Conigli e boa - 10 righe dai libri

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Conigli e boa
FAZil’ iSkANDeR
Traduzione di Denise Silvestri
Postfazione di Mario Caramitti
ROMANZO
Titolo dell’opera originale
Кролики и удавы
© 1982, 1987, 2014 by Fazil’ iskander. Published by arrangement with elkost intl. literary
Agency.
Traduzione dal russo di Denise Silvestri
Postfazione di Mario Caramitti
© Atmosphere libri
Via Seneca 66
00136 Roma
www.atmospherelibri.it
atmospherelibri.wordpress.com
[email protected]
Redazione a cura de il Menabò (www.ilmenabo.it)
i edizione nella collana Biblioteca dell’acqua aprile 2015
iSBN 978-88-6564-142-2
Published with the support of international Project of the Mikhail Prokhorov Foundation
Questa storia accadde tanto, tantissimo tempo fa, in un paese molto,
moltissimo a sud, per dirla breve, in Africa.
In quel caldo giorno d’estate due boa adagiati su una grossa pietra
ricoperta di muschio si scaldavano al sole, digerendo in pace due conigli ingoiati poco prima. Uno era un vecchio boa con un occhio solo,
conosciuto fra i consimili con il soprannome di Strabico, anche se lui
aveva un occhio solo e strabico non era...
L’altro era un boa fanciullo e un soprannome non l’aveva ancora.
Nonostante la giovane età, ingoiava abbastanza bene i conigli e per
questo dava già discrete speranze. Comunque sia, fino a poco tempo
prima, si nutriva di topi e pulcini di tacchino, mentre adesso era passato ai conigli, il che, considerata la giovane età, era già un notevole
successo.
Intorno ai boa impegnati a riposarsi si estendevano folte foreste
tropicali, dove crescevano palme da cocco giganti, banani e noci. Vi
svolazzavano farfalle grandi come piccoli uccellini, e uccellini grandi
come grosse farfalle. Pappagalli, dal piumaggio variopinto, volavano di
albero in albero, non smettendo di cicalare nemmeno in volo.
A volte, sulle cime degli alberi, scricchiolavano i rami, e strillavano
le scimmie, dopodiché riecheggiava il ruggito assonnato di un leone
che sonnecchiava nelle vicinanze. Sentendo il ruggito, le scimmie si
mettevano a bisbigliare, ma poi se ne dimenticavano e riattaccavano
a strillare, così il leone tornava a ricordare loro che lo stavano disturbando e che al calar della sera avrebbe ripreso la caccia.
Le scimmie si rimettevano a bisbigliare, senza riuscire a tacere in
nessun modo. Discutevano sempre di qualcosa, ma su cosa si dividessero non si capiva proprio.
Del resto, i due boa distesi a riposare sulla pietra coperta di
muschio di quegli strilli non si curavano.
“Sarà qualche sciocchezza” pensavano, cogliendo di tanto in tanto,
di passaggio, il chiasso delle scimmie “litigheranno per spartirsi qualche banana marcia...”
«C’è una cosa proprio che non riesco a capire» disse il boa fanciullo, che solo da poco aveva imparato a ingoiare i conigli «perché
quando li guardo i conigli non scappano... eppure sanno correre tanto
veloci».
«Come perché?» si meravigliò lo Strabico. «Perché li ipnotizziamo...»
«E che significa “ipnotizzare”?» domandò il boa fanciullo.
Bisogna dire che ai tempi lontani di cui stiamo narrando i boa non
soffocavano ancora la propria vittima; quando la incontravano, o meglio, quando riuscivano a coglierla a una distanza abbastanza ravvicinata, le provocavano con lo sguardo quel torpore che il popolo chiama
ipnosi.
«E che significa “ipnotizzare”?» dunque aveva chiesto il boa fanciullo.
«A risponderti di preciso ho qualche difficoltà» disse lo Strabico,
che strabico non era, ma aveva un occhio soltanto «comunque, se
guardi un coniglio abbastanza da vicino, lui non può più muoversi».
«E perché non può più muoversi?» si stupì il boa fanciullo. «Io, per
esempio, a volte li sento muoversi persino nella pancia...»
«Nella pancia possono» annuì lo Strabico «purché vadano nella
direzione giusta».
A quel punto lo Strabico si agitò un po’ sul posto, cercando di
smuovere il coniglio ingoiato, perché quello all’improvviso si era bloccato, come fosse in ascolto della loro conversazione.
Si dà il caso che nella vita di quel vecchio boa fosse accaduto un
fatto sfortunato, che gli aveva causato la perdita di un occhio, lasciandolo vivo per un pelo. Ogni volta che ne parlava, il coniglio che
aveva appena ingoiato gli si bloccava nella pancia, costringendolo ad
agitarsi un po’ per farlo smuovere. Le domande del boa fanciullo gli
avevano rammentato di nuovo quel fatto che lui non amava ricordare.
«Però non capisco proprio» domandò il boa fanciullo dopo
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qualche istante «perché il coniglio non può muoversi quando noi lo
guardiamo?»
«Be’, come faccio a spiegartelo?» esitò lo Strabico. «Così è la vita,
si tratta solo di un’antica e piacevole usanza...»
«Piacevole per noi, naturalmente» approvò il boa fanciullo, pensieroso «ma per i conigli non è forse spiacevole?»
«Probabile» rispose lo Strabico dopo un attimo di pausa. In fondo,
lo Strabico, per essere un boa, era fin troppo buono, ma non abbastanza da rifiutare la carne tenera dei conigli.
Per i conigli faceva tutto il possibile: si sforzava di ingoiarli in
modo da causare loro la minor dose di dolore, per cui, alla fine, ne pagava lui stesso lo scotto.
«Dunque, è davvero possibile che i conigli» proseguì il boa «non
tentino mai di ribellarsi contro questa usanza per loro spiacevole?»
«Un tentativo c’è stato» rispose lo Strabico «ma è meglio se non ne
parliamo, per me è un ricordo spiacevole...»
«Su, per favore» lo pregò il boa fanciullo «ho voglia di ascoltare
qualcosa di interessante!»
«Il fatto è» rispose lo Strabico «che si ribellò proprio un mio coniglio, ragion per cui sono rimasto con un occhio solo».
«Che ha fatto, te l’ha cavato?» si meravigliò il boa fanciullo.
«Non direttamente, ma è stata comunque colpa sua se sono rimasto senza un occhio» disse lo Strabico, cercando di capire se le sue parole influenzassero il movimento del coniglio che aveva nella pancia.
Ecco, il coniglio sembrava muoversi...
«Racconta» lo pregò di nuovo il boa fanciullo «mi piacerebbe
molto sapere com’è andata...»
Lo Strabico era un boa molto vecchio e molto solo. I boa adulti lo
trattavano con scherno o con ostilità, ragion per cui ci teneva molto
al rapporto di amicizia che aveva con quel boa fanciullo eppure già
tanto abile.
«D’accordo» acconsentì lo Strabico, «te lo racconto solo se tieni
presente che è un segreto, i boa più giovani non devono saperlo».
«Non lo sapranno!» giurò il boa fanciullo, come tutti quelli che
giurano in casi simili, scambiando il fuoco della propria curiosità per
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ardente fedeltà nel giuramento.
«Successe circa settant’anni fa» esordì lo Strabico. «Allora ero poco
più vecchio di te. Quel giorno mi ero appostato in attesa di un coniglio all’Abbeverata dell’Asino e lo avevo inghiottito tranquillamente.
All’inizio andava tutto bene, ma poi, quando il coniglio giunse a metà
della mia pancia, si alzò all’improvviso sulle zampe posteriori, puntandosi con la testa contro il mio dorso e...»
A quel punto lo Strabico interruppe di colpo il racconto, mettendosi di nuovo in ascolto.
«Si puntò con la testa contro il tuo dorso, e poi?» domandò il boa
fanciullo con impazienza.
«Ho l’impressione che ci stiano origliando» disse lo Strabico, rivolgendo il profilo con cui vedeva dalla parte dei cespugli di rododendri accanto ai quali erano distesi.
«No» obiettò il boa fanciullo, «hai quest’impressione perché ci
senti male. Continua a raccontare!»
«Sono strabico, non sordo» brontolò il vecchio boa, ma a poco a
poco si tranquillizzò. “A quanto pare” pensò “ho confuso il fruscio del
vento fra i cespugli di rododendri per il movimento di un essere vivente”.
E proseguì il suo incredibile racconto. Poiché si interrompeva
spesso, ora smuovendo il coniglio dentro di sé, ora sospettando che
qualcuno origliasse, cosa su cui il boa fanciullo non concordava in nessun modo, giacché le preoccupazioni per un segreto altrui sembrano
sempre esagerate, riporteremo questa storia più in breve.
E senza temere che qualcuno origli, ed è piacevole, ammettiamolo,
fare i coraggiosi con i segreti altrui, racconteremo ogni cosa come avvenne.
Dunque, lo Strabico, che allora non era né vecchio né strabico,
aveva inghiottito un coniglio all’Abbeverata dell’Asino. E sul serio all’inizio stava andando tutto liscio come l’olio, ma poi il coniglio, d’un
tratto, si era alzato sulle zampe posteriori e dentro gli aveva puntato
la testa contro la schiena, dando a intendere che da lì non si sarebbe
mosso.
«Che fai?» gli disse lo Strabico. «Mi prendi in giro? Fatti digerire
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e prosegui oltre!»
«Lo faccio apposta» gli gridò il coniglio da dentro la pancia «me
ne sto qui in piedi!»
«Fai del bene al prossimo...» disse lo Strabico e, dopo averci riflettuto, aggiunse: «Vediamo se resisti...»
E cominciò a dare colpi con la sua giovane coda ancora elastica e
forte. Sbatti, sbatti, era lui a farsi male, mentre al coniglio non succedeva nulla.
«Non mi hai fatto niente, non mi hai fatto niente!» gridava quello
dalla pancia.
“In effetti” pensò il boa “ho la pelle spessa e tutto il male che destino a questo mascalzone finisce a me”.
«D’accordo» disse lo Strabico, ancora calmo «adesso ti strappo
fuori di lì...»
Si guardò intorno, avvistò un’enorme palma da cocco con una radice scoperta da un acquazzone che si inarcava sopra il terreno. Strisciò con cautela sotto la radice fino al punto in cui il coniglio duro a
morire gli allargava la pancia.
«Mettiti giù!» gridò. «O ti schiaccio!»
«Schiacciami!» gli rispose il coniglio rabbioso dall’interno. «Ora
mi impunto di più!»
Così il boa andò su tutte le furie e prese a dimenarsi con forza
sotto la radice: su e giù! Su e giù!
La palma si scuoteva, le noci di cocco volavano a terra, ma il coniglio se ne fregava!
«Forza!» gridava. «Ancora» gridava. «Non ce la fai!» gridava.
Lo Strabico scosse a tal punto la palma dalla rabbia, che all’improvviso una scimmia, che incuriosita dal suo strano comportamento
era intenta a osservarlo, gli cadde in testa. Il colpo fu davvero considerevole, essendo la scimmia volata dal punto più alto della palma. Il
boa provò a morderla, ma lei, dopo essergli stramazzata in testa, fece
in tempo a balzare da una parte. Lui si dimenò cercando di inseguirla,
ma il coniglio in piedi nella sua pancia non gli permetteva di raggiungerla.
Già abbastanza offeso dal comportamento del coniglio, e ora
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disonorato dalla scimmia che gli era caduta in testa, il boa fu preda di
una rabbia incontrollata: scartò al punto da spezzare la radice e batté
con violenza la testa contro un albero di bosso che cresceva lì accanto,
perdendo i sensi.
Si riebbe più o meno dopo un’ora e, sollevato il capo, si guardò
intorno. Sebbene gli rimbombasse la testa, riusciva comunque a sentire accanto a sé il caro sibilare dei suoi cari boa. Lo avevano saputo,
dunque, e strisciati fin lì discutevano fra loro...
«Se sei sfortunato» bisbigliò uno di essi «ti strozzi con un coniglio...»
«E c’è ancora chi ci invidia» disse un altro noto fra i boa perché abituato a vedere tutto nero.
«Amici» si lamentò lo Strabico «è rimasto schiacciato, si è spostato?»
«Di un palmo di scimmia, circa» disse un boa che si trovava lì vicino.
«Dipende da quale scimmia» s’intromise d’un tratto una bertuccia dall’alto della palma «fosse un orango, non si sarebbe spostato neanche di un quarto di palmo...»
«Il coniglio non è né rimasto schiacciato né si è spostato» sostenne
il boa abituato a vedere tutto nero. «In piedi come una pertica era,
così è rimasto...»
«Amici» li supplicò lo Strabico «aiutatemi...»
«Che fatti tremendi» si udì all’improvviso la voce dell’imperatore
dei boa, il Grande Pitone «un cattivo esempio è contagioso... Le scimmie si sono già messe a darci consigli...»
«Perché? Le scimmie sono forse peggiori degli altri?» rispose la
bertuccia dalla palma, brontolando. «Non appena succede qualcosa,
subito le scimmie, le scimmie...»
Sentendo la voce del Grande Pitone, il povero Strabico cadde in
preda al terrore e si dimenticò persino delle sue sventure.
Si dà il caso che, comparendo in mezzo ai boa, il Grande Pitone avesse pronunciato l’inno di battaglia, che tutti i boa, in
segno di devozione, dovevano ascoltare alzando la testa. Ecco le
parole di quell’inno breve ma a suo modo abbastanza espressivo:
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Discendenti del Dragone.
Eredi di gloria,
Pupilli del Pitone,
Giovani boa,
di conigli ingoiati il dolce fardello
portate! Così vuole il futuro più bello!
Il Grande Pitone considerava giovani tutti i boa, persino quelli più
vecchi di lui. Un boa che avesse l’ardire di ascoltare il suo saluto senza
sollevare la testa ci rimetteva la vita da traditore.
Ecco perché lo Strabico, che strabico ancora non era, sentendo la
voce del Grande Pitone, era inorridito: in stato di incoscienza durante
la declamazione dell’inno, non aveva potuto sollevare la testa.
In realtà si era spaventato senza motivo. L’abitudine ad alzare la
testa al suono dell’inno era così forte che persino in stato di incoscienza, alle prime note, l’aveva sollevata insieme a tutti gli altri boa.
Su proposta del Grande Pitone i boa si misero a discutere su come
salvare il loro simile sfortunato. Un boa gli propose di strisciare fino
alla cima della palma più alta e da lì gettarsi al suolo, così da spiaccicare l’insolente.
«Figuratevi, amici» li implorò il sofferente «adesso non ce la farei
a strisciare fin lassù... ma se anche lo facessi, non cadrei di sicuro nel
punto giusto... Non ho proprio fortuna...»
«È vero, non salire» disse il Grande Pitone. «Qualche altra proposta?»
«E lasciare uscire il coniglio e buonanotte?» pronunciò titubante
uno dei boa.
Il Grande Pitone ci rifletté.
«Da un lato, sarebbe una via d’uscita» disse «ma dall’altro lato, le
fauci del boa sono l’entrata, non l’uscita...»
«Ma noi non lo lasceremmo andare» si fece coraggio il boa che
aveva fatto quella strana proposta. «Non appena salterà fuori, ce lo lavoreremo subito».
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«Io piuttosto di un coniglio così rabbioso, mi ingoio un istrice»
disse il boa abituato a vedere tutto nero.
«Silenzio» intimò il Grande Pitone «sibilate piano, non dimenticate che il nemico è al nostro interno... O almeno all’interno di uno
di noi... In tutta la vita, a me, grazie a Dio, e di anni ne ho duecento,
è capitato solo una volta che un coniglio balzasse fuori dalle fauci di
un boa».
«Racconta» cominciarono a chiedergli i boa «non ne abbiamo mai
sentito parlare».
«Amici» gemette lo Strabico «decidete in fretta, non ho già più la
forza di sopportare».
«Aspetta» rispose il Grande Pitone «dammi il tempo di raccontarlo al mio popolo... Accadde ai tempi in cui fra i boa andava per la
maggiore un gioco chiamato “Coniglio contro coniglio fino al coniglio successivo”».
«E com’era questo gioco?» gridarono i boa. «Raccontacelo!»
«Amici» li supplicò di nuovo lo Strabico, ma nessuno lo ascoltava
più. Di solito, quando il Grande Pitone cominciava a ricordare qualcosa accaduto nel passato era difficile farlo smettere.
Del resto, un tempo quel gioco fra i boa andava davvero per la
maggiore. Un boa, che aveva ingoiato un coniglio, trovava un altro
boa, che aveva a propria volta ingoiato un altro coniglio, e gli proponeva:
«Coniglio contro coniglio fino al coniglio successivo?!»
«Va bene» rispondeva il secondo boa, se accettava di giocare. In
base al gioco i due boa si posizionavano l’uno accanto all’altro e, al via
di un terzo che faceva da giudice, i conigli cominciavano a correre
dentro i boa, dalla coda alla testa, e poi indietro. Vinceva il coniglio
che si dimostrava più svelto. La corsa dei conigli dentro i boa era facile da seguire, poiché la schiena dei boa oscillava e ondeggiava seguendo il movimento dei conigli. La cosa buffa era che a dare il via
alla corsa era il boa incaricato di fare da giudice, il quale, cambiando
voce, ai conigli gridava:
«Scappate, conigli, il boa è vicino!»
Al che entrambi i conigli, i quali tornati in sé dall’ipnosi non
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ricordavano mai cos’era accaduto loro, cominciavano ad agitarsi dentro i boa. Pensavano di essere caduti in qualche strana tana, della quale
bisognava trovare l’uscita.
Il boa, il cui coniglio si dimostrava più svelto, veniva decretato vincitore. Come ricompensa lo sconfitto doveva trovargli un coniglio, ipnotizzarlo e, dopo essere strisciato da una parte con modestia, lasciare
che fosse il vincitore a inghiottirlo. Era una tortura infernale. Alcuni
boa dopo due, tre sconfitte non reggevano più e si ammalavano di
malattie nervose.
A detta del Grande Pitone, quel gioco aveva la particolarità che
più un boa vinceva più il suo stomaco si distendeva con forza, e più il
suo stomaco si distendeva con forza più facile diventava per il coniglio successivo correrci dentro e, di conseguenza, più possibilità aveva
quel boa di vincere.
Fra i boa, a quanto pare, c’era persino un campione che preparava
il proprio stomaco al punto che costringeva un capretto a correrci
dentro.
«Imperatore, Imperatore» lo interruppe all’improvviso un boa-tappetto.
Tra i boa era conosciuto per la sua curiosità indefessa, che lo aveva
portato al punto di ingoiare banane al posto dei conigli, con l’insolenza per giunta di credere che fossero assai gustose. Per fortuna, nessuno dei boa aveva seguito quel libertinismo. Tuttavia, al Grande
Pitone il Tappetto era sgradito, lo considerava un mostro di immoralità.
«Imperatore, Imperatore» domandò il Tappetto «che succedeva,
se, per esempio, io ero corto e un altro, per esempio, lungo?.. Dentro
di me un coniglio non farebbe più in fretta a correre dalla testa alla
coda?»
«Uhhh, Tappetto» si mise a sibilargli contro il Grande Pitone «perché devi sempre fare paragoni? Non pensare che un tempo i boa fossero più stupidi di te. Se capitava che uno dei boa era più lungo, lo
piegavano per farlo diventare più corto».
A quel punto i boa erano giunti a un felice stato di eccitazione,
tanto era piaciuto loro il racconto dell’imperatore, e ritenevano
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straordinariamente eque le regole di quel gioco antico.
«Evviva l’Imperatore e i suoi ricordi!» si misero a gridare. «Vogliamo giocare a quel gioco meraviglioso!»
«Purtroppo, è impossibile» disse il Grande Pitone con tristezza,
aspettando che facessero silenzio.
«Perché?!» si misero a chiedere i boa con malinconia. «Ci limiti
sempre! Vogliamo anche noi che i conigli ci corrano dentro».
«Perché accadde un grave incidente» disse l’imperatore «dopo il
quale fu necessario limitare la libertà di movimento dei conigli dentro i boa».
«Succede sempre così» brontolò il boa abituato a vedere tutto nero
«limitano la libertà dei conigli ma a soffrire sono i boa».
«Si dà il caso che» proseguì il Grande Pitone «durante il gioco, o
uno dei boa spalancò troppo le fauci, o il suo coniglio schiumò troppo
sudore, fatto sta che inaspettatamente l’ingoiato gli balzò fuori di
bocca e scappò nel bosco».
«Incredibile!» esclamarono all’unisono alcuni boa.
«Che vigliacco!» scuotevano la testa e sibilavano gli altri.
«Incredibile, ma vero» raccontava il Grande Pitone «quelli furono
i giorni più bui della nostra storia. Non era chiaro che cosa avrebbe
raccontato il coniglio fuggitivo della nostra struttura interna. Come
avrebbero preso quelle parole gli altri conigli. Naturalmente furono
adottate misure per la sua cattura, fu annunciata una ricompensa, ma
la corruzione dilagava già anche nelle file dei boa. Dopo qualche
tempo cominciò a giungere una notizia dopo l’altra, che quello o quell’altro boa avesse catturato il coniglio criminale e se lo fosse lavorato.
Ma proprio perché il coniglio fuggitivo era uno, mentre le notizie sul
suo inghiottimento molte, era difficile credere che fosse stato catturato. Poi, però, a poco a poco ci tranquillizzammo. Dopo tutto, dalla
parte dei conigli non si manifestava una resistenza organizzata. Non
era da escludere che il coniglio fuggitivo fosse stato preso da qualche
modesto boa di periferia, il quale l’aveva inghiottito, non solo senza
reclamare la ricompensa, ma senza rendersi nemmeno conto di chi
fosse. Dopo qualche tempo giustiziammo il boa-sbadato, e la vita riprese il suo ritmo normale. Quel gioco troppo azzardato, però, si
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dovette proibire, così come il prolungamento contro natura della vita
dei conigli dentro i boa. Bisognava inghiottire e lavorare il coniglio,
senza troppe cerimonie...»
Il Grande Pitone rimase in silenzio, ricordando i magnifici dettagli dell’esecuzione del boa-sbadato. Gli sarebbe piaciuto che qualcuno
gli domandasse di quell’esecuzione, ma nessuno lo faceva, così sussurrò a uno dei suoi aiutanti di organizzare una domanda fra i boa
gregari.
«Un gruppo di boa vorrebbe sapere» risuonò infine «come fu giustiziato di preciso il boa-sbadato?»
«Domanda originale» annuì il Grande Pitone «fu uno spettacolo
magnifico... Adesso abbiamo abolito quel tipo di esecuzione e, francamente, penso sia stato un male. La condanna si basava sull’autocannibalismo. Al boa non veniva dato da mangiare per due mesi,
dopodiché gli si infilava nelle fauci la sua stessa coda. Difficile immaginarsi qualcosa di più educativo. Da un lato, il boa capisce che
quella è la sua stessa coda e gli dispiace inghiottirla, dall’altro, però, essendo lui un boa, non può non ingoiare ciò che gli capita tra le fauci.
Da un lato, autodivorandosi, si annienta, dall’altro, nutrendosi di se
stesso, prolunga il suo supplizio. Alla fine di lui resta in pratica solo
la testa, che viene fatta a pezzi a colpi di becco da avvoltoi e corvi».
«Che spettacolo tremendo!» esclamarono alcuni boa. Mentre altri,
in silenzio, si guardavano la coda di sbieco.
«Ci mancava un’altra ansia» disse il boa abituato a vedere tutto
nero. «Adesso, arrotolandomi, penserò: “E se all’improvviso la coda
mi finisse per caso in bocca?”».
«State tranquilli» disse il Grande Pitone, «da allora nemmeno un
boa si è lasciato scappare da dentro un coniglio».
«Ma che cosa barbara!» esclamò all’improvviso il Tappetto, affacciandosi appena da dietro le file lontane.
I boa non fecero in tempo a proferir parola su quel grossolano attacco, che udirono qualcosa di impensabile.
«Mascalzone!» risuonò all’improvviso la nitida voce di qualcuno.
Tutti i boa cominciarono a guardarsi tra loro con diffidenza, cercando
di intuire chi avesse osato pronunciare quella parola tanto oltraggiosa.
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Lo Strabico, del quale a quel punto tutti si erano dimenticati, si
rese conto con terrore che si trattava della voce del coniglio da lui ingoiato con tanto insuccesso. Sapeva di avere la piena responsabilità
per il comportamento del coniglio dentro di sé e per quella ragione rimase inorridito.
A ogni buon conto, siccome gli altri boa non indovinavano chi
avesse gridato, cominciò a guardarsi intorno come cercando anche lui
chi avesse oltraggiato l’imperatore.
«Chi ha detto “mascalzoni”?!» sibilò con voce spaventosa il Grande
Pitone, osservando le file dei suoi pupilli, che imbarazzati nascondevano la testa nell’erba. «Non sarai stato tu, Tappetto?!»
«Io ho parlato di barbarie, non ho detto “mascalzone”» sottolineò
il Tappetto, in tono beffardo.
Il Grande Pitone aveva pronunciato di proposito la parola offensiva al plurale, in modo che riguardando più boa, lui, il Grande Pitone,
finisse per spartirne l’offesa con il numero di boa presenti. Suddividerla con gli altri la faceva apparire meno offensiva, anche se, a dire il
vero, la compagnia, in totale, poteva contenere in sé materia da mascalzone di gran lunga superiore alla quantità necessaria a raggiungere
la quota da mascalzone con ogni membro della compagnia, vale a dire
che ogni mascalzone di quella compagnia poteva contare su una quota
e mezzo di mascalzonaggine, sempre che ci si attenesse all’espressione
matematica della propria quota da mascalzoni.
A tal proposito, in seguito gli indigeni assimilarono quell’usanza
dei boa di dare all’offesa un senso dilatato per nascondere la propria
vigliaccheria, quando di un vigliacco si trattava, o la propria mascalzonaggine, come in quel caso, se la cosa riguardava un mascalzone.
Così, il Tappetto aveva ricordato che cosa aveva pronunciato lui
personalmente e che la parola offensiva era stata usata dall’ignoto oltraggiatore al singolare. Per non sottolineare l’attenzione su quello
spiacevole dettaglio, il Grande Pitone non stette lì a cavillare con lui.
«Mhm, Tappetto» si limitò a sibilargli contro «io ti riduco in cenere!»
«Mascalzone!» pronunciò di nuovo il coniglio dalla pancia dello
Strabico.
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«Ti prego, stai zitto» lo supplicava lo Strabico, raggelato dal
terrore.
«Non sono qui per starmene zitto!» disse ad alta voce il coniglio.
I boa circostanti guardavano lo Strabico con perplessità, senza capire
in alcun modo perché quel fallito osasse parlare con tale ultima sfrontatezza. Tutti loro, ormai appassionati al racconto del Grande Pitone,
si erano dimenticati che dentro lo Strabico c’era un coniglio ribelle.
«Allora sei tu?!» sibilò infine il Grande Pitone, rivolgendosi allo
Strabico, che strabico non era ancora, sebbene fosse molto vicino a
diventarlo.
«Non sono io, è dentro di me» ammise lo Strabico con terrore.
«Sdoppiamento della personalità?!» tirò a indovinare il Grande
Pitone, con aria infastidita. Tra i boa era considerata una malattia di
cui vergognarsi.
«Оh Imperatore» lo pregò lo Strabico «immergendovi come sempre nel grande passato, vi siete dimenticati che io ho dentro di me un
coniglio».
«E allora?» lo interruppe il Grande Pitone. «Anche io ne ho dentro uno, e non solo l’unico...»
Ma a quel punto uno dei suoi aiutanti si piegò verso di lui e gli sussurrò all’orecchio rammentandogli cos’era successo.
«Ah, sì» ricordò l’imperatore «dunque è stato quello a chiamarci
tutti mascalzoni?»
«Sì, sono stato io!» esclamò il coniglio insolente da dentro il boa
pietrificato dal terrore. «Tu sei il primo mascalzone fra i mascalzoni,
e oltretutto sei pure tonto!»
«Io un mascalzone?!» ripeté il Grande Pitone, non trovando le parole per la collera.
«Sì, sei un mascalzone!» prese a gridare con gioia il coniglio insolente.
«E tonto?!» ripeté il Grande Pitone, non credendo alle proprie
orecchie.
«Sì, sei tonto!» gridò il coniglio, con entusiasmo. Quella volta la
voce giunse particolarmente nitida, poiché il povero Strabico, irrigidito dal terrore, aveva spalancato le fauci.
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Calò uno spiacevole silenzio, durante il quale il Grande Pitone
non staccava gli occhi dallo Strabico.
«Il tuo stomaco è diventato la tribuna di un coniglio» disse in tono
minaccioso «ma sarai tu a pagare per questo, penoso invalido».
«Oh, mio Imperatore» lo supplicò il povero Strabico.
«Niente imperatore» rispose il Grande Pitone, inflessibile. «Un
boa da cui parli un coniglio non è boa che ci serva».
«Non lo è, non lo è» presero a sibilare i boa.
«Per questa ragione» proseguì il Grande Pitone, infine di nuovo
pienamente in sé «trascinatelo al Sentiero degli Elefanti. Visto che
questo penoso invalido non è stato in grado di schiacciare da solo quel
coniglio insolente, lo schiacceranno loro».
I boa della guardia del Grande Pitone afferrarono lo Strabico e lo
trascinarono verso il Sentiero degli Elefanti. Mentre lo portavano via,
il coniglio non smetteva di strillargli nella pancia.
«Conigli!» gridava. «Uno dei nostri è fuggito dalla pancia di un
boa! Ne ha parlato l’Imperatore stesso! Opponetevi ai boa! Anche
nella pancia! Fate come me!»
«Trascinatelo via più in fretta!» ordinò il Grande Pitone, al quale
la divulgazione di quel segreto tribale non piaceva per niente.
«Ci stiamo provando» rispondevano le guardie «ma questo si impunta...»
«Amici» sussurrò loro nel frattempo lo Strabico «abbiate pietà, assieme al coniglio gli elefanti schiacceranno anche me».
«Tu sei amico dei conigli» rispondevano le guardie, trascinandolo
nel cuore della giungla.
«Conigli!» continuava a giungere la voce insolente. «Un coniglio è
scappato dalle fauci di un boa! L’ha raccontato l’Imperatore stesso!»
«Hi-hi-hi» si udì d’un tratto la risata beffarda del Tappetto. «Diceva agli altri di sibilare piano, invece è stato lui a rivelare un segreto
tribale».
«Sei un degenerato» si limitò a rispondergli il Grande Pitone, per
non abbassarsi a discutere con il Tappetto «ti nutri di banane come
una scimmia».
«Perché, le scimmie sarebbero peggio di voi?» esclamò la bertuccia,
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affacciatasi dalla fitta chioma di un noce. «Non appena succede qualcosa, subito a prendersela con le scimmie».
Del resto, non appena il Grande Pitone aveva sollevato la testa,
quella era subito guizzata nella chioma verde e si era messa a sgranocchiare noci, scagliando giù i gusci di tanto in tanto, stizzita.
Le scimmie avevano rapporti complicati con i boa. Il fatto è che
le usanze dei boa permettevano loro di nutrirsene; tuttavia, essendo
quelle troppo pelose e ben poco saporite, nutrirsi di scimmie era considerata una pessima abitudine.
Aveva esposto quel punto di vista il Grande Pitone stesso più di
una volta, e le scimmie, se da un lato avevano interesse che le si considerasse poco gustose, dall’altro prendevano con dolore ogni accenno
a quella loro mancanza. Per questo vivevano, agendo con sottile astuzia e rispondendo in modo brusco alle singole ingiurie dei boa, mentre al contempo cercavano di conservare il punto di vista
predominante fra i boa stessi riguardo alle loro qualità di gusto.
«Ascoltate questo indovinello» disse il Grande Pitone, deciso infine a smorzare l’effetto delle grida insolenti del coniglio «è uno
scherzo... Quale coniglio può trasformarsi in boa?»
I boa si misero a pensare. Alcuni si convinsero che con l’aiuto di
quell’indovinello l’imperatore volesse scovare fra loro futuri traditori,
e per quella ragione, a ogni evenienza, decisero di tacere. Altri esposero ipotesi più o meno verosimili. Ma nessuno indovinò la risposta
corretta.
«Risposta! Risposta!» presero a gridare i boa.
«Va bene» disse il Grande Pitone «eccovi la risposta: può trasformarsi in boa un coniglio ingoiato da un boa».
«E perché mai, Imperatore?» domandarono gli altri.
«Perché un coniglio lavorato da un boa si trasforma in quel boa.
Dunque, i boa sono conigli allo stadio più alto del loro sviluppo. In
altre parole, noi siamo stati conigli e loro saranno boa».
«Ha-ha-ha!» risero tutti a quello scherzo del Grande Pitone. «Noi
siamo stati conigli. Che forza!»
«Lo dice la scienza» aggiunse il Grande Pitone, con modestia,
come scansando da sé gli sguardi fin troppo entusiasti dei boa.
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«Il Grande Pitone è sempre il Grande Pitone» dicevano gli altri,
strisciando e ricordando con piacere il saggio scherzo del loro imperatore. Per i boa era un piacere sentire che ingoiando i conigli i boa
non si limitavano a godere dei loro corpi teneri e della pelle sottile, ma,
a quanto pareva, elevavano anche i conigli stessi che, trasformandosi
in boa, venivano portati fino al loro livello.
Ma che cosa era successo al Sentiero degli Elefanti?
Lo Strabico non ricordava granché. Rammentava soltanto che i
boa lo avevano tenuto fermo finché gli elefanti non erano stati ormai
troppo vicini. Il coniglio dentro di lui urlava senza sosta che bisognava lottare contro i boa, persino quando ci si ritrovava nel loro stomaco.
Se gli fosse balzato fuori quando gli elefanti avevano cominciato
a calpestarlo, non lo ricordava, giacché aveva perso conoscenza non
appena assalito dal primo elefante.
Riprese di nuovo i sensi due settimane dopo, nella Stagione delle
Grandi Piogge, e si ritrovò sdraiato non troppo lontano dal Sentiero
degli Elefanti, dove evidentemente era stato buttato da qualche schizzinosa proboscide.
Il suo corpo era calpestato in alcuni punti, gli era rimasto un occhio solo, sebbene non potesse dire con precisione se glielo avessero
schiacciato per caso gli elefanti o se glielo avesse beccato qualche uccello dopo, quando lui era rimasto privo di conoscenza. Per qualche
ragione quel dubbio turbava terribilmente lo Strabico, sebbene in
quella situazione non gli mancassero le preoccupazioni. Chissà perché preferiva pensare che l’occhio gli fosse stato schiacciato dalle
zampe degli elefanti piuttosto che cavato a colpi di becco da qualche
uccello schifoso, che lo aveva confuso per un cadavere.
Il pensiero che qualche uccello gli avesse beccato l’occhio come un
chicco di grano, per qualche motivo non gli dava pace, mentre la sensazione di inedia non gli permetteva di allontanarsi. Così trascorsero
alcuni giorni, quando all’improvviso si posò su di lui un corvo, attirato
dalla sua posa immobile. Riuscì ad acciuffarlo l’istante in cui gli si
piazzò sulla testa per beccargli l’unico occhio rimasto. Da quel momento restò a terra immobile per qualche mese, con l’unico occhio
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rivolto verso il cielo. Durante quel tempo riuscì a catturare alcuni
avvoltoi e corvi, tentati dalla sua posa da cadavere.
Così lo Strabico sopravvisse, con il freddo stupore degli altri boa
e l’evidente malcontento del Grande Pitone. I suoi simili non lo toccavano e lo trattavano con disprezzo, perché, come aveva detto l’imperatore, un boa da cui parlava un coniglio non era boa che servisse
loro.
Il povero Strabico cercò di far notare che i conigli ingoiati a volte
si mettevano a parlare anche dallo stomaco di altri boa, ma questo
non gli fu d’aiuto.
«È una cosa del tutto diversa» gli dicevano «quello è delirio da ipnosi, mentre il tuo coniglio parlava in modo consapevole».
A tal proposito, ci siamo dimenticati di accennare che da quando
un coniglio era fuggito dalle fauci di un boa, era stata introdotta una
legge sulla lavorazione immediata del coniglio dopo il suo inghiottimento. Quella legge, in sostanza, si basava sull’integrità dei boa, non
essendo possibile verificare se un boa cominciasse subito a lavorarsi un
coniglio ingoiato oppure gli prolungasse la vita, allungando anche il
proprio piacere.
In breve, dopo tutto quello che era successo, gli altri boa cercavano di evitare lo Strabico. Non lo toccavano, e non gli rivolgevano
quasi nemmeno la parola. Lo Strabico ci soffriva perché ogni essere
vivente ha l’esigenza irrefrenabile di rapportarsi con i suoi simili. Per
la stessa ragione, quel giorno che si trovava accanto al boa fanciullo,
gli stava raccontando apertamente tutta la sua storia dolorosa. Forse,
l’unica cosa che gli aveva tenuto nascosta era che anche adesso, a volte,
acchiappava qualche corvo fingendosi morto, perché cacciare i conigli con un occhio solo non era facile e la sua ipnosi faceva spesso cilecca.
«A proposito» domandò il boa fanciullo «come fai a cacciare con
un occhio solo?»
«Che ci posso fare?» sospirò lo Strabico. «Devo ipnotizzare di profilo e l’occhio si stanca».
«Ho sentito tutto!» si udì d’un tratto la voce di un coniglio. Lo
Strabico si irrigidì.
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«Com’è possibile?» disse con voce tremante. «Sei vivo? Ti ho forse
inghiottito un’altra volta?»
«Ma no» lo corresse il boa fanciullo, «sta parlando quel coniglio
non ancora lavorato laggiù, fra i cespugli».
«Uff !» sospirò lo Strabico. «Mi era sembrato fosse qui».
«E che cosa hai sentito?» domandò il boa fanciullo, scrutando fra
i cespugli di rododendro per individuare il coniglio.
«Io sorveglio i boa da lungo tempo» disse il coniglio fra i cespugli
«voi avete confermato che la leggenda sul coniglio insolente non è
leggenda, ma storia vera. Questo mi convince ancor di più della correttezza di alcune mie congetture. Ora so per certo che la vostra ipnosi è il nostro terrore. E il nostro terrore è la vostra ipnosi».
«Ne approfitti perché siamo entrambi sazi?» disse lo Strabico, prestando l’orecchio al proprio stomaco.
«No» rispose il coniglio. «È il frutto di lunghe riflessioni e rigide
osservazioni scientifiche».
«Se sei così intelligente, perché origliavi?» domandò lo Strabico.
«O non ti ha mai detto nessuno che è una cosa disonesta?»
«Ho riflettuto, ponderato molto anche su questo» rispose il coniglio, senza nemmeno affacciarsi dai cespugli. «Origliare è cosa vile in
qualsiasi caso della vita, lo so. Nemmeno se si sospetta qualcuno di un
crimine, lo si può origliare, perché i sospetti potrebbero rivelarsi infondati, mentre il metodo potrebbe mettere radici. Chiunque origli,
infatti, potrebbe dire: “Ma io lo sospettavo di un crimine”. Puoi origliare, devi farlo, solo nel caso in cui sei assolutamente sicuro di avere
a che fare con un criminale. E voi, boa, siete assassini, voi, o avete
compiuto un omicidio o vi preparate a compierlo. Di conseguenza,
più si riesce a sapere sul vostro conto più è un bene per i conigli vivi».
«Mi sembra di aver sentito qualcosa su di te» si ricordò il boa fanciullo «sei il Ponderatore, vero?»
«Sì, sono io» rispose il coniglio.
«Be’, se sei tu, avvicinati» disse il boa fanciullo, pensando che, forse,
avrebbe potuto anche lavorarsi un secondo coniglio.
«No» rispose l’altro «ora non ho il diritto di rischiare. Anche se
l’ipnosi non esistesse, potreste sempre mordermi».
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«E meno male!» disse lo Strabico, cercando di dare a tutta quella
storia una sfumatura comica. Tuttavia, aveva già detto molte cose che
le orecchie dei conigli non avrebbero dovuto udire. Si sentiva puzza
di nuovi pericoli. Per giunta il Ponderatore era frusciato via nel profondo della giungla senza nemmeno affacciarsi dai cespugli.
«Perché non ti fai vedere?» domandò lo Strabico, sempre più angosciato.
«Cosicché in ogni coniglio vediate il Ponderatore!» gridò lui, e la
sua voce si disperse nel fruscio della giungla.
Sulla calda pietra coperta di muschio ora stavano come stretti e a
disagio. Entrambi i boa pensavano che sarebbe stato il caso di sbarazzarsi l’uno dell’altro, come di testimoni scomodi, ma nessuno dei
due si decideva ad attaccare.
Il fanciullo perché temeva di non avere abbastanza esperienza; il
vecchio di non avere abbastanza forza e agilità.
«Quanto accaduto qui non è nulla di buono» sibilò il boa fanciullo
«forse dovrei denunciare al Grande Pitone che ti sei messo a spifferare».
«Non farlo» lo pregò lo Strabico «sai già che non gli vado a
genio...»
«E se si scoprisse?» obiettò il boa fanciullo.
«Dobbiamo sperare che nessuno lo scopra» rispose lo Strabico.
«Per te va bene» disse il boa fanciullo «la vita te la sei vissuta, ma
io ho ancora molto davanti... No, forse dovrei denunciarti...»
«Ma così ne soffriresti anche tu!»
«E perché mai?»
«Quando ho cominciato a raccontarti quel segreto, tu avresti dovuto opporre resistenza» gli ricordò lo Strabico la vecchia usanza stabilita fra i boa.
“In effetti” pensò il boa fanciullo “quell’usanza esiste”. Si sentiva
smarrito. Non riusciva a capire in nessun modo che cosa gli convenisse
fare: denunciare o non denunciare.
«E se si scoprisse?» disse, pensieroso. «Va bene, d’accordo, starò
zitto... E tu che cosa mi offri in cambio?»
«Che potrei mai offrirti» sospirò lo Strabico «sono un vecchio
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invalido... Se dovessi rimanere a corto di conigli, fingiti morto, e prima
o poi un corvo ti si poserà in testa...»
«Che cavolo me ne faccio del tuo corvo!» si indignò il boa
fanciullo. «Io, grazie a Dio, ho un coniglio che mi arriva sempre puntuale».
«Non si può mai dire» rispose lo Strabico «nella vita capita di
tutto...»
«Avrà come minimo la carne dura, vero?» si informò inaspettatamente il boa fanciullo.
«La carne, sì, è duretta» ammise lo Strabico «ma in tempi difficili
è comunque meglio di niente».
«E se lo scoprissero?» dubitò ancora il boa fanciullo, e mentre strisciava giù dalla pietra sulla quale giacevano aggiunse: «D’accordo, non
ti denuncerò... Sarebbe stato meglio non aver mai avuto contatti con
te... Il Grande Pitone aveva ragione mille volte nel dire che un boa da
cui parli un coniglio non è boa che ci serva».
Strisciando via dallo Strabico, il boa fanciullo in realtà non aveva
ancora deciso che cosa gli sarebbe convenuto fare: denunciare o non
denunciare. Per inesperienza non capiva che chi riflette se denunciare
o no, alla fine, immancabilmente denuncia, perché ogni pensiero
aspira al compimento delle possibilità poste in esso. “Così è la vita”
pensava con tristezza lo Strabico “sarebbe stato meglio se gli elefanti
mi avessero schiacciato piuttosto che vivere nel disprezzo e nel terrore
dei compagni”.
Così la pensava lo Strabico e, tuttavia, nel profondo dell’anima
(che si trovava alla base dello stomaco) sentiva che non aveva proprio
voglia di lasciare questa vita. Era così dolce stare lì sdraiato su una
pietra calda coperta di muschio, così piacevole sentire il sole sulla sua
vecchia pelle piena di reumatismi, e far marmellata di un coniglio –
perché tenerlo nascosto! – gli procurava ancora non poco piacere.
E quello stesso giorno, con il sole in cima a un bel baobab o ai
brutti larici, sospeso sopra la giungla, era stata convocata un’assemblea
straordinaria dei conigli all’entrata del palazzo reale sulla Radura del
Re.
Lo stesso Re sedeva su un rialzo accanto alla sua Regina. Sopra di
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loro sventolava la bandiera dei conigli con l’effigie di un Cavolfiore.
Il telo della bandiera era una grossa foglia di banano, su cui, con i
petali variopinti di fiori tropicali incollati alla bandiera usando resina
di pino, era formato un cespo di Cavolfiore.
Detta in parole povere, non c’era coniglio che avesse mai visto un
Cavolfiore. A dire il vero, nell’ambiente dei conigli persistevano voci
(che avrebbero dovuto rallegrare) che in una piantagione segreta gli
indigeni locali stessero lavorando alla coltura del Cavolfiore assieme
a conigli sotto copertura e fossero giunti a risultati importanti. Non
appena si fossero avvicinati all’obiettivo, alla possibilità di piantare il
Cavolfiore negli orti, la vita dei conigli si sarebbe trasformata in un tripudio perenne di fertilità e gola.
Ogni tanto la combinazione di fiori sull’immagine del Cavolfiore
attaccata alla bandiera cambiava leggermente, e i conigli ci vedevano
l’azione segreta ma costante della storia per il bene dei conigli.
Quando notavano sulla bandiera la decorazione con i fiori mutare di
poco, si annuivano l’un l’altro con aria significativa, facendo tra sé deduzioni ottimistiche dalle ampie prospettive. Parlarne ad alta voce era
ritenuto indecoroso, indelicato, si pensava che quei segni esterni di
un’azione interna della storia si manifestassero casualmente per una
decisa svista dell’amministrazione reale.
Nell’attesa di quel tempo felice i conigli vivevano la loro vita quotidiana, pascolando nelle giungle e nelle pampas circostanti, rubacchiando negli orti degli indigeni piselli, fagioli e il cavolo comune, le
cui elevate qualità gustative fecondavano il sogno del Cavolfiore. Con
quegli stessi prodotti rifornivano anche la corte del Re.
«Be’, com’è oggi il cavolo?» capitava domandasse il Re, quando i
conigli gregari, adempiendo all’imposta degli orti, trascinavano gli ortaggi e li sistemavano nel magazzino reale.
«Buono» rispondevano immancabilmente i conigli, leccandosi le
labbra.
«Ah» diceva loro a tal proposito il Re «quando avremo il Cavolfiore, questo cavolo verde non lo vorrete neanche vedere».
«Oddio» sospiravano i conigli, dopo aver sentito quella cosa «riusciremo a vivere fino ad arrivarci?»
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«State tranquilli» annuiva il Re «seguiremo gli esperimenti e
sapremo dare il nostro contributo...»
Il grande sogno del Cavolfiore aiutava il Re a tenere la tribù dei
conigli in duttile remissione quanto bastava.
Se nella vita dei conigli sorgevano aspirazioni non gradite al Re, e
lui non era in grado di fermarle con i soliti metodi, ricorreva all’ultimo
mezzo prediletto, che naturalmente era il Cavolfiore.
«Sì, sì» diceva in quei casi ai conigli che le manifestavano «le vostre aspirazioni sono corrette, ma intempestive, poiché giunte proprio
ora che gli esperimenti sulla coltura del Cavolfiore sono così vicini a
una conclusione...»
Se colui che manifestava quelle aspirazioni non demordeva, d’un
tratto scompariva e i conigli arrivavano alla conclusione che era stato
messo sotto copertura e inviato alla piantagione segreta. Cosa naturale, perché quelle o altre aspirazioni nascevano dalle teste migliori,
che, ovviamente, erano necessarie soprattutto per il lavoro alla coltura
del Cavolfiore.
Se la famiglia del coniglio scomparso si fosse messa a fare domande sul proprio caro, le avrebbero fatto capire che quel parente
adesso si trovava “lontano nella zona in cui sta spuntando il Cavolfiore”.
Se la famiglia del coniglio scomparso avesse continuato a insistere,
allora ne sarebbero spariti tutti i membri. E i conigli avrebbero detto:
«Deve essere diventato un grande scienziato... avranno permesso
alla famiglia di raggiungerlo...»
«Che fortuna hanno alcune!» avrebbero detto le coniglie, sospirando.
Nella testa dei conigli gregari altri sospetti non sorgevano, perché
secondo le leggi vegetariane del regno dei conigli condannare si poteva condannare, e venivi appeso per le orecchie, ma uccidere non era
permesso.
Così, alla Radura del Re, in quel giorno che volgeva già al tramonto, il Re e la Regina sedevano sul rialzo, la bandiera con l’immagine del Cavolfiore che ondeggiava leggermente sopra di loro.
Poco più sotto si erano sistemati i cortigiani, o, come venivano
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chiamati dal popolo dei conigli, gli Ammessi alla Tavola. Ancora più
sotto si trovavano quelli che aspiravano a essere Ammessi alla Tavola,
e oltre, in piedi o seduti sulla radura, c’erano i conigli gregari.
Facile intuirlo, l’assemblea straordinaria dei conigli era stata convocata all’incredibile notizia del Ponderatore.
«Il nostro terrore è la loro ipnosi! La loro ipnosi è il nostro terrore!»
ripetevano i conigli gregari, assaporando quel pensiero seducente.
«Che modo audace di impostare la questione!» esclamavano alcuni.
«Le idee, poi, si susseguono una dietro l’altra» si entusiasmavano
altri. «Attaccate, come fagiolini in un baccello».
«Ehi, conigli, e adesso che succederà!» dicevano altri ancora, per i
quali, con la grande scoperta del Ponderatore, tutto sembrava così allegro da far quasi paura.
Solo la moglie del Ponderatore, in mezzo a una folla di conigli
esultanti, continuava a ripetere:
«Perché è stato proprio mio marito a smascherare i boa? Dov’erano
i saggi e gli scienziati Ammessi alla Tavola? Che cosa ce ne verrà in
cambio? I boa si vendicheranno di me e dei nostri figli perché lui ha
spifferato questa cosa!»
«Dovresti esserne orgogliosa, scema» le dicevano quelli che aveva
intorno «è un grande coniglio!»
«Smettetela, per favore!» rispondeva loro la coniglia. «Lo so io
quanto è grande! È vissuto fino alla canizie e adesso non sa distinguere una foglia di pisello da una di fagiolo!»
Intanto al Re dei conigli la notizia del Ponderatore non era piaciuta. Sentiva che non preannunciava per lui nulla di buono. Essendo
un esperto conoscitore dell’umore della folla, però, vista l’esultanza
generale, lasciava che questa si manifestasse in tutta la sua pienezza.
Capiva che l’esultanza dei conigli sarebbe giunta al culmine, per poi
calare di sicuro, e solo a quel punto lui avrebbe potuto manifestare i
propri dubbi.
È un fatto che quando qualcuno, ma in particolare la folla, inizia
a esultare, non si rende conto che presto o tardi ogni entusiasmo sarà
destinato ad affievolirsi. Così, non appena l’esultanza comincia a
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calare, chi esulta, sentendo il proprio entusiasmo in procinto di esaurirsi, è indotto a riversare la colpa su colui al quale l’esultanza era rivolta, per non averla resa inesauribile.
Basta invece che qualcuno con atteggiamento critico verso l’oggetto dell’esultanza interrompa l’entusiasmo generale perché l’ira degli
esultanti si scagli con particolare forza contro di lui. La loro esultanza
era potenzialmente inesauribile e quel malefico invidioso ha rovinato
tutto.
Il Re dei conigli lo sapeva molto bene, così tacque, per un bel
pezzo. Fu soltanto quando l’esultanza d’un tratto scemò, con singole
vampate di gioia tra la folla un po’ qua un po’ là, che i conigli cominciarono a notare che il Re, per qualche ragione, taceva. E non si limitava a tacere. L’espressione sul suo viso era di desolante tolleranza,
come davanti al triste spettacolo di un abbaglio generale.
Fu a quel punto che tutti si resero conto che il Re dubitava della
correttezza delle osservazioni del Ponderatore. Notati i dubbi del sovrano, gridando qua e là, gli Ammessi alla Tavola lo esortarono a
un’aperta indignazione. L’indignazione degli Ammessi alla Tavola, a
propria volta, fu percepita dagli Aspiranti Ammessi e portata fino all’espressione di una sdegnata protesta contro le voci scientifiche cui il
Re non credeva.
Sì, il Re aveva ragione ad avvertire un grave pericolo nelle parole
del Ponderatore. Tutta l’attività del Re era legata al fatto che lui personalmente, assieme ai suoi assistenti della corte, determinava quale
fosse la quantità di terrore e di prudenza che i conigli dovessero provare davanti ai boa, a seconda del periodo dell’anno, delle condizioni
atmosferiche nella giungla e di molte altre cause.
All’improvviso tutto l’ingegnoso sistema di controllo elaborato in
anni dai conigli poteva crollare, perché i conigli, guarda un po’, non
dovevano avere paura dell’ipnosi.
Il Re sapeva che solo con l’aiuto della speranza (il Cavolfiore) e del
terrore (i boa) era possibile controllare con giudizio la vita dei conigli. Ma basandosi solo sul Cavolfiore non poteva reggere a lungo.
Questo il Re lo capiva bene, ragion per cui, con tutta la saggezza di
Stato di cui disponeva, intervenne davanti ai conigli.
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«Conigli» cominciò con semplicità «io sono un Re anziano. Siedo
sul trono, grazie a Dio, già da trent’anni e in tutto questo tempo non
sono caduto nelle fauci di un boa nemmeno una volta, questo vorrà
pur dire qualcosa...»
«Che ti viene portato tutto a palazzo!» gridò dalla folla un coniglio insolente.
Siccome era già troppo buio per vedere chi fosse, gli Ammessi alla
Tavola, e soprattutto gli Aspiranti Ammessi, zittirono con forza terribile chi infastidiva gridando dalla folla.
Guardati i cortigiani, il Re ordinò in tono severo di illuminare il
popolo con un numero sufficiente di lumi. Già prima, illuminavano
l’entrata del palazzo reale e il rialzo su cui sedevano il Re e la Regina
alcune bolle di resina soffiata trasparente piene di lucciole.
«Oh Re» sussurrarono i cortigiani per richiamare l’attenzione del
Re, mentre versavano le lucciole nei lumi dai piccoli scrigni di cocco
in cui venivano conservate «ci insegnate voi a fare economia».
«Purché non sia a spese degli interessi del regime» rispose il Re a
mezza voce, osservando la folla intorno, mentre i cortigiani fissavano
i lumi ai diversi angoli della Radura del Re. «Conigli» si rivolse il Re
ai propri sudditi in tono mite «prima di chiarire in cosa sbaglia il Ponderatore, voglio porvi alcune domande».
«Faccele!» si misero a gridare i conigli.
«Conigli» disse, e la sua voce si fece vibrante «vi piacciono i fagioli?»
«Eccome!» risposero in coro i conigli.
«E i pisellini, freschi, appena staccati dalla pianta?»
«Non dirlo neanche, Re» si misero a gemere i conigli «non risvegliare dolci ricordi!»
«E il cavolo fresco» tuonò il Re in tono spietato «voglio dire, friabile, a strati, amate sgranocchiarlo?»
«Uhmmm» si misero a ululare i conigli e a inspirare l’aria dalla
bocca con un fischio «non ficcare il dito nella piaga, Re, non spargere
sale sulle nostre ferite».
«Se è così» proseguì il Re, fissando i conigli, bloccati in romantiche pose di rosicchiature di baccelli freschi o sgranocchiamenti di
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foglie di cavolo «passo all’idea principale. Chi di voi coltiva piselli, cavoli, fagioli?»
Per un po’ regnò un silenzio stupefatto.
«Ma, Re» si misero a gridare i conigli, «di questo si occupano gli
indigeni!»
«Quindi, quei prodotti alimentari oggi perfetti (la sottile allusione
al futuro si ricollegava al Cavolfiore) appartengono a loro?»
«Sì, è così» risposero i conigli.
«E in quale modo» proseguì il Re «vi procacciate quei prodotti?»
«Li rubiamo» risposero i conigli, contriti. «Davvero non lo sapete?»
«Be’, detta così è un po’ brusca» si corresse il Re «per essere più
precisi, diciamo che scegliete fra gli avanzi... agli indigeni lasciate
qualcosa?»
«Per forza» risposero i conigli.
«Ora passo all’idea principale» annunciò il Re.
«Ci sei già passato!» gridò un coniglio dalla folla.
«Quella era la prima idea principale, ora arriva la seconda» non si
smarrì il Re. «Il fatto che i boa ingoino i conigli è un’ingiustizia terribile, vero?!»
«È proprio quello il punto» si misero a gridare i conigli «parlava di
quello il Ponderatore!»
«Sì» proseguì il Re «è un’ingiustizia davvero terribile, un danno
per i conigli, e noi la combattiamo con tutti i mezzi che ci vengono
in mente. A dire il vero, per via di questa ingiustizia terribile cogliamo
l’occasione per compiere a nostra volta una piccola ma deliziosa ingiustizia: appropriarci dei tenerissimi prodotti alimentari coltivati
dagli indigeni. Adesso, ammettiamo per un attimo che il Ponderatore abbia ragione, anche se questo non è in alcun modo dimostrato.
Ma immaginiamolo. L’ipnosi, a quanto pare, non esiste... i conigli possono saltellare dove più gli pare! Bravo, bravo, Ponderatore! E poi?
Poi il Ponderatore ci dirà che essendo venuta meno la più terribile ingiustizia verso i conigli, anche i conigli dovranno interrompere la piacevole, s’intende, per noi, ingiustizia verso gli orti degli indigeni».
«Non lo dirà! Non lo dirà!» si misero a gridare i conigli in coro.
«E come ne avete la certezza?» domandò il Re, e si rivolse al
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Ponderatore che lo ascoltava con tranquillità, non troppo distante.
Dopo aver dato la sua notizia sull’ipnosi era rimasto lì in piedi sul
rialzo: il Re gli aveva ordinato di restare lì in modo che, da un lato,
nessuno ritenesse il monarca scontento, e dall’altro, la lunga contemplazione del Ponderatore rendesse la sua immagine più consueta e per
questo meno miracolosa.
Il Ponderatore taceva, sebbene dal suo aspetto non si potesse dire
in nessun modo che la domanda del Re l’avesse confuso.
«Allora, tu cosa ne dici?» lo interpellò di nuovo il Re, cercando di
fare in modo che si smascherasse da solo davanti ai conigli.
«Risponderò poi a tutte le domande» disse il Ponderatore tranquillamente «che il Re continui pure».
«Va bene» ridacchiò il Re, sebbene dentro fosse furioso con se
stesso, e lo era, perché il Ponderatore non aveva deviato il suo colpo
attraverso una scaltra via diplomatica, ma semplicemente con la stupida scusa di non perdere tempo con le singole domande.
«Andiamo avanti» continuò il Re. «Naturalmente, è una terribile
ingiustizia che i boa divorino i conigli, e noi facciamo di tutto per diminuire il numero delle vittime. Ma perché sottolineare solo i lati negativi? Questa è la vita! E a volte ci presenta doni meravigliosi. Per
esempio, vi imbattete in un boa e siete in preda al terrore! Ma si tratta
del Tappetto, e quello si è appena ingozzato di banane, non ha nemmeno voglia di guardarvi. Vi imbattete in un altro boa! Siete di nuovo
in preda al terrore. E si tratta dello Strabico, e vi ritrovate di nuovo al
sicuro, perché siete capitati nello spazio morto del suo profilo cieco. I
conigli, fratelli e sorelle, non possono snobbare simili doni dalla vita!
Ricordatevi che in natura tutto è collegato! Tuttavia, che cosa succederebbe se il sottile piacere che riceviamo dal Grande Terzetto (piselli,
fagioli e cavoli) fosse legato al terrore che proviamo davanti ai boa? E
se d’un tratto, senza quel terrore, i prodotti della natura tanto aromatici sembrassero duri e insipidi, come l’erba delle pampas?»
«Sarebbe terribile!» esclamarono i conigli. «Vivere in quel modo
non avrebbe senso!»
«Se così fosse» proseguì il Re, infiammato dalla propria eloquenza
«smetteremmo di sognare il futuro Cavolfiore, interromperemmo gli
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esperimenti e non daremmo più il nostro contributo?!»
«Sarebbe terribile, terribile, terribile» si lamentavano i conigli, tanto
impressionabili per natura, cosa di cui, tra l’altro, si approfittavano i
boa, ma anche il Re, sebbene non si voglia in nessun modo fare paragoni tra loro.
«E sapete cosa, conigli?» proseguì il Re, osservando la folla con
espressione di sagace scaltrezza. «Siamo sinceri, qui siamo fra noi...
Ammettetelo, quando la sera tornate nella vostra tana e scoprite dai
vostri coniglietti che un certo coniglio è stato inghiottito da un boa,
insieme alla tristezza per il vostro fratello morto non provate forse, con
particolare intensità, il conforto della sicurezza della vostra tana?! E
il piacere nel leccare i teneri corpicini dei vostri incantevoli coniglietti?! Nello stringersi, stringersi... qui siamo tutti conigli adulti, e
posso parlare apertamente... dicevo, stringersi a una calda e amorevole
coniglia?!»
«Sì, sì» concordarono i conigli, abbassando lo sguardo «ci vergogniamo a riconoscerlo, ma è proprio così...»
«Non c’è niente di cui vergognarsi, conigli!» esclamò il Re. «Provate quel sentimento assieme alla tristezza verso il vostro fratello
morto, non da solo?!»
«È proprio quello il punto» rispondevano i conigli «in qualche
modo si mescola tutto...»
«A maggior ragione!» si mise a gridare d’un tratto il coniglio soprannominato il Perspicace.
Sedeva in mezzo agli Aspiranti Ammessi alla Tavola. Adesso il
suo grido insolente era stato notato da tutti, avendo squarciato un silenzio piuttosto imbarazzante. In sostanza, aveva quasi interrotto il
Re. Il Re si accigliò.
«A maggior ragione!» gridò di nuovo il Perspicace, per nulla confuso di ritrovarsi al centro dell’attenzione.
«Cosa “a maggior ragione”?» gli domandò infine il Re, con aria severa.
«A maggior ragione, come potremmo rispettare ancora i nostri
antenati?» esclamò il Perspicace. «Se il Ponderatore avesse ragione,
significherebbe che tutti i nostri antenati, morti eroicamente nelle fauci
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dei boa, erano stupidi e fifoni, e dunque sono morti per stupidità?!»
«Osservazione opportuna» disse il Re, annuendo, per poi rivolgersi
al Ponderatore. «E a questo cosa rispondi?»
«Risponderò presto a tutte le domande» disse con calma il Ponderatore «che il Re prosegua pure...»
«Ma guarda un po’, quanto sei presuntuoso» non si trattenne la
Regina e sbuffò in direzione del Ponderatore.
«Ho quasi finito» disse il Re. «Posso aggiungere una cosa: la vita
è vita. Quando Dio creò il coniglio, aveva in mente un coniglio!»
La parte conclusiva del discorso del Re fu surclassata da applausi
entusiastici in lode ai grandi alimenti.
Nel fragore di quegli applausi si udivano di tanto in tanto grida indirizzate al Re provenire dalla cerchia degli Ammessi alla Tavola, e fischi entusiastici, sempre dedicati a lui, da quella degli Aspiranti.
Come sempre, si inneggiava alla gloria del Grande Terzetto, con
alcune aggiunte isolate, fra le quali si udiva spesso: «Gloria anche alla
modesta carota!»
È interessante notare che, applaudendo, ciascuno di loro fosse
certo di rivolgere il proprio applauso all’idea dell’unione fra quei
grandi alimenti e i conigli. Oltre a questo, però, pensava che gli altri
stessero applaudendo non solo quell’unione, ma anche il discorso del
Re nella sua interezza. E siccome la pensavano tutti così, e tutti consideravano che ammettere il gretto egoismo dei propri applausi era
come minimo una mostruosità, applaudivano con tutte le forze per
nasconderlo e unirsi all’entusiasmo generale, nel quale alla fine confluivano, e raccolti da quella corrente entusiastica la trascinavano loro
stessi oltre. Così, confluendo, piccoli razzi di applausi individuali davano poderosa forza al motore dell’opinione collettiva dei conigli.
«Be’, com’era il discorso?» domandò il Re alla Regina, sprofondando accanto a lei e annuendo al fragore entusiastico sollevato dai
conigli.
«Sei stato impagabile, caro» disse la Regina, e asciugò teneramente
il sudore dal muso del Re con una fogliolina di cavolo.
«Il Perspicace fa progressi» disse il Re, e annuì nella sua direzione.
La Regina sorrise al Perspicace e gli fece cenno di avvicinarsi. Il
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