visualizza l`articolo in formato pdf
Transcript
visualizza l`articolo in formato pdf
News3_07BIS 8-01-2008 10:52 Page 41 pubblicazioni Genetic Nursing: il counselling nella pratica infermieristica di Giovanna Artioli, responsabile formazione A.O. Universitaria di Parma I ntroduzione Le recenti scoperte avvenute nell’ambito della genetica stanno rivoluzionando il tradizionale modo di pensare e di agire in ambito sanitario. In particolar modo in ambito oncologico queste nuove informazioni stanno apportando seri cambiamenti relativamente al piano diagnostico e terapeutico. Gli infermieri, che da sempre hanno rivestito un ruolo importante per ciò che riguarda l’educazione e l’informazione al paziente e alla famiglia sul relativo processo di care, avvertono di essere sempre più oggetto di richieste di aiuto da parte di persone con diagnosi di malattia di origine genetica (o dei loro familiari) al fine di avere informazioni sia relative alla propria patologia sia attinenti gli effetti che questa potrà avere sulla loro vita, in modo da prendere decisioni per il futuro. Già dal 1995 Loescher descrive un ruolo in espansione nel genetic counselling’ per le infermiere che operano in oncologia, sostenendo l’utilizzo del counselling nell’assistenza a persone con patologia genetica. Il counselling, infatti, con le sue caratteristiche di non direttività e di sostegno per la persona nel raggiungere le proprie decisioni, si presta particolarmente per affrontare le emozioni, i timori e la sofferenza di questi pazienti e delle loro famiglie. L’intervento di counselling ha la finalità di aiutare le persone a venire a contatto con le emozioni che la diagnosi suscita, emozioni che, di frequente, si riscontrano fortemente anche nella famiglia a causa della eredità genetica comune. Diversi autori, anche nella letteratura recente, sostengono l’importanza del counselling nel nursing genetico [Erblich 2005; Loescher 2004; Greco 2003], identificando i counsellor in operatori, tra i quali infermieri, che hanno conseguito una specializzazione e acquisito esperienza in ambito genetico. Tali operatori lavorano spesso in èquipe e il loro obiettivo è quello di fornire informazioni e supporto alla famiglia del paziente affetto da una patologia genetica e/o alle famiglie che hanno un rischio elevato di sviluppare patologie ereditarie. Secondo Greco (2003), il Genetic Nursing è una pratica olistica che include l’accertamento, la pianificazione, lo sviluppo e la valutazione delle dimensioni fisica, etica, spirituale e psico-sociale dei pazienti e dei familiari che hanno problemi genetici. L’attività dell’infermiera che opera in genetica si sviluppa in differenti ambiti. Il suo ruolo è rappresentato da: 1. l’effettuazione dell’accertamento infermieristico della persona e della famiglia al fine di identificare i fattori di rischio genetico 2. la raccolta dettagliata della storia familiare e la costruzione dell’albero genealogico 3. l’analisi del modello di ereditarietà e il rischio di ricorrenza 4. la discussione con la famiglia riguardo al programma di monitoraggio, di educazione e di sviluppo del progetto di care 5. l’utilizzo di interventi di counselling per informare, educare, sostenere il paziente e la famiglia nella crisi. Nel 2000 la Oncology Nursing Society, in risposta all’introduzione delle informazioni genetiche nell’ambito oncologico, ha avviato una riflessione sul ruolo dell’oncology nurse nel cancer genetic counselling, riconoscendo la necessità di una figura infermieristica specializzata in questo ambito . Si parla dunque di una pratica infermieristica avanzata con bisogni formativi specifici in genetica e in counselling. In letteratura, diversi autori [Mahon e Greco 2003; Masny 1 Per approfondimenti, cfr. Iori Teresa, Tesi di master in Infermieristica e cure palliative, L’infermiere e la genetica: attualità e prospettive, Università Campus Biomedico di Roma, a.a. 2003/2005 1 40 IO INFERMIERE - N.3 /2007 News3_07BIS 8-01-2008 10:52 Page 42 et al 2003] sostengono la necessità della formazione al counselling per le infermiere che operano nell’ambito genetico. Nella relazione che segue, dunque, intenderei definire cosa è il counselling e come può essere utilizzato nella pratica infermieristica. A questo proposito, mi avvarrei dell’esperienza maturata a Reggio Emilia relativa all’attivazione, già dal 2001, del corso di perfezionamento per infermieri in counselling, analizzando le principali abilità sviluppate dai professionisti partecipanti e le diverse modalità di utilizzo del counselling nella loro pratica quotidiana. Il caso riportato in conclusione credo esemplifichi bene l’utilizzo del genetic counselling nell’assistenza infermieristica. Counselling: possibili definizioni Il counselling si afferma in Europa verso la fine degli anni ’50, in modo particolare in Gran Bretagna, dove viene utilizzato in diversi contesti, nell’area sociale e nel volontariato, primariamente, poi anche in ambito sanitario. In Gran Bretagna si sviluppa, nella sua applicazione pratica, come professione indipendente (il counsellor) o come insieme di abilità denominate counselling skills che possono essere esercitate in operatori che svolgono principalmente la loro professione (es. assistente sociale, professioni di aiuto, insegnanti…). La diffusione del counselling in Italia appare lenta e sicuramente in ritardo rispetto al contesto anglosassone, situandosi agli inizi degli anni ’90, in ambiti ristretti e delineandosi più con le caratteristiche di nuove possibilità di formazione piuttosto che di diffusione delle specifiche pratiche di intervento [Di Fabio e Sirigatti, 2005]. Il counselling, 2 che troverà anche in Italia sviluppo nei contesti comunitari, sociali e sanitari, inizia a diffondersi nel 1990 con l’avvio della campagna informativa sull’AIDS; infatti, la pratica dei colloqui di counselling prima e dopo il test per l’HIV è sancita con la L. 135 del 1990. Da questi primi ambiti di applicazione, diversi contesti, anche sociali e sanitari, hanno mostrato il loro interesse per questa pratica, anche se la sua diffusione risulta essere, ancora oggi, lenta e incerta. La letteratura riporta diverse e molteplici definizioni di counselling, che possono differire tra loro anche se si riscontra un nucleo concettuale condiviso e ricorrente. In una prospettiva storica, i primi contributi derivano dagli autori che hanno promosso la nascita del counselling in America, Rollo May (1939) e Karl Rogers (1942). Per quest’ultimo “lo scopo del counselling non è quello di risolvere un problema particolare, ma di aiutare l’individuo a crescere perché possa affrontare sia il problema attuale sia quelli successivi in maniera più integrata, ovvero con maggiore autonomia, responsabilità, consapevolezza”. Diversi autori, successivamente, hanno fornito definizioni di counselling (Burnett 1977; Folgheraiter 1987; Carkhuff 1987; WHO 1989; European Association for Counselling 1994 et al.) fino a giungere ad autori italiani (Pagani 1998; Giusti, Montanari e Spalletta 2000; AURAC 2000; Bellani 2001; Di Fabio 2003 et al). Una definizione completa, che evidenzia la ricchezza operativa dell’intervento di counselling, mettendo l’enfasi sul comportamento sano e adattivo della persona attraverso la mobilitazione delle proprie risorse personali, attivabili nel contesto ambientale di riferimento, è proposta da Bellani [2001] nel modo seguente: “Il counselling è un processo relazionale di tipo professionale che coinvolge un counsellor e una persona che sente il bisogno di essere aiutata a risolvere un problema o a prendere una decisione; l’intervento si fonda sull’ascolto, il supporto e su principi peculiari ed è caratterizzato dall’utilizzo da parte del counsellor di qualità personali, di conoscenze specifiche, nonché di abilità e strategie comunicative e relazionali finalizzate all’attivazione e alla rior2 Associazione universitari relazione d’aiuto e counselling IO INFERMIERE - N.3 /2007 41 News3_07BIS 8-01-2008 10:52 Page 43 ganizzazione delle risorse personali dell’individuo al fine di rendere possibile scelte e cambiamenti in situazioni percepite come difficili dalla persona stessa, nel pieno rispetto dei suoi valori e delle sue capacità di autodeterminazione”. Counselling è, dunque, un insieme di tecniche, abilità, atteggiamenti utili per aiutare le persone a gestire i problemi attivando le loro risorse personali: l’ethos dominante è agevolare piuttosto che dare consigli [Artioli et al 2004]. Infatti, il modo migliore per venire in aiuto a una persona che si trova in difficoltà non è dirle cosa fare, ma aiutarla a comprendere la sua situazione e a gestire il problema, prendendo da sola la responsabilità di eventuali scelte; l’aiuto consiste proprio nel renderle possibile la riattivazione e riorganizzazione delle sue energie [Sommaruga 2005]. Si definiscono così degli obiettivi del counselling che sono rappresentati dal fornire alla persona supporto nei momenti di crisi, dal favorire l’attivazione di processi di adattamento del paziente, dallo sviluppare nella persona l’autonomia decisionale e l’autodeterminazione attraverso una maggiore presa di coscienza della propria condizione. Il counselling nella pratica infermieristica Fornire assistenza infermieristica in una logica di counselling significa utilizzare un paradigma professionale che sostituisce alla parola “cura” il progetto “care”, “occuparsi di…” “prendersi cura di…” individui in situazioni di malattia; vuol dire calibrare interventi mirati alla persona affetta da quella particolare malattia, quindi utilizzare strategie e competenze che individuano nel soggetto, e non nella patologia, l’oggetto dell’intervento medesimo. Chi cura lo fa in modo oggettivo e si colloca al di là dell’altro, che di frequente è spersonalizzato e identificato attraverso la malattia intesa come fenomeno morboso (disease). Chi si prende cura, invece, lo fa in modo relazionale e dialettico (I care significa anche “mi importa”, “mi interessa”), utilizza gli strumenti della relazione come prestazioni professionali e considera l’altro come portatore di una storia e di un vissuto; in questo senso la malattia è percepita come l’espe3 rienza umana del fenomeno morboso (illness). Assistere una persona malata, prendersi cura della sua storia e dei suoi bisogni significa contemplare tra i propri strumenti professionali l’attenzione, l’osservazione, la vicinanza, l’accoglienza, l’ascolto, l’empatia: modalità operative, queste ultime e “formae mentis” che legittimano la relazione come obiettivo professionale. Assumere stili e competenze di counselling in ambito infermieristico significa essere disponibili, come professionisti, a spostare l’asse del “fare”, delle prestazioni tecniche, spesso isolate da un contesto e soprattutto da una persona con una propria esperienza di vita, sull’asse dell’”ascoltare”, l’asse del “sapere” sull’asse del “saperci essere”, l’asse della “cura terapia” sull’asse della “presenza empatica”. Sviluppare competenze di counselling in ambito infermieristico significa, anche, lavorare su di sé (sulla propria consapevolezza e sulle proprie emozioni) per potere poi lavorare con gli altri (pazienti, famigliari, colleghi..) il più possibile al riparo dai rischi di proiezione, identificazione, confusione tra il proprio sé e il sé del paziente. Il counselling è, dunque, una forma particolare di relazione di aiuto che ha nel colloquio strutturato la sua caratteristica fondante. Del counselling fanno parte un saper fare identificabile nelle “abilità di base” e un saper essere che si riconosce nelle “condizioni di base” . Sono ritenute abilità di base la capacità di comunicare la propria empatia attraverso risposte empatiche, la capacità di fornire ascolto attivo, la capacità di riflettere le emozioni e i contenuti dell’altro, la capacità di facilitare la chiarificazione progressiva del problema del paziente/familiare, la capacità di riconoscere il linguaggio non verbale e la prossemica. Le condizioni di base sono costituite da empatia, congruenza, OKness, vicinanza, calore e la capacità di comunicare queste condizioni al paziente [Artioli et al 2004]. Il counselling, poi, è un processo e come tale si articola in tre fasi: la comprensione del problema, l’esplorazione del problema, la gestione del problema. La prima fase si può definire il momento forte dell’ascolto. Si tratta di un ascolto che richiede 3 Per le definizioni riportate cfr. A. Di Fabio, Counselling, dalla teoria all’applicazione, Giunti, Firenze, 1999 42 IO INFERMIERE - N.3 /2007 News3_07BIS 8-01-2008 10:52 Page 44 la disponibilità ad incontrare l’altro, nella sua paura, nella sua sofferenza, nella sua confusione. L’infermiere attiva questo tipo di ascolto permettendo al paziente di “dare un nome al dolore, di poterlo pensare e tollerare”. La seconda fase permette di ridefinire e chiarificare il problema; l’intervento infermieristico aiuta la persona ad acquisire consapevolezza. La terza fase ha come finalità l’attivazione delle risorse interne ed esterne della persona per la gestione del problema. La funzione dell’infermiere è quella di mettere il paziente nelle condizioni di farsi carico della propria situazione [Montanari 2004]. Una esperienza italiana di formazione al counselling. L’acquisizione di abilità di counselling richiede un processo di apprendimento graduale e laborioso, formalizzato in un percorso formativo specifico. È questa l’esperienza di Reggio Emilia, che ha attivato il corso di perfezionamento in counselling per Infermieri, giunto ormai alla sua terza edizione. Il Corso, della durata di 300 ore comprensive di teoria, laboratori della comunicazione e tirocinio, è articolato in 4 moduli riguardanti: a. la comunicazione al paziente e alla famiglia b. la relazione con il paziente e la famiglia c. il counselling al paziente e alla famiglia d. la relazione all’interno del gruppo professionale. Presento, di seguito, i cambiamenti che la frequenza al corso ha determinato negli operatori in relazione allo sviluppo della loro nuova professionalità e in rapporto all’organizzazione del lavoro rispetto alle competenze sviluppate e quindi agite, attraverso le informazioni ricavate da un focus group effettuato con un gruppo di corsisti. I partecipanti al focus group sono infermieri che hanno frequentato i primi due corsi di counselling (anni 2001-2004) e che attualmente lavorano in servizi di assistenza. È stata predisposta una traccia di intervista, che il moderatore ha seguito nell’effettuazione del focus e che prevede quattro punti fondamentali: 1. Motivazioni e aspettative alla frequenza del corso 2. Quali cambiamenti il corso ha determinato 3. Quali abilità vengono utilizzate verso il IO INFERMIERE - N.3 /2007 paziente e la famiglia 4. Quali abilità vengono utilizzate verso l’equipe La discussione è stata audio-registrata; si è poi provveduto alla de-registrazione e all’analisi delle informazioni ottenute. Area motivazioni e aspettative. I corsisti dichiarano di avere percepito, nelle diverse realtà da cui provengono (area medica, geriatria, oncologica, chirurgica, pediatrica, domiciliare e psichiatrica), di non riuscire a sostenere una relazione di aiuto in modo efficace, se non utilizzando i propri strumenti personali, con tuttavia costi emotivi molto alti. L’esigenza della frequenza del corso nasce dunque da richieste relazionali alte da parte del paziente e della famiglia e da una sensazione di inadeguatezza e di impreparazione dell’operatore di fronte a tali domande: Fino al corso di counselling ho sempre utilizzato la disponibilità e il buon cuore, ma questi non sono sufficienti né per stare nella relazione né per dare risposte qualificate ai problemi che quotidianamente ci vengono posti. Sentivo il bisogno di avere strumenti che permettano di stare nella relazione e di proporre un intervento più mirato e adeguato alla situazione. (Focus Group 1,1) Area dei cambiamenti conseguenti alla frequenza al corso. Secondo i corsisti, la formazione ha agito soprattutto a tre livelli: a livello dello sviluppo di consapevolezza di sé nella relazione, a livello di una evoluzione della capacità di riconoscimento delle emozioni e dello sviluppo di abilità di “stare nella relazione”. Per quanto riguarda lo sviluppo di consapevolezza, questa si esprime in diversi modi: dalla consapevolezza del proprio limite e delle proprie risorse, alla consapevolezza che la relazione di aiuto è relazione che comincia e finisce all’interno del setting professionale e si realizza nel “qui e ora” (a differenza della psicoterapia che si colloca nel “là e allora”) e che nella relazione possono rientrare apprendimenti di sé e dell’altro. Sono soprattutto cambiato io. Il primo cambiamento è su di me. Il cambiamento è sulla capacità di ascoltarmi, di ascoltare, di mettermi un po’ di più in discussione nel senso di conoscer43 News3_07BIS 8-01-2008 10:52 Page 45 mi un po’ meglio. Da un punto di vista della modalità relazionale è cambiato veramente tanto. (Focus group 2,1) Per quanto riguarda l’aumentata capacità di riconoscere le emozioni, i corsisti si ritengono ora in grado di individuare le proprie emozioni, di dare a queste un nome, di utilizzare le emozioni nella comunicazione all’interno di un contesto (la persona e/o il gruppo), di gestire le emozioni anziché agirle senza controllo, di distinguere le proprie emozioni da quelle altrui. Il fatto di conoscere meglio me, e riuscire a riconoscere e gestire meglio le emozioni mi permette intanto di rimanere meglio nella relazione e all’interno della relazione riuscire a mantenere quei criteri di non giudizio, di accettazione e di accoglienza che sono assolutamente necessari affinché la relazione si costruisca sulla fiducia e si possa offrire la possibilità a paziente e a familiari di esprimersi liberamente. (Focus group 2,2) Per quanto riguarda la capacità di stare in relazione, gli infermieri esperti in counselling affermano di utilizzare, nella loro attività quotidiana, diversamente modulati a seconda del contesto e del tipo di relazione, l’ascolto, l’empatia, il non giudizio, la considerazione positiva, il calore e tecniche di comunicazione facilitanti. Il corso mi ha poi fornito degli strumenti di interazione, non tanto per consigliare o trovare la soluzione, ma strumenti del counselling che permettono di approfondire ciò che veramente è importante per il paziente e la sua famiglia e cercare di far comprendere anche a loro qual è il vero problema, perché spesso il vero problema si presenta sotto una luce diversa. Attraverso queste tecniche, che vanno ad indagare un po’ più in profondità, sempre ovviamente nel qui e nell’ora, si aiuta il paziente a definire qual è il vero problema. (Focus group 2,3) Area dell’utilizzo delle abilità di counselling verso il paziente e la famiglia. I corsisti dichiarano di utilizzare abitualmente il counselling nella loro attività quotidiana, utilizzo che può essere favorito da alcuni particolari contesti operativi quali, ad esempio, la domiciliarità, l’area oncologica, soprattutto palliativa, l’ambulatorio. Tuttavia, in tutte le aree di intervento, lo 44 strumento counselling viene impiegato, sia nella forma della relazione a legame debole (in contesti che non permettono la creazione di un setting strutturato), sia nel colloquio di counselling vero e proprio attraverso il quale si arriva prevalentemente ad indagare il problema della persona. L’ascolto attivo, l’empatia e la capacità di stare nella relazione rappresentano abilità che diventano stili professionali. La parte più utilizzata è rappresentata dalla prima fase del processo di counselling: l’ascolto attivo. Questo è utilizzato quotidianamente. I pazienti spesso non hanno tanti bisogni, non fanno molte domande. Spesso tendiamo a interpretare noi le loro affermazioni come domande. Spesso hanno bisogno di essere ascoltati, di essere compresi, di poter condividere. L’ascolto attivo è un ascolto partecipato, quindi utilizzo delle tecniche di riformulazione, o tecniche di continuazione. L’utilizzo delle abilità apprese nel corso di counselling per me rappresenta una attività quotidiana. Il counselling ha cambiato me ed è diventato la mia modalità di lavorare e di stare in relazione con il paziente e con la famiglia. (Focus group 3,1) Il colloquio di counselling, attivato di solito in un setting appositamente predisposto, rappresentato da un ambulatorio o da un locale riservato a tale fine, viene utilizzato prevalentemente nella prima accoglienza del paziente, ma anche nella fase ordinaria dell’assistenza e al momento della dimissione. La principali finalità perseguite dal colloquio di counselling sono rappresentate dal fornire informazioni alla persona, dal sostenere i momenti di crisi, della persona e del familiare, legati all’insorgenza della malattia o alla sua evoluzione, e nell’aiuto della persona a individuare il problema e le risorse per poterlo adeguatamente affrontare. Ci sono poi interventi più strutturati che sono quelli sulla crisi. La crisi spesso è una crisi del paziente per evoluzione della patologia per variazione dell’autonomia del paziente. Solitamente l’intervento è quello mirato a dare possibilità di condividere cosa sta provando da un punto di vista emotivo e questo solitamente diminuisce molto i livelli di ansia, di angoscia, di paura. Si cerca poi, attraverso domande, di IO INFERMIERE - N.3 /2007 News3_07BIS 8-01-2008 10:52 Page 46 capire cosa sta dietro, rispetto a ciò che il paziente ci presenta come problema. Di solito, rispetto a come il paziente ci presenta il problema, sembra sempre che non ci sia nessuna possibilità di accettazione o di soluzione. Solitamente riuscendo ad andare dietro al problema per come si presenta, si arriva a quello che è il vero problema, ad esempio il non potersi più lavare da solo… Solitamente, riuscendo ad arrivare al vero problema si riesce a porre obiettivi per quanto concerne aspetti di cambiamento ma anche di accettazione. (Focus group 3,3) Area dell’utilizzo delle abilità di counselling verso l’èquipe. Secondo gli infermieri intervista- ti, le abilità di counselling vengono utilizzate anche all’interno dell’èquipe: in alcune occasioni l’infermiere esperto in counselling viene attivato dal collega per gestire una relazione difficile o per avere consulenza su interventi relazionali per i quali si sente il bisogno di confronto. Anche nell’interno dell’èquipe di lavoro il counselling può essere utilizzato, ma gli infermieri intervistati riconoscono di essere ancora troppo pochi all’interno del gruppo di lavoro per effettuare interventi efficaci. Sono tuttavia presenti alcune realtà più avanzate, come si può notare dallo spezzone di intervista riportato dal focus group: nel nostro gruppo di lavoro (Servizio domiciliare-area oncologica) siamo in tre ad avere fatto il corso di counselling e lavoriamo da anni con un consulente counsellor. L’èquipe è un luogo nel quale potersi recare in caso di urgenza, in caso cioè di malessere o disagio degli operatori. In questi anni l’equipe rispetto alla risposta è molto migliorata. All’inizio era più un contenitore. Adesso l’equipe ha acquisito un buon livello di competenze per cui diversi casi vengono gestiti direttamente dall’equipe, mentre prima fungeva da primo gradino in attesa di arrivare alla discussione del caso con il consulente. Adesso la quotidianità la gestiamo all’interno dell’equipe. Mentre ci sono dei casi molto più hard che possono portare conflittualità all’interno dell’equipe. Noi per conflittualità intendiamo un disagio organizzativo, mai una conflittualità diretta. Abbiamo acquisito una ottima capacità a non dare mai giudizi, ad accogliere, a cercare di comprendere. È un’ottima equipe di lavoro. (Focus group 4,1) Il percorso formativo intrapreso, poi, è riconosciuto essere molto utile nella prevenzione del burn-out. Le capacità acquisite e l’equipe rappresentano strumenti che salvaguardano nel modo più assoluto, secondo quanto affermano gli intervistati. Essendo una professione di aiuto, la definizione stessa di usare sé o parte di se per aiutare l’altro presuppone di avere la capacità di riuscire a comprendere o a collocare ciò che si prova: tali abilità sono utili a mantenere un “benessere professionale”. Il counselling per sostenere la crisi del familiare di un piccolo paziente con malattia genetica. Il caso riportato di seguito è stato rilevato da una infermiera che ha frequentato il corso di perfezionamento in Counselling a Reggio Emilia nel 2002 e che presta attività nell’ambulatorio pediatrico di genetica dell’Arcispedale S. Maria Nuova della stessa città. Il caso ci presenta l’interazione tra l’infermiera e una giovane mamma, che si trova in una situazione di crisi per la nascita del suo bambino affetto da microcefalia. Incontro per la prima volta la mamma di Marco durante la visita medica. Marco è un bambino di qualche mese affetto da microcefalia; viene spesso ricoverato per polmoniti ab-ingestis. Durante la visita, la mamma relaziona al medico in modo scrupoloso quello che è succes4 La storia di Marco è stata descritta da Marie Claude Menozzi, infermiera esperta in counselling, operante nell’ambulatorio pediatrico di genetica dell’Azienda Ospedaliera S. Maria Nuova di Reggio Emilia 4 IO INFERMIERE - N.3 /2007 45 News3_07BIS 8-01-2008 10:52 Page 47 so a Marco dalla sera precedente. Il suo sguardo non è mai fermo, passa dal viso di un operatore all’altro, il volto è serio; quando sorride sembra sorridere in modo meccanico. Il giorno seguente al nostro primo incontro, durante la visita del mattino, la scena si ripete. Apprendo dalle colleghe che la relazione con questa mamma è molto difficile. Ho la sensazione che dietro a questo atteggiamento ci sia una profonda sofferenza; a fine mattina, riesco ad andare a parlarle. Entro nella stanza: Marco è nel lettino, la mamma è seduta al suo fianco ed ha un libro in mano. Mi avvicino, lei chiude il libro. Infermiera: “Mi posso sedere qui un po’ con lei”? (Mi allunga la sedia al suo fianco) I: “Se ne ha voglia, vorrei fare due chiacchiere con lei”. (La mamma accetta subito) . Mamma: “Oggi in visita i medici mi hanno detto che Marco sta meglio”. I: “Si è vero, respira meglio, vede (le faccio vedere il foglio di monitoraggio delle saturazioni) le saturazioni vanno decisamente meglio, se continua cosi, tra non molto possiamo diminuire l’ossigeno”. M: “Adesso mangia un po’ meglio, è anche cresciuto 50 grammi da ieri”. I: “Certo, affaticandosi meno per respirare, riesce ad alimentarsi meglio”. M: “Certo che questa polmonite non ci voleva, con il problema che ha già… la situazione si è ulteriormente complicata”. (Annuisco lentamente con la testa) M: “Quando aspettavo Marco avevo l’impressione di camminare a piedi nudi su un preziosissimo tappeto persiano, sa, quelli morbidissimi, quelli che ti danno una sensazione di morbidezza e di benessere che ti avvolge e ti fa sentire bene, poi…” I: “Poi…” M: “Poi la nascita di Marco è stata come se qualcuno ti strapasse via all’improvviso da sotto ai piedi quel tappeto, e non sai dove andrai a cadere, quale sarà la tua fine…” I: “Penso di avere capito quello che mi ha voluto spiegare, non deve essere facile…” M: “Mio marito ed io vivevamo e lavoravamo in una grande città; siamo due liberi professionisti. 46 Quando aspettavamo Marco abbiamo deciso di trasferirci in un piccolo paese, volevamo che nostro figlio crescesse in un ambiente più protetto, in rapporto alla grande città”. I: “umh , umh…” M: “Avevamo comperato una villetta nel reggiano ed io ho aperto uno studio assieme a un socio. Anche mio marito ha fatto la stessa cosa. Poi è nato Marco… con tutti i suoi problemi”. I: “Mi sembra di capire che la nascita di Marco ha in un qualche modo richiesto una modifica dei vostri progetti”. M: “Sì, con l’arrivo di Marco, abbiamo avuto bisogno di aiuto, non riusciamo a fare fronte da soli a tutti i suoi bisogni”. I: “Vi capisco..” M: “Abbiamo dovuto riavvicinarci ai nonni. Stiamo vendendo la casa appena acquistata. Sto vedendo con il mio socio se è possibile lavorare attraverso il sistema informatico. Dobbiamo trovare un’altra casa vicino ai miei genitori, e reimpostare tutta la nostra vita. È un periodo così confuso …” (Le si riempiono gli occhi di lacrime) (Appoggio la mia mano sul suo braccio). M: “Domani chiederò al medico della neuropsichiatria infantile di dirmi la verità”. I: “La verità…” M: “Sì, vorrei sapere quale sarà il futuro del mio bambino, quali saranno le sue speranze di vita”. I: “umh, umh..” M: “Tutti i giorni gli faccio fare degli esercizi per stimolarlo” I: “Gli stimoli per Marco sono importanti” M: “A volte però mi rendo conto che in certi momenti gli procuro fastidio” I: “Ne possiamo parlare anche con il medico” M: “Sì, gli voglio chiedere se questi esercizi sono utili; se è così, sono ben lieta di proseguirli, ma se tutto questo non serve, perché continuare a dargli fastidio?” I: “Ha ragione. Però, prima aspettiamo di parlare con il medico”. M: “Sa, quello che desidero per Marco è una buona qualità di vita per quello che gli sarà concesso di vivere”. I: “È vero, credo che la cosa più importante per il futuro di Marco sia il rispetto della sua qualità IO INFERMIERE - N.3 /2007 News3_07BIS 8-01-2008 10:52 Page 48 di vita”. (Le appoggio la mia mano sul braccio) M: “Sa, avevo proprio bisogno di parlare con qualcuno, adesso sto meglio, non so come ringraziarla, tornerà a trovarmi?” I: “Certo, io ci sono, quando ne avrà bisogno me lo dica. Arrivederci”. Si possono individuare, nel caso esaminato, due elementi fondamentali: 1. Il vissuto del familiare 2. Il sostegno alla crisi L’infermiera ha individuato, attraverso precedenti interazioni più indirette (ad es. la visita medica), la sofferenza che la mamma presenta e si avvicina per poter scambiare due parole. Le emozioni della mamma appaiono da subito molto intense: la nascita di Marco ha sconvolto la sua vita e quella della sua famiglia. La mamma dimostra di essere già pervenuta a un discreto livello di consapevolezza della propria situazione e di riuscire ad esprimere le proprie emozioni e vissuti, e lo fa utilizzando un linguaggio metaforico: “Quando aspettavo Marco avevo l’impressione di camminare a piedi nudi su un preziosissimo tappeto persiano, sa, quelli morbidissimi, quelli che ti danno una sensazione di morbidezza e di benessere che ti avvolge e ti fa sentire bene...”. La nascita del figlio rappresenta una lacerazione che si mostra come insanabile: “Poi la nascita di Marco è stata come se qualcuno ti strapasse via all’improvviso da sotto ai piedi quel tappeto, e non sai dove andrai a cadere, quale sarà la tua fine…” e che ha conseguenze sulla sua vita, e su quella delle persone che le sono vicine, modificandole radicalmente. Di fronte a un vissuto così drammatico, è inevitabile la crisi. L’infermiera si presenta con un atteggiamento di attenzione e di interesse alla narrazione della mamma. I suoi interventi, in realtà, sono minimi: si riducono all’utilizzo di qualche tecnica di continuazione e a rinforzi non verbali, per favorire l’espressione della mamma. L’ascolto attivo, l’empatia e la capacità di stare in relazione sono tuttavia costantemente presenti, insieme ad atteggiamenti di accettazione e di non giudizio. Questo permette all’infermiera di entrare nel problema per come è vissuto dalla mamma. Si crea così un clima di empatia e di interessaIO INFERMIERE - N.3 /2007 mento. Di fronte alla crisi, l’intervento dell’infermiera è orientato a offrire possibilità di condivisione di ciò che si sta percependo emotivamente. Solitamente, la possibilità di esprimere con il linguaggio le emozioni e di ricevere condivisione, attenua notevolmente l’ansia e l’angoscia che si provano. È quanto accade alla mamma del caso, il cui bisogno esplicitato è di “parlare con qualcuno” e di poter continuare a farlo. Considerazioni conclusive La letteratura revisionata, i risultati dell’indagine effettuata tra i partecipanti al corso di counselling, così come l’applicazione delle abilità apprese e agite nella relazione presentata con il caso evidenziano che la formazione al counselling sviluppa professionalità nell’operatore, lo rende più capace di rispondere con competenza ai problemi dell’utenza e lo mette al riparo dai rischi di esaurimento emotivo. Lo sviluppo di abilità di counselling nell’infermieristica rappresenta, dunque, una sfida di innovazione per il nursing, se davvero si intendono perseguire obiettivi di una infermieristica orientata alla persona, di attenzione ai vissuti di malattia dell’utente e della famiglia, di educazione in una logica di empowerment e di aderenza al progetto di care. L’esperienza citata in questa relazione dimostra che il counselling, nell’infermieristica, può essere utilizzato in ogni contesto operativo, nelle sue diverse forme e modalità di espressione: dall’utilizzo del silenzio all’offrire una vicinanza empatica, dalla relazione a legame debole a setting strutturati all’interno di una prestazione, dalla comprensione dei vissuti di malattia di paziente e familiari all’utilizzo di strategie relazionali per l’educazione della persona. Così, il colloquio di counselling, particolarmente utile per sviluppare consapevolezza nella persona, per favorire il processo di adattamento facendo leva sulle proprie risorse, per sostenere un processo decisionale autonomo e responsabile, insieme alle counselling skills rappresentano quel bagaglio di abilità e di atteggiamenti che a pieno titolo devono essere sviluppati negli infermieri che si occupano di genetic nursing. 47 News3_07BIS 8-01-2008 10:52 Page 49 Bibliografia Artioli G., Il counselling infermieristico: inquadramento concettuale, problematiche e prospettive, in Il counselling infermieristico nella relazione con la persona affetta da sclerosi multipla, Nursing Oggi, Suppl. 2004; 2:9-23 Artioli G., Montanari R. e Saffioti A., Counselling e professione infermieristica, Carocci Faber, Roma, 2004 Di Fabio A, Sirigatti S., Counselling: prospettive e applicazioni, Ponte delle Grazie, Milano, 2005 Erblish J., Brown K., Kim Y., Valdimarsdottir HB., Livingston BE:, Bovbjerg DH., development and validation of a Breast Cancer Genetic Counselling Knowledge Questionnaire, Patient Educ Couns. 2005 Feb; 56(2):182-91 Greco K., Mahon S., Genetics Nursing practice enters a New era with Credentialing. The internet Journal of Advanced Nursing Practice. 2003. 5(2):1-12 Loescher L., Nursing roles in cancer prevention position statements, Semin Oncol Nurs. 2004 May; 20(2):111-20 Mahon SM., Greco K., Nurses who provide genetics counselling need ongoing education and certification, Oncol Nurs Forum. 2003 May-Jun; 30(3):361-2 Masny A., Daly M., Ross E., Balshem A., Gillespie D, Weil S., A training course for oncology in familial cancer risk assessment: evaluation of knowledge and practice, J Cancer Educ. 2003 Spring; 18(1):20-5 Sommaruga M., Comunicare con il paziente. La consapevolezza della relazione nella professione infermieristica, Carocci Faber, Roma, 2005