Non avete ancora visto tutto al cinema se vi

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Non avete ancora visto tutto al cinema se vi
ANNO XXI NUMERO 24 - PAG 2
Fascisti in fiera
Grande agitazione militante (e
molta retorica) per lo sbarco a
Milano dei marziani Le Pen & Co.
I centri sociali hanno
scaricato un carro di letame
fumante all’angolo della
strada, in via Gattamelata, a
due passi dal Mico, il Centro
Congressi Fiera dove ieri
RIPA DEL NAVIGLIO
alle 18 è iniziata la grande kermesse dei
partiti che a Strasburgo formano il
gruppo Europe of nations and freedom
(Enf). Marziani a Milano. Non c’è l’Ukip di
Nigel Farage,ma ci sono, oltre al Front
National di Marine Le Pen e alla Lega
padrona di casa, gli heideriani del Fpo,
gli autonomisti fiamminghi, il Partito
della libertà olandese di Geert Wilders, la
Nuova Destra polacca e pure Romania
unita. “Nazisti rossi fuori, persone per
bene dentro! Tutto esaurito”, ha gongolato
su Facebook Matteo Salvini.
Smog a parte, il clima con cui la città ha
accolto gli ospiti è il consueto mix di
massimalismo becero e di paludata
retorica antifascista. Già nei giorni scorsi
la sede della Lega s’è beccata secchiate
di vernice rossa e altre carinerie. Ieri la
polizia ha dovuto istituire una sorta di
zona rossa intorno al Mico, per evitare
guai con il concentramento antagonista
promosso al grido di “Milano meticcia
antifascista e antirazzista” contro
“fascisti, razzisti e sessisti”. Oggi c’è la
mobilitazione studentesca con corteo.
Perché è una grave minaccia, che gente
così si ritrovi a raccontarsela in un centro
congressi. Domenica scorsa, presidi e
speakeraggi avevano fatto da contorno a
un altro evento politicamente molto
scorretto, un convegno promosso dal
partito pan-europeo Alliance for peace
and freedom (si va da Forza Nuova ad
Alba dorata) che però non proponeva di
bruciare gli ebrei o stuprare le donne in
piazza, ma aveva per titolo “Siria, la
guerra al terrore”. C’erano anche noti
estremisti come l’ex ministro centrista
Mario Mauro o il reporter di guerra Gian
Micalessin. Minacciosi.
L’antifascismo militante milanese non è
una cosa nuova, ma si cala qui in un clima
preelettorale che induce il ceto politico
di sinistra ad andarci cauto, nonostante le
grida allarmate dell’Associazione
partigiani. Un appello dell’Osservatorio
democratico sulle nuove destre, in
occasione del convegno sulla Siria –
“Chissà se il sindaco e i candidati alle
primarie del centrosinistra, tra cui il
vicesindaco, se ne accorgeranno. Ci
auguriamo che chi ha il compito di
vietare manifestazioni e raduni di partiti
che richiamandosi al fascismo e
all’antisemitismo sono palesemente
fuorilegge, ci sia una sensibilità” – è
caduto nel vuoto. E dire che Pisapia,
l’estate scorsa si era molto speso per
vietare un raduno di CasaPound. Ieri ha
preferito brindare alla candidatura di
Francesca Balzani. Ci sono le primarie,
per infilarsi nell’antifascismo militante
c’è sempre tempo.
Mentre la concitazione mediatica “anti”
Beppe Sala si affida tutta ai misteri ancora
irrisolti del bilancio di Expo (animata
audizione in comune lunedì scorso) e su
presunti favori ad architetti e notai,
l’Altra Economia ci ha fatto sapere che a
fine 2015, ancora in carica come
commissario unico di Expo, Sala “ha dato
vita a una società di consulenza cui fa
parte anche il ‘numero due’ di Expo 2015
spa, Pietro Galli, con due altri soci. Sala
vi partecipa con 10 mila euro. La Finalter
spa ha “contatti tra la ‘galassia’ di Expo
2015” e avrà per oggetto sociale “i servizi
di consulenza di azienda”. Niente di
male. Sala ha risposto alla rivista che “il
fatto che io porterò o meno la mia opera
professionale a Finalter dipenderà,
ovviamente, dall’evoluzione della mia
candidatura a Sindaco di Milano”.
Lunga vita a Franco Cerri, che oggi
compie novant’anni e festeggia in concerto,
manco a dirlo, con la sua chitarra: una
delle più belle del jazz, non solo italiano.
Ha suonato con i grandi, da Gerry
Mulligan a Chet Baker, è stato un
protagonista schivo in una lunga stagione
jazzistica e creativa (ha fatto anche la
pubblicità) che ha avuto come capitale
Milano (ma oggi dice che il miglior jazz si
ascolta a Roma). Insegna ancora ai Civici
corsi di Jazz, lui autodidatta della musica,
a una trentina di adoranti studenti. Gira
in metropolitana, saluta tutti, virtuoso
dell’ironia. Al teatro Dal Verme, stasera,
ore 21. Ingresso libero, se c’è posto.
Maurizio Crippa
IL FOGLIO QUOTIDIANO
VENERDÌ 29 GENNAIO 2016
IL DEBUTTO DEI “DANIELS” AL SUNDANCE CON UN FILM ASSURDO
Non avete ancora visto tutto al cinema se vi manca il morto scorreggione
C
redevamo di aver visto ogni stranezza,
dal film parlato in latino (“Sebastiane”, lo girò Derek Jarman nel 1976) al
film con lo pneumatico assassino (“Rubber”, lo girò Quentin Dupieux nel 2010).
Roba da dilettanti, scopriamo con un certo disappunto. Non reggono il confronto
con “Swiss Army Man”, presentato al
Sundance Film Festival qualche giorno
fa. Mentre una buona metà degli spettatori se ne andavano alla spicciolata (come
direbbe il verbale di polizia).
Andarsene, a un Festival, non significa necessariamente che il film fa schifo
(come direbbe l’avvocato del diavolo, in
questo caso dei registi Daniel Kwan e Daniel Scheinert, in arte semplicemente
“Daniels”). Può voler dire che nella sala
accanto sta per cominciare un film più
ghiotto, o che un gruppetto di addetti ai
lavori aveva un’ora buca, e voleva impiegarla dando una guardatina al debutto di
due giovanotti noti per i loro video musicali. Può essere, ma non è probabile, visto che i “Daniels” hanno raggiunto la notorietà con filmati ad alto grado di follia:
guardare per credere il delirante “Turn
Down for What”.
“Swiss Man Army” comincia su un’isola deserta (consideriamolo un omaggio a
“Revenant”, dove Leonardo DiCaprio usa
un cavallo morto per sacco a pelo). Paul
Dano sta per impiccarsi – ha la barba da
Robinson, quindi deve essere lì da un
pezzo – quando un cadavere scorreggiante arriva sull’isoletta. “Scorreggiante”
non è per dare un tocco di colore, i gas
corporei resteranno al centro della scena
fino a esaurimento dello spettatore (“non
avete idea di come tuona un peto quando la sala ha un sistema Dolby ben funzionante”, garantisce un critico che all’anteprima c’era). Prima dei titoli di testa, l’astuto Paul Dano fa tesoro delle
emissioni, usando il cadavere a propulsione naturale per andare in un luogo un
po’ meno deserto. La scena l’abbiamo vista tante volte, nello spazio, quando l’astronauta sperduto deve tornare all’astronave: era in “The Martian – il sopravvissuto” di Ridley Scott, era in “Gravity”
di Alfonso Cuaron, ed era in “Wall-E”,
quando il robottino con un estintore cerca di ricongiungersi nello spazio con la
sua Eve.
Variety ha coniato per il film la definizione di “indifferent movie”: la sottospecie di pellicole indipendenti che non
prendono in considerazione l’esistenza di
un pubblico, quindi non fanno nessuno
sforzo per rendersi graditi. Ne conosciamo anche da noi parecchi esempi (spesso stanno nelle liste dei film “maltrattati
dalla distribuzione”, in genere noiosissimi, quindi giustamente tolti dal mercato).
Ma davanti a gente che tenta qualcosa di
originale, abbandonando la stanzetta e il
tavolino si cucina, tendiamo a essere più
benevoli. Tanto più che “Swiss Army
Man” non è stato affatto stroncato come
uno si aspetterebbe, quindi oltre alla
stranezza deve avere qualcosa in più.
Aiuta la presenza del terzo Daniel, che
di cognome fa Radcliffe e le studia tutte
per far dimenticare il maghetto con gli
occhiali Harry Potter (cominciò mettendosi nudo e amoreggiando con un cavallo in “Equus” di Peter Schaffer, non è ba-
stato). Aiuta anche il fatto che il cadavere sembra riprendere vita – insistiamo
sul “sembra”. Abbastanza perché Paul
Dano lo battezzi “Manny” e decida di discorrere con il morto dei massimi sistemi (che però, essendo il vivo e il redivivo
entrambi maschietto dalle seghe mentali scivola spesso verso le seghe e basta).
Da qui il sunto, fornito da un altro critico presente alla proiezione: “un suicida
cerca di convincere un cadavere che la
vita merita di essere vissuta”.
Attendendo le proteste dei registi italiani che ci accuseranno di esterofilia per
aver preferito le scorregge americane alle nostrane, restano un paio di dettagli. I
“Daniels” ammettono di essere partiti da
una barzelletta, ma rivendicano per il loro film l’etichetta “fart drama” (uno spettatore ha detto “commedia”, si sono offesi, e “fart” appunto sta per “peto”). Il titolo allude ai molti altri usi che Paul Dano fa del cadavere, utile su un’isola remota quanto un coltellino svizzero. “Swiss
Army Knife”, appunto.
Mariarosa Mancuso
NUMERI E CASI DI SCUOLA ITALIANI CONTRO LA VULGATA
La cura del ferro del ministro Delrio contro lo smog è costosa e inefficace
N
el corso dell’audizione dell’altroieri
alla commissione Ambiente della Camera sul tema delle strategie per la riduzione dell’inquinamento, il ministro dei
trasporti Graziano Delrio ha affermato che
“la prima strategia è la cura del ferro. L’investimento sulle linee metropolitane è necessarissimo”. Non è così: le evidenze empiriche di cui disponiamo smentiscono la
tesi di Delrio (e, per la verità, di molti altri).
In tutti i paesi del mondo occidentale il
miglioramento della qualità dell’aria degli
scorsi decenni è da ricondursi quasi esclusivamente alla innovazione tecnologica dei
veicoli. In assenza di tale evoluzione, tutte le città europee sarebbero oggi più inquinate rispetto agli anni settanta. Una migliore dotazione di infrastrutture e di servizi di trasporto collettivo ha, infatti, ricadute limitatissime in termini di “riequilibrio modale” a scala regionale o nazionale, come reso evidente dal confronto fra l'Italia e altri paesi che dispongono di più
ferrovie, metropolitane e tram. E’ per
esempio il caso della Svizzera, paese che,
probabilmente, dispone della miglior rete
di trasporti pubblici al mondo. Ebbene, anche nel caso elvetico la quota di domanda
di trasporto soddisfatta dal mezzo privato
si attesta, come in Italia ed in tutti gli altri
maggiori paesi europei, intorno all’80 per
cento.
Un paio di esempi possono aiutarci a
comprendere meglio questa realtà.
Il primo è quello della metropolitana automatica di Torino, costata un miliardo e
inaugurata in occasione delle Olimpiadi
IL RIEMPITIVO
di Pietrangelo Buttafuoco
Baci contro il muro, ieri. Il
sarcastico Signor so-tutto-io braccato con un semplice cenno di arrivederci scambia le proprie cicatrici con i
legacci di un reggiseno. E’ una ragazza
a offrire a lui tutto quell’andirivieni di
del 2006, che ha determinato una riduzione degli spostamenti in auto pari a circa
l’1,5 per cento di quelli complessivi nell’area metropolitana. La riduzione della concentrazione di polveri sottili conseguita è
dell'ordine di qualche decimo di microgrammo per metrocubo, un impatto quasi
impercettibile se confrontato con la diminuzione di cento microgrammi dei precedenti trent’anni.
Il secondo è il recente Piano urbano della mobilità sostenibile del comune di Milano che, in linea con quanto auspicato dal
coppe e tiranti. Una torsione del busto,
in lui. Un agguato di abbracci, lei. Addosso a un pannello, un bassorilievo
brulicante di spade, lance e corazze –
come al Museo Tucci, a Roma – lei e lui
fanno a gara di respiro e segreti. Se solo sapeste come ci si spoglia a Persepoli…
ministro dei Trasporti, si propone come
obiettivo una riduzione della quota di domanda di mobilità soddisfatta dal mezzo individuale a favore dei trasporti collettivi e
degli spostamenti in bicicletta e a piedi. Se
attuato integralmente, il piano comporterebbe maggiori spese e minori introiti per
il settore pubblico pari a circa 200 milioni
di euro all’anno ma, come riconoscono gli
stessi autori del documento, non sarà il
cambio modale a fare la differenza: “Il contributo più rilevante alla riduzione delle
emissioni è attribuibile al progresso tecnologico nella progettazione dei veicoli a motore per il rispetto delle direttive europee
in materia di emissioni da veicoli a motore e al progressivo ricambio nel parco veicolare circolante”.
Lungi dall’essere risolutiva, la cura del
ferro rassomiglia a una terapia inefficace
per una malattia dal decorso assai positivo
e destinato a proseguire nei prossimi anni
senza ricorso a un nuovo e costoso farmaco.
Francesco Ramella
IL SUPREMATISMO ESTETICO DELLA SINISTRA ORFANA DEI BAFFI DALEMIANI
Scarpe coatte eppur bisogna andar… Apologia del mocassino “blu Verdini”
M
e la vedo eccome, la sofferenza del
mite Miguel Gotor raccontata ieri sul
Corriere dal perfido Fabrizio Roncone.
La sofferenza acuta di quest’anima bersaDI
ALESSANDRO GIULI
niana in corpore tondo della minoranza
dem, mentre assiste al trionfo dell’ex (?)
berlusconiano Denis Verdini che salva
Matteo Renzi dalla sfiducia e ipoteca un
posto al sole nelle tasche della nuova
maggioranza di fatto, quella che condurrà
le danze da qui al prossimo voto. Ma è un
patimento quasi tutto estetico, a quel che
pare, derivato dalla vista di quei “mocassini di camoscio blu, scarpette simili a
quelle di Flavio Briatore, però senza nappine e senza iniziali: che invece sono sulla camicia tagliata su misura, con i polsini stretti da gemelli d’oro massiccio”. Di
qui l’alto lamento, lo sbotto rasoterra, il
ringhio mesto: “Guardi com’è vestito.
Guardi come cammina. Direi che è antropologicamente diverso da noi”.
Esistono uomini che sono destini. Quello di Verdini è anche di vellicare, esulcerandolo, il suprematismo estetico di una
sinistra senza più colori, costretta com’è
ad aggiornare il suo grigio pantone domestico con l’introduzione del “blu Verdini”: un cazzotto negli occhi, l’emblema di
una gioiosa e destra cafonaggine di provincia che si fa largo al governo; con in
più quel tratto di toscanitudine bottegaia
così comune alla corte fiorentina del
BORDIN LINE
di Massimo Bordin
Non c’è solo il sindaco, da
eleggere a Milano. E’ vacante anche la carica più importante, dal punto di
vista politico anche se non gerarchico, a
palazzo di giustizia, quella di procuratore capo. Ne parla Frank Cimini sul sito
GiustiziaMI.it segnalando una forte visibilità mediatica dell’aggiunto Francesco
Greco grazie ai contenziosi fiscali di società come Google e Apple. Peraltro, ricorda Cimini, considerato che il capo
della procura non lo eleggono i cittadini
ma il Csm, Greco parte avvantaggiato come aderente alla corrente di Magistratura democratica che secondo le alchimie
spartitorie di palazzo dei Marescialli
principe Renzi. Che se poi lo guardi bene, l’abisso estetico, con quei grassi gemelli d’oro, ci ritrovi pure un tocco di modernariato berlusconiano. Procul, o procul
este burini…
Ma c’è un però, e nemmeno piccolo, che
grava come un dispetto sul verdinifobico
manterrà quella posizione in continuità
con il precedente occupante Edmondo
Bruti Liberati. E a questo punto, nel ragionamento di Cimini, le due elezioni si
intrecciano perché proprio la passata gestione ha garantito a un certo punto una
sorta di moratoria nei confronti dell’Expo, il cui massimo gestore è ora il candidato del Pd a palazzo Marino. La continuità al vertice della procura, questa la
conclusione, lo rafforzerebbe garantendo
la non belligeranza. La denuncia giornalistica ha un senso, una sua logica. Ma
non è detto che poi le cose, se fosse eletto Greco, andrebbero così. In fondo,
quando Francesco Saverio Borrelli divenne procuratore capo era ritenuto
tutt’altro che ostile alla giunta Tognoli.
de sinistra, si chiami egli Gotor oppure
no. Ha appunto a che vedere con le scarpe, ed è il blasone posticcio del motore
immobile di questa minoranza dem così
ammaccata: Massimo D’Alema. Non fu
forse lui, nell’età d’oro della sua carriera,
ad attirarsi lunghi lazzi e sberleffi intorno
a quel paio di scarpe fatte fare su misura
da un artigiano altrimenti oscuro; e di cui
presto ebbe a vergognarsi come la gens
nova che, scalata la piramide sociale, s’inventa uno stemma di nobiltà bugiardo?
Fu lui. Tanto da dover chiudere la questione così, davanti a Curzio il Censore
Maltese: “Costano 120 euro al paio e non
1.000, fine della precisazione”. E la classe operaia s’acquietò.
Ma non può essere solo una questione
di stile, con tali presupposti, e Gotor lo sa
in cuor suo. Come dovrebbe ricordare che
la purezza e la signorilità sono le due lame d’uno stesso coltello da maneggiare
con tanta cura. Al giorno d’oggi di sinistra
non si nasce più, semmai si diventa. Gotor immodestamente lo nacque, ma assieme a quelli come Verdini governa l’Italia
più o meno dal 2012, con qualche intermittenza e troppe dolenti amnesie.
Tra governo e realtà. Il futuro sinistro di Alfano, oltre il rimpasto
(segue dalla prima pagina)
“Ogni tanto si scava una trincea, che l’indomani però è deserta”, dice un senatore,
uno dei tanti che non si lamenta in pubblico, che ancora non sa bene cosa fare, ma ha
tutto pronto per il trasloco – come Renato
Schifani che ad agosto andò a fare il bagno
da Berlusconi, a Villa la Certosa – “solo che
non si sa nemmeno dove traslocare”. Alla
Camera e al Senato, tra i parlamentari, fermentano discorsi dall’aria drammatica e
vagabonda che esplodono in determinatissimi e oscuri propositi di guerra: “Angelino
si deve svegliare”. Oppure: “Quello pensa
solo ai ‘casi’ suoi”. E ancora: “Anche Maurizio Lupi pensa solo a se stesso”. E poi con
malevola ironia: “A Lupi importa solo di
candidarsi a sindaco di Milano, come se
non aspettassero che lui…”.
E la denigrazione, gli uomini di Ncd, se
la riservano gelosamente, evitano di concederne l’esercizio ad altri, fanno tutto in casa. In Parlamento descrivono un Alfano incapace di agganciare davvero Renzi, e allora disegnano il quadro di una servile concorrenza a chi sa rendersi più utile: “Verdini senza stare al governo è decisamente più
abile”. Mentre in provincia, quelli che resistono, tentati come sono dal rifugiarsi nelle liste civiche, vedono un uomo deciso a
concentrarsi con felice miopia solo su ciò
che è vicino: i ministeri, il potere romano.
E ieri Alfano, oltre ad aver incassato la
promozione di Costa e di Dorina Bianchi a
sottosegretario ai rapporti con il Parlamento, ha pure riportato al governo il senatore
Antonio Gentile, calabrese, capo carismatico di quella che tutti chiamano “cordata
della soppressata”. Gentile stava per andarsene con Verdini, stava per portarsi via
il suo gruppo di senatori conterranei, Aiello e Bilardi – quest’ultimo molto noto in Calabria per la faccenda di un certo televisore Lcd acquistato con i soldi della regione,
e chissà come finito a casa sua – ma alla fine ha deciso di restare. Ora è sottosegretario allo Sviluppo.
Così da ieri sono dodici i membri del governo di Ncd. E insomma questo partito
che probabilmente non avrà una lista per
le amministrative né a Roma né a Napoli,
forse nemmeno a Torino, questo partito che
Renzi considera così elettoralmente scarso da non volercisi alleare da nessuna parte, questo partito che ha visto ridursi i consiglieri delle Marche da cinque a uno e
quelli della Campania da sette a due, esprime però dodici membri del governo. Dovunque si è votato, finora, il personale eletto di questo “nuovo centro destra” si è ridotto dell’80 per cento, o è stato completamente cancellato con un colpo di spugna
sulla lavagna della politica. Il Nuovo centrodestra, dunque. Una specie così estinta
da dare l’impressione che non sia mai esistita. Eppure c’è.
Salvatore Merlo
Twitter @SalvatoreMerlo
PREGHIERA
di Camillo Langone
Ai padri con figlie in
età da università. Anche
lo storico americano Steven Mintz, professore dell’Università del Texas e autore di “The prime of life. A history of modern adulthood”, vede nella laurea una
causa del declino demografico: “Il rallentamento dell’economia e la crescita
dell’importanza attribuita a una buona
formazione universitaria fa sì che sempre più giovani ritardino il matrimonio
o scelgano di non sposarsi”. Non solo in
Italia, dunque, ma nell’intero Occidente
l’istruzione universitaria di massa, che
sposta troppo in avanti la scelta di riprodursi, si configura come un pericolo
per la sopravvivenza della società. Oltre
che per la trasmissione dell'onomastica
famigliare e del dna genitoriale. I padri
ci pensino bene prima di mandare all’università le figlie (Mintz parla dei figli
in generale ma siccome la fertilità maschile si conserva più a lungo il problema è innanzitutto femminile): commetterebbero un gesto antisociale.
La superiorità antropologica della sinistra e una data da ricordare: 30/4/2013
Al direttore - Lo dico per tutti, ma mi rivolgo più direttamente alla Borsa di Copenaghen
e alle autorità danesi: i miei investimenti finanziari hanno uno speciale valore affettivo.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - “Guardi com’è vestito. Guardi come cammina. Direi che è antropologicamente diverso da noi” (Miguel Gotor su Denis
Verdini, Corriere della Sera). “Dans toute minorité intelligente il y a une majorité d’imbéciles” (André Malraux, “La condition humaine”).
Michele Magno
Piccolo ripasso di storia. Nel 2013, ai tempi del governo Letta, il Partito democratico
votò la fiducia a un governo sostenuto da un
partito che si chiamava Pdl. In quel partito, il Pdl, oltre al nostro amico Denis Verdini c’era tutta la classe dirigente del centrodestra. Tutta ma proprio tutta. Il Senato
votò la fiducia a quel governo (un governo
sostenuto non solo da Alfano ma anche da
Berlusconi) il 30 aprile 2013. 233 sì, 59 no e
18 astenuti. Tra quei 59 no e quei 18 astenuti non risulta il voto antropologicamente superiore dell’amico Miguel Gotor.
Al direttore - Il Parlamento danese ha deciso di sequestrare i beni dei profughi e dei richiedenti asilo oltre i 1.300 euro come contributo
alle spese di accoglienza. E’ questo un modo
per tradire le grandi tradizioni, democratiche
e civili, di quel paese. La Danimarca è l’unico
stato insignito dell’onorificenza di “Giusta tra
le nazioni” per la sua resistenza alla deportazione degli ebrei, durante l’occupazione tedesca
Alta Società
Il Cambio di Torino è tornato agli antichi splendori. Sempre molto richiesto
il tavolo di Camillo Benso Conte di Cavour da cui si vede il balcone di
Palazzo Carignano. Cerea!
nella Seconda Guerra Mondiale, a partire dal
1940. La popolazione si mobilitò per salvare gli
ebrei danesi traghettandoli in Svezia nel 1943.
Il sovrano, Cristiano X, dichiarò che si sarebbe appuntato sul petto la stella di David e
avrebbe invitato tutti i danesi a fare altrettanto se i nazisti avessero imposto le leggi razziali. Per essere all’altezza del Nonno (Cristiano X,
appunto) la regina Margherita II – se la Costituzione glielo consente – dovrebbe rifiutarsi di
promulgare quella legge.
Giuliano Cazzola
Al direttore - Io non lo so se sia una mera
coincidenza o un segno del Cielo (propendo
però per la seconda). Fatto sta che il ddl Cirinnà arriva in Senato lo stesso giorno, cioè oggi, in cui la chiesa celebra la memoria di san
Tommaso d’Aquino. Ora uno potrebbe dire:
embè? Embè niente. Però fa riflettere, ecco, che
un ddl come il Cirinnà, simbolo per eccellenza del relativismo postmoderno, venga discusso in concomitanza con la memoria di chi per
secoli è stato il fondamento teologico della cri-
stianità occidentale. Uno che, per dire, in tema
di unioni aveva le idee niente affatto confuse:
“Il Signore ha creato l’uomo, poi ha voluto
creare la donna per dargli un aiuto simile a lui
[adiutorium sibi simile]. L’aiuto non è per
qualsiasi altra opera, come alcuni hanno detto. Infatti, per qualsiasi altra opera un maschio potrebbe essere aiutato più opportunamente da un altro maschio che da una femmina. L’aiuto quindi è per la generazione”.
Chiaro, no? Siamo fatti così, maschi e femmine (con buona pace di quella prosecuzione del
malthusianesimo con altri mezzi che è l’ideologia gender), per uno scopo preciso. E se anche
la tecnica ha reso possibili altre modalità procreative, sempre ci sarà bisogno di un gamete
maschile e di uno femminile perché la vita possa nascere. Spero solo che l’Aquinate assista i
parlamentari, in primis i cattolici, chiamati a
votare una legge che vuole trasformare il più
grande dei miracoli – un figlio – in un algido diritto per soddisfare i capricci di altri bambini travestiti da adulti.
Luca Del Pozzo
Prima delle primarie
La rinascita del Luneur, con
cuore che va al “Brucomela”, e gli
scambi di “cortesie” con Orfini
Incontri. E’ quello avvenuto tra Paolo Cento, segretario
di Sinistra e Libertà, e Matteo Orfini, commissario del
Pd romano. Così l’hanno
CAMPO DE’ FIORI
chiamato, l’incontro, ma è il contenuto
quello che conta: le primarie, croce e delizia di questi mesi pre-elettorali. E insomma, mentre dal Pd ci si attrezza (Roberto
Giachetti sta muovendo i primi passi – vedi blocchetto successivo), Paolo Cento dice a Orfini che “le primarie non sono in
grado di rappresentare una fase nuova del
centrosinistra, che andrebbe ricostruito
per governare Roma. E per noi la scelta è
di togliere di mezzo le primarie e ragionare sui contenuti”. Intanto si dibatte lo strano caso di Estella Marino, ingegnere ambientale, ex assessore di Ignazio Marino,
e ora candidata alle primarie sotto la categoria di “renziana antirenziana”: ha votato Renzi ai congressi, ma si candida contro il candidato renziano. Motivazione: differenziare (come la raccolta rifiuti), e svincolarsi “dalle logiche di partito” (anche se
il partito c’è comunque).
Primi passi. Roberto Giachetti, candidato renziano, ha inaugurato la sua campagna elettorale partendo dal Sacro Gra
(Grande raccordo anulare), con fermate a
Settacamini e a Pietralata e al Tecnopolo,
con l’intento di “ascoltare e poi realizzare un’agenda di problemi concreti da risolvere”. Solo che, mentre Giachetti incontrava baristi e abitanti del IV Municipio muniti di cahier de doléances, a Roma si apprendeva la notizia che “i cattolici non cercano Giachetti”. E insomma Fabrizio Santori, consigliere regionale del
Lazio, diceva a Giachetti di “dormire sonni tranquilli, perché i cattolici per primi
non cercheranno lui e il Pd come riferimenti politici per governare Roma. La sua
storia parla chiaro e poco ha a che fare
con il governo della culla della cristianità.
Roma vuole un sindaco laico, non laicista.
Roma ha mille problemi ed è difficile dimenticare che la prima proposta di Giachetti è stata quella di celebrare i matrimoni gay”. Il candidato Giachetti intanto
si occupava d’altro, e precisamente, nel videoforum di Repubblica tv, raccontava il
travagliato preludio della candidatura
(decisa con i figli a cena) e mandava a dire a Stefano Fassina e a Ignazio Marino
che “da soli” non vanno da nessuna parte.
La rinascita del Luneur. Erano gli anni
Settanta-Ottanta, e la domenica si andava
al Luneur, ex giardino botanico (negli anni Quaranta) ed ex Lunapark che rinasce
dalle ceneri a giugno – questa la notizia –
dopo anni di chiusura e malinconici avvistamenti dalla via Cristoforo Colombo in
macchina (si scorgeva, i primi tempi dopo
la chiusura, lo scheletro della ruota che un
tempo, con occhio bambino, era sembrata
altissima e che, paragonata alle ruote delle capitali europee, e vista con l’occhio
adulto, pareva una ruota da lillipuziani). E
insomma, rinasce, il Luneur, e ci sarà la
ruota e ci sarà anche il braccialetto “geolocalizzatore” per i frequentatori under 12,
si legge su Repubblica, ma la cosa che lascia sconcertati gli ex frequentatori del
Luneur, quelli che tornavano a casa con
bustine tremolanti d’acqua e pesci rossi, è
che non ci sarà il Rotor, allora avveniristico tubo-centrufuga in cui si entrava per
provare il brivido di sentirsi “spiaccicati”
contro una parete. Non è dato sapere se resusciterà anche il Tagadà, l’attrazione in
cui, sulle note di “Bello e impossibile” di
Gianna Nannini, ci si sedeva per essere
sbalzati, con muovimento sussultorio, su
una specie di giostra dove, grazie agli urti e ai gridolini e al finto spavento, nascevano prime cotte e primi flirt (anche il “Galeone Pirata” assolveva alla stessa funzione). Ma quello che rendeva il Luneur speciale, nonostante l’affollamento domenicale che faceva impallidire i genitori, costretti ad accompagnare orde di tredicenni che in realtà volevano essere lì da sole
e da soli, era l’attrazione adrenalinica numero uno: le montagne russe che oggi sembrerebbero per principianti (una sola discesa da tuffo al cuore), se paragonate a
quelle dei parchi tematici moderni, dove il
lancio dall’alto dritto per dritto in una specie di seggiovia da discesa infernale va per
la maggiore. Al Luneur rinnovato, intanto,
si pensa all’aerea dinosauri (a grandezza
reale), e a una fattoria da “Mago di Oz”. Si
spera restino in piedi le famose (famigerate) “gabbie”, scatoloni dove si doveva faticare parecchio per non precipitare al suolo, spingendo con gambe e braccia. Ma il
cuore del nostalgico va al “Brucomela”,
trenino vintage, ridipinto come nella versione originale, mini-montagna russa capace di dare piccoli brividi, al pari delle case dei fantasmi in cui sentirsi, per la prima, nel Rocky Horror Picture Show.
Marianna Rizzini
INNAMORATO FISSO
di Maurizio Milani
Eccoci al racconto “Tisane per
toro”. Facendolo un po’ corto
(tutto intero è 75 pagine), “Tisane per toro” tratta di un ragazzo che brevetta tale prodotto. Non
scopre niente, sono tisane per persone.
La differenza è che le bustine sono da
1 kg l’uno. Infatti un toro pesa dai 700 ai
1.500 kg (una limousine). Le tisane servono per tenerlo calmo senza fargli le
punture che lo sbattono troppo a terra
e sembra uno scemo. La tisana lo calma il giusto. Sempre il suo comportamento è da toro. Altri prodotti lo rendono ridicolo bello.