Michail A. Bakunin Stato e anarchia 1874

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Michail A. Bakunin Stato e anarchia 1874
Politica
Michail A. Bakunin
Stato e anarchia
1874
PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO
Stato e anarchia rappresenta l’opera più importante di Michail Bakunin, il maggior
esponente del movimento anarchico dell’Ottocento e il principale avversario di Karl Marx
all’interno dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori. Il libro contiene sia una teoria
politica sia un’analisi delle vicende storiche dell’epoca, ed è fondamentale per
comprendere il pensiero anarchico classico. Gli obiettivi polemici sono la centralizzazione
statuale, la burocrazia, il militarismo, il capitalismo monopolistico, il marxismo statalista e
autoritario. Anche se la convinzione di un’imminente rivoluzione sociale si rivelò illusoria,
Bakunin previde con precisione gli sviluppi futuri della storia europea, come le guerre
provocate dai tentativi del Reich tedesco di conquistare l’egemonia continentale e gli esiti
totalitari dell’applicazione delle idee marxiste. Il libro venne stampato in una tiratura di
1200 copie a Zurigo nel 1874, in forma anonima, da alcuni giovani evasi dalla Russia, e
introdotto poi clandestinamente nel loro paese, dove esercitò una forte influenza sulla
gioventù rivoluzionaria.
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PUNTI CHIAVE

Dopo il 1870 l’impero tedesco è l’unico vero Stato moderno che c’è in Europa

Tutti gli Stati, anche quelli più liberali e democratici, sono per natura dispotici e
aggressivi

La classe lavoratrice può emanciparsi solo abbattendo lo Stato borghese

La rivoluzione sociale sarà necessariamente violenta e distruttiva

Il popolo si organizzerà autonomamente dal basso, e si unirà per mezzo di accordi
federativi

In Italia le condizioni per la rivoluzione sociale sono particolarmente favorevoli

Il capitalismo e la speculazione finanziaria possono prosperare solo grazie
all’appoggio dello Stato

I marxisti vogliono impossessarsi dello Stato per esercitare una spietata dittatura
sul popolo.
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RIASSUNTO
La Germania, lo Stato per eccellenza
Profondamente impressionato dalla vittoria dell’esercito prussiano su quello francese nel
1870 e dalla successiva proclamazione del Reich tedesco, Bakunin osserva che i tedeschi,
realizzando l’unificazione nazionale sotto l’egida del cancelliere Bismarck, hanno creato
uno Stato nel vero senso della parola: forte, militarizzato, centralizzato, burocratico e
naturalmente volto all’espansione. La Germania, scrive Bakunin, è oggi lo Stato per
eccellenza come lo fu già la Francia sotto Luigi XIV e sotto Napoleone I. La sua forza si fonda
sull’organizzazione, sulla disciplina esemplare dell’esercito, sulla smodata ambizione
nazionale, sulla cieca ubbidienza e sul culto divinizzato del potere.
Nei tedeschi infatti, per ragioni storiche, la passione per l’autorità supera l’istinto alla
libertà, ed è proprio questo che attualmente fa la grandezza dello Stato tedesco. Col
trascorrere dei secoli, scrive l’anarchico russo, si è venuta elaborando nel cuore tedesco
una vera deificazione del potere statale, che ha generato una teoria e una pratica
burocratica divenuta, grazie agli sforzi dei dottori tedeschi, il fondamento di tutta la scienza
politica insegnata nelle università germaniche.
Si spiega così la folle ebbrezza che ha si è impadronita dell’intera nazione tedesca alla
notizia delle vittorie dell’esercito prussiano. I nobili, i borghesi, i contadini, i professori, gli
artisti, gli scrittori, gli studenti, i liberali, i repubblicani: tutti gli strati sociali hanno cantato
in coro unanime il trionfo dello Stato pangermanico. Bakunin intravede però già, sotto
questo tripudio, il processo di decomposizione morale e intellettuale, inevitabilmente
legato alle vaste centralizzazioni politiche, che colpirà la Germania.
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Tutti gli Stati sono dispotici
Un edificio statale come quello tedesco, per quanto «cerchi di celarsi dietro la burletta
parlamentare dello pseudo-costituzionalismo» (p. 22), non può che essere sommamente
reazionario e antipopolare. Per Bakunin tutti gli Stati, compresi quelli rivestiti delle forme
più liberali e democratiche, sono necessariamente fondati sul predominio, sulla
dominazione, sulla violenza e quindi sul dispotismo più o meno occulto. Anche la
democrazia rappresentativa esprime in realtà la centralizzazione dello Stato e la reale
sottomissione del popolo sovrano alla minoranza intellettuale che lo governa, che pretende
di rappresentarlo e che inevitabilmente lo sfrutta. Il dispotismo, scrive l’autore di Stato e
anarchia, non è mai così terribile e così forte come quando si sostiene sulla cosiddetta
rappresentanza della volontà del popolo.
Per quanto abbellito di pseudo-volontà e pseudo-libertà popolari, il popolo non si
sottomette mai volontariamente al dominio statuale. I governanti devono ricorrere alla
coercizione permanente, al controllo poliziesco e alla forza militare. Per questa ragione lo
Stato moderno è, per sua essenza e per i suoi obiettivi, uno Stato militare che deve
trasformarsi non meno necessariamente in Stato conquistatore, dato che se non conquista
verrà conquistato. La condizione necessaria per la sua conservazione è quella di diventare
uno Stato enorme e potente. Così come la produzione capitalistica e la speculazione
bancaria tendono ad ampliare continuamente i propri limiti a spese delle produzioni e delle
speculazioni minori, allo stesso modo lo Stato moderno, militare per necessità, porta in sé
l’ineluttabile tendenza a trasformarsi in uno Stato universale.
Le prospettive della Rivoluzione sociale in Europa
Lo Stato e la Rivoluzione Sociale rappresentano i due poli opposti, il cui antagonismo
determina gli sviluppi della vita politica europea. In polemica con i socialisti riformisti e con
i marxisti, che mirano alla conquista dello Stato, Bakunin sostiene che l’unica
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emancipazione possibile per la classe lavoratrice può venire dall’abbattimento dello Stato.
Questo obiettivo potrà essere raggiunto solo con una lotta terribile, sanguinosa, istintiva,
caotica e spietata. Non può esserci rivoluzione, e non può quindi nascere un mondo nuovo,
senza una «salutare e feconda distruzione» (p. 63).
Bakunin volutamente non dà indicazioni precise sul genere di società che sorgerà dalla
distruzione dello Stato. Essa infatti potrà assumere qualsiasi forma perché si svilupperà dal
basso, allargandosi solo attraverso accordi di tipo federativo. In questo modo le classi
lavoratrici si autogoverneranno a livello locale con le loro regole, senza bisogno di tasse,
burocrazie, leggi e governi: «l’organizzazione federativa, dal basso in alto, delle associazioni
operaie di gruppo, di comune, di cantone e infine di regione e di nazione rimane l’unica
condizione di una libertà vera» (p. 22).
Da dove partirà la Rivoluzione Sociale? Non certo dalla Germania per i motivi già detti, ma
piuttosto dai paesi latini e da quelli slavi. Bakunin fa notare con soddisfazione come in Italia
e in Spagna il programma comunista-statalista di Marx non abbia avuto alcun successo,
mentre è stato accolto con entusiasmo il programma dei socialisti rivoluzionari che ha
dichiarato guerra a ogni autorità o potere governativo. In Francia, dopo la sconfitta militare
con la Germania e la repressione della Comune di Parigi, non è più possibile costruire un
potente Stato centralizzato, perché ogni traccia di patriottismo è scomparso tra i ceti
proletari e contadini.
Il luogo in cui le condizioni sono più favorevoli è l’Italia, dove predomina quel proletariato
estremamente povero, ingiustamente disprezzato da Marx e Engels, che Bakunin considera
protagonista della futura rivoluzione sociale. L’idea dello statalismo non può attecchire in
Italia perché contrario alla sua storia fatta di autonomie comunali e locali. Anche gli slavi,
dopo aver visto a quale miseria e spogliazione ha portato l’unificazione italiana fatta dal
Piemonte, dovrebbero unirsi nella rivoluzione sociale, abbandonando l’idea panslavista di
creare un unico Stato slavo sotto l’egida di una Grande Serbia.
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La liberazione dell’economia
Nemico di ogni gestione statalistica dell’economia, Bakunin afferma che le condizioni per
la prosperità di un popolo sono «l’intelligenza naturale e l’energia innata, l’istruzione, la
capacità di compiere un lavoro produttivo e la più estesa libertà» (p. 110). Egli attacca
furiosamente le grandi aziende capitalistiche, la grande proprietà terriera e la speculazione
finanziaria (che identifica spesso con l’ebraismo) principalmente perché sostenute dalla
centralizzazione del potere statale, ma non condanna il libero mercato e la proprietà
individuale, quando si sviluppano spontaneamente dal basso.
Egli infatti spiega che la Cina è rimasta arretrata rispetto ai paesi europei per il fatto di
essersi isolata per troppo tempo dai commerci internazionali, perché «il contatto diretto
con il mercato mondiale … fa progredire di più»; egli auspica il libero scambio tra tutti i
popoli del mondo al di là di ogni frontiera statale, per via mare e «per mezzo delle ferrovie
completamente liberate da ogni tutela statale, da ogni imposta, da ogni dazio,
regolamento, ostacolo, proibizione, permesso e ordinanza» (p. 110). Bakunin scrive anche
che l’unione doganale tedesca, abolendo tutte i dazi interni, ha apportato un grande
beneficio all’industria e al commercio della Germania, fino ad allora stagnante.
Se la borghesia alla guida degli Stati rappresenta il nemico giurato, egli rimpiange la vecchia
borghesia rivoluzionaria di un tempo, che in Olanda, in Inghilterra e negli Stati Uniti era
riuscita a edificare «una nuova civiltà antistatalista, ma borghese, economista e liberale»
(p. 62). Bakunin si rammarica anche della scomparsa dell’etica del lavoro e dell’«antica virtù
borghese basata sul risparmio, sulla sobrietà e sul lavoro» (p. 227). La borghesia attuale
cerca il rapido arricchimento per mezzo dello Stato e della finanza, che per sua natura è
conseguibile solo attraverso frodi o furti più o meno legalizzati.
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Duello con Marx
Tra Bakunin e Marx ci fu sempre un rapporto di rivalità e avversione reciproca. I due
rivoluzionari si scontrarono sul piano personale per stabilire la guida del movimento
internazionale dei lavoratori, e sul piano delle idee. Bakunin infatti rifiuta completamente i
grandi sistemi intellettuali degli hegeliani, dei positivisti e dei marxisti. Gli anarchici non
hanno nessuna intenzione di imporre al popolo una qualsiasi idea di organizzazione sociale
tratta dai libri o inventata dagli intellettuali, perché l’ideale deve scaturire dal popolo stesso
nel momento in cui assume l’iniziativa rivoluzionaria e si auto-organizza al di fuori di ogni
tutela. I rivoluzionari dottrinari guidati da Marx, questa minoranza di scienziati che
pretendono di rappresentare la volontà collettiva, sono invece i più ardenti difensori dello
Stato: «Sono nemici dei poteri attuali solo perché vogliono impadronirsene, sono nemici
delle istituzioni politiche attuali solo perché escludono la possibilità della loro dittatura» (p.
163).
È sulla finzione di questa pretesa rappresentanza del popolo che vogliono instaurare la loro
tirannia, la quale si differenzia dallo statalismo attuale solo per la forma esteriore. In realtà
è altrettanto reazionaria, perché conduce all’affermazione dei privilegi della minoranza
dirigente e alla schiavitù economica e politica della massa del popolo. I marxisti sostengono
che questa dittatura è una misura solo transitoria, ma in questo modo ammettono che, per
emancipare le masse popolari, dovranno prima di tutto soggiogarle. La storia però dimostra
che le dittature sono capaci solo di generare e coltivare la schiavitù nel popolo che le
subisce, e non possono avere altro fine che la propria perpetuazione.
Attraverso la Rivoluzione sociale gli anarchici vogliono distruggere lo Stato in quanto eterna
prigione delle masse popolari, mentre secondo i marxisti il popolo non deve distruggere lo
Stato, ma deve confermarlo, rafforzarlo e metterlo a disposizione di Marx e dei suoi
seguaci, che solo allora cominceranno a liberarlo a modo loro: «Centralizzeranno le redini
del potere in un pugno di ferro … istituiranno un’unica Banca di Stato che concentrerà nelle
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proprie mani tutto il commercio e l’industria, l’agricoltura e anche la produzione
scientifica, e divideranno la massa del popolo in due eserciti: uno industriale e l’altro
agricolo sotto il diretto comando degli ingegneri di Stato che formeranno una nuova casta
privilegiata politico-scientifica» (p. 214). Bakunin aveva già previsto, con mezzo secolo
d’anticipo, la via totalitaria che imboccheranno i regimi comunisti del Novecento.
CITAZIONI RILEVANTI
L’imbroglio della democrazia rappresentativa
«La differenza essenziale fra la monarchia e la repubblica più democratica consiste nel fatto
che nella prima il mondo burocratico opprime e taglieggia il popolo per il maggior profitto
dei privilegiati, delle classi proprietarie, e delle sue proprie tasche in nome del sovrano;
nelle repubbliche opprimerà e spoglierà il popolo nella stessa maniera a profitto delle
medesime classi, però in nome della volontà del popolo. Nella repubblica la cosiddetta
nazione, la nazione legale, soffoca e soffocherà sempre il popolo vivente e reale. Ma il
popolo non si sentirà affatto più sollevato quando il bastone che lo percuote prenderà il
nome di bastone del popolo» (p. 35).
Lo Stato predatore italiano
«Insieme all’unità statale si è venuta creando, sviluppando, estendendo sempre più l’unità
sociale della classe privilegiata degli sfruttatori del lavoro popolare. Questa classe viene
oggi genericamente definita in Italia la consorteria. La consorteria comprende tutto il
mondo ufficiale burocratico e militare, poliziesco e giudiziario; tutto il mondo dei grandi
proprietari, degli industriali, dei mercanti e dei banchieri, tutti gli avvocati … e l’intero
parlamento in cui la destra approfitta oggi di tutti i vantaggi offerti dall’amministrazione
mentre la sinistra aspira a impadronirsi di quella medesima amministrazione. Così in Italia
come ovunque impera la classe politica una e indivisibile dei furfanti che spogliano il paese
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in nome dello Stato e che lo conducono per il maggior profitto loro al più basso livello
di povertà e disperazione» (p. 43).
L’illusione rivoluzionaria
«Malgrado l’enorme sviluppo degli Stati moderni, anzi proprio in conseguenza di questo
loro estremo svolgimento che ha condotto, d’altronde in modo perfettamente logico e con
ineluttabile necessità, il principio stesso dello statalismo sino ai limiti dell’assurdo, i giorni
degli Stati e della cosiddetta centralizzazione sono contati e che si avvicina il giorno della
totale emancipazione delle masse dei lavoratori manuali e della loro libera organizzazione
sociale dal basso in alto, senza alcun intervento governativo, per mezzo di libere
associazioni economiche del popolo, indipendentemente da ogni frontiera di Stato e da
qualunque differenza nazionale» (p. 60).
Il dispotismo peggiore è quello degli intellettuali.
«Dalla sua stessa natura ogni scienziato è portato verso ogni sorta di perversione
intellettuale e morale e suoi vizi capitali sono l’esagerazione delle proprie conoscenze, della
propria intelligenza e il disprezzo di tutti coloro che non sanno. Dategli in mano il potere e
si trasformerà nel più insopportabile dei tiranni …. Diventare schiavo dei pedanti! Quale
destino per l’umanità! Date loro via libera e cominceranno a fare sull’umanità quei
medesimi esperimenti che in nome della scienza fanno oggi sui conigli, sui gatti e sui cani
… Il potere non si deve dare a loro né a nessun altro perché chi è investito di un’autorità si
trasformerà inevitabilmente, secondo una legge immutabile, in un oppressore e in uno
sfruttatore della società» (p. 160).
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L’AUTORE
Michail A. Bakunin (1814-1876) nasce nel piccolo villaggio di Prjamuchino, in Russia, il 30
maggio del 1814, da una famiglia di nobili proprietari terrieri. Studia filosofia a Mosca e in
Germania, ma l’evento che cambia la sua vita è la sollevazione del maggio 1849 a Dresda,
alla quale partecipa insieme a Richard Wagner. Bakunin passa poi il resto della sua vita nelle
prigioni tedesche e russe, in confino in Siberia e in esilio in Italia, in Francia e in Svizzera.
Nel 1872 il Congresso dell’Aja espelle Bakunin dall’Associazione Internazionale dei
Lavoratori per volere dello stesso Marx, sancendo la definitiva vittoria dei marxisti sugli
anarchici. L’anno successivo Bakunin scrive la sua unica opera completa, Stato e anarchia,
ma muore pochi anni dopo a Berna, il 1º luglio 1876.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Michail A. Bakunin, Stato e anarchia, Feltrinelli, Milano, 2013, traduzione dal russo di Nicole
Vincileoni e Giovanni Corradini, introduzione di Maurizo Maggiani, p. 205.
Titolo originale: Gosudarstvennost I Anarchia. Cast. I.
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