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NOTA A CONSIGLIO DI STATO - ADUNANZA PLENARIA,
ORDINANZA 14 luglio 2015, n. 7
A cura di MARCO PANATO
Due grandi temi al vaglio della Plenaria: la natura del decreto presidenziale decisorio dei ricorsi
straordinari al capo dello stato, prima e dopo la legge n. 69/2009 e problema della retroattività. Il
rapporto tra legge provvedimento e rimedi giustiziali alla luce dei principi CEDU e dubbi di
costituzionalità
Sommario: 1. Premessa; 2. Il (passato) contrasto giurisprudenziale sulla natura del ricorso
straordinario al capo dello stato; 3. L’intervento della legge 69/2009: giurisdizionalizzazione
“definitiva” del ricorso straordinario. Decorrenza e problema della retroattività; 4. La
portata applicativa dell’art. 50, comma 4, della legge n. 388 del 2000: può “travolgere” i
decreti presidenziali decisori pre novella del 2009?; 5. Conclusioni.
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1. Premessa
L’ordinanza in commento affronta temi particolarmente complessi oltre che di grande importanza
nell’attualità del processo amministrativo.
In primo luogo viene in luce l’annoso - anche se ormai risolto - dibattito sulla natura del ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica; ciò con particolare riferimento all’interrogativo se
trattasi di rimedio giurisdizionale o abbia, invece, natura di provvedimento amministrativo.
Riverbandosi, da questo, conseguenze sulla «forza» della decisione assunta in relazione alla tutela
dei singoli; ossia l’interrogativo principale è cosa accada in caso di intervento legislativo che
influisce sull’efficacia di provvedimenti amministrativi, con particolare riferimento all’evenienza
che questo possa (o meno) interessare anche i decreti del Presidente della Repubblica con cui
vengono decisi i ricorsi straordinari. In detto dibatitto è intervenuta la novella legislativa di cui alla
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l. 69/2009(1), che ha indubbiamente e nettamente inciso verso la completa giurisdizionalizzazione
del rimedio de quo.
Da qui il quesito posto dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato alla Plenaria con l’Ordinanza 4
novembre 2014 n. 5506: «[...] se anche i decreti decisorii di ricorsi straordinarii resi allorchè il
parere obbligatorio del Consiglio di Stato in sede consultiva non era ex lege vincolante (ed
ancorchè in concreto esso non sia stato disatteso dall’Autorità decidente) siano eseguibili con il
rimedio dell’ottemperanza ed integrino “giudicato” sin dal momento della loro emissione ovvero
se tale qualità sia da riconoscere esclusivamente ai decreti decisorii di ricorsi straordinarii che ( a
prescindere dall’epoca di proposizione dei ricorsi medesimi) siano stati resi allorchè il parere
obbligatorio del Consiglio di Stato in sede consultiva era stato licenziato in epoca successiva alla
entrata in vigore della legge n. 69/2009, (e quindi rivestiva portata vincolante)».
In aggiunta, l’altro grande tema affrontato dai giudici di Palazzo Spada interessa la portata
applicativa dell’art. 50 comma 4, della legge n. 388 del 2000 (c.d. Legge Finanziaria 2001) nel
punto in cui questa impone una nuova disciplina da applicarsi, per espressa statuizione, anche a
decisioni e provvedimenti giurisdizionali anteriori all’entrata in vigore della suddetta. Su questo si
innesta il dubbio di un possibile contrasto con quei principi della CEDU (in particolare agli artt. 6 e
13, come si vedrà meglio in seguito) che tutelano il carattere di definitività delle decisioni
giursidizionali e giustiziali, oltre al legittimo affidamento da queste ingenerato.
Occorre però, in via preliminare, inquadrare il rapporto (e le modalità) tra la legislazione nazionale
interna e la normativa CEDU. A riguardo, una prima questione da affrontare è se il contrasto tra
legislazione nazionale e CEDU possa trovare soluzione con la disapplicazione della prima da parte
del giudice; o se, invece, detto contrasto possa costituire motivo di rimessione al controllo
accentrato della Corte Costituzionale. Ebbene, i giudici amministrativi - a differenza di quelli
costituzionali - optano nettamente per quest’ultima soluzione, evidenziando anche nell’ordinanza in
commento che: «[...] La Corte delle Leggi ha chiarito, infatti, come solo le norme comunitarie
“debbano avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza
la necessità di leggi di ricezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni
Paese della Comunità, sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire
applicazione eguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari” (sentenze n. 183 del 1973 e n.
170 del 1984). Il fondamento costituzionale di tale efficacia diretta è stato individuato nell'art. 11
Cost., [...] Il riferito indirizzo giurisprudenziale non riguarda le norme CEDU, giacché si è escluso
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Legge 18 giugno 2009, n. 69, "Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in
materia di processo civile" (G.U. n. 140 del 19 giugno 2009 - S. O. n. 95).
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che possa e venire in considerazione l'art. 11 Cost., “non essendo individuabile, con riferimento
alle specifiche norme pattizie in esame, alcuna limitazione della sovranità nazionale” (sentenza n.
188 del 1980). La distinzione tra le norme CEDU e le norme comunitarie deve essere ribadita nel
presente giudizio in quanto le prime, pur assolvendo alla funzione primaria di tutela e di
valorizzazione dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone, sono pur sempre norme
internazionali pattizie, che vincolano lo Stato, ma non producono effetti diretti nell'ordinamento
interno, tali da affermare la competenza dei giudici nazionali a darvi applicazione nelle
controversie ad essi sottoposte, con connessa disapplicazione delle norme interne in eventuale
contrasto. [...]». E da questo discendono conseguenze in ordine alla valutazione della norma CEDU
quale parametro integrativo di costituzionalità (con rango, quindi, evidentemente subordinato) e
sulla rimessione alla Corte Costituzionale da parte del giudice(2).
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2. Il (passato) contrasto giurisprudenziale sulla natura del rimedio del ricorso straordinario al
capo dello stato
Preliminarmente, pur in breve, appare opportuno rammentare che la natura del rimedio del ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica, disciplinato dal d.P.R. n. 1199/1971, è stata
lungamente discussa. Con dottrina e giurisprudenza divise se detta natura fosse da rinvenire nel
genus degli atti amministrativi o se, invece, si caratterizzasse quale rimedio più propriamente
giurisdizionale; ciò tuttavia - fino alle modifiche legislative di cui si dirà a breve - con netta
prevalenza per la prima soluzione. Infatti, come ricordato anche dai giudici amministrativi
nell’ordinanza di rimessione in commento, la natura di atto amministrativo del decreto decisorio
reso su ricorso straordinario è stata più volte evidenziata anche dalla giurisprudenza
costituzionale(3), secondo cui il decreto emesso a seguito di ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica integrava per l’appunto un atto di natura amministrativa (e non giurisdizionale). Lo
stesso per la giurisprudenza di legittimità: tra le varie, si sottolineano la sentenza delle Sezioni unite
n. 15978 del 2001 ove i giudici escludono, ancora una volta, che i decreti presidenziali con cui
2
Sul tema cfr., ex pluribus, DONATI F., La CEDU nel sistema italiano delle fonti del diritto alla luce delle sentenze
della Corte costituzionale del 24 ottobre 2007, in Osservatorio sulle fonti,
http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenza/2007/0013_tega_not
a_348_349_2007.pdf ; RANDAZZO A, La CEDU. Nel sistema costituzionale italiano, Giuffrè, Milano, 2012; TEGA D.,
Le sentenze della Corte costituzionale nn.348 e 349 del 2007: la Cedu da fonte ordinaria a fonte “sub-costituzionale”
del diritto, in Forum di Quaderni Costituzionali,
http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenza/2007/0013_tega_not
a_348_349_2007.pdf .
3
Cfr. ex multis Corte Cost. n. 298 del 1986; Corte Cost. n. 282/2005 e Cass. sez. un. 17 gennaio 2005, n. 734 e Cass.,
sez. un., 18 dicembre 2001, n. 15978.
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vengono decisi i ricorsi straordinari abbiano natura giurisdizionale; più specificamente escludono
nettamente la loro assimilazione alle sentenze passate in giudicato(4).
Tutto ciò con indubbie conseguenze: da un lato sulla resistenza delle decisioni assunte nei decreti
presidenziali ad essere influenzata e modificate da leggi successive; come è noto infatti il principio
dell’immodificabilità del giudicato si applica solo a sentenze o comunque atti aventi valore
giurisdizionale, mentre invece gli atti aventi natura di provvedimento si denotano per la cedevolezza
di fronte a nuovi interventi normativi, che - tendenzialmente - possono influire sulla loro efficacia,
anche retroattivamente.
D’altro lato, inoltre, la natura del rimedio del ricorso straordinario ne interessa anche l’estensione e
la portata del rimedio: infatti è stato considerato quale procedimento avente natura sostanzialmente
amministrativa, la tendenza del giudice era di consentire di avvalersene anche per materie e diritti
normalmente sottratti al giudice amministrativo(5).
***
3. L’intervento della legge 69/2009: giurisdizionalizzazione “definitiva” del ricorso
straordinario. Decorrenza e problema della retroattività
In questa cornice si inseriscono diversi interventi del legislatore a partire dagli anni 2000. Il più
importante, relativamente al tema qui d’interesse, è quanto disposto con l’art. 69 della legge n. 69
del 2009(6) con:
- la previsione, al comma 1, della facoltà per il Consiglio di Stato, nel momento in cui è chiamato ad
esprimere il parere di competenza per la decisione, di sospenderne l’espressione ed attivare
l’incidente di costituzionalità;
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Efficacemente, i Giudici di Palazzo Spada nell’ordinanza di rimessione così sintetizzano la ratio dell’orientamento
richiamato: «[...] tra l’altro, tale conclusione era stata motivata con la considerazione per cui il procedimento
promosso con il ricorso straordinario ha per protagonista un'autorità amministrativa, che non è neppure vincolata in
modo assoluto dal parere espresso dal Consiglio di Stato, potendo anche risolvere la controversia secondo criteri
diversi da quelli risultanti dalla pura e semplice applicazione delle norme di diritto, così venendo a mancare i requisiti
indefettibili dei procedimenti giurisdizionali, cioè il loro celebrarsi dinanzi ad un giudice terzo e imparziale, oltre che
soggetto esclusivamente al diritto vigente -art. 111 Cost., comma 2, e art. 101 Cost., comma 2). [...]».
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Si pensi che, sino alle ultime modifiche legislative, per orientamento dominante della giurisprudenza amministrativa
(cfr, ex pluris, Cons. Stato, Ad. gen., 29 aprile 1971, n. 45) si consentiva l’utilizzo di detto rimedio non solo nelle
materie riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma anche oltre: ad esempio avverso gli atti
emessi dalla P.A. in ambito di rapporto di lavoro, pur privatistico, e comunque per atti e provvedimenti volti a tutelare
diritti soggettivi che rientrano nell’ambito giurisdizionale del giudice ordinario (sul punto, si veda la giurisprudenza
richiamata dall’ordinanza, tra cui Corte cost. Ord., 30-11-2007, n. 406).
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Cfr. in argomento PIGNATELLI N., Le nuove norme su procedimento e processo amministrativo. Commento alle novità
introdotte dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, in Rivista Neldiritto, Speciale; disponibile anche su https://www.giustiziaamministrativa.it/cdsintra/wcm/idc/groups/public/documents/document/mdax/nzez/~edisp/intra_064122.htm
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- la soppressione della possibilità che l’autorità amministrativa (rectius, il Ministero) possa
disattendere il parere espresso dal Consiglio di Stato e, previa approvazione del Consiglio dei
Ministeri, formulare una proposta di decreto presidenziale di decisione del ricorso di segno e
contenuto diverso da quanto prospettato nel parere.
Quest’ultima novella legislativa, pur di scarsa rilevanza dal punto di vista meramente pratico (si
noti che detta possibilità non è mai stata azionata), riveste però un’indubbia e notevole importanza
sulla natura stessa del rimedio, inserendosi così nel dibattito poc’anzi accennato.
Appare evidente, infatti, che si sia ormai codificato il venir meno di uno degli ultimi istituti di
quella che autorevole dottrina chiama giustizia ritenuta(7), in contraltare alla giustizia delegata:
ossia la prima esercitata direttamente da quello che in origine era il sovrano, oggi lo Stato; la
seconda “espressione” della concessione del potere al popolo e, di conseguenza, la creazione di un
sistema di giustizia devoluta ed al servizio della collettività.
Peraltro, appare opportuno accennare anche che in seguito il legislatore, specialmente con il codice
del processo amministrativo, ha ulteriormente confermato il carattere giurisdizionale oggi rivestito
dal ricorso straordinario(8).
Ed oggi infatti la giurisprudenza è netta ed uniforme nel riconoscere al decreto presidenziale che
decide il ricorso straordinario, emesso indefettibilmente su conforme parere del Consiglio di Stato,
la natura di decisione di giustizia e quindi la riconduzione nell’alveo giurisdizionale. In tal senso,
oggi, l’orientamento dominante della giurisprudenza, sia amministrativa(9) che costituzionale(10)
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Sul sistema e sulla storia della Giustizia Amministrativa la bibliografia è sterminata.In questa sede, ci si limita a
richiamare le voci di BENVENUTI F., Giustizia amministrativa (voce), in Enc. dir., vol XIX, Milano, 1970; GIANNINI
M.S., PIRAS A., voce Giurisdizione amministrativa, in Enc. dir., XIX, Milano, 1970.
8
Il riferimento, esplicitato anche dagli stessi giudici all’interno dell’ordinanza di rimessione, è al Codice del Processo
amministrativo (D.Lgs. n. 104/2010): si pensi all’art. 7 dove, nell’indicare l’ambito generale della giurisdizione
amministrativa «[...] si colloca anche la prescrizione specifica (al comma 8) secondo cui il ricorso straordinario è
ammissibile unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa e quindi nelle materie in cui il
giudice amministrativo ha giurisdizione. Sicchè la "giurisdizione" diventa generale presupposto di ammissibilità del
ricorso straordinario non diversamente che per il ricorso ordinario al giudice amministrativo.[...]».
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Cfr. Cons. St., Ad. pl., 5 giugno 2012 n. 18 e Cons. St., Ad. pl., 6 maggio 2013 n. 9 e 10: queste - in sostanza affermano e ribadiscono la natura sostanziale di decisione “di giustizia” dei decreti decisori e, di conseguenza, il
carattere giurisdizionale degli stessi.
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Cfr. Corte Cost., 2 aprile 2014 n. 73.
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che, ancora, di legittimità(11). Per completezza, tuttavia, è opportuno evidenziare anche recenti
pronunce in senso contrario(12).
Dalla (positiva) identificazione del principio appena evidenziato, tuttavia, deriva un altro ordine di
problemi: ossia la determinazione della portata applicativa e dell’estensione di detto principio; in
altri termini, se l’attribuzione del valore giurisdizionale ai decreti decisori dei ricorsi straordinari al
capo dello stato operi dall’entrata in vigore della legge n. 69/2009 in poi e solo per i nuovi decreti
oppure se, al contrario, gli effetti si riverberino anche sui decreti resi precedentemente, in epoca in
cui il parere del Consiglio di Stato non era vincolante.
A riguardo l’orientamento non è univoco: infatti, mentre la Cassazione ha avallato
un’interpretazione restrittiva, ritenendo insussistente un siffatto effetto retroattivo(13) e ponendo
quindi all’entrata in vigore della legge n. 69/2009 una precisa barriera temporale, il giudice
amministrativo invece, come ben evidenziato nell’ordinanza di rimessione, ha dato una lettura ed
una perimetrazione diversa alla questione(14), in particolare riconoscendo l’esperibilità
dell’ottemperanza anche per decreti decisori emessi prima dell’entrata in vigore della riforma del
2009.
11
Cfr., ex multis, Cass., Sez. un., 6 giugno 2013 n. 20569; Cass. 28 gennaio 2011 n. 2065; Cass., Sez. un. 14 maggio
2014 n. 10414.
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Di segno diametralmente opposto a quanto prospettato sinora è il parere reso dalla Prima Sezione del Consiglio di
Stato (Adunanza di Sezione del 2 luglio 2014 e del 16 luglio 2014, numero affare 01033/2014): in quest’occasione i
giudici negano recisamente l’avvenuta giurisdizionalizzazione del rimedio.
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Cfr. Cass., Sez. un., 06 settembre 2013 n. 20569 che, sul punto, rammenta: «[...] tale idoneità alla formazione del
giudicato da parte del decreto del Presidente della Repubblica, emesso all'esito del procedimento sul ricorso
giurisdizionale, va riconosciuta solo dal momento in cui tale procedimento ha assunto natura giurisdizionale. Infatti la
suddetta sentenza di queste S.U. n. 23464 del 19/12/2012 ha avuto cura da una parte di rilevare che tale funzione
giurisdizionale non si apparteneva ab origine al procedimento de quo, ma è stata determinata dal mutamento delle
quadro normativo intervenuto negli anni 2009-2010 (con la conseguenza che la sentenza non costituisce un overruling
interpretativo rispetto al precedente orientamento sia di questa Corte che della Corte Costituzionale) e dall'altra che
tale "mutazione" è fondata sulle nuove norme ordinarie. [...] ».
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A partire dall’Adunanza Plenaria n. 18/2012, ove il Consiglio di Stato ha ammesso l’esperibilità del rimedio
dell’ottemperanza in relazione ad un decreto decisorio antecedente la novella del 2009 (precedente peraltro confermato
dalla successiva Ad. Pl. n. 9/2013); di segno ancora diverso una recente decisione del Consiglio di Stato, sez. V, n.
2713/2014, ove sul punto i giudici sottolineano che “[...] le citate riforme hanno preso atto della loro già indiscussa
cogenza ed immodificabilità ed hanno aggiunto il rimedio del giudizio d’ottemperanza, «a prescindere dall'epoca di
proposizione» del ricorso straordinario (per tutte, Sez. Un., 28 gennaio 2011, n. 2065, § 2.14; Sez. Un., 7 febbraio
2011, nn. 2818, 2819, 2829, 2830 fino a 2939; Sez. Un., 10 marzo 2011, n. 5684; Sez. Un. 28 aprile 2011, n. 9447; Sez.
Un., 19 luglio 2011, n. 15765). [...]”. Creandosi così un contrasto interpreativo giurisprudenziale di non secondaria
importanza, di cui sia nel quesito posto dalla Quarta Sezione nel richiedere l’intervento della Plenaria sia in
quest’ultima si da ampia cognizione.
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L’Adunanza Plenaria oggi in commento, tuttavia, appare tranciante nel negare qualsiasi portata
retroattiva, affermando che: «[...] Le considerazioni svolte [...] sulla portata sostanziale delle
modifiche apportate alla disciplina dell’istituto, e sulla conseguente riconducibilità a dette novità
del superamento della connotazione amministrativa del rimedio, impediscono di ritenere che anche
alle decisioni rese in precedenza possa essere riconosciuta una valenza giurisdizionale e, quindi,
l’intangibilità propria della res iudicata. Si deve infatti convenire che non viene in rilievo una
revisione interpretativo di portata retroattiva, ma una riforma sostanziale ontologicamente
inidonea a incidere in senso modificativo sulla natura giuridica di decreti presidenziali adottati in
un contesto normativo in cui la decisione, pur esibendo nel suo nucleo essenziale la connotazione
di statuizione di carattere giustiziale, non poteva ancora considerarsi espressione di 'funzione
giurisdizionale' nel significato pregnante dell'art. 102 Cost., comma 1, e art. 103 Cost., comma 1.
A sostegno dell’assunto della portata non retroattiva della novella si pone, quindi, la decisiva
considerazione che la valenza sostanzialmente giurisdizionale del decisum è ora fondata sulla
riconduzione, già in astratto, della paternità esclusiva della decisione all’autorità giurisdizionale.
[...]». Del resto, come sottolineano gli stessi giudici nell’ordinanza in commento, nel sistema
previgente il potere del giudice amministrativo di decidere in ordine al ricorso straordinario non era
nè pieno nè esclusivo: quantomeno a livello ontologico, non si può non attribuire importanza e
rilevanza alla possibilità teorica di motivato dissenso dal parere e mutamento del contenuto del
decreto decisorio lasciata al “volere” del Ministro e della susseguente deliberazione del Consiglio
dei Ministri.
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4. La portata applicativa dell’art. 50, comma 4, della legge n. 388 del 2000: può “travolgere” i
decreti presidenziali decisori pre novella del 2009?
Ebbene, dopo aver chiarito i dubbi in ordine alla natura giurisdizionale del ricorso straordinario al
capo dello stato e, soprattutto, aver chiarito il criterio temporale fondamentale che fa da
“spartiacque” tra i decreti pre e post riforma del 2009, i giudici della Plenaria si son trovati, di
conseguenza, un’ulteriore problematica, dal grande impatto applicativo. In particolare, se si fosse
optato per una portata totalmente retroattiva della novella de quo, sarebbe venuta meno ogni
questione sulla costituzionalità (anche in relazione ai principi CEDU) di norme legislative in
rapporto al loro effetto sui decreti decisori: quest’ultimi infatti, acquisendo natura di giudicato
sostanziale, sarebbero stati ex se immuni da qualsiasi influenza normativa successiva. Alla luce,
invece, del mantenimento del carattere di provvedimento amministrativo dei decreti espressi
precedentemente alla legge n. 69/2009, viene a porsi il tema della possibile incostituzionalità
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dell’art. 50 comma 4 della legge 388/2000 ove questo, in materia di oneri dei personale statale,
prevede che «[...] perdono ogni efficacia i provvedimenti e le decisioni di autorità
giurisdizionali comunque adottati difformemente dalla predetta interpretazione dopo la data
suindicata. In ogni caso non sono dovuti e non possono essere eseguiti pagamenti sulla base dei
predetti decisioni o provvedimenti». È evidente che detta norma, anche per i modi e termini con cui
è formulata, ha effetto anche sui citati decreti ed anzi «[...] produce il travolgimento di una
decisione alternativa di giustizia che, pur non avendo carattere schiettamente giurisdizionale,
risolve in modo definitivo e inoppugnabile una controversia [...]»(15). E proprio in questo punto si
inserisce un possibile contrasto con le disposizioni CEDU: in tal modo, infatti, l’ordinamento
italiano non garantirebbe un’adeguata tutela ai caratteri di definitività ed irrevocabilità delle proprie
decisioni. Infatti, secondo quella che i giudici chiamano un’interpretazione “vivificata”, gli artt. 6 e
13 CEDU(16) prevederebbero oggi «[...] l’assoluta intangibilità anche delle decisioni
amministrative caratterizzate da una judicial review, come tali equated to a Court decision [...]».
Da ciò, i rilievi che la Plenaria pone alla base della sospensione del giudizio e della trasmissione
degli atti alla Corte Costituzionale. In particolare, l’appena citato contrasto con le norme CEDU
dell’articolo 50, comma 4, ultimi due periodi, della legge n. 388/2000, ossia la possibilità che detta
norma possa vanificare anche gli effetti di una decisione di giustizia che, anche se non pienamente
giurisdizionale(17), deve comunque garantire dei parametri minimi «[...] dal punto di vista
dell’effettività e della pienezza della tutela oltre che dell’intangibilità dell’affidamento ragionevole
e legittimo assicurato dall’esito del giudizio [...]»(18). I giudici infatti sul punto sottolineano proprio
15
Così, tranciante, il Collegio nell’Ad. Pl. in commento.
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Con particolare riferimento alla «[...] giurisprudenza della Corte di Giustizia UE che, a partire dal leading case di
cui al parere della sezione V, 16 ottobre 1997, in cause c-69/96 e 79/96, ha considerato il Consiglio di Stato che
esprime il parere in sede di ricorso straordinario una giurisdizione legittimata a sollevare questioni pregiudiziali di
carattere interpretativo ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE (art. 267 del Trattato per il funzionamento dell’Unione
Europea), mettendo l’accento, alla luce del principio generale del cd. “effetto utile”, sulla sussistenza di un organo
permanente con funzioni giustiziali, sulla funzione di risoluzione di controversie in via imparziale e indipendente
nonché sul carattere contenzioso della procedura e sulla definitività dell’esito della stessa. La giurisprudenza della
Corte di Strasburgo ha fornito, dal canto suo, un contributo decisivo alla piena equiparazione, sotto il profilo
dell’assimilazione dei livelli di tutele, tra decisioni giurisdizionali e amministrative, rimarcando, a più riprese, che, ai
sensi degli articoli 6 e 13 CEDU, le decisioni finali di giustizia, rese da un’Autorità che non fa parte dell’Ordine
Giudiziario, ma che siano equiparate dal punto di vista procedurale e dell’efficacia a una decisione giudiziaria, devono
essere passibili di attuazione coattiva in un sistema che prevede l’ esecuzione come seconda e indefettibile fase della
lite definita ( “The execution must be riguaded as an integral part of trial”). [...] In questo tessuto di garanzie, volto a
limitare l’emanazione di norme retroattive, risultano vietate norme retroattive sfavorevoli che estendano l’applicabilità
di una norma interpretativa a precedenti decisioni irrevocabili, ossia ad arret définitive et obligatoire (C.E.D.U., sez.
IV, Zielinski c. Francia, 28 ottobre 1989; sez. IV, 10 novembre 2004, Lizarraga c. Spagna che ha escluso che una legge
retroattiva possa incidere contra personam ed estinguere intangibile right). [...]».
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Come, per l’appunto, i decreti decisori precedenti alla novella del 2009.
Così i giudici nell’Ad. Pl. in commento.
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che «[...] sono di dubbia compatibilità con la giurisprudenza CEDU, in punto di garanzia della
piena tutela giurisdizionale e del giusto processo, le limitazioni legislative che pregiudicano
l'effettività di tale rimedio vanificandone gli esiti definitivi. [...]».
Peraltro, i giudici della Plenaria esprimono anche ulteriori dubbi di costituzionalità: ritengono infatti
che un potere «[...] atipico rispetto al novero dei poteri amministrativi tipizzati, diretto a incidere in
via retroattiva e in senso sfavorevole sulle posizioni consolidatesi per effetto di decisioni
irreversibili [...]» quale quello previsto nella citata norma, che consente per l’appunto di vanificare
decisioni ormai definitive, possa violare il principio di eguaglianza ed il canone di ragionevolezza
dell’azione amministrativa, contenuti rispettivamente agli articoli 3 e 97 della Costituzione. Il tutto,
peraltro, senza sufficiente nè idonea giustificazione per ragioni di interesse generale o per altra
adeguata motivazione.
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5. Conclusioni
L’ordinanza in commento, come si è visto, affronta temi di diversa natura, che talvolta si
intrecciano e tal altra si pongono su piani completamente differenti.
Di questi, senza dubbio emerge un chiaro ed organico quadro ricostruttivo sul ricorso straordinario
al Presidente della Repubblica, ed in particolare sulla sua natura ormai di rimedio sostanzialmente
giurisdizionale. Ciò soprattutto con il riferimento, pienamente condivisibile, agli interventi del
legislatore con l’art. 69 della l. n. 69/2009 e con il codice del processo amministrativo. In relazione
a questo punto, viene posta anche una netta distinzione tra i decreti decisori dei ricorsi straordinari
precedenti alla legge 69/2009 e quelli successivi, negandosi in particolare qualsiasi portata
retroattiva delle novelle di cui sopra. E quindi ritenendo di natura “ancora” amministrativa i decreti
presidenziali di definizione dei ricorsi straordinari emanati precedentemente, quando ancora era
comunque possibile che l’autorità amministrativa (nei modi e termini visti sopra) non si attenesse al
parere di competenza del Consiglio di Stato.
Inoltre - ed è qui che i giudici rinvengono gli estremi per il rinvio alla corte costituzionale - viene
messa in dubbio la legittimità costituzionale dell’art. 50 della c.d. Legge Finanziaria 2001 ove
questa, in due righe, imponeva la perdita di efficacia di provvedimenti e decisioni di autorità
giurisdizionali “comunque adottati”; ed anzi prevedendo l’ineseguibilità di pagamenti sulla base di
detti provvedimenti, ancorché definitivi. E questo, secondo i giudici dell’Adunanza Plenaria, pone
dei seri dubbi di compatibilità con i parametri costituzionali integrati dai principi CEDU. Dalla
decisione della Consulta si potrà quindi apprezzare se e in quale grado anche per decisioni che non
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rivestono pienamente carattere giurisdizionale, ma hanno comunque natura giustiziale ed importano
un legittimo e ragionevole affidamento, operi una forma di tutela e di protezione da un intervento
legislativo successivo. Ponendo così, probabilmente, un argine al rischio di abuso del potere
amministrativo all’interno delle leggi provvedimento. O, comunque, dettando quantomeno dei
parametri interpretativi all’interno dei quali si possa meglio orientare da un lato l’azione del
legislatore, dall’altro il vaglio giurisprudenziale.
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