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1/Sui confini della scienza politica LA «TEORIA DELL' ELITE» 2/Sui confini della scienza politica 1. Caratteri generali della teoria. La seconda parte di questo corso è dedicata all'elaborazione teorica facente capo a Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels; elaborazione per molti versi eterogenea, condotta secondo linee di riflessione e con strumenti analitici differenti da autore ad autore, ma riconducibile per l'esistenza di aspetti metodologici comuni e per l'esistenza di alcuni indubbi temi condivisi - sotto la comune denominazione di Teoria dell'élite o di Teorie elitiste. In termini generali, assumendo la definizione che ne ha dato Michelangelo Bovero nell'introduzione alla più sistematica antologia disponibile in materia, si potrebbe dire che «per teoria dell'élite o "elitismo" s'intende quella teoria secondo cui in ogni società la possibilità di prendere decisioni importanti sul destino comune è concentrata nelle mani di una ristretta minoranza, organizzata in vista di uno scopo»1. E' questa, per molti versi, la "scoperta" che accomuna autori per altri aspetti assai diversi - il "minimo comun denominatore", potremmo dire in termini matematici, che unifica in un unico contesto teorico percorsi intellettuali separati anche se, in alcuni casi, intersecantisi tra loro. 1 Michelangelo Bovero (a cura di), La teoria dell'élite, Loescher, Torino 1975, p.9 3/Sui confini della scienza politica Mosca, quando scrisse la sua prima opera, la Teorica dei governi e governo parlamentare, era un giovanissimo laureato in giurisprudenza in crisi col proprio giovanile liberalismo democratico e precocemente deluso per la cattiva prova data dal governo parlamentare (si ricordi che l'opera apparve nel 1883, a ridosso dell'avvento al potere della "sinistra storica", avvenuto nel 1876, e in pieno "trasformismo"). Vilfredo Pareto, di dieci anni più anziano di Mosca - era nato nel 1848 - era un affermato economista, succeduto al celebre Walras sulla cattedra dell'università di Losanna. Nato da famiglia mazziniana a Parigi (dove il padre era stato costretto in esilio), ingegnere lauretao al Politecnico di Torino, battagliero difensore delle tesi liberiste in economia, si era orientato allo studio della sociologia (che considerava la "scienza delle scienze" nell'ambito delle discipline umane) ossessionato dalla constatazione dello scarso peso delle azioni razionali (come quelle proprie del campo economico) nella vita sociale, e dall'importanza decisiva delle "azioni non-logiche", delle credenze, delle false coscienze. Anch'egli, dunque, mosso allo studio da una "delusione". Roberto Michels, infine, era nato nel 1876 a Colonia apparteneva cioè a una generazione successiva rispetto a quella di Pareto e di Mosca, alla cosiddetta "seconda generazione" di sociologi, che succedeva alla big generation dei Weber e dei Durkheim. «La sua origine - è stato sottolineato - era notevolmente più cosmopolita di quella dei suoi colleghi: di nascita era tedesco, ma le ascendenze della sua famiglia potevano rintracciarsi sia in Germania che in Francia e in Belgio»2. Dopo una militanza appassionata nella socialdemocrazia tedesca, su posizioni marxiste radicali, e in seguito sindacaliste, 2Juan J.Linz, Michels e il suo contributo alla sociologia politica, Introduzione a R.Michels, La sociologia del partito politico, Il mulino, Bologna 1966, p. IX. 4/Sui confini della scienza politica in corrispondenza con il suo trasferimento in Italia, nel 19O7, venne facendosi sempre più critico nei confronti dei meccanismi burocratici della grande macchina organizzativa dell'SPD (il partito socialdemocratico tedesco), fino ad approdare, negli anni '20, a posizioni vicine a quelle di una parte del movimento fascista. - Sugli aspetti comuni ai teorici elitisti: i principii di "scientificità": Tre percorsi biografici e intellettuali diversi, e che tuttavia presentano punti significativi d'incontro e d'intersezione. E ciò non solo perchè Torino costituisce, in qualche modo, un luogo ricorrente - un crocevia - in tutte e tre le biografie: Pareto vi visse in giooventù e vi si laureò; Mosca venne a ricoprirvi nel 1896, dopo un difficile e contrastato inizio accademico, la cattedra di diritto costituzionale e l'insegnamento (il primo in Italia) di scienza politica; Michels vi insegnò dal 1907, come libero docente, fino alla guerra mondiale (quando passò all'università di Basilea), e vi conobbe Mosca, stabilendo con lui un proficuo dialogo scientifico. Non solo, però, per questo, si diceva essi si accomunano, ma anche perchè li associano alcuni tratti di fondo. In tutti e tre, in primo luogo, compare, all'origine dell'impegno scientifico, come motivazione interiore all'innovazione nel metodo e alla scelta dell'oggetto, lo si è detto, una qualche delusione: per il parlamentarismo liberale Mosca, per il partito operaio e la sua mancanza di democrazia interna Michels, per la irrazionalità umana e per la limitatezza del campo d'azione della logica razionale economica rispetto al gran mare delle azioni "non logiche" Pareto. In tutti e tre, poi, compare come tratto qualificante dell'approccio ai fenomeni sociali, l'esigenza fondamentale della scientificità. tutti e tre intendono dare allo studio delle azioni umane, all'analisi della 5/Sui confini della scienza politica società, il carattere di scienza. Intendono far uscire la sociologia e l'analisi della politica dalla condizione di improvvisazione e di opinabilità assegnando anche ad esse uno statuto scientifico forte. Nella prima pagina della Prefazione alla prima edizione della Sociologia del partito politico di Michels, è stampato il motto: «Per amore della scienza, in odio a nessuno». Era sua intenzione e ambizione, fin dalla pubblicazione del saggio su Proletari e borghesia nel movimento socialista italiano, nel 1908, di dar vita a «una nuova disciplina scientifica […] la scienza della storia analitica dei partiti politici, ramo della sociografia»3. D'altra parte il primo capitolo della Teorica dei governi di Mosca si apre proprio copn un confronto tra lo statuto scientifico forte delle scienze della natura e la debolezza scientifica delle discipline sociali, e con la programmatica intenzione di dotare anch'esse dei presupposti scizntifici delle prime: «I risultati ci dicono - scrive Mosca che, fino al giorno d'oggi, il metodo sperimentale ha fatto assai migliori prove nelle scienze fisiche che nelle sociali […] Ognuna di esse - prosegue - possiede infatti un certo numero di verità scientificamente coordinate, la dimostrazione delle quali sebbene inaccessibile ai profani, è generalmente accettata da tutti coloro che si sono specialmente dedicati a qiuella tale scienza, che si sanno perfettamente rendere ragione del processo con cui sono state raggiunte. Inoltre queste verità scientifiche non sono già frutto dell'osservazione comune e volgare, sebbene di un metodo speciale di osservazione al quale soltanto i cultori delle singole scienze sono iniziati, ed aggiungiamo anche che esse sono talora in perfetta 3 R.Michels, Il proletariato e la borghesia nel movimento socialista italiano. Saggio di scienza sociografico-politica, Bocca, Torino 19O8. La stessa espressione Michels l'aveva usata nella prefazione all' edizione francese de La sociologia del partito politico, cfr. J.Linz, Michels e il suoi contributo alla sociologia politica, cit., p. XXIII 6/Sui confini della scienza politica contraddizione coi risultati dell'osservazione volgare»4 Si noti - sia detto per inciso - la raffinatezza dei criteri utilizzati da Mosca nel qualificare i caratteri di scientificità, per molti aspetti simili a quelli fissati dalla epistemologia più recente e richiamati nella parte generale di questo corso: l'esistenza di un processo razionale formalizzato di argomentazione; la precisione del linguaggio logico, capace di definire la comunità scientifica afferente alle specifiche discipline; il contenuto controfattuale delle conclusioni cui si perviene mediante il procedimento scientifico. Così come si può notare l'evidente carattere "elitista" anche sul piano della teoria della conoscenza: "scientifico", sembra voler dire Mosca, è solo il sapere condiviso da minoranze di "iniziati", qualitativamente diverso dall'evidenza quotidiana, dal "senso comune", così come nella sua teoria, politica sarà solo l'azione di minoranze elette; quasi che dal terreno dei risultati, l'impronta elitista si estenda e retroagisca sullo stesso piano metodologico5. «Nelle scienze sociali, al contrario,lamenta Mosca - tranne l'economia politica ed in qualche modo la statistica, in tutte le altre, le quali si riassumono in quella che con vocabolo moderno si dice sociologia, non si trovano ancora quei principii generali scientificamente provati, la verità dei quali è concordemente ammessa da tutti coloro che 4 Gaetano Mosca, Teorica dei governi e governo parlamentare, in Scritti politici di Gaetano Mosca, a cura di Giorgio Sola, UTET, Torino 1982, vol. I, pp. 197-198. Per un'ampia trattazione della biografia scientifica di Mosca e un'utile introduzione al suo pensiero si veda in Ibidem, l'Introduzione di Giorgio Sola. 5 «Una scienza risulta sempre da un sistema di osservazioni fatte sopra un dato ordine di fenomeni con speciale cura - preciserà nell'opera più matura, gli Elementi di scienza politica -, con appropriati metodi e coordinate in modo da giungere alla scoperta di verità indiscutibili che, all'osservazione volgare e comune, sarebbero rimaste ignote.», cfr. G. Mosca, Elementi di scienza politica, in Scritti politici cit., vol. II, p.553. 7/Sui confini della scienza politica sono iniziati allo studio di esse; al contrario qualunque principio resta sempre allo stato d'ipotesi discutibile epiù o meno dioscussa»6 Mosca elenca anche le ragioni di questa difficoltà a fare entrare lo studio della società nella sua fase "scientifica": la gran mole di informazioni che richiedono le scienze sociali, contrariamente a quelle naturali, data la grande varietà dei comportamenti nel mondo umano rispetto al mondo naturale; la difficoltà a procurarsi tali informazioni; infine i "pregiudizi a priori", le superstizioni, che assai più nel campo dei fenomeni sociali che con in quello dei fenomeni naturali fanno velo, e assai più tenacemente. Tuttavia - è la sua opinione - «noi crediamo fermamente che una vera e propria scienza sociale se finora non ci è stata, può da questo momento in poi cominciare ad essere»7; una scienza che sappia individuare, con metodo sperimentale, i fatti costanti e generali, e formalizzare «le tendenze costanti in tutte le società» - come si esprimerà nel capitolo dedicato a "Il metodo della scienza politica" degli Elementi di scienza politica8; scoprire «le leggi e le modalità che regolano l'azione delle tendenze psicologiche costanti»9. A questo compito - il fondare cioè la "scienza politica" in senso proprio - egli si candida e dedica per intero l'opera sua: «Ogni persona che ho ascoltato - scrive nei Proemio della Teorica dei governi - ho sempre esaminato quale importanza, quale parte avesse nella vita pubblica; ogni opinione che ho inteso sopra argomenti politici, fosse quella del mio calzolaio o di sua Eccellenza il ministro, ho con pari cura raccolto e notato. 6 G.Mosca, Teorica dei governi e del governo parlamentare, cit., vol. I, pp. 198-199. 7 Ibidem, p. 201. 8 G.Mosca, Elementi di scienza politica, cit., vol. II, p.550 9 Ibidem, p. 549. 8/Sui confini della scienza politica Tutte le opinioni, tutti i fatti sociali raccolti ho cercato di coordinare scientificamente, di sintetizzare ricavandone delle vedute generali; e finalmente quando meno me l'aspettavo, vi sono riuscito. Il mio sistema era allora creato»10 Allo stesso programma di far passare la politica dall'opinione alla scienza, rispondono infine anche le premesse di Pareto: «Noi ci proponiamo - scrive nel 1905, in apertura di quel Programma e sunto di un corso di sociologia che costituisce e anticipa per molti versi l'ossatura del noto Trattato di sociologia generale - di fare uno studio esclusivamente scientifico, cioè ricerchiamo: α) qual'è la natura dei fenomeni sociali; β) qual'è stata la loro evoluzione; γ) quali sono le loro mutue dipendenze; δ) come la modificazione di uno di questi fenomeni si ripercuota sugli altri»11 Un modello di scientificità, questo, ricalcato sui principii della fisica meccanica - della disciplina, cioè, che Pareto considera paradigma per una scienza universale - e che, come già in Mosca, ha come fine precipuo l'individuazione delle costanti nel comportamento umano e la formulazione delle relative leggi le quali trovino nella conferma dei fatti il proprio criterio di verità. Al punto 7) dei "Principii generali", sempre nel Programma e sunto, si legge infatti: «Le proposizioni scientifiche sono dette infatti vere quando si trovano d'accordo coi fatti, con l'esperienza. Non vi è e non vi può essere altro criterio della loro verità. Affatto diverso è il criterio di verità delle 10 G.Mosca, Teorica dei governi e governo parlamentare, cit., vol. I, p.189, corsivo mio. 11 Vilfredo Pareto, Programma e sunto di un corso di sociologia, in Scritti sociologici minori di Vilfredo Pareto, a cura di Giovanni Busino, UTET, Torino 1980, p.293 9/Sui confini della scienza politica proposizioni non scientifiche. Praticamente esso si trova nel loro accordo, più o meno vago, coi sentimenti delle persone che li accettano»12 E al punto 8): «I fenomeni sociali presentano delle uniformità, se essi non ne presentassero ogni previsione dei fenomeni futuri peccherebbe nella base, e sarebbe assurda […] Le uniformità dei fenomeni sono ciò che si chiamano le leggi di questi fenomeni. La natura delle leggi dei fenomeni sociali non differisce punto dalla natura delle leggi degli altri fenomeni naturali»13 - Il clima culturale del Methodenstreit: E' qui evidente l'influsso del clima culturale del tempo; in particolare di quell'offensiva del positivismo di cui si è parlato nella parte generale, diretta a fondare un sistema delle scienze unificato intorno al paradigma delle scienze della natura. Siamo a ridosso del Methodenstreit - anzi, in quella che potremmo definire la sua "seconda fase" -, e se ne vedono tutti gli effetti. Dopo la prima fase, segnata, come è noto, dallo scontro tra gli economisti della scuola storica (Schmöller) e quelli della scuola "scientista" (Menger) circa l'approccio individualizzante o generalizzante da assegnare alla scienza economica, la disputa sul metodo aveva visto le due correnti radicalizzare progressivamente le proprie posizioni: gli storicisti, per un verso, assolutizzando il carattere di specificità del mondo umano, totalizzando la frattura tra mondo umano e mondo naturale, e sottolineando l'incompatibilità di metodo tra i due, tra scienze dello spirito e scienze della natura; i positivisti estremizzando in senso nomotetico, generalizzante, le proprie premesse. Di 12 13 Ibidem, p.294. Ibidem. 10/Sui confini della scienza politica contro alla riduzione - da parte dello storicismo della crisi del sapere storico-sociale a disciplina descrittiva e "idiografica", questi ultimi riaffermavano con forza crescente "l'onnipotenza del metodo empirico" e, soprattutto, una concezione della conoscenza e della spiegazione scientifica fondata su un rigoroso "principio di legalità"; sull'idea, cioè, che un fenomeno, empiricamente rilevato e dimostrato come certo, risulterebbe spiegato scientificamente se - e soltanto se - divenga possibile ricondurlo al di sotto di una legge generale dotata, a sua volta, di una struttura logicoformale ineccepibile e codificata. E' quanto nel dibattito successivo verrà definito (da Gadamer) "analisi di regolarità" o "interpretazione di regolarità"14, e che Hempel qualificherà come "legge di copertura", per esprimere il concetto secondo cui «una spiegazione è giudicata compiuta (cioè scientificamente ineccepibile) soltanto quando ciò che deve essere spiegato è sussunto sotto una legge generale»15, dal cui maggiore o minore grado di coerenza logica e di predittività finisce per derivare il maggiore o minor grado di scientificità delle diverse discipline. (Collocata la storiografia al grado più basso, la sfida per le scienze sociali dall'inizio del secolo in poi sarà quella di giungere a formulare "leggi di copertura" sempre più rigorose). Se si tiene conto del fatto che le prime battute del Methodenstreit sono dell'inizio degli anni '80 dell'Ottocento (il volume di Menger, Ricerche sul metodo delle scienze sociali e dell'economia16 è del 1883, come pure l'Introduzione alle scienze dello spirito di Dilthey17, il primo vero manifesto della posizione storicista contro quella positivista), e che a cavallo 14 15 16 17 11/Sui confini della scienza politica tra i due secoli maturò la radicalizzazione "legalista" della scuola positivista; se si tiene conto di ciò, si può comprendere quale parte abbia, in questa problematica, la fondazione dello studio della politica come scienza, operata dai teorici dell'élite. E si può ricollegare al contesto culturale dominante quella forte accentuazione sul tema dell'individuazione delle leggi storico-sociali che, come si è visto, li caratterizza: gli Elementi di scienza politica di Gaetano Mosca, l'opera che gli valse la chiamata all'università di Torino e che ebbe maggior successo tra il pubblico colto, è del 1896 (la Teorica dei governi era stata pubblicata nel 1883!). I Systemes socialistes di Pareto, in cui è tracciato il primo abbozzo della sua teoria della classe eletta e in cui si profilano le linee generali della sua problematica più originale, sono del 19O2-3, e del 1905 è il Programma e sunto di un Corso di sociologia che, come si è visto, anticipa la struttura della sua opera più nota, il Trattato di sociologia generale, terminato solo più tardi, nel 1916. L'edizione tedesca della Sociologia del partito politico di Michels, infine, è del 1911. L'astensione dai valori e la critica dell'ideologia:In poco più di un decennio, tra la metà degli anni '90 dell'Ottocento e il primo decennio del Novecento, si tracciano dunque le linee di fondo della Teoria dell'élite e della rivoluzione metodologica che segnò la nascita della moderna scienza politica.. Era indubbiamente connesso a quel clima culturale anche il radicale rifiuto, proprio a tutti e tre gli esponenti dell'elitismo, di ogni coinvolgimento ideologico o emotivo nella materia studiata. Quella programmatica "avalutatività", astensione dai giudizi di valore, che li rende così affini alla wertfreiheit weberiana. Questa dell'osservazione oggettiva dei fatti, senza permettere che sentimenti, appartenenze, valori facciano velo allo 12/Sui confini della scienza politica sguardo disincantato dello scienziato, è un presupposto programmatico che ritorna con insistenza persino eccessiva, e che costituisce parte integrante del "realismo" della scuola elitista; di quel realismo, inteso come separazione tra scienza e sentimento, tra osservazione oggettiva e fede personale, tra analisi scientifica e convinzione etico-politica, che ha fruttato loro la qualifica di "machiavellici" - The Machiavellians è il titolo di J.Burnham18 ad essi dedicato -, in omaggio al primo pensatore che separò programmaticamente politica e morale, analisi dell'"essere" da credenza nel "dover essere" «Lo studio della sociologia - scrive Pareto in un saggio del 1897 sul tema specifico de Il compito della sociologia fra le scienze sociali - difficile già di per se stesso, lo diviene ancor di più a causa dei pregiudizi e delle passioni, di cui non è dato spogliarci interamente. Noi dobbiamo dunque adoperarci ad eliminare, per quanto è possibile, l'elemento subiettivo dalle nostre ricerche e studiare la società umana come se non ne facessimo parte»19 E aggiunge poco oltre: «La scienza nopn ha idee preconcette nè passioni; non appartiene ad alcun partito, ma ha unicamente per ufficio di descrivere i fatti, di investigare i rapporti che questio hanno tra loro e di scoprire le leggi che costituiscono le uniformità naturali»20 In una lettera, all'amico economista Maffeo Pantaleoni, dell'anno successivo, il 1898, sarà ancora più esplicito: 18 19 V.Pareto, Il compito della sociologia fra le scienze sociali, in "Rivista italiana di sociologia", luglio 1987, ora in Id. Scritti sociologici minori, cit., p. 130. Corsivo mio. 20 Ibidem, p. 139. 13/Sui confini della scienza politica «Non sono legato a nessun partito - scrive - a nessuna religione, a nessuna scelta, quindi non ho idee preconcette dei fenomeni. Neppure sono legato ad alcun paese, e quindi sfuggo al pregiudizio patriottico che fa tanta strage nelle scienze sociali[…]Di quella mia intera libertà voglio trarre l'utile che comporta, scrivendo senza quei ritegni che fanno parziali tanti altri...»21 Concetti non diversi troviamo in Gaetano Mosca. Si legge infatti nelle ultime righe della Prefazione alla Seconda edizione degli Elementi, quasi a bilancio dell'intera sua opera: «Dirò per ultimo che mi sono sforzato di comprimere tutte quelle passioni e quei sentimenti che potevano annabbiare la visione obbiettiva dei fatti sui quali dovevo fondare le mie conclusioni. Riconosco che la completa riuscita di questo sforzo esigerebbe che l'uomo non fosse più tale, ma credo di aver fatto tutto ciò che, mercè la buona fede e la buona volontà, si poteva in questo senso ottenere. Prossimo a chiudere la mia carriera scientifica, ho fermamente voluto esporre, senza odii, senza collera, senza entusiasmi, colla serenità che solo l'età avanzata può dare, tutto quanto lo studio degli avvenimenti e del carattere umano aveva potuto insegnarmi»22 - La reazione anti-storicista: E' evidente in queste esplicite prese di posizione per una radicale oggettività di analisi - oggettività che implica, metodologicamente, la scomparsa dell'interprete come soggetto - la presa di posizione polemica, la reazione esplicita alla posizione ultra-soggettivista che lo storicismo - in particolare alcune componenti dello storicismo tedesco - veniva, proprio in quegli anni, affermando. Dilthey, nella già 21 Citato in N.Bobbio, Introduzione alla sociologia di Pareto, in Id.,Saggi sulla scienza politica in Italia, cit., p. 30 22 G.Mosca, Prefazione (del 1922) a Elementi di scienza politica, cit., vol. II, p. 544. 14/Sui confini della scienza politica citata Introduzione alle scienze dello spirito, aveva fondato la sua distinzione tra scienze della natura e scienze storiche (o umane) proprio sul differente ruolo che vi gioca la soggettività. Mentre il mondo della natura - egli diceva - è "muto per noi"; ci è estraneo è "eterogeneo rispetto all'uomo" - non ci parla nè può essere "vissuto", ma solo misurato, descritto, spiegato dall'esterno nei suoi nessi di causa-effetto, il mondo umano ci è consustanziale. Ci è omogeneo; è il mondo che noi stessi abitiamo e viviamo, e che in forza di questa nostra stessa "esperienza vissuta" (Erlebnis), può essere realmente conosciuto: "compreso" dall'interno, non solo razionalmente, ma anche emotivamente. Era una dichiarazione di guerra al progetto positivista di unificazione delle scienze intorno al metodo delle scienze naturali; dichiarazione di guerra fatta in nome della soggettività e dlla sua potenza conoscitiva. Solo ciò che è soggettivo - pareva affermare lo storicismo della crisi in queste sue componenti radicali - può essere realmente compreso, nel suo intimo, da un soggetto che utilizzi a fondo, come strumento di conoscenza, per intero la propria esperienza vitale. Si comprende quindi come, sulla sponda opposta, la risposta positivista non potesse che essere una pesante offensiva contro la soggettività; una integrale riproposizione del metodo oggettivo spinta fino alla consapevole dissoluzione del soggetto comprendente, della sfera soggettiva dell'interprete. - La dimensione antidemocratica e antisocialista: Ma l'oggettivismo radicale degli elitisti, la loro intransigente denuncia dell'anti-scientificità dei sentimenti, delle credenze e dei valori non era esclusivamente il riflesso e il portato del clima culturale del tempo, della grande controffensiva 15/Sui confini della scienza politica positivista contro il soggettivismo storicistico. Era anche, per molti versi, il riflesso di un clima politico che, sul finire del secolo, andava diffondendosi in tutta l'Europa, e che si esprimeva in un profondo disagio, quando non in un'aperta ostilità, nei confronti dell'ideologia democratica e socialista; delle ideologie umanitarie in generale, vissute come false e pericolose in quanto, sulla base di false premesse, rischiavano di illudere e scatenare le masse su parole d'ordine "emotive", "astratte", "irrealistiche" e "utopistiche", creando illusioni senza poterle soddisfare. Non solo allo scientismo positivistico va quindi ricollegata l'origine della Teoria dell'élite, ma anche all'anti-democraticismo e all'alti-socialismo crescente che caratterizzò il passaggio al Novecento. Una delle caratteristiche più significative del realismo elitista, stava nella volontà di non confondere i fatti con le idee che se ne fanno, la realtà con l'ideologia, intendendo con questi termini «un giudizio di valore travestito da, o scambiato per, un'asserzione di fatto»23. E tra le ideologie più diffuse del loro tempo vi era appunto quella democratica: l'idea, o l'illusione, che la sovranità potesse, in qualche modo, essere popolare; che il popolo tutto potesse svolgere un ruolo di governo. L'oggetto della loro critica più dissolvente era la posizione di chi credeva di poter spiegare i fatti a partire dalle idee che gli uomini professano, o dalle illusioni che essi coltivano: «Chi […] imprende a studiare i fenomeni sociali - scrive Pareto al § 1402 del Trattato - si ferma alle manifestazioni della realtà, alle derivazioni,senza risalire alle ragioni dell'attivitàstessa, cioè ai residui. Così è 23 L'espressione è Logical Positivism, N.Bobbio, Pareto e scienza politica in di Bergmann, Ideology, in The Metaphysics of Longmans Green & Co., New York 1954, citato in la critica delle ideologie, in Id., Saggi sulla Italia, cit., p. 84. 16/Sui confini della scienza politica seguito che la storia delle istituzioni sociali è diventata la storia delle derivazioni, e spesso la storia dei semplici vaniloqui. Si è creduto fare la storia delle religioni facendo la storia delle teologie; la storia delle morali facendo la storia delle teorie morali, la storia delle istituzioni politiche, facendo la storia delle teorie politiche»24 Tra quelle "derivazioni", tra quei "vaniloqui" che velano la realtà sociale con immagini apparenti, c'è anche il "mito democratico", che la critica positiva ha il compito di smascherare, rivelandone il carattere fittizio, la natura puramente apparente. In questo senso - ma solo in questo senso - la critica elitista si avvicinava alla critica anarchica, e a quella della sinistra più radicale, che predicavano proprio in quegli anni il carattere formale e fittizio della democrazia; il suo nascondere dietro un'immagine apparente di partecipazione una realtà di oppressione e di dominio. Ma la critica della democrazia come ideologia (intesa nel senso di chi presenta la realtà con i tratti apparenti del proprio ideale; di chi scambia, cioè, la realtà positiva con l'apparenza determinata dal sentimento e dalla fede), trapassa, quasi senza soluzione di continuità, nella critica della democrazia come ideale regolativo, dell'ideologia intesa, questa volta, come sistema di valori orientati a giudicare la realtà per trasformarla. "Realista" può essere definito, come scrive Norberto Bobbio, tanto chi contrappone ciò che è reale a ciò che è apparente, quanto chi contrappone ciò che è reale a ciò che è ideale: nel primo caso la posizione realista si identificherebbe con l'anti-utopismo, nel secondo caso 24 V.Pareto, Trattato di sociologie generale, Comunità, Milano 1981, vol. III: Le derivazioni, p.6 17/Sui confini della scienza politica col conservatorismo25. Nei teorici dell'élite questo slittamento da un realismo anti-utopistico e positivo a un realismo conservatore e cinico è costante. Lo smascheramento della democrazia reale, la dimostrazione della mancata realizzazione dell'ideale democratico democratico nelle concrete forme di governo esistenti ed esistite, si trasforma sistematicamente nella liquidazione della democrazia ideale; nell'affermazione, cioè, della impraticabilità e irrealizzabilità in assoluto dell'ideale democratico in quanto incompatibile tanto con la lezione della storia quanto con la natura umana. In sostanza, nella teoria dell'impraticabilità assoluta tanto della democrazia quanto del socialismo: cioè in una precisa presa di posizione politica - in uno di quei tanto aborriti "giudizi di valore travestiti da dato di fatto" - a dimostrazione, per certi versi, dell'impraticabilità pratica di quel modello di oggettivismo assoluto che avevano teorizzato; del carattere di mito dell'oggettività scientifica quando pretenda di assumere il carattere totalizzante della dissoluzione senza residui di ogni soggettività dell'interprete. Un brano di Michels - appartenente alla maturità (è del 1933), quando già l'autore aveva compiuto quasi per intero la sua parabola dal socialismo rivoluzionario a posizioni non distanti dal fascismo - mostra bene questo meccanismo di funzionalizzazione politica (e di derivazione dalla politica) della critica elitista alla democrazia; questo trascorrere senza apparente consapevolezza dalla critica scientifica della democrazia reale alla liquidazione politica della democrazia ideale, mutuato dalla delusione e dall'apparente dimostrazione "scientifica" dell'impraticabilità dell'ideale. Si tratta 25 Si veda N.Bobbio, Prefazione a Saggi sulla scienza politica in Italia, cit., pp. 8-9 18/Sui confini della scienza politica di un bilancio della teoria moschiana della classe politica, intitolato significativamente La fatalità della classe politica: «La democrazia - vi si legge - è una forma di dominio che, in quanto da accesso a qualunque grado sociale, apre la via a tutti i diritti e fa scomparire ogni vantaggio dovuto alla nascita, nella lotta per la preminenza sociale, rappresentando così una forma più evoluta di convivenza. Quiesta sua caratteristica è stata ammessa con maggiore o minor precisione, da quasi tutti i suoi più convinti detrattori. Ma d'altra parte i miscredenti scientifici nel Dio della "Democrazia" non si sono mai stancati di combattere i miti democratici di maggioranza che le espressioni popolo, Stato, cittadinanza, destano nei più, e di sostenere che, nelle democrazie, si confonde molto facilmente il principio legale con il fatto. La critica teorica - continua Michels afferma anche che le eterne lotte, di cui parla la storia, fra aristocrazia e democrazia, sarebbero quasi sempre avvenute tra una vecchia minoranza dirigente ed una nuova, cupida di dirigere, e che all'antica si vorrebbe mescolare o addirittura sostituire. Per i fautori di siffatte nozioni, tutte le lotte di classe, le lotte sociali, si restringerebbero quindi ad un semplice cambiamento di minoranza governante. Le classi sociali gigantesche che vediamo muoversi nel campo storico, spinte da antagonismi, secondo essi, economicamente parlando, fatali, sarebbero paragonabili alle ballerine di una quadriglia che eseguisca il chassez-croisez.»26 Così la descrizione della teoria dell'élite di Mosca, cui tuttavia Michels - l'antico teorico rivoluzionario, propugnatore di una radicale rivolta sociale - mostra di aderire, con espressioni piene di amaro disincanto e di adesione, per molti aspetti cinica, all'idea della vanità 26 R.Michels, La fatalità della classe politica, in Studi sulla democrazia e sull'autorità, La nuova Italia, Firenze 1933, ora in Michels. Antologia di scritti sociologici, a cura di Giordano Sivini, Il mulino, Bologna 198O, p. 199. 19/Sui confini della scienza politica dell'ideale democratico, dell'"eterno dell'oppressione e del dominio dei pochi "com'era nei secoli, e sarà in eterno": ritorno" sui tanti, Certo - aggiunge ancora l'ex sindacalista rivoluzionario nella lotta accanita, talvolta meravigliosamente grandiosa, talvolta invece sorda e quasi impercettibile, tra la nuova aristocrazia che sorge e la vecchia aristocrazia che tramonta, si troverebbe coinvolta anche l'etica. Ma l'etica, in questi conflitti, non sarebbe altro che una finzione. La classe giovane fingerebbe di mirare solo all'emancipazione dell'intera società umana dal giogo oppressivo di una piccola minoranza tirannica e dominatrice ed alla sostituzione del regime invecchiato e ingiusto con un nuovo regime giusto. Nè ci sentiamo di negarlo.[…]...il Governo, o lo Stato, che dir si voglia, sarà sempre l'organizzazione di una minoranza e non può essere l'emanazione della maggioranza, nè tampoco rappresentarla, e la maggioranza dell'umanità è, e rimarrà sempre, impossibilitata, e forse anche incapace, di governare sè medesima. Eterna minoranza, la maggioranza degli uomini si vede costretta, per forza di una dura fatalità storica, a subire il dominio di una minoranza, ed a servire da piedistallo alla gloria di questa»27 Poche pagine oltre, il giudizio di Michels è ancora più esplicito nella liquidazione di ogni progetto di emancipazione, nella distruzione di ogni speranza di riscatto "dal basso"; e mostra in forma esemplare quanto in realtà sia stretto e precario il confine che separa l'oggettivismo scientista positivistico e il nichilismo politico: «Pare che la storia ci insegni - scrive che a nulla valgono i movimenti popolari Perché gli elementi più spiccati che li capitanano, poco per volta sempre si allontanano dalle masse per essere assorbiti nella "classe politica", alla quale portano forse poche idee nuove, ma certo molto sangue 27 Ibidem, p. 200 20/Sui confini della scienza politica giovanile e molta intelligenza pratica. Pare che la classe politica possegga un senso squisito di autodifesa insieme ad una potente forza di attrazione, di assorbimento, perfino per gli avversari più risoluti e più accaniti. Pare, d'altro lato, che le masse siano destinate a prestarsi, a quella che hanno e che sanno, quale eterno piedistallo, e che abbia ragione il Fourier quando afferma essere la decantata civiltà borghese un meccanismo che non fornisce nessuna garanzia nè alla massa contro l'individuo nè all'individuo contro la massa»28 Delusione e disincanto, e anche, per certi aspetti, il riflesso del fallimento del socialismo riformista primonovecentesco, della sua incapacità di fornire una reale alternativa, e realizzando, nella migliore delle ipotesi, una forma debole di integrazione mediata dell'emergente proletariato tra le maglie di una società in via di contraddittorio sviluppo. Così si esprime nel "radicale" Michels il messaggio politico dell'elitismo. Che, d'altra parte, non appare significativamente diverso, se non per le caratteristiche biografiche dell'autore, in Gaetano Mosca, il cui messaggio anti-socialista (nel senso della vanità, assurdità e impraticabilità storica degli ideali socialisti e comunisti) è esplicito. Si legge infatti nella conclusione alla prima parte degli Elementi: «Abbiamo dunque il diritto e il dovere di chiedere se, con l'attuazione del sistema comunista o di quello collettivista, la giustizia, la verità, l'amore e il compatimento reciproco tra gli uomini avranno nel mondo un posto maggiore di quello che ora vi occupano: se i forti, che staranno sempre in alto, saranno meno soverchiatori; se i deboli, che rimarranno sempre in basso, saranno meno soverchiati. A questa domanda rispondiamo fin d'ora recisamente, ma osiamo dirlo ponderatamente, con un no. Un uomo di mente ci disse una volta continua il brano - che era impossibile a uno 28 Ibidem, pp. 212-213 21/Sui confini della scienza politica studioso di scienze storiche e politiche di prevedere esattamente ciò che avverrà in un futuro prossimo e soprattutto remoto nelle società umane, perché vi è sempre negli eventi umani una parte dovuta a ciò che comunemente si chiama il caso fortuito, il quale non potrà mai essere in anticipazione calcolata; aggiungeva però che si può al contrario prevedere prevedere ciò che non avverrà mai, l'indagine negativa avendo una base sicura nella conoscenza della natura umana, la quale mai permetterà che si attui realmente ciò che ad essa del tutto ripugna.La seconda di queste massime ci pare molto applicabile al caso che ora stiamo studiando, e la sua applicazione deve riuscire tanto più facile che in gran parte non si tratta già di prevedere ciò che potrà o no accadere, ma di constatare semplicemente ciò che è accaduto e che tutti i giorni accade; sicchè il moltissimo già per< esperienza noto ci rende agevole lo stabilire ciò che sarà il poco, che alcuni credono ancora un ignoto»29 Storia e natura, sembrano dunque congiurare insieme contro l'ideale socialista e comunista, e contro l'idea di un mondo orientato ai valori di giustizia e di eguaglianza. Valori che nella lettura moschiana, si rivelano non solo vani perché irrealizzabili, ma pericolosi perché capaci di inverarsi, per una sorta di eterogenesi dei fini, in una società "mostruosa": «Il volere, con sentimenti così fatti, costruire un tipo di organizzazione sociale corrispondente in tutto a quell'idesale di giustizia che l'uomo può concepire ma non sa attuare - scrive -, è un'utopia che in certe circostanze può diventare pericolosa; quando essa cioè riesce a far convergere una quantità di forze intellettuali e morali verso il conseguimento di uno scopo che non sarà mai una verità e che il giorno che si tenterà di realizzare non potrà produrre che il trionfo dei peggiori e lo sconforto e la delusione dei buoni»30 29 30 G.Mosca, Elementi di scienza politica, cit., p. 875-876 Ibidem, p.881 22/Sui confini della scienza politica - Il "nucleo teorico" dell'elitismo: Ma qual'è la sostanza, l'"essenza" del pensiero elitista? Il comun denominatore, come si diceva, che attraversa, non solo sul piano del metodo, ma anche del contenuto i tre diversi percorsi intellettuali riproponendone un nucleo costante? Ce lo dicono, sinteticamente, gli stessi autori. Mosca: «Fra le tendenze e i fatti costanti, che si trovano in tutti gli organismi politici scrive in apertura al capitolo su "La classe politica" negli Elementi - uno ve n'è la cui evidenza può essere a tutti manifesta: in tutte le società, a cominciare da quelle più mediocremente sviluppate e che sono appena arrivate ai primordi della civiltà, fino alle più colte e più forti, esistono due classi di persone: quella dei governanti e l'altra dei governati. La prima, che è sempre la meno numerosa, adempie a tutte le funzioni politiche, monopolizza il potere e gode i vantaggi che ad esso sono uniti; mentre la seconda, più numerosa, è diretta e regolata dalla prima in modo più o meno legale, ovvero più o meno legalitario e violento, e ad essa fornisce, almeno apparentemente, i mezzi materiali di sussistenza e quelli che alla vitalità dell'organismo politico sono necessari»31 Pareto esprime un concetto analogo: «Ogni società, sia pure poco sviluppata scrive al punto 18 del Programma e sunto di un Corso di sociologia - possiede una gerarchia ed è governata da un piccolo numero di uomini, anche quando in apparenza il governo pare appartenere al numero più grande. E' sempre una élite che governa»32 E nel Trattato aggiunge: 31 32 Ibidem, p. 608 V.Pareto, programma e sunto di un Corso di sociologia, cit., p.298 23/Sui confini della scienza politica «Il meno che possiamo fare è di dividere la società in due strati, cioè in uno strato superiore, in cui stanno di solito i governanti, ed uno strato inferiore, dove stanno i governati. Questo fatto è così potente che in ogni tempo si è imposto all'osservatore anche poco esperto»33 Infine Michels, a proposito non della società in generale, ma di quella micro-società che è il partito politico di massa: «Chi dice organizzazione dice tendenza all' oligarchia - scrive - E' insito nella natura stessa dell'organizzazione un elemento profondamente aristocratico. Il meccanismo dell'organizzazione mentre crea una solida struttura, provoca nella massa organizzata mutamenti notevoli, quali il totale capovolgimento del rapporto del dirigente con la massa e la divisione di ogni partito o sindacato in due parti: una minoranza che ha il compito di dirigere ed una maggioranza diretta dalla prima»34 Con parole quasi uguali, tutti e tre affermano, dunque, il medesimo concetto: la naturalità e necessità di un rapporto di potere tra minoranze governanti e maggioranze destinate a obbedire e incapaci - in linea di principio - di controllo sulle prime. E' questo il reale nucleo teorico dei tre sistemi di pensiero, il fondamento di carattere normativo, la legge, cioè, che esprime la regolarità del fenomeno politico: questo riproporsi, ovunque, in ogni luogo e in qualunque circostanza, del medesimo rapporto di comando tra governanti e governati, tra minoranza e maggioranza. Frutto dell'analisi scientifica - prodotto per molti versi "controfattuale", perchè in contaddizione con la credenza diffusa e condivisa dai più, dell'applicazione del metodo oggettivo 33 V.Pareto, Trattato di sociologia generale, vol. IV: Proprietà dei residui e delle derivazioni, §2047, p. 299. 34 R.Michels, La sociologia del partito politico, cit., p. 56 24/Sui confini della scienza politica alla realtà politica35 - la scoperta della "classe politica", dell'esistenza di un cerchio ristretto di persone, dotate di propri e specifici strumenti di organizzazione e di un corpo ideologico diretto a giustificare il proprio potere, costituisce anche l'oggetto su cui proseguire l'indagine scientifica. E', per così dire, la condizione necessaria per applicare sistematicamente l'approccio scientifico alla politica che, se fosse rimasta nell'ambito indifferenziato delle credenze e delle illusioni circa una partecipazione generale al potere, non avrebbe potuto essere indagata con metodo empirico. Solo infatti isolando una classe ristretta - esattamente come il biologo isola campioni ristretti di batteri - è possibile individuarne e formalizzarne i comportamenti; individuare procedure costanti d'azione; costruire classificazioni e tipologie; operare comparazioni; giungere a generalizzazioni analizzando sia le forme organizzative che i meccanismi di formazione, selezione e ricambio di essa. In tutti e tre i filoni costitutivi della teoria elitista, tanto in Mosca, quanto in Pareto e Michels, è possibile individuare tre livelli, o tre grandi ambiti d'analisi, corrispondenti rispettivamente: 1) Al problema della definizione, composizione e legittimazione della classe politica. E' il livello che potremmo definire della Statica politica, in cui ci si preoccupa di definire il concetto di classe politica e di precisare i meccanismi attraverso i quali esso si afferma e si mantiene al potere; le risorse organizzative e ideologiche che essa impiega (si chiamino esse "formula 35 «E' piuttosto difficile - annota Mosca - l'ammettere come un fatto costante e naturale, che le minoranze comandino alle maggioranze, anzichè queste a quelle. Ma è questo uno dei punti, come tanti se ne danno in tutte le scienze, in cui la prima apparenza delle cose è contraria alla loro realtà», Elementi di scienza politica, cit., pp. 611-612. 25/Sui confini della scienza politica politica" come in Mosca o "derivazioni" come in Pareto). 2) Al problema della formazione e del ricambio della classe politica. E' il livello della Dinamica politica, dedicato all'indagine dei meccanismi di selezione della classe politica e dei meccanismi che ne regolano le inevitabili trasformazioni (si tratti della circolazione delle èlites paretiana o dei diversi tipi di tendenze elencati da Mosca). 3) Al problema, infine, della classificazione e tipizzazione dei diversi tipi di classe politica e delle diverse forme politiche, dei diversi regimi, dei differenti modelli di Stato cui dà luogo la combinazione dei livelli precedenti. E' il livello che potremmo chiamare della Sistematica politica, che ha per oggetto, potremmo dire, la formulazione di una nuova "Teoria delle forme di governo", più "scientifica" o, quantomeno, più adeguata ai tempi, di quella aristotelica. 26/Sui confini della scienza politica 27/Sui confini della scienza politica 2. STATICA POLITICA - Classe politica, classe eletta, oligarchia. In effetti, proprio dalla critica della teoria aristotelica delle forme di governo prende le mosse la trattazione di Gaetano Mosca sulla classe politica: «Che una scienza sociale non sia ancora nata - lamenta in apertura della Teorica dei governi - si può vedere benissimo dall'esame dei criteri sui quali è basata la classificazione delle forme digoverno, oggi ancora universalmente accettata[…] Or quando noi abbiamo la classificazione dei governi che rimonta ad Aristotele, e che vediamo fino al giorno d'oggi universalmente accettata, in governi democratici, aristicratici e monarchici, secondo che l'autorità suprema risieda nella maggioranza dei cittadini, in una classe ristretta, oppure in un sol uomo, dovremmo aspettarci di trovare questa classificazione stabilita sui caratteri più importanti e più essenziali dei governi, e non già su quelli che sono più facilmente percepibili e appariscenti»36 Se infatti, dall'aspetto formale (e "appariscente") del numero di coloro che apparentemente partecipano alle decisioni politiche si passa all'indagine sostanziale dei concreti meccanismi e delle caratteristiche reali dell'esercizio del potere, due su tre delle forme aristoteliche cadono, rivelandosi illusorie; e il campo si riduce al solo tipo aristocratico o oligarchico che dir si voglia. E' evidente infatti, sostiene Mosca, che il potere di uno solo è del tutto irrealistico, non potendo nessuno reggere da solo il potere in società estese e complesse come gli Stati, ma anche il sovrano 36 G.Mosca, Teorica dei governi e governo parlamentare, cit., pp. 202-203 28/Sui confini della scienza politica più assoluto dovrà farsi aiutare da una classe dirigente amministrativa, militare, religiosa, relativamente estesa. Reciprocamente, è altrettanto evidente l'impossibilità che tutti partecipino al potere: anche nei sistemi democratici sarà indispensabile ricorrere al meccanimso della rappresentanza, alla formazione, cioè, di una classe ristretta eletta, alla quale viene delegato il potere. Cosicchè l'unica realtà in cui si manifesta la funzione di governo finisce per essere quella di una aristocrazia più o meno estesa - ma sempre, comunque, minoritaria - la quale gestisce il potere al di sopra della maggioranza: che l'autorità sia esercitata «in nome dell'universo popolo, oppure di un'aristocrazia dominante, o di un unico sovrano conclude Mosca troviamo costantissimo un altro fatto: che i governanti, ossia quelli che hanno nelle mani ed esercitano i pubblici poteri, sono sempre una minoranza, e che al di sotto di questi, vi è una classe numerosa di persone, le quali non partecipando mai realmente in alcun modo al governo, non fanno che subirlo; esse si possono chiamare i governati»37 Non è, dunque, sul numero dei governanti che occorre fondare la classificazione delle forme di governo (giacchè questi sono sempre "pochi"), ma sul modo in cui si compone e si struttura l'aristocrazia governante. E' sulla composizione e sul tipo di "classe politica" che occorre fondare l'elaborazione scientifica e la comparazione: «La parte sostanziale di un governo sottolinea Mosca sta tutta nell'organizzazione della classe politica, perciò se una classificazione veramente scientifica dei governi si potesse fare, dovrebbe essere basata sui caratteri più 37 Ibidem, p. 203. 29/Sui confini della scienza politica importanti, per i quali i vari tipi di classe politica si differenziano»38 E per classe politica Mosca intende quella «classe speciale» di persone le quali esercitano «la direzione politica nel senso più largo dell'espressione, che comprende quindi quella amministrativa, militare, religiosa, economica e morale»39, agendo in modo organizzato per perseguire i propri fini e legittimando il proprio dominio sulla maggioranza con argomenti di carattere etico e culturale tali da poter essere da questa condivisi. Sono qui presenti tutti gli elementi su cui Mosca fonda la propria "statica politica", cioè lo studio sistematico del modo in cui una classe politica si costituisce come tale e si mantiene al potere; l'analisi delle risorse utilizzate per affermarsi come minoranza governante e dei requisiti richiesti per farne parte: il concetto di organizzazione, di formazione e di formula politica. - Il ruolo dell'organizzazione: Alla domanda su come sia possibile che una minoranza si affermi come dominante su una maggioranza; su come, cioè, una classe politica possa affermarsi come minoranza di governo, la risposta che dà Mosca è semplice e convincente: attraverso lo strumento dell'organizzazione. La minoranza organizzata domina su una maggioranza disorganizzata (una minoranza "organizzata proprio in quanto minoranza" e una "maggioranza dis-organizzata proprio in quanto maggioranza"). «Il segreto di questa imposizione - aveva scritto nella teorica dei governi -, dell'irresistibilità della sua azione, consiste in due proprietà indiscutibili della 38 39 Ibidem, p. 207 Ibidem. 30/Sui confini della scienza politica natura dell'uomo. La prima è questa: che una superiorità d'indole morale suole alla lunga prevalere sulla superiorità del numero e della forza bruta; la seconda, anche più importante e meno osservata della prima, consiste in ciò, che una minoranza organizzata, la quale agisce coordinatamente, trionfa sempre sopra una maggioranza disorganizzata, che non abbia nè volontà nè impulso, nè azione comune»40 (Si notino, sia detto per inciso, le espressioni "proprietà indiscutibili della natura umana" e "trionfa sempre", che esprimono il carattere "scientifico", di legge, attribuito a queste osservazioni: il loro carattere di universalità e costanza). Negli Elementi di scienza politica, poi, era ritornato sulla questione, chiarendo ulteriormente il concetto: «Nel fatto - vi si legge - è fatale la prevalenza di una minoranza organizzata, che obbedisce ad unico impulso, sulla maggioranza disorganizzata. La forza di qualunque minoranza è irresistibile di fronte ad ogni individio della maggioranza, il quale si trova da solo di fornte alla totalità della minoranza organizzata; e nello stesso tempo si può dire che questa è organizzata appunto perchè è minoranza. Cento, che agiscano sempre d'intesa gli uni con gli altri, trionferanno su mille presi ad uno ad uno e che non avranno alcun accordo tra loro, e nello stesso tempo sarà ai primi molto più facile l'agire di concerto e l'avere un'intesa, perchè son cento e non mille»41 I principii che costituiscono il ragionamento sono dunque due: l'uno ci dice che solo l'azione consapevolmente concertata mediante un accordo esplicito e tecniche precise di coordinamento permette di passare dalla decisione individuale a quella collettiva; che l'accordo, cioè, non il numero, moltiplica la forza. 40 41 Ibidem, p. 206. Corsivi miei. G.Mosca, Elementi di scienza politica, cit., vol. II, p. 612. 31/Sui confini della scienza politica Senza accordo, anche la massa più sterminata rimane mera solla di individui, priva di una volontà comune, la quale è unicamente prodotto di una consapevole comunicazione. Il secondo principio ci ricorda che la possibilità di accordo è tanto più facile da realizzare quanto minore è il numero dei contraenti, e diviene tanto più difficile e incerta quanto più questo aumenta, fino al limite dell'impossibilità quando il numero superi una certa soglia. - Composizione della classe politica e qualità personali dei suoi membri: L'organizzazione, dunque, come risorsa. Ma essa non basta. Nella Teorica dei governi, come si è visto, Mosca aveva indicato anche un altro fattore: le qualità personali dei membri della classe politica, le quali ne determinano la superiorità, come individui, rispetto a coloro che costituiscono la massa: «Le minoranze governanti - ribadirà negli Elementi - ordinariamente sono costituite in maniera che gl'individui che le compongono si distinguono dalla massa dei governati per certe qualità, che danno oloro una certa superiorità materiale, e intellettuale o anche morale»42 Tali qualità o "risorse" personali sono diverse, e danno luogo a differenti «criteri di formazione o di ammissione nella classe politica»: appunto dal tipo di qualità prevalenti nei suoi membri, dal carattere della sua composizione, si potrà classificare la classe politica, distinguendone diversi modelli, adeguati a differenti periodo storici e a differenti condizioni. Mosca ne indica in particolare tre tipi: - Il valor guerriero o valore militare; cioè la mera forza fisica, in genere l'elemento primordiale, 42 Ibidem. 32/Sui confini della scienza politica originario, che determina i primi embrioni di una classe dominante affermatasi con la violenza; - La ricchezza, che può a sua volta distinguersi in territoriale (la proprietà di terre, in genere conquistate in un primo tempo con la forza e successivamente detenute in legittima proprietà) o monetaria; - Infine la forza intellettuale, la potenza derivante dal monopolio del sapere e dal controllo delle consoscenze religiose e naturali indispensabili all'equilibrio psichico ed economico della collettività. Tali risorse individuano tipi di élites diversi a seconda delle qualità che li caratterizzano: un'aristocrazia militare - la casta dei guerrieri - per quanto riguarda la forza; un'aristocrazia economica - la casta dei mercanti - per quanto riguarda la ricchezza; un'aristocrazia intellettuale, infine - la casta dei sacerdoti - per quanto riguarda la cultura. Si tratta di una tripartizione classica, che attraversa l'intera storia del potere politico e della costituzione dell'umanità in società, e che si radica in archetipi culturali antichissimi: si pensi agli studi di Georges Dumézil sull'"ideologia tripartita" o "delle tre funzioni" - sacerdotale, guerriera ed economica - che risalirebbe addirittura al mondo culturale indoeuropeo, e le cui tracce potrebbero essere ritrovate lungo il percorso che va dell'India vedica, all'Iran, alla Roma delle origini, alla Scandinavia, passando attraverso le mitologie di Germani, Celti e Sciti43; si pensi alla 43 Di Georges Dumézil, studioso di mitologia e di storia delle religioni, si veda, in particolare sull'"ideologia tripartita": Mito e epopea. La terra alleviata. L'ideologia delle tre funzioni nelle epopee dei popoli indoeuropei, Torino, Einaudi 1982; Gli dei sovrani degli indoeuropei, Einaudi, Torino 1985, con specifia attenzione all'Introduzione: Gli dei indoiranici delle tre funzioni, pp. 6-34.; in esso, tra l'altro, si legge: «...la lista degli dei di cui di occupiamo si basa sul riconoscimento delle tre funzioni amministrazionne del sacro, azione guerriera, economia - di cui l'armonia gerarchizzata è necessaria perchè la società viva, e queste 33/Sui confini della scienza politica ricerca del medievista francese Georges Duby44 sulla concezione medievale della società "organica", strutturata nei tre ordini fondamentali dei bellantes, degli orantes e dei laborantes: coloro che combattono, coloro che pregano e, infine, coloro che lavorano. Si pensi,infine, alla ricerca condotta di recente sull'iconografia d'Ançien Régime da Ottavia Niccoli e pubblicata, appunto, col titolo I sacerdoti, i guerrieri, i contadini. Storia di un'immagine della società45, in cui si analizza un ricchissimo materiale allegorico nel quale sistematicamente la società è rappresentata da una triade umana (una Trinità) costituita dalle figure di un uomo armato (la spada ne è il simbolo), di un secondo composto in riflessione (e simbolizzato generalmente dal libro), e di un terzo, infine, in atteggiamento di faticoso lavoro (solitamente un contadino, cui emblema sono gli strumenti di lavoro e, soprattutto, la falce). Triade in cui si scambiano spesso i fattori: ora è preminente il guerriero, ora il sacerdote; ora è valorizzato il ruolo cruciale del lavoratore, rappresentato - con tanta maggiore frequenza quanto più ci si avvicina alla fine del '700 e alla rivoluzione - come sorreggente sulle proprie spalle gli altri due. La Niccoli cita, a questo proposito, un brano del 1041, tratto dalle Gesta episcoporum cameracensium in cui, a testimonianza della crucialità assunta della tripartizione funzionale e gerarchica nell'ambito della visione tradizionale della società, si sostiene che il Vescovo Gerardo di Cambrai «dimostrò che il genere umano è diviso fin dalle origini in tre parti, quelli che pregano, quelli che tre funzioni sono quelle che, in diversi punti del settore indoiranico […] hanno prodotto una suddivisione, effettiva o ideale, degli uomini in preti, guerrieri e produttori (questi ultimi precisati secondo l'economia del momoento)», Ibidem, p. 17. 44 Geoges Duby, Lo specchio del feudalesimo. Sacerdoti, guerrieri e lavoratori, Laterza, Bari 1980. 45 Ottavia Niccoli, I sacerdoti, i guerrieri, i contadini. Storia dell'immagine di una società, Einaudi, Torino 1979. 34/Sui confini della scienza politica combattono[…]Lo zelo di coloro che pregano - aggiunge il brano - si volge tutto a Dio, liberi dalle preoccupazioni del mondo, debitori a coloro che combattono di poter rimanere quieti e sicuri nella loro sacra pace, e ai contadini del fatto che si nutrono del cibo corporale che deriva dalla loro fatica»46. Una prova del carattere organicistico della concezione del mondo medievale, ma anche di quanto radicata fosse nell'immaginario collettivo e nella cultura tradizionale l'idea, poi ripresa da Mosca, del carattere triadico della classe dominante, e della sua composizione in base agli elementi fondamentali dell'intelletto, della forza e del lavoro. Può essere di qualche interesse notare, a questo proposito, anche un'altra analogia o simmetria; quella con i diversi tipi di potere accennati all'inizio di questo corso: il potere ideologico (basato sulla cultura), il potere economico (basato sulla ricchezza), e il potere militare o politico in senso stretto (basato sulla forza). Di questi tre elementi, che in quel caso differenziavano il potere politico dagli altri poteri sociali, Mosca fa la base - le componenti essenziali - di formazione della classe politica: essi sono colti, cioè, non come funzioni diversificate, ma come risorse per accedere a quela ristretta cerchia di persone - a quella classe, appunto - che domina. Risorse le quali non esercitano, nel corso del tempo, sempre lo stesso effetto, ma la cui operatività ed efficacia muta col mutare delle condizioni sociali, e con lo svilupparsi della civiltà:. Alle origini, infatti, in società poco strutturate, instabili, con un grado basso di organizzazione, sarà la forza fisica a prevalere: a governare sono i forti piuttosto che i ricchi o i colti («[…] poichè i capi, nello stato barbarico o selvaggio sono i più forti, i più valorosi, così il valor militare 46 Ibidem, p.19. 35/Sui confini della scienza politica viene ad essere il criterio di reclutamento della classe dominante»47; criterio - si badi - prevalente, non esclusivo, perchè, precisa Mosca, nessuna classe politica può reggeresi mai, esclusivamente sulla forza). Poi, con lo sviluppo della civiltà, col complessificarsi della società, soprattutto con l'affermarsi dell'ordine sociale e del "monopolio della forza" da parte dell'istituzione pubblica, tendono a prevalere gli altri criteri: «Mano mano poi che una società va incivilendosi - annota Mosca -, che certe abitudini e certe tradizioni si vanno formando, che lo sviluppo della cultura intellettuale e della ricchezza vanno cerando altri mezzi, pei quali i pochi si possono imporre ai molti, questo criterio [della forza] va diventando meno esclusivo ed infine la sua importanza diventa relativamente piccola»48 Soprattutto è indispensabile, perchè emerga il criterio della ricchezza, la instaurazione di condizioni di sicurezza; che nasca cioè un potere pubblico dotato di tale forza da costituire una garanzia, nei confronti dei singoli, che la loro proprietà non venga violata. Occorre cioè, per dirla con Mosca, «che il presidio della forza pubblica diventi molto più efficace di quello della forza privata»49. Solo in questo caso i singoli non saranno costretti a difendere con la propria forza privata i propri possessi contro la forza privata di altri singoli; e il criterio della forza diventerà secondario rispetto a quello della ricchezza. E', questa, la condizione in cui «i governanti sono i ricchi piuttosto che i forti»50. 47 48 49 50 G.Mosca, Teorica dei governi e governo parlamentare, cit., p. 215. Ibidem. G.Mosca, Elementi di scienza politica, cit., p. 617 Ibidem, p. 616. 36/Sui confini della scienza politica Come i criteri di appartenenza alla classe politica, così anche il tipo e il grado di organizzazione della classe politica può variare nel tempo: da condizioni di originaria precarietà e fragilità organizzative a condizioni sempre più stabili e articolate: Generalmente - nota Mosca - i caratteri che distinguono un'aggregazione sociale ancora incipiente e immatura sono tali che rammentano lo stato discreto e anarchico dell'umanità»51 Vi prevalgono i piccoli gruppi, i poteri personali di singoli individui, l'azione individuale dei capi che aggregano ristretti gruppi di seguaci: «Al contrario in un'aggregazione politica adulta non vi sono più tracce di poteri personali di un uomo su altri, ma la classe politica coordinata, la minoranza organizzata, assorbe tanta quantità di forze sociali, la sua azione diventa così potente, così irresistibile, che la sua infanzia non ne poteva dare neppure una pallida immagine»52 L'organizzazione cresce, tende a diventare sempre più strutturata e onnipervasiva: si pensi alle grandi macchine amministrative degli stati moderni, alla moderna burocrazia; si pensi ai giganteschi eserciti stanziali (a cui Mosca dedica un intero capitolo degli Elementi53; si pensi alle complesse e onnipotenti machines dei moderni partiti di massa (altro tema affrontato ampiamente da 51 52 53 G.Mosca, Teorica dei governi e governo parlamentare, cit., p. 209 Ibidem, p. 209 Cap. IX: Gli eserciti stanziali, in G.Mosca, Elementi di scienza politica, cit. pp.804-827. «La macchina militare - vi si legge, fra l'altro - a forza di essere ingrandita, è diventata sempre più complicata e delicata e il dirigerne il funzionamento in tempo di mobilitazione e di guerra è divenuta opera irta di sempre maggiori difficoltà. Ed è lecito anche domandarsi se la guerra stessa sarà un fatto possibile, quando ogni giorno di ostilità, fra i danni economici del paese e le spese dell'erario, costerà ad ogni nazione parecchie decine di milioni; quando, il giorno in cui sarà dichiarata, saranno turbati gli interessi e gli affetti di tutte le famiglie di un popolo civile», Ibidem, p. 825. 37/Sui confini della scienza politica Mosca, sempre negli Elementi54). In ogni caso l'evoluzione della civiltà è accompagnata dal crescere del ruolo delle strutture organizzative rispetto al ruolo degli individui; è caratterizzato, cioè, dalla spersonalizzazione e dalla tendenziale formalizzazione dei rapporti sociali: un processo, e un aspetto della modernità, che costituì proprio in quel periodo, oggetto di specifica considerazione da parte di Max Weber, il quale lo definì appunto col termine burocratizzazione, forma specifica del più generale processo di razionalizzazione. "Risorse" e "organizzazione" come criteri classificatori: Lo sviluppo dei processi organizzativi i diversi modi di porsi della variabile organizzazione e la trasformazione dei criteri prevalenti di appartenenza alla classe politica - i diversi modi di porsi della variabile risorse - non sono tra loro indipendenti, anzi interagiscono in modo significativo. In una situazione caratterizzata da un basso grado di organizzazione - in cui, cioè, gioca ancora un ruolo di rilievo l'elemento prersonale, individuale - tenderà a pesare in modo particolare la risorsa "valore guerriero", il fattore della forza, decisamente connesso a caratteristiche fisiche, corporee. In una situazione, al contrario, caratterizzata da un elevato livello organizzativo, dominata da grandi apparati, burocratizzata e razionalizzata, il denaro - equivalente generale per eccellenza, potenza "astratta", indipendete per definizione da ogni determinazione concreta dovendole, per l'appunto, rappresentare e mediare tutte , la "ricchezza mobile", giocherà un ruolo più significativo. Come un ruolo di rilievo, in una società 54 Si veda il Cap. VII: Chiese, partiti e sètte, pp. 738-776 38/Sui confini della scienza politica più civilizzata, e quindi più acculturata, giocheranno le capacità intellettuali. «Mano mano che si va svolgendo l'elemento intellettuale, che la scienza si applica all'azione pratica della vita politica, che numerose cognizioni speciali diventano necessarie all'esercizio della cariche pubbliche - scrive Mosca - allora il sapere, il merito personale diventa un elemento concomitante. Nei primi tempi l'importanza delsapere si fa sentire specialmente quando è accoppiato al prestigio religioso, poi, meglio sviluppato, s'impone anche da sè, come elemento di forza naturale»55 Dall'incrocio dei due criteri il criterio organizzativo e quello relativo alle qualità degli appartenenti alla classe politica -, colti nel loro sviluppo temporale, nella loro dinamica storica, Mosca può, dunque, realizzare una prima efficace classificazione delle forme di governo e di Stato, la quale contribuirà a costituire, appunto, la sua sistematica politica. -Il problema della legittimazione e la "formula politica": Accanto alla variabile organizzazione (la quale spiega come un ristretto numero di persone possa diventare "classe politica, possa cioè giungere a dominare la maggioranza dei propri simili), e accanto alla variabile risorse personali (che connota la composizione della classe politica nelle diverse circostanze storiche, definendone i "criteri di ammissione"), resta da trattare - a completamento della statica politica moschiana - di un ultimo concetto: la formula politica. Esso riguarda non più la formazione della classe politica o la sua composizione, ma piuttosto la sua legittimazione. 55 G.Mosca, Teorica dei governi e governo parlamentare, cit., p. 224. 39/Sui confini della scienza politica «Qualunque classe politica - si legge nella Teorica dei governi -, in qualsiasi modo sia costituita, non confessa mai ch'essa comanda, per la semplice ragione ch'è composta degli elementi che sono, o sono statui fino a quel momento storico, i più atti a governare, ma trova sempre la giustificazione del suo potere in un principio astratto, in una formula che noi chiameremo la formula politica»56 In questo senso la formula politica non sarebbe nient'altro che quello che noi oggi chiamiamo ideologia, nella sua duplice accezione: di immagine ideale che maschera e trasfigura una realtà altrimenti inconfessabile o comunque non corrispondente ai notri desideri - a velare, in particolare, il ruolo della forza in nome di valori universali -; e di sistema di valori e di argomenti utilizzati da un gruppo organizzato o da una classe per trasformare il mondo sociale. Una forma, dunque, di manipolazione più o meno consapevole del consenso. Senonchè, aggiunge Mosca, essa non risponderebbe solo a una necessità dei dominanti di mascherare la vera origine del porprio potere, ma anche a un bisogno dei governati di vederla mascherata. Addirittura, sottolinea MOsca, a un "bisogno naturale", quindi non indotto nè mistificato, ma profondamente radicato nella stessa struttura antropologica. Bisogno che nella Teorica dei governi sembra ancora, per certi versi, quasi esclusivamente psicologico («pare che sia proprio del carattere umano il voler credere che si ubbidisca piuttosto ad un principio astratto, che ad una persona, la quale vi comanda perchè ne ha le attitudini»57); quasi un'istintiva autodifesa rispetto all'idea intollerabile della diseguaglianza e della propria inferiorità personale. Ma che negli Elementi si 56 57 Ibidem, p. 226. Ibidem, p. 227. 40/Sui confini della scienza politica precisa nella sua reale dimensione funzionale nel campo della politica: come meccanismo essenziale di rielaborazione della forza in consenso; di traduzione del mero dominio di fatto in autorità legittima mediante l'interiorizzazione delle ragioni del comando e la loro universalizzazione. Nell'opera della maturità, in cui la "formula politica" viene anche qualificata come "principio di sovranità" e assimilata alle "grandi superstizioni", si legge infatti: «La classe politica non giustifica esclusivamente il proprio potere col solo possesso di fatto, ma cerca di dare ad esso una base morale ed anche sociale, facendolo scaturire come conseguenza necessaria di dottrine e credenze generalmente riconosciute e accettate nella società che essa dirige»58 Dove l'accento è posto piuttosto sul riconoscimento e sull'accettazione sociale; cioè sul meccanismo del consenso, che funziona da limite e da fondamento, per così dire, "oggettivo" alle formule di legittimazione, nel senso che la classe politica non è, volontaristicamente, libera di proporre una formula politica quale che sia, ma appare fortemente vincolata alle credenze preesistenti nella società; ai valori condivisi, rispetto ai quali e sulla base dei quali o riesce a legittimarsi, o non sopravvive. «La verità è dunque - si ripete anche qui, come già nella Teorica che esse rispondono ad un vero bisogno della natura sociale dell'uomo»59. Natura "sociale", si badi, e non più solo "natura"; e infatti subito oltre si sottolinea la funzione sociale, e non solo psicologica, di esse: «[…]e questo MOsca -, così 58 59 bisogno - aggiunge infatti universalmente sentito, di G.Mosca, Elementi di scienza politica, cit., p. 633 Ibidem, p. 635 41/Sui confini della scienza politica governare e sentirsi governato non sulla base della forza materiale e intellettuale, ma anche su quella di un principio morale, ha indiscutibilmente la sua reale e pratica importanza[…]Pare a noi che sia necessario anche di vedere [ed è questo il passaggio significativo] se, senza qualcuna di queste grandi superstizioni, una società si possa reggere; se una illusione generale non sia cioè una forza sociale che serva potentemente a cementare l'unità e l'organizzazione politica di un popolo e di un'intera civiltà»60 Finzione, dunque, ma finzione necessaria; costitutiva di quella coesione (consensuale) senza la quale non si dà nè Stato politico né la costituzione in società. Di queste "grandi superstizioni", o "principii di sovranità", Mosca ne individua due, storicamente succedutisi: il principio dinastico, e la sovranità popolare; le formule politiche «che hanno il loro fondamento in una credenza soprannaturale, e le altre le quali sono fondate sopra un principio almeno in apparenza razionale»61. Appartengono al primo tipo tutti quei modelli di legittimazione del potere che si fondano sulla credenza che «ogni potestà viene dal sovrano, il quale alla sua volta l'ha ricevuta da Dio»62. Appartiene al secondo tipo ogni formula che faccia «derivare ogni legittimo potere dalla volontà popolare»63. In entrambi i casi, comunque, sia che si fondino su credenze soprannaturali, sia che si basino su argomenti razionali, ricorda Mosca, ci si trova al di fuori del campo delle affermazioni scientifiche: «Anzi - precisa - ci è d'uopo confessare che se nessuno ha visto mai l'atto autentico col quale il Signore ha dato facoltà a certe persone o famiglie privilegiate di reggere per 60 61 62 63 Ibidem. G.Mosca, Teorica dei governi e governo parlamentare, cit., p. 227. Ibidem. Ibidem, p. 228. 42/Sui confini della scienza politica conto suo i popoli, un osservatore coscienzioso può anche facilmente constatare che una elezione popolare, per quanto il suffragio sia largo, non è ordinariamente l'espressione della volontà delle maggioranze»64 Come dire che la vox populi, almeno atrettanto della vox dei è difficile da ascoltare, e più ancora da attuare. - La "classe eletta" di Vilfredo Pareto: "residui" e "derivazioni".. A considerazioni non diverse da quelle di gaetano Mosca giunge - sia pur secondo un diverso percorso e con un lessico differente - anche Vilfredo Pareto. Si confrontino, ad esempio, con le premesse della Teorica dei governi, espressioni come questa, contenuta nel Trattato di sociologia generale: «La classe governante si trova dappertutto, anche dove c'è un despota, ma sono varie le forme sotto cui appare. Nei governi assoluti sta solo sul palcoscenico un sovrano, nei governi democratici un parlamento; ma dietro le quinte stanno coloro che hanno gran parte nel governo effettivo»65 O si accostino alle ultime osservazioni moschiane sulla non scientificità delle "formule politiche", queste riflessioni di Pareto sulla sovranità popolare: «Il sovrano neppure s' avvede di ciò che gli fanno fare, e il parlamento meno di qualche avveduto capo o re […] il buon Demos crede seguire il volere suo, e segue invece quello dei suoi governanti»66 Parole e conclusioni indubbiamente simili. Senonchè ciò che in Mosca si chiama "classe politica", in Pareto 64 65 G.Mosca, Elementi di scienza politica, cit., p. 634 V.Pareto, Trattato di sociologia generale, cit., L'equilibrio sociale, § 2253, vol. V, p. 139. 66 Ibidem. Vol. V: 43/Sui confini della scienza politica prende il nome di "classe eletta di governo"; la "formula politica" diviene "le derivazioni"; le risorse dei membri della classe politica "i residui", dalla cui distribuzione dipende la «legge dell'eterogeneità sociale», la quale a sua volta presiede all'intero meccanismo di formazione e composizione dell'élite. Cosa si intenda per "classe eletta", e quali siano i criteri in base ai quali essa si definisce e si compone, Pareto lo espone in un passo notissimo del Trattato, ai § 2026-2027, sotto il titolo Le classi elette della popolazione, e la loro circolazione. Dopo aver chiarito, nel paragrafo precedente, il concetto di "eterogeneità sociale" («Piaccia, o non piaccia a certi teorici, sta di fatto che la società umana non è omogenea, che gli uomini sono diversi fisicamente, moralmente, intellettualmente»67), così argomenta: «Supponiamo che, in ogni ramo dell'umana attività, si assegni a ciascun individuo un indice che indichi la sua capacità, all'incirca come si danno i punti negli esami delle varie materie in una scuola. Per esempio, all'ottimo professionista, si darà 10, a quello a cui non riesce d'avere un cliente daremo 1 per poter dare 0 a chi è proprio cretino. A chi ha saputo guadagnare milioni, bene o male che sia, daremo 10, a chi guadagna le migliaia di lire daremo 6, a chi riesce appena a non morire di fame daremo 1, a chi sta in un ricovero di mendicità daremo 0. Alla donna politica che, come l'Aspasia di Pericle, la Maintenon di Luigi XIV, la Pompadour di Luigi XV, ha saputo cattivarsi un uomo potente ed ha parte nel governo che egli fa della cosa pubblica, daremo qualche numero alto come 8 o 9; alla sgualdrina che soddisfa solo i sensi di tali uomini e non opera per niente sulla cosa pubblica, daremo zero. Al valente scroccone che mette in mezzo la gente e sa sfuggire al codice penale, assegneremo 8, 9 o 10, secondo il numero dei gonzi che avrà saputo prendere nella rete e i denari che avrà 67 Ibidem, § 2025, vol.IV, p. 291 44/Sui confini della scienza politica saputo cavarne; al povero scrocconcello che ruba una posata al trattore e per giunta si fa agguantare dai carabinieri, daremo 1. Ad un poeta come il Carducci, daremo 8 o 9, secondo i gusti; ad un guastamestieri che fa fuggire la gente, recitando i suoi sonetti, daremo zero. Pei giuocatori di scacchi, potremo avere indici più precisi, badando a quante e quali partite hanno vinto. E via di seguito per tutti i rami dell'umana attività»68 L'elenco è, per molti versi, provocatorio. Ma intende sottolineare un concetto: qui, l'unico criterio utilizzato è il successo (unico criterio che si ritiene fondato su fatti e non su valutazioni soggettive), non il valore o il disvalore morale incarnato dall'attività; e neppure l'utilità sociale, o la conformità a leggi o convenzioni. Il furto come la filantropia sono cioè posti sullo stesso piano: l'unica cosa che conta è la perizia con cui le rispettive attività sono compiute. L'élite, cioè, è composta dai migliori in ogni campo, da chi eccelle in qualunque attività, quale che sia la valutazione individuale o sociale su di essa. «C'è chi adora Napoleone I come un Dio precisa poco oltre Pareto -, c'è chi lo odia come l'ultimo dei malfattori. Chi ha ragione? Non vogliamo risolvere questo quesito[…]O buono o cattivo che fosse Napoleone I, è certo che non era un cretino, neppure un uomo di poco conto, come ce ne sono milioni: aveva qualità eccezionali, e ciò basta perchè lo poniamo in un grado elevato, ma senza volere menomamente pregiudicare la soluzione dei quesiti che si potrebbero porre sull'etica di tali qualità, o sulla loro utilità sociale»69 La capacità di distinguersi dalla massa - di separare il proprio destino da quello della media e di qualificare il proprio valore rispetto al valore medio - qualifica 68 69 Ibidem, § 2027, vol.IV, p. 293 Ibidem, § 2029, vol.IV, p. 294. 45/Sui confini della scienza politica l'élite come tale. Elite è, per definizione, ciò che non è massificato. Ciò che non si confonde con la maggioranza. L'insieme degli individui eccellenti in ogni campo costituisce la classe eletta; la quale a sua volta, a seconda delle funzioni svolte, si divide in due altri gruppi: «da una parte coloro che, direttamente o indirettamente, hanno parte notevole nel governo e costituiranno la classe eletta di governo»; dall'altra tutti gli altri, che costituiranno la classe eletta "non di governo". Alla prima, come già in MOsca, i criteri di appartenenza sono ampi e non formali. Non vi apparterranno, cioè, solo coloro che sono dotati di un titolo giuridico (sovrani, ministri, deputati, ecc.), ma chiunque eserciti effettivamente una funzione di comando attinente alla sfera pubblica: «i responsabili di uffici politici non troppo bassi» - enumera Pareto -, per esempio ministri, senatori, deputati, capi divisione nei ministeri, presidenti di corte d'appello, generali, colonnelli, ma anche «le amanti dei sovrani assoluti», qualora dotate dell'«ingegno speciale che ci vuole per la politica»70. - Il contesto generale della teoria paretiana: azioni logiche e azioni non-logiche. Contrariamente a Mosca, però, che aveva fatto della classe politica l'oggetto pressochè esclusivo della sua riflessione e dell'analisi, in Pareto lo studio della classe eletta non è che una parte specifica di una più complessiva teoria generale della società; non è cioè che la parte speciale di una analisi più ampia. occorrerà quindi, per comprendere le categorie e la terminologia stessa utilizzata per descrivere i meccanismi di formazione e i criteri di 70 Ibidem, § 2033, vol. IV, p. 295 46/Sui confini della scienza politica composizione della classe eletta di governo, considerare sinteticamente il quadro più generale. Oggetto dell'analisi paretiana è dunque l'intero sistema sociale, e la definizione dei criteri secondo cui le singole molecole sociali, le unità più elementari cioè gli individui - orientano le proprie azioni reciproche. Pareto è uno dei primi scienziati sociali a utilizzare il concetto tecnomorfico di "sistema", contrapponendolo al più usato concetto biomorfico di "organismo": la struttura della società è cioè immaginata non come un organismo vivente, impossibile da smontare nelle sue diverse componenti, ma piuttosto come una macchina, cioè come un complesso di elementi interdipendenti tra loro, in cui alla modificazione dell'uno corrispondono una serie di reazioni volte a ripristinare l'equilibrio. Il modello scientifico utilizzato - il "paradigma" - non sarà, dunque, quello delle scienze biologiche ma, come si è già detto, quello della fisica meccanica. Il suo non sarà, cioè, un paradigma organicistico, in cui la logica del tutto domina e spiega quella delle parti, ma un paradigma meccanico, dunque individualistico, il quale valorizza l'autonomia relativa delle singole parti; o comunque pone l'individuo (o il suo "ruolo"), come fondamento dell'analisi, come unità essenziale e fondamentale da cui partire per ricostruire la rete relazionale complessiva. E' a questo tipo di approccio che si deve quella che può essere a buon diritto definita la scoperta più signioficativa di Pareto; quella da cui deriverà l'intera sua teoria generale della società: la distinzione tra le azioni logiche e le azioni non-logiche. l'idea che nella propria vita in società, nell'orientare le proprie azioni reciproche, gli uomini solo in minima parte si attengano a criteri e a motivazioni razionali - adeguando cioè il mezzo ai fini secondo una logica fondata su elementi 47/Sui confini della scienza politica sperimentali, ma seguano piuttosto, in genere, l'impulso proveniente da sentimenti, dati emozionali, credenze, passioni del tutto irrazionali, e cercando solo a posteriori di dare a tutto ciò una veste coerente: «Gli uomini - scrive Pareto al punto 20 del Programma e sunto sono spinti dai sentimenti, dalle passioni, dagli interessi, e si compiacciono credere d'agire secondo ragione. Dimostrano, per conseguenza, una tendenza nettissima a dare una verniciatura logica alle azioni non logiche. Del pari attribuiscono alle loro azioni cause che nella realtà non hanno»71 Ma cosa sono dunque le "azioni logiche"? In prima approssimazione, spiega Pareto, sono quelle che «consistono in mezzi appropriati al fine, e che uniscono appropriatamente i mezzi al fine»72. Non logiche sono, al contrario, quelle a cui «tale carattere manca». Ma ciò non basta. Occorre tener conto - secondo Pareto - di una seconda distinzione, relativa al giudizio di adeguatezza del mezzo al fine, il quale può essere alternativamente soggettivo oppure oggettivo: che il mezzo sia adeguato al raggiungimento del fine può essere, infatti, una credenza soggettiva di chi agisce oppure può essere una realtà oggettiva sperimentalmente provata e provabile; può essere, cioè, un'opinione oppure un dato di fatto, opopure, ancora, entrame i casi. E' adeguato al fine soggettivamente ma non oggettivamente l'azione dello sciamano che compia la danza della pioggia, e resterà tale anche nel caso in cui il giorno successivo piova veramente. E' oggettivamente adeguata al fine l'azione del medico che per evitare il contagio brucia gli abiti infetti dell'ammalato, e lo 71 V.Pareto, Programma e sunto di un corso di sociologia, cit., p.300. 72 V.Pareto, Trattato di sociologia generale, cit.,, §150, vol. I, p. 81. 48/Sui confini della scienza politica resterebbe anche nel caso in cui nessun altro cittadino o al limite il medico stesso non credesse nell'efficacia di tale mezzo. La definizione di "azione logica", tenuto conto di questa seconda specificazione, diventerà allora la seguente: «...daremo il nome di "azioni logiche" alle azioni che uniscono logicamente le azioni al fine, non solo rispetto al soggetto che compie le azioni, ma anche rispetto a coloro che hanno cognizioni più estese, cioè alle azioni logiche aventi oggettivamente il senso spiegato or ora. Le altre azioni saranno dette "non logiche", il che non vuol punto significare illogiche»73 Per dirla con Bobbio, «azioni logiche sono quelle che hanno il duplice carattere di stabilire un nesso oggettivamente adeguato al fine e di essere compiute con la consapevolezza di questa adeguatezza»74. Azioni logiche cioè, saranno solo quelle in cui il fine oggettivo è identico al fine soggettivo; in cui cioè chi agisce sa perfettamente ciò che vuole e utilizza per raggiungerlo, consapevolmente, mezzi soggettivamente e oggettivamente adeguati. A questo tipo di azioni - numerose presso i popoli civili - appartengono «le operazioni delle arti e delle scienze, almeno per le persone che conoscono queste e quelle»75 Tutte le altre azioni appartengono alla classe delle azioni "non logiche", quelle in cui «il fine oggettivo differisce da quello soggettivo» sia perchè stabiliscono nessi oggettivamente inadeguati al fine, sia perchè pongono in essere mezzi adeguati ma senza esserne consapevoli. Si classificano in: 73 Ibidem. 74N.Bobbio, Introduzione alla sociologia di Pareto, cit., p. 75 V.Pareto, Trattato di sociologia generale, cit., §152, 82 59 vol.I,p. 49/Sui confini della scienza politica 1) azioni che non hanno «un fine logico nè oggettivamente nè soggettivamente»76. Sono gli atti puramente rituali, manifestazioni di costume o gesti di cortesia. Pareto fa l'esempio di Esiodo, il quale invitava a non orinare nelle foci dei fiumi o nelle fontane, pur essendo all'oscuro delle cognizioni mediche che oggi ci permetterebbero di collegare l'inquinamento delle acque con la malattia. Ora, mentre per quanto riguarda le fonti, pur non essendovi consapevolezza soggettiva, tuttavia è possibile stabilire un nesso oggettivamente logico, per quanto riguarda le foci dei fiumi il precetto è puramente rituale, privo di ogni reale ragione. E', appunto, un'azione nè soggettivamente nè oggettivamente logica. 2) azioni che non hanno un fine logico oggettivamente ma solo soggettivamente: è il caso in cui il mezzo, creduto efficace, è in realtà inidoneo a raggiungere il fine. Vi rientrano tutti gli esempi di credenze magiche, quando si ritiene che le parole operino sulle cose. Pareto introduce a questo porposito una lunga trattazione sull'arte di placare i venti con tecniche rituali presso i popoli antichi. L'esempio classico è comunque quello dello sciamano il quale si crede possa intervenire sui fatti reali mediante formule magiche. 3) azioni che non hanno un fine logico soggettivamente, ma solo oggettivamente: sono tutte quelle azioni che portano inconsapevolmente a un risultato. Vi rientrano tutte le azioni che gli animali compiono per istinto: azioni certamente utili e necessarie alla sopravvivenza, compiute tuttavia senza alcuna consapevolezza. Esse si distinguono poi in: 3α) «azioni il cui «fine oggettivo sarebbe accettato dal soggetto se lo conoscesse» e 3β) azioni il cui «fine sarebbe respinto dal soggetto se lo 76 Per tutta la classificazione si veda, nel Trattato, il § 151 con un dettagliato quadro sinottico (vol. I, p. 82) 50/Sui confini della scienza politica conoscesse». 4) azioni, infine, che hanno un fine logico soggettivamente e oggettivamente, ma essi non coincidono. Il fine logico soggettivamente è diverso da quello che oggettivamente viene realizzato. C'è qui una consapevolezza, ma distorta rispetto all'esito effettivo dell'azione, come il caso degli auguri romani i quali, imponendo al comandante delle spedizioni militari di presentarsi in Campidoglio prima della partenza per ricevere gli auspici (azione logica soggettivamente ma non oggettivamente non essendovi nessuna ragione oggettiva per credere che tali auspici fossero veritieri) ottenevano comunque il risultato oggettivo di affermare il proprio potere e il primato della capitale sugli eserciti di provincia (fine oggettivamente logico). Come già nel caso delle azioni di tipo 3), anche qui si distingue una specie α) caratterizzata dal rifiuto del fine inconsapevole se l'agente lo conoscesse e una specie β) caratterizzata invece dall'accettazione del risultato dell'azione qualora l'agente lo conoscesse. Una parte assai consistenti delle azioni politiche appartengono a questo 4° tipo nelle sue due versioni: «La maggior parte degli atti politici in forza dellatradizione, della pretesa missione di un popolo o di un uomo - afferma Pareto appartengono al 4° genere. Il re di Prussia Guglielmo I e l'imperatore dei francesi Napoleone III, si ritenevano ambedue uomini "provvidenziali". Ma il primo credeva che la sua missione stesse nel fare il bene e la grandezza del suo paese, il secondo credeva di essere destinato a fare il bene dell'umanità. Il primo fece azioni della specie 4α, il secondo della specie 4β»77 77 Ibidem, §160, vol. I, p. 91. 51/Sui confini della scienza politica In quasi tutti questi casi si tenta di attribuire una veste razionale a nessi che razionali non sono. Si tenta cioè di giustificare con degli argomenti più o meno credibili delle azioni che hanno in realtà motivazioni diverse, radicate ad un livello più profondo e diverso da quello cui si accede coll'argomentazione («Le azioni logiche cono, almeno per la parte principale, il risultamento di un ragionamento; le azioni non-logiche hanno origine principalmente in un determinato stato psichico: sentimenti, sub-coscienza, ecc.»78).Per esempio, per giustificare una credenza magica - lidea che vendendo l'anima si possa ottenere l'immortalità come Faust - si ricorre solitamente all'argomento (pseudo razionale) dell'esistenza del demonio. In realtà all'origine vi è un profondo bisogno umano d'immaginare l'esistenza di un aldilà e di esseri dotati di poteri straordinari; è questa la sostanza vera che sta all'origine di tutto il processo psichico e del ragionamento, anche se ci si deve e vuole illudere che le cose stiano diversamente. Il nucleo della teoria di Pareto, in sintesi, è questo: l'idea che gli uomini agiscano mossi prealentemente da un complesso di istinti, sentimenti, pulsioni e passioni precedenti la dimensione razionale, pur essendo portati, per natura e per cultura, a cercare una razionalizzazione del proprio operare; a formulare cioè, mediante argomentazioni, una spiegazione apparentemente logica dell'azione. L'idea cioè che l'uomo sia un essere insieme istintivo e simbolico: istintivo perchè mosso da motivazioni pulsionali, pre-conscie, emotive, radicate in una sfera sottratta al con trollo della ragione; simbolico perchè bisognoso di razionalizzazione, di intellettualizzazione, di una qualche elabiorazione a posteriori che attribuisca al proprio agire una coerenza e un fondamento che non ha. 78 Ibidem, §161, vol. I, p. 91. 52/Sui confini della scienza politica In questo senso la teoria paretiana si avvicina alla teoria freudiana dell'inconscio che proprio in quegli anni veniva sviluppata (pur non conoscendo, Pareto, Freud e non avendolo certamente letto): anche in Freud, infatti, il ruolo delle motivazioni inconscie è incomparabilmente maggiore di quello del livello conscio nel determinare il comportamento umano. Anche in Freud l'aspetto dell'autocoscienza, dell'immagine che gli uomini producono di sè, è solo copertura, mentre la verità si trova oltre, nella psicologia del profondo. E in realtà il metodo paretiano assomiglia, per certi aspetti, alla pratica analitica freudiana: anche qui, infatti, si tratta di risalire dal livello razionale - o meglio razionalizzato -, dalle false rappresentazioni pseudo-logiche, al nucleo più profondo, quello che costituisce la motivazione primaria, e ripartire da questo per formulare una teoria - questa volta adeguata, "logica" in senso proprio - dell'azione. - "Residui" e "derivazioni": Partendo dunque dalle argomentazioni con cui gli uomini crecano di giustificare il proprio operare, Pareto giunge a una serie di elementi più semplici, e costanti, che sottostanno alle diverse teorie e ai diversi ordini di giustificazione delle azioni umane: per esemplio, analizzando i molteplici culti dei morti quali sono stabiliti da differenti religioni, motivati in forma differente (la metempsicosi, l'immortalità dell'anima, il totemismo, ecc.), ci si imbatte in un elemento comune: nell'istinto a non separarsi dalle persone scomparse; nel desiderio profondo di prolungare la loro esistenza. E' questo l'elemento per così dire "sostanziale", reale, che detta i diversi comportamenti rituali. Pareto definirà tale elemento col termine "Residuo". Le motivazioni di copertura, necessarie perchè tutta l'operazione abbia effetto (perchè la calebraziona del morto attenui l'angoscia dei 53/Sui confini della scienza politica sopravvissuti per continuare con l'esempio), ma fallaci in quanto non rispondenti a criteri logico-sperimentali, assumeranno il nome di "Derivazioni". I residui così definiti da Pareto perchè rappresentano ciò che rimane una volta spogliata l'azione della sua impalcatura di copertura, dei suoi cascami pseudorazionali - costituiranno dunque gli elementi di fondo (istinti, sentimenti, emozioni); la realtà invisibile. Essi sono la parte permanente, che non varia. Le derivazioni - così chiamate perchè "derivate" dai primi - costituiranno l'elemento secondario, variabile e mobile, pur giocando un ruolo di grande rilievo nella vita associata, e in particolare nella vita politica. Si potrebbe anzi dire che lo studio scientifico della società e della politica consiste proprio nella analisi delle derivazioni al fine di giungere, mediante la loro critica e decostruzione, ai relativi sottostanti residui; di passare cioè dalle motivazioniideali (e consolatorie, o illusorie) a quelle reali. I Residui, dunque - per ritornare all'argomento della classe eletta, costituiranno la base materiale della società e ne determineranno la strutturale eterogeneità: a seconda infatti della prevalenza dell'uno o dell'altro aggregato di residui un individuo si diffenrenzierà dall'altro, e si presenterà come più o meno adeguato a determinati compiti, compreso quello di governo. Compresa, quindi, l'appartenenza alla classe eletta di governo. I residui possono, di conseguenza, essere considerati come la base antropologico-culturale della formazione della classe politica. Essi sono divisi in sei classi, di cui però§le prime due sono di gran lunga le più importanti: - Alla prima classe (Residui di CLASSE I) appartengonbo tutte quelle facoltà naturali e quei sentimenti riconducibili sotto la formula Istinto delle 54/Sui confini della scienza politica combinazioni, che è in sostanza l'«inclinazione acombinare le cose», a «ricercare le combinazioni stimate migliori» ed a «credere all'efficacia delle combinazioni»79. E', in fondo, il fondamento originario del ragionamento, il bisogno di confrontare, di stabilire generi e specie, di individuare nessi di causa-effetto, di somiglianza e differenza, di unire nomi e cose, di osservare le regolarità e le discontinuità. Da questo "istinto" deriva la spinta a sperimentare; la genesi delle innovazioni, che non sono altro che la scoperta della combinazione giusta. A questo è imputata la stessa nascita del linguaggio, prodotto, qiuindi, non di artificialità e convenzione, ma di istinto. Nei Residui di CLASSE II, al contrario, si raggruppano le pulsioni, i sentimenti che si orientano piuttosto al mantenimento delle aggregazioni e che sono riconducibili all'istinto che Pareto definisce Persistenza degli aggregati. Una volta stabilita una combinazione utile o adeguata, si tratta di renderla stabile, permanente: «Dopo che l'aggregato è stato costituito scrive Pareto - opera spessissimo un istinto che, con forza variabile, si oppone a che le cose così congiunte si disgiungano; e che, se pure la separazione non può essere evitata, procura di dissimularla col conservare il simulacro dell'aggregato. Tale istinto può, grosso modo paragonarsi all'inerzia meccanica, ed esso si oppone al movimento dato da altri istinti. Da ciò nasce la grande importanza sociale dei residui di CLASSE II»80 Laddove l'istinto delle combinazioni rappresentava principio di innovazione e di mutamento, la persistenza degli aggregati rappresenta la conservazione e la stabilità, il consolidamento di ciò che il primo istinto aveva creato ma che rischierebbe di andare dissolto. 79 80 Ibidem, §889, vol.II, p.23. Ibidem, §992, vol. II, p.95. 55/Sui confini della scienza politica Rientrano in questa categoria glki istinti e i sentimenti che favoroscono la «persistenza delle relazioni di un uomo con altri uomini e luoghi»81, che alimentano cioè la coesione sociale, a cominciare da quella cellula prima della vita associata che è la famiglia e in generale il complesso di relazioni che costituiscono la collettività, la comunità. Mentre dunque l'"istinto delle combinazioni" tende a coincidere con la dimensione individualistica, la "persistenza degli aggregati" fonda, piuttosto la dimensione comunitaria, il vivere associato. Mentre la prima favorisce le differenziazioni, la seconda privilegia le uniformità. Esiste poi una terza classe di residui, denominata da Pareto "Bisogno di manifestare con atti esterni i sentimenti": è l'istinto ad operare, ad agire. E' il meccanismo che traduce processi interiori in azio,ni (categoria intermedia e non particolarmente perspicua). Una quarta classe riguarda i "Residui in relazione con la socialità". Vi rientrano il bisogno naturale di Uniformità, il sentimento di Pietà o Crudeltà, gli atteggiamenti nei confronti del principio di Gerarchia, ecc.. Cioè una serie di sentimenti istintivi relativi alle varie forme della vita di relazione tratti dalla sociologia del tempo: si pensi alla Lois de l'imitation formulata dal Tarde, alla diffusa Psicologia delle folle di origine leboniana, ecc. Non aggiunge molto al tema della "persistenza degli aggregati". Una quinta classe riguarda poi "L'integrità dell'individuo e dele sue dipendenze", all'interno della quale l'elemento di maggior rilievo è la trattazione dei "sentimenti di eguaglianza". L'ultima classe, infine, la sesta, riguarda il "Residuo sessuale". 81 Ibidem, §1015, vol. II, p. 109 56/Sui confini della scienza politica - Composizione della classe eletta di governo: E' evidente come, a seconda del prevalere dell'un tipo o dell'altro di residui, potremo avere diversi tipi di individui, dotati di diverse performances, adeguati a diversi tipi di funzionisociali. E che potremo avere, di conseguenza, differenti tipi di classe politica, di classe eletta di governo. Col prevalere ad esempio dei residui di CLASSE I, avremo il tipo del mercante, abile nei traffici e nelle trattative, mobile e innovativo, lo speculatore amante del rischio e il politico sottile, capace nell'arte dell'intrigo e della negoziazione, il diplomatico raffinato, ostile all'uso della forza e attento invece ai giochi verbali, forse alla frode e anche alla corrusione. CLASSE II, della Col prevalere dei Residui di "Persistenza degli aggregati", avremo invece il tipo dell'antico signore, proprietario della terra e legato alla tradizione e alla consuetudine, statico e conservatore, il redditiero, cauto nelle innovazioni, volto prevalentemente al passato e preoccupato del futuro, il politico immobilista, disposto ad usare più la forza che l'astuzia per conservare la società e il potere; per garantirne, manu militari, quando occorra, l'uniformità e la gerarchia. Sono i due tipi machiavellici della volpe e del leone, espressione rispettivamente della politica come arte dell'astuzia o come esercizione della forza. Sono, per altro verso, i tipi, già considerati da Gaetano Mosca, del mercante e del sacerdote - sul versante dei residui di CLASSE I - e del guerriero - sul versante dei residui di CLASSE II -.... Dalla giusta commistione di questi tipi diversi, dalla composizione equilibrata della classe eletta di governo, sosterrà Pareto, dipende l'equilibrio complessivo dell'organismo sociale; la sua possibilità di 57/Sui confini della scienza politica evolversi in modo equilibrato senza cadere - come si vedrà trea poco nella parte dedicata alla dinamica politica nè nell'immobilismo, né nell'eccessivo mutamento, nè nella rivoluzione. Due esempi del diverso modo d'agire della classe eletta di governo di fronte a due sfide - quella della violenza e quella del tempo - valgano a chiarire il ruolo che ha la prevalenza dell'un tipo di residui o dell'altro. All'Uso della forza nella società Pareto dedica un folto gruppo di paragrafi nel XII capitolo del Trattato, dedicato alla Forma generale della società. Coerentemente con la impostazione propria del realismo politico, alla forza è attribuito un ruolo non solo decisivo, ma insopprimibile nella vita politica: «Il problema se si debba o no, se giovi o no usare la forza nella società non ha senso scrive - poichè la forza si usa tanto da parte di chi vuole conservare certe uniformità come da parte di chi vuole trasgredirle[…]Invero, chi è favorevole alla classe dominante, se dice di riprovare l'uso della forza, in realtà riprova l'uso della forza da parte dei dissidenti […] se dice di approvare l'uso della forza, in realtà approva l'uso che ne fanno le autorità»82 Il problema non è dunque se approvare o meno l'uso politico della forza, quanto considerare circostanze, opportunità, condizioni e modalità del suo impiego. Sotto questo punto di vista è evidente che classi elette composte in prevalenza da individui caratterizzati da Residui di CLASSE I tenderanno a misurarsi col porblema dell'uso della forza in modo diverso da classi elette di governo in cui prevalgano i residui di CLASSE II. Si prenda in esame il caso di una classe eletta di governo sfidata dalla rivolta dei governati i quali usino la violenza: 82 Ibidem, §2174, vol. V, p. 80 58/Sui confini della scienza politica «Un piccolo numero di cittadini, purchè violenti - scrive Pareto - possono imporre la volontà loro ai governanti, i quali non sono disposti a rintuzzare tale violenza con altra pari. Se i governanti sono mossi principlamente da sentimenti umanitari nel non usare la forza, tale effetto segue molto facilmente»83 E' il caso in cui prevalgano i residui di IV CLASSE, in particolare il "sentimento di simpatia per i propri simili", sui residui di II CLASSE). «se invece essi - continua Pareto - non usano la forza perchè stimano miglior consiglio l'adoperare altri mezzi, si ha spesso l'effetto seguente: Per impedire la violenza o per resistervi, la classe governante usa l'astuzia, la frode, la corruzione e, per dirla in altre parole, il governo passa dai leoni alle volpi. La classe governante china il capo dinanzi alla minaccia della violenza, ma cede solo in apparenza e procura di girare l'ostacolo che non può superare a viso aperto»84 Si passa qui da una situazione di prevalenza dei Residui di CLASSE II ai residui di CLASSE I, il che tende a trasformare profondamente la composizione della classe eletta di governo: «Alla lunga - si legge infatti - un tal modo di operare opera potentemente sulla scelta della classe governante, di cui sono chiamate a far parte solo le volpi, e respinti i leoni. Chi meglio conosce l'arte di indebolire gli avversari con la corruzione, di ritagliare con la frode e l'inganno ciò che pareva essere ceduto alla forza è ottimo fra i governanti; chi ha scatti di resistenza e non sa piegare la schiena a tempo e luogo è pessimo fra i governanti e può rimanere fra essi solo se compensa tale difetto con altre eminenti qualità. Per tal modo, nella classe 83 84 Ibidem. Ibidem, §2178, vol. V, p. 83 59/Sui confini della scienza politica governante, crescono i residui dell'istinto delle combinazioni (CLASSE I) e scemano quelli della persistenza degli aggregati (CLASSE II) poichè i primi giovano appunto per usare l'arte dei ripieghi, per scoprire ingegnose soluzioni da sostituire all'aperta resistenza, mentre i secondi indurrebbero a questa, ed un forte sentimento di persistenza degli aggregati toglie pieghevolezza»85 Tra le "ingegnose soluzioni" inventate da una classe eletta di governo dominata dai residui di CLASSE I al fine di mantenersi al potere pur senza accettare lo scontro diretto con le classi non elette in rivolta, vi è quella, insidiosissima, della cooptazione (difficilissimo, secondo Pareto, è spodestare una classe governante «se riesce ad assimilarsi il maggior numero di coloro che, nella classe governata, hanno le stesse doti, sanno adoperare le stesse arti, e che quindi potrebbero essere i capi di coloro che sono disposti ad usare la violenza. La classe governata, che per tal guisa rimane senza guida, senz'arte, incomposta, è quasi sempre impotente per istruire cosa alcuna che sia durevole»86). E' il contrario dell'atteggiamento intransigente che normalmente giova più alle classi governate che a quelle governanti. E' chiaro che l'utilità di un tipo di atteggiamento dipende dalle circostanze: vi saranno momenti in cui la pace sarà meglio comprarla - e sarà il tempo dei mercanti, dell'istinto delle combinazioni -; e vi saranno momenti in cui sarà necessario conquistarla e garantirla con le armi - e sarà il tempo dei guerrieri, della persistenza degli aggregati -. Anche se, conclude Pareto, la trasformazione in senso commercial-mercantile della classe governante, a lungo andare, implica decadenza; il passaggio dai leoni alle volpi apre la strada alla 85 86 Ibidem. Ibidem, §2179, vol. V, p. 85 60/Sui confini della scienza politica fiacchezza e alla degenerazione; il predominio dell'istinto delle combinazioni e l'esaurirsi della persistenza degli aggregati prelude alla sostituzione di quella classe governante con una più fresca, più vitale e più determinata classe emergente: «Chi perde l'abito di usare la forza, chi è avvezzo a giudicare commercialmente un'operazione, secondo il suo dare e avere in quattrini, facilmente s'induce a comptrare la pace - scrive Pareto -; e può darsi che tale operazione, considerata da sola sia buona, perchè la guerra avrebbe costato più quattrini che il prezzo pagato per la pace, ma l'esperienza dimostra che a lungo andare, considerata con le altre che seguono inevitabilmente, fa sì che un popolo per tal modo si avvia alla rovina. Molto di rado il fenomeno ora notato del prevalere degli istinti delle combinazioni accade per un'intera popolazione; di solito esso si osserva solo negli strati superiori e poco o punto negli inferiori e più numerosi»87 A poco a poco, dunque, le doti del leone - la decisione, l'aggressività, la virile vitalità - sembrano rarefarsi nelle classi superiori e concentrasi, all'opposto, in quelle inferiori, dando loro l'energia necessaria per preparare un cambiamento radicale della classe governante. E' quanto a Pareto sembra vedere nei fatti politici del suo tempo, tanto per quanto riguarda (nell'esperienza riformista) il processo di integrazione e di cooptazione di una parte dell'élite delle classi subalterne, quanto per ciò che riguarda (nell'esperienza del socialismo rivoluzionario), l'emergere di una nuova, più combattiva - e anche più morale - aristocrazia emergente dalle classi oppresse, dagli strati inferiori della società. 87 Ibidem. 61/Sui confini della scienza politica «Poniamo mente ai paesi più innanzi nella democrazia e nel socialismo, come ad esempio alla Francia - scriveva in un saggio del 1900 - e vedremo tosto che il fine della battaglia tra la nuova e la vecchia aristocrazia non può essere dubbio, poichè la nuova è piena di vigore e di forze, mentre l'antica è infiacchita; la nuova, balsa e coraggiosa, proclama "la lotta di classe", l'antica pargoleggia lodando la "solidarietà", piegando il capo sotto i colpi che riceve e dicendo grazie, invece di restituirli»88 In modo analogo funziona l'esempio relativo alla questione del tempo; al modo in cui viene considerato dall'élite al potere il problema della processualità storica, il tema del futuro: una classe governante dominata dall'istinto delle combinazioni, fortemente individualistica, quindi, e individualizzata, tenderà ad annullare la continuità temporale, ed a vivere il tempo non come un processo continuo in cui il passato si lega al presente e questo intende permanere nel futuro, ma come una successione di istanti, scollegati l'uno dall'altro. Al contrario una classe governante in cui prevalga la persistenza degli aggregati, tenderà a privilegiare e a valorizzare la durata, le grandi continuità degli organismi collettivi, la permanenza nel tempo. Nel primo caso «i disegni della classe governante non si spingono troppo oltre nel tempo; il prevalere dell'istinto delle combinazioni, l'affievolirsi della persistenza degli aggregati fa sì che la classe dominante si appaga più del presente e si dà meno pensiero del futuro. L'individuo prevale di molto sulla famiglia, il singolo cittadino sulla collettività e sulle nazioni. Gli interessi del presente o di un futuro prossimo e quelli materiali prevalgono sugli interessi di un futuro lontano e su quelli ideali della 88 V.Pareto, Un'applicazione di teorie sociologiche, in "Rivista italiana di sociologia", luglio 1900, ora in Id., Scritti sociologici minori, cit., p.225. 62/Sui confini della scienza politica collettività e della godere del presente dell'avvenire»89 patria. Si procura di senza troppo curarsi Nel secondo caso domina la continuità, il vincolo tra le generazioni (la tradizione, appunto) attraverso una solidarietà che si radica nel passato e si proietta nel futuro, dissolvendo l'individuo nel gruppo primario, in primo luogo, nella koiné dei consanguinei. Prevale la stabilità e l'assenza di mutamento. Dal giusto equilibrio tra queste due dimensioni - da un equilibrato mélange dei due tipi di atteggiamento - dipenderà la qualità e la possibilità di durata e di iniziativa della classe eletta di governo, la quale dovrà guardarsi tanto dalla Scilla di una stabilità spinta fino all'immobilismo quanto dalla Cariddi di un'innovazione esasperata fino al dissolvimento. - La legittimazione e le "derivazioni": così come la categoria dei residui costituisce, per molti versi, l'equivalente funzionale nella teoria di Pareto di ciò le risorse personali della classe politica rappresentavano nella teoria di Mosca, alla stessa maniera la categoria delle "derivazioni" vi ricopre, in qualche modo, il ruolo che nella Teorica dei governi era svolto dalla "formula politica". Esse sono formulazioni, ragionamenti, argomentazioni, spiegazioni utilizzate per giustificare ciò che in realtà trae origine e forza da altri fattori. Ma contrariamente a Mosca, Pareto ne fa un articolato elenco, ordinato in quattro classi, estendendone l'operatività dal campo della politica al più generale ambito dei rapporti umani. Alla prima classe di "derivazioni" appartengono le Affermazioni, cioè «le semplici narrazioni, le 89 V.Pareto, Trattato di sociologia generale, cit., §2178, vol. V, p. 84. 63/Sui confini della scienza politica affermazioni di un fatto, le affermazioni di accordo con sentimenti, espresse non come tali, ma in modo assoluto, assiomatico, dottrinale»90; in modo tale, quindi, da divenire una sorta di "comandamento", comune e verità accettata acriticamente: da farsi luogo «Nella Bibbia - scrive Pareto -, Dio dà, per mezzo di Mosé, certi ordini al suo popolo, e poi ogni tanto aggiunge, come per rafforzarli:"Io sono l'Eterno, vostro Dio". Al tempo nostro sono frequenti le asserzioni che un certo provvedimento è secondo il progresso, la democrazia, che esso è largamente umano, prepara un'umanità migliore. L'asserzione in questo modo è appena una derivazione, è piuttosto solo un modo di invocare certi sentimenti. Ma coll'essere spesso ripetuta, finisce coll'acquistare una forza propria, diventa un motivo dell'operare, assume il carattere di derivazione»91 Alla seconda classe di derivazioni appartiene l'Autorità, la quale può essere «autorità di un uomo o di più uomini»92 (normalmente fondata sulla errata credenza in competenze assenti o comunque limitate), «autorità della tradizione, di usi o di costumi»93, o, infine, «autorità di un essere divino o di una personificazione»94. Nella terza classe si collocano i Sentimenti, l'«accordo coi sentimenti di un numero piccolo o grande di persone»95, variamente motivato: o per «semplice riverenza al parere dei più», o per fiducia nei dotti, o, ancora, per calcolo e timore delle conseguenze (interesse individuale), o, infine, perchè mossi «da una forza misteriosa» che spinge l'uomo «ad operare in modo da porre le sue azioni d'accordo con i sentimenti notati 90 91 92 93 94 95 Ibidem, Ibidem, Ibidem, Ibidem, Ibidem, Ibidem, § 1420, vol.III, pp. 16-17. §1426, vol. III, p.19. §1435-1446, vol. III, pp.23-35 §1447-1457, vol. III, pp. 35-39 §1458-1464, vol. III, pp. 39-44. §1465, vol.III, p. 44 64/Sui confini della scienza politica [interesse collettivo], e nel caso estremo si ha un "imperativo" che opera per virtù propria e arcana»96.(entità metafisica o soprannaturale). L'ultima classe di "derivazioni" è costituita dalle prove verbali, cioè dalle motivazioni «ottenute mercè l'uso di termini di senso indeterminato, dubbio, equivoco, e che non corrispondono alla realtà»97: ne fanno parte buona parte dei termini politici, soprattutto quelli usati dalle correnti progressiste, pacifiste, solidariste (al termine solidarietà sono dedicati numerosi paragrafi, così come al termine ragione, libertà, verità - «I termini verità, errore, hanno tantio sensi quanti sono i partiti»98-). 96 97 98 Ibidem. Ibidem, §1543, vol.III, p. 109. Ibidem, §1564, vol. III, p. 129. In corsivo nel testo. 65/Sul concetto di politica 3. DINAMICA E SISTEMATICA POLITICA: "tendenza" e "circolazione delle élites" "Principio", Una classe politica, una volta formatasi, deve perpetuarsi e rinnovarsi, mutando nel corso del tempo i propri membri e garantendosi per questa via una continuità. Il "ricambio" della classe politica è quindi una funzione decisiva nel determinarne caratteristiche e potenzialità. Esso esprime il tipo di rapporto che la classe politica stabilisce col contesto storico-sociale circostante e ne determina, in ultima istanza, il grado di stabilità e le chances di durata. Una classe politica eccessivamente chiusa, infatti, incapace di selezionare e accogliere le forze nuove emergenti nel sociale, di cooptare gli individui più capaci, di affrontare il mutamento, sarà inevitabilmente costretta non solo a isterilirsi e impoverirsi qualitativamente, ma finirà presto o tardi per giungere a conflitto con la realtà esterna e per soccombere. All'opposto una classe politica troppo aperta, incapace di gararntirsi meccanismi di selezione e reclutamento tali da salvaguardare la propria continuità, tenderà a perdere identità, coesione interna, forma, e a dissolversi. L'equilibrio tra queste due possibilità estreme, tra questi due modelli estremi di "ricambio" della classe politica, costituisce uno degli obiettivi più delicati e più importanti di ogni gruppo che intenda gestire il governo. E dai modi con cui esso è raggiunto, dalle modalità con cui ogni classe politica o classe eletta di governo amministra il proprio ricambio (statica politica), dipende il tipo di organizzazione statuale, il modello politico prevalente (sistematica politica). 66/Sul concetto di politica - Gaetano Mosca: "principio e "tendenza": relativamente in ombra nella Teorica dei governi - in cui compariva solo un rapido accenno al tema dell'ereditarietà dell'accesso alla classe politica in contrapposizione con altri criteri più "democratici" (la verifica del merito, l'elezione) - il tema del ricambio della classe politica costituisce oggetto di più attenta considerazione negli Elementi di Scienza politica, dove figura un intero capitolo dedicato a Princìpi e tendenze diverse che si affermano nella formazione e nella organizzazione della classe politica99.In esso Mosca prende in esame in primo luogo il modo in cui si distribuisce l'autorità all'interno di un determinato gruppo politico; la direzione lungo la quale essa viene trasmessa. Direzione che può essere, alternativamente, «dall'alto verso il basso« oppure «dal basso verso l'alto», perchè, come scrive Mosca «realmente in tutte le forme di organizzazione politica o l'autorità viene trasmessa dall'alto verso il basso della scala politica e sociale, in maniera che la scelta del funzionario inferiore venga lasciata a quello superiore, finchè si arriva al supremo gerarca che sceglie i suoi immediati collaboratori, come dovrebbe accadere nella monarchia assoluta tipica; ovvero dal basso viene delegata a coloro che stanno in alto, dai governati ai governanti, come si usava nell'antica Grecia e in Roma repubblicana»100 Nell'un caso il meccanismo dell'attribuzione d'autorità risiede esclusivamente nell'ambito della classe politica. E' essa e solo essa, nella figura in particolare di colui che occupa il sommo della gerarchia, 99 G.Mosca, Elementi di scienza politica, cit., vol. II, pp.10021042. 100 Ibidem, pp. 1003-1004 67/Sul concetto di politica a decidere chi possa o non possa farne parte. Chi, cioè, sia "autorizzato" (nel senso di "dotato dell'autorità") e chiu no. Nell'altro caso si registra una sorta di "apertura" della classe politica sul sociale. Essa cioè non ha il monopolio della decisione sulla propria composizione, ma accetta che i criteri di attribuzione dell'autorità abbiano carattere più ampio, coinvolgano i "governati". Tale "modalità" dell'attribuzione di autorità - tale criterio che regola la direzione dell'autorizzazione - è denominato da Mosca "principio" (principio di autorizzazione, si potrebbe dire), e classificato in due tipi: il principio autocratico, che esprime la prima direzione (dall'alto in basso, dal sommo gerarca giù giù lungo la catena fi o ai funzionari inferiori) e il principio liberale, che esprime le seconda direzione (dalla molteplicità dei governati su su fino al vertice). «Il primo tipo di organizzazione politica annota Mosca - quello nel quale l'autorità viene trasmessa dall'alto della scala politica ai funzionari inferiori, e che fu da Platone appellato monarchico, noi crediamo più esatto di chiamarlo autocratico; perchè un monarca nel senso lato della parola, ossia un capo dello stato, si trova quasi sempre in tutte le forme di regime politico. Più difficile riesce la scelta del vocabolo adatto ad indicare il secondo. Seguendo l'esempio di Platone, si potrebbe chiamarlo democratico, ma siccome per democrazia s'intende oggi comunemente una forma di regime politico nella quale tutti ugualmente partecipano alla formazione dei poteri sovrani, ciò che non sempre è accaduto nel passato nei regimi nei quali il popolo sceglieva i suoi governanti perchè spesso per popolo si intendeva una ristretta aristocrazia, crediamo più opportuno di appellarlo liberale»101 101 Ibidem, p. 1004. 68/Sul concetto di politica Un'impostazione, questa, sia detto per inciso, in cui, come si vede, appare sia pur leggermente attenuata la dura polemica antidemocratica che caratterizzava invece la prima opera di Mosca, La teorica dei governi. Negli Elementi, invece, opera della maturità - concepita in un clima politico dicerso, in cui meno lacerante appariva la poliemica contro le "promesse non mantenute' della democrazia - la radicale negazione di fondamento del principio democratico si attenua. L'idea che una democrazia "delegata" - basata sul principio della "rappresentanza" possa comunque essere definita "democrazia" e possa aver luogo (anzi, che sia la forma più diffusa presso i popoli civili),ora pare accettata pienamente, tant'è vero che Mosca immediatamente aggiunge: «E questa denominazione [liberale] ci è parsa tanto più appropriata in quanto è prevalso l'uso di ritenere liberi quei popoli nei quali, stando alla legge, i governanti dovrebbero essere scelti da tutti o anche da una parte dei governati e la legge stessa dovrebbe essere un'emanazione della volontà generale. Mentre nei regimi autocratici essa o ha un carattere immutabiule e sacro, oppure è una espressione della volontà dell'autocrate o meglio ancora di coloro che agioscono in suo nome»102 Il principio riguarda dunque il criterio di distribuzione dell'autorità; in un certo senso il soggetto, individuale o collettivo deputato all'"autorizzazione", all'attribuzione dell'autorità. La tendenza riguarda invece il grado maggiore o minore di "apertura" della classe politica. Riguarda cioè il tipo 102 Ibidem. 69/Sul concetto di politica di rapporto che la classe politica stabilisce con il mondo circostante ed i criteri che presiedono all'accesso. Se il principio si esprimeva in termini di "alto" e "basso", la tendenza opera in termini di "dentro" o "fuori". Definisce quanto il cerchio comunque ristretto della classe politica debbe essere permeabile a nuove personalità emergenti al suo esterno. Come nel primo caso si decideva, in base al principio, se l'autorità provenisse dall'alto o dal basso, così in questo caso si tratta di verificare, sulla base della tendenza, se i membri della classe politiuca debbano esserre reclutati al suo interno oppure anche al di fuori di essa. «Ci sembra più adatti di chiamare democratica quella tendenza che, latente o manifesta, agisce sempre con maggiore o minore intensità in tutti gli organismi politici e che mira a rinnovare la classe dirigente, sostituendola o almeno completandola con elementi provenienti dalle classi dirette. E naturalmente chiameremo aristocratica la tendenza contraria, anche essa costante sebbene di varia intensità, la quale mira alla stabilizzazione della direzione sociale e del potere politico nei discendenti di quella classe che, in un dato momento storico, se ne è impossessata»103 Il mezzo specifico della prima tendenza aristocratica - è l'ereditarietà delle cariche, la quale sancisce ferreamente il principio che la classe dirigente può essere reclutata solo all'interno della classe dirigente stessa; il mezzo specifico della seconda tendenza - liberale - è invece l'elezione, la quale afferma il principio della libera scelta dei governanti da parte dei governati. Mezzi - e principii - che 103 Ibidem, p. 1005. 70/Sul concetto di politica difficilmente si presenteranno storicamente nella loro forma pura, ma tenderanno a operare in forme commiste; e che d'altra parte sono destinati a influenzarsi a vicenda. La disponibilità di ricchezze, l'appartenenza a famiglie note e potenti, la consuetidine con la gestione del potere acquisita attraverso la catena delle generazioni favoriscono indubbiamente, anche all'interno della tendenza liberale, l'elezione di membri appartenenti per origine alla classe dirigente mentre al contrario tenderanno ad essere sfavoriti coloro che non possono disporre di tali risorse ereditarie. Al contrario anche all'interno di una tendenza rigorosamente aristocratica, di un modello chiuso di reclutamento della classe politica, potrà farsi luogo (e solitamente ciò avviene) allo strumento elettivo nella scelta dei membri effettivi. D'altra parte il mezzo elettivo non è di per sè garanzia di "apertura" della classe politica rispetto alla società: questa dipende dall'ampiezza del corpo elettorale, e dalle regole che presiedono alla scelta dei candidati (ai principii che regolano l'elettorato passivo). Sta di fatto, comunque, che ovunque si sia manifestata una tendenza liberale - e tanto più forte essa è stata - il mezzo dell'elezione è apparso il più idoneo a garantirne il funzionamento, cosicchè si può dire che se esso non è condizione sufficiente, tuttavia è certamente condizione necessaria nel caso della tendenza liberale. Principio e tendenza - lo si è sottolineato - non esprimono lo stesso concetto. E neppure si richiamano o condizionano l'un l'altro, tant'è vero che può verificarsi il caso storico di un regime a principio autocratico ed a tendenza democratica (è il caso in cui l'autocrate scelga il proprio successore, i propri 71/Sul concetto di politica collaboratori al di fuori della classe dirigente tradizionale); e viceversa di un regime a principio liberale ed a tendenza aristocratica (qualora il suffragio sia tanto ristretto che, pur provenendo dal basso, l'autorità viene conferita sempre e comunque ai membri di una casta mumericamente limitata): «A prima vista - annota Mosca - parrebbe che la prevalenza di quello che noi denomineremo principio autocratico dovrebbe accoppiarsi a quella che chiameremo tendenza aristocratica; e che al contrario il principio opposto, che chiameremo liberale, dovrebbe accoppiarsi alla tendenza che abbiamo appellato democratica. E realmente all'esame di molti tipi di organizzazione politica potrebbe trarsi la conclusione che esiste una certa simpatia tra l'autocrazia e l'aristocrazia da una parte e il liberalismo<e la democrazia dall'altra; ma però sarebbe questa una di quelle regole che sono soggette a moltissime eccezioni. Riuscirebbe facile infatti trovare esempi di autocrazie che non hanno ammesso l'esistenza di classi alle quali la nascita conferiva privilegi legali, ' si potrebbe citare in proposito l'impero chinese durante lunghi periodi della sua storia; ed anche più facile sarebbe di trovare esempi di regimi elettivi nei quali il popolo elettore era costituito solo dalla classe dirigente ereditaria, come avveniva nella repubblica polacca e a Venezia»104 Dalla diversa combinazione di principio e tendenza, è possibile anzi derivare differenti tipi di regimi politici, o differenti modelli di Stato e di organizzazione politica. E', questa una delle classificazioni proprie della sistematica politica moschiana, diretta a sostituire la classica teoria delle forme di governo, utilizzando criteri di maggiore 104 Ibidem. 72/Sul concetto di politica "scientificità".Dall'incrocio, infatti, del principio autocratico e del principio aristocratico (dall'incrocio, cioè, apparentemente più naturale), s'individua il tipo "puro" della monarchia assoluta (il modello di stato, cioè, in cui il sovrano, legibus solutus, senza alcun vincolo proveniente "dal basso" sceglie i propri funzionari e collaboratori all'interno di una ristretta classe, di una consolidata aristocrazia). Dall'incrocio, invece, del principio liberale e della tendenza democratica s'individua l'altro tipo "puro", lo Stato liberal-democratico fondato sul suffragio universale e sull'apertura massima della classe politica. Principio liberale e tendenza aristocratica identificheranno, per altro verso, la forma per così dire "mista" - o comunque non perfettamente "pura" - del liberalismo moderato (o, se si preferisce lo Stato liberale ma non democratico), basato sul suffragio, è pur vero - e quindi sul principiop dell'"autorizzazione dal basso" - ma su un suffragio ristretto, che quindi limita l'accesso alla classe politica e lo riduce entro i confini di una sia pur ampia "aristocrazia". Lo schema seguente visualizza la classificazione: 73/Sul concetto di politica E' questa la seconda tipologia delle forme di Stato ricavabile dal discorso di Gaetano Mosca e costitutiva della sua sistematica politica. La prima derivava in qualche modo naturalmente dalla trattazione dei diversi tipi di classe politica in rapporto alle caratteristiche personali dei suoi membri e alle "risorse" in base alle quali avveniva l'accesso a ruolo di governo. Alla risorsa del valore guerriero, al predominio cioè dell'élite guerriera, si potrebbe dire infatti che corrisponda il modello statuale feudale, anche se Mosca più volte interverrà polemicamente per negare che l'elemento della forza sia qualificante esclusivamente delle forme politiche feudali (come sosteneva lo Spencer, contrapponendo ad esse lo stato industriale basato sul consenso). La forza, anzi, sarebbe caratteristica di ogni forma statuale e strumento di ogni classe politica.Ma è indubbio che in una fase in cui l'apparato statuale permaneva magmatico, contrastato da una pluralità di poteri indipendenti; in cui nè i processi di centralizzazione nè quelli di burocratizzazione propri dello stato moderno erano ancora avvenuti, la capacità di 74/Sul concetto di politica esercizione della forza fisica, il valore guerriero, appunto, dovevano svolgere un ruolo di gran lunga superiore a quello svolto successivamente. Al predominio invece della ricchezza come risorsa per l'accesso alla classe politica - al predominio cioè dell'aristocrazia del denaro - corrisponde, lo si è in parte già visto, la forma di stato burocratico proprio della modernità, dominato dai grandi apparati, dalla certezza del diritto e dall'esercizio del monopolio legittimo della forza. Al predominio, infine, delle risorse intellettali - al primato di un'aristocrazia sacerdotale - si potrebbe associare il modello di stato teocratico (sia nella sua forma religiosa che in quella secolarizzata).. RISORSE TIPI DI ELITES FORME DI STATO Valore guerriero Aristocrazia militare Stato feudale Ricchezza econ. Aristocrazia del denaro Stato burocratico Cultura Aristocrazia sacerdotale Stato teocratico Ai problemi e alle difficoltà connesse al ricambio della classe politica, erano dedicate numerose, preoccupate pagine degli Elementi di scienza politica. Mosca era perfettamente consapevole dei rischi cui si sarebbe esposta una classe politica incapace di gestire efficacemente e in modo equilibrato il proprio ricambio. Strenuo fautore della gerarchia tra governanti e governati e del carattere "speciale" della classe politica, temeva però la sua "separatezza" e, soprattutto, l'eventualità che essa finisse per perdere quel contatto con la società indispensabile per garantirne il rinnovamento e l'arricchimento. 75/Sul concetto di politica «Si può dire che tutta la storia dell'umanità civile si riassume nella lotta fra la tendenza che hanno gli elementi domlinatori a monopolizzare stabilmente le forze poolitiche e a trasmetterne ereditariamente il possesso ai loro figli, e la tendenza, che pure esiste, verso lo spostamento di queste forze e l'affermazione di forze nuove, la quale produce un continuo lavorìo di endosmosi fra la classe alta e alcune frazioni di quella bassa»105 Dalla diversa combinazione di principio e tendenza, è possibile anzi derivare differenti tipi di regimi politici, o differenti modelli di Stato e di organizzazione politica. E', questa una delle classificazioni proprie della sistematica politica moschiana, diretta a sostituire la classica teoria delle forme di governo, utilizzando criteri di maggiore "scientificità".Dall'incrocio, infatti, del principio autocratico e del principio aristocratico (dall'incrocio, cioè, apparentemente più naturale), s'individua il tipo "puro" della monarchia assoluta (il modello di stato, cioè, in cui il sovrano, legibus solutus, senza alcun vincolo proveniente "dal basso" sceglie i propri funzionari e collaboratori all'interno di una ristretta classe, di una consolidata aristocrazia). Dall'incrocio, invece, del principio liberale e della tendenza democratica s'individua l'altro tipo "puro", lo Stato liberal-democratico fondato sul suffragio universale e sull'apertura massima della classe politica. Principio liberale e tendenza aristocratica identificheranno, per altro verso, la forma per così dire "mista" - o comunque non perfettamente "pura" - del liberalismo moderato (o, se si preferisce lo Stato liberale ma non democratico), 105 Ibidem, p.611. 76/Sul concetto di politica basato sul suffragio, è pur vero - e quindi sul principio dell'"autorizzazione dal basso" - ma su un suffragio ristretto, che quindi limita l'accesso alla classe politica e lo riduce entro i confini di una sia pur ampia "aristocrazia". Lo schema seguente visualizza la classificazione: E' questa la seconda tipologia delle forme di Stato ricavabile dal discorso di Gaetano Mosca e costitutiva della sua sistematica politica. La prima derivava in qualche modo naturalmente dalla trattazione dei diversi tipi di classe politica in rapporto alle caratteristiche personali dei suoi membri e alle "risorse" in base alle quali avveniva l'accesso a ruolo di governo. Alla risorsa del valore guerriero, al predominio cioè dell'élite guerriera, si potrebbe dire infatti che corrisponda il modello statuale feudale, anche se Mosca più volte interverrà polemicamente per negare che l'elemento della forza sia qualificante esclusivamente delle forme politiche feudali (come sosteneva lo Spencer, contrapponendo ad esse lo stato industriale basato sul 77/Sul concetto di politica consenso). La forza, anzi, sarebbe caratteristica di ogni forma statuale e strumento di ogni classe politica.Ma è indubbio che in una fase in cui l'apparato statuale permaneva magmatico, contrastato da una pluralità di poteri indipendenti; in cui nè i processi di centralizzazione nè quelli di burocratizzazione propri dello stato moderno erano ancora avvenuti, la capacità di esercizio della forza fisica, il valore guerriero, appunto, dovevano svolgere un ruolo di gran lunga superiore a quello svolto successivamente. Al predominio invece della ricchezza come risorsa per l'accesso alla classe politica - al predominio cioè dell'aristocrazia del denaro - corrisponde, lo si è in parte già visto, la forma di stato burocratico proprio della modernità, dominato dai grandi apparati, dalla certezza del diritto e dall'esercizio del monopolio legittimo della forza. Al predominio, infine, delle risorse intellettuali - al primato di un'aristocrazia sacerdotale - si potrebbe associare il modello di stato teocratico (sia nella sua forma religiosa che in quella secolarizzata).. RISORSE Valore guerriero Ricchezza econ. Cultura TIPI DI ÉLITES Aristocrazia militare Aristocrazia del denaro Aristocrazia sacerdotale FORME DI STATO Stato feudale Stato burocratico Stato teocratico Ai problemi e alle difficoltà connesse al ricambio della classe politica, erano dedicate numerose, preoccupate pagine degli Elementi di scienza politica. Mosca era perfettamente consapevole dei rischi cui si sarebbe esposta una classe politica incapace di gestire 78/Sul concetto di politica efficacemente e in modo equilibrato il proprio ricambio. Strenuo fautore della gerarchia tra governanti e governati e del carattere "speciale" della classe politica, temeva però la sua "separatezza" e, soprattutto, l'eventualità che essa finisse per perdere quel contatto con la società indispensabile per garantirne il rinnovamento e l'arricchimento. «Si può dire che tutta la storia dell'umanità civile si riassume nella lotta fra la tendenza che hanno gli elementi dominatori a monopolizzare stabilmente le forze politiche e a trasmetterne ereditariamente il possesso ai loro figli, e la tendenza, che pure esiste, verso lo spostamento di queste forze e l'affermazione di forze nuove, la quale produce un continuo lavorìo di endosmosi fra la classe alta e alcune frazioni di quella bassa. […]Nelle società umane - aggiungeva - prevale ora la tendenza che produce la chiusura, l'immobilità, la cristallizzazione, petr così dire, della classe politica, ora quella che ha per conseguenza il suo più o meno rapido rinnovamento»106 - Pareto e la "circolazione delle élites: Un'attezione ancor maggiore al fenomeno del ricambio della classe dirigente la presta Vilfredo Pareto, collocandola nell'ambito di una concezione strutturalmente dinamica. Di una filosofia della storia, si potrebbe dire, fondata sul concetto dell'ineliminabilità del mutamento e della tendenza endemica alla decadenza. «Le aristocrazie non durano scrive nel Trattato -. Qualunque ne siano le cagioni, è incontestabile che dopo un certo tempo spariscano. La storia è un cimitero di aristicrazie»107. Esse possono 106 107 Ibidem, p.611. Ibidem, §2053, vol.IV, p. 302 79/Sul concetto di politica inaridirsi ed estinguersi per mancanza di nuove energie, per eccessivo isolamento o per dissipazione di forza vitale. Senza un contatto, quale che sia, con il resto della società, una aristocrazia di governo appare condannata: «Non è solo pel numero che certe aristocrazie decadono - scrive Pareto -ma anche per la qualità, nel senso che in esse scema l'energia e si modificano le proporzioni dei residui che loro giovano per impadronirsi del potere e per conservarlo[…]La classe governante viene restaurata non solo in numero, ma, ed è ciò che più preme, in qualità delle famiglie che vengono dalle classi inferiori, che recano in essa l'energia e le proporzioni dei residui necessari per mantenersi al potere. Si restaura anche per la perdita dei suoi componenti che maggiormente sono deceduti»108 Fondata sul merito, l'idea della classe eletta non può non fare i conti col fatto che il merito è fattore contingente. Presente negli originari fondatori, può estenuarsi ed estinguersi negli eredi. Oppure, funzionale in particolari circostanze, tanto da legittimare la partecipazione alla cerchia di coloro che partecipano al dominio, una particolare qualità può cessare di esser tale in circostanze mutate. Il valor guerriero, ad esempio, è certamente utile - anzi indispensabile, Mosca l'aveva sottolineato - nella fase costitutiva dello stato, ed in epoche in cui ancora non si era stabilita con certezza la potenza dell'apparato pubblico, ma diviene in qualche modo "merce" di scarsa richiesta in epoche successive, quando non si tratta più di fondare, ma di amministrare. Così per le doti diplomatiche, le 108 Ibidem, §2054, vol.IV, p. 303 80/Sul concetto di politica capacità di mediazione, l'astuzia: possono giusificare lo si è visto - l'accesso di particolari personalità al potere, ma non possono costituire l'unica caratteristica della classe eletta, pena la degenerazione del governo, l'indebolimento e l'estinzione di quella particolare forma di potere. Domina in sostanza anche qui la legge di mercato; ai meccanismi di formazione e circolazione delle élites presiede, in qualche modo, la logica della domanda e dell'offerta: «Occorre notare - scrive Pareto - che tale velocità di circolazione devesi considerare non solo assolutamente, ma anche in relazione alla domanda ed all'offerta di certi elementi. Per esempio, un paese che è sempre in pace, ha bisogno di pochi guerrieri nella classe governante, e la produzione di questi può essere esuberante pel bisogno. Viene uno stato di guerre continuo; occorrono molti guerrieri, la produzione pure rimanendo la stessa, può essere deficiente pel bisogno. Notiamo di sfuggita che questa è stata una delle cause della distruzione di molte aristocrazia»109 Assoggettata alla logica del mercato, come quella del mercato anche la vita delle élites è mobile, mutevole, per certi aspetti incerta. Il mutamento non solo ne è condizione normale, ma anche vitale («Per via della circolazione delle classi elette, la classe eletta di governo è in uno stato di continua e lenta trasformazione, essa scorre come un fiume, e questa d'oggi è diversa da quella di ieri»110). D'immobilità un'élite muore: come infatti la circolazione sanguigna è indispensabile alla vita dell'organismo, così il processo di continuo rinnovamento e di "circolazione" delle élites è necessario alla sopravvivenza del sistema politico. 109 110 Ibidem, §2044, vol. IV, p. 298 Ibidem, §2056, vol. IV, p. 303. 81/Sul concetto di politica Appartiene, per così dire, alla fisiologia della politica così come l'arresto di tale "circolazione", il mancato rinnovamento dell'élite e la rottura del proceso di osmosi tra società e classe eletta appartiene alla patologia politica; prepara la malattia degli organismi politici e in alcuni casi la morte di una determinata classe eletta di governo. Patologica, in particolare, è quella situazione in cui - per il blocco, appunto, di tale processo di osmosi, per l'impossibilità degli elementi migliori emersi nelle classi inferiori di salire e di avere accesso alla classe eletta - si verifichi un accumulo di "qualità" negli strati bassi della popolazione e, contemporaneamente - per mancanza di nuove energie - un impoverimento della classe eletta. Allora maturano le condizioni per quell'evento "straordinario" in politica - eppure in qualche modo ricorrente - che è la rivoluzione. Tema, questo, già affrontato da Mosca in un intero capitolo degli Elementi, come esempio limite di mutamento della classe politica (di sostituzione integrale degli individui di una classe politica con uomini "nuovi")111, ma trattato da Pareto con particolare lucidità e come parte integrante della sua teoria della "circolazione delle élites". «Le rivoluzioni - scrive a conclusione del capitolo dedicato a La classe superiore e la classe inferiore in generale - seguono perchè, sia pel rallentarsi della circolazione della classe eletta, sia per altra causa, si accumulano negli strati superiori elementi scadenti che più non hanno i residui atti a mantenerli al potere, che rifuggono dall'uso della forza, mentre crescono negli strati inferiori gli elementi di qualità superiore che posseggono i residui atti ad esercitare il 111 Cfr. G.Mosca, pp.777-803 Elementi di scienza politica, cit., vol. II, 82/Sul concetto di politica governo, forza»112 che sono disposti ad adoperare la E aggiunge, formulando la prima intuizione di una teoria del ruolo delle èlites intellettuali nella formazione dei processi rivoluzionari successivamente ripresa dalla sociologia politica113: «Generalmente, nelle rivoluzioni, gli individui degli strati inferiori sono capitanati da individui degli strati superiori, perchè in questi stanno le qualità utili per disporre la battaglia, mentre fanno difetto i residui che appunto sono somministrati dagli individui degli strati inferiori.»114 Anche in questo caso, poi, come già in Mosca, la dinamica politica interagisce con la statica politica ed ha una ricaduta in termini di classificazione delle forze politiche; dà luogo a una tipologia. Il grado, infatti, di maggiore o minore apertura della classe eletta di governo rispetto alla società; la velocità maggiore o minore con cui una classe eletta di governo muta e realizza la propria "circolazione - caratteristiche, come si è visto, dipendenti in buona parte dal tipo di "residui" prevalenti nelle differenti classi elette di governo - individuano modelli differenti di Stato, caratterizzati da modi diversi di esercizio del potere. Una classe eletta caratterizzata prevalentemente dall'istinto delle combinazioni, infatti, e da un ricambio veloce, tenderà a dar vita a modelli di stato 112 V.Pareto, Trattato di sociollogia generale, cit., §2957, vol. IV, p. 304. 113 Si veda in particolare gli scritti di Gino Germani sull'interpretazione del fascismo, e in special modo Fascismo e classe sociale (1960). 114 V.Pareto, Trattato di sociologia generale, cit., §2058, vol. IV, p. 304 83/Sul concetto di politica retti sul consenso, quale il moderno Stato di diritto, e in generale i modelli statuali liberali. Una classe eletta in cui prevalgano, al contrario; i residui di CLASSE II, la persistenza degli aggregati, ed in cui si manifesti una circolazione lenta, una tendenza alla chiusura della classe eletta di governo, darà vita a modelli statuali fondati sulla forza, a tipi di Stato autoritario. 84/Sul concetto di politica 4. ROBERTO MICHELS OGGETTO DELL'ANALISI DI MICHELS: IL PARTITO DI MASSA Michels, pur appartenendo a pieno titolo alla scuola dei teorici dell'élite, si occupa di un oggetto relativamente diverso rispetto agli altri due. Non si occupa della classe politica come classe dirigente dello stato, non si occupa del potere politico in assoluto, ma si occupa di un aspetto, allora marginale, che è il partito politico. In particolare si occupa di quello che può essere considerato il primo partito di massa, che compare nella prima metà dell'ottocento e che poi dilaga nel novecento. Un fenomeno legato a un altro grande processo della modernità, cioè alla massificazione della politica o democratizzazione della politica, processo tipico della fase in cui, dopo la rivoluzione francese e dopo l'affermarsi delle correnti liberali e democratiche (prima metà dell'ottocento), si afferma il principio inedito che la politica è cosa di tutti. Il partito politico e in particolare il partito di massa coincide con l'affermazione di quell'altra novità storica che è il suffragio sempre più allargato a categorie di persone sempre più ampie fino a raggiungere il suffragio universale. Senza democratizzazione, senza massificazione, senza suffragio allargato, non avrebbe senso parlare di partito di massa. Quando Michels inizia la propria analisi (fine ottocentoinizio novecento) il partito era una realtà emergente, si stava formando la struttura dei moderni partiti, in 85/Sul concetto di politica particolare Michels aveva sotto gli occhi quello che può essere considerato come il prototipo di tutti i partiti di massa, la socialdemocrazia tedesca (Michels ne era militante). Potremmo quindi ordinare i tre teorici dell'élite per temi, dal più generale al più particolare: al primo posto dovremmo mettere Pareto, che si occupa del sistema sociale nel suo complesso e del potere politico solo come parte; al secondo posto Gaetano Mosca che si occupa dello stato, della classe politica statale; al terzo posto Roberto Michels, che analizza il partito politico. IL PARADOSSO DELLA DEMOCRAZIA Tuttavia l'analisi di Michels, anche se è la più legata a un oggetto specifico è per certi versi la più efficace rispetto all'obiettivo che tutti gli élitisti si pongono e cioè di mostrare il carattere ideologico delle tradizionali classificazioni del potere politico, delle forme di governo e in particolare il carattere illusorio della ideologia democratica. Quello che Mosca e Pareto avevano già fatto, dimostrare che la democrazia non esiste nella realtà perché sempre e comunque sono i pochi che governano sui molti, Michels lo dimostra analizzando proprio quel partito che incorpora nel suo stesso nome il termine democratico, l'spd e che si propone esplicitamente come fine la realizzazione piena della democrazia. In questo sta la forza dell'argomento di Michels, se la democrazia in politica non è realizzata neppure in 86/Sul concetto di politica quell'organismo politico che fa della democrazia la base del proprio programma, figuriamoci all'interno delle forme statali. Se la logica in politica è quella dell'oligarchia (o aristocrazia) l'analisi del partito socialdemocratico tedesco nel confermarlo diventa un argomento fortissimo. Le premesse da cui parte Michels sono esattamente il riconoscimento di quelle condizioni che si descrivevano prima come essenziali per la nascita del partito di massa. Michels prende atto che il tempo che stiamo vivendo è un epoca di massificazione. Michels dice: "in questa fase storica aristicrazia e democrazia sono strettamente legate. In questa epoca storica dove protagonisti riconosciuti sono sempre di più le masse e masse sempre crescenti, persino i partiti conservatori, persino quelle forze sociali che più di ogni altra si erano opposte all'estensione dei diritti (la vecchia nobiltà, la proprietà terriera), chiunque voglia contare oggi deve fare i conti con il problema del numero, deve diventare forza di massa, deve contare su un potenziale di mobilitazione delle masse. In questa epoca di massificazione anche le aristocrazie si devono democratizzare, devono darsi delle strutture politiche capaci di mobilitare grandi masse o di ricevere il consenso da ampie masse. Parallelamente le democrazie si devono oligarchizzare, necessariamente i partiti democratici si trasformano in strutture oligarchiche. E' implicito nella stessa dimensione della massa il produrre al proprio interno nuovi gruppi aristocratici che prima o poi la dominano." Questa è la grande scoperta di Michels, lo scoprire come il novecento nel suo costituirsi è un secolo attraversato 87/Sul concetto di politica da tensioni contraddittorie, proprio perché afferma l'importanza della massa finisce per organizzare macchine organizzative drammaticamente oligarchiche. Egli dice che è la logica dell'organizzazione che porta a questo. Infatti l'analisi di Michels prende inizio proprio dalla constatazione di un paradosso, di quello che potremmo definire il paradosso della democrazia. Dice Michels: "quando una massa si vuole autogovernare, inevitabilmente deve organizzarsi: senza organizzazione niente democrazia. Ma chi dice organizzazione dice oligarchia, l'organizzazione, soprattutto se deve inquadrare un numero di persone molto alto, produce una selezione di queste persone e genera al proprio interno una leadership, un gruppo ristretto di persone specializzato nel governo dell'organizzazione stessa e che a poco a poco monopolizzeranno il potere." E' questo il dilemma in cui si muove il partito socialdemocratico: senza organizzazione niente autogoverno, ma, proprio perché si tratta di una struttura organizzativa e proprio perché la logica dell'organizzazione va in questa direzione, essa è destinata a produrre una minoranza di funzionari che decidono e una minoranza di iscritti che obbediscono, che seguono. EZIOLOGIA DELLA LEADERSHIP Michels passa poi a indicare l'organizzazione inevitabilmente i motivi degenera per in cui una 88/Sul concetto di politica burocrazia oligarchica, cioè in una struttura di funzionari in cui i pochi dominano sui molti. Questa parte è indicata da Michels come l'eziologia della leadership. Egli elenca tre motivi, tre ordini di fattori: A) fattori tecnico-funzionali B) fattori psicologici C) fattori intellettuali Ciò che produce l'oligarchia non è la cattiva condotta o immoralità dei funzionari, è un meccanismo impersonale, inscritto in parte nell'animo della gente, nella psicologia del profondo, ma soprattutto inscritto nella logica organizzativa; è la logica organizzativa che produce l'oligarchia dominante all'interno delle grandi burocrazie. A) i fattori tecnico-funzionali Sono sostanzialmente due: 1) il numero 2) il carattere militante del partito - Il numero significa che il peggiore ostacolo alla possibilità di autogoverno delle masse consiste proprio nella loro estensione, quanto più grande è il numero di persone coinvolto, tanto più difficile è che questo riesca ad autogovernarsi. Dice Michels: "le masse sovrane sono inabili a prendere da se stesse anche solo quelle risoluzioni che sono più necessarie: L'impotenza della democrazia diretta e per converso l'efficienza di quella indiretta risulta innanzitutto dal fattore numerico". La democrazia che Michels chiama indiretta è la democrazia rappresentativa, quel modello che, 89/Sul concetto di politica riconoscendo l'impossibilità che tutti gli individui partecipino alle decisioni a causa del loro grande numero, ripiega su una forma di delega, a decidere saranno dei rappresentanti. Questo meccanismo della trasformazione della democrazia da diretta a indiretta in ragione del numero delle persone coinvolte nelle decisioni e della impossibilità pratica di farle partecipare tutte direttamente, sta all'origine, secondo Michels, della degenerazione oligarchica delle strutture organizzative. "Ben presto dice Michels il delegato, il rappresentante che nasce come servitore della massa, si trasforma in padrone". Il meccanismo della rappresentanza crea cioè un ristretto numero di delegati che finiranno per imporre il loro punto di vista ai rappresentati o a prescindere nelle loro decisioni dalle volontà e dalle opinioni di questi. Tutti gli altri tentativi di aggirare questo ostacolo, tutti i tentativi di non far consolidare la leadership, per esempio il modello scelto all'interno delle trade unions inglesi (i sindacati inglesi) di scegliere a turno o per sorteggio i rappresentanti , farli durare pochissimo e sostituirli molto rapidamente allo scopo di impedire che si consolidasse una leadership separata e contrapposta alla massa, sono falliti. Dice Michels "in quei casi la leadership era abbandonata ai capricci di quella divinità democratica che è il caso. Sempre di più è apparso indispensabile provvedere alla formazione di una casta di politici di professione, nel senso di tecnici della politica, provati e patentati, professionisti della politica". Specializzazione tecnica necessaria di ogni organizzazione complessa, la quale crea l'esigenza della 90/Sul concetto di politica cosiddetta direzione basata sulla competenza, di modo che tutti i poteri decisori della massa, per quanto riguarda materie tecniche, vengono a trasferirsi nei soli dirigenti. Quanto più grande è il numero tanto più si impone un meccanismo di delega, l'individuazione di un ristretto numero di rappresentanti, che sempre di più devono possedere competenze tecniche specifiche, cioè un sapere che non è di tutti, per cui occorre un processo di professionalizzazione della politica legata alla complessità delle macchine organizzative. Nascono così dei saperi specialistici che richiedono dei competenti, gente diversa dalla massa perché conosce meccanismi tecnici che la massa non conosce e che a poco a poco finirà per emanciparsi dalla massa, per non dipendere più da essa e per assumere ruoli e decisioni autonome. Dunque il numero da una parte impone una selezione di pochi rappresentanti, dall'altra parte crea compiti così complessi che solo degli specialisti possono eseguire, in questo modo si forma un gruppo separato, la leadership. - Il secondo fattore tecnico-funzionale è il carattere militante del partito. Dice Michels "il partito moderno è nel senso politico della parola una organizzazione di lotta, come tale anche esso deve conformarsi alle leggi della tattica". Il partito moderno è un partito di combattimento, deve difendere gli interessi dei suoi organizzati attraverso un conflitto con altre forze politiche o con forze dello stato. Per attrezzarsi al combattimento occorre però sottostare alle regole dell'arte militare, deve conformarsi come organizzazione ad un esercito, la 91/Sul concetto di politica struttura organizzativa del partito militante è ricostruita sul modello dell'esercito e la prima regola dell'arte militare impone gerarchia e certezza di comando. Dice Michels "i gregari devono seguire obbedientemente il loro capo e tutta l'associazione deve apparire simile ad un martello nelle mani del suo presidente", all'ordine del suo capo tutto il partito deve mobilitarsi come un sol uomo. Deve esserci una rapidità di decisione e una univocità di comando. "Unica garanzia di rapidità nelle decisioni era ed è tuttora l'accentramento (il centralismo). Un partito militante, anche se la sua è una guerra di piccole dimensioni, ha bisogno di una struttura rigidamente gerarchica". A proposito del carattere militante del partito Michels introduce un neologismo, il "cesarismo", per designare un potere autoritario e un po' carismatico. Ecco che la risorsa del carisma entra a far parte del meccanismo di formazione della leadership, proprio perché il capo, soprattutto il capo che si è conquistato sul campo il proprio prestigio, il capo che ha mostrato di saper soffrire per il partito, con la prigione, la persecuzione (i leader socialisti del tardo ottocento), acquisisce quel carisma che ne fa un capo carismatico e cesarista, cioè in qualche modo autocratico. Questo anche perché non tutti gli iscritti al partito socialdemocratico può sopportare i compiti gravosi che un partito militante richiede, ecco che si seleziona allora un ristretto numero di militanti provati, coloro sono più dediti alla causa, che accettano di pagare al partito un prezzo che non tutti gli altri sono disposti a pagare e che però, a poco a poco, monopolizzano il diritto di decisione anche 92/Sul concetto di politica per gli altri. Si formano diversi strati di militanti, differenziati in base alla qualità e alla quantità delle energie profuse nel partito, una sorta di piramide al cui vertice stanno coloro che dedicano integralmente la propria vita al partito, ma che proprio per questo finiscono per prendere le decisioni a nome degli altri, sulla testa degli altri. B) i fattori psicologici Riguardano sia la psicologia dei membri della leadership, sia la psicologia individuale dei singoli iscritti, sia la psicologia collettiva delle masse. Il ricorso a questo gruppo di motivi definiti psicologici è significativo: siamo all'inizio del novecento, nella fase in cui la psicologia (sia la psicologia del profondo che la psicologia sociale) si sta affermando come disciplina scientifica. Un testo aveva fatto molto scalpore negli anni ottanta dell'ottocento, un testo che aveva influenzato gli studi sui comportamenti sociali per alcuni decenni è il testo di Gustave Le Bon intitolato la Psicologie des Foulles, in cui trattava la folla come un corpo unico, quasi come un unico individuo dotato di sentimenti in genere deprecabili come l'irrazionalità, l'emotività, il desiderio di soggiacere al potere di un uomo forte, quindi in qualche modo il masochismo, la futilità. Insomma era stato tracciato da Gustave Le Bon un profilo della psicologia delle folle che era stato assunto in qualche modo quasi come una legge sociale. E' il periodo in cui si disegnano le grandi leggi sociali , Tard formula la legge dell'imitazione, Le Bon la psicologia delle folle. 93/Sul concetto di politica Michels assume, recepisce gli stimoli di tutte queste correnti culturali e formula una teoria psicologica della leadership, da una parte psicologia del comportamento individuale applicata ai dirigenti e alla constatazione di un meccanismo umano e comprensibile; dice Michels "il rapporto di delega produce un diritto morale al proseguimento della stessa, il funzionario che è stato delegato dalla massa e che si è prodigato per il partito, che si è dato una professionalità, matura come propria convinzione individuale l'idea di un proprio diritto a continuare a svolgere il ruolo di rappresentante, in qualche modo alla eternizzazione della delega, conquistato con il proprio sforzo sul campo". La leadership si autoconvince del proprio diritto morale a continuare ad occupare ruoli di direzione, infatti non si è mai visto un segretario di un grande partito o di un grande sindacato abbandonare volontariamente se non per vecchiaia o perché in seguito ad una battaglia politica messo in minoranza. Il secondo fattore psicologico è quello che Michels chiama "il bisogno di direzione delle masse", la sfiducia delle masse nella propria capacità di autodeterminarsi, per certi versi il calcolo egoistico della massa circa i costi troppo elevati di una partecipazione intensa alla vita del partito e il piacere a delegare, in qualche modo un innato spirito gregario delle masse. Qui si sente decisamente l'inlusso di Le Bon, il quale attribuisce alla massa i caratteri della donna, che vuole essere maltrattata, dominata, che desidera il dominio di un uomo forte (quello che gli psicologi oggi definiscono il complesso del camionista), le masse vogliono qualcuno che le plasmi, che le diriga. 94/Sul concetto di politica Domina nella massa, quindi , lo spirito del gregario, sentimento per certi versi deprecabile, accanto a un sentimento meno deprecabile che è quello che Michels definisce "la gratitudine delle masse". Dice Michels "la gratitudine delle masse verso personalità che in nome loro parlano e scrivono, che si sono create la fama di difensori e consiglieri del popolo, che spesso hanno sofferto come suoi esponenti e che mentre la massa restava al suo posto indisturbata e tranquilla a compiere il suo quotidiano lavoro hanno dovuto sovente sopportare persecuzioni, carcere ed esilio per amore delle idee comuni, questa gratitudine è naturale e spesso trascende in vera e propria tendenza delle masse alla venerazione dei capi", quello che nello stalinismo è stato definito come culto della personalità, il quale a sua volta ha a che fare con il carisma, la venerazione dei capi è la credenza che questi possiedano doti straordinarie. Si pensi a Hitler, a Stalin ed anche al culto della personalità verso Roosvelt nell'America del New Deal, verso Churchill nella seconda guerra mondiale. C) i fattori intellettuali Sono quello che Michels definisce "il sorgere di una oggettiva e formale superiorità di cultura attraverso l'esercizio professionale della leadership". Gestire un giornale, amministrare un comune, amministrare le casse di un partito, sono competenze che non possono essere svolte a rotazione da tutti i membri della comunità e che formano quella che Michels chiama appunto una casta dotata di un sapere, di una competenza specialistica, cioè il fattore intellettuale. 95/Sul concetto di politica Alcuni di questi fattori sono molto simili a quelli descritti da Weber nella sua teoria della burocrazia: una macchina amministrativa complessa richiede forme di professionalizzazione e competenze specialistiche che sono incompatibili con i fondamenti dell'idea democratica, secondo cui tutti dovrebbero partecipare alle decisioni che coinvolgono la comunità sociale. ELEMENTI CARATTERIZZANTI LA CONCEZIONE DI MICHELS In questa concezione possiamo individuare alcuni elementi importanti: 1) la concezione della democrazia di Michels. Nella sua opera troviamo almeno due diverse accezioni di democrazia: a) una accezione di tipo sociale: la democrazia si ha ogniqualvolta la massa svolga un'azione di rilievo sulla scena storica e politica. Qui democrazia significa massificazione della politica, crescente rilievo del numero nei fenomeni politico-sociali. b) una accezione di tipo ideologico: la democrazia come autogoverno delle masse,come quel modello di decisione politica all'interno del quale tutti devono avere direttamente parte alla decisione politica. La democrazia per Michels è in realtà la democrazia diretta, la democrazia degli antichi, dell'agorà in cui tutti i capifamiglia intervengono per deliberare sulle cose di interesse pubblico. In questa definizione di democrazia come autogoverno delle masse, la democrazia delegata appare come una forma minore o deteriore di democrazia. Questa 96/Sul concetto di politica concezione ha un posto di rilievo in quello che è l'esito della sua teoria, cioè la critica distruttiva della teoria democratica. Definita la democrazia come autogoverno delle masse Michels dimostra che questo è impossibile, mostra che questo è un valore ideologico non corrispondente alla realtà dei fatti, le leadership che sostengono di praticarlo sono leadership che mascherano il reale carattere di élite del potere. 2) la teoria dell'organizzazione di Michels Questa teoria è interessante perchè qui Michels condivide con Mosca l'idea che l'organizzazione abbia un ruolo di primo piano nel meccanismo di formazione dell'élite dominante. La minoranza dominante diventa tale grazie alle risorse, ai meriti e alle capacità che possiede e grazie al fatto che si organizzi. Anche in Michels l'organizzazione è una chiave fondamentale per capire il meccanismo di costituzione di un élite dominante, ma a differenza di Mosca, per Michels l'organizzazione non è il mezzo consapevolmente usato dalla classe politica per conquistare il potere, è piuttosto il contesto all'interno del quale, in modo spesso inconsapevole, si forma la leadership. Contesto all'interno del quale qualunque aggregazione, anche la più democratica nelle sue intenzioni, degenera in una minoranza dirigente e in una maggioranza diretta. Un'altra differenza: in Mosca la capacità organizzativa era inversamente proporzionale al numero degli organizzati (quanto più aumenta il numero tanto minore è la capacità di organizzarsi), per Michels è l'opposto, quanto maggiore è il numero di coloro che intendono autogovernarsi, tanto più rigida, complessa, articolata, deve essere l'organizzazione, quanto più 97/Sul concetto di politica cresce la massa dei partecipanti tanto più rigorosa deve essere l'organizzazione. 3) le radici culturali del suo sistema. Michels, più di ogni altro, mette insieme nella costruzione della sua sociologia del partito politico, concetti, elaborazioni scientifico-culturali del suo tempo. Assembla materiali appartenenti all'elaborazione delle nascenti scienze sociali e anche, in qualche modo, delle scienze naturali, in modo relativamente eclettico; lui stesso disegna uno schema delle sue radici culturali, individuando almeno tre filoni da cui trae il proprio materiale analitico: a) la psicologia individuale di derivazione darwiniana; Darwin svolge un ruolo decisivo nella cultura di fine ottocento, la sua teoria dell'evoluzione della specie, semplificata poi nella lotta per la vita (struggle for life), l'idea che le specie animali determinano la propria evoluzione attraverso un processo di selezione naturale basato sulla lotta per la sopravvivenza, all'interno della quale sopravvivono i migliori, quelli dotati delle capacità più adeguate a muoversi nell'ambiente, influenza moltissimo le nascenti scienze sociali ed ovviamente le teorie èlitiste (le élite sono appunto i migliori, coloro che, nella lotta per la sopravvivenza, emergono). Michels utilizza la teoria darwiniana nella costruzione dell'eziologia della leadership, sul versante della psicologia dei leader, per quanto riguarda l'individuazione delle capacità necessarie al leader (capacità naturali, come abilità, eloquenza). Queste abilità naturali, unite al dato naturale della brama di dominio, della volontà di potenza di origine Nietzchiana, 98/Sul concetto di politica determinano il profilo psicologico individuale della leadership secondo Michels. b) la teoria weberiana, in particolare la teoria della burocrazia, cioè l'idea che l'efficacia dell'agire sociale sia potenziata da processi organizzativi basati su professionalità, divisione del lavoro, competenza, costituisce addirittura l'asse centrale della eziologia della leadership di Michels. L'idea dell'impossibilità dell'autogoverno delle masse senza organizzazione, l'idea della necessità di una divisione del lavoro basata sulla specializzazione, l'idea che inevitabilmente, quanto più si fa complessa l'organizzazione, tanto più si formano leader di professione, tutto questo è parte della teoria weberiana. c) la psicologia delle masse di Le Bon, anche questo un best seller di fine secolo che influenzerà fino agli anni venti la riflessione sul rapporto tra politica e masse. Da questa Psicologie des foulles Michels trae l'idea della incompetenza delle masse, del loro spirito gregario, della loro tendenza alla venerazione dei leader ed anche il loro misoneismo (la paura del nuovo).