Riotte, Organizzazioni del tempo intorno alla serie da
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Riotte, Organizzazioni del tempo intorno alla serie da
André Riotte1 ORGANIZZAZIONI DEL TEMPO INTORNO ALLA SERIE DA WEBERN A BOULEZ Lo spirito delle leggi (Avvertimento preliminare) Il testo che segue è l’elaborazione di una relazione fatta dall’autore in occasione del colloquio “Complessità e Temporalità in Musica e in Fisica” organizzato dalla Fondation des Treilles (Tourtour, luglio 1993) per iniziativa del professore Ilya Prigogine e del pianista Claude Helffer. Si potrebbe quindi considerare marginale rispetto al soggetto globale che serve da filo conduttore alla presente pubblicazione. Al contrario vi risulta strettamente connessa. Che cosa c’è di più impellente infatti, almeno in origine, del concetto di serie stabilito da Schonberg a partire da un’idea di Mathias Hauer? Concepita come una collezione di oggetti sprovvisti di qualsiasi gerarchia e di cui solo le prossimità obbligate - in successione o in coincidenza - sono ritenute generare l’ordine, la serie s’impone per Schonberg, uomo di fede, come una legge quasi divina per organizzare la nuova costruzione musicale liberata dal sistema tonale. Nella sua rigidità, possiede infatti tutte le caratteristiche della Legge: impone al compositore una costrizione ad un tempo severa, poiché stronca ogni edonismo armonico, e soggetta ad interpretazioni per essere duratura. Insufficiente in se stessa per organizzare un linguaggio, la legge seriale esige un fascio di ipotesi complementari per essere eretta a sistema, particolarmente riguardo all’organizzazione del tempo, totalmente implicita in tutto il periodo classico, la cui concettualizzazione è stata abbozzata solo progressivamente dopo. Il presente articolo tenta proprio uno schizzo di questa evoluzione nel corso del XX secolo. Beethoven è più complesso di Mozart? Xenakis di Messiaen? 1 Compositore, vice-presidente della Società Francese di Analisi Musicale, redattore capo della rivista Musurgia La complessità in musica In Arte, la nozione stessa di complessità attribuita ad un fenomeno isolato della realtà non implica che si abbia il disegno di padroneggiarne la teoria. Per esempio, nella pedagogia musicale tradizionale di uno strumento, non è considerato utile e nemmeno previsto di analizzarne la complessità (fisica, acustica, percettiva), bensì di utilizzarla addomesticandola. Questo vale anche per ciò che concerne la scrittura e la padronanza delle forme. Contrariamente agli scienziati, il cui primo passo è quello di analizzare per comprendere, i musicisti, e gli artisti in generale, diffidano come della peste di uno sviluppo troppo cosciente dei loro meccanismi creativi, nel timore (dopotutto forse giustificato) di vederli svanire e sfuggire loro. Meditare sulla complessità del fatto musicale è dunque già una scelta che comporta tutta una serie di conseguenze. Si può notare infatti che nel corso della storia i compositori che hanno fatto avanzare le conoscenze “oggettive” relative alla loro arte sono poco numerosi. Lasciati da parte i periodi di fondazione in cui erano da fissare nuovi concetti (specialmente il periodo pitagorico, il crogiolo del Medio Evo quando la musica era inglobata nel quadrivium matematico, Rameau e la teoria armonica), esisteva una distinzione netta fra i fisici curiosi di analizzare i fenomeni acustici, i teorici che usavano i numeri per tradurre delle forme musicali (il padre Mersenna), e i musicisti stessi che dominavano la loro arte a colpi di intuizioni ed erano poco inclini a consegnare le loro teorie quando ne avevano. Questa osservazione ha delle giustificazioni evidenti, legate alla funzione di seduzione dell’Arte e all’ambiguità essenziale che vi si ricongiunge almeno all’origine. Come gli alti ecclesiastici, i maghi e gli stregoni dovevano lasciare accreditarsi la credenza dei loro poteri sovrannaturali per consolidare la propria autorità, l’Artista ha ricavato (e ricava ancora) una parte fondamentale della sua credibilità dalla seduzione che esercita (per la sua aura e/o quella delle sue opere); come mantenerla, se egli riconosce che esse si appoggiano soprattutto su delle formule, persino complesse, che per di più egli fornisce? Eppure è ciò che ha fatto Olivier Messiaen dal 1955, in un modo in parte ancora soggettivo, nella sua opera Technique de mon langage musicale. Ne sono seguite altre (in particolare Xenakis, 1963), e i recenti accostamenti della musica e delle scienze, suscitati specialmente dall’esplosione tecnologica e dai suoi correlativi teorici, hanno conferito un’attualità più scottante all’utilizzo di concetti astratti, al fine di beneficiare dei mezzi offerti da queste tecnologie, cominciando dai computers. Per rispondere alla domanda posta in epigrafe, o almeno per darle un senso, bisognerebbe poter definire i mezzi di misura della complessità di un’opera, di una scrittura, di uno stile, ciò da cui l’analisi musicale attuale è ancora ben lontana, nonostante i primi tentativi di modellizzazione informatica di partizioni (Riotte & Mesnage, 1988, 1989, 1990, 1991). Questo preambolo ha per oggetto di giustificare alcuni aspetti teorici della relazione che segue; sebbene si sforzi di restare chiaramente accessibile ai non specialisti, si appoggerà necessariamente qui e là su delle definizioni e delle relazioni formali di essenza matematica. Stupisce notare, infatti, che la scuola seriale, senza aver inizialmente teorizzato, attraverso le sue stesse tecniche di scrittura ha preparato la nuova circolazione di idee e di ipotesi fra artisti e scienziati dando vita alle nuove discipline dell’informatica musicale, e a delle riflessioni comuni di cui il presente articolo è un prodotto fra gli altri. Un nuovo ordine musicale Nella storia musicale, la tecnica seriale corrisponde ad un periodo abbastanza precisamente datato, una sorta di ponte fra la dissoluzione del mondo tonale e l’apertura verso tutti i possibili estetici e stilistici che l’hanno seguita. Se hanno promosso questa tecnica attraverso le loro opere, dichiarazioni ed attività musicali, Schonberg e i suoi discepoli Berg e Webern, tutti e tre di Vienna, non hanno lasciato in compenso alcun trattato. Schonberg in particolare, sebbene incline al dogmatismo e all’insegnamento, ha teorizzato abbondantemente solo sulla scrittura tonale che ha contribuito ad eliminare (1911, 1954, 1967)2. Dopo un lungo periodo di riflessione seguito all’elaborazione di opere potentemente espressioniste che estendono al limite le funzioni tonali (Gurre-Lieder), o che si arrischiano in un nuovo equilibrio estraneo a queste funzioni (Erwartung), Schonberg ha progressivamente eleborato i primi fondamenti della nuova scrittura. Si trattava di trovare uno strumento formale economico che permettesse di generare una varietà massimale. Più precisamente, questo strumento doveva soddisfare parecchie funzioni distinte: - assicurare funzionalmente la non-ripetizione di una sequenza di avvenimenti che sfuggono all’ordine tonale, cioé senza gerarchia prestabilita fra loro; - trovare dei mezzi di proliferazione della sequenza origine; - dedurre questa proliferazione di operatori atti ad organizzare la totalità dei suoni udibili, all’interno di una scala discreta, a partire da un ordine di successione; - attribuire a quest’ordine di successione e alle sue trasformazioni una funzione strutturante mediante gli operatori precedentemente definiti. La serie, alcune definizioni L’idea di base, la definizione della disposizione sequenziale di 12 note, considerata come la fondazione di un ordine in una totalità (cromatica, cioé modulo-123) di suoni, è stata esposta per la prima volta da Mathias Josef Hauer (nato nel 1883) nel suo Traitè de musique atonale Von Wesen des Musikalischen, risalente al 1920. Questo autore, Schonberg lo conosceva bene; dopo avergli reso omaggio nel Traité d’harmonie del 1911, lo criticò aspramente qualche anno più tardi (1923, in Schonberg, 1977), negandogli ogni diritto di appropriarsi di uno strumento formale di cui non aveva colto la portata. Ha egli stesso qualificato il suo nuovo approccio alla scrittura, secondo una formula abbondantemente citata in seguito: metodo di composizione con 12 suoni che non hanno altre parentele che quelle di ogni suono con ogni altro (Op. cit., 1977). Una serie ”dodecafonica” nel senso di Schonberg è dunque una suite ordinata delle 12 note della gamma cromatica temperata. I matematici affermano che si tratta di una delle 12! (= 479.10 alla 6sta) permutazioni possibili di queste 12 note.4 Più generalmente, la serie è una disposizione sequenziale senza ripetizione di n elementi della stessa natura o comparabili, in numero finito e limitato. La totalità di questi elementi forma un insieme referenziale, il quale, quando si tratta di parametri musicali identificanti2 (altezze, durate) dipende dalla misura. L’ordine dei termini della serie è allora una delle permutazioni dei n elementi, che possono essere disposti alla partenza nel loro ordine naturale crescente (la permutazione identica, che non sposta nessun oggetto). Si tratta di una relazione di ordine stretto (ai < ai + 1) ed esiste uno scarto misurabile fra due elementi successivi.6 2 Semplificando, per definire un suono mantenuto, si distingueranno i parametri identificanti che determinano la sua posizione (altezza, durata), da quelli, qualificanti, che precisano solo le sue qualità (intensità, timbro, modo d’attacco). Relativamente a questi ultimi, l’uso di una metrica è o impraticabile per l’interprete (intensità), o inapplicabile (timbri, attacchi). Nel caso delle intensità, si può utilizzare una relazione d’ordine largo (ai £ ai+1); per gli altri parametri, le permutazioni si definiscono in rapporto ad un ordine arbitrario. Gli oggetti che la costituiscono possono essere gli elementi di un insieme più vasto (finito o no); a certe condizioni, potranno essere definiti fino ad una congruenza modulo-n; il referenziale è allora l’insieme inglobante. Per i parametri dipendenti da una metrica, esiste una possibilità di rappresentazioni duali di una serie: - con l’ordine dei suoi termini determinanti una permutazione; - con il valore del suo primo termine e la suite dei n-1 scarti fra ogni termine e il successivo. Se si è definita una congruenza modulo-n sull’insieme di referenza, si può considerare la seconda rappresentazione come chiusa (ciclica); l’elemento mancante per ottenere n scarti corrisponde a quello che esiste fra l’ultimo e il primo. La definizione di Schonberg suppone la messa in evidenza non solo degli intervalli fra oggetti successivi, ma anche di ogni oggetto con tutti gli altri, cioé di una matrice 12 x 12 a diagonale nulla, che si può ridurre ad un “triangolo degli intervalli”.7 Quale è appena stata definita nel suo principio, la nozione di serie può essere applicata ad altri parametri sonori che non siano le note (livelli d’intensità, attacchi). Può persino organizzare una totalità di oggetti discreti; si tratta allora di un ordine fra n-tupli. Non è possibile in questa sede entrare nel dettaglio delle tecniche di scrittura messe a punto dalla scuola di Vienna 8 per strutturare un’opera a partire dalle forme dedotte dalla/e serie di base. Ricordiamo solamente che gli operatori messi in gioco a partire dalla serie origine (trasposizione, rovesciamento, retrogradazione, rovesciamento della retrogradazione) erano già praticati in un contesto tonale da Bach; essi sono descritti matematicamente dalla teoria dei gruppi di isometria. Nonostante i diversi modi d’utilizzo della serie da parte dei rappresentanti della trilogia viennese e dei loro continuatori, il credo seriale è stato contraddistinto da un netto dogmatismo, riflesso dell’esigenza quasi religiosa da parte dei suoi continuatori di fronte agli strappi alle regole, del resto poco numerose, determinate dall’uso. Tuttavia, se la disciplina seriale costituiva una restrizione severa per l’organizzazione delle altezze, non ne discendeva necessariamente una nozione di forma; per arrivarci occorreva una visione correlativa delle relazioni fra serie nella dimensione temporale. Il trattamento delle durate prima della serie La tradizione musicologica e la sua diramazione l’analisi musicale si sono a lungo fondate esclusivamente su delle relazioni di spazio battezzate da “fuori-tempo” da Xenakis, ma basate all’origine sulle proprietà delle regioni tonali. Nel periodo classico e sino all’inizio dal XX secolo, la nozione del tempo musicale era scissa in due aspetti i cui rapporti non erano in generale messi in evidenza: - i ritmi si appoggiavano su una periodicità figurata dalla misura9, che assicurava il ritorno regolare di tempi forti intorno ai quali si organizzava il discorso; l’organizzazione binaria delle unità di durate creava una gerarchia ricorrente.La costruzione dei ritmi era permessa dall’uso congiunto di relazioni-prodotti o quozienti (2n, 21/n) e di relazioni additive; - la forma, considerata come messa in ordine dei frammenti del discorso, organizzava globalmente una progressione, un’alternanza o un conflitto fra assemblaggi di motivi; le sue proporzioni potevano essere governate da relazioni numeriche, di cui non si era tenuto conto. Solo tre fenomeni potevano perturbare la “base di tempo”: - i giochi periodici nati dall’emiola, già presenti prima del periodo barocco (2 x 3 unità di tempo = 3 x 2 unità di tempo) che creavano un’ambiguità, germe dei canoni di durate (vedere qui sotto); - il rubato (compressione o dilatazione della pulsazione la cui progressione è lasciata all’iniziativa dell’interprete) oppure la sua antica forma non progressiva, le note disuguali. - la sospensione del tempo (simboleggiata dal punto d’organo), che può estendersi a sezioni intere non misurate (ol “tempo liscio” di Boulez, 1963). Sebbene si possano trovare nel passato degli esempi isolati di opere fondate sull’organizzazione del tempo, questa è stata riconosciuta solo recentemente come una delle basi fondamentali della composizione, quella che determina le proporzioni globali di un’opera come anche il suo equilibrio dinamico. All’inizio del secolo, Stravinsky ha incominciato a scalzare la periodicità unica del discorso, mediante un uso naturale dell’alternanza di formule ritmiche che non entrano in una quadratura. La sua adozione tardiva (e personalizzata) della scrittura seriale ha corrisposto ad una visione più architettonica della scritura, vicina allo spirito di Webern. La forma presso i seriali: due tendenze antagoniste Sul piano della forma, cioé delle relazioni temporali su scala dell’opera, le idee di Schonberg sono venute alla luce solo molto progressivamente. All’inizio delle sue esperienze seriali, egli consigliava ancora ai suoi allievi: “Servitevi ancora della serie e componete come eravate abituati prima”! Eppure, si possono rintracciare dall’inizio due orientamenti antagonisti nei modi di utilizzo della serie, che schematizzeremo per comodità personificandoli nei due discepoli di Schonberg. Webern, che ha utilizzato la struttura seriale cercandovi dei principi di economia massimale, organizzava una serie come una composizione di cellule sfruttanti un numero ridotto di intervalli, e costruiva un’opera su un vocabolario ristretto di parametri (Boulez, 1963) in uno spazio-tempo rarefatto di cui utilizzava le risorse “geometriche”, in particolare le simmetrie in rapporto al tempo (specchi). Si noti che uno specchio temporale è fondato su un’ipotesi non verificata di reversibilità del tempo 10 (nozione messa in gioco nell’apparecchio seriale in conseguenza dell’utilizzo di una trasformazione “retrograda”) che comporta delle approssimazioni di scrittura. Tale concezione implica un’inclinazione verso l’astrazione; il compositore circola nella sua opera come un architetto padrone del tempo e dello spazio.11 Tradizione di musica pura, i cui modelli sono intrinseci (giustificati in loro stessi), e che tende alla cristallizzazione delle forme: il tempo parametrico, padroneggiato, è organizzato come una dimensione. L’artista si pone come un taumaturgo, e governa il proprio destino nell’immaginario disponendovi le proprie costruzioni. In compenso, Berg ha rapidamente sfruttato un materiale seriale aperto: l’opera si fonda su parecchie serie apparentate (per esempio nella Suite Lyrique e più ancora nelle sue opéras12), che hanno una funzione quasi psicologica. Sebbene vi intervengano delle costruzioni formali, l’essenza drammatica del suo discorso (anche puramente musicale, come è il caso per la Suite Lyrique) ha per correlativo una visione evolutiva, progressiva, addirittura dissolvente del tempo. Un bisogno di drammatizzare, di incalzare l’evoluzione permanente dell’emozione crea l’imprevedibile. Dopo il crepuscolo degli dei la loro morte ha lasciato il cielo vuoto e l’uomo angosciato. La musica traduce i meandri del suo smarrimento. Un correlativo di questa attitudine è la tendenza alla proliferazione13 formale, alla ricerca di mezzi tecnici duttili e costantemente rinnovati. Questa preoccupazione di varietà massimale è simboleggiata dall’impiego della serie “tutti intervalli”, che Berg utilizzerà specialmente nel primo movimento della Suite Lyrique; contrariamente ai principi di economia applicati da Webern nella dimensione delle strutture d’intervalli, il principio di non ripetizione è applicato contemporaneamente ai suoni e agli intervalli che li separano14 . Le costruzioni musicali sono evolutive, in costante trasformazione, esse incalzano l’affettività, i cui modelli sono costantemente soggiacenti. Esse mantengono dei legami con il passato (tonale) e tendono alla complicazione o alla disorganizzazione, verso il caos. Senza attribuirvi un’importanza esagerata, costituisce una tentazione avvicinare queste due concezioni del tempo a quelle fra le quali oscillano i matematici secondo Ekeland (1984): - una concezione globale, tradotta in un linguaggio geometrico, “in cui il presente chiama il futuro e risponde al passato”; - all’opposto, un’importanza preponderante accordata allo scorrere del tempo, considerato in larga misura come una successione di stati indipendenti, in quanto le tracce del passato si attenuano molto in fretta. Allo scopo di portare una luce nuova su questa ambivalenza, le scienze cognitive dela musica hanno iniziato a riflettere sul ruolo della memoria in questi processi di funzionamento, che traducono due modi d’interpretazione della realtà.15 La serie e l’organizzazione del tempo Sinora abbiamo sfiorato i principi di organizzazione su scala molto limitata: quella di suites di 12 note aventi fra loro relazioni ben definite, funzioni delle proprietà particolari della serie scelta come punto di partenza. Ma ciò non spiega affatto come questi segmenti possono articolarsi in una costruzione temporale. Una delle chiavi della scrittura consisterà dunque nel definire dei modi di concatenazione delle serie, essendo l’altra la spartizione di queste catene fra la loro numerazione sequenziale (melodica) e i raggruppamenti verticali di alcuni dei loro termini (armonici). Una descrizione tecnica delle diverse soluzioni adottate si allontanerebbe dal contesto di questa relazione. Ci limiteremo ad evocare la concatenazione per recupero parziale (uno o più termini comuni fra la catena precedente e la successiva); l’importante è il tessuto di relazioni che queste catene possono stabilire fra i suoni che le compongono, relazioni che dipendono dalle particolarità di ogni serie, di cui è essenziale studiare le conseguenze al momento della loro costituzione, e dai principi più o meno rigidi che presiederanno alle concatenazioni3 . Resterà da precisare come questa prefigurazione del discorso va a tradursi in durate reali, problema che verrà ripreso più avanti. 3 Nel caso particolare della concatenazione di cicli equilibrati (vedere nota n° 12), si può costruire una sorta di genetica delle catene seriali, che consente di organizzare dei campi di parecchie decine di migliaia di note a partire da una sola serie (Riotte, 1979). Il trattamento seriale comporta l’eliminazione dell’accoppiamento di disturbo dei parametri del suono (ciò non implica la rimessa in questione dei modi di produzione del suono stesso); quindi era logico applicare al tempo delle trasformazioni analoghe a quelle delle altezze. Il tempo può essere organizzato sotto le sue due forme: le posizioni degli avvenimenti in rapporto ad un’origine (le loro ”date”), e la durata sonora di questi avvenimenti. Eppure, i Viennesi, salvo eccezioni, hanno basato l’organizzazione delle durate su degli strumenti formali meno sistematici; per esempio, un Hauptrhythmus secondo Berg utilizza la nozione di formula ritmica periodica indipendente dalla misura; attraverso le sue multeplici trasformazioni, svolge un ruolo altrettanto caratteristico di un tema melodico classico. E’ la generazione successiva che ha sistematizzato l’approccio seriale delle durate; Boulez descrive delle serie costruite a partire da durate crescenti (12 valori partendo dalla semibiscroma sino alla semiminima puntata); ma si trova anche un arsenale molto ricco di trasformazioni ritmiche ben documentato nei suoi scritti17. Estendendo questa pratica a tutti i parametri del suono, egli raggiungeva una copiosità il cui scoglio principale, quando veniva applicata con eccessivo rigore, era un inestricabile groviglio di operazioni complesse. Sotto questa forma, la serie generalizzata ha avuto una vita effimera, annegata rapidamente a causa della noiosa gratuità dei risultati (di cui Polyphonie X di Boulez simboleggia i difetti ammessi dall’autore stesso). Il lato arbitrario della serie aggiunta di durate (ripartite da 1 a 12 unità) è stata sottolineato da Stockhausen; la sua critica giustificata verte sugli scarti fra durate, la cui percezione non è uniforme: la comparazione di una durata ad una durata doppia non è dello stesso ordine di quella di due durate in rapporto da 11 a 12. Per rispondere a questa obiezione, Stockhausen, che ha dedicato un testo notevole alla sua concezione dell’organizzazione del tempo, (1968a), ha costruito tutto un sistema su una scala di movimenti metronimici ordinati nelle medesime proporzioni della gamma cromatica temperata18. Ancora a questo proposito, le applicazioni numeriche sono di una complessità tale da rendere rischiosa un’interpretazione precisa, salvo quando questi movimenti si applicano a delle sezioni intere e non a degli avvenimenti sonori isolati. I simboli forniti agli interpreti non hanno un significato assoluto. Essi devono essere “interpretati”, cioé posti al centro di una soggettività da cui viene escluso qualsiasi rigore.19 L’ossessione di Stockhausen è l’Unità: per raggiungerla, vuole far derivare da un unico nucleo costituito da delle proporzioni, la quasi totalità dei materiali di un’opera. Tale concezione di essenza mistica ha generato in lui la nozione di forma “senza fine” che aspira all’eternità (1968b), che egli chiama forma-momento (Momentform) o forma dell’adesso (Jetzform), che giustifica le forme aperte sulle quali torneremo in conclusione. Ordine, serie e algoritmi Occorre sottolineare il ruolo importante svolto da Messiaen per l’esplorazione di vie in margine alla serie, ma che hanno irrigato la corrente post-seriale. Ne daremo in questa sede parecchi esempi; torniamo dapprima al Mode de Valeurs et d’Intensités, uno dei quattro Etudes de rythme per piano (ideato nel 1949) che ha suscitato da solo più reazioni degli altri tre messi insieme. Stockhausen vi faceva risalire la propria vocazione di compositore. Messiaen presenta all’inizio della partizione i dati che mette in gioco; sotto la denominazione di modi, essi si presentano come tre numerazioni separate di 12 quadrupli (altezze, durate, attacchi, intensità), ciascuno dei quali serve da serbatoio di dati per una “voce” (grave, media, acuta). La sua concezione si distingue essenzialmente dai principi seriali per la possibilità di scelta, nota a nota o sequenza a sequenza, dei quadrupli i cui incontri constituiscono il discorso musicale. Messiaen restringe ulteriormente questa libertà molto controllata, imponendosi localmente, nell’una o nell’altra voce, delle permutazioni cicliche a 12 termini sulle durate (Riotte, 1993). In questo pezzo si trovano dunque, strettamente associate, le nozioni di scelta locale e di gioco di permutazioni; procedimento sufficientemente significativo perché Boulez, in omaggio al suo maestro, utilizzi uno di questi materiali come serie di base della prima delle Structures I a 2 piani, traendo così le conseguenze del lavoro di Messiaen per esplorare un’opzione differente della serie generalizzata. Un modello più sistematico che in Messiaen assurge a fondamento del suo approccio delle durate (Messiaen, Op. cit.) è quello dell’incontro di avvenimenti ripetitivi di periodi primi fra loro, di cui troviamo alcuni esempi in Berg a partire dal 1912 (l’inizio del primo dei cinque Lieder avec orchestre Op. 4 è costruito su sei motivi ritmici di cui almeno quattro sono primi fra loro) ed in modo ancora più radicale in Stravinsky (nella prima delleTrois pièces pour quatuor à cordes 20 del 1914). Lo si trova anche, sotto una forma più mascherata dalla diversità dell’orchestrazione, ad opera di Boulez in una sezione del primo movimento del Soleil des eaux. 21 Questo modello, arricchito da Messiaen sotto diverse forme denominate canoni ritmici, sottintende delle sezioni intere delle sue opere, come pure numerose varianti di algoritmi deterministi, sia sulle altezze (chiamate ingrandimenti asimmetrici) sia sulle durate (canoni per aggiunta del punto, cioè omotetia di rapporto 3/2, accelerazioni e decelerazioni progressive). L’interesse del modello poliritmico basato sui periodi primi fra loro è stato messo in evidenza da Xenakis, che ne ha teorizzato l’espressione matematica4 . Aggiungendovi la nozione di partizione di un insieme (Riotte, 1992), è possibile formalizzare ogni suite limitata di durate come di altezze sotto forma dell’unione di suites periodiche, secondo un’operazione che si può avvicinare, in un mondo discretizzato, alla decomposizione di un’onda per mezzo della serie di Fourier. Proliferazioni seriali Un’altra estensione sperimentata da Messiaen è la proliferazione a partire da una serie: considerandola come una permutazione dei 12 primi interi, si può effettuare il suo prodotto su se stessa (scambiando i ranghi e i valori) e ottenere delle suites di lunghezze variabili, i sottogruppi ciclici (Riotte, 1987). Messiaen, per esempio, ha applicato questa tecnica in un altro degli Etudes de rythmes già evocati, l’Ile de feu 2 (operazione che egli chiama inversione). Ora, è in Barraqué (1928-1973), uno dei seriali più ascetici, che ritroveremo il principio di questo processo portato a un più alto grado di astrazione; estendendolo al prodotto delle due permutazioni distinte (in particolare nella sua ultima opera, il Concerto23), Barraquè otteneva delle classi di serie comprendenti con le trasposizioni sino a 184 forme (contro 48 con gli operatori seriali classici), ciascuna serie dedotta avendo in comune con le vicine solo eventuali note fisse (quelle - se esistono - il cui rango e valore coincidono). Si noti che le possibilità teoriche di generazioni di forme differenti con questo procedimento, sebbene siano finite e limitate, sono ancora molto più vaste. 24 Si tocca qui un limite, quello in cui la materia prima germoglia su se stessa, sfuggendo in parte al controllo del suo creatore. Perciò la nozione di forma aperta impiegata da Barraqué (1988) ha un significato diverso da quello di cui Eco è il primo divulgatore (1965). Si tratta qui della duttilità della forma “per sempre analizzabile, o sempre glorificata per mezzo della moltitudine delle analisi possibili5 “, una sorta di sublimazione della fuga in avanti, caratteristica di un’attitudine mentale dell’era seriale. 4 per mezzo dell’utilizzo del formalismo matematico basato sulle classi di residui, di cui ha mostrato specialmente l’efficacia per formalizzare delle scale di altezze qualsiasi (Xenakis, 1967). dell’autore). 5 Affermazione di Barraqué in occasione del suo corso di analisi musicale (nota Dalle permutazioni all’indeterminazione Fra le numerose vie di esplorazione del campo delle durate che abbiamo sorvolato, ce n’era una che emergeva inevitabilmente dall’utilizzo generalizzato delle tecniche di permutazione: era la sua applicazione alle forme globali delle opere, diventate esse stesse “proliferanti”. Non rifaremo qui la cronistoria delle opere aperte; cercheremo piuttosto di precisare in che cosa i diversi approcci si distinguono nella loro strutturazione del tempo. Schematizzando: una prima classe di opere che qualificherò piuttosto come multiple, risponde in tutte le sue attualizzazioni ad una struttura globale, una sorta di modello generale che è possibile descrivere (almeno entro certi limiti). E’ il caso in particolare della Terza Sonata per piano di Boulez (Piret, 1992). Per un’altra classe, realmente polimorfa, la rappresentazione dei percorsi possibili è un grafo orientato il cui numero di archi è troppo intricato e copioso perché sia significativo cercarne un’altra rappresentazione formale che non sia il grafo stesso: il Klavierstuck XI per piano di Stockhausen ne è un esempio (Helffer, 1993). Infine, nell’ultima, quella che corrisponde meglio alla denominazione di musica aleatoria26 (Boucourechliev, 1989), i materiali (serbatoi di note, accordi, ritmi, ecc.) sono proposti separatamente agli interpreti in una disposizione che può suggerire loro dei percorsi, delle scelte, degli accostamenti. Qui, la nozione di forma temporale non risponde più che a delle indicazioni qualitative, che assumeranno il loro pieno significato solo nel corso dell’interpretazione diventata creatrice. I cinque Archipels di Boucourehliev costituiscono il primo esempio, e il più stupefacente, di tale concezione. Come scrive egli stesso: “Ci si accorgerà in fretta del pericolo - per meglio dire, dell’impossibilità - di qualsiasi tentativo di “fissazione” della forma”. Il cammino percorso verso l’indeterminazione è percepibile nell’evoluzione stessa della scrittura da un Archipel al successivo (ciascuno fa appello ad una strumentazione differente), la quale parte nel primo da sequenze costituite per sfociare nell’ultimo ai limiti dell’anarchia, come suggerisce il titolo Anarchipel. Il limite assoluto a queste aperture formali è il famoso pezzo di Cage intitolato 4’33” il quale prevede che il pianista resti immobile in silenzio davanti al suo strumento per la durata prescritta... Arrivato qui al limite del “paese fertile...” secondo la formula di Klee ripresa da Boulez, che ne ha ricavato un libro di riflessioni sui suoi rapporti con l’opera del pittore (Boulez, 1989), il lettore è libero di decidere se ha oltrepassato oppure no questo limite... Partita da una disposizione molto rigorosa dei materiali musicali tradizionali per esplorare meglio l’abbondanza nata dai giochi di permutazione su delle grandezze discrete, l’avventura seriale ha diffuso a poco a poco la propria sostanza sino ai confini dell’indeterminazione. Tuttavia è significativo notare che, nel percorso che abbiamo sorvolato, non è stata affrontata la rimessa in causa della produzione stessa dei fenomeni sonori, non perché i compositori che hanno partecipato all’avventura se ne siano disinteressati, ma perché questa forma di scoperta è stata sviluppata intorno alla sintesi sonora e all’impiego dell’informatica nell’esplorazione dei suoni. Era inevitabile che questi due campi di esplorazione interferissero, ma sarebbe il soggetto di un’altra relazione. Trad. Michela Gardini NOTE 1) André Riotte è compositore, vice-presidente della Società Francese di Analisi Musicale, redattore capo della rivista Musurgia. 2) L’unico testo di Schönberg un po’ esteso sulla composizione con dodici suoni è una conferenza pronunciata a Los Angeles nel 1941 (in Stile e idea). 3) La funzione matematica che descrive le proprietà delle classi di oggetti modulo-n è la congruenza; basta richiamare alla memoria le proprietà di un quadrante di orologio per avere una buona idea delle relazioni modulo-12 (1h = 13h). 4) Si può stabilire una corrispondenza termine a termine (una bisezione per i matematici) fra l’insieme n delle 12 note e gli n primi interi (Barbaud, 1966). 5) Semplificando, per definire un suono costante, si distingueranno i parametri identificanti che determinano la sua posizione (altezza, durata), da quelli, qualificanti, che precisano solo le sue qualità (intensità, timbro, modo d’attacco). Relativamente a questi ultimi, l’uso di una metrica è o impraticabile per l’interprete (intensità), o inapplicabile (timbri, attacchi). Nel caso delle intensità, si può utilizzare una relazione d’ordine largo (ai ai + 1); per gli altri parametri, le permutazioni si definiscono in rapporto ad un ordine arbitrario. 6) Per un solo studio matematico più rigoroso della formalizzazione seriale tradizionale, vedere specialmente Barbaud (op. cit.), Babbit (1972), Parzysz (1988). 7) Nozione sviluppata durante uno scambio epistolare fra l’autore e Henri Pousseur nel 1971. 8) Il loro primo divulgatore in Francia subito dopo la guerra è stato Renè Leibowitz (1949). 9) La congruenza, che si applica anche in questo contesto, è allora fondata sul numero di unità per misura; essa crea dunque un equivalente della relazione d’ottava, ma il valore del modulo non è più un invariante come per i 12 suoni. 10) Un avvenimento sonoro sarebbe reversibile solo se l’onda sonora stessa potesse esserlo (assenza di transitorio, suono periodico mantenuto), ciò che è praticamente irrealizzabile. 11) La nozione di spazio deve essere presa come una metafora dell’ascolto interno, che mette in gioco un mondo di oggetti sonori immaginati in relazione fra loro. 12) Vedere specialmente le trasformazioni di serie per permutazioni utilizzate da Berg nel corso dell’opera Lulu (Carner, 1979). 13) Questo termine già utilizzato a parecchie riprese, chiede di essere precisato, almeno nel senso in cui è impiegato qui: a partire da operazioni formali ben definite, si tratta di dedurre da un materiale già ordinato (per esempio una serie modulo-n, n potendo anche essere inferiore a 12) una sequenza di materiali della stessa natura e tutti diversi. E’ così che gli operatori seriali menzionati più in alto, applicati a una serie, forniscono 48 forme differenti (compresa la forma originale). Si può mostrare che nel caso di concatenazioni di cicli equilibrati (per la loro definizione, vedere sotto), il numero di forme possibili apparentate è moltiplicato per 12, ottenendo 576 forme. Vedremo più avanti (nota 22) altri esempi di proliferazione. Questo conteggio, che dà una misura della “potenza di proliferazione” di una operazione, indica che in generale il numero di soluzioni è finito, per quanto grande sia. Inoltre, bisognerà giustificare l’interesse di un rinnovamento costante del materiale in rapporto con le concezioni formali in gioco: in quanto tale, il suo impiego sistematico può raggiungere una monotonia equivalente alla ripetizione pura. 14) La scoperta di questa serie è attribuita ad un allievo di Berg, F. H. Klein. Ho mostrato che la ricerca di tali serie era disagevole in conseguenza della doppia restrizione che la caratterizza, la qual cosa spiega che la maggior parte di quelle che sono state utilizzate poi, in particolare da Nono (Il Canto sospeso), Stockhausen (Gruppen, Klavierstuck IX), Zimmermann (Die Soldater), sono a simmetria centrale, come del resto quella della Suite Lirica, perché più facili da determinare “a mano”. Dal 1962 ho calcolato sul computer la totalità delle serie (2 x 1928) provviste di queste due costrizioni, che ho battezzato Cicli equilibrati (1963, 1969). Sulle loro proprietà matematiche, vedere anche Morris & Starr (1974). 15) Per avere più indicazioni sul procedimento cognitivo in musica, potrà rivelarsi utile consultare l’opera La musique et les sciences cognitives (McAdams & Deliège, 1989). 16) Nel caso particolare della concatenazione di cicli equilibrati (vedere nota 12), si può costruire una sorta di genetica delle catene seriali, che consente di organizzare dei campi di parecchie decine di migliaia di note a partire da una sola serie (Riotte, 1979). 17) Vedere in particolare Boulez (1963), l’articolo Eventuellement in (Boulez, 18966). Egli aveva già descritto la maggior parte di queste procedure nel corso della sua corrispondenza con Cage negli anni ’50 (Boulez/Cage, 1991). 18) Ogni movimento è dedotto dal precedente moltiplicandolo per 12 2. per una riflessione critica sull’insieme della concezione temporale di Stockhausen, consultare specialmente Nicolas (1987) e il n° 9 della rivista Contrechamps dedicato al compositore. 19) Per ottenere una buona corrispondenza delle durate reali con le durate calcolate con questo procedimento, bisognerebbe impiegare esclusivamente la sintesi ottenuta al computer. 20) Questo pezzo pseudo-ripetitivo è interamente costruito sull’incontro di periodi 7, 21 e 23 semiminime (Riotte & Mesnage, 1987). 21) Complainte du lézard amoureux, cifra 6 della partitura, Heugel (1959). 22) Per mezzo dell’utilizzo del formalismo matematico basato sulle classi di residui, di cui ha mostrato specialmente l’efficacia per formalizzare delle scale di altezze qualsiasi (Xenakis, 1967). 23) Concerto pour clarinette solo, vibraphone et six formations instrumentales (1968) Ed. Bruzzichelli, Firenze. Cfr. Riotte, 1987, op. cit. pp. 67-68. 24) Sino a 12 x 60 = 720 forme se i cicli della permutazione hanno per valori rispettivi 3, 4 e 5. 25) Affermazione di Barraqué in occasione del suo corso di analisi musicale (nota dell’autore). 26) Su questo argomento, i curiosi potranno consultare il n° 18-19 della rivista Les Cahiers du C.I.R.E.M. (Rouen, 1991), dedicato al tema “Musica e Aleatorio(i)”. BIBLIOGRAFIA BABBITT M. (1972) Twelve-tone rhythmic structure and the electronic medium, in Perspectives on Contemporary Music Theory, Ed. Boretz B. & Cone T.C., Norton, NewYork, pp. 148-179. BARBAUD P. (1966) La musique, discipline scientifique, Dunod, Paris. BARRAQUE J. (1988) La Mer de Debussy, ou la naissance des formes ouvertes, rédaction A. Poirier, in Analyse Musicale n°12, Paris pp. 15-62. BOUCOURECHLIEV A. (1989) La Musique Aléatoire, une appellation incontrôlée, in Analyse Musicale n° 14, Paris, pp. 38-40. BOULEZ P. 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