raimondi i miti americani

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raimondi i miti americani
Silvia Raimondi
CLASSE V E
L.S.S. “C. CATTANEO”
A.S. 2002-2003
I B lu e J e a n s
Gli intramontabili Blue Jeans
Rappresentano una vera rivoluzione nella moda, iniziata dopo la seconda guerra mondiale. Per la
prima volta un capo di abbigliamento viene accettato da tutti: giovani, anziani, bambini, donne,
uomini, ricchi e poveri. In Europa i blue jeans giungono per la prima volta dopo il '45 portati dai
primi turisti americani, ma le loro origini si devono far risalire a circa un secolo prima quando Levi
Strauss, un emigrante bavarese, arrivò fra i cercatori d'oro americani a proporre un robusto tessuto
per tende.
L'indaco, l'intramontabile colorante blu, è il colorante più adatto per i blue-jeans, in quanto dopo
alcuni lavaggi conferisce a questi insostituibili pantaloni l'aspetto stinto e "vissuto" che sarebbe
difficilmente ottenibile con altri tipi di pigmenti. Da seimila anni è sulla cresta dell'onda: lo usavano
i faraoni, i popoli della Bibbia, gli antichi romani e oggi è presente in ogni guardaroba, soprattutto
se di un ragazzo o di una ragazza. La principale virtù dell'indaco è proprio nella sua scarsa
resistenza ai lavaggi, ed è dovuta alla sua natura molecolare: questo colorante, infatti, anziché
legarsi chimicamente alle fibre di cotone come fanno gli altri si limita a depositarsi fra le catene di
cellulosa che costituiscono le fibre, risultando così eliminabile in parte con lavaggi energici. Per il
resto, è eccezionalmente stabile nel tempo. L'indaco veniva estratto dalla leguminosa Indigofera
tinctoria. L'origine vegetale dell'indaco era tenuta segreta dai produttori e rimase un mistero per
l'Occidente sino a tempi recenti. Curiosamente, non ne conoscevano l'uso nella tintura dei tessuti,
perché non erano capaci di scioglierlo. Soltanto qualche secolo fa gli europei hanno imparato il
trattamento chimico che serve a sciogliere l'indaco per farlo penetrare nelle fibre. Verso la fine dei
Settecento, dal porto di Charleston nella Carolina dei Sud partivano ogni anno per l'Europa
cinquecento tonnellate di prodotto. E proprio in America l'indaco ebbe la sua giovinezza quando fu
adoperato per tingere quei pantaloni di tela grezza e resistente, buoni per operai e minatori, chiamati
jeans. La produzione di questi pantaloni fu standardizzata negli Stati Uniti nel 1850 da Oscar LeviStrauss, fondatore di quella che ancora oggi è la più rinomata industria di jeans.
Nel frattempo, in Germania, il chimico Adolf von Baeyer (premio Nobel nel 1905), riuscì prima a
dimostrare com'è fatta la molecola dell'indaco (1883) e poi a mettere a punto il primo procedimento
per la sua sintesi industriale, che divenne effettiva poco più di un secolo fa, nel 1897. Cominciò così
una durissima competizione per la conquista dei mercato. Gli inglesi difendevano i loro interessi nel
commercio dell'indaco vegetale, ma già nel 1913 le importazioni dei loro prodotto in Europa.
Nel frattempo le fabbriche tedesche furono sommerse di ordini. Nell'estate dei 1916 il sommergibile
Deutschland, compiendo un'impresa che fece molto scalpore, riuscì a sfuggire al blocco a cui era
sottoposta la Germania e arrivò nel porto di Baltimora: recava all'America, ancora neutrale nel
conflitto che da due anni infiammava l'Europa, medicinali e coloranti sintetici, fra cui l'indaco. A
quel tempo l'industria chimica nel nuovo mondo era pochissimo sviluppata. Ma nel giro di circa
vent'anni la situazione cambiò.
Nacquero negli Stati Uniti nuovi coloranti: in particolare, per le fibre di cotone, il blu indantrene
RS, che si dimostrò più resistente dell'indaco cominciando a scalfirne la popolarità. Il vecchio
colorante dei faraoni sembrava destinato a sparire per sempre ma poco dopo l'ultima guerra nacque
la moda dei jeans stinti e l'indaco tornò in auge. Tuttora è il colorante preferito per questi pantaloni,
grazie a un "trend" che non accenna a svanire.
Il modello originale di Levi Strauss si modificò nel tempo fino a quello conosciuto ai giorni nostri,
diventando negli anni '50 la divisa della "gioventù bruciata" con idoli come Elvis Presley e Marlon
Brando, negli anni '60 il simbolo della contestazione e negli anni'70 e'80 l'abbigliamento informale
adottato da tutti.
“Levi Strauss & Co.”
Il 1850 è un anno significativo per la storia americana, inizia infatti la corsa all'oro e migliaia di
uomini, cercatori d'oro, minatori e avventurieri d'ogni tipo si mettono in viaggio verso l'Ovest, verso
la California.
Tra essi si racconta ci fosse un giovane bavarese: Levi Strauss, un commerciante che porta con sé
grandi rotoli di tela pesante per confezionare tende e teloni per i carri. La leggenda racconta che ben
presto si rese conto della necessità dei cercatori di avere capi di abbigliamento più resistenti
all'usura ed ebbe l'idea di confezionare con quella tela un pantalone comodo e durevole. Cosi i
numerosi libri sulla casa produttrice Levi's narrano la nascita dei jeans. All'inizio essi portano il
nome di “pantaloons" o “waist High OveralIs» (tute fino alla cinta), fin da allora contrassegnati dal
numero di codice 501, che ancor oggi definisce il capo classico della produzione Levi's. Tali
pantaloni sono in tela marrone, senza tasche dietro, né passanti per la cintura. Hanno un tale
successo che alla rozza tela di canapa marrone, Levi's sostituisce a poco a poco un tessuto molto
resistente che il fratello gli spedisce da New York, il denim caratteristico blu indaco. Il nome dei
tessuto divenne denim (da Nimes), mentre la parola jeans invece deriva da Genova Genes in
francese, perché i marinai genovesi portavano pantaloni fatti con un tessuto simile chiamato genes,
diventato poi jeans in America.
I primi 501 sono rigidi e solo dopo alcuni lavaggi risultano più confortevoli. La tradizione, attestata
in questo caso da documenti, narra che nel 1860 Jacob Davi's, un sarto di Canon City, ha
l'intuizione di rinforzare i pantaloni con rivetti di rame nei punti dove il tessuto è soggetto a
maggiore sforzo.
Quest'idea viene approvata da Levi's e brevettata nel 1873. In questo momento Davis inizia a
lavorare presso la ditta produttrice a San Francisco, in una piccola fabbrica di circa sessanta operaie
che si occupano della produzione dei pezzo finito, rivetti compresi. Secondo Ed Cray, storico
ufficiale della casa, alla fine dell'anno erano state vendute 1800 dozzine di pezzi. Attorno a
quest'epoca Levi's introduce il primo marchio della storia dell'abbigliamento: le cuciture ad arco
sulle tasche posteriori che rappresentano le ali dell'aquila simbolo dell'America (marchio che verrà
depositato nel 1942).
La seconda grande avanzata della Levi's avviene durante gli anni Sessanta, soprattutto in Europa
dove si cominciano a esportare jeans su piccola scala.
In breve i distributori europei sono sommersi dalle richieste di jeans che per i giovani divengono a
poco a poco una divisa, un vero fenomeno di massa.
Da quel momento la Levi's differenzia sempre più la produzione creando jeans in velluto e tessuti
alternativi abbinati a camicie, felpe, magliette, giubbini e accessori di ogni tipo e qualità.
Questo processo evolutivo segna nel 1971. L'inizio degli anni Ottanta è caratterizzato da una
flessione della domanda dei jeans, che trova nuova linfa vitale con l'ingresso nel mercato degli
stilisti.
“Lee Mercantile Company”
Nato nel 1849 nello Stato dei Vermont, Henrv David Lee si stabilisce nel 1889 nel Kansas dove
crea la HD. Lee Mercantile Company. All'inizio della sua attività egli vende, tra altre cose,
pantaloni da lavoro, ma dal 1911 produce un suo abbigliamento in denim, fondando una fabbrica
che crea le cosiddette salopette in un unico pezzo, usate per lavorare poiché salvavano dalla
fuliggine, dalla polvere e dal grasso, per questo vengono adottate come uniformi da fatica
dall'esercito americano durante la prima guerra mondiale e vestono allevatori, fattori e contadini
molto a lungo. Il grande successo provoca un'ulteriore espansione dell'HD. Lee Mercantile
Company che ormai ha fabbriche e rivenditori a Kansas City nel Missouri, a Kansas Citv e Salma
nel Kansas e altri nell'indiana. Per assecondare la necessità dei cow-boys si creano jeans in denim
grossolano e pesante 13 once, rinforzati e con rivetti applicati in modo da non strappare selle e
mobili. Nascono così i famosi Lee Riders cui viene applicata nel 1926 la zip al posto dei bottoni.
Una gustosa storiella narra che le variazioni apportate ai Lee Riders negli anni Quaranta sono
dovute alla moglie di un campione di rodeo, Sally Rand, che usando pezzi di denim cuciti
direttamente addosso al marito crea il prototipo dei Lee Riders stretti e attillati. A questi "Lee cowboy pants" viene cambiata anche la forma dei cavallo che dal taglio a U passa a quello a V più
confortevole. Negli anni Trenta la toppa in pelle marchiata diviene marchio di fabbrica. Dal mercato
dell'abbigliamento dei quale la Lee è una delle più grandi rappresentanti statunitensi, nasce negli
anni cinquanta un nuovo mercato per il tempo libero per uomo, donna e bambino. Una moda che
propone pantaloni più stretti e ben tagliati, e per la Lee l'introduzione dei primi Slacks e dei
coordinati (camicie e shirts) divenendo un vero colosso che produce in 4 continenti e 140 paesi.
Durante gli anni Settanta all'Europa aggiunge nuovi collegamenti con la Spagna, il Brasile,
l'Australia e Hong Kong. Continua a produrre innovando le proprie collezioni con tecniche sempre
più sofisticate e allargando la produzione.
C o ca - C o l a
The story so far…
Tutto cominciò in un giorno di maggio dei 1886 dietro la casa di John S. Pemberton ad Atlanta in
Georgia. Pemberton era un farmacista che, come tanti allora, si faceva chiamare "dottore", anche se
non si è mai trovata traccia di una sua laurea in medicina. Per quattro anni Pemberton rimase nella
città natale di Columbus, ma nel 1869, il fervore della ricostruzione lo attrasse ad Atlanta. Qui
formò varie società, tra cui la più importante fu la Compagnia Pemberton, Iverson e Dennison. In
seguito fondò la Compagnia Pemberton Chemical. Fra le sue molte medicine vi erano l'estratto di
Styllinger (una medicina per il sangue), "Gingerine", "Globo di fiore dì sciroppo per la tosse"
tintura per capelli e "Triplex pillole" per il fegato. Era quello il periodo d'oro per le medicine
artigianali, tutto era lecito sul mercato libero se si riusciva a convincere la gente che il prodotto
curava l'insonnia, faceva crescere i capelli oppure guariva la stitichezza.
L'8 maggio 1886 Pemberton preparò lo sciroppo per un nuovo tonico in una caldaia di ottone. Dopo
quel sabato portò la sua brocca di sciroppo alla farmacia Jacob, uno dei più grandi drugstore di
Atlanta. Il bar dove si servivano bevande e gelati era gestito da Willis E. Venable.
Pemberton convinse Venable a mescolare un po' dello sciroppo con acqua e a provarlo. Al gestore
piacque e decise immediatamente di venderlo. Così quel giorno di maggio per la prima volta
qualcuno pagò un "nichel" (5 centesimi) per un bicchiere della preparazione di Pemberton. In un
paio di giorni fu scelto il nome di Elisir e sciroppo di Coca-Cola. Vari soci della Compagnia
Pemberton presero parte alla scelta del nome: Pemberton stesso, il suo socio Edward W. Holland,
David D. Doe e il segretario contabile della Compagnia, Frank M. Robinson. Proprio a quest'ultimo
venne l'idea di mettere insieme le parole "Coca" e "Cola” due degli ingredienti del tonico. Il 29
maggio 1886 il quotidiano "Atlanta Daily Journal" ebbe l'onore di pubblicare la prima inserzione
per la Coca-Cola. In meno di un mese dalla sua introduzione sul mercato più di una ditta già
vendeva la Coca-Cola. Certo non era come la conosciamo oggi, era piatta, liscia e non era frizzante.
Il cambiamento era avvenuto accidentalmente la mattina del 15 novembre 1886. Un gentiluomo
chiamato John G. Wilkes aveva alzato un po' il gomito la sera prima. Si era svegliato con un
terribile mai di testa, e aveva cercato sollievo in una farmacia vicina. Poiché la Coca Cola era stata
creata e pubblicizzata da Pemberton come cura per il mai di testa, Wilkes si era seduto al banco e
aveva richiesto a voce bassa un bicchiere di Coca-Cola. Il cameriere per sbaglio mescolò lo
sciroppo con acqua frizzante. La bevanda piacque a Wilkes e diede sollievo alle sue tempie
martellanti. Da allora divenne consuetudine mescolare lo sciroppo di Coca- Cola con acqua
frizzante. La Coca-Cola non ebbe un gran successo commerciale sotto la direzione di Pemberton.
Nel primo anno furono venduti solo 100 litri di sciroppo, sufficiente per 3200 bicchieri. Le vendite
fruttarono $50, ma ne erano stati spesi $73,96 per la pubblicità.
L'anno seguente le vendite aumentarono enormemente e raggiunsero più di quattromila litri.
Nonostante Pemberton fosse giustamente convinto di avere una carta vincente, stava male in salute
e non aveva il capitale necessario per promuovere il suo prodotto.
Nel luglio 1887 Pemberton offrì al suo amico, George S. Lowndes, due terzi dei diritti di proprietà
sulla formula per la Coca-Cola. Lowndes trovò l'offerta attraente, ma non era interessato
personalmente alla vendita dello sciroppo. Si rivolse ad un esperto di vendite, Willis Venable per
vedere se volesse entrare nell'affare. Venable accettò ma c'era un problema: egli non aveva i soldi
per la sua parte dell'acquisto; Lowndes si offrì di prestarglieli.
Venable cominciò a produrre la Coca-Cola nel tempo libero; George Lowndes non era contento del
risultato. Gli ordini si accumulavano perché Venable era troppo occupato per evaderli. Lowndes
comprò la parte di Venable il 14 dicembre 1887 e presto cedette due terzi della compagnia a
Woolfolk Walker e alla sorella, Mrs. M.C. Dozier. Walker chiese, in seguito, l'aiuto di due uomini.
Uno era Joseph Jacob, proprietario della farmacia Jacob dove si trovava ancora l'attrezzatura per
produrre lo sciroppo di Coca-Cola e l'altro era un farmacista di grande successo, Asa Griggs
Candler
I tre divennero soci di una nuova compagnia chiamata Walker Candler e Company. Il 14 aprile
1888 comprarono la terza parte rimasta a Pemberton per la somma di $550. A questo punto Walker
e sua sorella avevano due terzi della proprietà della Coca-Cola e Candler un terzo. Il 17 aprile
Candler comprò dai fratelli Walker un alto terzo divenendo il maggiore proprietario. Pemberton
mori quattro mesi dopo, il 16 agosto 1888.
Il 30 agosto 1888 Asa Candler comprò la proprietà di Woolfolk Walker e sua sorella per mille
dollari. Non c'è dubbio che la Coca-Cola non esisterebbe oggi se Asa Candler non vi fosse stato
coinvolto. Il vero genio di Candler era nel marketing, una capacità che ha cambiato questa medicina
artigianale da un semplice tonico in una bevanda che si mette automaticamente nella lista della
spesa.
Uno degli scopi di Pemberton nel creare la Coca-Cola tra quello di trovare una cura per il mai di
testa. Durante il primo decennio della sua esistenza la Coca- Cola era considerata una medicina.
Candler stesso l'ha pubblicizzata nel 1890 come “Il meraviglioso tonico per il cervello e per i nervi.
Notevole agente terapeutico”. Quella che Asa aveva in testa era una tattica promozionale classica.
Candler iniziò ad occuparsi della Coca-Cola soprattutto perché vedeva la possibilità di guadagno. Ci
era rimasto perché l'affare era diventato così vantaggioso che poteva pian piano lasciare tutto il
resto dei suoi affari farmaceutici. In ogni modo era stato inizialmente attratto dalla Coca-Cola
perché curava i suoi mai di testa. andler continuò a credere fortemente nelle proprietà medicinali
della sua bevanda per tutta la vita, anche se per varie ragioni, che includevano il Governo federale,
ne avrebbe cambiato la formula originale.
Frank M. Robinson, nel 1886, inventò il nome Coca-Cola perchè il tonico di Pemberton conteneva
estratti tanto della foglia di coca quanto della noce cola. La foglia di coca non ha nessuna relazione
e non dovrebbe essere confusa con i semi di cacao dai quali si derivano le bevande al cioccolato. Le
noci di kola, che sono in realtà semi di un albero africano invece che noci, contengono la sostanza
stimolante caffeina. Non c'è nessun dubbio che la caffeina fosse nella formula originale della CocaCola e che c'è ancora, con l'eccezione delle versioni senza caffeina, naturalmente. La domanda
numero uno è: "Erano de-cocainizzate le foglie di coca?" La risposta è sì ed è così da molti decenni.
Che cos'altro c'è nella Coca-Cola? Ebbene questo è un segreto, nascosto con più cura di alcuni
segreti dei Pentagono. Un mistero è nato nell'ultimo secolo circa la formula della Coca-Cola. Solo
relativamente alcune persone hanno avuto il permesso di partecipare alla preparazione della formula
della Coca-Cola e, di queste, quasi tutte conoscono gli ingredienti solo numericamente; tanto di
numero 4, tanto di numero 5 ecc. Non sanno cosa siano veramente queste sostanze, specialmente
l'ingrediente più segreto, il 7X.
La formula magica, gelosamente custodita com'è, ha aggiunto un'aura di mistero alla Coca-Cola per
molti anni. C'è stata molta speculazione circa i vari componenti, e i concorrenti hanno speso molto
tempo e denaro per cercare di riprodurla. L'originale, e ancora segreta, formula dovrebbe riposare
nel fondo di una cassetta di sicurezza nella Trust Company di Georgia ad Atlanta.
Come oggetto da collezione vale forse duemila dollari.
Lo sapevate che…
Il capo del Dipartimento di Ricerca Dentale dell'Università di Rochester, Dr William H. Bowen
sostiene che sia l'acido fosforico della Coca-Cola più che lo zucchero a creare problemi ai denti.
I pochi studi disponibili indicano, piuttosto sorprendentemente, che la Coca-Cola non provoca
carie, è piuttosto l’acido che corrode lo smalto dei dente, soprattutto se il consumatore è abituato
a sorseggiare la bibita facendola passare tra gli incisivi anteriori. Di conseguenza, Bowen
suggerisce di bere con una cannuccia facendo entrare la bibita direttamente in fondo alla bocca.
Il semplice sciroppo di Coca-Cola veniva venduto come medicinale nelle drogherie in tutta
l’America. Oggi può ancora essere acquistato in alcune farmacie di Atlanta al prezzo di 1
dollaro per oncia.
Negli anni sessanta i Beatles accettarono di diventare testimonials della Coca-Cola, si giunse
quasi a firmare un con tratto per fargli cantare le pubblicità della Coca-Cola, ma il prezzo
richiesto sembrò troppo alto e Woodruff (l'allora presidente della 'The Coca-Cola Company')
mandò tutto a monte.
Ricordate lo spot Coca-Cola in cui un gruppo di persone con cantava: "Vorrei cantare
insieme a voi in magica armonia... “? Nel 1971, sulla sommità di una collina in Italia, la CocaCola riunì circa 200 giovani adulti dalla faccia pulita provenienti da ogni parte del mondo,
opportunamente vestiti con i loro costumi nazionali. Rimanendo in fila a formare una piramide
rovesciata e stringendo una bottiglia di Coke, guardavano dritti davanti a sé mentre cantavano.
"Vorrei cantare insieme a voi in magica armonia", continuava la dolce voce. «Mi piacerebbe
comprare al mondo una Coke e tenergli compagnia...”. Inaugurata nel luglio 1971 la pubblicità
fece subito scalpore. Nessuno considerò assurdo che una bevanda diventasse qualcosa che
poteva salvare il mondo, che i versi lasciassero fluire lentamente un sentimento stereotipato, o
che i giovani muovessero solo le labbra sulla voce dei New Seekers (Nella versione americana),
un gruppo pop.Il disco I'd like to teach the world to sing" raggiunse l'apice delle classifiche;
all'inizio del 1972 ne erano già state vendute più di un milione di copie.
Curiosità
Mark Pendergast durante la lavorazione del suo libro ''For God, Country and Coca-Cola. The
Unauthorized History of the Great American Soft Drink and the Company that Makes it” si inbattè
in quella che sembrava essere una ricetta della Coca-Cola, che non riportava alcun titolo tranne una
X in cima alla pagina. La sezione denominata "aroma" corrisponde ovviamente alla parte di formula
"7X" anche se gli ingredienti sono soltanto sei (a meno che non si tenga conto anche dell'alcool):
Forse più avanti fu aggiunta la vaniglia come settimo componente. "E.f. di coco" significa estratto
fluido di coca, ma le noci di cola non vengono nominate; appare soltanto il citrato di caffeina.
Pendergast chiese a un portavoce della compagnia cosa sarebbe accaduto se se avesse pubblicato
nel suo libro la formula originale con precise indicazioni. Egli fece un largo sorriso. ''Mark'' disse
"diciamo che questo è il tuo giorno fortunato. Ho una copia di quella formula proprio qui nella mia
scrivania”. Aprì il cassetto e gli porse il documento. "Ecco qua. Cosa hai intenzione di farne?"
"Beh, la metterei nel mio libro". “E poi?" "Qualcuno potrebbe decidere di mettersi in affari in
concorrenza con la The Coca-Cola Company” “E come chiamerebbero il loro prodotto?" "Non
potrebbero chiamarlo Coca-Cola, perché li citereste in giudizio, diciamo che lo potrebbero chiamare
Yum-Yum e potrebbero insinuare, senza correre il pericolo di un processo, che la Yum-Yum è la
vera formula originale della Coca-Cola". "Bene. E allora? Quanto la farebbero pagare? Come la
distribuirebbero? Come la pubblicizzerebbero? Capisci cosa intendo dire? Abbiamo impiegato più
di cento anni e speso quantità di denaro per costruire il capitale di questo marchio. Senza le nostre
economie di scala e il nostro fantastico sistema di marketing chiunque cercasse di riprodurre il
nostro prodotto non avrebbe possibilità e dovrebbe stabilire prezzi troppo alti. Perché qualcuno
dovrebbe cambiare e comperare la Yum-Yum che è proprio uguale alla Coca-Cola, ma costa di più,
quando è possibile procurarsela in ogni parte del mondo?" Pendergast non riuscì a pensare ad
alcuna risposta.
RO CK ’N ’RO L L
Cenni storici di miti rock
Il rock'n’roll, diversamente da tutti gli altri movimenti, ha una precisa data dì nascita: 12 aprile
1954. Quel giorno, infatti, Bili Haley e il suo gruppo (The Comets) registrano una canzone,
strutturata come un blues ma eseguita più velocemente. Titolo: "Rock around the clock". E' il big
bang; favorito dal suo inserimento nella colonna sonora del film "Il seme della violenza" (1955), il
brano fa il giro del mondo e si guadagna fama imperitura. Sulla scia del successo di Bili Haley
emergono - veloci come funghi dopo un temporale - gruppi e solisti che scriveranno pagine
fondamentali nella storia della musica leggera: Little Richards, Bo Diddley, Chuck Berry, Gene
Vincent, Jerry Lee Lewis e altri ancora. Cominciano, per le famiglie americane, giorni movimentati:
padri e madri di tutti gli States devono far fronte alle turbolenze dei loro figli adolescenti, le cui in
evitabili tempeste ormonali subiscono - ad opera della frenesia del rock'n'roll - una considerevole
amplificazione.
IL "PREOCCUPANTE" PRESLEY
Le tradizionali feste di fine anno scolastico diventano sempre più "divertenti", e le preoccupazioni
dei genitori crescono insieme al divertimento. i contrasti familiari sono all'ordine del giorno: non è
facile mettere d'accordo un papà infastidito dal tambureggiare dei signori di cui sopra e un figlio
che glieli propina da mattina a sera. Il peggio si teme quando Elvis Presley fa la sua comparsa
alI`Ed Sullivan show", trasmissione televisiva seguitissima negli Stati Uniti. Quella sera, attraverso
le telecamere della Nbc, la trasgressione entra nelle case di mezza America. Elvis non risparmia
roteate di bacino, guadagnandosi l'appellativo di "the Pelvis" e scatenando un uragano nei desideri
sessuali di chi ha un'età compresa tra i quindici e i vent'anni. Il messaggio viaggia diretto come un
treno, sulle note di "Heartbreak hotel", e si traduce in un esplicito invito a lasciarsi andare. Si tratta,
però, di un fuoco di paglia; nonostante l'indiscusso carisma di Elvis - vero e proprio leader dei
giovani - bisognerà attendere ancora qualche anno per assistere all'esplosione di quella
contestazione che, intrecciando elementi politici e sociali, stravolgerà la quotidianità delle famiglie,
al di là e al di qua dell'Atlantico.
CAMBIO DELLA GUARDIA
Mentre gli Stati Uniti sono intenti ad arginare quel fiume in piena che va sotto il nome di
Rock'n'roll, in Italia si pensa soprattutto a uscire dalla profonda crisi economica ereditata dalla
Seconda Guerra Mondiale. Alfieri della canzone sono Claudio Villa, Nunzio Gallo, Gino Latilla,
Achille Togliani; tutti devoti sudditi della regina Nilla Pizzi. La musica leggera fa sognare, e non
passa per la testa di alcuno - cantante, discografico e tantomeno ascoltatore - l'idea di seguire
l'esempio che viene dagli States. Ma l'ondata americana è irresistibile e in qualche anno riesce a
percorrere l'oceano per arrivare a bagnare le coste del Bel Paese. Elvis fa proseliti tra le nuove leve:
Little Tony, Bobby Solo e - meno sfacciatamente - Adriano Celentano rappresentano la versione
"all'amatriciana" del Re del Rock. Ma quando costoro cominciano a scalare le hit parade italiane, in
America Elvis consegna virtualmente lo scettro nelle mani di un tale Robert Zimmermann, che
conoscerà fama mondiale col nome di Bob Dylan.
DYLAN:IL MENESTRELLO DELLA PACE
E' il 1962, e l'ex sovrano Presley affianca alla produzione discografica quella cinematografica,
recitando in filmettini i quali - per quanto kitsch - riscuotono un discreto successo. Il vento, però, sta
cambiando: meglio, "The times they are A-changin”, come canta in quegli anni il menestrello Dylan
il quale, per attirare a sè milioni di giovani, si serve di una chitarra e di un'armonica. Corre l'anno
1962, come abbiamo detto, e Dylan unisce la tradizione dei folk singer (suo nume tutelare rimarrà
sempre il più noto tra essi, Woody Guthrie) alla protesta sociale degli scrittori beat. Si fa, quindi,
cantore di una realtà che sfiora la Terza Guerra Mondiale a causa delle frizioni tra Usa e Urss sulla
questione dei missili nucleari sovietici installati a Cuba. Nasce cosi una canzone che diverrà l'inno
pacifista per antonomasia: "Blowin' in the wind". Il vento pacifista soffia come fosse un ciclone:
due anni più tardi, nella calda e sempre assolata California, si assiste alla prima contestazione
studentesca della storia. All'università di Berkeley, in quel di San Francisco, uno studente di origini
italiane - Mario Savio - tiene a battesimo il "movimento degli studenti”. E' il 14 settembre 1964
data significativa poichè segna anche - nell'opinione di molti - la nascita del rock. A differenza di
suo papà rock'n'roll, interprete di un cambiamento circoscritto all'ambito musicale e sociale, il rock
è sfacciatamente politico. Non solo la crisi cubana e la rivolta studentesca possono considerarsi il
motore della protesta.
IL MEGAFONO DI UNA GENERAZIONE
Ad essi vanno aggiunti la lotta per i diritti civili dei neri e di altre minoranze. il rifiuto della guerra
del Vietnam (cominciata due anni prima) e, non ultimo, il colossale choc provocato dall'assassinio
del presidente Kennedy a Dallas (22 novembre 1963). L'America è come bruscamente svegliata da
un sogno bellissimo, quello di una "nuova frontiera" di pace e serenità. 1 giovani, nella loro
ingenuità, fiutano un futuro di incertezze e cercano nella protesta collettiva una via che porti ad un
mondo migliore. Il rock diventa quindi il megafono di una generazione idealista e confusa, che si
identificherà totalmente nelle parole e nella musica di artisti quali Crosby, Stills, Nash & Young,
Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin, "eroi maledetti” ma anche splendidi interpreti di canzoni
che hanno fatto la storia della musica leggera.
QUELL’ANNO FATIDICO
Il rifiuto della società che gli hippie chiamano consumistica, e il ritiro in una vita agreste e
semplice, in un socialismo primitivo dove non esiste proprietà privata, fanno da sfondo alla
deflagrazione del rock. E’ il 1967, un anno fatidico, per la storia del rock. E' quello della "summer
love" proclamata dal movimento hippie e, al contempo, dell'uscita del disco che cambierà il modo
di fare musica pop: "Sg.t Pepper's lonely hearts club band" dei favolosi Beatles. I quattro di
Liverpool, sino ad ora trascurati dal nostro racconto, formavano - insieme ai rivali Rolling Stones un "movimento trasversale” che univa i giovani di tutto il mondo indipendentemente
dall'appartenenza ad un gruppo specifico. Anche in Italia dove gli anni precedenti il '68 videro
l'affermarsi di personaggi quali Gianni Morandi, Gini Paoli o Mina - i "Fab Four" riscuotono un
buon successo, anche se non paragonabile all'isteria collettiva che colpisce migliaia di giovani
britannici e americani. La loro musica, d'altronde, è semplice e orecchiabile; le loro canzoni sono
come un dolce casereccio ma buonissimo: pochi accordi ne costituiscono gli ingredienti, eppure la
combinazione è fenomenale.
I BEATLES IN ORBITA
"Yesterday" "Michelle" e almeno altri venti brani, detengono il primato di più eseguiti nel mondo.
ll'67, dicevamo, e per i Beatles unanno fondamentale. Reduci da un'esperienza di qualche settimana
in India nella comunità capeggiata dal santone Marahishi Mahesh, i cui insegnamenti erano tenuti in
grande considerazione da George Harrison, una volta rientrati in studio di registrazione scaricano
sulle bobine una musica nuova, nella quale parole e note si fondono alla perfezione in un prodotto
che - perfettamente in sintonia con la cultura hippie - si adatta a meraviglia alla logica di mercato,
vendendo milioni di copie su tutto il pianeta. Per la prima volta nella storia del rock un disco reca
pubblicati i testi delle canzoni, e che testi: si parla di viaggi lisergici (Lucy in the sky with
diamonds), di miti collettivi e del valore dell'amicizia (With a little help from my friends), di sogni
pacifisti (A day in the life). Praticamente la summa del pensiero hippie, però divulgata dal gruppo
rock più famoso sulla faccia della terra. In quel momento, la maggioranza dei giovani del pianeta si
sente parte della grande famiglia dei "figli dei fiori”. Mentre gli Usa, e in parte l'Inghilterra, devono
vedersela con un movimento giovanile determinato a realizzare l'utopia della società ideale, nel
nostro Paese si pensa ancora ad ascoltare musica per puro divertimento. L'impatto con il ciclone
Beatles sortisce l'effetto di un temporale estivo. Ai tre concerti che il gruppo tiene in Italia nel 1965
- complici i prezzi troppo elevati, corrispondenti a circa 100. 000 lire attuali - partecipano poco più
di trentamila persone. Il loro ultimo concerto (29 agosto 1966, Shea stadium di San Francisco) fu
visto da 65.000 ragazzi. La ragione di questo fenomeno è molto semplice: pochi, in Italia,
conoscevano l’inglese, e non avevano molta voglia di cantare canzoni delle quali non
comprendevano il significato. Ecco perché privilegiati furono i cantanti nostrani.
IL SESSANTOTTO NEGLI USA
Gli Stati uniti, diversamente dall'Italia, sono alle prese con una guerra che sta falcidiando una
generazione. La gioventù americana è divisa in due grandi blocchi: c'è chi decide di rischiare la vita
in Vietnam e chi - renitente alla leva - preferisce rimanere in patria a protestare per l'ingrata sorte
che è toccata al suo coetaneo militare. Il movimento pacifista, quindi, occupa il centro del proscenio
politico statunitense. Il gran bisogno di pace è anche dettato dalla confusione nella quale il paese è
precipitato dopo gli assassinii di Bob Kennedy e Martin Luther King, guide spirituali per tutti
coloro che sognavano un mondo meno crudele. Tuttavia, nonostante Nixon proceda al graduale
ritiro delle truppe americane dal Vietnam. le proteste pacifiste sono all'ordine del giorno. E' il
momento in cui il rock, più che mai, si fa politico: la chitarra elettrica si trasforma in un mitra, e
scarica gragnuole di note che mirano alla destabilizzazione dell'ordine costituito. Non è un processo
ben definito, in America. A differenza dell'Europa, e in particolare dell'Italia, non c'è da parte dei
giovani - come vedremo - un ancoraggio esplicito al Partito comunista. Non solo perché questi là
non esiste, ma perché nelle vene dei ragazzi americani scorre un sangue diverso rispetto a quello dei
loro omologhi europei. Il retroterra culturale della "rivoluzione sociale" americana sta nel rock'n'roll
e nel suo profeta: Elvis Presley. La massa - al tempo - era tutta con lui. Solo pochi eletti, invece, si
dilettano con la lettura di Kerouack, di Ginsberg e dei Beatnik. Non è sbagliato affermare che nonostante l'eco mondiale di Dylan - il germe del rock'n'roll aveva attecchito, nelle orecchie e nei
costumi dei ragazzi americani, più della musica folk e di quel tipo di jazz, il be-bop, che
costituivano la musica quotidiana della "minoranza eletta". Phil Ochs, che negli anni '70 perpetuerà
la tradizione della canzone folk di protesta continuando un'opera cominciata trent'anni prima da
Woody Guthrie, arriva ad affermare - con ragione - che "se esiste in America una speranza di
rivoluzione, consiste nel riuscire a trasformare Elvis Presley in Che Guevara". Con una frase, Ochs
è riuscito a inquadrare l'animus contestatore dei giovani americani. Un animus, comunque,
estremamente eclettico, in grado di recepire tutti gli scampoli di novità che venivano proposti da chi
faceva musica allora. Tra questi, due soggetti riscossero un enorme successo: Jim Morrison e Jimi
Hendrix. Figlio di un militare di carriera che nel fatidico'68 guadagnò i galloni di ammiraglio,
appartenente a quella middle classe tanto vituperata dai giovani, Morrison offre di sé una doppia
lettura: c'è chi lo vede come la "coscienza critica" di quella classe sociale, una sorta di "redentore
dall'interno" dei peccati da essa commessi, e chi lo considera il classico figlio di papà che - mai a
secco di dollari in tasca - può permettersi di "giocare alla contestazione".
L'ESPLOSIVO "RE LUCERTOLA"
In realtà, il "Re lucertola" (soprannome nato dall'abitudine di indossare, pressoché sempre pantaloni di pelle nera) era consapevole dei suo essere artista, dell'essere un poeta i cui versi erano
sorretti dalla musica dei suoi tre amici, con i quali aveva fondato il gruppo dei Doors. Il nome è un
esplicito omaggio allo scrittore Aldous Huxley e alle sue "porte della percezione". E la percezione
di un mondo nuovo fu il traguardo che si ponevano le canzoni di Jim nelle quali, però, l'imperativo
non era la ricerca di una pace universale, bensì il superamento dei vecchi tabù. L'esordio dei Doors
su un palcoscenico è a dir poco tempestoso: nel bel mezzo di "The End", canzone simbolo tra quelle
del gruppo, il nostro si produce in un recitativo, scandito dal ripetitivo incedere dell'organo
elettronico, che poi esplode in due versi inquietanti anche ai nostri giorni: "Padre, voglio ucciderti /
madre, voglio fotterti tutta notte". Si capisce, sin dalle prime battute, che la carriera di Morrison non
ripercorrerà le orme battute da altri suoi colleghi i quali, pur cavalcando la tigre, sapranno - a un
certo punto - mettere la testa a partito e godersi le tonnellate di dollari che riposano nei forzieri delle
loro banche di fiducia. La vita del "Re lucertola", invece, sarà costellata di eccessi: alcool, droga,
esperienze di satanismo, denunce per atti osceni in luogo pubblico. Un eroe maledetto in piena
regola, ma con una cultura alle spalle comunque ben definita. Legge Nietzsche, e ne incarna
perfettamente l'ideale di "uomo che non è più artista ma diviene opera d'arte". Più di tutti gli altri,
infatti, Morrison vive la vita che scrive nelle sue canzoni. li suo motto è: "meglio bruciare in una
volta sola che spegnersi lentamente". La sua candela si spegne nel 1971, a Parigi, a ventisette anni.
Le sue spoglie, tumulate al Père Lachaise, sono ancora oggi le più venerate di quel cimitero.
IL SUONO DI HENDRIX: UNICO
Veniamo a Jimi Hendrix. Quello che ha fatto Morrison con le parole, Jimi fa con la musica. In
particolare con la sua chitarra elettrica, quella Fender Stratocaster che, nell'immaginario di ogni
chitarrista rock, è un'icona da venerare ogni giorno. In effetti. Hendrix inventa un nuovo modo di
suonare: autodidatta. unisce un innato talento tecnico alla capacità di saper andare oltre i limiti sino
ad allora consentiti dalla tecnologia. Hendrix lavora come un jazzista: ricerca un suono che sia il
suo, tale da permettere all'ascoltatore di riconoscerlo sin dalle prime battute. E vi riesce, al punto da
creare suoni che, molti anni più tardi, sono stati immagazzinati e riprodotti in quelle scatolette a
pedale che i musicisti di oggi adoperano per imprimere un effetto particolare alla propria chitarra. A
tale genialità, come per Morrison, corrisponde tanta sregolatezza. Anche Hendrix, infatti, non
lesinerà alla sua vita eccessi e sregolatezze, e anche lui morirà anzitempo, in una camera d'albergo
londinese, nel 1970, soffocato dal suo vomito in seguito ad un overdose. L'anno prima, Hendrix era
stato il grande protagonista dei festival di Woodstock, mega raduno al quale parteciparono 500.000
ragazzi. Teatro di quel concerto di tre giorni - 15, 16, 17 agosto - è la fattoria di Max Yasgur.
Durante quelle settantadue ore di musica e amore. si alternano sul palco i più grandi nomi del rock
di allora: The Band (il gruppo che accompagnava Dylan), gli Who, Crosby, Still & Nash, Santana,
Joe Cocker. Ma il simbolo del concerto più famoso della storia del rock è Jimì Hendrix: all'alba
dell'ultimo giorno, chiudendo la rassegna, Jimi estrae dalla sua chitarra la versione più malinconica
- e al contempo dissacratoria - di "Star Spangled Banner" l'inno degli Stati Uniti. La sua tirando le
corde e dando fondo a tutta la drammaticità del suono, che si trasforma quasi in un lungo lamento.
Ad ascoltarlo c'è, forse, un decimo degli spettatori complessivi che hanno affollato Woodstock in
quei giorni. Tutto intorno è una landa desolata, resa fangosa dal temporale che si è abbattuto nella
zona qualche ora prima. Una fotografia che è diventata un simbolo, quella della fine dei sogni e
dell'inizio della realtà: la realtà di un'America difficile e controversa.
L’ORA DELL’ULTIMO VALZER
I primi anni Ottanta saranno caratterizzati da un vuoto musicale italiano che spianerà la strada
all'invasione del pop inglese e americano. Forse l'unico che partorì in quegli anni un capolavoro
assoluto è De Gregori, con la bellissima "Donna cannone". Ma le note inglesi e a stelle e strisce ci
invaderanno. E a proposito di America, là, nel '78, c'è ancora qualcosa per cui vale la pena di
combattere: quell'anno, infatti, si verifica l'incidente nucleare di Three Miles Island che porta alla
ribalta il problema legato a quella nuova forma di energia. In segno di protesta, un gruppo di
cantanti americani organizza un concerto a New York, conosciuto con il nome di "No Nukes". Vero
mattatore della serata è Bruce Sprigsteen, nuovo idolo rock americano, considerato - non a torto l'erede dello scettro di Elvis e di Dylan. Springsteen canta la vita di provincia già nel '7 5, quando da
noi imperversa la protesta studentesca e operaia. Egli sa che in America, invece, l'unica voglia è di
raggiungere quel sogno americano che coincide con la realizzazione di una vita migliore sul piano
personale. E il pubblico lo incensa, catturato anche dalle sue performance live di quattro ore. La
protesta per il nucleare, però, è l'ultimo focolaio di vita della generazione dei “capelloni” americani.
E quando alla fine del'78 Martin Scorsese gira il film "The Last waltz'', cronaca dell'ultimo concerto
di The Band, il gruppo di Dylan, si capisce che quel tempo è definitivamente tramontato. Sul palco,
in quella occasione, sfilano Neil Diamond, Eric Clapton, un Ringo Starr brizzolato che suscita una
valanga di ricordi legati a quei favolosi quattro i quali, a colpi di chitarra, cominciarono a cambiare
il mondo. E legati a tutti coloro che -nel bene e nel male - li seguirono.
Bibliografia:
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http://www.repubblica.it/online/societa/cocacola/cocacola/cocacola.html
http://web.tiscalinet.it/storia/index.html
http://www.cokeworld.it/coke4.htm
N. Hornby, Rock, pop, jazz & altro, Ugo Guanda Ed, Parma 2001, pp.141-154
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