definire - IIS Cremona

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definire - IIS Cremona
I. IMPARIAMO A DEFINIRE
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
L’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
Lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah, l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non chiederci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
(Eugenio Montale, Ossi di seppia, 1920-1927)
1. Che cosa significa definire
Quando ci troviamo a discutere, prima o poi ci capita di chiedere (o di sentirci chiedere): “Ma cosa
intendi con...?”. Quando non conosciamo il significato di una parola possiamo chiedere: “Che
cos’è?”, ovvero “Che cosa significa questo termine?”. Così facendo stiamo chiedendo di definirla.
La definizione è la chiarificazione di una parola (o di un simbolo) ottenuta attraverso la
relazione tra questa, che rappresenta ciò che è da definire (definiendum), e un gruppo di simboli o
segni, che sono ciò che definisce (definiens), i quali hanno un significato noto. Per definire
qualcosa che ci è ignoto dobbiamo dunque sempre fare riferimento a quanto ci è noto.
Se decidiamo di rispondere a una domanda riguardante la definizione non cerchiamo solo di
precisare il senso che un termine ha per noi, ma cerchiamo di fare in modo che ciò che diciamo sia
determinabile come vero o falso anche per gli altri.
Inoltre, quando definiamo una cosa in un certo modo lo facciamo in via ipotetica, e siamo pronti a
correggerci. La definizione, essendo un enunciato (con un soggetto e un predicato), se viene
ottenuta per generalizzazione induttiva si trasforma in una regola e può così costituire la premessa
di un ragionamento, ma deve essere controllata e controllabile.
Molto spesso le parole non hanno un solo significato o una sola accezione, così, discutendo con
qualcuno, può venirci il sospetto che una parola non sia intesa da entrambi nello stesso senso.
Siamo allora indotti a interrompere la discussione per accordarci su come vada intesa (tramite un
dichiarativo d’uso). Ma questo comporta, altrettanto spesso, una nuova discussione sul significato
di uno o più termini, non necessariamente più agevole della precedente. Cosa avviene se qualcuno
utilizza uno stesso termine in modo diverso da come lo facciamo noi? Pretendiamo che ci siano
forniti dei motivi per ammetterne la legittimità. Se li riconosciamo come veri siamo poi indotti a
modificare il nostro precedente uso, perché il “vero” significato del termine è diventato ora un
altro, e abbiamo la pretesa, o almeno la speranza, che, essendo univoco, possa portare ordine tra le
nostre idee e all’interno della discussione.
In una trattazione scientifica, inoltre, l’esigenza di precisione ed esattezza riguarda non solo le
procedure di calcolo, bensì anche le inferenze che ci permettono di trarre conclusioni a partire da
certe premesse, perciò, qualora non fosse chiaro il significato di qualche parola usata in
un’inferenza, potrebbe non essere chiaro se l’inferenza è corretta e la conclusione vera o falsa.
Un ultimo problema preliminare da discutere è quello legato all’identità. Se cerchiamo di
collegare, prendendoli come identici, ciò che definisce e ciò che deve essere definito, stabiliamo
un’identità che non è del tutto indiscutibile, in primo luogo perché i termini usati per definire
potrebbero essere più o meno estesi dei termini da definire, inoltre, e soprattutto, perché la
definizione stessa è un’ipotesi da vagliare.
Affronteremo la questione come segue:
1. spiegando quali sono le necessità che ci spingono a cercare una definizione, dal tentativo
di eliminare le ambiguità all’esigenza di essere precisi, dalla volontà di prevalere
nell’ambito di una discussione al tentativo di scoprire quali sono le cause (o condizioni) di
un evento;
2. illustrando due modalità di definire attraverso ciò che si sa, e cioè facendo riferimento a un
insieme di oggetti simili a quello che vogliamo definire (pensando all’estensione di tale
insieme) o alle caratteristiche che ci permettono di comprendere che cosa lo differenzia da
altri: chiameremo la prima modalità definizione estensionale, la seconda definizione
intensionale;
3. elencando le cinque regole di base che ci dovrebbero permettere di evitare gli errori più
macroscopici quando tentiamo di definire;
4. interpretando infine la definizione come condizione necessaria e sufficiente (rimandiamo
per questo alla sezione Logica, L’inferenza e le sue condizioni).
L’obiettivo di questo capitolo è dunque: fare ciò che Montale ci vieta.
2. Perché definiamo
Possiamo in primo luogo voler informare sul significato di un’espressione, distinguendo vari sensi
o accezioni ed eliminando il rischio di ambiguità. Sappiamo che molte parole possono essere
usate in più di un’accezione, come nell’esempio seguente, ma questo non ci preoccupa, in quanto
la sintassi o, talvolta, il contesto, ci permettono di risolvere agevolmente l’ambiguità (Peruzzi
1997):
• “Porta”, per esempio, può essere usata in due sensi diversi: «La porta del teatro è
aperta» e «La porta in teatro e poi ce la lascia». Un caso simile si ha con “sole”: il sole
o le donne sole?
A volte è lo stesso sostantivo che può avere più significati: In questo caso è il dizionario a
informarci sulla gamma di significati. Starà poi a noi cercare di trovare la giusta definizione. A
volte l’ambiguità è strutturale.
• Un elefantino è grande o piccolo? Grande se confrontato con un topo, ma piccolo se
confrontato con elefante adulto. Occorrerà appunto sapere in relazione a cosa si usano
“grande” e “piccolo”.
Siccome i significati delle parole e delle espressioni possono slittare, presentare delle sfumature
che possono sfuggire alla nostra attenzione o venire manipolate nel corso dell’esposizione di un
argomento, siccome un termine può avere un senso diverso in una premessa e nella conclusione,
se l’inferenza dipende da questi cambiamenti è fallace perché ambigua.
A volte l’ambiguità dipende anche dalla costruzione grammaticale di una frase (fallacia di
anfibolia, lett. “due messi assieme”): «La vecchia legge la regola» significa che una persona
anziana legge una regola o che una vecchia legge regola qualcosa?
Sono poi note le ambiguità strutturali degli oracoli (quello di Delfi in primis) e, oggi, di oroscopi e
indovini. Essere troppo precisi facilita l’errore, a volte fatale. Per evitarlo occorre “disambiguare”
il termine, cioè distinguerne le diverse interpretazioni e specificare quale si intende, come
nell’esempio seguente:
• «Non dovremmo parlar male dei nostri amici». Possiamo interpretare questa asserzione
in diversi modi: a) possiamo leggerla senza alcun accento particolare: in questo caso
l’ingiunzione morale è del tutto valida; b) se invece la leggiamo inferendo la
conclusione secondo la quale dovremmo sentirci liberi di parlar male di qualcuno che
non è nostro amico, la conclusione segue solo se la premessa ha il significato che
acquisisce quando viene opportunamente sottolineata l’ultima parola; c) addirittura,
potremmo persino pensare di essere liberi di agire male verso i nostri amici purché non
ne parliamo male. Ma che cos’è un amico?
Può anche essere il contesto a chiarire se una frase o un’espressione sono ambigui.
•
Durante le espressioni presidenziali del 1996, il candidato democratico alla vicepresidenza Al Gore fu citato da un addetto stampa repubblicano come autore della
dichiarazione: «Non c’è alcun legame tra il fumo e il cancro ai polmoni». Quelle erano
in verità parole autentiche di Gore, pronunciate nel corso di un’intervista televisiva del
1992. In quell’intervista, la dichiarazione completa di Gore era stata che alcuni
scienziati al servizio di produttori di tabacco “avranno la faccia tosta di sostenere che
non c’è alcun legame provato tra il fumo e il cancro ai polmoni... ma il peso
dell’evidenza accettata dalla stragrande maggioranza degli scienziati è che, sì, il fumo
causa il cancro ai polmoni”. L’omissione delle parole “avranno la faccia tosta di
sostenere” e della esplicita convinzione di Gore sul fumo come causa del cancro,
rovesciavano slealmente il senso del passo.
Un termine può essere ambiguo o vago. Esso è ambiguo quando, in un dato contesto, ha più di un
significato, come la parola “essere” secondo Aristotele; è invece vago, quando, in un caso limite,
non si sa se il termine possa essere applicato, per esempio non si sa se una persona è “malata di
mente” (e vada curata a spese dello Stato), o quali fenomeni descriva la malattia che chiamiamo
“AIDS”. L’ambiguità di un termine viene ridotta attraverso le definizioni stipulative o lessicali,
la sua vaghezza, invece, richiede una definizione di precisazione che per lo più esula dall’ambito
quotidiano e che è sovente convenzionale. Questa è la seconda motivazione per cercare una
corretta definizione.
Nella discussione scientifica occorre talvolta precisare i termini nell’ambito di una disputa, al fine
di raggiungere una base comune per la ricerca, come nei casi seguenti. Consideriamo proprio il
caso dell’AIDS.
• Come si deve definire la malattia che chiamiamo “AIDS”? Le persone infette da HIV
(virus di immunodeficienza umana) alla fine soccombono di “AIDS” (sindrome di
deficienza autoimmunitaria). Ma per importanti ragioni pratiche, che riguardano
indennità di malattia e altri diritti, c’è bisogno di sapere chi tra le persone infette da
HIV deve essere catalogato tra le persone che hanno di fatto contratto l’“AIDS”. In una
prospettiva più ampia, c’è bisogno di capire la natura e i sintomi dell’infezione da HIV,
e per tutto ciò occorre una buona definizione teorica della malattia a cui porta
l’infezione. Tra il 1987 e il 1992, i malati di AIDS erano dichiarati tali solo dopo che
avevano contratto certe infezioni o si trovavano in gravi condizioni. Ma gli scienziati
[...] nel 1992 [ridefinirono] l’AIDS: [ora] si poteva dire che ne soffrisse non solo chi
aveva contratto quelle infezioni, ma anche chi, pur non avendole contratte, aveva il
sistema immunitario degradato oltre un certo livello. Alcune cellule umane, chiamate
CD-4, sono componenti decisive del sistema immunitario, che è gradualmente distrutto
dallo HIV. Le persone in salute hanno circa 1.000 di queste cellule CD-4 per ogni
millimetro cubico di sangue. Secondo la definizione teorica modificata di AIDS, una
persona infetta da HIV ha contratto l’AIDS quando il conteggio delle cellule CD-4
scende sotto le 200. Questa modifica, insieme all’identificazione di alcune altre
infezioni che segnalano la presenza dell’AIDS, comportò nel 1993 un’improvvisa
crescita del numero di casi di AIDS segnalati (Copi & Cohen 1999: 140).
Possiamo anche, in terzo luogo, immaginare di creare ex novo delle parole, ma il caso si verifica
piuttosto raramente ed è presente solo in alcune forme di linguaggio specialistico. Il linguaggio
della matematica (simbolico) è un caso particolare di linguaggio costruito su definizioni
stipulative, concordate razionalmente per risparmiare spazio e tempo nei calcoli o per maggiore
precisione.
Una definizione stipulativa dovrebbe essere considerata come una proposta, un comando, una
richiesta o una decisione di usare il definiendum per intendere ciò che è significato dal definiens
(Copi & Cohen 1999: 134). Potremmo avere così il fine di arricchire il lessico (di un linguaggio)
con un nuovo termine, per riferirci a certe proprietà complesse in modo più economico dal punto
di vista espressivo, facilitando la comunicazione e la comprensione:
• «24 = 16» significa «2X2X2X2 = 16», ma è molto più comodo, e convenzionalmente
riconosciuto.
In quarto luogo, attraverso la definizione possiamo anche cercare di veicolare un giudizio di
valore avente come obiettivo più o meno dichiarato quello di spingere all’azione: in tal caso la
definizione è persuasiva. Le definizioni persuasive possono essere usate e formulate al fine di
risolvere delle dispute influenzando gli atteggiamenti o destando emozioni (sono strategie
argomentative). A volte questo particolare uso della definizione la fa apparentemente assomigliare
a un’inferenza deduttiva. Spesso si tratta però di approssimazioni o esemplificazioni che
richiedono uno sforzo di purificazione o generalizzazione (sovente abusiva).
Il carattere argomentativo delle definizioni compare nel momento in cui ci si trova in presenza di
definizioni diverse di uno stesso termine in un linguaggio naturale (cioè non formalizzato). Chi
argomenta in favore di una definizione vuole che questa influisca sull’uso delle parole che senza il
suo intervento si sarebbe stati portati a usare (Perelmann & Olbrechts-Tyteca 1966: 224) e sulla
argomentazione che da essa può derivare. Lo stesso accade anche quando la definizione è
presentata come ovvia o imposta (per esempio nell’ambito del diritto), o quando le ragioni in suo
favore non sono esplicitate. L’uso argomentativo delle definizioni presuppone la possibilità di
definizioni multiple.
• Se i terroristi sono coloro che attaccano la popolazione indifesa, non sono terroristi
anche i militari che gettano nel panico la popolazione civile dell’Afghanistan e
dell’Iraq? E se i terroristi attaccano dei militari, perché li chiamiamo ancora terroristi?
In base a quali criteri identifichiamo una “tirannide” o uno “stato canaglia” che
sostiene i terroristi? Se cambiamo la definizione può darsi che i nostri nemici
divengano altri.
A partire dalle definizioni si possono giustificare le decisioni militari. Del resto l’abilità dell
diplomazia, (le polemiche politiche adottano spesso termini ambigui), consiste nel saper spostare
leggermente il significato di una questione limitandosi a cambiarne i termini o inventandosi delle
differenze inesistenti (salvo poi eventualmente affermare di non averlo mai fatto).
Un argomento che usa la definizione in modo surrettiziamente persuasivo è quello che fa appello
alla natura o essenza di una cosa, come per esempio “l’essenza del matrimonio” o della “famiglia”
o del vero “amore”.
• Ai chi legge non sarà nuova la polemica sulle coppie di fatto e sulle coppie gay, prima
descritte come amore “indebolito” (le prime) o “contro natura” (le seconde), per poi
(queste ultime) sfumare allusivamente verso la “malattia” e infine diventare identiche
alla “pedofilia” ed evocare gli “orchi”. A questo punto si ha quello che serve: uno
spauracchio, e le reazioni saranno pressoché automatiche. Dovremo essere in grado, in
tal caso, di riconoscere l’argomento della brutta china e la tecnica dell’uomo di paglia.
3. Come si definisce
Una definizione serve a esplicitare il “significato” di un termine. Ma la parola “significato” può a
sua volta indicare due cose diverse: 1) l’insieme degli oggetti ai quali un termine si applica o 2) gli
attributi comuni di tali oggetti. Per imparare a definire nel primo senso useremo il metodo
“estensionale”; nel secondo, il metodo “intensionale”.
• (1) Dal punto di vista logico ogni termine denota un certo numero di oggetti (o classe):
questi oggetti costituiscono l’estensione del termine. La definizione estensionale (o
denotazione) è l’insieme degli oggetti denotati o indicati da un termine o da
un’espressione linguistica; si riferisce all’insieme cui si applica correttamente il
significato di un termine.
• (2) La definizione intensionale (o connotazione), anziché fornire un impossibile elenco
di tutti gli oggetti che corrispondono a un concetto, si limita a dare le caratteristiche
essenziali dell’oggetto stesso. La definizione intensionale è ciò che il termine o il segno
linguistico esprimono (il loro significato): è data dall’insieme delle proprietà essenziali
del significato di un termine.
3.1. Estensione
Definizione tramite esempi
Per definire un concetto o “termine generale” possiamo ricorrere a un espediente semplicissimo.
• Per definire il termine “città” possiamo fare riferimento a Milano, Torino, Venezia,
Parigi, Londra Vienna.
Per farci capire procediamo dunque a un’enumerazione di oggetti denotati da quel termine.
Definire, in questo caso, corrisponde a esemplificare.
• Così, per chiarire il termine “basilica” possiamo riferirci a S. Pietro, S. Paolo fuori le
mura, S. Giovanni in Laterano (e ci riferiremmo alle “chiese romane”, che
appartengono a una medesimo insieme).
La tecnica è efficace, benché incompleta, in quanto è difficile (quando non impossibile)
enumerare proprio tutti i casi in cui occorre il termine.
Definizione ostensiva
Se per definire un oggetto lo indichiamo con un gesto, utilizziamo il metodo ostensivo (il termine
latino “ostendere”, da cui la parola deriva, è traducibile con “mostrare”, “far vedere”), per
esempio, indichiamo un libro con il dito indice mentre pronunciamo la parola “libro”. Ma
consideriamo un caso limite:
• Il termine “unicorno”, per esempio, è un “insieme vuoto”, in quanto non ha nessun
referente esterno all’insieme degli enti esistenti (infatti non esiste, ma forse potremmo
inserirlo nell’insieme degli enti immaginari o letterari).
• Lo stesso vale per il termine “chimera” (un mostro con il corpo e la testa di un leone,
una seconda testa di capra sorgente dalla schiena e una coda di serpente).
In quanto inesistenti, i termini “ippogrifo”, “unicorno” e “chimera” sono termini privi di
estensione, non denotano nulla di reale (non per questo, però, sono incomprensibili). Con le
parole prive di estensione ci troviamo nei guai: non possiamo costruire delle definizioni a partire
dal loro significato estensionale tramite esempi o facendo ricorso a una definizione ostensiva (a
meno che non indichiamo un’immagine che sta per l’oggetto).
Inoltre, la definizione ostensiva presenta già di per sé alcuni problemi (evidenziati da Agostino nel
suo De Magistro), concernenti in particolare l’apprendimento delle lingue: essi concernono la
questione dell’interpretazione.
• Noi possiamo infatti indicare “camminare” semplicemente iniziando a camminare. Ma
se stiamo già camminando cosa possiamo fare? Per esempio camminare più
velocemente. Ma questo potrebbe essere interpretato come “correre” o “camminare più
velocemente”.
L’irrisolto problema dell’ostensione riguarda la questione dell’ipotesi interpretativa. Nella
stragrande maggioranza dei casi dobbiamo seguire un altro metodo, ovvero considerare il
significato di un termine (la sua “connotazione” o definizione intensionale).
3.2. Intensione
Definizione sinonimica
Spesso, per definire una parola facciamo ricorso a un’altra parola (o a più parole) di significato
già noto. Questo può essere ottenuto tramite un sinonimo. Tale termine indica un vocabolo che ha
lo stesso significato fondamentale di un altro, ma forma fonetica (e grafica) diversa.
• Possiamo per esempio definire “vestito” tramite la parola “indumento”, o la parola
“abito”. La parola “dolore” può essere definita tramite i sinonimi “male” o
“sofferenza”.
Come ben sanno i traduttori, i sinonimi non sono però mai del tutto uguali: c’è sempre una
sfumatura di significato, determinata dalla storia e dal contesto, ma alla base si trova un
significato comune che permette la traducibilità dei termini, anche se solo in una certa misura,
una traduzione indica infatti “quasi” la stessa cosa.
Definizione per genere e differenza specifica
Nella maggior parte dei casi siamo di fronte a termini complessi, che per essere definiti hanno
bisogno di più di un attributo. In questi casi un sinonimo non basta, o non è sufficientemente
preciso. La (tradizionale) definizione di uomo appartiene a questo tipo di casi.
• Zoon logon echon, definizione usata da Aristotele insieme a quella di zoon politikon
(animale politico), significa letteralmente “animale dotato di parola” (o ragione).
In essa sono contenuti due concetti. In prima istanza, dunque, l’uomo è definito come essere
appartenente all’insieme (o al genere) degli animali (non è un vegetale o un minerale). L’insieme
degli animali è il genere prossimo a cui appartiene. All’interno di tale insieme si differenzia, in
quanto dotato di logos. In base a tale definizione la razionalità costituirebbe dunque la differenza
specifica, ciò che fa la differenza tra l’uomo e le altre specie animali (il che è naturalmente tutto
da dimostrare).
Genere e specie sono relativi l’uno all’altra, così come la madre è madre dei suoi figli, ma allo
stesso tempo figlia di sua madre: se una parte di una definizione svolge la funzione di specie in
quella particolare definizione, potrebbe essere il genere di un’altra definizione.
La definizione per genere e specie è sempre possibile quando un termine è abbastanza ampio da
comprendere dei sottoinsiemi, come nel caso del “poligono”. Tutti i membri di questo genere
condividono la caratteristica di essere “figure piane chiuse, delimitate da segmenti di linea retta”, e
le sue specie sono triangoli, quadrilateri, pentagoni, esagoni ecc., ognuna delle quali costituisce un
sottoinsieme con caratteristiche particolari.
La definizione per genere prossimo e differenza specifica, sviluppata da Aristotele sulla base
del metodo di diairesis (divisione) e synagoge (sintesi o riunificazione) di classi di concetti
utilizzato dalla dialettica platonica (vedi Glossario), permettendoci di individuare analogie e
differenze, rappresenta una vera palestra per la mente, e corrisponde alla ricerca del “che cos’è”.
Ma come definire correttamente per genus et differentiam? Ogni definizione deve essere per
genere prossimo e differenza specifica Ovvero: l’espressione (il definiens) con la quale si
caratterizza ciò che si vuole definire (il definiendum) fornisce 1) il genere minimo in cui rientra il
definiendum e 2) la caratteristica specifica che, all’interno di tale genere, contraddistingue il
definiendum. Ciò richiede quattro ulteriori precisazioni (cf. Peruzzi 1997).
DEFINIZIONE PER GENERE E DIFFERENZA SPECIFICA
– QUATTRO ACCORGIMENTI –
(1) Se è corretto definire l’uomo come “animale razionale” non è invece appropriato
definirlo come “ente razionale” (“ente” non è il genere prossimo) o animale bipede
(“bipede” non contraddistingue l’uomo tra gli esseri animati).
(2) Il genere non è una qualsiasi classe che includa il definiens, neanche se questa fosse la
classe minima. Se anche in natura non ci fossero altri bipedi non pennuti, non sarebbe
corretto definire l’uomo come bipede implume. La caratteristica sarebbe accidentale,
non pertinente, cioè, all’essenza del definiendum “uomo”. Possiamo concepire senza
contraddizione uomini con più o meno di due gambe, ma non uomini privi di
linguaggio (che può essere anche gestuale, tattile ecc.).
(3) Definiendum e definiens devono essere convertibili, ovvero: l’uno deve implicare
l’altro e viceversa, in modo che si possano sostituire reciprocamente in qualsiasi
momento (vedi condizione necessaria e sufficiente). Così la definizione indicata
precedentemente non sarebbe corretta se esistessero altri animali dotati di logos.
(4) Infine, le definizioni devono avere un’utilità conoscitiva, devono quindi essere tali che
il definiens sia più noto del definiendum: così non avrebbe senso definire il quadrato
come rettangolo equilatero, se non perché possiamo presumere che le nozioni di
“rettangolo” e di “equilatero” siano già note e rappresentino un presupposto della
nozione di “quadrato”.
3.3. Del ben definire
Precisiamo ora le osservazioni fatte a proposito della definizione per genere e differenza specifica
(il modello aristotelico) proponendo cinque regole per una “buona” definizione. Se vengono
rispettate, la definizione coincide con la condizione necessaria e sufficiente (vedi Glossario e
sezione Logica, L’inferenza e le sue condizioni).
INNANZITUTTO, UNA DEFINIZIONE DOVREBBE SPECIFICARE GLI ATTRIBUTI ESSENZIALI DELLA
SPECIE.
Questa regola, così com’è, è un po’ ermetica. Si tratterebbe di capire che cosa sia l’essenza di una
cosa (se ci sia, soprattutto) e quali ne siano gli attributi, prima di definire alcunché (altrimenti ci
troveremmo in un caso di pseudo-identità tra definiendum e definiens). Proprio gli attributi
essenziali potrebbero poi essere oggetto di discussione. Possiamo considerarli dal punto di vista
del contesto. Una definizione richiede in ogni caso un accordo.
• In politica l’essenza dell’uomo deve contenere il riferimento al suo essere un animale
sociale o, al contrario, un animale a-sociale (le conseguenze che se ne trarranno per la
convivenza saranno diversissime).
• Mentre se vogliamo distinguere l’uomo da altri animali possiamo pensare alla capacità
di parlare (l’uomo è un animale dotato di parola), oppure al fatto che è capace di
ridere e sa inventare e capire le barzellette.
• Un senatore è un essere umano come gli altri, che, però, non può avere meno di 40
anni e svolge una funzione particolare.
• Le scarpe possono essere definite in base al loro materiale o non è invece meglio
spiegare a quale funzione servono?
IN SECONDO LUOGO, UNA DEFINIZIONE NON DOVREBBE ESSERE CIRCOLARE.
Se il definiendum (o un suo sinonimo) si trova nel definiens la definizione è come se non ci fosse
(in termini tecnici la fallacia è detta circulus in definiendo, cui corrisponde, nell’argomentazione,
il circulus in probando). Tale situazione può verificarsi anche con l’uso di sinonimi e contrari.
Può essere talvolta utile per la comprensione, ma si tratta di un metodo non del tutto rigoroso di
definire, come vediamo con le due regole seguenti.
• Proviamo a considerare una definizione del tipo «Un giocatore d’azzardo incallito è
una persona che gioca d’azzardo in modo incallito». Immaginiamo di essere stranieri e
di non capire le parole giocare d’azzardo e incallito. A che ci servirebbe una
definizione simile?
• Le cose non andrebbero meglio se definissimo lo stress come «fenomeno che si
manifesta in risposta a evento o modo di vita stressante”.
IN TERZO LUOGO, UNA DEFINIZIONE NON DOVREBBE ESSERE TROPPO AMPIA O TROPPO RISTRETTA.
Se il definiens denotasse più cose rispetto a quelle che vengono denotate dal definiendum la
definizione non sarebbe rigorosa e si avrebbe una fallacia della definizione troppo ampia (vedi
anche condizione necessaria) Se, invece, denotasse meno cose rispetto a quelle denotate dal
definiendum avremmo la fallacia della definizione troppo ristretta (vedi anche condizione
sufficiente). Una definizione sinonimica corre entrambi questi rischi.
Come abbiamo già detto, possiamo definire un uomo come un “bipede implume”: in fondo una
definizione vale l’altra. Ma come lo distingueremmo da un pollo spennato? Così, possiamo
definire lo stivale come “calzatura lunga, in pelle”, ma in fondo gli stivali possono essere anche di
gomma, quindi, mentre la prima definizione era troppo ampia, questa è troppo ristretta.
IN QUARTO LUOGO, UNA DEFINIZIONE NON DEVE ESSERE ESPRESSA IN UN LINGUAGGIO AMBIGUO,
OSCURO, FIGURATO O CONNOTATO EMOTIVAMENTE.
Questa regola deve essere però relativizzata. È chiaro che certe espressioni usate in questo libro
possono sembrare oscure, se si apre una pagina a caso. Ma se si segue il percorso passo dopo
passo, alla fine i termini utilizzati appariranno come ciò che sono: convenzioni per descrivere e
definire come si ragiona in modo corretto. Del resto i termini usati da un medico sono normali, per
i medici, e solo talvolta possono essere oscuri per i pazienti, così come le parole degli adulti
spesso non vengono comprese dai bambini. Inoltre, quando diciamo: “sembra scritto in cinese”
(ma i tedeschi direbbero: “sembra spagnolo”), forse vogliamo dire che un discorso, un concetto o
un testo è troppo difficile, siccome però persino i bambini cinesi parlano perfettamente il cinese
(quindi non deve poi essere così difficile), allora in effetti diciamo, senza esserne coscienti, che
non capiamo qualcosa perché le nostre conoscenze sono inadeguate alla difficoltà dell’oggetto,
cioè che siamo noi gli ignoranti.
Ciò premesso, però, talvolta le definizioni sono inutilmente oscure. Prendiamo il caso seguente:
«Qualsiasi cosa reticolata e decussata a distanze uguali con degli interstizi tra le intersecazioni».
Di cosa si tratta? Della definizione di rete secondo Samuel Johnson (Dictionary of the english
language, 1755).
Più spesso, inoltre, la definizione oscura o in linguaggio figurato lo è solo fino a un certo punto
perché in realtà vuole suscitare ilarità (e quindi deve essere compresa come battuta o arguzie): se
per esempio dicendo “un moderno e ingegnoso gioco d’azzardo in cui si permette al giocatore di
essere piacevolmente convinto di battere l’uomo che tiene banco” definissimo l’assicurazione.
Oppure suscitare un’emozione: nel Paradiso dantesco, “il secondo sorriso” di Beatrice sono gli
occhi. O, usando un eufemismo, evitare un termine troppo spinto, come nei consigli di Pierre
Louys (Piccolo galateo erotico per fanciulle, Milano 1998: 78-9, censura nostra, per ovvi motivi):
«Non dite: “La mia f...” Dite: “Il mio cuore”. Non dite: “Ho voglia di s...”. Dite: “Sono nervosa”.
Non dite: “Ho goduto da pazzi”. Dite: “Mi sento un po’ stanca”.
A parte questi usi, se il nostro intento è quello di definire, e se vogliamo che la nostra definizione
possa essere utilizzata nell’ambito di una disputa con qualche probabilità di resistere al tentativo
dell’avversario di confutarci, occorre evitare la fallacia della definizione oscura. Parimenti
dovremo stare attenti alle definizioni che presentano linguaggio connotato da un punto di vista
emotivo, (ricadremmo tra l’altro nella fallacia del linguaggio pregiudizievole). Come se, per
esempio, definissimo l’“aborto” un “abominio contro la religione e la costituzione”.
INFINE, UNA DEFINIZIONE NON DOVREBBE ESSERE NEGATIVA QUANDO PUÒ ESSERE AFFERMATIVA.
Va da sé che una definizione negativa dice solo ciò che una cosa non è. Ma non per questo ci aiuta
a capire che cosa essa sia, visto l’enorme numero di cose non significate dalla totalità dei termini.
Certo, alcuni termini richiedono una definizione negativa, come “calvo” (persona priva di capelli),
ma per lo più le definizioni affermative sono preferibili a quelle negative, come quelle connotative
per la comprensione sono superiori a quelle denotative, e di tutte le definizioni connotative quelle
per genere e differenza sono le più precise, utili ed efficaci nel ragionamento e negli usi
informativi del linguaggio.
LE CINQUE REGOLE DELLA DEFINIZIONE
I
II
III
IV
V
UNA DEFINIZIONE DEVE SPECIFICARE GLI ATTRIBUTI
ESSENZIALI DELLA SPECIE.
UNA DEFINIZIONE NON DEVE ESSERE CIRCOLARE.
UNA DEFINIZIONE NON DEVE ESSERE NÉ TROPPO
AMPIA NÉ TROPPO RISTRETTA.
UNA DEFINIZIONE NON DEVE ESSERE ESPRESSA IN UN
LINGUAGGIO AMBIGUO, OSCURO, FIGURATO O
CONNOTATO EMOTIVAMENTE.
UNA DEFINIZIONE NON DEVE ESSERE NEGATIVA
QUANDO PUÒ ESSERE AFFERMATIVA.
La palestra della mente
1. Definisci tramite esempi (almeno tre): a. animale; b. parlamento; c. fiore; *d. colore; e. città; f.
compositore.
2. a) Disponi i seguenti termini in ordine di intensione crescente: a. acqua, acqua minerale, liquido,
bevanda, bottiglia da un litro di acqua minerale senza gas; b. vino bianco, vino, vino bianco freddo,
bevanda alcolica; c. cane, cane di razza, mammifero, vertebrato, animale; d.* Fedone, libro, libro di
filosofia, libro di filosofia antica, libro di Platone; e. pianeta, via, continente, città, stato, federazione,
regione, provincia;
b) e di estensione crescente: f.* gatti, esseri viventi, soriani fulvi, soriani, mammiferi, vertebrati,
felini. g.* oggetti materiali, tavoli stile impero, oggetti di mobilio, manufatti, supporti fissi, tavoli in
legno, tavoli, tavoli in mogano. h.* enti astratti, enti geometrici, figure piane, triangoli, poligoni,
triangoli scaleni, triangoli equilateri, triangoli isosceli.
3. Genere prossimo e differenza specifica. Elabora almeno 5 definizioni a piacere, adoperando il
genere prossimo e la differenza specifica.
4. Leggere criticamente un testo. Cerca delle definizioni curiose sui quotidiani dell’ultima settimana
e individuane gli eventuali difetti.
5*. Definire. Costruisci per ogni termine proposto una definizione, collegando ogni definiendum
con gli opportuni “genere prossimo” e “differenza specifica”.
Definiendum: “Bambino”; “puledro”; “dermatite”; “padre”; “ragazza”; “madre”; “pony”;
“deduzione”; “induzione”;“terrorismo”; “filosofia”, “anisomorfismo”.
Definiens (genere prossimo): 1. Inferenza; 2. genitore; 3. uomo; 4. cavallo; 5. Forma. 6. donna; 7.
uccisione; 8. amore; 9. capacità; processo infiammatorio.
Definiens (differenza specifica): A. maschio; B. giovane; C. femmina; D. molto piccolo; E.
indiscriminata di civili; F. diversa e incommensurabile; G. per il sapere; H. la cui conclusione è solo
probabile; I. di argomentare; L. la cui conclusione deriva necessariamente dal fatto stesso di aver posto
le premesse; M. di soldati e capi di stato; N. della cute.
6. Qualche esempio tratto dalla biologia. Costruisci la definizione tramite genere prossimo e
differenza specifica. Se non sai rispondere consulta una buona enciclopedia o un manuale di biologia.
A)* Definiendum: procariote (dal greco protos=primitivo e karyon= nucleo); eucariote (dal greco
eu= bene e karyon=nucleo);
Definiens: cellula (genere prossimo).
Definiens: (differenza specifica): a) dotata di un nucleo ben evidente, delimitato da una membrana;
b) più piccola, non dotata di nucleo evidente
B) Definiendum: membrana cellulare; ribosomi; citoscheletro; nucleo; mitocondrio.
Definiens (genere prossimo): parte componente della cellula.
Definiens (differenza specifica): a. struttura responsabile del sostegno meccanico, della flessibilità e
dei movimenti della cellula; b. centro direzionale della cellula, sede delle informazioni che determinano
i caratteri che saranno trasmessi alla discendenza (DNA); c. regolatore dello scambio dei materiali tra
ambiente interno della cellula e ambiente esterno in cui essa è immersa; d. sede in cui vengono prodotte
le proteine, in base alle informazioni fornite dal DNA che sta nel nucleo; e. organuli
C) Definiendum: mitocondri; cloroplasti; clorofilla; tilacoide.
Definiens (genere prossimo): 1. organuli; 2. pigmento; 3. struttura a forma di sacco.
Definiens (differenza specifica): a. contenuto nelle tilacoidi, che permette di catturare la luce del
sole, necessaria per la fotosintesi clorofilliana; b. che si trovano nelle parte verdi delle piante e sono
coinvolti in processi di tipo energetico, sede della fotosintesi (dal greco photos=luce e
synthesis=mettere insieme) clorofilliana, mediante la quale la cellula produce sostanze ricche di
energia; c. a forma di fagiolo che dispensano energia alla cellula, sede della respirazione cellulare
(presente in tutte le cellule eucariote); d. presente nei cloroplasti e costituita da una doppia membrana
ripiegata su sé stessa nella quale è presente la clorofilla.
Le seguenti definizioni vi sembrano corrette o trovate qualcosa che non va? Fate riferimento alle
cinque regole della definizione.
7*. Derivata: limite a cui tende il rapporto incrementale di una funzione quando l’incremento
attribuito alla variabile indipendente tende a zero.
8. Cattivo è chi commette cattiverie.
9*. Il cloroplasto è una cosa colorata di verde..
10. Giocatore d’azzardo incallito è chi gioca d’azzardo in modo incallito.
12. L’uomo è l’animale più pericoloso.
13. Un cappotto è una copertura in pelle per il corpo.
14. Nella DDR (Deutsche Democratische Republik, ovvero Repubblica democratica tedesca) il
termine “muro di difesa antifascista” (Antifaschisticher Schutzwall) indicava ciò che nella BRD
(Bundesrepublik Deutschland, ovvero Repubblica federale tedesca) veniva chiamato “muro di Berlino”
(Berliner Mauer).
14*. La donna è una dolce ingannatrice.
15*. Un triangolo non è un quadrato né un rettangolo.
16. Un noioso è una persona che parla quando vuoi che ascolti.
17*. Analisi significa analizzare i particolari delle cose.
18. «Il sillogismo è un discorso in cui, poste talune cose, qualcosa di diverso dalle cose poste risulta
necessariamente, in virtù del fatto stesso che queste cose siano poste» (Aristotele, Analitici primi, A,
1).
19. «Tragedia è mimesi (imitazione) di un’azione seria e compiuta in sé stessa, con una certa
estensione, in un linguaggio abbellito di varie specie di abbellimenti ma ciascuno a suo luogo nelle
parti diverse, in forma drammatica e non narrativa, la quale, mediante una serie di casi che suscitano
pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni» (Aristotele, Poetica,
6 1449b)
20. Confrontiamo due definizioni della politica (o del “politico”). Evidentemente la definizione di
politica che decidiamo di considerare adeguata avrà delle conseguenze pratiche. Mentre secondo Carl
Schmitt il politico è «il grado o l’intensità massima della associazione o dissociazione di amico e
nemico», per Hannah Arendt, la politica è «agire di concerto» (act in concert).
21. Genocidio – (composto del greco genos, stirpe, e –cidio), voce coniata dal giurista polacco R.
Lemkin nel 1944 e pubblicamente usata nel processo di Norimberga (1946). Grave crimine, di cui
possono rendersi colpevoli singoli individui oppure organismi statali, consistente nella metodica
distruzione di un gruppo etnico, razziale o religioso, compiuta attraverso lo sterminio degli individui, la
dissociazione e la dispersione dei gruppi familiari, l’imposizione della sterilizzazione e della
prevenzione delle nascite, lo scardinamento di tutte le istituzioni sociali, politiche, religiose, culturali,
la distruzione di monumenti storici e di documenti d’archivio ecc.
22. a) Scandinavo: abitante della Scandinavia; b) Scandinavia: quella parte dell’Europa
settentrionale che comprende la Svezia e la Norvegia, e da un punto di vista storico-politico anche la
Danimarca con l’Islanda e, secondo alcuni, la Finlandia.
23. Calore = energia cinetica media delle molecole.
24. Si dice “noncontraddittoria” (o “coerente”) una teoria entro la quale non si può derivare un
enunciato e la sua negazione.
25. Il potere politico non è altro che il potere organizzato da una classe per l’oppressione di un’altra
(K. Marx e F. Engels).
26. Dio è ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore (Anselmo d’Aosta).
27. Dire, di ciò che è, che non è e, di ciò che non è, che è, è falso; dire, di ciò che è, che è, e di ciò
che non è, che non è, è vero (Aristotele).
28. La religione è l’oppio dei popoli, e Gesù Cristo una menzogna redditizia.
29. L’enunciato indica una proposizione dichiarativa di senso compiuto che può avere due o più
valori di verità.
30*. È bene ciò che per il nemico è male.
31. Una definizione è un errore accettato per guadagnare tempo.
32*. Il tè verde è una bevanda calda.
33. «Gentile signore, ci chiede quale sia la nostra posizione sull’aborto. [...] Se per aborto intende
l’assassinio di esseri umani indifesi [e] la negazione dei diritti ai nostri cittadini più giovani [...] allora
stia pur certo che la nostra opposizione, con l’aiuto di Dio, non potrà mai vacillare. Ma se per aborto
intende la garanzia di uguali diritti a tutti i nostri cittadini senza distinzioni di razza, colore o sesso;
l’eliminazione di istituzioni abiette che approfittano di donne disperate e prive di risorse;
un’opportunità di essere amati e desiderati per tutti i nostri giovani; e, soprattutto, quel diritto di agire
secondo coscienza dato da Dio a tutti i cittadini – allora [...] non ci lasceremo mai persuadere a
rinunciare all’impegno verso i più fondamentali diritti umani» (Copi & Cohen 1999: 141).
34. «Il terrorismo può essere definito in molti modi. Uno è: uccisione indiscriminata di civili inermi per
motivi in senso lato “politici”. Se accettiamo questa definizione dobbiamo anche accettare le sue
conseguenze logicamente necessarie. La guerra, guardata non-simbolicamente, è comunque sempre una
brutale carneficina, un atto volontario di cannibalismo intraspecifico collettivo. Ma quando mira a
colpire con operazioni di sterminio, direttamente, le popolazioni civili, la guerra è un crimine contro
l’umanità della stessa natura del terrorismo, solo molto più in grande: basta confrontare i numeri delle
vittime dei bombardamenti convenzionali e atomici dell’ultima guerra mondiale ai numeri delle vittime
degli attentati terroristici. Una guerra, internazionale o “interna”, che preveda operazioni tali da colpire
massicciamente le popolazioni inermi sta al terrorismo come la grande industria all’artigianato: è
terrorismo su scala industriale. Anche la guerra militarmente corretta (eserciti contro eserciti, corpi
speciali contro corpi speciali) è comunque orrenda per violenza e crudeltà reciproca dell’uomo
sull’uomo. La guerra che produce sterminio indiretto, “collaterale” delle popolazioni civili attraverso la
denutrizione, le epidemie, gli stenti è anch’essa un crimine contro l’umanità della stessa natura del
terrorismo» (Luigi Lombardi Vallauri, La guerra non è un diritto, in «Il Manifesto» del 17 ottobre
2001).