il pane ce l`abbiamo tutti. non manca mai?
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il pane ce l`abbiamo tutti. non manca mai?
1 IL PANE CE L'ABBIAMO TUTTI. NON MANCA MAI? di Maurizio de Giovanni Il vecchietto si aggira tra gli scaffali; a volte cammina spedito, a volte rallenta. Non ha il carrello: ha preso uno di quei cestini di plastica con la maniglia. La guardia lo segue sugli schermi dalla saletta di sorveglianza che passa da una telecamera all’altra. Detersivi. Prodotti per la casa. Spezie e sale. Iniziamo da una prospettiva letteraria ad affrontare il tema delle "nuove povertà", che occuperà la riflessione di PARADOX per il prossimo anno. Per gentile concessione dell'editore Einaudi pubblichiamo il capitolo XXII del nuovo libro "PANE per i bastardi di Pizzofalcone" di Maurizio de Giovanni (Einaudi, Stile libero Big, 2016, pag. 331). Il pane? Ancora il pane? Ma se siamo nella società del benessere, in cui al limite abbiamo carenza del superfluo, come possiamo ancora preoccuparci del pane? Scherzate, forse. I poveri, oggi, sono quelli che non hanno il telefonino di ultima generazione, credete a me. Sono quelli che saltano una rata della macchina, o che portano lo stesso soprabito dell’inverno precedente. Il piatto in tavola che importa? È roba di un’altra epoca. Come fosse una gioielleria, aveva pensato mentre lo istruivano al nuovo mestiere. Non sarà esagerato tutto questo per un supermercato? Un po’ brusco, il collega che andava in pensione, e che lui doveva sostituire, gli aveva spiegato che in un posto aperto ventiquattro ore su ventiquattro se ne vedevano di tutti i colori. E adesso, alle due del mattino, eccolo lì il pericolo, il crimine, il delitto per fronteggiare il quale era stato assunto: uno dell’età di suo nonno, se fosse ancora vivo, con un cappotto grigio nonostante sia giugno, che vaga nell’aria condizionata e nel deserto al neon con una canzone di Barry White come colonna sonora. Piccoli elettrodomestici; una sosta, un diversivo, nella zona dei televisori. Il cartellino dei prezzi. Uno sguardo attorno. Il primo. C’è ancora tempo. A volte ci mettono perfino mezz’ora. I surgelati. Oggi il problema non è il pane. Figuriamoci. N. 6 novembre - dicembre 2016 2 IL PANE CE L'ABBIAMO TUTTI. NON MANCA MAI? di Maurizio de Giovanni Il lungo banco refrigerato delle carni. Il ragazzo davanti agli schermi si fa attento. Il vecchio si ferma. I formaggi. Il grana, per la precisione. Prende un pezzo. Se lo rigira in mano. Lo alza verso la luce. Estrae gli occhiali, li inforca, legge. Un’espressione stupita; scuote il capo: che enormità. Si guarda di nuovo attorno, come cercando qualcuno con cui condividere l’indignazione. Ma a quell’ora i clienti sono pochi, e se ci sono vanno di fretta. Rimette il formaggio a posto. Il ragazzo si appunta mentalmente lo schermo, il numero sei. Sospira. Riprende il suo giro, il vecchio. Gli è rimasto il dolore in faccia, il disagio della sconfitta di fronte al desiderio. Dà un’occhiata alla rosticceria, agli affettati sottovuoto: costa tutto di più. Il ragazzo sa che tornerà allo schermo sei: prendono sempre quello che costa meno. Chissà perché? Forse stanno meglio con la coscienza; forse sperano di ricevere un perdono più facile, se vengano scoperti. Un pacco di pasta finisce nel cestino. Vedete? Qualcosa lo compro. Non sono uno di quei vecchi che viene qui dentro di notte perché non riesce a dormire. La pasta mi serve davvero. E due mele, scelte dalla cassetta col guanto di plastica, pesate ed etichettate. Gli trema la mano, si vede chiaramente. Il ragazzo spera che ci ripensi: assomiglia troppo al nonno. Lui voleva bene al nonno. Quando la mamma lo portava da lui era felice; aveva sempre una bella storia da raccontare. Due rosette adesso, di quelle vuote, di quelle che non sanno nemmeno di pane. Ora il cestino sembra pieno e colorato. Avete visto? Io sono uno che spende. Si avvia alla cassa. Vai, pensa il ragazzo. Ti basta, no? Un po’ di pomodoro sugli spaghetti e hai da pranzare. Vattene a casa, nonno. Ti prego. A metà strada il vecchio si ferma, come se avesse un dubbio. Eccoci, sospira il ragazzo. Torna indietro. Schermo nove, schermo otto. Uno sguardo attorno, un altro. Schermo sette. Schermo sei. Va diretto al pezzo di grana di prima, una fetta regolare. L’ha messa da una parte per ritrovarla più facilmente. Stavolta non perde tempo. Ecco a che cosa serve il cappotto, in giugno. Il ragazzo si alza. Prepara il sorriso, prepara la frase: scusi, dovrei controllare lo scontrino. Sa, la cassiera a volte si sbaglia, a quest’ora la stanchezza… Non ha dimenticato di passare qualcosa sul nastro? Lui lo fisserà smarrito, il cuore in gola che si sente anche da un metro, la bocca che articola un balbettio indistinto e poi: le bollette; proprio ieri la luce; sono solo; l’affitto; mio figlio non lo sento da mesi. Vi prego, non lo dite a nessuno. Sette euro e quaranta. Quattrocentottanta grammi. Lo sa quanto tempo è che non assaggio un pezzo di grana? Lo sa, quanto è? Che lavoro di merda, pensa il ragazzo avviandosi alle casse. Che lavoro di merda. E va bene, qualcuno che ha problemi magari c’è, non dico di no. Le tasse, la pensione insufficiente, la crisi economica mondiale. E il credito che non riparte e le imprese che non investono; mica lo voglio negare. Ma siamo seri, da mangiare c’è sempre. E il lavoro, volendo, si trova, basta accontentarsi un po’, che diavolo. Prima di fare certi passi bisogna pensarci bene, però. Creare una famiglia, per esempio. Io lo dico sempre: andateci con i piedi di piombo, oggi. Allevare un figlio costa, sapete. La luce blu della volante illumina una strada deserta. Il bello di andare in giro di notte, pensa il brigadiere, è che non si raduna una folla di nullafacenti ogni volta che arriva una macchina dei Carabinieri. N. 6 novembre - dicembre 2016 3 IL PANE CE L'ABBIAMO TUTTI. NON MANCA MAI? di Maurizio de Giovanni Il brutto è che ci si può trovare in mezzo a casini seri, o a situazioni ridicole. La gente della notte è diversa da quella del giorno, lo sanno tutti. Un intero turno in mezzo ai pazzi. E ai disperati. maschio e una femmina. Quanti anni? Diciassette? Diciotto? Diciannove lei, venti lui, dice il ragazzo. Di dove? Del quartiere? Sì. Proprio là, vedete? All’ultimo piano. Sotto il tetto. Ci sarà caldo, lassù, dice il brigadiere, come se stesse parlando delle vacanze. E pure freddo, dice la ragazza; poi guarda il compagno e abbassa gli occhi. Così fa, la ragazza, il brigadiere l’ha notato subito. Aspetta che parli il maschio, e se deve parlare lei sembra chiedergli il permesso. Si trattasse di una cosa seria sarebbe un’informazione utile, questa. Ma non è una cosa seria. La farmacia non è di quelle che hanno lo sportellino nella saracinesca e si deve bussare per prendere un antidolorifico col sovrapprezzo. Questa resta proprio aperta, con le luci fredde che invadono il marciapiede e un dottorino giovane dentro. Le casse che si chiudono automaticamente, poco contante, le telecamere e il pulsante dell’allarme collegato con la caserma. Una scelta commerciale. O forse sì. La notte è incomprensibile. La refurtiva la tengono in mano. Lei la tiene in mano, per l’esattezza. Non l’ha mollata un attimo. Una confezione da tre di omogeneizzati, mela e pera. Una busta di latte in polvere tirata fuori dalla scatola. Le dita bianche sono chiuse ad artiglio. Si mangia le unghie, pensa il brigadiere. Felice del suo lavoro, felice della recente promozione, felice della divisa e della pistola d’ordinanza. Deve imparare, per questo è con lui. Ma la notte, vorrebbe dirgli il brigadiere, non si impara mai. Hai voglia a studiarla, la notte; non potrai mai leggerla tutta, pagina per pagina, come hai fatto con il libro dei quiz e con i codici, per i test d’ingresso. Adesso l’appuntato sta sentendo il dottorino. Lui mi si è messo davanti e ha cominciato a chiedermi gli effetti collaterali di uno sciroppo per la tosse, lei gironzolava per gli scaffali, lui mi diceva che non ricordava il nome del farmaco, lei studiava le marche dei prodotti per bambini, lui si spostava piano per coprirla, io fingevo di guardare lui e invece guardavo lei. Che furbo. Il ragazzo muove gli occhi da lui all’appuntato al dottorino. E sempre più spesso guarda verso l’appartamento sotto il tetto. La ragazza mantiene lo sguardo a terra. Ha i capelli sporchi, pensa il brigadiere. Mia figlia ha la stessa età e non uscirebbe mai di casa con i capelli sporchi. E nemmeno con quei vestiti. La luce blu della volante sbatte negli occhi dei due ragazzi. Il brigadiere li osserva meglio mentre l’appuntato scrive le generalità. Un E allora, dice il dottorino all’appuntato, all’improvviso l’ho vista che infilava gli omogeneizzati nella tasca del soprabito: un E per questa scelta eccoci qua, pensa il brigadiere. A gestire un’altra follia della notte. L’appuntato è giovane e pieno di fuoco. N. 6 novembre - dicembre 2016 4 IL PANE CE L'ABBIAMO TUTTI. NON MANCA MAI? di Maurizio de Giovanni soprabito, con questo caldo… Ho premuto il pulsante e ho continuato a parlare con lui come se niente fosse. E nei tre minuti che ci avete messo quella che fa? Tira fuori piano piano una busta di latte dalla scatola, ce ne sono due in ogni confezione, e mette via anche quella. L’appuntato sorride. Che bella intesa i due giovani lupi della notte: il dottorino astuto che ha incastrato i pericolosi criminali e il carabiniere solerte che è arrivato in tre minuti. Non c’è spazio per il crimine, con questi supereroi in giro. All’improvviso il brigadiere dice al ragazzo: il bambino con chi sta, adesso? L’appuntato ferma il sorriso a metà e sbatte le palpebre. Il bambino? Quale bambino? Il farmacista pare offeso perché è stato interrotto nel suo racconto. La notte stupida avvolge la scena nel silenzio. Il bambino, ripete stanco il brigadiere. O pensi che se li mangiavano loro, gli omogeneizzati? Con nessuno, dice il ragazzo. Siamo solo io e lei. Piange. Ha fame. Lei latte non ne ha più. Ho il seno piccolo, mormora lei. Come scusandosi. Come se tutto quel casino fosse colpa sua. Spiegami un po’, dice il brigadiere. Lo dice a lui, perché è lui che parla. Un figlio fatto a scuola. Ma lei non era una che ci stava, ci tiene a precisare, noi uscivamo insieme. Le famiglie perbene, troppo perbene. Un incontro, due, le voci alte, le parolacce. Non vi rendete conto, vi rovinate la vita. Tutti in chiesa la domenica, tutti a votare per quelli che dicono no, e tutti d’accordo con l’aborto. Noi lo volevamo, invece, sussurra lei. Per questo l’ho nascosto fino a quando era troppo tardi. Solo che col liceo e basta non ti vuole nessuno, dice lui. Ho trovato in un call center: quattrocento euro al mese. E i vostri?, chiede il brigadiere. I due si guardano. Lei non risponde. Lui nemmeno. Il sottotetto ne costa duecento. La luce. Un giorno sì e uno no si può mangiare. Se ci fosse chi lo tiene, il bambino, il call center prenderebbe pure lei, ma nessuno lo tiene, se non paghi. Le nostre madri non ci vogliono più sentir nominare. Raccontano in giro che siamo andati a studiare in Spagna; lo ha saputo lei da un’amica. Il brigadiere vede la storia emergere dalla notte stupida, e pensa alla figlia che fa un esame sì e l’altro no, che vuole il biglietto del concerto dei Coldplay a Milano, che non esce senza le scarpe di quella tale marca. E pensa a se stesso, e a quanto gli piacerebbe un nipote. Si volta verso il farmacista: quant’è, dotto’? Ci metta pure altre due scatole di latte e tre confezioni di omogeneizzati. E i pannolini, per favore. Brigadie’, e i verbali? E la chiamata?, chiede l’appuntato, con la penna a mezz’asta e gli occhi spalancati. Facciamo che avete premuto il bottone per errore, dotto’. E facciamo che siamo passati e ci siamo salutati. Quanto vi devo, in tutto? Non mi venite a raccontare fesserie: oggi la fame non la soffre più nessuno. Il pane non manca mai. Ci sono gli evasori, piuttosto. Parliamo di questo, invece di fare tutto il solito, dannato piagnisteo sulla fame. In quanti prendono il sussidio, si mettono in coda al collocamento, vanno a manifestare sotto al Municipio e poi guadagnano i milioni lavorando a nero? Quanti idraulici conoscete che fanno la fattura? E antennisti? E fabbri? Non parliamo dei piccoli criminali impuniti: i parcheggiatori abusivi, gli ambulanti che ti perseguitano per strada quando vai di fretta. Risultano tutti senza reddito. Sono poveri, quelli? L’uomo è un codice verde. Se ne sta seduto in fondo alla sala, dove c’è il neon rotto che lampeggia. La notte è abbastanza tranquilla: una rissa; qualche piccolo problema postoperatorio. Un ragazzo che è caduto con lo scooter e forse ha un paio di costole rotte; N. 6 novembre - dicembre 2016 5 IL PANE CE L'ABBIAMO TUTTI. NON MANCA MAI? di Maurizio de Giovanni piange e si lamenta, esagera anche un po’, così magari il padre si preoccupa per lui e non si incazza per la moto distrutta. Carlo, l’infermiere, è esperto e scafato, gli piace pensare di essere una vecchia zoccola del pronto soccorso. Attribuisce i codici con un’occhiata, e la seconda occhiata, quella della valutazione più importante, la tiene per sé. Ci pensa un po’, e un altro po’. La notte è abbastanza tranquilla. Non una di quelle in cui la vita e la morte combattono un corpo a corpo, quando il sangue scorre a fiumi e si gioca sul filo dei secondi. Non una di quelle in cui rischi la pelle, perché i parenti di uno che ha un proiettile in petto ti dicono salvalo, se no muori pure tu appresso a lui. Non una di quelle notti. Si alza, esce dal gabbiotto e fa cinque metri. Di turno, al presidio, c’è una guardia che conosce bene, un’altra vecchia zoccola del pronto soccorso. Un altro che potrebbe raccontarne di storie, anche terribili. Si vedono con le mogli un paio di volte all’anno, la grigliata a pasquetta e il pranzo della befana, ma non parlano di lavoro. Il lavoro è una cosa seria e brutta, non se ne parla a tavola. Gigino sonnecchia, la giacca aperta sulla pancia prominente. L’infermiere sorride, si sta facendo vecchio, pensa. Gli tocca la spalla e l’altro sobbalza. Ah, sei tu, Carlu’. Che è successo, problemi? Subito sveglio, gli occhi negli occhi dell’amico a cercare nuvole di preoccupazione. Vecchie zoccole. Carlo gli racconta in due parole e se ne torna nel gabbiotto. Aspetta un minuto, poi vede arrivare Gigino col cappello e l’andatura tranquilla quanto la notte. Come se volesse solo dare un’occhiata in giro, per vedere se tutto è a posto. Le mani in tasca, la giacca sempre sbottonata sul ventre. Troppa birra, pensa Carlo. E sorride. Gigino va alla macchinetta del caffè; ne prende uno, zucchera, mescola. Il codice verde ogni tanto gli lancia un’occhiata; non ha paura, ma sta all’erta. Gigino finisce il caffè, butta il bicchiere nella spazzatura e si stiracchia. Poi si sofferma sul codice verde. Un’interpretazione da attore consumato, pensa Carlo. Vecchie zoccole. La guardia si avvicina all’uomo e gli si siede accanto, indicando la mano sinistra che quello tiene in grembo come un uccello morto, il polso stretto nella destra. L’infermiere non sente le voci, da dietro il vetro, ma potrebbe recitare le battute del dialogo a memoria. L’uomo parla. Gigino fa qualche domanda. L’uomo parla ancora. Gigino annuisce, a un certo punto gli dà perfino una pacca sulla gamba, pat pat, un po’ di fiducia. L’uomo continua a parlare. Carlo studia i particolari che lo hanno portato a capire. La barba di due giorni, forse tre. La cravatta allentata. La camicia bianca, di buona fattura ma sporca, una striscia nera sul colletto. L’impermeabile addosso, i pantaloni grigi sformati sulle ginocchia. Le scarpe di cuoio consumate. La fede al dito. Gigino aiuta l’uomo ad alzarsi e insieme si dirigono verso l’uscita. Da sopra la spalla del codice verde, la guardia scambia un’occhiata d’intesa con Carlo. Vecchie zoccole. Stanno fuori due minuti, forse tre. Poi Gigino riaccompagna l’uomo dentro e lo fa sedere al N. 6 novembre - dicembre 2016 6 IL PANE CE L'ABBIAMO TUTTI. NON MANCA MAI? di Maurizio de Giovanni posto di prima. Fa un cenno all’infermiere e se ne torna al presidio. La notte è tranquilla. Dopo un paio di minuti, visto che la dottoressa ancora non chiama il prossimo paziente, Carlo raggiunge Gigino. Il codice verde è un contabile, gli spiega l’amico. Milleduecento euro in busta paga. La moglie lo ha lasciato e lui se n’è dovuto andare di casa; hanno due figli e lei non lavora. Il giudice ha detto ottocento al mese. Non ha dove stare, dorme nella Punto rossa lì fuori; me l’ha fatta vedere. Tiene tutto là dentro: vestiti, sapone, perfino uno specchio. Va alla Caritas, ma l’ultima volta un collega che passava di là l’ha visto in fila e lui, per la vergogna, ha finto di essere un altro. Un sosia. Ha usato lo sportello della macchina. La mano sinistra, perché con la destra deve lavorare, scrive i numeri. Vorrebbe tre, quattro giorni, il tempo di rimettersi un po’: pranzo, cena, colazione e un bagno. Solo per rimettersi un po’. Carlo sospira; è il terzo quella settimana. E siamo solo a mercoledì. Gigino si stringe nelle spalle. È capitato in una notte tranquilla, poveretto. Magari, se c’era casino, già l’avevi sistemato in corsia. Carlo sospira, e dice: non più di tre giorni, però. Poi se arriva il primario e capisce tutto, chi lo sente? La dottoressa è guagliona e si fida, ma lui è una vecchia zoccola. Lo sai. Gigino sorride e si sistema meglio sulla sedia. Sì, ma ora fammi dormire, Carlu’. Fammi approfittare che la notte è tranquilla. Se parlate di fame, parlate di Africa o di India. Parlate del Medio Oriente, o del Sudamerica. Qui da noi la fame non c’è. Si piange e ci si lamenta per rinegoziare il mutuo, per non pagare un debito, per avere i soldi da giocarsi al Bingo, questa è la verità. No, no, qui da noi la fame non c’è. Qui da noi mancano tante cose, per carità, ma non il pane. Il pane ce l’abbiamo tutti, non manca mai. Il pane. N. 6 novembre - dicembre 2016