceversa è questa che prima o poi dà origine a quella. Non è quindi alle viste – almeno per un tempo consistente – l’esistenza di
un Sindaco metropolitano per questa area in formazione, ma nello stesso tempo modi e
strutture amministrative locali andranno indubbiamente configurandosi su quella scala, soprattutto nella prestazione di quei servizi di pubblica utilità articolati sul territorio.
Una espressione geografica invece può essere individuata in una semplice figura geometrica che traccia sul territorio un esagono, i cui lati sono assai corti, fra i nuclei urbani
di Chioggia, Padova, Castelfranco, Treviso, San Donà, Mestre. Rispetto a questa area la
città storica di Venezia è sia la matrice che un complemento: appare come un elemento
di una città complessa, tanto quanto lo è la struttura storica di Amsterdam rispetto al
Randstad olandese. Esattamente come quella, la “città-anello” veneta non ha un centro,
ma diversi luoghi di evoluzione dell’antica civiltà veneziana che producono forti categorizzazioni lungo l’anello: un’area portuale industriale, un aeroporto intercontinentale,
un luogo delle funzioni di governo e amministrative, una diffusa presenza di PMI nel
contorno, un ambito culturale mondiale, un luogo del design e della moda ed un sistema
universitario di rilievo e un cuore agricolo ancora di un certo rilievo; fra poco anche una
sorta di Afsluitdijk, un globale sistema di difesa a mare qui anche dotato di variabilità
operativa, mentre la Diga olandese è ormai stabile per sempre.
A questa “city-region” – illustrata in un recentissimo studio reso disponibile in contemporanea con l’apertura della Mostra dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo
Sviluppo Economico) – è dedicato lo sforzo della Fondazione di Venezia diretto a investigare il ruolo ed il corpo di questa Venezia Metropoli. All’interno di questo percorso si
iscrive questa Mostra, che raccoglie le prime espressioni formali di un grande progetto
di rigenerazione urbana che abbiamo chiamato (forse solo provvisoriamente) M9, come
verrà spiegato subito qui sotto.
Il progetto esplicita un pensiero epistemologico applicato a quel fenomeno fondazionale che ha caratterizzato il percorso di privatizzazione in Italia delle banche pubbliche.
Quando nacquero come azionisti privati delle banche omonime, le fondazioni bancarie,
orientate per legge alla utilità sociale e allo sviluppo economico, furono viste come soggetti giuridici complessi, di antica tradizione, ma la cui operatività era tutta da definire.
Le fondazioni apparvero a lungo un arnese misterioso: in una società che si evolveva,
esse mantennero per qualche tempo un ruolo passivo di capitalista senza progetto, intriso per di più di antico localismo elemosiniere. Ma recentemente, confortate dalla fondamentale lettura della Corte Costituzionale che le classifica fra i soggetti delle libertà civili, la autocoscienza e la progettualità delle fondazioni presero ad avanzare velocemente.
Così le fondazioni bancarie sono oggi ben lontane dall’immagine collettiva che vi vede – o
vi vedeva – solo dei semplici dispensatori di benevolenti contributi maturati dalle rendite
del capitale investito; nuove e più responsabili iniziative sono state intraprese ed amministrarle richiede un ampio ventaglio di competenze. La Fondazione di Venezia in particolare non è una piccola fondazione, ma vive un contesto nel quale i problemi sono enormi
e il settore dei beni e delle attività culturali vi è certamente sovraesposto. Perciò, per non
perdere il senso di marcia in una realtà così fertile e differenziata, la Fondazione di Venezia ha in questi anni radicalmente modificato le proprie modalità di lavoro trasformandosi in un partner attivo, un nuovo soggetto capace di garantire la filiera della produzione:
dalla progettazione delle iniziative sino alla gestione operativa delle stesse. Respingendo
ogni tendenza al mero mecenatismo, ha rigidamente intrapreso una via imprenditoriale,
consistente nel creare iniziative inedite, di proprio disegno e di diretta gestione.
Il progetto che qui viene presentato ha una origine non troppo lontana alla quale conviene riallacciarsi: cinque anni fa venne presentata su un giornale cittadino la traccia
sostanziale del progetto e a quella si può fare riferimento reperendola nel documento
allegato in calce a questa presentazione.
Da quelle riflessioni, forte della necessità di riqualificare il centro della città di terraferma, è partita la Fondazione di Venezia con il progetto del M9, volto a dotare la terraferma veneziana di un’adeguata, nuova “fabbrica” del sapere, il cui pregio architettonico
contribuisca a rafforzare l’identità mestrina collegata alla fonte veneziana e ai tempi
contemporanei.
Centro multifunzione in cui rappresentare, studiare e interrogarsi sulla modernità, M9
comprenderà una struttura museale dedicata ai grandi mutamenti del ventesimo secolo,
spazi riservati a esposizioni temporanee, una mediateca e un archivio che ne faranno
luogo di studio e ricerca, un auditorium e spazi destinati alla didattica. Le immagini – fotografiche, video e sonore – saranno protagoniste di installazioni e soluzioni espositive
tecnologiche e interattive. I diversi target di visitatori (siano essi in età scolare, studenti
universitari o adulti) potranno selezionare liberamente i temi novecenteschi proposti
nell’esposizione permanente e approfondirli a proprio piacimento o lasciarsi incuriosire dalle esposizioni temporanee dedicate, di volta in volta, ai temi contemporanei del
design, della grafica, della moda o della ricerca scientifica.
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complicated residential, industrial and agricultural web. With growing evidence a large
area of the territory is innervated with infrastructure of metropolitan dimensions, an
area whose external limits, given by administrative limits, is not interesting and is in fact
misleading and irrelevant: as in every legible experience on an international scale it is
not the administrative sheath which is the creating moment of the spatial structure but
rather it is this which sooner or later gives origins to that. The existence of a metropolitan mayor for this area under formation is not in sight, or at least not in the near future,
but certainly local government methods and structures will undoubtedly move towards
this scale, above all in the supply of those services of public utility in the territory.
A geographic expression instead can be identified in a simple geometric figure which
traces a hexagon over the territory, whose sides are short between the urban nuclei of
Chioggia, Padua, Castelfranco, Treviso, San Donà, Mestre. For this area Venice is both
the matrix and a complement: it appears as an element of a complex city, just as the historic city of Amsterdam is for the Randstad in Holland. Exactly in this way the Veneto
“ring-city” has no centre, but rather diverse places of evolution from the ancient Venetian civilization which produce strong classifications along the ring: an industrial port
area, an intercontinental airport, a government and administrative area, an important
international cultural area, a place of design and fashion and a significant university
system and an agricultural heart again of importance; soon there will also be a sort of
Afsluitdijk, a global system of sea defence here however equipped with various operative
possibilities whereas that of Holland is static forever.
To this “city-region” – illustrated in a recent study to be published contemporarily with
the opening of the exhibition by the OECD (Organisation for Economic Co-operation
and Development) – are dedicated the efforts of the Fondazione di Venezia specifically
considering an investigation of the role and the body of this Venice metropolis. Within
this project falls this exhibition which gathers together the first formal expressions of a
huge project of urban regeneration which we have called (perhaps only provisionally)
M9, as will be described below.
The project clearly expresses an epistemological thought applied to that foundational
phenomenon which has characterised the course of the privatisation in Italy of public
banks. When the bank foundations were created as private actions of the banks, directed
by law for social use and economic development, they were seen as complex legal subjects, of a historic tradition but whose effectiveness was still to be defined. The foundations appeared via a mysterious tool: in a society which was evolving, they maintained a
passive role of capitalist without project for some time, infused with an ancient almoners’ local policies. Recently however, helped by the fundamental reading by the Constitutional Court which classified them as amongst the subjects of civil liberty, the self-awareness and the planning abilities of the foundations have taken a decisive step forwards.
In this way the bank foundations are now far from the collective image which we see, or
saw, just as mere dispensers of benevolent contributions matured from the earnings of
invested capital, new and more responsible initiatives have been undertaken and their
administration requires a wide range of skills. The Fondazione di Venezia, in particular,
is not a small foundation and exists in a context in which problems are enormous and to
which cultural activities and goods are certainly overexposed. For this, in order not to
lose its sense of direction in such a fertile and distinct reality, the Fondazione di Venezia
has in recent years radically modified its working methods transforming itself into an
active partner, a new subject able to guarantee the chain of production: from the planning of the initiative to its operational management. Avoiding any inclination to being a
mere patron, it has rigidly taken an entrepreneurial path, consisting in creating unprecedented initiatives, of its own design and of direct management.
The project which is presented here has its origins not far from that to which we shall
return: five years ago the essential outline of the project was presented in a newspaper
which can be found in attachment to this document.
From those deliberations, intense in the necessity of renewing the centre of the mainland city, the Fondazione di Venezia created the M9 project, intended to give mainland
Venice a suitable, new “factory” of knowledge, whose architectural importance will contribute to re-enforce the identity of Mestre connected to its Venetian source and to contemporary times.
A multifunctional centre in which to represent study and interrogate modernity, M9 will
include a museum structure dedicated to the important transformations of the twentieth
century, spaces reserved for temporary exhibitions, a media library and an archive which
will become places of study and research, an auditorium and spaces dedicated to education. The images – photographic, video and sound – will be the protagonists of installations and technological and interactive exhibitory solutions. The various visitor targets
(be they the age of school students, university students or adults) can choose freely the
twentieth century themes proposed in the permanent exhibition and study them more
deeply as they wish or allow themselves to be intrigued by the temporary exhibitions
dedicated to contemporary themes of design, graphic arts, fashion or scientific research.
The alphanumeric code itself groups together the complexity of the intervention and
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Il codice alfanumerico riassume in sé la complessità dell’intervento e le sue caratteristiche
principali: «M» come museo e mostre, come mediateca, come multimediale e multisensoriale, come Mestre, Marghera e metropoli; «9», che contiene anche il «VE» di Venezia,
così come il riferimento al Novecento. E ancora «M» come mall, perché unità commerciali
selezionate e di alto livello saranno parte integrante di M9; i redditi derivati dall’affitto di
questi spazi saranno infatti utilizzati per sostenere finanziariamente l’intero progetto.
Nonostante la Fondazione abbia, ad oggi, previsto un investimento di 100 milioni di
euro, solo attraverso il reperimento costante di nuove fonti di reddito si potrà garantire
la fattibilità economica del palinsesto culturale nel lungo periodo. È inoltre importante
evidenziare come, oltre alle ingenti risorse economiche investite, la Fondazione abbia
deciso di mettersi in gioco in prima persona, fuori da ogni erogazione benevolente che
demandasse ad altri la realizzazione del progetto, strutturandosi invece internamente
per gestire e coordinare tutte le attività necessarie alla creazione del nuovo polo culturale, che verranno svolte attraverso una società strumentale della Fondazione stessa,
denominata Polymnia Venezia, in omaggio alla molteplicità dei temi progettuali.
In questo percorso – nel vivo del quale si è da pochi mesi entrati con l’indizione del concorso architettonico i cui risultati vengono qui presentati per la prima volta – la Fondazione è
accompagnata da tutte quelle istituzioni del territorio, in particolare il Comune, la Regione, le Soprintendenze locali e le Università
veneziane, con le quali è in continuo dialo Articolo pubblicato su La Nuova Venezia,
go e che fin dal primo momento, nell’ormai
pp. 1 e 14, del 30 luglio 2005
lontano 2005, hanno condiviso gli intenti e
Article published by La Nuova Venezia,
garantito costante sostegno al progetto.
pp. 1 e 14, 30 th July 2005
its principle characteristics: “M” for museum [and exhibition, in Italian mostra], a media library, for multimedia and multisensory, for Mestre, Marghera and metropolis; “9”
or nove, which also contains also the VE of Venice, as the reference to the novecento or
twentieth century in Italian. And again “M” for mall, because selected commercial high
quality units will be an integral part of M9; the rent derived from these spaces will be
used as the financial support for the whole project.
Notwithstanding that the Fondazione has foreseen an investment of 100 million Euros,
only via the constant locating of new sources of financial support can the economic viability of the cultural schedule be guaranteed in the long term. It is also important to
highlight that, in addition to the considerable economic resources invested, the Fondazione has decided to be involved in the first person, outside of any benevolent donation which might ask others to realise the project, structuring itself instead internally to
run and coordinate all of the necessary activities for the creation of a new cultural centre, which will be carried out via an instrumental society of the Fondazione itself, named
Polymnia Venezia in honour of the multiplicity of the planning themes.
In this journey – active in that just a few months ago that the architectural projects were
requested and the results of which will be presented here for the first time – the Fondazione is accompanied by all of the institutes of the territory, in particular the Comune
di Venezia, the Regione del Veneto, local Soprintendenze and the Venetian universities,
with whom it is in continuous dialogue and which from the now distant start in 2005,
have shared the intentions and guaranteed constant support to the project.
M9: motivazioni di un progetto / M9: the reasons behind the project
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Istituzioni culturali
e rigenerazione urbana
Cultural Institutions
and Urban Regeneration
Giuseppe De Rita
Se guardo la lunga marcia che ha portato la Fondazione di Venezia a impegnarsi su Mestre con un investimento senza precedenti su M9, mi viene spontaneamente da ricordare la lunghissima marcia che le fondazioni di origine bancaria hanno compiuto per
rivendicare il loro ruolo di “big players” nello sviluppo economico e sociale dei loro territori di riferimento.
Sono lontani i tempi in cui le autorità di governo pensavano che le fondazioni dovessero
occuparsi solo di interventi culturali e assistenziali, magari a supplenza o sostituzione
di un calante intervento pubblico; e fummo in pochi (quorum Segre ed io) a mantenere
salda l’idea che le fondazioni fossero attivamente partecipi dello “sviluppo locale”. Oggi,
guardando a come Segre e la sua Fondazione di Venezia hanno operato per la valorizzazione della realtà mestrina nei suoi complessi rapporti con il sistema del Nord Est,
posso da un lato rivendicare il fatto che avevamo ragione nella dialettica sopra citata, ma
devo soprattutto sottolineare che c’è la prova che le istituzioni culturali possono avere
un ruolo essenziale nei processi di evoluzione economica, di integrazione sociale, di costruzione identitaria del territorio in cui operano.
Non è inutile a tale scopo esplicitare come si è articolato nel tempo il cammino della
Fondazione di Venezia verso la scommessa di M9. Non c’è dubbio che la prima attenzione è stata verso il centro storico veneziano e verso accordi di collaborazione con le
sue più tradizionali e importanti istituzioni culturali, dall’Accademia alla Querini Stampalia; ma essa si è progressivamente ampliata verso i complessi rapporti della città con
il suo retroterra, sia quello più prossimo della gronda lagunare sia quello più ampio e
del Nord Est, da Verona fino ai confini orientali del Paese. Di questa attenzione ne sono
stato personalmente spettatore e in parte anche attore, con l’attività che Venezia 2000
dai primi anni ’90 ha svolto (con il determinante sostegno della Fondazione di Venezia)
per capire in termini congiunti Venezia, la gronda e il retroterra veneto; e sono molto
contento che con M9 l’impulso culturale dei tanti con cui ho lavorato si coaguli oggi in
un impegno che esplicita l’aspirazione di Mestre a essere città capitale del Nord Est.
Un’aspirazione questa che non è pura ambizione. Essa si basa infatti sulla sua collocazione geografica, sulla sua dotazione infrastrutturale e logistica, sulla sua capacità di essere
“cittadella” (della cultura non meno che dei servizi collettivi); e che si lega a una più intima consapevolezza della realtà mestrina, quella di poter essere il tornante (anche se
solo locale) di saldatura del nuovo secolo con la storia del ’900, storia di conflitti pesanti
fra industria e ambiente, fra grande capitalismo e classe operaia, fra orgoglio del passato
e insecuritas del presente. Non a caso M9 si dà assi tematici di storia sociale, economica,
urbana, ambientale, culturale.
Ci sono quindi le condizioni che, come la Fondazione di Venezia ha fatto su Mestre opera
di sviluppo del territorio, sulla stessa lunghezza d’onda M9 svolga un ruolo analogo, giocato prevalentemente nella costruzione dell’identità mestrina (anche nelle ambizioni di
capitale), nella crescita di qualità del tessuto urbano, nella progettazione degli obiettivi
futuri della comunità. Dimostrando così che le istituzioni culturali, quando sono vive
e attente a quel che avviene loro intorno, possono davvero diventare dei “big players”
della dinamica socioeconomica, locale e non solo.
If I look at the long march that resulted in the Fondazione di Venezia committing to
Mestre with the unprecedented M9 investment, I immediately think of the extremely
long march made by banking foundations before they were acknowledged as “big players” in the economic and social development of their areas.
It is a long time since the governing authorities believed foundations should only concern themselves with cultural and charitable activities, perhaps to supplement or replace dwindling public intervention. Not many of us (i.e. Segre and me) were firmly convinced that foundations should play active roles in “local development”. Today, seeing
how Segre and his Fondazione di Venezia have worked to promote Mestre and its complex relations with the whole northeast, I can say that we were right in the aforementioned discussion although I must, above all, stress that this proves that cultural institutions can, indeed, play a crucial role in the economic development, social integration
and construction of an identity of the area in which they operate.
To this end, it is helpful to explain how the Fondazione di Venezia came to take the M9
gamble. Unquestionably, it was initially drawn towards Venice city centre and joint ventures with its traditional and leading cultural institutions, from the Accademia to the
Querini Stampalia foundation. However, the focus gradually panned out towards the
city’s complex relationship with its hinterland, both that closest to mainland Venice and
the broader northeast area from Verona to Italy’s eastern borders. I, personally, have been
a witness and, to some extent, a player with the activities of Venice 2000, launched in the
early 1990s (with the essential backing of the Fondazione di Venezia) to gain an understanding of Venice, its mainland and the hinterland as a whole. I am delighted to see the
cultural drive of the many with whom I have worked gelling today in M9, a commitment
that clearly expresses Mestre’s aspiration to become the capital of north-eastern Italy.
This aspiration is no mere ambition. It is based on its geographical location, infrastructure and logistics, on its ability to be a “bastion” (of culture as much as of public services)
and is linked to a deep-rooted awareness of the role Mestre can play in forging a (perhaps
only local) link between the new century and the history of the 20th century, a history of
serious conflict between industry and the environment, between great capitalism and the
working class, between a pride in the past and the insecurity of the present. It is no chance
that M9 will revolve around social, economic, urban, environmental and cultural history.
Just as the Fondazione di Venezia has developed the Mestre area, it is perfectly possible
for M9 to play a similar role, working on the same wavelength, based mainly on the construction of an identity for Mestre (also for its ambition to become a regional capital),
on the improved quality of the urban fabric and the design of future community objectives. In doing so, it will show that, when they are vibrant and able to see what is happening around them, cultural institutions really can become “big players” in social and
economic dynamics, local and non-.
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M9: motivazioni di un progetto / M9: the reasons behind the project
I numeri di un territorio
The area in numbers
Nando Pagnoncelli
Ipsos ha condotto nel 2008 per conto della Fondazione di Venezia un’indagine sul territorio mestrino, con l’obiettivo di descrivere i tratti distintivi della qualità della vita, così
come percepita dai residenti, e raccogliere le prime impressioni e suggestioni suscitate
dal progetto M9. Nel 2010 l’indagine è stata ampliata con la raccolta degli elementi fondanti il vissuto mestrino.
In entrambe le indagini è stato indagato il parere dei residenti di tutte le municipalità, attraverso gruppi di discussione e interviste telefoniche, coinvolgendo un campione
rappresentativo della popolazione, di professionisti e imprese operativi su Mestre. L’indagine del 2010 è stata dotata di una fase aggiuntiva con la rilevazione e la profilazione
dei passanti in Piazza Ferretto.
Nei due anni di attività sono state condotte circa 2.000 interviste tra popolazione, professionisti e imprese, 8 gruppi di discussioni e una ventina di colloqui in profondità con
importanti esponenti della realtà economica e culturale mestrina.
L’immagine che emerge di Mestre è quella di una città capace di rispondere bene ai bisogni primari dei cittadini, ma ancora priva di una forte connotazione identitaria auspicata dalla popolazione, che vuole (ri)scoprire i punti di riferimento centrali per la città
e per i cittadini stessi. Una città che “non appaga tutti i sensi”, si potrebbe definire una
città in evoluzione, in cerca del proprio corretto posizionamento per migliorare la vita
dei cittadini.
Il centro storico, Piazza Ferretto, è riconosciuto cardine della città di Mestre, seppur
non vissuto come tale. Sono circa 25.000 le persone che passeggiano per il centro storico
settimanalmente, un decimo della popolazione; sono in prevalenza mestrini, senza che
il centro riesca a catturare l’interesse dei turisti che la città ospita in favore a Venezia.
È possibile che lo scarso interesse verso il centro storico di mestrini e non, sia conseguenza del permanere di alcune problematiche che hanno generato un suo sostanziale impoverimento: risulta poco caratterizzato nell’offerta commerciale; è scollegato dal resto della città a causa di problemi legati alla viabilità, al traffico e all’insufficienza di parcheggi;
mancano spazi di socialità necessari alla cittadinanza per riscoprire una propria identità,
per far sentire i giovani parte del territorio, per dare loro modo di viverlo.
Una possibile risposta alle esigenze della popolazione potrebbe provenire dal nascente
M9, progetto che si pone l’ambizioso compito di donare valore e prestigio al centro di
Mestre, offrendo nuovi e differenti spazi. È un progetto che risulta conosciuto alla metà
della popolazione e dei professionisti e imprese intervistati. Se raccontato, suscita un
forte interesse presso la maggioranza dei cittadini senza discriminare fra sesso ed età,
fra lavoratori e pensionati; tutti riescono a intravederne potenzialità, in termini di rafforzamento del legame con la città, opportunità di vestirla di una nuova immagine, prima ancora di un ritorno economico per la comunità: sembra offrire una valorizzazione
che consente identificazione e “inorgoglisce” la cittadinanza. Inoltre M9 risponde alla
necessità di un’offerta culturale e ricreativa che ad oggi è ancora eccessivamente frammentata e disorganica.
Accogliendo una nuova area commerciale, M9 potrebbe rinsaldare l’offerta commerciale ritenuta ad oggi abbastanza adeguata, ma non in grado di rispondere alle esigenze dei
cittadini, parzialmente assorbite dalla “cintura esterna” della città, dove sono sorti negli anni recenti centri commerciali spesso collegati ad altre realtà attrattive. I mestrini
chiedono però un’offerta differente: servizi che mettano al centro la persona e il benessere psicofisico. Un’offerta che non deve coincidere con quella già esistente, ma semmai
essere complementare e sinergica.
M9 ha le potenzialità per essere un progetto per tutti, con delle ricadute positive per la
città, purché siano soddisfatte le aspettative della popolazione rispetto all’esigenza di
vivere il centro storico, attraverso un cambiamento urbanistico coerente col progetto
stesso, restituendo il centro storico ai mestrini e i mestrini al centro storico.
In 2008, Ipsos conducted a survey on the Mestre area for the Fondazione di Venezia,
aimed at determining the distinctive features of the quality of life, as perceived by the local population, and gathering initial impressions and ideas prompted by the M9 project.
In 2010, the survey was broadened to collect basic indications on life in Mestre.
Both surveys explored the opinions of the residents of all the municipalities in focus
groups and telephone interviews with a representative sample of the population, professionals and companies operating in Mestre. The 2010 survey was expanded with an
additional phase that surveyed and profiled passers-by in Piazza Ferretto.
Over the two years, approximately 2,000 interviews were conducted with the population, professionals and companies, and we held eight focus groups and approximately 20
in-depth conversations with leading economic and cultural figures in Mestre.
The picture painted is one of a city that responds well to the primary needs of its population but still lacks a strong identity, something desired by the locals who want to (re)discover the core references for the city and the citizens themselves. It is a city that “does
not satisfy all the senses” and could be described as an evolving city, one that is searching
for a correct positioning in order to improve the life of its people.
The old centre, Piazza Ferretto, is acknowledged as the cornerstone of the city of Mestre although it is not experienced as such. Approximately 25,000 people, a tenth of the
population, walk through the old city centre every week. These are mainly locals and the
centre fails to draw tourists away from Venice.
The scarce interest in the old city centre shown by locals and non- may stem from the
persistence of the problems that generated its major impoverishment: the retail offer is
poorly characterised; it is disconnected from the rest of the city because of circulation,
traffic and inadequate parking problems; and a lack of the social spaces the population
requires to rediscover its identity, make young people feel a part of the area and provide
them with the means to enjoy it.
The nascent M9 may be one possible response to the people’s needs as this project has
the ambitious aim of bringing worth and prestige to the centre of Mestre by offering new
and different spaces. Half the population and the professionals and companies interviewed are aware of the project. When explained, it arouses great interest in the majority of the citizens, with no differences between sex and age brackets, workers and pensioners. Everyone can see its potential in terms of reinforcing the bond with the city and
the chance to give it a new image and also bring an economic return for the community.
It seems to offer an upgrading that will result in an identity and make the locals “proud”.
M9 also responds to the need for a cultural and recreational offer that has so far been too
fragmented and inorganic.
By including a new shopping area, M9 could strengthen a retail offer deemed fairly adequate until now but unable to respond to the population’s needs as they have been partially absorbed by the city’s “outer belt” where shopping centres often linked to other
attractions have appeared in recent years. The people of Mestre are, however, asking
for a different offer – services that are centred on the person and his/her mental and
physical wellbeing. The offer must not match that already in existence but, if anything,
be complementary and synergic.
M9 has the potential to be a project for everyone with positive repercussions on the city,
so long as the expectations of the local population are satisfied in terms of their need
to experience the old city centre via an urban change that is also consistent with the
project, giving the old city centre back to the people of Mestre and the people of Mestre
back to the old city centre.
M9: motivazioni di un progetto / M9: the reasons behind the project
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Il Museo del ’900
The twentieth century Museum
Guido Guerzoni
Le premesse teoriche
Negli ultimi vent’anni il dibattito museologico e museografico si è misurato con avvincenti sfide, tentando di rispondere a nuove istanze; a titolo di esempio, è possibile interpretare, narrare e rappresentare fenomeni storici che hanno coinvolto milioni di sconosciuti, figure ai margini dei grandi avvenimenti, che sovente non hanno lasciato tracce
significative del loro passaggio, né materiale né documentale? Fino a quale estremo livello di astrazione è possibile spingere la tematizzazione di un museo e di una mostra?
Si possono realizzare musei ed eventi espositivi con dotazioni modeste o nulle di reperti,
talvolta neppure originali, lavorando su patrimoni immateriali, editando supporti audiovisivi, creando installazioni sonore e olfattive, rielaborando le informazioni raccolte
da fonti disparate, accomunate dall’assenza di fisicità?
Le risposte fornite a queste domande sono state spesso positive, osservando gli esiti dei
progetti dedicati alle donne, l’infanzia, le migrazioni, le schiavitù, l’olocausto, le guerre,
il lavoro, le colonizzazioni, le culture orali, le minoranze, la biodiversità, il cambiamento
climatico, i diritti umani, la fantasia o la pace, senza dimenticare le sperimentazioni condotte nei science e discovery center, nei children museum e in svariate mostre temporanee.
Queste esperienze comprovano la capacità di trattare felicemente anche grandi antiepopee, fatte di voci corali, volti anonimi e movimenti collettivi – dove il memorabile
non coincide con l’eroico, né lo storico con l’individuale – che necessitano di competenze e allestimenti affatto peculiari.
Infatti non è semplice sceneggiare narrazioni prive di protagonisti riconoscibili, riferimenti puntuali, tracce documentali e oggetti magnetici cui ancorare il percorso di visita,
assicurandosi che rimangano emozionanti, coinvolgenti e persuasive senza perdere il
rigore storico, l’onestà intellettuale e il rispetto della deontologia professionale.
Ciononostante negli ultimi anni la museologia e la museografia sono riuscite con successo
a riportare al centro dell’attenzione temi e fenomeni la cui grandezza, talvolta tragica, è risultata della somma di miriadi di vicende banali, vite modeste, oggetti insignificanti e moltitudini di comprimari irriconoscibili, passati come gocce nel mare della grande storia.
Si è trattato di un’attenzione in qualche misura risarcitoria, stimolata dagli orientamenti delle nuove scienze sociali più soggette di impostazione marxista prima e dei cultural
studies poi, che, di là dai condizionamenti ideologici, hanno comunque aperto una discussione feconda, favorendo la musealizzazione di temi e fenomeni ritenuti indegni di
attenzione sino a pochi decenni or sono.
La museologia ottocentesca e novecentesca ha spesso celebrato le storie, le memorie e i lasciti dei vincitori, privilegiando avvenimenti isolati e personalità eminenti, civiltà evolute
e opere insigni, in una logica rappresentativa ufficialmente scientifica, fondata su oggetti
visibili, cronologie chiare, giudizi certi e gerarchie immutabili, che hanno costituito i capisaldi delle tradizionali forme di allestimento, narrazione e rappresentazione museale.
D’altronde i musei hanno condiviso le predilezioni e le idiosincrasie delle discipline accademiche di riferimento, come giudici di ultima istanza e certificatori del valore culturale di
opere e uomini, eventi storici e fenomeni sociali, fissando i canoni della trasmissibilità intergenerazionale; nella maggior parte dei casi ciò che veniva giudicato indegno di essere conservato, scompariva, spesso per sempre, dagli orizzonti della conoscenza e della memoria.
Ma negli ultimi decenni è cambiato il modo di percepire il cambiamento e di cogliere il
senso e la profondità della storia; viviamo in un iper-presente che ci sfugge e gli oggetti che le memorie collettive vorrebbero tramandare appartengono a un passato sempre
più vicino e sempre meno condiviso. Parallelamente sono caduti gli steccati che dividevano – spesso tutelandole reciprocamente – culture alte e basse, gusti elitari e popolari,
originali e riproduzioni, oggetti analogici e digitali, in un processo che ha comportato la
revisione di principi espositivi vigenti da secoli.
Questa situazione ha convinto, talvolta costretto, i musei e le istituzioni culturali a occu-
Theoretical Introduction
In the last twenty years the debate on museology and museography has been mapped by
engaging challenges, in an attempt to respond to new instances; for example, is possible
to interpret, narrate and represent historic phenomena which have involved millions of
random people, figures on the edge of extraordinary happenings, people who frequently
left no significant traces of their passing, neither material nor documentary? To what
extreme level of abstraction is it possible to drive the thematization of a museum and an
exhibition? Can museums and events be realised with few or no objects, or those which
are not original, working on an immaterial heritage, using audiovisual supports, creating sound and smell installations, re-elaborating information gathered from disparate
sources, united by their absence of physicality?
The answers provided to these questions have often been positive, observing the results
of projects dedicated to women, infancy, migration, slavery, the holocaust, wars, work,
colonisation, oral cultures, minorities, biodiversity, climatic change, human rights, fantasy or peace, and not forgetting experiments held in the science and discovery centres,
in children museums and in various temporary exhibitions.
These experiences confirm the possibility of using anti-epics, made of choral voices, anonymous faces and collective movements – where the memorable does not coincide with heroic, nor the historic with the individual – which require unusual abilities and arrangements.
In fact it is not easy to dramatise narrations without recognisable protagonists, precise
references, documentary traces and magnetic objects with which to anchor the path
through the exhibition, ensuring that the shows are sensational, intriguing and persuasive
without losing a historic rigour, intellectual honesty and respect for professional ethics.
Notwithstanding this in the last years museology and museography have managed successfully to bring to the centre of our attention themes and phenomena whose grandeur,
sometimes tragic, comes from the sum of myriads of banal occurrences, modest lives,
insignificant objects and multitudes of unrecognisable second leads, like drops of water
in the ocean in our great history.
This attention is to some extent one of compensation, stimulated originally by the orientations of the new social sciences, subject to Marxist approaches, and by cultural studies, which
from ideological conditionings have opened a fertile discussion, favouring the musealisation
of themes and phenomena believed unworthy of attention until just a decade or so ago.
Nineteenth and twentieth century museology often celebrated the histories, memories
and the legacies of winners, privileging isolated happenings and eminent personalities,
evolved civilisations and great works, in an representative and officially scientific logic,
founded on visible objects, clear chronologies, certain judgements and unchangeable
hierarchies, which have composed the benchmarks of the traditional form of arrangement, narration and museum representation.
However museums have shared the predilections and idiosyncrasies of academic disciplines of reference as judges and certifiers of the cultural value of works and men,
historic events, and social phenomena, setting the canons of intergenerational transferability; in the majority of cases that which was judged as unworthy of being conserved
disappeared, often forever, from the limits of conscience and memory.
In recent decades the way which we perceive change and receive the sense and depth of
history has changed; we live in a super-present which escapes us and the objects, which
a collective memory would like to pass on, belong to an ever closer past, ever less shared.
At the same time the fences have fallen which divided, and often mutually protected,
one another, high and low culture, elite and popular taste, originals and reproductions,
analogous and digital objects, in a process which has lead to a revision of the principles
for exhibitions which have been used for centuries.
This situation has involved, at times obliged, museums and cultural institutions to con-
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M9: motivazioni di un progetto / M9: the reasons behind the project
parsi di epoche, collezioni e tematiche a ridosso della quotidianità, fornendo strumenti
interpretativi che non hanno la pretesa o il coraggio di fornire giudizi duraturi e offrire letture univoche. Non sono più fondamentali i singoli oggetti e la loro collocazione
all’interno di sistemi classificatori rigidi, ma l’inserimento in contesti narrativi aperti,
che non forniscono una lettura canonica, ma suggeriscono interpretazioni differenti.
Il visitatore, da destinatario passivo dei verbi disciplinari, è diventato un soggetto attivo,
da sedurre e conquistare, lasciandogli una libertà di scelta e, in qualche misura, una parola che non è mai l’ultima.
Per questa ragione non viene privilegiato solo il senso della vista; noi scopriamo e interagiamo con tutti i sensi, ragion per cui le istituzioni di nuova generazione, soprattutto
quelle prive di capolavori e oggetti eccezionali, producono esperienze, emozioni e sensazioni e forniscono informazioni e conoscenze in formati diversi da quelli precedenti.
Questa dimensione conoscitiva può applicarsi, a fortiori, su temi che in passato non erano
nemmeno concepibili: non è un caso che a partire dagli anni settanta, in coincidenza con la
proliferazione degli studi sugli sconfitti, i devianti, le culture popolari e i ceti svantaggiati,
insomma su quanto si collocava ai margini del selettivo cono di attenzione dell’alta cultura
otto-novecentesca, si siano moltiplicati gli sforzi per recuperare il tempo perduto e porre
sotto i riflettori museali quanto e quanti erano rimasti per secoli e secoli nell’ombra o al
buio: milioni di oggetti e individui, senza autori o provenienze, ma ciononostante protagonisti di grandi vicende, che il Museo del ’900 intende far conoscere, ricordare e rispettare.
sider epochs, collections and themes almost contemporary, providing interpretative
structures which don’t have the courage or pretentiousness to present lasting judgments and offer unequivocal readings. Single objects and their placement within a rigid
system of classifiers are no longer fundamental, but rather insertion in open narrative
contexts, which don’t provide a canonical reading but suggest diverse interpretations.
The visitor, once a passive receiver of disciplinarian verbs, has become an active subject,
to seduce and conquest, leaving him a free choice and, to some extent, never the last word.
For this reason the sense of sight is no longer privileged; we discover and interact with
all the senses, and for this the institutes of the new generation, above all those without
“masterpieces” and exceptional objects, produce experiences, emotions and sensations,
and supply information and knowledge in diverse formats to those earlier ones.
This cognitive dimension can be applied to themes which in the past weren’t conceivable: it is not by chance that from the seventies, at the same time as the proliferation
of studies on the defeated, deviants, popular culture and the disadvantaged classes,
on those on the margins of the selective scope of attention of high culture of the nineteenth-twentieth century, that they have multiplied their forces to make up for lost time
and place under the museum reflectors that which had been left in the dark for centuries: millions of objects and individuals, without authors or provenance, but nonetheless
protagonist of great happenings, which the Museum of the 20th century intends to make
known, remember and respect.
Perché il ’900?
Chiacchierando con i miei figli mi sono stati talvolta posti quesiti del tipo: al tempo dei
bisnonni gli italiani era alti o bassi, magri o ciccioni? Quanto e come vivevano? Quanti
figli avevano? Si sposavano tante volte? Che lavori facevano? Quante macchine e televisori possedevano? Dove andavano in vacanza?
Nella loro innocenza queste domande provocano risposte quasi incredibili per bambini
cresciuti nella certezza che computer, cellulari ed elettrodomestici esistano da quando
c’è l’umanità, immersi in un iper-presente che non distingue più tra passato prossimo e
trapassato remoto, tra tempo e tempi. Un computer del 1979, un motorino del 1986, un
cellulare del 1998 o una puntata della prima edizione del Grande Fratello ci sembrano
antichi quanto un fossile pleistocenico o un elmo dell’età del bronzo: oggi la preistoria
inizia l’altro ieri.
D’altronde il senso di vertigine è giustificato dall’accelerazione dei processi di cambiamento; in Italia nel 1901 il tasso di analfabetismo raggiungeva il 56% (nel 2001 l’1,5%)
e quello di denutrizione il 30% (oggi il 33% degli italiani è sovrappeso e il 9% obeso);
l’aspettativa di vita era di 47 anni per gli uomini e 52 per le donne (oggi 78,9 e 84,2); una
famiglia media era composta da 6,2 membri (oggi 2,5) con 4,2 figli (oggi 1,4), sebbene 1
bambino su 6 non arrivasse a spegnere la prima candelina (oggi 1 su 200); le prime quattro cause di morte erano l’influenza, la polmonite, la tubercolosi e la gastroenterite (oggi
il 14% degli italiani di patologie depressive e il 18% di allergie); il tasso di omicidi era pari
a 9,5 ogni 100.000 persone (oggi 1,5); in 110 anni la statura media maschile è cresciuta di
12 centimetri – da 165 a 177 – e il peso di oltre 10 kg.
Nel marzo del 1946 è stato esteso il diritto di voto alla popolazione femminile; nel 1948 su
100 occupati, 45 lavoravano nel settore primario, 30 in quello secondario, 25 nel terziario (oggi sono rispettivamente il 5%, il 28% e il 67%); nel 1949 c’è stata la prima trasmissione televisiva (oggi si trascorrono 3,45 ore al giorno davanti a 32 milioni di TV); nel
1951 le famiglie che avevano l’acqua potabile erano il 35,1% e le case con il gabinetto interno il 40,5%; nel 1954 circolavano 342.000 automobili (oggi sono 36 milioni); nel 1958
le persone che avevano una lavatrice erano 3 su 100, 18 su 100 quelle che possedevano un
frigorifero; tra il 1961 e il 1976 sono emigrati all’estero quasi 3 milioni di italiani (oggi 1
neonato su 6 ha la madre straniera); dal 1972 ad oggi sono dimezzati matrimoni e nascite;
nel 1973 c’è stata l’ultima epidemia di colera e nel 1981 è stato abrogato il delitto d’onore…
È possibile discorrere dei cambiamenti avvenuti in un secolo senza cedere alla retorica
del pathos nostalgico o della logorrea progressista, ma tutelando il pluralismo delle interpretazioni storiografiche e fornendo strumenti che garantiscano la massima libertà
d’analisi? Si può dare una misura al mutamento senza lo scudo di ideologie e pregiudizi,
ma aiutando i propri interlocutori a farsi un’opinione? Ha ancora senso narrare, seppur
in chiave comparativa, una storia nazionale nel secolo in cui le distinzioni tra locale e
globale sono cadute, tra totalitarismi e atomiche, viaggi spaziali e www, guerre e massacri, rivoluzioni tecnologiche e progressi scientifici, cambiamenti demografici e mutamenti sociali di entità mai conosciuta nella storia dell’umanità?
La risposta è positiva, ma sebbene l’Italia vanti oltre 4.500 musei, poco spazio è stato
riconosciuto alle tematiche extra-artistiche del XX secolo – la cui storia è notoriamente
ignorata –, a dispetto di quanto è avvenuto all’estero, dove sono sempre più numerosi i
musei, gli archivi, i centri culturali e le mostre dedicate alla storia sociale, economica, del
lavoro, della tecnologia, dei consumi e dell’industria del secolo appena trascorso.
Un’analoga disattenzione si registra per il patrimonio culturale del ’900, che in Italia non
è riuscito a ottenere le attenzioni che fuori dai confini nazionali sono state giustamente
Why the twentieth century?
Chatting with my children I was asked the following types of questions: when our greatgrandparents were alive were the Italians short or tall, thin or fat? How long and how did
they live? How many children did they have? Did they marry many times? What jobs did
they do? How many cars and televisions did they have? Where did they go on holiday?
In their innocence these questions provoked answers almost incredible for children who
have grown up in the certainty that computers, mobile phones and electrical appliances
have existed since the beginning of Mankind, submerged in a super-present which doesn’t
distinguish between recent and distant past, between time and times. A computer from 1979,
a motorbike from 1986, a mobile phone from 1998 or an episode of the first edition of Big
Brother seem as ancient to us as Pleistocene fossils or a helmet from the bronze age: today
pre-history begins the day before yesterday.
On the other hand the sense of vertigo is justified by the acceleration of the processes of
change; in Italy in 1901 the level of illiteracy was 56% (in 2001 1.5%) and that of malnutrition was 30% (today 33% of Italians are overweight and 9% obese); life expectancy was
47 for men and 52 for women (today respectively 78.9 and 84.2); an average family was
composed of 6.2 members (today 2.5) with 4.2 children (today 1.4) although 1 child in 6
didn’t reach its first birthday (today 1 in 200); the first four causes of death were influenza,
pneumonia, tuberculosis and gastroenteritis (today 14% of Italians have depression and
18% allergies); the level of homicides was 9.5 per 100 000 persons (today 1.5); in 110 years
average male height has increased by 10 cm, from 165 to 177, and weight by over 10kg.
In March of 1946 women received the right to vote; in 1948 in 100 employed people 45
worked in the primary sector, 30 in the second and 25 in the third (today the figures are
5%, 28% and 67% respectively); in 1949 the first television images were transmitted (today an average person watches 3.45 hours a day in front of 32 million TVs); in 1951 35.1%
of families had piped water and 40.5% an inside bathroom; in 1954 there were 342,000
cars on the roads (today 36 million); in 1958 3 out of 100 people had a washing machine,
and 18 out of 100 had a refrigerator, between 1961 and 1976 around 3 million Italians
emigrated (today 1 newborn in 6 has a foreign mother); from 1972 to today the number of
marriages and births has halved; in 1973 the last epidemic of cholera and in 1981 honour
killing was made illegal...
Is it possible to discuss the changes which have happened in a century without falling into
nostalgic pathos or radical verbosity, whilst protecting the pluralism of historiographic interpretations and supplying instruments which guarantee the most complete freedom of
analysis? Can a measurement be given to change without a shield of ideologies and prejudices, instead helping the interlocutor to form an opinion? Is there any sense in narrating,
even in comparative terms, a national history of a century in which the distinctions between
global and local have disappeared, between totalitarianism and atomic, space travel and
www, wars and massacres, technological revolutions and scientific progress, demographic
changes and social transformations of an entity never before seen in the history of Man?
The answer is positive, but although Italy has over 4,500 museums, little space has been
devoted to the extra-artistic themes of the twentieth century – whose history is notoriously ignored- compared to what occurs abroad, where the museums are always more
numerous as are the archives, cultural centres and exhibitions dedicated to the social,
economic, work, technology, industry and consumption histories of the last century.
A similar inattention is seen for the cultural heritage of the twentieth century, which
in Italy has not yet found the attention that this legacy of extraordinary value enjoys
beyond the national borders, as can be witnessed by the striking number of museums
M9: motivazioni di un progetto / M9: the reasons behind the project
tributate a un patrimonio di straordinario valore, come si può evincere dall’apertura di
un impressionante numero di musei e mostre consacrate alla cinematografia, alle produzioni televisive, alla fotografia, alla discografia e alla radiofonia, all’editoria e al giornalismo, al design e all’architettura, alla moda e alla pubblicità, ai fumetti e alla grafica, che
hanno riconosciuto la dignità museale dei beni culturali prodotti nel XX secolo.
Di qui la volontà di colmare questa lacuna, trattando un tema di capitale importanza – la
storia italiana del ’900 – in uno dei luoghi simbolo del XX secolo, con una chiara missione: far conoscere il passato, comprendere il presente e confidare nel futuro.
Perché Mestre?
Chiunque abbia vissuto la coda lunga del secolo scorso ha potuto osservare l’accelerazione dei processi di modernizzazione – talvolta incompiuti e contradditori – che spesso
sono occorsi con una rapidità tale da impedire la comprensione, l’accettazione e la memorizzazione di quanto andava succedendo, soprattutto in un paese antico come l’Italia,
dove tali processi sono stati storicamente tardivi e geograficamente disomogenei; se si
confrontano le Italie del 1971 e del 2001 si stenta a credere che sia potuto accadere quel
che è accaduto.
Il Veneto e la terraferma veneziana rappresentano in questo senso due casi limite, due
luoghi paradigmatici, due laboratori estremi, dove nel bene e nel male l’avvento della
modernità e il sopravvento della post-modernità si sono manifestati con una velocità,
una forza e una potenza forse ineguagliate, quantomeno a livello nazionale. Qui le grandi trasformazioni novecentesche, l’urbanizzazione, l’industrializzazione, la secolarizzazione, la terziarizzazione, l’emigrazione, la transizione demografica, i cambiamenti
socio-professionali, le modifiche degli assetti paesaggistici e territoriali, solo per citarne
alcune, sono maturate tardi ma furiosamente, assumendo una frenesia, una magnitudo,
una compressione e una rapidità altrove assenti; in pochi altri luoghi d’Europa, sicuramente d’Italia, esse si sono manifestate con la stessa forza e la stessa violenza, le stesse
speranze e le stesse paure, le stesse gioie e gli stessi dolori.
Nella terraferma veneziana, tra il 1912 e il 1975, la popolazione urbana è raddoppiata
ogni vent’anni, laddove il polo industriale di Marghera, sorto per incanto dalle barene a
partire dal 1917, è arrivato ad avere più di 35.000 dipendenti; il Veneto, da regione con il
maggiore saldo migratorio dell’Italia unita, negli ultimi dieci anni è diventata la seconda
regione per numero di stranieri residenti; la tangenziale di Mestre, inaugurata nel 1972,
è divenuta in quindici anni il tratto autostradale più trafficato d’Europa, mentre il minuscolo aeroporto aperto a Tessera nel 1958 è diventato il terzo d’Italia per volume di
passeggeri, a servizio di un territorio la cui densità imprenditoriale non ha eguali in Europa, con un prodotto interno lordo pro-capite identico a quello di città come Toronto e
Barcellona e un tasso di crescita analogo a quello di Londra e Stoccolma.
Quale altro luogo, dunque, simboleggia in modo altrettanto pregnante le vittorie e le
sconfitte, le conquiste e le perdite, le virtù e i vizi del ’900 italiano? Dove si potrebbe altrimenti trovare una coerenza analoga tra un tema museale e il suo contesto territoriale,
se non a Mestre?
I temi
Chiarite le ragioni della localizzazione, è opportuno motivare quelle della tematizzazione; nell’esposizione permanente del Museo del ’900 verranno affrontati cinque temi
principali, coincidenti con le grandi trasformazioni demografiche e sociali, economiche,
urbanistiche, ambientali e culturali occorse in Italia nel XX secolo, laddove le esposizioni temporanee si concentreranno su tematiche che in Italia non hanno sinora riscosso
l’interesse destato all’estero, che ho elencato nel secondo paragrafo.
L’esposizione permanente sarà costruita editando i “beni culturali” prodotti nel ’900,
ovvero materiali cartografici e a stampa (quotidiani, periodici, poster, materiali pubblicitari, cartoline, libri, stampe, incisioni, cartografie, ecc.), fotografici, sonori (incisioni
radiofoniche, radiodocumentari, ricerche di storia orale, interviste, fondi radiofonici,
registrazioni di suoni, voci e rumori, ecc.), audiovisivi (documentari, riprese di privati,
programmi televisivi, materiali prodotti da imprese e sindacati, film, telegiornali, ecc.),
che verranno integrati da oggetti, originali o riproduzioni (plastici, macchinari, strumenti scientifici, oggetti d’uso quotidiano, ricostruzioni animate e in 3D, riproduzioni di
vario tipo, ecc.), per realizzare ricostruzioni immersive di spazi e ambienti, installazioni
interattive e olfattive, sonore e sensoriali, video di ogni tipo.
Queste modalità allestitive potenzieranno le dimensioni evocative, narrative ed emotive
delle ricostruzioni, con una spiccata attenzione a tutti i sensi: non solo la vista ma anche
il tatto, l’olfatto, l’udito, il gusto, sollecitati in percorsi di visita strutturati in modo non
lineare. Al tempo stesso, la centralità dei contenuti in formato digitale (immagini fisse e
in movimento, ricostruzioni 3D, suoni e voci, ecc.) consentirà di aggiornare e modificare
periodicamente gli exhibits dell’esposizione permanente, che potranno essere integrati
dai medesimi visitatori attraverso strumenti web 2.0, al fine di offrire un approccio alla
conoscenza pluralistico, multidisciplinare, multisensoriale e interattivo, che stimoli nei
visitatori capacità critiche, curiosità e desiderio di apprendimento.
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and exhibitions dedicated to cinematography, television production, photography, recording and radio, publishing and journalism, design and architecture, to fashion and
publicity, cartoons and graphic art, and which have recognised the dignity of a museum
for cultural goods produced in the twentieth century.
From this arises the need to fill this gap, using a theme of fundamental importance – the
Italian history of the twentieth century – in a place which is a symbol of the twentieth century, with a clear mission: to meet the past, understand the present and trust in the future.
Why Mestre?
Whoever lived through the end of the last century could observe the acceleration of the
processes of modernisation – sometimes contradictory and unfinished – that often happened with such speed as to impede comprehension, acceptance and the memorising
of what was happening, especially in an ancient country such as Italy, where such processes were historically slower and geographically not homogeneous; if we confront Italy
in 1971 and in 2001 it is almost impossible to believe that what has happened could have
happened.
The Veneto and the Venetian mainland represent in this sense two limited cases, two paradigmatic places, two extreme workshops, where through the good and the bad the advent
of modernity and the prevailing of post-modernity have been manifested with a speed, a
strength and a possibly unequalled power, at least in national terms. Here the big twentieth
century transformations, urbanisation, industrialisation, secularisation, the expansion of
the service industry, emigration, the demographic transition, socio-professional changes,
modifications of the landscapes and territories, just to cite a few, have developed late but furiously, taking on a frenzy, a magnitude, a comprehension and a rapidity elsewhere absent;
in few other parts of Europe, certainly of Italy, did these changes manifest themselves with
such force and the same violence, the same hopes and fears, the same joy and pain.
On the Venetian mainland, between 1912 and 1975, the urban population more than doubled every twenty years, where the industrial centre of Marghera, risen magnificently
from the marshes from 1917 and which came to create jobs for over 35,000 workers; the
Veneto, the region with the largest migratory balance in Italy, in the last ten years it has
become the second region in terms of numbers of resident foreigners; the Mestre ringroad, inaugurated in 1972, become in fifteen years the most used piece of motorway in
Europe, whilst the tiny airport opened at Tessera in 1958 is now the third in Italy in terms
of passenger volumes, serving a territory whose entrepreneurial capacity is unequalled
in Europe, with a per-capita gross domestic product (GDP) identical to cities such as Toronto and Barcelona and a growth rate analogous to that of Stockholm and London.
Which other place, then, might symbolise in such a meaningful way the victories and
defeats, conquests and losses, the virtues and vices of the Italian twentieth century?
Where else could an analogous coherence be found between a museum theme and its
territorial context, if not in Mestre?
The themes
Once the reasons for the setting for the museum are explained, it is opportune to justify
those of the thematization; in the permanent exhibition of the Museum of the 20th century five principle themes will be addressed, coinciding with the large demographic, social, economic, town planning, environmental and cultural transformations which have
happened in Italy in the twentieth century, where the temporary exhibitions concentrate on themes which in Italy have not yet roused interest in the way they have abroad
and which I listed in the second paragraph.
The permanent exhibition will be constructed editing the “cultural goods” produced in
the twentieth century, or rather printed and cartographic works (newspapers, journals,
posters, publicity, postcards, books, engravings, maps, etc.), photographs, sound (radio
recordings, radio documentaries, oral histories, interviews, sound recordings, voices
and sounds, etc.), audio-visual (documentaries, private recordings), television programmes, materials produced by companies, unions, films, T.V. news, etc.) which will be
joined by objects, original or reproductions (plastics, machines, scientific instruments,
daily items, animated reconstructions and in 3D, reproductions of various types, etc.), to
realise reconstructions in which you can immerse yourself in spaces and environments,
interactive installations using smell, sound and senses, videos of all kinds.
These ways of arranging exhibitions will strengthen the evocative, narrative and emotional dimensions of the reconstructions, giving special attention to all the senses: not
only sight but also touch, smell, hearing, taste, all stimulated in visiting “paths” structured in a non-linear way. At the same time, the centrality of the contents in digital format (fixed and moving images, 3D reconstructions, sounds and voices etc.) will consent
the periodic updating and modification of the exhibits of the permanent exhibition,
which can be added to by the visitor himself by means of web instruments 2.0, in order
to approach a pluralistic, multidisciplinary, multi-sensory and interactive conscience,
which stimulates in the visitors critical consideration, curiosity and desire to learn.
Centro commerciale
4.500 mq
Unità commerciali e direzionali
4.400 mq
Shopping centre
4,500 sq m
Retail and administrative units
4,400 sq m
Museo del ’900
Spazio espositivo
Mediateca-archivio
8.000 mq
Museum of the 20th Century
Exhibition space
Media centre-archive
8,000 sq m
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Concorso / Competition
Sei architetti per M9
Six Architects for M9
Ragioni, finalità, modalità del concorso internazionale a inviti
bandito dalla Fondazione di Venezia per la costruzione del nuovo Museo di Mestre
The reasons, purpose and method behind the international competition by invitation
for the construction of a new Museum in Mestre held by the Fondazione di Venezia
Francesco Dal Co
Collocata al centro di una delle aree più dinamiche dal punto di vista dello sviluppo
economico, naturale snodo infrastrutturale per attività che vanno dalla portualità,
Senigallia, Biblioteca
all’industria e al turismo, Mestre soffre la
e archivio storico comunale, 1999,
mancanza d’interventi edilizi all’altez cortile e ingresso della biblioteca
za delle potenzialità di una città di più di
courtyard and library entrance
200.000 abitanti, perno di un’area metro David Chipperfield
politana che conta una popolazione supe Des Moines, Iowa, Usa,
riore ai due milioni di abitanti.
Des Moines Public Library, 2006,
Tenendo conto di questo contesto, delle
veduta notturna
tendenze in atto e anche di quanto qui si
della biblioteca da sud-ovest
the library by night from the southwest
è realizzato negli ultimi decenni, nel 2009
la Fondazione di Venezia ha deciso di investire rilevanti risorse per la costruzione
di un complesso edilizio in grado di indirizzare futuri e auspicabili progetti di riqualificazione del centro di Mestre e di rappresentare un modello per i soggetti che questi
progetti potranno e dovranno coinvolgere. La futura costruzione di M9, il complesso
polifunzionale comprendente un museo, spazi espositivi e di servizio alle attività culturali, un auditorium, superfici commerciali e un rilevante manufatto storico (l’ex caserma
Matter, ora abbandonata) si svilupperà su una superficie di circa 9.000 metri quadrati; è
logico pensare che i corpi di fabbrica che lo costituiranno apriranno nuove prospettive
dai punti di vista architettonico e urbanistico non soltanto per il centro della città.
Data la complessità del programma, la Fondazione di Venezia ha deciso di affidare l’elaborazione del relativo progetto architettonico a un qualificato professionista selezionato attraverso un concorso a inviti. Si tratta di una procedura che in Italia viene adottata
raramente e che presuppone la disponibilità della committenza ad assumersi impegni
e responsabilità maggiori rispetto a quelli che altre formule concorsuali comportano.
Massimo e Gabriella Carmassi
Guastalla (RE), Palazzo Gonzaga, 2008,
la corte centrale
the central courtyard
Lying in the very heart of a hugely dynamic zone for economic development and a natural crossroads for dock, industry and tourism infrastructures, Mestre suffers from an
absence of buildings on a par with its potential as a city with a population of more than
200,000 and the hub of a metropolitan area with more than two million inhabitants.
Bearing in mind this context, the current trends and what has been achieved here in
recent decades, in 2009, the Fondazione di Venezia decided to invest major resources in
the construction of a building complex that would hopefully act as a beacon for future
projects to regenerate the centre of Mestre and also serve as a model for those bodies that may and must be party to them. The future M9 construction, a multi-purpose
complex comprising a museum, exhibition and auxiliary spaces for cultural activities,
an auditorium, retail spaces and an important historic building (the now abandoned
former Caserma Matter) will occupy an area of approximately 9,000sq m and it can logically be expected to open up new architectural and urban prospects for the city centre
and beyond.
With such a complex agenda, the Fondazione di Venezia decided to entrust its architectural design to a qualified professional, selected via a competition by invitation. This
procedure is rarely adopted in Italy and presumes the client’s willingness to shoulder
greater commitments and responsibility than is required by other competition formulae. Since the design theme identified and put to the participants had to resolve various issues, ranging from the form and functional structure of a new museum building
to the renovation of several existing spaces and the design of a new urban layout in the
city centre, the Fondazione di Venezia selected six professionals who had already, and
on major occasions, proven their ability to cope with similar and equally complex situations. In particular, the selection considered a number of professionals who had in the
past had the opportunity to develop museum designs, refurbish old buildings and build
complexes of considerable urban significance. With all this in mind, the Fondazione decided to turn to the architects who could best interpret the need for a work not intended
as a solipsistic occurrence in Mestre’s old city centre and with a self-referential form
but one that could serve as a model for more future interventions – as well as being an
Concorso / Competition
Poiché il tema progettuale individuato e proposto all’attenzione dei concorrenti mira a
risolvere problemi di diversa natura che vanno dalla configurazione formale e funzionale di un nuovo edificio a destinazione museale, al recupero di varie preesistenze, all’individuazione di un nuovo assetto urbanistico per il centro della città, la Fondazione di
Venezia ha selezionato sei professionisti che già in altre e rilevanti occasioni hanno dato
prova di sapersi confrontare con situazioni simili e analogamente complesse. In particolare la selezione è stata fatta considerando una serie di professionisti che in passato
hanno già avuto occasione di confrontarsi con la progettazione di musei e con interventi
di recupero di edifici antichi e di realizzare complessi edilizi caratterizzati da significative valenze urbane. A partire da queste premesse la Fondazione ha ritenuto opportuno
puntare su architetti in grado di interpretare al meglio l’esigenza di realizzare un’opera
che non ha la finalità di rappresentare un accadimento solipsistico nel contesto del centro storico di Mestre e autoreferenziale dal punto di vista della configurazione formale,
ma tale da poter divenire un riferimento per ulteriori e futuri interventi – oltre che un
esempio sul piano della gestione della fase progettuale per la pratica professionale. Si
è così deciso di coinvolgere architetti di diversa provenienza, esponenti di culture progettuali differenti ma riconosciuti quali riferimenti anche per il dibattito internazionale
e comunque accomunati dal fatto di avere compiuto in passato esperienze analoghe e
congrue con le finalità perseguite dalla Fondazione di Venezia. Una volta deciso che il
futuro M9 non dovrà rappresentare un accadimento estemporaneo per il suo aspetto,
ma senza attribuire implicazioni preclusive o vincolative a questa opzione, la scelta si è
naturalmente ristretta per poi circoscriversi ulteriormente allorché è risultata evidente
l’opportunità di puntare su professionisti non soltanto sperimentati e affidabili sul piano delle competenze maturate, ma anche in grado di e inclini a stabilire un rapporto di
collaborazione con la committenza e con le istituzioni cittadine, portati ad interpretare
ogni opportunità progettuale come occasione di confronto e di dialogo.
Per questo insieme di ragioni si è giunti alla decisione di rivolgere l’invito agli architetti
autori dei progetti presentati in queste pagine, provenienti da sei diversi Paesi europei
anche per sottolineare la valenza non municipalistica del progetto M9: un italiano, un
inglese, un francese, uno studio spagnolo e uno tedesco, un portoghese. Questi architetti sono noti al pubblico e alla cultura internazionale anche per i complessi museali che
hanno realizzato in ambienti, situazioni e realtà urbanistiche differenti.
Massimo Carmassi, pisano di origine, proprio a Pisa ha compiuto una fondamentale e
originale esperienza fondando e dirigendo dalla metà degli anni settanta, in seno all’Amministrazione Comunale, l’Ufficio Progetti che ha realizzato opere pubbliche e approntato progetti di carattere urbanistico per molte ragioni ritenuti esemplari. Successivamente Carmassi ha progettato, tra l’altro, il restauro del Convento di San Frediano a
Lucca trasformandolo nel Museo di Arte Sacra, l’ampliamento del cimitero monumentale di Arezzo, il restauro del Palazzo Ducale di Guastalla, il Museo della Concia a Santa
Croce sull’Arno, il recupero del Mattatoio di Roma.
Il londinese David Chipperfield è uno dei più impegnati architetti inglesi; ha firmato
opere in diversi Paesi europei, in Giappone, in Cina, negli Stati Uniti; in Italia ha realizzato l’ampliamento del cimitero di San Michele a Venezia ed è impegnato a completare
il Palazzo di Giustizia di Salerno; con la conclusione dei lavori per il recupero del Neues
Museum nell’“isola dei Musei” a Berlino ha portato felicemente a termine la sua esperienza più impegnativa nel campo della progettazione museale.
Pierre-Louis Faloci è nato a Nizza e lavora a Parigi; nella capitale francese ha riconfigurato
il Museo Rodin, mentre a Meudon-la-Forêt
ha costruito un complesso polifunzionale
che ha contribuito a ridisegnare il centro
urbano; impegnato nella realizzazione di
altri progetti per musei e centri culturali
in Francia, nel 2008 Faloci ha completato la sua opera più importante, il Centre
Européen du Résistant Déporté e Musée
David Chipperfield
Berlino, Neues Museum, 2009,
la scala centrale
the central staircase
Pierre-Louis Faloci
Parigi, Museo Rodin, 2006,
la grande vetrata d’ingresso sulla strada
the large glazed street entrance
Francia, Rochefort,
Museo di arte e storia, 2007,
veduta del fronte
su Avenue Charles de Gaulle
the front on Avenue Charles de Gaulle
33
example of design management for professional practice. It was therefore decided to
involve architects of varied origin, exponents of different design cultures, familiar presences in the international debate and all sharing the common denominator of having
already completed similar experiences with the same aims pursued by the Fondazione
di Venezia. Once it had been decided that the future M9 was not to have an extemporary
appearance, but without imposing preclusions or binding restrictions on this option,
the choice naturally became limited and was then further narrowed down until it was
clear that we should opt not only for professionals who were tried, tested and reliable
in terms of acquired expertise but also able and inclined to forge a working relationship
with the client and the city institutions, and eager to see every design opportunity as a
chance for exchange and dialogue.
For all these reasons, we decided to invite the architects behind the designs presented
here from six different European countries, partly also to stress the non localist significance of the M9 project: an Italian, an Englishman, a Frenchman, a Spanish practice, a
German one and a Portuguese. These architects are known to the public and to the international culture, among other things, for museum complexes completed in different
spheres, situations and urban realities.
Massimo Carmassi is originally from Pisa and that is where he had a crucial and original
experience, starting in the mid-1970s, when he set up and ran the city administration’s
design office which produced public works and drew up town-planning projects that are
considered exemplary in many senses. Carmassi subsequently also designed the restoration of the Convento di San Frediano in Lucca turning it into the Museo di Arte Sacra,
the extension of the Arezzo monumental cemetery, the restoration of Palazzo Ducale in
Guastalla, the Museo della Concia in Santa
Croce sull’Arno and the refurbishment of
the Mattatoio in Rome.
London’s David Chipperfield is one of the
most committed English architects. He
has designed works in several European
countries, Japan, China and the United
States. In Italy, he designed the extension
of the San Michele cemetery in Venice
and he is currently completing Palazzo di
Giustizia in Salerno. With the completion
of the renovation of the Neues Museum
on the Museum Island in Berlin he successfully terminated his most demanding
museum-design experience.
Pierre-Louis Faloci was born in Nice and
works in Paris. He redesigned the Musée
Rodin in the French capital and built a
multi-purpose complex in Meudon-laForêt that helped redesign the town centre. Engaged in the construction of more
museums and cultural centres in France,
34
Concorso / Competition
KL-Natzweiler sui resti dell’ex campo di
concentramento nazista Struthof in Alsazia.
Luis Mansilla ed Emilio Tuñón sono nati a
Madrid e nella capitale spagnola hanno il
loro studio; sono tra i più brillanti esponenti della cultura architettonica spagnola da
anni al centro delle attenzioni della critica
internazionale; nella loro produzione i musei occupano una posizione preminente da
quando, nel 1996, hanno completato il Museo di Zamora, dopo avere collaborato con
Rafael Moneo alla costruzione del Museo di
Houston e del Museo Thyssen-Bornemisza
a Madrid; al Museo di Zamora, che ha coinciso di fatto con il loro debutto professionale, sono seguiti il Museo di Belle Arti di
Castellón, il Museo d’Arte Contemporanea
di León, mentre sono in fase di avanzata
costruzione il Museo di Santander e l’importante complesso espositivo addossato al
Castello Reale di Madrid dove verrà messa
in mostra parte delle Collezioni Reali.
Matthias Sauerbruch è nato a Costanza in
Germania, mentre Norwich in Inghilterra è la città natale di Louisa Hutton; ambedue
hanno completato la loro formazione all’Architectural Association di Londra e il loro
studio si trova ora a Berlino; portano la loro firma alcuni edifici particolarmente innovativi costruiti in Germania tra i quali vi sono la Sede della GSW a Berlino, l’Istituto per
la ricerca farmacologia di Biberach, la sede dell’Agenzia Federale per l’Ambiente a Dessau; in Italia hanno completato un complesso a uso misto, residenziale e terziario, nell’ex
fabbrica Carlo Erba a Milano; nel 2008 a Monaco di Baviera è stata inaugurata la loro
opera probabilmente più importante e che meglio illustra i caratteri del loro lavoro, il
Museo Brandhorst.
Eduardo Souto de Moura è nato e lavora a Porto; dopo il crollo della dittatura nel suo Paese (1974), ha lavorato per il Serviço Ambulatorio de Apojo Local (SAAL) costituito per
far fronte alla carenza di abitazioni a basso costo in Portogallo; in seguito si è segnalato
come il più coerente e originale erede della tradizione culturale formatasi negli ultimi
decenni nel suo Paese; tra le sue realizzazioni di carattere museale o con finalità espositive vi sono il Museo dei Trasporti e della Comunicazione a Porto, il Padiglione della
in 2008 Faloci completed his most important work, the Centre Européen du Résistant
Déporté and Musée KL-Natzweiler on the remains of the Struthof former Nazi concentration camp in Alsace.
Luis Mansilla and Emilio Tuñón were born in Madrid and have their practice in the
Spanish capital. They are among the most brilliant exponents of the Spanish architectural culture and have been the focus of international critics for years. Museums have
occupied a prime position in their production since 1996, when they completed the Museo de Zamora, after working with Rafael Moneo on the construction of a museum in
Houston and the Museo Thyssen-Bornemisza in Madrid. The Museo de Zamora, which
coincided with their professional debut, was followed by the Museu de Bellas Artes in
Castellón and the Museo d’Arte Contemporáneo in León. The Museo de Santander and
a major exhibition complex beside the royal palace in Madrid, where part of the royal
collections will be displayed, are at an advanced construction stage.
Matthias Sauerbruch was born in Konstance in Germany and Louisa Hutton in Norwich, England. Both studied at the Architectural Association in London and they now
have a practice in Berlin. Some particularly innovative German buildings bear their
name including the GSW headquarters in Berlin, a pharmacological research institute
in Biberach and the federal environmental agency in Dessau. In Italy they built a mixeduse residential and service complex on the former Carlo Erba factory site in Milan. What
is probably their most important and representative work, the Museum Brandhorst,
opened in Munich in 2008.
Eduardo Souto de Moura was born and works in Porto. After the collapse of the dictatorship in his country (1974), he worked for the Serviço Ambulatorio de Apojo Local
(SAAL), established to cope with Portugal’s shortage of affordable housing. He later
emerged as the most consistent and original heir of the cultural tradition that had
formed in his country in the previous decades. His museum and exhibition-venue designs include the Museu dos Transportes e Comunicações in Porto, the Knowledge of
the Seas Pavilion at Expo 98 in Lisbon, the Portugal Pavilion at Expo 2000 in Hanover,
the Casa do Cinema Manoel de Oliveira in Porto, the Centro de Arte Contemporânea
in Bragança and one of his most significant works, the recently opened Casa das
Mansilla/Tuñón
Histórias Paula Rego in Cascais.
Spagna, Castellón,
The result of the competition will not have
Museo di belle arti, 2000,
been announced when this goes to press
sala espositiva illuminata dai lucernari
but the Jury’s decision will be in the public
exhibition room lit by skylights
domain when readers get their hands on
Spagna, León, Musac, 2004,
this catalogue. This inevitable time lapse
la piazza pubblica racchiusa
tra i volumi rivestiti da vetri colorati
imposes a temporary suspension of judge the public square surrounded
ment. However, the designers chosen by
by buildings clad with coloured glass
the Fondazione di Venezia being who they
are, it is reasonable to presume that the
Sauerbruch/Hutton
Germania, Monaco,
task required of the Jury will be as difficult
Museo Brandhorst, 2009,
as the implications of the decision will be
veduta parziale del fronte
key to Mestre’s future. I should also perhaps
su Turkenstrasse
add that these implications may also affect
partial view of the front
the future of professional practice in Italy,
on Turkenstrasse
Concorso / Competition
Conoscenza dei Mari all’Expo di Lisbona del 1998, il Padiglione del Portogallo
all’Expo di Hannover del 2000, la Casa del
Cinema Manoel de Oliveira a Porto, il Centro di Arte Contemporanea di Bragança e
una delle sue opere più significative, la
Casa das Historias Paula Rego a Cascais
recentemente inaugurata.
Nel momento in cui questa nota viene licenziata il risultato del concorso non è
ancora noto. Quando i lettori avranno tra
le mani questo catalogo, la decisione della Giuria sarà invece di pubblico dominio.
Questa inevitabile asimmetria obbliga a
una temporanea sospensione del giudizio.
Essendo però quelli di cui abbiamo parlato
i progettisti sui quali la Fondazione di Venezia ha puntato, è logico già da ora pensare
che il lavoro che la Giuria dovrà compiere
sarà tanto delicato quanto rilevanti saranno le implicazioni della decisione assunta
per il futuro di Mestre – inoltre, è forse
opportuno aggiungere, queste implicazioni potrebbero riguardare anche il futuro
Sauerbruch/Hutton
Germania, Magdeburg,
della pratica professionale in Italia, data la
Fabbrica sperimentale, 2001,
valenza esemplare che l’espletamento del
spazi di distribuzione interna
concorso per M9 potrebbe avere.
interior layout
La mostra che questo catalogo accompa Souto de Moura
gna verrà inaugurata in coincidenza con
Portogallo, Bragança,
la comunicazione pubblica dell’esito del
Centro d’arte contemporanea, 2008,
concorso. L’esposizione dei progetti con veduta del fronte nord
sentirà a quanti la visiteranno di valutare
e scorcio del fronte est
la congruenza e l’opportunità delle scelte
the north front and part
of the east front
fatte dalla Giuria. Ci auguriamo che questo
catalogo permetta a tutti gli interessati di
Portogallo, Cascais,
Museu Paula Rego, 2009,
considerare con agio ulteriore le qualità
veduta interna di una sala espositiva
dei sei progetti che presenta e, quindi, di
an exhibition room
giudicare in modo non estemporaneo la
complessità del lavoro sin qui compiuto e
di quello che ora inizia. Tra le ambizioni che questa pubblicazione nutre vi è anche quella di permettere a un pubblico più vasto e non soltanto italiano di soppesare la congruità
dei sei progetti rispetto alla specificità della problematica affrontata e di cogliere come
essi offrano uno spaccato non banale per valutare lo stato di salute di cui gode l’architettura contemporanea europea.
given the exemplary significance that the
execution of the M9 competition may have.
The exhibition accompanied by this catalogue will open with the public announcement of the competition winner. The display of the designs will allow visitors to
judge the congruence and fittingness of
the Jury’s decisions. I hope this catalogue
will enable all those interested to examine
the strengths of the six designs presented
at their leisure and give them time to assess the complexity of that done so far
and that which is just beginning. One of
the aims of this publication is to allow a
broader and not only Italian audience to
weigh up the suitability of the six designs
against the specific problems addressed
and to realise that they paint a far from
insignificant picture for those wishing to
gauge the health of contemporary European architecture.
35
36
Concorso / Competition
bando di concorso
Competition rules
Annalisa Ferrario
La Fondazione di Venezia ha voluto affidare la progettazione architettonica di M9 al vincitore di un concorso, pur non essendo a ciò vincolata da alcun specifico obbligo di legge,
nella convinzione che la soluzione migliore per restituire a Mestre una porzione urbana
importante e centrale potesse scaturire dal confronto tra filosofie e idee progettuali diverse. Nell’autunno del 2008 è stata a tal fine istituita una Commissione Tecnica, coordinata dal prof. Francesco Dal Co, cui è stato conferito il mandato di definire le modalità
di svolgimento di un concorso a inviti, che – data la volontà di pervenire all’effettiva realizzazione di M9 – è andato fin da subito configurandosi come un concorso di progettazione, e non semplicemente di idee. Nel dicembre del 2009 – dopo aver firmato con le
istituzioni competenti l’Accordo di Programma che ha autorizzato la variante urbanistica necessaria per lo sviluppo del progetto – la Fondazione di Venezia ha identificato
e contattato sei studi di architettura. A loro è stato affidato il compito, non semplice, di
cimentarsi con la ristrutturazione a fini commerciali di un complesso conventuale, reso
irriconoscibile da continui rimaneggiamenti e da decenni di incuria, affiancando a esso
un nuovo edificio museale nel quale – entro un’altezza massima di 30 metri e un volume
complessivo di 40.000 mc fuori terra – sviluppare una superficie lorda di almeno 8.000
mq, oltre agli interrati. A questo si è aggiunta la richiesta di riprogettare l’assetto complessivo dell’area, in termini di accessibilità, funzionalità e vivibilità.
Per conseguire tale risultato, la Fondazione ha messo a disposizione gli esiti di due anni
di ricerche sulle nuove architetture museali (da cui sono stati desunti i fabbisogni e i
requisiti minimi per il nuovo edificio), una corposa documentazione cartografica e fotografica e tutti i risultati delle analisi condotte sia sui terreni sia sulle strutture esistenti
nell’area di intervento.
A tutti i concorrenti è stato inoltre espressamente richiesto un sopralluogo, perché potessero valutare personalmente le potenzialità e le criticità dell’area, anche in relazione
al tessuto urbano circostante, affinché il progetto fosse indotto a confrontarsi con la realtà esistente.
Nel corso dei quattro mesi della competizione architettonica, che ha avuto ufficialmente
inizio il 15 febbraio 2010, i concorrenti hanno avuto modo di richiedere e ottenere tutte
le informazioni supplementari necessarie, attraverso una sessione di domande e risposte articolata e approfondita, che ha portato ogni partecipante verso l’elaborato finale,
consegnato il successivo 15 giugno.
Sulla base delle previsioni del bando di concorso, ogni progetto risulta articolato in:
- un numero variabile di tavole in formato A1, comprendenti: la planimetria generale
dell’area (scala 1:500), le planimetrie di tutti i livelli (compresi l’interrato e le coperture,
scala 1:200), i prospetti e le sezioni più significative (scala 1:200), viste tridimensionali
e rendering degli spazi interni ed esterni, dettagli costruttivi e schemi di accessibilità
all’area e agli edifici (in scala e tecnica libere);
- una relazione descrittiva dei criteri progettuali, del sistema strutturale e degli impianti, della concezione museografica e dei costi e delle fasi di realizzazione;
- un plastico dell’area di intervento, in scala 1:200.
I progetti sono valutati da una giuria di 7 membri (oltre a 2 supplenti), sulla base della qualità della proposta architettonica e del suo inserimento nel contesto urbano esistente, della flessibilità di utilizzo degli spazi (anche in termini di allestibilità, per gli spazi museali),
dell’attenzione ai temi dell’ecosostenibilità e del risparmio energetico, con un occhio attento anche ai costi di realizzazione, gestione e manutenzione dell’intero complesso.
Al vincitore del concorso verrà affidata anche la progettazione definitiva ed esecutiva:
la Fondazione di Venezia si è impegnata in tal senso, inviando, unitamente all’invito a
partecipare alla gara, uno schema di contratto, che i concorrenti hanno sottoscritto per
accettazione. Un impegno reciproco a costruire un duraturo rapporto di collaborazione
e di fiducia, a garanzia della buona riuscita del progetto.
The Fondazione di Venezia decided to entrust the architectural planning of M9 to the
winner of a competition, entirely of its own volition and without any particular law
obliging this, in the conviction that the best solution for how to give Mestre back an important and central urban area might develop from the confrontation of different philosophies and planning ideas. In the autumn of 2008 a Technical Committee, coordinated by Professor Francesco Dal Co, was formed with the specific mandate of defining
the way in that a contest with invited competitors could be held, which – given the desire
to bring to fruition the M9 project – immediately took shape as a planning competition
and not one merely of ideas. In December of 2009 – having signed the papers for the Programme Agreement with the relevant institutions authorising the town planning variations necessary for the carrying out of the project – the Fondazione di Venezia identified
and contacted six firms of architects. They were entrusted with the difficult project of
undertaking the restructuring for commercial purposes of a convent complex, rendered
unrecognizable by continuous reorganisation and decades of neglect, placing alongside
it a new museum building in which – and within a maximum height of 30 metres and a
total volume of 40,000cu m – to develop a gross surface of at least 8,000sq m in addition
to the basements. In addition was added the request to re-plan the whole arrangement
of the area in terms of accessibility, functionality and liveableness.
To allow this result the Fondazione made available the results of two years of research
on new museum architecture (from which the requirements and minimum requisites
for the new building were deduced), exhaustive paper and photographic documentation
and all of the results from the analysis conducted on both the land and existent structures in the area for the intervention.
All competitors were required to make a site visit, in order to personally establish the
potential and criticisms of the area, also relative to the surrounding urban fabric, in order that the project might be channelled to confronting the existing reality.
Over the course of four months of the architectural competition, which officially began
the 15th February 2010, the competitors were allowed to ask and received all the necessary supplementary information, via a session of articulated and probing questions and
answers which brought each participant towards an elaborate finale, presented on the
following 15th June.
According to the competition regulations each project is presented in:
- a variable number of A1 panels, including: the general plan of the area (scale 1:500), the
plans of each level (including the basement and roofing, scale 1:200), the most important
elevations and sections (scale 1:200), three-dimensional views and renderings of the internal and external spaces, construction details and diagrams of accessibility to the area
and the buildings (in any technique and scale);
- a paper describing the projecting criteria, the structural system and the circuits, the
museological conception and the costs and phases of realisation;
- a model of the area in scale 1:200.
The projects are judged by a judging panel of 7 members (in addition to two substitutes),
on the basis of the quality of the architectural proposals and of their insertion into the
existing urban contest, the flexibility of the use of the spaces (also in terms of mounting
an exhibition for the museum spaces), in terms of the attention to eco-sustainability,
energy saving, and with attention to the costs of realisation, management and maintenance of the entire complex.
The competition winner will also be entrusted with the definitive and executive planning: the Fondazione di Venezia has committed itself in this aspect by sending, together
with the invitation to participate in the competition, a contract which the participants
undersigned in acceptance. A reciprocal agreement to create a strong rapport of collaboration and trust, to guarantee the perfect result from the project.
Concorso
M9
A New Museum for a New City
Massimo Carmassi
David Chipperfield
Pierre-Louis Faloci
Luis Mansilla/Emilio Tuñón
Matthias Sauerbruch/Louisa Hutton
Eduardo Souto de Moura
37
Massimo Carmassi
Carmassi Studio di Architettura
Firenze, Italia / Florence, Italy
40
Concorrente
Participant
Carmassi
Studio di Architettura
Gruppo di progettazione
Design team
Massimo Carmassi
Capogruppo
Design architect
Lorenzo Carmassi
Lilian Nakashima
Collaborazione progettazione
Design consultant
Cristian Pajaro
Klaus Costantini
Marco Chiuso
Collaborazione grafica
Graphic consultant
Impianti
Services
Acale s.r.l.
Andrea Gaggiotti
Collaborazione progettazione
impianti e prevenzione incendi
System and fire prevention
consultant
Livio Gambacorta
Collaborazione progettazione
fondazioni speciali e geotecnica
Special foundations
and geotechnical surveys
Zakhia Bassil
Collaborazione progettazione
strutture
Structural design consultant
Andrea Mondini
Collaborazione relazione
computi e capitolati
Quantity surveyor
Plastico
Model
Studio M s.r.l
Fotografie
Photos
Mario Ciampi
40
41
Descrizione del progetto
Design concept
Il progetto risponde alla sfida del bando con una soluzione in grado di ottenere un
buon equilibrio tra l’utilizzazione conservativa della vecchia caserma per attività
commerciali e la costruzione del nuovo museo, la cui originalità architettonica è destinata a creare un luogo memorabile, ancorato alle radici della città.
Il museo è formato da sedici torri, nove delle quali destinate ad accogliere le funzioni principali richieste e sette il sistema distributivo verticale delle scale e degli
ascensori. Le torri sono disposte sul piano orizzontale in forma quadrata secondo
un’organizzazione studiata per ottenere complessi e suggestivi spazi interstiziali,
simili a quelli che si possono ammirare in ogni centro antico come quello di Mestre.
Il piano è incorniciato sui lati nord e ovest da due muri immaginati come assi cartesiani regolatori dei rapporti con il contesto urbano circostante. Una panca di pietra
delimita sugli altri due lati una sottile vasca d’acqua. Mentre i due lati murati costituiscono una parentela formale con l’impianto quadrangolare della vecchia caserma e delle scuderie, i due lati aperti consentono di penetrare dall’esterno visivamente e funzionalmente il nuovo complesso. Le torri principali s’incastrano alla base su
una piastra a due livelli a forma quadrangolare, che oltre ad accogliere la hall e altre
funzioni collettive garantisce la continuità spaziale e funzionale con il piano terra.
Dal quarto al sesto livello, le torri sono connesse tra loro da una trama di passerelle
trasparenti, che consentono di ammirare il panorama e il cuore del complesso. La
loro trasparenza fa da contrappunto alla materia pesante delle torri in muratura di
calcestruzzo armato, rivestite di mattoni dalle superfici levigate, caratteristiche costruttive che garantiscano una lunga durata senza onerosi interventi di manutenzione. Nello stesso tempo la dimensione variabile degli spazi disponibili consentirà
di ottenere una grande flessibilità funzionale anche nel lungo periodo. Una rampa,
protetta da una copertura in vetro, consente l’accesso al parcheggio interrato e ai
servizi tecnici del museo.
Il progetto garantisce relazioni con la città: due logge alte dodici metri, appoggiate
ai muri accolgono i visitatori provenienti da via Brenta Vecchia e da via Pascoli, conducendoli alla piazza coperta collocata all’angolo formato dalle due ali del muro,
punto di convergenza tra il museo e il centro commerciale, collegati a piano terra da
varie aperture, e al secondo da un’ampia passerella. È prevista l’apertura di un varco
pedonale su corte Legrenzi. Attraverso piazzale Donatori di Sangue e calle Legrenzi
il nuovo percorso viene protetto da una copertura a vetro tesa tra le due vecchie
scuderie adibite a bar e ristorante. Un altro accesso, da intendersi come proposta
integrativa rispetto alle richieste del bando, può essere ottenuto da via Poerio lungo
il fianco est della chiesa di Santa Maria delle Grazie con la demolizione di un piccolo
volume addossato al fianco della Chiesa, per realizzare una loggia che giunga fino al
retrostante muro a L del museo.
Per quanto riguarda l’intervento sulla vecchia caserma è necessario considerare
che la sua qualità è costituita dalla griglia delle murature portanti con le aperture
che la traforano e dalla trama degli orizzontamenti in legno dei vari piani fino alle
coperture, sostenute da capriate in legno di varie dimensioni. Seguendo il nostro
metodo di restauro, basato su una rigorosa prassi conservativa, tutte le strutture
lignee saranno consolidate con interventi minimi di risarcimento secondo le metodologie sperimentate da decenni in innumerevoli restauri.
Per segnalare l’ingresso principale all’antico convento propongo di aprire il breve
tratto di muratura compreso tra la chiesa e il loggiato per ottenere un triplo volume
che consentirà di penetrare visivamente il corpo edilizio fino alla corte scoperta, sul
quale si affacceranno gli ambienti adiacenti, in comunicazione con la scala principale attuale adeguatamente conservata e integrata nelle vicinanze con un grande
ascensore trasparente.
Al primo piano, ma soprattutto al secondo, caratterizzato dal tetto a capriate, la maglia distributiva principale viene ottenuta sul lato est della corte con una sequenza
articolata di diaframmi trasparenti in ottone e vetro, come una grande vetrina continua degli spazi commerciali connessi alle murature perimetrali da una copertura
orizzontale trasparente, senza intercettare le strutture lignee. Al contrario, negli spazi di maggior dimensione, grandi scatole trasparenti di ottone e vetro disposte con
cura contengono le funzioni commerciali.
All’interno della corte è prevista l’installazione di una galleria vetrata a sezione semi
ellittica, strutturalmente indipendente. Le due ali laterali a mensola proteggeranno
l’anello aperto del chiostro dalla pioggia senza impedirne la ventilazione. L’illuminazione durante le ore notturne la renderà visibile dall’intorno e dalle aree centrali della
città, quasi come una grande lanterna.
The design responds to the challenge of the competition brief with a solution which
achieves a good balance between the preservation of the former barracks for commercial activities and the construction of the new museum. The originality of the
new museum’s design is aimed at creating a memorable place which has its roots
embedded in the city.
The museum will comprise 16 towers of varying shape and size, nine of which provide the main functions stipulated, with seven housing the vertical circulation systems of staircases and lifts. The square-plan towers are arranged so as to create
complex and interesting spaces between them, similar to those we can admire in
every historic centre, like Mestre itself.
The plan is framed on the north and west sides by two walls which are conceived as
Cartesian axes regulating the relationship of the new complex with the surrounding
urban area. The other sides are delimited by stone benches and a narrow strip of
water. While the two walled sides constitute a formal relationship with the square
plan of the old barracks and stable blocks, the two open sides allow visual and functional penetration from outside into the new complex. The bases of the main towers
are locked into a two-tiered, quadrilateral block, which houses the entrance lobby
and the other public facilities and also provides spatial and functional continuity
with the ground floor.
From the fourth to the sixth floors, the towers will be interconnected by a network of
transparent walkways, allowing visitors to admire the views and see into the centre
of the complex. Their transparency acts as a visual counterpoint to the heaviness of
the towers, which will be built of reinforced concrete and faced in smooth brick. The
construction characteristics will ensure the building’s longevity without the need
for costly maintenance. At the same time, the varying dimensions of the spaces will
provide great functional flexibility, even over the long term.
A ramp, sheltered by a glass roof, will allow access to underground parking and to
the museum’s technical facilities.
The design guarantees inter-relationships with the city: two 12-metre high porticos
on the perimeter walls function as entrances for visitors coming from Via Brenta
Vecchia and Via Pascoli, leading them to the covered piazza. This is located in the
space formed by the two wings of the wall and represents the convergence point of
the museum and shopping centre; these are linked on the ground floor by various
openings, and on the second by a broad walkway.
Pedestrian access into Corte Legrenzi will be provided via Piazzale Donatori di Sangue
and Calle Legrenzi. The access will be covered with glass suspended between the two
former stable-blocks; these will be converted for use as a bar and restaurant.
A supplementary proposal to the competition requirements involves the creation of another entrance from Via Poerio, along the east side of Santa Maria delle Grazie church.
This would require the demolition of a small building attached to the side of the church,
to erect a portico which would extend to the L-shaped wall behind the museum.
Regarding the intervention on the former barracks, it should be appreciated that its
qualities are found in the grid of perforated, load-bearing walls and by the network
of wooden joists of the various floors up to the roofs, which are supported on timber
trusses of varying dimension. Our approach to the restoration is based on rigorous
conservation principles and would involve consolidation of all the wooden structures with minimal compensation, according to methods which have been tried and
tested over decades in countless restoration projects.
To accentuate the entrance to the historic convent, we propose to open the small
stretch of wall between the church and the convent loggia, creating a space three
times larger and allowing the structure to be visually penetrated through to the
open courtyard. Rooms looking onto the courtyard are linked via the current principal stairway, which will be properly conserved and integrated into the complex by
means of a large, transparent elevator.
On the first floor, and especially on the second with its distinctive trussed roof, the
main load-distribution is on the east side of the courtyard with an articulated sequence of transparent diaphragms in brass and glass, like an immense, continuous
shop window; these are to be attached to the perimeter walls by a horizontal, transparent roof, which will not intercept the wooden structures. By contrast, the larger
spaces designed for commercial activities comprise carefully-arranged transparent boxes made in brass and glass.
A glass arcade will be installed in the courtyard, it will be half-elliptical in section
and structurally independent. Two canopies projecting from the sides will shield
open areas of the cloister from rain, but allow natural ventilation. Lighting will
render the arcade visible after dark, both from the within the complex and from central areas of the city, like a great lantern.
42
42
Tavola 01 Planimetria generale / General arrangement
Tavola 02 Pianta piano terra / Ground-floor plan
43
43
44
44
Tavola 03 Pianta piano primo / First-floor plan
Tavola 04 Pianta piano secondo / Second-floor plan
45
45
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46
Tavola 05 Pianta piano terzo e quarto / Third- and fourth-floor plan
Tavola 06 Pianta piano quinto e sesto / Fifth- and sixth-floor plan
47
47
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48
Tavola 07 Pianta coperture / Roof plan
Tavola 08 Pianta piano interrato / Basement plan
49
49
50
50
Tavola 09 Sezioni e prospetti / Sections and elevations
Tavola 10 Prospetti / Elevations
51
51
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52
Tavola 11 Viste assonometriche / Axonometric views
Tavola 12 Vista assonometrica / Vista prospettica / Axonometric view / Perspective view
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53
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54
Tavola 13 Viste spazi interni / Interior views
Tavola 14 Ex caserma Matter / stato attuale e di progetto / Former Caserma Matter / existing and proposed
55
55
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56
Tavola 15 Dettagli costruttivi / Construction details
Tavola 16 Schemi grafici del sistema di accessibilità / Plan showing points of access
57
57
David Chipperfield
David Chipperfield Architects
Londra, Gran Bretagna / London, Great Britain
Milano, Italia / Milan, Italy
60
Concorrente
Participant
David Chipperfield Architects
Gruppo di progetto
Project team
Progettisti
Designers
David Chipperfield
Principal
Giuseppe Zampieri
Design and managing director
Responsabile di Progetto
Project Architect
Andrea Cocco
Gruppo di Progettazione
Design Team
Cristiano Billia
Daniele Cecchi
Andrea Del Pedro Pera
Andrea Garcia Crespo
Carlo Gaspari
Tsukasa Goto
Luigi Grosso
Rotem Jacobi
Naohisa Hosoo
Noa Ikeuchi
Maris Kojuharov
Cristina Massocchi
Marie Mincke
Elena Naldi
Stefano Pasqualetti
Lorenzo Pasqualini
Massimo Penati
Sara Russo Esteves
Mirza Sahman
Giuseppe Sirica
Tatiana Tonizzo
Strutture
Structures
Zero4uno Ingegneria
Francesco Marson
Riccardo Scattolin
Impianti
Services
Manens-Tifs
Ugo Piubello
Marco Plati
Facciate
Facades
Arup
Mikkel Kragh
Fabio Lovaglio
Matteo Orlandi
Plastici
Models
David Chipperfield Architects
Fotografie
Photos
Dario Flores D’Arcais
Alberto Parise
60
61
Descrizione del progetto
Design concept
Il progetto mira definire un nuovo polo culturale e riconfigurare la trama urbana di
Mestre, da nord a sud, attraverso una serie di interventi semplici e chiari: la corte
dell’edificio esistente viene coperta da un nuovo tetto indipendente che genera una
piazza protetta, il nuovo edificio (autonomo) viene dotato di un atrio/passaggio interno e infine viene proposta la creazione una nuova piazza giardino di fronte alle
ex scuderie militari.
Un sistema di percorsi pedonali all’interno del sito è articolato da due assi, uno
verticale attraverso la corte coperta dell’ex caserma e uno orizzontale attraverso
il nuovo atrio/passaggio nel nuovo edificio, che si incrociano in uno spazio centrale
dalla forte identità civica.
Il progetto propone un nuovo edificio autonomo caratterizzato da qualità monumentali. Poiché la tipologia del museo non necessita di luce naturale, il progetto
prevede la costruzione di un corpo di fabbrica semi chiuso in mattoni, affacciato
sulla nuova piazza giardino caratterizzata da una pavimentazione in pietra e da alberature autoctone.
L’intento del progetto per il museo è quello di realizzare un edificio che trasmetta una forte esperienza architettonica. Al suo interno è prevista una monumentale
sala pubblica al servizio della città e del museo, mentre la facciata esterna in mattoni è scandita da colonne a base quadrata ma con intervalli variati per suggerire
l’impressione di trovarsi di fronte a un edificio permeabile.
La proposta progettuale definisce un atrio/passaggio che contribuisce a rendere
il museo più aperto e accessibile. L’atrio si estende su quattro piani a tutta altezza
mentre il passaggio occupa solo il piano terra e consiste in uno spazio di attraversamento. L’atrio è concepito come uno spazio dedicato alla circolazione orizzontale e
verticale, che accoglie una scalinata monumentale. Rappresenta la sala principale
del museo e al contempo una sala pubblica a disposizione anche dei cittadini, utilizzabile anche durante i periodi di chiusura del museo.
Il progetto prevede una scala di dimensioni imponenti con rampe molto ampie che
raggiungono tutti i livelli del museo, concepita per enfatizzare la monumentalità
della sala pubblica. La scalinata genera balconate superiori in mattoni che, con
l’atrio, configurano uno spazio dalla forma pura, accentuatamente tettonico ma
dalla copertura aperta.
La facciata del nuovo edificio è costituita da colonne in mattoni a base quadrata,
sormontanti una parete sostenuta da solai orizzontali in cemento, finiti con cocciopesto. Il progetto prevede facciate più o meno compatte a seconda dell’orientamento, con uno sbalzo a livello del solaio di dimensioni variabili. Rispetto agli altri
il prospetto ovest è reso più trasparente dagli intervalli maggiori che separano le
colonne e risulta visivamente collegato con la piazza.
L’impianto generale del museo è organizzato attorno a uno spazio centrale che funziona come snodo di distribuzione e di orientamento da un lato, e come punto d’incontro dall’altro. L’accessibilità al museo è prevista da entrambi i lati al piano terra,
dove sono localizzati i servizi direttamente connessi alla sala principale. Ai piani
superiori una spina dorsale longitudinale offre la possibilità di accedere in maniera
indipendente alle aree espositive distribuite nel museo. Una seconda scala offre la
possibilità di collegare e visitare le aree tematiche nella giusta sequenza o indipendentemente l’una dall’altra.
L’obbiettivo del progetto è quello di riutilizzare e trasformare gli spazi dell’ex caserma in un centro commerciale urbano. Il progetto intende mantenere il colonnato
aperto al piano terra e prevede una copertura molto leggera sorretta da struttura
indipendente, una sorta di ombrello, che fornisce protezione alla corte. La pavimentazione della corte è realizzata in pietra in continuità con la nuova piazza prevista
accanto al museo, per un nuovo spazio pubblico per la città, destinato ad accogliere
gli eventi più diversi.
Il progetto museografico risponde al modello museologico prospettato secondo
il quale non sono più centrali gli oggetti, sostituiti dalla rappresentazione e dalla
narrazione, e offre una risposta adeguata a questa impostazione. Il progetto prevede pertanto la costruzione di spazi espositivi permanenti e temporanei flessibili,
caratterizzati dalla presenza o meno della luce naturale, sfruttata in tutte le aree
di distribuzione, negli spazi di servizio e negli ambienti espositivi temporanei, ma
sostituita dalla luce artificiale negli spazi espositivi permanenti.
The project aims to create a new Arts Precinct and thereby reconfigure the city of
Mestre, from north to south, through a series of clear, simple interventions. The
courtyard of the existing building will be covered with a new independent roof, to
create a sheltered piazza; a new autonomous building will include an interior atrium-passageway; finally, a new garden-piazza will be set opposite the former military stable-blocks. Within the site, a system of pedestrian thoroughfares will be
articulated by two axes, a vertical axis running through the covered courtyard of the
former military barracks, and a horizontal axis which will pass through the atriumpassageway of the new building; these will converge in a central space which will be
endowed with a strong sense of civic identity.
The project design proposes a new independent structure of monumental quality. Since the museum will not require natural illumination, the design comprises a
half-closed construction in brick, set alongside a new garden-piazza which will be
laid out with stone paving and native trees.
The intention of the museum design is to create a building with a strong architectural presence. The interior will incorporate a monumental public hall for the use
of the city and the museum, while the façades will be composed of colonnades of
square-based columns, spaced more or less widely apart, to communicate the idea
of the building’s penetrability.
The design incorporates an atrium-passageway which will help make the museum
more open and accessible. The atrium will extend up to four floors high, while the
passageway will be set at ground-floor level only and will cross the building. The
atrium, with its monumental stairway, will enable horizontal and vertical movement
through the building. It will function as both the main gallery of the museum and as
a public hall, for use by all, even when the museum itself is closed.
The imposing stairway will have very wide flights of steps leading to all floors of the
museum, which will serve to emphasise the monumentality of the public hall. On
the upper levels, the flights of steps will develop into balconies built of brick, which,
together with the atrium, will create a pure, markedly tectonic space with a strong
physical presence, opening out under the roof.
The façades of the new building will comprise colonnades in brick, surmounting a
wall which will be supported on the floors which will be made of concrete and finished with cocciopesto (a traditional material made of lime mortar and crushed brick).
The façades will vary in density according to their orientation, and a cantilevered
canopy, of varying depth, will wrap around the top of the building. The west façade
will seem more transparent through wider spacing of its colonnade, which will make
it connect visibly with the piazza.
The museum layout will be organised around a central space which will function as
a circulation and orientation hub, but also as a meeting place. The museum will be
accessible on both sides, with facilities on the ground floor being directly connected
to the main hall. A ‘spine’ running the length of the upper floors will give independent
access to the museum’s exhibition galleries. A second stairway will enable themed
spaces to be connected and visited in a given sequence or, instead, visited independently of each other.
Another aim of the design is to convert the spaces of the former military barracks
for use as an urban shopping centre. The design would retain the open colonnade
on the ground floor and would protect the courtyard from the elements by covering
it with a very light roof, supported on an independent structure – like a sort of umbrella. The courtyard will be paved in stone to maintain continuity with the proposed
piazza beside the museum; it will represent a new public space for the city, a venue
for many different sorts of events.
The museum design aims to respond fully to the new museological model, where
the central role of the object has been substituted by representation and narration.
The design proposal therefore involves the construction of flexible permanent and
temporary exhibition spaces, which will be distinguished by the absence or presence of natural light. All the circulation and service areas, as well as the temporary
exhibition galleries will benefit from natural light, whereas artificial lighting will be
used in the permanent exhibition spaces.
62
62
Tavola 01 Planimetria generale / General arrangement
Tavola 02 Pianta livello terreno quota +2,75m / Ground-floor plan - level +2.75m
63
63
64
64
Tavola 03 Pianta livello primo quota +7,25m / First-floor plan - level +7.25m
Tavola 04 Pianta livello secondo quota +11,25m / Second-floor plan - level +11.25m
65
65
66
66
Tavola 05 Pianta livello terzo quota +16,25m / Third-floor plan - level +16.25m
Tavola 06 Pianta livello coperture quota +20,75m / Roof plan - level +20.75m
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67
68
68
Tavola 07 Pianta livello interrato quota -1,75m / Basement plan - level -1.75m
Tavola 08 Sezioni e prospetti / Sections and elevations
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69
70
70
Tavola 09 Sezioni e prospetti / Sections and elevations
Tavola 10 Dettagli costruttivi / Construction details
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71
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Tavola 11 Viste degli spazi esterni / Views of exterior layout
Tavola 12 Viste tridimensionali complessive / 3D views
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73
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Tavola 13 Viste degli spazi interni / Views of interior layout
Tavola 14 Viste degli spazi interni / Views of interior layout
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Tavola 15 Schemi grafici di circolazione e accessibilità / Plan showing points of circulation
77
Pierre-Louis Faloci
Agence Pierre-Louis Faloci
Parigi, Francia / Paris, France
80
Concorrente
Participant
Agence Pierre-Louis Faloci
Gruppo di progettazione
Design team
Alberto Venzo
Nicolas Reymond
Vincent Gillot
Adrien Cosnefroy
Julien Joly
Paul Emmanuel Lambert
Consulenti
Consultants
Studio Altieri s.p.a.
Lucas Fornari
Alessandro Melotto
Alberto Maren
Qualitalia
Patrick Amicucci
Plastici
Models
Remi Munier
Fotografie
Photos
Daniel Osso
80
81
Descrizione del progetto
Design concept
Il progetto mira ad affrontare le trasformazioni in atto puntando sulla sostenibilità.
In Italia il XX secolo ha depositato tracce pesanti su un territorio che conserva memorie di una storia unica. Queste trasformazioni violente obbligano a pensare che il
compito delle generazioni che verranno sarà quello di ricomporre e ripensare interi
brani di territorio, simili alla zona industriale di Mestre.
M9 comprenderà un museo concepito per stimolare l’analisi critica di quanto prodotto dal recente passato e a dare nuovo slancio al miglioramento sociale. Per questa ragione il museo è stato concepito per essere utilizzabile in modo flessibile e
semplice, evitando che la sua forma plastica ne condizioni l’uso.
Sono state studiate tutte le possibilità per permettere il facile accesso del pubblico
e sono state prese in considerazione le opportunità offerte dall’area al fine di valorizzare le diverse inquadrature dell’intorno che è possibile cogliere dalla nuova
costruzione.
Il progetto prende le mosse dai diversi livelli in cui si articola il rapporto tra il nuovo
complesso e la città, e configura dei “suoli” sovrapposti, il primo dei quali consiste
in una salita formata da un vasto piano inclinato verso la via pedonale e da un’ampia scalinata verso la piazza interna. Nel sottosuolo sono situati i parcheggi, i locali
tecnici e i depositi. Un nuovo “suolo” intermedio, accoglie i servizi e l’accesso al piano terra, collegato a una via laterale. Al di sopra si trova uno spazio di accesso al
museo, un negozio, vari servizi pubblici e soprattutto una piazza che offre la vista
sulla e nella città.
Il museo è sollevato di otto metri rispetto al nuovo “suolo” e di dodici metri rispetto
al livello della città. Si è ritenuto di conservare l’aspetto dell’ex caserma ricoprendo
la corte interna con una vetrata leggera sorretta da travi reticolari e cavi, mentre
è prevista la costruzione di corridoi di vetro traslucido e di una ampia vetrata allo
scopo di distribuire al meglio la luce negli spazi commerciali.
L’ingresso del museo è a doppia altezza e consente l’accesso sia dalle strade esistenti sia dal nuovo “suolo” costruito alla quota superiore. Si può entrare nella parte inferiore della costruzione dalla strada lungo il basamento e così raggiungere
un’area che raggruppa tutte le funzioni vicino alla zona d’accoglienza (sale pedagogiche, negozi, mediateca, guardaroba, toilette, accesso basso ai ristoranti o alle
sale polivalenti, ecc). Nella parte alta è sistemata la biglietteria con una piccola
boutique. L’accesso a doppia altezza non nuoce alla fluidità spaziale della hall e
contribuisce a mettere in rapporto i due diversi livelli.
A partire dalla zona d’accoglienza, due scale mobili portano al museo. La scelta di
innalzare di dodici metri il piano del museo consente di offrire uno spazio pubblico
molto generoso destinato a collegare la via pedonale al centro del lotto. Giungendo
al museo il pubblico viene accolto in una sala dove sono annunciati i temi affrontati
nelle esposizioni. Tutto il primo livello sospeso è dedicato alle mostre permanenti,
mentre quelle temporanee troveranno ospitalità su tre livelli, in spazi incastonati
nel basamento. Un percorso esterno permetterà ai visitatori di scegliere quale parte
dell’esposizione temporanea visitare, oppure di accedere alla mostra permanente.
Il progetto mira a realizzare una struttura che compare e scompare a seconda delle
viste, simile a una vibrante scultura luminosa.
La copertura verde è attraversata dalle canne di un “organo”, ossia da prese di luce
verticali che attraversano l’edificio e portano la luce naturale ai piani sottostanti.
Sia dalla mostra permanente sia da quelle temporanee si può osservare una torre
di oltre trenta metri, simile alla torre metallica dell’edificio vicino.
Il progetto prevede il totale recupero dell’acqua piovana e il suo trattamento per
utilizzarla per la pulizia dei pavimenti, l’annaffiamento delle piante, l’uso nei servizi
e per la spruzzatura durante i periodi più caldi; l’impiego di pannelli solari atti a
soddisfare in tutto o in parte le necessità del complesso; l’adozione di vetrate in tre
strati per garantire l’isolamento termico.
L’edificio dovrà trasmettere una sensazione di leggerezza e per questa ragione si è
deciso di ricorrere all’uso del vetro serigrafato per aumentare l’opacità dell’involucro e moltiplicare gli effetti, il gioco dei riflessi, l’alternanza di superfici traslucide e
trasparenti che lo caratterizzeranno.
The project intends to consider current transformations whilst focussing on sustainability. In Italy the 20 th century has left heavy traces over a territory which stores
memories of a unique history. These violent transformations oblige us to think that
the task of future generations will be to reassemble and re-think entire areas of
land, like the industrial areas of Mestre.
M9 will include a museum conceived to stimulate critical consideration of the products of the recent past and to give a new impulse to social improvement. For this
reason the museum was planned to be useable in a simple and flexible way, without
its plastic form conditioning its use.
All possible options were studied to ensure easy access for the public, and all the
possibilities offered by the area were taken into consideration in order to optimize
the numerous views which are offered from the new construction.
The project takes its form from the different levels where the relationship between
the new complex and the city is articulated, and represents overlapping “ground
levels”, the first of which consists in a slope formed by an enormous level sloping
towards the pedestrian street and by a wide flight of stairs towards the internal
courtyard. Underneath is parking, storage areas and the machine rooms. A new intermediate “level” hosts the services and access to the ground floor, connected to
one of the lateral roads. Above there is an access space for the museum, a shop,
various public services and, above all, a square which offers a view on and in the city.
The museum is raised eight metres above the new ground level and by twelve metres compared to the ground level of the city. It was decided to maintain the aspect
of the ex-barracks building covering the internal courtyard with a light glass held
up by reticular beams and wires, whilst the construction of corridors of translucent glass and a wide window have been planned to most efficiently distribute light
through the commercial spaces.
The entrance of the museum is of double height and consents access to both the
actual road and the new “ground level” constructed at the higher level. Entrance is
possible to the lower part of the construction from the street along the edge of the
basement and so leads to the area which gathers together all the functions of the
complex near the welcoming area (education rooms, shops, media library, cloakroom, bathroom, lower access to the restaurant or to the multipurpose rooms, etc.).
In the upper part is the ticket office with a small store. The double height access
does not disturb the fluidity of the space of the hall and contributes to create a
relationship between these two different areas.
From the welcome area, two large escalators lead to the museum. The choice of raising the museum floor by twelve metres creates the possibility of a large public space
intended to connect the pedestrian area to the centre of the complex. Once having
reached the museum the public enters a room where the themes treated by the exhibitions are presented. The entire first suspended floor is dedicated to the permanent
exhibitions, whilst temporary exhibitions will be held on three levels in spaces set
into the basement. An external path will allow the visitor to select which part of the
temporary exhibition to visit, or instead to access the permanent exhibition.
The project plans the realisation of a structure which appears and disappears depending on the view point like a vibrant sculpture of natural light.
The green covering is threaded with tubes of an “organ”, or rather by vertical light
shafts which go through the entire building and bring natural light to the underlying
floors. From both the permanent exhibition and the temporary exhibition spaces
a tower of over thirty metres high can be seen, similar to the metallic one of the
neighbouring building.
The project intends for the complete recovery of rain-fall and its treatment in order
that it might be used for the cleaning of the floors, watering of the plants, in the
services and for spraying during the hottest periods; the use of solar panels which
can satisfy all or part of the energy requirements of the complex; the adoption of
triple glazing to guarantee thermal insulation.
The building will transmit a sense of lightness and for this reason it was decided to
use frosted glass to increase the opacity and multiply the effects, the play of reflections, the alternation of translucent and transparent surfaces, which characterise it.
82
82
Tavola 01 Viste tridimensionali complessive del progetto / 3D views
Tavola 02 Viste tridimensionali complessive del progetto / 3D views
83
83
84
84
Tavola 03 Sistema di accessibilità all’area e agli edifici / Accesses to site and buildings
Tavola 04 Viste degli spazi interni ed esterni / Interior and exterior views
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85
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Tavola 05 Viste degli spazi interni ed esterni / Interior and exterior views
Tavola 06 Planimetria generale di progetto a livello terra / General arrangement - ground level
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87
88
88
Tavola 07 Piano terra / Ground-floor
Tavola 08 Piano primo / First-floor
89
89
90
90
Tavola 09 Piano secondo / Second-floor
Tavola 10 Piano terzo / Third-floor
91
91
92
92
Tavola 11 Piano quarto / Fourth-floor
Tavola 12 Piano quinto / Fifth-floor
93
93
94
94
Tavola 13 Piano sesto / Sixth-floor
Tavola 14 Piano interrato e sezioni / Basement and sections
95
95
96
96
Tavola 15 Sezioni / Sections
Tavola 16 Prospetti / Elevations
97
97
98
98
Tavola 17 Piano delle coperture / Roof plan
Tavola 18 Dettagli / Details
99
99
100
100
Tavola 19 Cantierizzazione e impianti / Building-site arrangement
101
Luis Mansilla
Emilio Tuñón
Mansilla+Tuñón Arquitectos
Madrid, Spagna / Madrid, Spain
104
Concorrente
Participant
Mansilla+Tuñón Arquitectos
Gruppo di progettazione
Design team
Luis M. Mansilla
Emilio Tuñón
Collaboratori
Collaborators
Matilde Peralta del Amo
Jesús Vassallo
Javier González Galán
M. José Castillón Espert
Nuria Martínez Salas
Consulenti
Consultants
J.G Asociados
Sancho Páramo Cerqueira
Strutture
Structures
Gogaite S.L.
104
105
Descrizione del progetto
Design concept
M9 è situato nel cuore di Mestre. La sua posizione strategica richiede un intervento
che funzioni da catalizzatore, valorizzi e ridia vita a tutta la zona per trasformare
Mestre in una città moderna capace di reinventarsi come capitale di una vasta area
metropolitana.
Come fanno i maestri profumieri che ottengono i loro profumi combinando essenze di
piante e fiori per far sì che aprendo le boccette la loro fragranza si diffonda e invada
l’area che li circonda, progettando Acqua Veneta abbiamo composto sedici “bottiglie”
per contenere le esposizioni che mostreranno con freschezza e trasparenza i cambiamenti radicali che i cittadini del Veneto hanno reso possibili socialmente, culturalmente ed economicamente nel secolo scorso.
Le “bottiglie” sono rovesciate e con la bocca che sfiora il suolo consentono lo scambio,
l’entrata delle persone e delle idee.
Le “bottiglie” vanno collocate dove il flusso delle persone che affluiscono dalle diverse parti della città lo permette. Nel loro insieme funzionano come il mercato di
Venezia e formano una piazza la cui tettoia protegge dalla pioggia e dal sole. Il progetto prevede di ristrutturare gli altri edifici compresi nel lotto per accogliere un
centro commerciale. Attualmente il sito è ben delimitato dal muro che segnava i
confini della caserma, le cui aree vuote insieme alle altre costruzioni e agli spazi abbandonati lo fanno assomigliare a un’isola in mezzo alla città. Sebbene sia difficile
riconoscere l’uso al quale erano destinate queste preesistenze, attraversandole si
ha l’imperssione di spostarsi in una natura morta. Il susseguirsi di locali vuoti dove
l’impronta lasciata dagli abitanti è tangibile conferisce agli spazi, con geometrie e
disposizioni similari, un carattere e un’atmosfera propri. In quest’“isola” la vita trascorsa ha lasciato impronte simili a quelle che si potrebbero osservare nella vetrinetta di un collezionista che ha conservato i ricordi dei viaggi compiuti. La somma
di ogni elemento dà valore e significato al tutto. La strategia compositiva adottata
per il progetto, fondata sull’addizione di elementi diversi ed equivalenti, è suggerita
da questi caratteri del luogo e, insieme, da ciò che costituisce l’essenza stessa di
un museo.
Oggi più che mai, realizzare un’opera di architettura equivale a progettare un brano di una città. Gli edifici non sono soltanto contenitori di attività, ma, soprattutto,
involucri per la vita sociale, quanto delimita e dà forma allo spazio pubblico. Anche
l’edificio da noi progettato intende offrire alla città e ai suoi abitanti un luogo dove
ritrovarsi, discutere, giocare, apprendere e tessere relazioni umane.
La costruzione ha una sagoma molto riconoscibile che evoca la forma di un silo, che
presuppone un contenuto (l’arte) e una funzionalità (essere parte attiva della vita
sociale). Optando per una forma industriale si è voluto rendere omaggio al carattere
della città e attribuire alle importanti dimensioni delle costruzione un aspetto familiare, in armonia con le preesistenze che la circondano.
L’interno del nuovo edificio è caratterizzato da un insieme di elementi che funzionano in comune, in modo tale che la piccola scala delle singole parti e quella dell’insieme vengano percepite simultaneamente. Si tratta di un sistema flessibile che può
essere utilizzato nella sua totalità o per parti, essendo ogni zona caratterizzata da
spazi, luce, orientamento, vista che ne consentono la fruizione autonoma.
Tenendo conto del fatto che nei musei la gestione dinamica è più importante delle
dimensioni, il progetto configura un edificio con parti chiuse ridotte e punta sulla
chiarezza contro la monotonia; si articola in un piano dedicato alle esposizioni temporanee e uno per la mostra permanente. Il piano terra è aperto all’uso degli abitanti
della città e può accogliere mostre all’aperto e svariate attività culturali. La piazza
porticata permette l’afflusso delle persone e costituisce un palcoscenico urbano
per le varie attività legate ai programmi del museo e del centro commerciale.
La storia non si conserva soltanto nelle forme degli edifici, ma anche nelle tracce
lasciate dalle vite di coloro che li hanno abitati. Per questa ragione nell’affrontare il
problema dell’ex caserma il progetto ha preso le mosse dall’“archeologia” della vita lì
trascorsa, le cui impronte, simili a quelle di una carta da parati, sono state assunte
come punto di partenza per configurare il nuovo centro commerciale.
M9 is situated in the heart of Mestre. Its strategic position requires an intervention
which will act as a catalyst, optimize, and give life back to the whole area in order to
transform Mestre into a modern city capable of reinventing itself as the capital of a
vast metropolitan area.
Just as master perfume makers create their scents combining plant and flower
essences so that by opening the bottles their fragrance is diffused and invades
the area around it, projecting Acqua Veneta we have composed sixteen “bottles” to
contain the exhibitions which will display in a fresh way and with transparency the
radical changes which the residents of the Veneto have made possible both socially,
culturally and economically in the last century. The “bottles”, with their necks open
to the ground allow exchange, the entrance of people and ideas.
The “bottles” will be placed where the flow of people which pour in from various
parts of the city allow it. Together they act as the market of Venice and form a square
whose roof protects it from the rain and sun. The project envisages the restructuring
of the other buildings in the plot to host a commercial centre. Presently the site is
clearly delineated by a wall which indicated the confines of the barracks, the empty
area of this, together with the other constructions and the abandoned spaces, creates the appearance of an island in the middle of the city. Although it is difficult
to recognize the uses which were once designated to the spaces, walking through
them the impression given is of walking through a still life. The succession of empty
buildings where the mark left by those who inhabited them is tangible, gives the
spaces, whose geometry and set ups are similar, a unique and individual atmosphere. In this “island” the past has left a mark similar to that which might be seen in
the display case of a collector who has conserved memories of voyages made. The
sum of every element gives value and significance to the whole. The compositional
strategy adopted for the project, founded on the addition of diverse and equivalent
elements, is suggested by these characteristics of the place and, together, by that
which constitutes the very essence of a museum.
Today, more than ever, to realise an architectural work is the same as projecting a
piece of the city. The buildings are not only containers of activity, but, above all, are
wrappings for social life in the way in which they demarcate and give form to public
space. Also the building planned by us intends to offer the city and its inhabitants a
place where they can meet, discuss, play, learn and weave human relations.
The construction has a clearly recognisable outline which evokes the form of a silo,
implying a content (art) and a functionality (to be an active part of social life). Opting
for an industrial form was deliberate in order to render homage to the character of
the city and to give to the large dimensions of the construction a familiar aspect, in
harmony with the pre-existing spaces which surround it.
The interior of the new building is characterised by a grouping of elements which
function together, so that the small scale of the single parts and that of the whole
are perceived simultaneously. It is a flexible system which can be used as a whole or
in its single parts, as each zone is characterised by spaces, light, orientation, a view
which consents autonomous use.
Taking into account the fact that dynamic management in a museum is more important than its dimensions, the project envisages a building with reduced closed
areas and focuses on clarity rather than monotony; it is articulated in a plan dedicated to temporary exhibitions and a part for the permanent collection. The ground
floor is open for the use of the city’s residents and can hold exhibitions outside and
various cultural activities. The arcaded square allows the movement of people and
functions as an urban stage for various activities tied to the museum programme
and the commercial centre.
History is not only preserved in the form of the buildings, but also in the traces left
by the lives of those who inhabited them. For this reason in considering the issue of
the ex-barracks the project has taken its path from the “archeology” of the life led
there, whose marks, like those of the wallpaper, have been taken as a starting point
for the shaping of the new commercial centre.
106
106
Tavola 01
Tavola 02 Planimetria generale / Site plan
107
107
108
108
Tavola 03 Piano terra / Ground-floor
Tavola 04 Piano primo / First-floor
109
109
110
110
Tavola 05 Secondo Piano / Second-floor
Tavola 06 Terzo piano / Third-floor
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111
112
112
Tavola 07 Piano interrato / Basement
Tavola 08 Sezioni / Sections
113
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114
Tavola 09 Sezioni / Sections
Tavola 10 Sezioni / Sections
115
115
116
116
Tavola 11
Tavola 12
117
117
Matthias Sauerbruch
Louisa Hutton
Sauerbruch Hutton
Berlino, Germania / Berlin, Germany
120
Concorrente
Participant
Sauerbruch Hutton
Gruppo di progettazione
Design team
Matthias Sauerbruch
Louisa Hutton
Juan Lucas Young
Bettina Magistretti
Carlos Alarćon Allen
Sybille Bornfeld
Tom Geister
Collaboratori
Collaborators
Jörg Albeke
Cristina Haumann
Stephanie Hesse
Tarek Ibrahim
Lina Lahiri
Ilja Leda
Konrad Opitz
Emma Reid
Maria Saffer
Christian Toechterle-Knuth
Tatiana Trinidade
Consulenti
Consultants
S.C.E. project s.r.l.
Progetto strutturale
Structural design
Tomaselli Engineering
Progetto impiantistico/
antincendio
M&E system/ fire strategy
Plastico
Model
Werk5
Rendering
Sauerbruch Hutton
+ Archimation
120
121
Descrizione del progetto
Design concept
Il progetto propone la costruzione di un edificio per un nuovo museo integrato con
la sua volumetria all’impianto urbano di Mestre. La sua collocazione migliora la rete
pedonale della città, crea e collega nuovi spazi che si inseriscono in maniera attenta
nel contesto. Da un lato il museo costituisce un catalizzatore per rivitalizzare il centro
storico, dall’altro funziona come una cornice mirante a valorizzare le preesistenze.
Al fine di creare una connessione pedonale tra piazza Ferretto e via Cappuccina attraverso l’ex caserma il progetto prefigura un passaggio diagonale e una “piazzetta
del museo” per attirare i visitatori e invitarli ad attraversare l’intero complesso.
Da questa prima “decisione urbanistica” dipendono le scelte progettuali successive
e in particolare quella di introdurre una diagonale che suddivide il lotto in due parti
di forma triangolare. Il triangolo maggiore su via Brenta Vecchia accoglie l’edificio
del museo, mentre un corpo di fabbrica di servizio più piccolo occupa la porzione
dell’area su via Pascoli.
Il progetto configura la ristrutturazione e il riuso dell’ex caserma, dove, per creare spazi esclusivamente dedicati al commercio, si prevede di dotare di vetrine sia
la facciata al piano terra su via Poerio sia quelle nel portico del chiostro, che risulterà così vivacizzato dalle attività commerciali che lo incorniceranno. Insieme
alle ex scuderie, sul lato ovest del lotto, di cui si prevede la ristrutturazione a fini
commerciali, il complesso rivitalizzerà anche l’area attraversata da calle Legrenzi. Il
passaggio esistente al piano terra sarà allargato secondo un angolo aperto verso la
“piazzetta del museo” al fine di segnalarne anche da lontano l’ingresso. L’attenzione
dei visitatori che si avvicinano a piedi al museo è catturata dai volumi diagonali dei
due nuovi corpi di fabbrica, i cui ingressi e la cui organizzazione interna risultano
ben percepibili.
Dal piano terra si raggiunge quello superiore attraverso un’ampia scala che mira ad
attirare l’attenzione dei visitatori sulla piazzetta e sull’ex caserma. Dopo una svolta,
una scala a quattro rampe, lunga circa 50 metri e illuminata dal pavimento, sale
dolcemente ai piani espositivi, dividendosi per consentire l’accesso al primo livello
dell’esposizione permanente. Le aree espositive al primo e secondo piano sono concepite come flessibili “scatole nere” di circa 1.150 mq per piano.
Tutti i livelli espositivi sono progettati a partire da una griglia di 9x12 m. Qualora si
optasse per una configurazione “classica” la galleria sarebbe formata da ambienti
di 6x9 m con una superficie di 54 mq, nel caso dei più piccoli. Grazie a questo modulo tutti i piani del museo possono essere configurati come un’infilata di “gabinetti”,
oppure come uno spazio continuo ripartito, ovvero come un grande spazio unico. Al
secondo piano, alla fine della scala principale si attraversa un lungo ambiente che
contiene le informazioni relative alle mostre temporanee allestite al terzo piano. Chi
non intende visitare l’esposizione permanente, si muove in questo spazio come in una
zona di transito che porta alla scala per il terzo piano, illuminata dall’alto attraverso lucernari. Questa illuminazione preannuncia la luce naturale che caratterizza gli
spazi espositivi di 1.050 mq ricavati al terzo piano, dotati di sheds orientati a nord.
Questi spazi, a differenza di quanto avviene nei piani destinati all’esposizione permanente, formano una “scatola bianca” oscurabile, dalla quale è possibile accedere a
un balcone o di godere la vista della città vecchia attraverso ampie aperture vetrate.
L’edificio è riconoscibile nel suo rivestimento esterno in ceramica policroma. L’accordo cromatico che recepisce e interpreta le modulazioni di colore dell’ambiente
circostante è il segno di riconoscimento del museo. Gli ingressi e le rientranze sono
eseguiti in cemento a vista, materiale che compare anche nella parte superiore
dell’edificio.
La volumetria dell’edificio deriva da valutazioni di carattere urbanistico e funzionale. L’attraversamento del lotto, l’integrazione tridimensionale della costruzione nel
contesto, l’accessibilità di tutte le componenti del programma e la disposizione delle superfici al piano terreno hanno giocato un ruolo importante.
L’aspetto del museo mira a interpretare l’eredità artistica del XX secolo. Condivide
con il Futurismo italiano la fascinazione per il movimento e la velocità come componenti fondamentali dell’orizzonte percettivo contemporaneo. Con l’arte (e l’architettura) moderna condivide l’uso mirato del colore come mezzo di percezione spaziale.
Appartiene invece al XXI secolo la consapevolezza del valore della “continuità sostenibile” che il progetto interpreta, in particolare con la sua concezione urbanistica.
The project proposes the construction of a building for a new museum integrated
with its building mass to the urban system of Mestre. Its placement improves the
pedestrian network in the city, creates and connects new spaces which carefully
and attentively become part of the larger context. Seen from one side the museum
works as a catalyst to regenerate the city centre whilst from the other it functions
as a frame focussed on optimising the pre-existing situation.
In order to create a pedestrian connection between Piazza Ferretto and Via Cappuccina via the ex-barracks the project envisages a diagonal path and a “Museum
Square” to attract visitors and invite them to pass through the entire complex.
From this first “town planning decision” depend the successive planning choices
and specifically that of introducing a diagonal which divides the plot into two triangular parts. The larger triangle on Via Brenta Vecchia will hold the museum building,
whilst the smaller body of the service building will occupy the portion of the area on
Via Pascoli.
The project foresees the restructuring and re-use of the ex-barracks, where to create spaces exclusively dedicated to commerce the facades on the ground floor
of Via Poerio, and those of the arcade of the cloister, will be given shop windows,
resulting in this area being brightened up by the commercial activities which will
frame it. Together with the ex-stable, on the western side of the plot, for which is
envisaged a project of restructuring for commercial purposes, the complex will also
revitalise the part crossed by Calle Legrenzi. The existing path at ground level will be
widened following an open corner towards the “Museum Square” in order to indicate
the entrance even from a distance. The visitor’s attention will be captured as they
draw nearer on foot to the museum by the diagonal volumes of the two new bodies
of the construction, whose entrances and whose internal organisation will be immediately discernible.
The upper floor will be reached from the ground floor by means of a wide stair which
is intended to focus the visitor’s attention on the small square and the ex-barracks.
After a turn, a stair in four flights, around 50 metres long and illuminated from the
floor, gently leads up to the exhibition floors, dividing itself to allow access to the
first floor of the permanent exhibition. The exhibitive areas on the first and second
floors are conceived as flexible “black boxes” of around 1,150sq m per floor.
All the exhibitive floors are planned on a grill of 9x12m. In the event that a “classical”
configuration should be chosen the gallery would be formed of spaces of 6x9m with
an overall individual surface of 54sq m, in the case of the smaller ones. Thanks to
this module all the levels of the museum can be configured like a string of “studios”,
or as a continuous divided-up space, or as a single large room. On the second floor,
at the end of the main stairs the visitor will pass through a long room containing all
the information about the temporary exhibitions exhibited on the third floor. Those
who do not wish to visit the permanent exhibition will move through this transit
zone which leads to the stairs to the third floor, lit from above by sky-lights. This illumination is a prelude to the natural light which characterises the exhibition spaces
of 1,050sq m on the third floor, equipped with sheds orientated to the north. These
spaces, diversely from the situation on the floors designated for the permanent exhibition, form a “white box” which can also be darkened, from which it is possible to
arrive onto a balcony or enjoy the view of the old city through large glass openings.
The building is identifiable owing to its exterior cladding in polychrome ceramic.
The chromatic agreement which acknowledges and interprets the modulations of
colours of the surrounding area is the sign of recognition of the museum. The entrances and alcoves are made of cement, a material which also appears in the upper part of the building.
The volumetry of the building derives from evaluations of a town planning and functional nature. The crossing of the plot; the three-dimensional integration of the construction in the wider context; the accessibility of all the components of the programme; the arrangement of the surfaces on the ground floor, have all played an
important role.
The aspect of the museum is intended to interpret the artistic inheritance of the
twentieth century. It shares with Italian Futurism the fascination for movement and
speed as fundamental components of the contemporary perceptive horizon. With
modern art (and architecture) it shares the attentive use of colour as a vehicle for
spatial perception. The awareness of the value of “sustainable continuity” belongs
instead to the 21st century, which the project interprets particularly with its town
planning conception.
122
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Tavola 01 Schemi grafici di inserimento urbano / Urban context analysis
Tavola 02 Vista dello spazio esterno / Exterior view
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Tavola 03 Vista dello spazio esterno / Exterior view
Tavola 04 Schemi grafici / Drawings
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Tavola 05 Dettaglio costruttivo / Construction detail
Tavola 06 Viste degli spazi interni / Interior views
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Tavola 07 Vista dello spazio interno / Interior view
Tavola 08 Prospetti / Elevations
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Tavola 09 Planimetria a livello terra / Site plan
Tavola 10 Pianta piano terra / Ground-floor plan
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Tavola 11 Pianta primo piano / First-floor plan
Tavola 12 Pianta secondo piano / Second-floor plan
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Tavola 13 Pianta terzo piano / Third-floor plan
Tavola 14 Pianta del piano interrato / Basement plan
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Tavola 15 Pianta delle coperture / Roof plan
Tavola 16 Sezioni / Sections
137
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Eduardo Souto de Moura
Souto Moura Arquitectos
Porto, Portogallo / Porto, Portugal
140
Concorrente
Participant
Souto Moura Arquitectos
Gruppo di progettazione
Project team
Eduardo Souto de Moura
Collaboratori
Collaborators
André Campos
Ana Patrícia Santos
Consulenti
Consultants
Afaconsult
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141
Descrizione del progetto
Design concept
Il progetto per M9 e la riconversione dell’ex convento delle Grazie in un centro commerciale conserva le facciate e le parti significative della struttura dell’edificio
esistente e prevede soltanto la demolizione di alcune pareti divisorie. La strategia
adottata è di inserire gli accessi (scale e ascensori) nel corpo di spessore minore,
mantenendo libero quello di maggiore profondità per i negozi. Affinché nel centro
commerciale non vi siano corridoi ciechi e le condizioni siano le migliori per la vendita, le scale mobili sono posizionate in modo da obbligare il pubblico a percorrere
tutto il piano per salire o scendere.
Per il nuovo museo è stata adottata la tipologia a patio, analoga a quella dell’ex convento annesso, che comporta una circolazione continua. Il patio propriamente detto
può essere anche utilizzato come estensione all’aperto delle sale del piano terra
e in particolare della caffetteria. Il volume dell’edificio si adegua alle preesistenze
che lo circondano, sia che si tratti di edifici di qualità (ex convento delle Grazie) o di
edifici anonimi. Anche in questo caso la città è un’entità compatta e anche in questo
caso un punto di vista selettivo o moralistico non è il più appropriato per affrontare
un progetto urbano: come diceva Fernando Pessoa, infatti, “basta esistere per avere
qualche ragione d’essere”.
Il museo è costituito da un piano interrato, dal piano terra, da altri due piani e da
un piano arretrato in copertura, non percepibile da nessun punto della città o dal
patio interno. Adeguare il coronamento della nuova costruzione all’intorno è stato
uno dei nostri principali obiettivi, perchè siamo convinti che la città si costruisce
nella continuità, seguendo una regola; le eccezioni valgono per i monumenti e non
è questo il caso.
I materiali di cui è previsto l’impiego all’esterno sono mattone, vetro e cemento faccia vista bocciardato per l’entrata di servizio. Questa “pelle” esteriore è sostenuta da
una costruzione mista in cemento armato e acciaio, a sua volta portata da pareti
strutturali. Si prevede un parziale riuso dei mattoni delle costruzioni demolite e delle
cornici di alcune finestre, non per ragioni ecologiche, ma per ricreare l’atmosfera di
un ambiente le cui proporzioni e i cui materiali meritano di venir salvaguardati. I muri
e le finestre finte così ottenute formano una scena, un ready made che rende funzionale a un museo ciò che è banale e anonimo. Citare un “testo” che sta per scomparire, rientra infatti nel nostro modo di intendere l’architettura come continuità.
Il vetro è presente soprattutto al piano terra, dove crea una trasparenza graduale
tra strada, museo e patio. L’assenza di una struttura in facciata e il vetro antiriflesso
attribuiscono una permeabilità agli spazi possibile solamente in una costruzione
del XXI secolo.
Il museo ha quattro ingressi: un’entrata di servizio da via Pascoli, dove un camion
può invertire la marcia con una sola manovra; un piccolo passaggio tra la piazzetta commerciale corte Legrenzi e il patio di accesso all’atrio del Museo; un’entrata
laterale, con una lettera in marmo di grandi proporzioni leggibile da via Poerio, che
conduce all’atrio suddetto attraverso un giardino (collegato a quello della chiesa) e i
negozi del Museo. L’ingresso principale, ubicato tra la chiesa e il centro commerciale è segnalato da una sigla in marmo di grandi proporzioni; poiché è molto visibile e
prossima al centro commerciale, faciliterà la frequentazione del Museo.
I percorsi si sviluppano con continuità dall’atrio attraverso rampe mobili che conducono all’ultimo piano, dedicato alle esposizioni temporanee. A partire da quest’ultimo il senso di percorrenza si inverte e si può visitare la collezione permanente
scendendo da un piano all’altro. Affinché la visita non risulti meccanica, abbiamo
inserito piccole ambienti di sosta illuminati da luce naturale.
Gli spazi espositivi per la collezione permanente sono attraversati soltanto da alcune pareti strutturali; a partire da esse possono venire configurati a seconda delle
esigenze. Gli ambienti per le esposizioni temporanee ricevono luce naturale dalla
copertura, mentre uno spazio particolare con un’altezza netta di quasi sette metri e
luce più controllata potrà essere utilizzato per eventi o situazioni particolari.
Questo nuovo edificio, legato all’ex convento delle Grazie, non sarà una nuova “icona”
dell’architettura contemporanea. Le circostanze sono mutate e in greco “crisi” significa cambiamento. Cambiamento in questo momento a Venezia-Mestre, così come
in Europa, significa essere più “naturali”, più “adeguati”, più silenziosi perché come
diceva il poeta portoghese Herberto Helder “é con il silenzio che si fanno le voci”.
The M9 project and the reconversion of the former convent of Santa Maria delle
Grazie into a commercial centre conserves the facades and the most important
parts of the structure of the existing buildings and envisages the demolition of only
a few divisor walls. The strategy adopted is to insert the access points (stairs and
lifts) into the narrower body, maintaining free that of the wider one for the shops. In
order that the commercial centre doesn’t have blind corridors and that conditions
are optimum for sales, the escalators are positioned in a way to oblige the public to
walk through the entire length of the floor to go up or down.
For the new museum a patio typology has been selected, analogous to that of the
annexed former convent entailing a continuous circulation. The patio can also be
used as an external extension of the rooms on the ground floor and in particular of
the cafeteria. The volume of the building is in proportion to that of the pre-existing
ones which surround it, both those buildings of quality (such as the former convent
of Santa Maria delle Grazie) or anonymous buildings. Also in this case the city is a
compact entity and again, in this case, a selective or moralistic point of view is not
the most appropriate one to approach an urban project: as Fernando Pessoa said,
“it is enough to exist to have a reason for being”.
The museum is composed of a basement floor, a ground floor, a further two floors
and an ultimate rear floor, invisible from any part of the city or from the internal
patio. To allow the roof level of the new construction to fit into the surrounding area
was one of our principle objectives, because we are firm in the belief that the city is
constructed in continuity, following a rule; exceptions are suitable for monuments
and this is not the case.
The materials which are planned for the exterior of the building are bricks, glass
and exposed bushhammered cement for the service entrance. This exterior “skin” is
supported by a construction of mixed reinforced cement and steel, itself supported by structural walls. Some bricks will be reused from the demolished buildings
and some window frames will be recovered, not for ecological reasons but rather
to recreate the atmosphere of a complex whose proportions and whose materials
deserve being protected. The pretend walls and windows will create a scene, a readymade which renders functional to a museum that which is banal and anonymous.
The quotation of a “text” which is about to disappear falls into our way of understanding architecture as continuity.
Glass is present above all in the ground floor, where it creates a gradual transparency between road, museum and patio. The absence of a structure with a facade
and the anti-glare glass attribute a permeability to the spaces possible only in an
edifice of the 21st century.
The museum has four entrances: a service entrance from Via Pascoli, where a
truck can turn around in one manoeuvre; a small crossing between the commercial
square Corte Legrenzi and the access patio at Museum atrium; a lateral entrance,
with an enormous letter in marble visible from Via Poerio, which leads to the aforesaid atrium by crossing a garden (connected to that of the church) and the Museum
shops. The main entrance, situated between the church and the commercial centre
is indicated by a large symbol in marble; as it is extremely visible and next to the
commercial centre, it will facilitate visits to the Museum.
Clear routes will develop with continuity from the atrium by means of escalators
which lead to the upper floor, dedicated to temporary exhibitions. From this last
floor the direction of movement will change and the visitor will peruse the permanent collection by descending from floor to floor. In order to avoid a mechanical feeling to the visit, we have inserted small spaces for pause, illuminated by natural light.
The exhibitive spaces for the permanent collection have only a few supporting walls;
in this way the spaces can be arranged according to requirements. The areas for the
temporary exhibits receive natural light from the roof, whilst a separate space with
a net height of almost seven metres and controllable light can be used for events or
situations which require these conditions.
This new building, tied to the former convent of the Grazie, will not be a new “icon”
of contemporary architecture. Circumstances have changed and in Greek crisis
means change. Change in this moment in Venice-Mestre, as in Europe, means being
more “natural”, more adjusted, more silent because, as the Portuguese poet Herberto Helder said “it is with silence that voices are made”.
142
142
Tavola 01 Planimetria generale di progetto a livello del piano terra / General arrangement - ground-floor level
Tavola 02 Pianta piano interrato / Basement plan
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143
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Tavola 03 Pianta piano terra / Ground-floor plan
Tavola 04 Pianta piano primo / First-floor plan
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145
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Tavola 05 Pianta piano secondo / Second-floor plan
Tavola 06 Pianta piano terzo / Third-floor plan
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147
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Tavola 07 Pianta coperture / Roof plan
Tavola 08 Prospetti / Elevations
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149
150
150
Tavola 09 Sezioni 01-05 / Sections 01-05
Tavola 10 Sezioni 06-10 / Sections 06-10
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151
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Tavola 11 Viste spazi esterni / Exterior views
Tavola 12 Viste tridimensionali / 3D views
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153
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154
Tavola 13 Viste spazi esterni / Exterior views
Tavola 14 Viste spazi interni / Interior views
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155
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Tavola 15 Dettagli costruttivi / Construction details
Tavola 16 Strutture e impianti / Structural and M&E systems
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157
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Tavola 17 Assonometria del sistema di accessibilità e organizzazione funzionale / Axonometric view of accesses and internal distribution
159
160
Appendice / Appendix
Fondazione di Venezia:
the Decision Process
Il percorso decisionale
della Fondazione di Venezia
10.10.2005
Illustrazione del progetto museale
ai consiglieri della Fondazione:
Beltrame, Danieli, De Rita, Geymonat,
Olivotto, Pellicani, Perinato.
27.01.2006
Presentazione del Master Plan
del progetto museale ai Consigli
della Fondazione.
Presenti i componenti del Consiglio
Generale e di Amministrazione:
Annibaldi, Baldo, Beltrame, Brugiavini,
Brunello, Cadel, Cappelletto, Cerchiai,
Folin, Fontana, Fortunati, Foscari,
Geymonat, Ghetti, Mion, Mirabelli,
Olivotto, Perinato, Toniolo.
13.02.2007
Acquisto dell’ex Caserma Matter.
13.06.2007
Acquisto dell’ ex Caserma Pascoli.
21.03.2008
Presentazione dello stato
di avanzamento ai Consigli.
Presenti i componenti del Consiglio
Generale e di Amministrazione:
Baldo, Beltrame, Boatto, Bortolotto
Possati, Brunello, Cadel, Cappelletto,
Cerchiai, Danieli, Folin, Fontana,
Fortunati, Geymonat, Ghetti, Magnani,
Mion, Mirabelli, Perinato, Reviglio,
Toniolo.
30.09.2008
Acquisto dell’ immobile Poerio-Brenta
Vecchia.
27-8.03.2009
Presentazione dell’investimento
complessivo e del cronoprogramma
2009-2015 ai Consigli.
Presenti i componenti del Consiglio
Generale e di Amministrazione:
Baldo, Beltrame, Boatto, Bortolotto
Possati, Brunello, Cadel, Cappelletto,
Cerchiai, Danieli, Fontana, Fortunati,
Geymonat, Ghetti, Mirabelli, Musu,
Piazza, Reviglio, Toniolo.
15.12.2009
Firma dell’Accordo di Programma
fra la Regione del Veneto, la Direzione
Regionale per i Beni culturali
e paesaggistici del Veneto
e la Soprintendenza per i Beni
architettonici e paesaggistici di Venezia
e Laguna, il Comune di Venezia
e la Fondazione di Venezia.
15.02.2010
Avvio del concorso architettonico.
15.06.2010
Consegna dei progetti preliminari.
27.08.2010
Proclamazione del vincitore
del concorso architettonico
e inaugurazione della mostra.
10.10.2005
The museum project is illustrated
to the Foundation governors:
Beltrame, Danieli, De Rita, Geymonat,
Olivotto, Pellicani, Perinato.
27.01.2006
The museum-project master plan
is presented to the following members
of the Foundation’s General Council
and Board of Governors:
Annibaldi, Baldo, Beltrame, Brugiavini,
Brunello, Cadel, Cappelletto, Cerchiai,
Folin, Fontana, Fortunati, Foscari,
Geymonat, Ghetti, Mion, Mirabelli,
Olivotto, Perinato, Toniolo.
13.02.2007
The former Caserma Matter
is purchased.
13.06.2007
The former Caserma Pascoli
is purchased.
21.03.2008
A progress report is presented to the
following members of the General
Council and Board of Governors:
Baldo, Beltrame, Boatto, Bortolotto
Possati, Brunello, Cadel, Cappelletto,
Cerchiai, Danieli, Folin, Fontana,
Fortunati, Geymonat, Ghetti, Magnani,
Mion, Mirabelli, Perinato, Reviglio,
Toniolo.
30.09.2008
The Poerio-Brenta Vecchia property
is purchased.
27-8.03.2009
The total investment and 2009-2015
timescale are presented
to the following members of the General
Council and Board of Governors:
Baldo, Beltrame, Boatto, Bortolotto
Possati, Brunello, Cadel, Cappelletto,
Cerchiai, Danieli, Fontana, Fortunati,
Geymonat, Ghetti, Mirabelli, Musu,
Piazza, Reviglio, Toniolo.
15.12.2009
A Programme Agreement is signed
by the Regione del Veneto, Direzione
Regionale per i Beni Culturali
e Paesaggistici del Veneto,
the Soprintendenza per i Beni
Architettonici e Paesaggistici di Venezia
e Laguna, the Comune di Venezia
and the Fondazione di Venezia.
15.02.2010
The architectural competition
is announced.
15.06.2010
The preliminary designs are received.
27.08.2010
The winner of the architectural
competition is announced
and the exhibition opens.