Non avete ancora visto tutto al cinema se vi
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Non avete ancora visto tutto al cinema se vi
ANNO XXI NUMERO 24 - PAG 2 Fascisti in fiera Grande agitazione militante (e molta retorica) per lo sbarco a Milano dei marziani Le Pen & Co. I centri sociali hanno scaricato un carro di letame fumante all’angolo della strada, in via Gattamelata, a due passi dal Mico, il Centro Congressi Fiera dove ieri RIPA DEL NAVIGLIO alle 18 è iniziata la grande kermesse dei partiti che a Strasburgo formano il gruppo Europe of nations and freedom (Enf). Marziani a Milano. Non c’è l’Ukip di Nigel Farage,ma ci sono, oltre al Front National di Marine Le Pen e alla Lega padrona di casa, gli heideriani del Fpo, gli autonomisti fiamminghi, il Partito della libertà olandese di Geert Wilders, la Nuova Destra polacca e pure Romania unita. “Nazisti rossi fuori, persone per bene dentro! Tutto esaurito”, ha gongolato su Facebook Matteo Salvini. Smog a parte, il clima con cui la città ha accolto gli ospiti è il consueto mix di massimalismo becero e di paludata retorica antifascista. Già nei giorni scorsi la sede della Lega s’è beccata secchiate di vernice rossa e altre carinerie. Ieri la polizia ha dovuto istituire una sorta di zona rossa intorno al Mico, per evitare guai con il concentramento antagonista promosso al grido di “Milano meticcia antifascista e antirazzista” contro “fascisti, razzisti e sessisti”. Oggi c’è la mobilitazione studentesca con corteo. Perché è una grave minaccia, che gente così si ritrovi a raccontarsela in un centro congressi. Domenica scorsa, presidi e speakeraggi avevano fatto da contorno a un altro evento politicamente molto scorretto, un convegno promosso dal partito pan-europeo Alliance for peace and freedom (si va da Forza Nuova ad Alba dorata) che però non proponeva di bruciare gli ebrei o stuprare le donne in piazza, ma aveva per titolo “Siria, la guerra al terrore”. C’erano anche noti estremisti come l’ex ministro centrista Mario Mauro o il reporter di guerra Gian Micalessin. Minacciosi. L’antifascismo militante milanese non è una cosa nuova, ma si cala qui in un clima preelettorale che induce il ceto politico di sinistra ad andarci cauto, nonostante le grida allarmate dell’Associazione partigiani. Un appello dell’Osservatorio democratico sulle nuove destre, in occasione del convegno sulla Siria – “Chissà se il sindaco e i candidati alle primarie del centrosinistra, tra cui il vicesindaco, se ne accorgeranno. Ci auguriamo che chi ha il compito di vietare manifestazioni e raduni di partiti che richiamandosi al fascismo e all’antisemitismo sono palesemente fuorilegge, ci sia una sensibilità” – è caduto nel vuoto. E dire che Pisapia, l’estate scorsa si era molto speso per vietare un raduno di CasaPound. Ieri ha preferito brindare alla candidatura di Francesca Balzani. Ci sono le primarie, per infilarsi nell’antifascismo militante c’è sempre tempo. Mentre la concitazione mediatica “anti” Beppe Sala si affida tutta ai misteri ancora irrisolti del bilancio di Expo (animata audizione in comune lunedì scorso) e su presunti favori ad architetti e notai, l’Altra Economia ci ha fatto sapere che a fine 2015, ancora in carica come commissario unico di Expo, Sala “ha dato vita a una società di consulenza cui fa parte anche il ‘numero due’ di Expo 2015 spa, Pietro Galli, con due altri soci. Sala vi partecipa con 10 mila euro. La Finalter spa ha “contatti tra la ‘galassia’ di Expo 2015” e avrà per oggetto sociale “i servizi di consulenza di azienda”. Niente di male. Sala ha risposto alla rivista che “il fatto che io porterò o meno la mia opera professionale a Finalter dipenderà, ovviamente, dall’evoluzione della mia candidatura a Sindaco di Milano”. Lunga vita a Franco Cerri, che oggi compie novant’anni e festeggia in concerto, manco a dirlo, con la sua chitarra: una delle più belle del jazz, non solo italiano. Ha suonato con i grandi, da Gerry Mulligan a Chet Baker, è stato un protagonista schivo in una lunga stagione jazzistica e creativa (ha fatto anche la pubblicità) che ha avuto come capitale Milano (ma oggi dice che il miglior jazz si ascolta a Roma). Insegna ancora ai Civici corsi di Jazz, lui autodidatta della musica, a una trentina di adoranti studenti. Gira in metropolitana, saluta tutti, virtuoso dell’ironia. Al teatro Dal Verme, stasera, ore 21. Ingresso libero, se c’è posto. Maurizio Crippa IL FOGLIO QUOTIDIANO VENERDÌ 29 GENNAIO 2016 IL DEBUTTO DEI “DANIELS” AL SUNDANCE CON UN FILM ASSURDO Non avete ancora visto tutto al cinema se vi manca il morto scorreggione C redevamo di aver visto ogni stranezza, dal film parlato in latino (“Sebastiane”, lo girò Derek Jarman nel 1976) al film con lo pneumatico assassino (“Rubber”, lo girò Quentin Dupieux nel 2010). Roba da dilettanti, scopriamo con un certo disappunto. Non reggono il confronto con “Swiss Army Man”, presentato al Sundance Film Festival qualche giorno fa. Mentre una buona metà degli spettatori se ne andavano alla spicciolata (come direbbe il verbale di polizia). Andarsene, a un Festival, non significa necessariamente che il film fa schifo (come direbbe l’avvocato del diavolo, in questo caso dei registi Daniel Kwan e Daniel Scheinert, in arte semplicemente “Daniels”). Può voler dire che nella sala accanto sta per cominciare un film più ghiotto, o che un gruppetto di addetti ai lavori aveva un’ora buca, e voleva impiegarla dando una guardatina al debutto di due giovanotti noti per i loro video musicali. Può essere, ma non è probabile, visto che i “Daniels” hanno raggiunto la notorietà con filmati ad alto grado di follia: guardare per credere il delirante “Turn Down for What”. “Swiss Man Army” comincia su un’isola deserta (consideriamolo un omaggio a “Revenant”, dove Leonardo DiCaprio usa un cavallo morto per sacco a pelo). Paul Dano sta per impiccarsi – ha la barba da Robinson, quindi deve essere lì da un pezzo – quando un cadavere scorreggiante arriva sull’isoletta. “Scorreggiante” non è per dare un tocco di colore, i gas corporei resteranno al centro della scena fino a esaurimento dello spettatore (“non avete idea di come tuona un peto quando la sala ha un sistema Dolby ben funzionante”, garantisce un critico che all’anteprima c’era). Prima dei titoli di testa, l’astuto Paul Dano fa tesoro delle emissioni, usando il cadavere a propulsione naturale per andare in un luogo un po’ meno deserto. La scena l’abbiamo vista tante volte, nello spazio, quando l’astronauta sperduto deve tornare all’astronave: era in “The Martian – il sopravvissuto” di Ridley Scott, era in “Gravity” di Alfonso Cuaron, ed era in “Wall-E”, quando il robottino con un estintore cerca di ricongiungersi nello spazio con la sua Eve. Variety ha coniato per il film la definizione di “indifferent movie”: la sottospecie di pellicole indipendenti che non prendono in considerazione l’esistenza di un pubblico, quindi non fanno nessuno sforzo per rendersi graditi. Ne conosciamo anche da noi parecchi esempi (spesso stanno nelle liste dei film “maltrattati dalla distribuzione”, in genere noiosissimi, quindi giustamente tolti dal mercato). Ma davanti a gente che tenta qualcosa di originale, abbandonando la stanzetta e il tavolino si cucina, tendiamo a essere più benevoli. Tanto più che “Swiss Army Man” non è stato affatto stroncato come uno si aspetterebbe, quindi oltre alla stranezza deve avere qualcosa in più. Aiuta la presenza del terzo Daniel, che di cognome fa Radcliffe e le studia tutte per far dimenticare il maghetto con gli occhiali Harry Potter (cominciò mettendosi nudo e amoreggiando con un cavallo in “Equus” di Peter Schaffer, non è ba- stato). Aiuta anche il fatto che il cadavere sembra riprendere vita – insistiamo sul “sembra”. Abbastanza perché Paul Dano lo battezzi “Manny” e decida di discorrere con il morto dei massimi sistemi (che però, essendo il vivo e il redivivo entrambi maschietto dalle seghe mentali scivola spesso verso le seghe e basta). Da qui il sunto, fornito da un altro critico presente alla proiezione: “un suicida cerca di convincere un cadavere che la vita merita di essere vissuta”. Attendendo le proteste dei registi italiani che ci accuseranno di esterofilia per aver preferito le scorregge americane alle nostrane, restano un paio di dettagli. I “Daniels” ammettono di essere partiti da una barzelletta, ma rivendicano per il loro film l’etichetta “fart drama” (uno spettatore ha detto “commedia”, si sono offesi, e “fart” appunto sta per “peto”). Il titolo allude ai molti altri usi che Paul Dano fa del cadavere, utile su un’isola remota quanto un coltellino svizzero. “Swiss Army Knife”, appunto. Mariarosa Mancuso NUMERI E CASI DI SCUOLA ITALIANI CONTRO LA VULGATA La cura del ferro del ministro Delrio contro lo smog è costosa e inefficace N el corso dell’audizione dell’altroieri alla commissione Ambiente della Camera sul tema delle strategie per la riduzione dell’inquinamento, il ministro dei trasporti Graziano Delrio ha affermato che “la prima strategia è la cura del ferro. L’investimento sulle linee metropolitane è necessarissimo”. Non è così: le evidenze empiriche di cui disponiamo smentiscono la tesi di Delrio (e, per la verità, di molti altri). In tutti i paesi del mondo occidentale il miglioramento della qualità dell’aria degli scorsi decenni è da ricondursi quasi esclusivamente alla innovazione tecnologica dei veicoli. In assenza di tale evoluzione, tutte le città europee sarebbero oggi più inquinate rispetto agli anni settanta. Una migliore dotazione di infrastrutture e di servizi di trasporto collettivo ha, infatti, ricadute limitatissime in termini di “riequilibrio modale” a scala regionale o nazionale, come reso evidente dal confronto fra l'Italia e altri paesi che dispongono di più ferrovie, metropolitane e tram. E’ per esempio il caso della Svizzera, paese che, probabilmente, dispone della miglior rete di trasporti pubblici al mondo. Ebbene, anche nel caso elvetico la quota di domanda di trasporto soddisfatta dal mezzo privato si attesta, come in Italia ed in tutti gli altri maggiori paesi europei, intorno all’80 per cento. Un paio di esempi possono aiutarci a comprendere meglio questa realtà. Il primo è quello della metropolitana automatica di Torino, costata un miliardo e inaugurata in occasione delle Olimpiadi IL RIEMPITIVO di Pietrangelo Buttafuoco Baci contro il muro, ieri. Il sarcastico Signor so-tutto-io braccato con un semplice cenno di arrivederci scambia le proprie cicatrici con i legacci di un reggiseno. E’ una ragazza a offrire a lui tutto quell’andirivieni di del 2006, che ha determinato una riduzione degli spostamenti in auto pari a circa l’1,5 per cento di quelli complessivi nell’area metropolitana. La riduzione della concentrazione di polveri sottili conseguita è dell'ordine di qualche decimo di microgrammo per metrocubo, un impatto quasi impercettibile se confrontato con la diminuzione di cento microgrammi dei precedenti trent’anni. Il secondo è il recente Piano urbano della mobilità sostenibile del comune di Milano che, in linea con quanto auspicato dal coppe e tiranti. Una torsione del busto, in lui. Un agguato di abbracci, lei. Addosso a un pannello, un bassorilievo brulicante di spade, lance e corazze – come al Museo Tucci, a Roma – lei e lui fanno a gara di respiro e segreti. Se solo sapeste come ci si spoglia a Persepoli… ministro dei Trasporti, si propone come obiettivo una riduzione della quota di domanda di mobilità soddisfatta dal mezzo individuale a favore dei trasporti collettivi e degli spostamenti in bicicletta e a piedi. Se attuato integralmente, il piano comporterebbe maggiori spese e minori introiti per il settore pubblico pari a circa 200 milioni di euro all’anno ma, come riconoscono gli stessi autori del documento, non sarà il cambio modale a fare la differenza: “Il contributo più rilevante alla riduzione delle emissioni è attribuibile al progresso tecnologico nella progettazione dei veicoli a motore per il rispetto delle direttive europee in materia di emissioni da veicoli a motore e al progressivo ricambio nel parco veicolare circolante”. Lungi dall’essere risolutiva, la cura del ferro rassomiglia a una terapia inefficace per una malattia dal decorso assai positivo e destinato a proseguire nei prossimi anni senza ricorso a un nuovo e costoso farmaco. Francesco Ramella IL SUPREMATISMO ESTETICO DELLA SINISTRA ORFANA DEI BAFFI DALEMIANI Scarpe coatte eppur bisogna andar… Apologia del mocassino “blu Verdini” M e la vedo eccome, la sofferenza del mite Miguel Gotor raccontata ieri sul Corriere dal perfido Fabrizio Roncone. La sofferenza acuta di quest’anima bersaDI ALESSANDRO GIULI niana in corpore tondo della minoranza dem, mentre assiste al trionfo dell’ex (?) berlusconiano Denis Verdini che salva Matteo Renzi dalla sfiducia e ipoteca un posto al sole nelle tasche della nuova maggioranza di fatto, quella che condurrà le danze da qui al prossimo voto. Ma è un patimento quasi tutto estetico, a quel che pare, derivato dalla vista di quei “mocassini di camoscio blu, scarpette simili a quelle di Flavio Briatore, però senza nappine e senza iniziali: che invece sono sulla camicia tagliata su misura, con i polsini stretti da gemelli d’oro massiccio”. Di qui l’alto lamento, lo sbotto rasoterra, il ringhio mesto: “Guardi com’è vestito. Guardi come cammina. Direi che è antropologicamente diverso da noi”. Esistono uomini che sono destini. Quello di Verdini è anche di vellicare, esulcerandolo, il suprematismo estetico di una sinistra senza più colori, costretta com’è ad aggiornare il suo grigio pantone domestico con l’introduzione del “blu Verdini”: un cazzotto negli occhi, l’emblema di una gioiosa e destra cafonaggine di provincia che si fa largo al governo; con in più quel tratto di toscanitudine bottegaia così comune alla corte fiorentina del BORDIN LINE di Massimo Bordin Non c’è solo il sindaco, da eleggere a Milano. E’ vacante anche la carica più importante, dal punto di vista politico anche se non gerarchico, a palazzo di giustizia, quella di procuratore capo. Ne parla Frank Cimini sul sito GiustiziaMI.it segnalando una forte visibilità mediatica dell’aggiunto Francesco Greco grazie ai contenziosi fiscali di società come Google e Apple. Peraltro, ricorda Cimini, considerato che il capo della procura non lo eleggono i cittadini ma il Csm, Greco parte avvantaggiato come aderente alla corrente di Magistratura democratica che secondo le alchimie spartitorie di palazzo dei Marescialli principe Renzi. Che se poi lo guardi bene, l’abisso estetico, con quei grassi gemelli d’oro, ci ritrovi pure un tocco di modernariato berlusconiano. Procul, o procul este burini… Ma c’è un però, e nemmeno piccolo, che grava come un dispetto sul verdinifobico manterrà quella posizione in continuità con il precedente occupante Edmondo Bruti Liberati. E a questo punto, nel ragionamento di Cimini, le due elezioni si intrecciano perché proprio la passata gestione ha garantito a un certo punto una sorta di moratoria nei confronti dell’Expo, il cui massimo gestore è ora il candidato del Pd a palazzo Marino. La continuità al vertice della procura, questa la conclusione, lo rafforzerebbe garantendo la non belligeranza. La denuncia giornalistica ha un senso, una sua logica. Ma non è detto che poi le cose, se fosse eletto Greco, andrebbero così. In fondo, quando Francesco Saverio Borrelli divenne procuratore capo era ritenuto tutt’altro che ostile alla giunta Tognoli. de sinistra, si chiami egli Gotor oppure no. Ha appunto a che vedere con le scarpe, ed è il blasone posticcio del motore immobile di questa minoranza dem così ammaccata: Massimo D’Alema. Non fu forse lui, nell’età d’oro della sua carriera, ad attirarsi lunghi lazzi e sberleffi intorno a quel paio di scarpe fatte fare su misura da un artigiano altrimenti oscuro; e di cui presto ebbe a vergognarsi come la gens nova che, scalata la piramide sociale, s’inventa uno stemma di nobiltà bugiardo? Fu lui. Tanto da dover chiudere la questione così, davanti a Curzio il Censore Maltese: “Costano 120 euro al paio e non 1.000, fine della precisazione”. E la classe operaia s’acquietò. Ma non può essere solo una questione di stile, con tali presupposti, e Gotor lo sa in cuor suo. Come dovrebbe ricordare che la purezza e la signorilità sono le due lame d’uno stesso coltello da maneggiare con tanta cura. Al giorno d’oggi di sinistra non si nasce più, semmai si diventa. Gotor immodestamente lo nacque, ma assieme a quelli come Verdini governa l’Italia più o meno dal 2012, con qualche intermittenza e troppe dolenti amnesie. Tra governo e realtà. Il futuro sinistro di Alfano, oltre il rimpasto (segue dalla prima pagina) “Ogni tanto si scava una trincea, che l’indomani però è deserta”, dice un senatore, uno dei tanti che non si lamenta in pubblico, che ancora non sa bene cosa fare, ma ha tutto pronto per il trasloco – come Renato Schifani che ad agosto andò a fare il bagno da Berlusconi, a Villa la Certosa – “solo che non si sa nemmeno dove traslocare”. Alla Camera e al Senato, tra i parlamentari, fermentano discorsi dall’aria drammatica e vagabonda che esplodono in determinatissimi e oscuri propositi di guerra: “Angelino si deve svegliare”. Oppure: “Quello pensa solo ai ‘casi’ suoi”. E ancora: “Anche Maurizio Lupi pensa solo a se stesso”. E poi con malevola ironia: “A Lupi importa solo di candidarsi a sindaco di Milano, come se non aspettassero che lui…”. E la denigrazione, gli uomini di Ncd, se la riservano gelosamente, evitano di concederne l’esercizio ad altri, fanno tutto in casa. In Parlamento descrivono un Alfano incapace di agganciare davvero Renzi, e allora disegnano il quadro di una servile concorrenza a chi sa rendersi più utile: “Verdini senza stare al governo è decisamente più abile”. Mentre in provincia, quelli che resistono, tentati come sono dal rifugiarsi nelle liste civiche, vedono un uomo deciso a concentrarsi con felice miopia solo su ciò che è vicino: i ministeri, il potere romano. E ieri Alfano, oltre ad aver incassato la promozione di Costa e di Dorina Bianchi a sottosegretario ai rapporti con il Parlamento, ha pure riportato al governo il senatore Antonio Gentile, calabrese, capo carismatico di quella che tutti chiamano “cordata della soppressata”. Gentile stava per andarsene con Verdini, stava per portarsi via il suo gruppo di senatori conterranei, Aiello e Bilardi – quest’ultimo molto noto in Calabria per la faccenda di un certo televisore Lcd acquistato con i soldi della regione, e chissà come finito a casa sua – ma alla fine ha deciso di restare. Ora è sottosegretario allo Sviluppo. Così da ieri sono dodici i membri del governo di Ncd. E insomma questo partito che probabilmente non avrà una lista per le amministrative né a Roma né a Napoli, forse nemmeno a Torino, questo partito che Renzi considera così elettoralmente scarso da non volercisi alleare da nessuna parte, questo partito che ha visto ridursi i consiglieri delle Marche da cinque a uno e quelli della Campania da sette a due, esprime però dodici membri del governo. Dovunque si è votato, finora, il personale eletto di questo “nuovo centro destra” si è ridotto dell’80 per cento, o è stato completamente cancellato con un colpo di spugna sulla lavagna della politica. Il Nuovo centrodestra, dunque. Una specie così estinta da dare l’impressione che non sia mai esistita. Eppure c’è. Salvatore Merlo Twitter @SalvatoreMerlo PREGHIERA di Camillo Langone Ai padri con figlie in età da università. Anche lo storico americano Steven Mintz, professore dell’Università del Texas e autore di “The prime of life. A history of modern adulthood”, vede nella laurea una causa del declino demografico: “Il rallentamento dell’economia e la crescita dell’importanza attribuita a una buona formazione universitaria fa sì che sempre più giovani ritardino il matrimonio o scelgano di non sposarsi”. Non solo in Italia, dunque, ma nell’intero Occidente l’istruzione universitaria di massa, che sposta troppo in avanti la scelta di riprodursi, si configura come un pericolo per la sopravvivenza della società. Oltre che per la trasmissione dell'onomastica famigliare e del dna genitoriale. I padri ci pensino bene prima di mandare all’università le figlie (Mintz parla dei figli in generale ma siccome la fertilità maschile si conserva più a lungo il problema è innanzitutto femminile): commetterebbero un gesto antisociale. La superiorità antropologica della sinistra e una data da ricordare: 30/4/2013 Al direttore - Lo dico per tutti, ma mi rivolgo più direttamente alla Borsa di Copenaghen e alle autorità danesi: i miei investimenti finanziari hanno uno speciale valore affettivo. Giuseppe De Filippi Al direttore - “Guardi com’è vestito. Guardi come cammina. Direi che è antropologicamente diverso da noi” (Miguel Gotor su Denis Verdini, Corriere della Sera). “Dans toute minorité intelligente il y a une majorité d’imbéciles” (André Malraux, “La condition humaine”). Michele Magno Piccolo ripasso di storia. Nel 2013, ai tempi del governo Letta, il Partito democratico votò la fiducia a un governo sostenuto da un partito che si chiamava Pdl. In quel partito, il Pdl, oltre al nostro amico Denis Verdini c’era tutta la classe dirigente del centrodestra. Tutta ma proprio tutta. Il Senato votò la fiducia a quel governo (un governo sostenuto non solo da Alfano ma anche da Berlusconi) il 30 aprile 2013. 233 sì, 59 no e 18 astenuti. Tra quei 59 no e quei 18 astenuti non risulta il voto antropologicamente superiore dell’amico Miguel Gotor. Al direttore - Il Parlamento danese ha deciso di sequestrare i beni dei profughi e dei richiedenti asilo oltre i 1.300 euro come contributo alle spese di accoglienza. E’ questo un modo per tradire le grandi tradizioni, democratiche e civili, di quel paese. La Danimarca è l’unico stato insignito dell’onorificenza di “Giusta tra le nazioni” per la sua resistenza alla deportazione degli ebrei, durante l’occupazione tedesca Alta Società Il Cambio di Torino è tornato agli antichi splendori. Sempre molto richiesto il tavolo di Camillo Benso Conte di Cavour da cui si vede il balcone di Palazzo Carignano. Cerea! nella Seconda Guerra Mondiale, a partire dal 1940. La popolazione si mobilitò per salvare gli ebrei danesi traghettandoli in Svezia nel 1943. Il sovrano, Cristiano X, dichiarò che si sarebbe appuntato sul petto la stella di David e avrebbe invitato tutti i danesi a fare altrettanto se i nazisti avessero imposto le leggi razziali. Per essere all’altezza del Nonno (Cristiano X, appunto) la regina Margherita II – se la Costituzione glielo consente – dovrebbe rifiutarsi di promulgare quella legge. Giuliano Cazzola Al direttore - Io non lo so se sia una mera coincidenza o un segno del Cielo (propendo però per la seconda). Fatto sta che il ddl Cirinnà arriva in Senato lo stesso giorno, cioè oggi, in cui la chiesa celebra la memoria di san Tommaso d’Aquino. Ora uno potrebbe dire: embè? Embè niente. Però fa riflettere, ecco, che un ddl come il Cirinnà, simbolo per eccellenza del relativismo postmoderno, venga discusso in concomitanza con la memoria di chi per secoli è stato il fondamento teologico della cri- stianità occidentale. Uno che, per dire, in tema di unioni aveva le idee niente affatto confuse: “Il Signore ha creato l’uomo, poi ha voluto creare la donna per dargli un aiuto simile a lui [adiutorium sibi simile]. L’aiuto non è per qualsiasi altra opera, come alcuni hanno detto. Infatti, per qualsiasi altra opera un maschio potrebbe essere aiutato più opportunamente da un altro maschio che da una femmina. L’aiuto quindi è per la generazione”. Chiaro, no? Siamo fatti così, maschi e femmine (con buona pace di quella prosecuzione del malthusianesimo con altri mezzi che è l’ideologia gender), per uno scopo preciso. E se anche la tecnica ha reso possibili altre modalità procreative, sempre ci sarà bisogno di un gamete maschile e di uno femminile perché la vita possa nascere. Spero solo che l’Aquinate assista i parlamentari, in primis i cattolici, chiamati a votare una legge che vuole trasformare il più grande dei miracoli – un figlio – in un algido diritto per soddisfare i capricci di altri bambini travestiti da adulti. Luca Del Pozzo Prima delle primarie La rinascita del Luneur, con cuore che va al “Brucomela”, e gli scambi di “cortesie” con Orfini Incontri. E’ quello avvenuto tra Paolo Cento, segretario di Sinistra e Libertà, e Matteo Orfini, commissario del Pd romano. Così l’hanno CAMPO DE’ FIORI chiamato, l’incontro, ma è il contenuto quello che conta: le primarie, croce e delizia di questi mesi pre-elettorali. E insomma, mentre dal Pd ci si attrezza (Roberto Giachetti sta muovendo i primi passi – vedi blocchetto successivo), Paolo Cento dice a Orfini che “le primarie non sono in grado di rappresentare una fase nuova del centrosinistra, che andrebbe ricostruito per governare Roma. E per noi la scelta è di togliere di mezzo le primarie e ragionare sui contenuti”. Intanto si dibatte lo strano caso di Estella Marino, ingegnere ambientale, ex assessore di Ignazio Marino, e ora candidata alle primarie sotto la categoria di “renziana antirenziana”: ha votato Renzi ai congressi, ma si candida contro il candidato renziano. Motivazione: differenziare (come la raccolta rifiuti), e svincolarsi “dalle logiche di partito” (anche se il partito c’è comunque). Primi passi. Roberto Giachetti, candidato renziano, ha inaugurato la sua campagna elettorale partendo dal Sacro Gra (Grande raccordo anulare), con fermate a Settacamini e a Pietralata e al Tecnopolo, con l’intento di “ascoltare e poi realizzare un’agenda di problemi concreti da risolvere”. Solo che, mentre Giachetti incontrava baristi e abitanti del IV Municipio muniti di cahier de doléances, a Roma si apprendeva la notizia che “i cattolici non cercano Giachetti”. E insomma Fabrizio Santori, consigliere regionale del Lazio, diceva a Giachetti di “dormire sonni tranquilli, perché i cattolici per primi non cercheranno lui e il Pd come riferimenti politici per governare Roma. La sua storia parla chiaro e poco ha a che fare con il governo della culla della cristianità. Roma vuole un sindaco laico, non laicista. Roma ha mille problemi ed è difficile dimenticare che la prima proposta di Giachetti è stata quella di celebrare i matrimoni gay”. Il candidato Giachetti intanto si occupava d’altro, e precisamente, nel videoforum di Repubblica tv, raccontava il travagliato preludio della candidatura (decisa con i figli a cena) e mandava a dire a Stefano Fassina e a Ignazio Marino che “da soli” non vanno da nessuna parte. La rinascita del Luneur. Erano gli anni Settanta-Ottanta, e la domenica si andava al Luneur, ex giardino botanico (negli anni Quaranta) ed ex Lunapark che rinasce dalle ceneri a giugno – questa la notizia – dopo anni di chiusura e malinconici avvistamenti dalla via Cristoforo Colombo in macchina (si scorgeva, i primi tempi dopo la chiusura, lo scheletro della ruota che un tempo, con occhio bambino, era sembrata altissima e che, paragonata alle ruote delle capitali europee, e vista con l’occhio adulto, pareva una ruota da lillipuziani). E insomma, rinasce, il Luneur, e ci sarà la ruota e ci sarà anche il braccialetto “geolocalizzatore” per i frequentatori under 12, si legge su Repubblica, ma la cosa che lascia sconcertati gli ex frequentatori del Luneur, quelli che tornavano a casa con bustine tremolanti d’acqua e pesci rossi, è che non ci sarà il Rotor, allora avveniristico tubo-centrufuga in cui si entrava per provare il brivido di sentirsi “spiaccicati” contro una parete. Non è dato sapere se resusciterà anche il Tagadà, l’attrazione in cui, sulle note di “Bello e impossibile” di Gianna Nannini, ci si sedeva per essere sbalzati, con muovimento sussultorio, su una specie di giostra dove, grazie agli urti e ai gridolini e al finto spavento, nascevano prime cotte e primi flirt (anche il “Galeone Pirata” assolveva alla stessa funzione). Ma quello che rendeva il Luneur speciale, nonostante l’affollamento domenicale che faceva impallidire i genitori, costretti ad accompagnare orde di tredicenni che in realtà volevano essere lì da sole e da soli, era l’attrazione adrenalinica numero uno: le montagne russe che oggi sembrerebbero per principianti (una sola discesa da tuffo al cuore), se paragonate a quelle dei parchi tematici moderni, dove il lancio dall’alto dritto per dritto in una specie di seggiovia da discesa infernale va per la maggiore. Al Luneur rinnovato, intanto, si pensa all’aerea dinosauri (a grandezza reale), e a una fattoria da “Mago di Oz”. Si spera restino in piedi le famose (famigerate) “gabbie”, scatoloni dove si doveva faticare parecchio per non precipitare al suolo, spingendo con gambe e braccia. Ma il cuore del nostalgico va al “Brucomela”, trenino vintage, ridipinto come nella versione originale, mini-montagna russa capace di dare piccoli brividi, al pari delle case dei fantasmi in cui sentirsi, per la prima, nel Rocky Horror Picture Show. Marianna Rizzini INNAMORATO FISSO di Maurizio Milani Eccoci al racconto “Tisane per toro”. Facendolo un po’ corto (tutto intero è 75 pagine), “Tisane per toro” tratta di un ragazzo che brevetta tale prodotto. Non scopre niente, sono tisane per persone. La differenza è che le bustine sono da 1 kg l’uno. Infatti un toro pesa dai 700 ai 1.500 kg (una limousine). Le tisane servono per tenerlo calmo senza fargli le punture che lo sbattono troppo a terra e sembra uno scemo. La tisana lo calma il giusto. Sempre il suo comportamento è da toro. Altri prodotti lo rendono ridicolo bello.