Ancora una volta ero io il curioso

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Ancora una volta ero io il curioso
Elisa Frisaldi
Ancora una volta
ero io il curioso
I viaggi di Luca Cavalli-Sforza
INDICE
9
Prefazione
11
Introduzione
21
Il mentore
31
L’Inghilterra
43
Il viaggio più bello del mondo
61
I pigmei
99
I boscimani
117
Stanford, l’epicentro di un viaggio durato quarant’anni
131
L’atlante delle grandi migrazioni
Prefazione
di Francesco Cavalli-Sforza
Perché si viaggia? Perché questo movimento senza fine, questo desiderio di guardare oltre l’orizzonte, che ha accompagnato l’uomo già
dalle origini, lo ha spinto fuori dalla sua culla africana fino ai limiti
della terraferma, gli ha fatto varcare gli oceani, esplorare ogni tratto
di mondo, fino a piantare le sue bandiere ai poli, scalare le montagne
più alte e scendere in fondo agli abissi? Raggiunti i confini del pianeta, ora guardiamo al cielo e studiamo i modi di abitare lo spazio,
impazienti forse di superare i limiti del sistema solare, quasi fosse un
recinto troppo stretto. Si direbbe che l’Ulisse di Omero, come quello
di Dante, siano sempre vissuti dentro di noi. Nell’età della pietra nascono le vie commerciali che traversano i continenti, nel Medioevo
torme di popoli migrano senza sosta, l’età moderna nasce sotto il
segno della ricerca di spazi nuovi. Oggi i popoli si riversano l’uno
nell’altro, decine di milioni di persone in cammino, spinte dalla fame
e dalle guerre come dalla ricerca di opportunità. C’è anche qualcuno
che è in viaggio con una speciale intenzione:
per imparare e imparare da coloro che sanno.
Ognuno ha la sua risposta, e quella di Luca, mio padre, è senz’altro la curiosità. Mi raccontava di una conversazione, avvenuta oltre
sessant’anni fa, con un suo grande maestro, Ronald A. Fisher, uno
dei creatori della teoria matematica dell’evoluzione. Fisher gli chiese:
«Perché si fa scienza?». Luca rispose: «Per curiosità». «No» replicò
Fisher, «per ambizione», lasciandolo quanto mai perplesso. So che
una risposta simile a lui non sarebbe mai passata per la mente. Anche nell’affermazione di Fisher può esserci molta verità, ma sembra
poco probabile che la curiosità non conti per nulla, benché abbia
dei costi. Per appagarla, per conoscere, bisogna lasciarsi la casa alle
spalle, viaggiare, correre dei rischi, toccare con mano popoli nuovi,
mangiare il loro cibo, dormire dove loro dormono, ballare, cacciare,
camminare insieme, e raccontarsi a vicenda. Bisogna che la fiducia
sia reciproca. Soprattutto quando si cerca di scoprire, come Luca ha
fatto così a lungo, cosa è nascosto nel loro sangue e cosa muove le
loro consuetudini e si manifesta nel loro stile di vita.
Ricordo quando, da bambini, la nonna raccoglieva noi fratelli per
aspettare la telefonata dei genitori dall’altra parte del mondo. Allora
le comunicazioni intercontinentali non erano una cosa immediata.
L’operatrice della società dei telefoni chiamava all’ora fissata per l’appuntamento, e dopo una mezz’oretta riusciva a mettersi in contatto
con l’interlocutore. Le voci arrivavano da oltreoceano con un ritardo
di parecchi secondi, attutite dalla grande distanza, eco di una presenza ma quasi fantasmi da un mondo sconosciuto. Come facevano
a giungere da così lontano?
Ci dev’essere qualcosa che si trasmette attraverso le generazioni
nell’impulso a viaggiare. Il padre di Luca scappò di casa a sedici anni,
da Peschiera del Garda, per raggiungere prima Londra poi Parigi poi
New York e quindi ogni capitale europea, imparando per strada l’arte
della tipografia e poi quella della pubblicità. I miei fratelli sono stati
in giro per il mondo da quando hanno finito gli studi: oggi uno vive
in Catalogna e l’altro nelle Filippine, mia sorella in Marocco. Anch’io
sono un nomade cronico. Agli amici che mi chiedono: «Ma come
fai a stare sempre in giro?», rispondo che mi sono cresciuti i pattini
a rotelle sotto la pianta dei piedi e non riesco più a restare fermo. La
voglia di scoprire ci ha messo tutti quanti in viaggio.
A volte mi è capitato di pensare che dobbiamo provenire da una tribù di cacciatori-raccoglitori che non si è mai adattata a uno stile sedentario di vita.
I viaggi di Luca sono andati ben oltre la curiosità e il gusto per l’esplorazione: il lavoro scientifico che li ha guidati ha permesso di ricostruire la diffusione di Homo sapiens nel mondo e la storia della
diversità umana. Ha posto le basi per lo studio di come si trasmette
la cultura e di come cambiano i costumi.
Questo libro rivolge lo sguardo a qualcuno di questi viaggi. Che una
stessa ispirazione accompagni il lettore come ciascuno di noi:
Quando ti metti in viaggio verso Itaca,
augurati che la strada sia lunga,
ricca di avventure, ricca di conoscenza.
(le citazioni in corsivo sono tratte da “Itaca” di Konstantinos Kavafis, 1911)
Ancora una volta ero io il curioso
INTRODUZIONE
10
“
Non ho bisogno di leggere romanzi per riempire il mio tempo.
È grazie alla saggistica e ai testi di storia che ho sviluppato il
mio senso critico. E poi c’è la poesia, che è fantasia e sentimento.
”
Quando racconta di un suo viaggio, Luca Cavalli-Sforza parte sempre dalla descrizione delle strade che ha percorso in quella particolare circostanza. L’immaginazione lo porta sulle tracce del suo passato,
spesso alla guida di una land rover e sempre con una curiosità ben
precisa da soddisfare.
Le strade sono sempre nuove e sempre diverse, ed è per questo che
gli restano così ben impresse: dai saliscendi di Rio de Janeiro ai percorsi strettissimi che costeggiano l’altopiano dell’Hoggar, in Algeria,
fino alle indimenticabili piste del Sahara, così larghe da non riuscire
a distinguerne i confini. Il filo rosso che percorre le pagine di questo
libro, e che cuce in un’unica trama parole e immagini, è proprio il
viaggio, da sempre aspetto irrinunciabile della sua vita. Il viaggio,
quindi, come manifestazione evidente del suo modo di essere e del
lavoro a cui ha scelto di dedicarsi: la ricerca scientifica. La curiosità
per tutto ciò che è nuovo è senza dubbio la motivazione che lo ha
spinto a spostarsi, e che lo ha aiutato a comprendere meglio il mondo
e se stesso.
D’altronde, secondo Cavalli-Sforza, uno scienziato non può non essere curioso: quando vede qualcosa di strano o imprevedibile deve
voler andare a fondo per capire di cosa si tratta. E se tale irrefrenabile desiderio di conoscenza è disinteressato, la curiosità rappresenta sempre un ottimo motore d’azione. Indipendenza di pensiero,
grande ottimismo, entusiasmo e un’eccellente conoscenza di inglese,
francese, tedesco e spagnolo hanno sempre favorito le esplorazioni
Luca Cavalli-Sforza, in compagnia dei
genitori, sale per la prima volta a bordo
del transatlantico Augustus
(maggio 1932).
Nella pagina precedente:
Luca Cavalli-Sforza sul Rex.
di Cavalli-Sforza nel mondo esterno. Esplorazioni che hanno seguito
scopi ben precisi, anche quando per essere portati a termine hanno
richiesto tempi lunghi.
Luca Cavalli-Sforza si è sempre innamorato delle culture straniere
che ha avuto modo di conoscere da vicino; confrontandole con la
propria ne ha sempre apprezzato i pregi e giustificato i difetti. Si è
costruito, anno dopo anno, un bagaglio culturale vario, sconfinato,
decisamente unico.
Se disegnassimo una mappa dei suoi spostamenti, a partire da Genova, la città in cui è nato il 25 gennaio 1922, fino ad arrivare a Villa
Buzzati San Pellegrino, nel bellunese, a colpo d’occhio si vedrebbe un
intreccio molto articolato che tocca entrambe le estremità laterali del
planisfero, dalla California alle isole Filippine, per infittirsi nel cuore,
all’altezza del continente africano.
Se poi ci soffermassimo a decifrare quella mappa, un po’ alla volta comparirebbero i nomi di un numero incredibile di città: Torino,
Como, New York, Buenos Aires, Rio de Janeiro, Exeter, Londra, Pavia, Berlino, Francoforte, Cambridge, Val Parma, Madison, Stanford,
Kyoto, Pechino, Mosca, Bangkok, Reykjavik e così via.
Questo volume fotografico raccoglie alcuni dei viaggi più significativi di Luca Cavalli-Sforza (quelli che lo hanno portato a ricostruire
tassello dopo tassello la storia dell’evoluzione umana) e ne restituisce
esperienze, ricordi e riflessioni.
Gli scatti fotografici personali, da quelli dei colleghi e degli amici con
cui ha lavorato a quelli delle popolazioni studiate, fino ai suggestivi
paesaggi africani, accompagnano l’immaginazione del lettore nel ricomporre il ritratto vivido e inedito di uno dei più influenti e acuti
intellettuali del ventesimo secolo.
Ancora una volta ero io il curioso
Introduzione
3
Avvicinandosi a Liberty 2
Island, a bordo del Rex.
New York 3
(1936).
Un episodio in particolare, quasi come una sorta di imprinting, ha
dato corpo a questa sua irrefrenabile curiosità di conoscere il resto
del mondo: la prima avventura oltreoceano, a bordo del transatlantico italiano Rex, il più grande mai costruito nel nostro paese. La
meta era New York, e il viaggio prevedeva sedici giorni di traversata,
andata e ritorno, e tre di permanenza in città. Luca allora aveva quattordici anni, e raggiunse l’America insieme a un gruppo di coetanei,
tutti in divisa da marinaretti balilla. Era il 1936, e il partito nazionale
fascista aveva istituito un’organizzazione che seguiva i giovani dai sei
ai diciassette anni d’età, e che l’anno successivo gli avrebbe permesso
di visitare i porti atlantici dell’America meridionale a bordo di un’altra bellissima nave, l’Augustus. Potremmo dire che il contatto con
una metropoli cosmopolita sia stato una sorta di rivelazione di quanto poco in realtà conoscesse del mondo, lasciandogli la curiosità di
scoprirlo con i propri occhi nel corso degli anni successivi.
Ancora oggi New York è una città che evoca in Cavalli-Sforza potenti
suggestioni e ricordi. Adora tornarci in primavera e in autunno, e
soffermarsi a Manhattan per solitarie e rilassanti passeggiate a Central Park e vicino alla Rockefeller University, lungo l’East River, dove
in più occasioni ha tenuto le sue lezioni di genetica.
Nel 1942, durante il quarto anno di medicina da allievo interno del
collegio Ghislieri di Pavia, Cavalli-Sforza incontrò il professor Adriano Buzzati Traverso, il miglior genetista italiano di allora. Grazie ai
libri che gli prestò, Cavalli-Sforza ebbe modo di conoscere e appassionarsi allo studio della genetica dei microrganismi e di popolazioni, imparando le tecniche e le basi della professione di ricercatore.
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Introduzione
4 Alba e Luca, i coniugi
Cavalli-Sforza
(febbraio 1958).
5 I fratelli Cavalli-Sforza
nei primi anni Sessanta;
da sinistra Tommaso,
Violetta, Matteo
e Francesco.
6 Albamaria
Ramazzotti.
5
6
4
Nell’estate del 1943 Buzzati invitò Cavalli-Sforza nella villa di famiglia, subito fuori Belluno, per lavorare con lui ad alcuni esperimenti sulla genetica di popolazioni del moscerino della frutta,
la Drosophila melanogaster. In quei luoghi oggi così familiari conobbe Dino Buzzati, fratello di Adriano, e incontrò e s’innamorò
della loro bellissima nipote, Albamaria Ramazzotti, che sposò, a
soli ventitré anni, il 12 gennaio 1946. Matteo, Francesco, Tommaso
e Violetta, i loro quattro figli, sarebbero arrivati nei dieci anni successivi. Albamaria è sempre stata vicina a Luca nelle fasi di ambientazione dei viaggi più importanti, soprattutto di quelli che hanno
preceduto il trasferimento con tutta la famiglia, a Cambridge prima
e a Stanford poi. Così come, grazie alla formazione scientifica e alla
laurea in scienze naturali, lo ha in più occasioni affiancato nell’attività di laboratorio, come all’Istituto di Idrobiologia di Pallanza,
al Sieroterapico di Milano e all’Università di Stanford. Stabiliti i
punti fermi della sua vita, Cavalli-Sforza era pronto per dedicarsi
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al suo viaggio lavorativo più lungo, iniziato circa sessant’anni fa:
la ricostruzione dell’evoluzione umana a partire dalle informazioni genetiche custodite nel Dna delle popolazioni viventi, seguendo
l’ipotesi, oggi ampiamente confermata, che tutti discendiamo da
un unico gruppo umano ancestrale. Un percorso scientifico di tale
portata non può prescindere dalla collaborazione con colleghi di
numerose altre discipline: statistica, antropologia, linguistica, archeologia, storia, geografia umana, economia e demografia.
L’approccio multidisciplinare è un aspetto fondamentale del lavoro
di Cavalli-Sforza, che ama confrontarsi con persone molto diverse
da lui, convinto che le migliori collaborazioni siano quelle in cui
ciascuno impara dall’altro, cogliendo l’opportunità di approfondire
la conoscenza di ambiti del sapere differenti dal proprio. A Cavalli-Sforza va il merito di aver contribuito in modo fondamentale a
tracciare un nuovo e originale ponte tra la cultura scientifica e la
cultura umanistica.
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Introduzione
Violetta. 7
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In ordine dall’alto: 8
Violetta, Matteo,
Francesco e Tommaso
(Natale 1970).
Luca studia le colonie 9
batteriche cresciute
all’interno della
piastra di Petri.
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