Jean Anouilh e la fiera "ribelle" Antigone

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Jean Anouilh e la fiera "ribelle" Antigone
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Silvia Iannello
23 giugno 2010
Cento anni addietro, il 23 giugno del 1910, nasceva a
Bordeaux Jean Anouilh, grande drammaturgo francese oltre
che regista e sceneggiatore di film.
Figlio di un sarto e di una violinista che faceva parte di
un’orchestra estiva che si esibiva presso un Casino, iniziò ben
presto a respirare la polvere del palcoscenico.
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Interrotti gli studi, lavorò presso un’agenzia pubblicitaria e scrisse per il
cinema. Lettore accanito e amante del teatro antico e moderno, dopo un
esordio infelice con la farsa “Humulus le muet” (1929), scrisse “L’Hermine
(L’ermellino)” (1932), il cui protagonista è un idealista che lotta
inutilmente contro un ambiente ostile dominato dal denaro e dalle
ambizioni. Giovanissimo, nel 1931, sposò l’attrice Monelle Valentin da cui
ebbe una figlia e iniziarono così responsabilità familiari e problemi
economici (acuiti dal fallimento di alcune rappresentazioni) che lo
tormentarono per anni.
Ebbe successo con “Le voyageur sans bagage (Il viaggiatore senza
bagaglio)” (1937), da cui lo stesso Anouilh trasse un film nel 1944: il
protagonista Gaston è un veterano della I guerra mondiale che ha perso la
memoria e che, scoprendo di essere stato un malvagio, per non rinunciare
alla nuova conquistata purezza, preferisce rifiutare la precedente
personalità (questa trama mi ricorda molto quella del film “A proposito di
Henry”). Le centinaia di repliche di questo e degli altri testi di successo “La
sauvage (La selvaggia)”, “Le bal des voleurs (Il ballo dei ladri)” (1938) e
“Léocadia” (1940), risolsero tutti i suoi problemi economici.
Del 1944 è la grande celeberrima “Antigone” (1942): ispirata dall’Antigone
di Sofocle ma risolta in maniera moderna, fu rappresentata al Théâtre de
l’Atelier con la regia di Barsacq. In effetti, come spesso capita ai grandi
capolavori, la prima rappresentazione non ebbe successo né di pubblico
né di critica (l’autore parlò di «vera e propria catastrofe») e alcuni vi
colsero una posizione in favore della Germania nazista che occupava la
Francia. In seguito, però, non le mancarono la gratificazione del pubblico e
la considerazione della critica. La tragedia narra di Antigone, un’eroina che
sceglie la morte, scagliandosi contro il dispotismo del re Creonte (pronto a
schiacciarne ideali e sentimenti) e contro la sua ingiusta imposizione di
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non seppellire il fratello Polinice (morto nello scontro fratricida con
Eteocle). La stessa moglie di Anouilh ebbe un trionfo personale
nell’interpretazione di Antigone.
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Egli così ci presenta i due protagonisti Antigone e Creonte nel Prologo:
«Ecco. Questi personaggi vi reciteranno la storia di Antigone. Antigone è
quella magrolina seduta laggiù, e che non apre bocca. Guarda diritto
davanti a sé. Pensa. Pensa che fra poco sarà Antigone, che
improvvisamente sorgerà dalla magra ragazza scontrosa e chiusa che in
famiglia nessuno prendeva sul serio, e si ergerà sola di fronte al mondo,
sola di fronte a Creonte, suo zio, che è il re. Pensa che sta per morire, che
è giovane e che anche a lei sarebbe piaciuto vivere. Ma non c’è niente da
fare. Si chiama Antigone e bisogna che reciti la sua parte fino in fondo…
Da quando il sipario si è alzato, ella sente che si allontana a velocità
vertiginosa… da noi tutti, che stiamo qui tranquilli a guardarla; da noi che
non dobbiamo morire stasera… L’uomo robusto, coi capelli bianchi, che
medita là accanto al suo paggio, è Creonte. E’ il re. Ha delle rughe, è
stanco. Gioca al gioco difficile di guidare gli uomini… Ha lasciato i suoi
libri, i suoi oggetti, si è rimboccato le maniche… Creonte è solo…». E in
bocca alla sua Antigone mette le seguenti parole: «Mi disgustate con la
vostra felicità! Con la vostra vita che bisogna amare a ogni costo. Si dirà
dei cani che leccano tutto quel che trovano. E di quella piccola possibilità
che esiste per tutti i giorni se non si è troppo esigenti. Io (moi), io, voglio
tutto e subito, – e che esso sia intero – o altrimenti lo rifiuto! Io non voglio
essere modesta, io (moi), e accontentarmi di un piccolo morso soltanto se
sono stata molto saggia. Io voglio essere sicura di tutto oggi, e che ciò sia
così bello come quando ero piccola – o meglio morire.». E Creonte non è
un vero e proprio tiranno, spinto soltanto dalla sete del potere: vorrebbe
salvare Antigone tradendo se stesso e la legge di cui è portatore (sarebbe
disposto a liberarsi dei testimoni che l’hanno vista seppellire il fratello),
vorrebbe che Antigone stesse calma, che sposasse il figlio Emone, e che
soprattutto ingrassasse. Ma Antigone è un’eroina tragica che si
autodistrugge per il desiderio di affermarsi, pur consapevole di essere una
piccola donna dinanzi a grandi avvenimenti (condannata da Creonte a
esser seppellita viva, lo precede impiccandosi e il suo suicidio è seguito da
quello di Emone). A guerra appena finita, in Italia, la tragedia fu
rappresentata da Luchino Visconti con Rina Morelli; e alla fine degli anni
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90, al Teatro Greco di Siracusa, Pamela Villoresi è stata una grande
interprete del testo di Anouilh, con i costumi e la sepolcrale scenografia
dello scultore Arnaldo Pomodoro). L’Antigone ha ispirato tra l’altro il film
italiano di Liliana Cavani “I Cannibali” (1968), in cui l’azione è stata
trasferita nel periodo della contestazione studentesca e la contestataria
Antigone è Stata interpretata da Britt Ekland.
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In seguito Anouilh non ebbe altro che successi, affermandosi sia in Europa
che in USA; ricordiamo: “Médée” (1946), “L’Alouette (L’allodola)” (1953)
dedicato a Jean d’Arc, “Colombe” (1951), la farsa sessuale “La valse des
toréadors (Il valzer dei toreador)” (1952) che ispirò nel 1962 il film di John
Guillermin con Peter Sellers, e “Becket ou l’honneur de Dieu” (1959) noto
in Italia come “Becket e i suo re” – che vinse un Tony Award e l’Antoinette
Petty Award for Best Play of the Season (1960-61), e che fu trasformato
nel bel film diretto da Peter Glenville (1964) con Peter O’Toole e Richard
Burton, vincitore di un Oscar per la sceneggiatura non originale di Edward
Anhalt. Dopo l’insuccesso de “La Grotte” (1961), Anouilh decise di
dedicarsi alla regia (allestendo spettacoli e balletti, traducendo e
adattando lavori di Oscar Wilde e Graham Greene) e alla moderna
commedia di carattere di notevole gradimento per il pubblico (fu definito
un «autore di teatro di distrazione»); restò comunque un drammaturgo
molto rappresentato.
Sin dal 1936 Anouilh aveva lavorato anche per il cinema, da solo o in
collaborazione; ricordiamo: “Les dégourdis de la onzième” (1936), “Vous
n’avez rien à déclarere” (1937), “Cavalcade d’amour” (1939), “Les otages”
(1939), “Monsieur Vincent” (1947), “Anna Karenina” (1948), “Pattes
blanches” (1949), “Caroline Chérie” (1951), “Le chevalier de la nuit”
(1953), “La mort de Belle (1961) – un racconto di Simenon diretto da
Edouard Molinaro – e “La ronde” (1964), diretto da Roger Vadim. Con “Le
scénario” (1976), mosse un severo attacco al mondo del cinema.
Anouilh morì a Losanna il 3 ottobre del 1987, lasciando la seconda moglie
Nicole Lançon, sposata nel 1953 dopo il divorzio dalla prima moglie, e
quattro figli (Catherine Anouilh è divenuta una brava attrice teatrale).
Uomo misantropo e riservato sino alla reclusione volontaria, si mosse a
metà tra i sogni e il realismo, rappresentando uomini e donne “ribelli”,
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individui tormentati e conflittuali ma coraggiosi che devono scegliere tra il
Bene e il Male, tra l’Angelo e il Demonio, spesso costretti al fallimento e
alla perdita della vita ma forti nella difesa dei loro ideali e della loro dignità
umana (aveva scritto tra l’altro: «Fino al giorno della sua morte, nessun
uomo può essere sicuro del suo coraggio… Per ciascuno di noi v’è un
giorno, più o meno triste, più o meno lontano, in cui si deve infine
accettare di essere uomo.»).
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