Untitled - Rizzoli Libri

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Untitled - Rizzoli Libri
Francesca Del Rosso
Wondy
Ovvero come si diventa supereroi
per guarire dal cancro
Rizzoli
Proprietà letteraria riservata
© 2014 RCS Libri S.p.A., Milano
© 2014 Francesca Del Rosso
Pubblicato in accordo con Agenzia letteraria Silvia Donzelli
ISBN 978-88-17-07093-5
Prima edizione: febbraio 2014
Seconda edizione: febbraio 2014
Seguite Francesca Del Rosso su twitter: @wondy74
Tutte le citazioni da classici greci e latini sono tratte dal Dizionario delle
citazioni, a cura di E. Barelli e S. Pennacchietti, BUR 2010.
Realizzazione editoriale: studio pym / Milano
Wondy
A Yvonne, Azalea, Angelica e Linda.
Mia madre alle feste di carnevale si ostinava a vestirmi
da clown. Non mi risparmiava il naso rosso, dei pantaloni larghi e rattoppati e un terribile gilè giallo canarino.
L’apice della femminilità, insomma. Ogni anno, quando
a scuola si cominciava a parlare di feste e merende in maschera, mentre tutti facevano i salti di gioia, io mi incupivo, rispondevo male a compagni e professori, e mi preparavo per la battaglia da combattere a casa. Non l’avevo
mai avuta vinta ma il mio desiderio, da che ho memoria,
è sempre stato quello di indossare il costume di Wonder
Woman.
«Cocca mia» mi diceva la nonna accarezzandomi la
testa, «se vuoi ti cucio una mantella per fare Cappuccetto
Rosso, ma quel costume non va bene per la tua età, è
difficile ed è tutto scosciato.» Avevo sempre ottenuto
dei rifiuti secchi. E la scusa era sempre la stessa: mia
madre, come mia nonna, sosteneva che era troppo
complesso da realizzare e tra shorts di raso blu, top,
cintura e coroncina, in famiglia nessuno era in grado di
confezionarmene uno. Replicavo che a casa dei nonni
c’era una meravigliosa macchina da cucire, una Singer
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incastonata in un tavolino dotato di pedale in ferro battuto, di certo con quella non sarebbe stata un’impresa.
Eppure, nonostante le mie insistenze di ragazzina testarda, non sono mai riuscita a travestirmi come il mio personaggio preferito.
Non ho mai capito se non volevano concedermi il costume perché avrebbe significato troppo lavoro o perché era troppo osé. So solo che durante le festività,
quando mangiavo chili di chiacchiere fritte senza pensare alla bilancia, mi addormentavo sperando di trasformarmi in Wonder Woman, almeno nel mondo dei sogni.
Me la immaginavo nella sua versione televisiva, interpretata dalla bellissima Lynda Carter. Chiudevo gli occhi e
mi vedevo girare su me stessa, poi l’improvvisa esplosione, ed ecco che diventavo lei.
Ero la più grande ammiratrice di quella donna dalla forza sovrumana, io che ero minuta; con una chioma
folta e nera, io che ero una biondina dai capelli sottili;
con gli stivali rossi e il corpetto strizzato da un cinturone
dorato, io che indossavo pantaloni con l’elastico in vita.
Se di giorno ero quella che ero, di notte potevo tramutarmi nella principessa amazzone che volava e correva a velocità supersonica, che con un lazo d’oro era
capace di catturare chiunque, che era coraggiosa e temibile al tempo stesso. Una super eroina dall’identità segreta, con gli occhi azzurri. Come i miei.
Un giorno, in una delle cento scatole in cui archivio
di tutto, da biglietti da visita a francobolli, da post-it ad
articoli di giornale, ho trovato una cartolina lucida. Non
so da dove venisse fuori ma mi ha messo addosso un’allegria contagiosa nonostante il periodo di cure pesanti.
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«Chi è quella principessa che sorride?» ha chiesto mia
figlia, vedendomi contenta.
«Ma come chi è! È Wonder Woman!» In quel momento ho capito di essere una vecchia bacucca. Ma non
importava, perché quel giorno ho realizzato che ero diventata un po’ come lei. E ho pensato che siamo in tante. Di Wondy mamme, Wondy amiche, Wondy colleghe
ne esistono migliaia: lavorano con passione, gestiscono
la casa e l’agenda di tutta la famiglia, coltivano le amicizie e hanno cento interessi. Supereroine multitasking
che si muovono a velocità supersonica e, nelle avversità,
sanno come prendere in mano la situazione senza abbattersi e mantenendo il sorriso.
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Giornata perfetta
«Sei una disordinata cronica.» Me lo ripete rassegnato
mio marito Ken tutte le volte che non trova nemmeno
un piccolo spazio, sul mobile nell’ingresso, per appoggiare le chiavi e il portafogli. Ma se è vero che lo sono in
casa – dove spargo pezzetti di carta volanti, vestiti miei e
dei bambini, tazze vuote di caffè – sono brava a controllarmi quando si tratta di pensieri, programmi e desideri.
Per inseguire le mille idee che partorisco ogni giorno e
non so dove mi porteranno, ho imparato sin da bambina a pianificare e a prendere nota di tutto. Nel tempo ho
perfezionato questa abitudine e ora tendo a stilare piccole o grandi liste per la mia vita: le cose da fare, le frasi
da dire, i viaggi che immagino o i cibi che non ho ancora provato… Se mi guardo intorno, gli unici oggetti che
sono sempre in ordine, oltre ai miei intoccabili libri catalogati per casa editrice, sono alcuni quadernetti dalla
copertina nera che contengono i miei famigerati elenchi.
Per il resto, sono il prototipo della classica cittadina
stressata e le rare volte che mi appisolo di pomeriggio mi
sento quasi in colpa. So che è assurdo, ma è più forte di me.
Ho sempre la sensazione di non avere mai abbastan11
za tempo e così scalpito tra casa, famiglia, lavoro, amici, libri da scrivere e progetti da realizzare. Giornalista,
mamma e ottimista di natura, da buona milanese doc
corro sempre come una matta in lungo e in largo e ho la
terribile abitudine di riempirmi la vita.
Così, quando d’estate arriva il momento delle meritate vacanze, il mio entusiasmo diventa irrefrenabile. Adoro
scappare da Milano, tanto che non mi pesa neanche la preparazione della partenza: faccio i bagagli per quattro, vado
ad acquistare le attrezzature che mancano per il trekking, i
pattini a rotelle o altre diavolerie simili, stampo tutte le informazioni necessarie su eventi, fiere e ristoranti da testare
e riesco addirittura a sistemare la casa. Quando all’ingresso si forma spontaneamente una scultura postmoderna realizzata con sacche, valigie, peluche e zaini posti uno sopra
l’altro, in un assoluto e precario equilibrio, è ora di partire!
E il momento in cui spengo le luci di casa e giro la chiave
della porta blindata è sempre fonte di estrema felicità. Per
qualche anno ha fatto parte delle mie liste un buon proposito: “Fare gite fuori porta, tonificarsi in montagna e all’aria aperta!”. Quindi, ora, nel mio calendario c’è sempre
un breve appuntamento con le alture sopra a Lecco. Una
casetta in affitto che ci aspetta paziente e un panorama
mozzafiato che si regala alla finestra del soggiorno.
Inizi di agosto
Oggi abbiamo deciso di fare una lunga passeggiata.
C’è una strada sterrata che porta da casa nostra a una
baita isolata e vogliamo arrivarci per l’ora di pranzo.
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Mentre la Iena e Attila cercano di comporre un puzzle
gigante di Pinocchio sul tappeto, Ken e io prepariamo
gli zaini. Il mio è pieno di cose: la borraccia con l’acqua
fresca, fazzoletti di carta, «Corriere della Sera» e «la Repubblica», occhiali da sole per tutti, cellulari, pacchetti di crackers, due cerotti e chiavi di casa. Ken invece si
mette sulle spalle lo zaino porta enfant. Attilino ha quasi due anni e cammina volentieri, ma non conosciamo il
sentiero né sappiamo quanto ci metteremo, quindi è meglio essere previdenti.
Ricevo un sms.
“Ciao Wondy, eccoci! Siamo pronti, ci troviamo in cima alla salita fra cinque minuti.”
Digito “Ok”. Vengono con noi anche Roberta, Carlo
e i loro due figli della stessa età dei nostri.
«Ragazzi, siamo pronti. Fare pipì e tutti fuori.»
Aiuto i cuccioli ad allacciare gli scarponcini da montagna e vengo assalita da un’ondata di orgoglio. Siamo
tutti e quattro in calzoncini, con i calzettoni lunghi e delle magliette trucide, quelle che a Milano non indosseresti mai. Siamo proprio una bella famiglia.
Anche se è il più piccolo, Attila con la palla in mano chiama a rapporto la sorella e gli altri due amichetti,
intanto Roby e io ci baciamo ancora mezze addormentate mentre Carlo e Ken danno un’occhiata veloce alla
mappa che segna il sentiero da prendere. Non perdiamo
tempo e la truppa si incammina a passo lesto. I bimbi
giocano a rincorrersi e noi adulti chiacchieriamo senza
sosta. Siamo finalmente in vacanza e ci godiamo il fresco
delle prime ore del mattino.
I miei cuccioli hanno già trascorso due settimane al
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