Sono una ragazza di diciannove anni e vorrei portare una

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Sono una ragazza di diciannove anni e vorrei portare una
Sono una ragazza di diciannove anni e vorrei portare una testimonianza circa il rapporto tra un
semplice cittadino dello Stato italiano, me stessa, e uno dei rappresentanti politici del nostro Paese,
Roberto Calderoli. Ieri pomeriggio nel mio paese, Lonigo (VI), si è svolto un comizio della Lega
Nord, organizzato in vista delle vicine elezioni municipali e regionali. Guest star: proprio Calderoli.
Ho raggiunto il ministro in un bar e gli ho posto la seguente domanda: “Quali sono i caratteri che
delineano la concezione di “Padania”? Si tratta di fattori razziali, culturali o storici?”. Mi sono
sentita rispondere che è “padano” colui che nasce e vive in Padania. Allora, molto stupita, gli ho
fatto presente di non aver mai trovato citata in alcuna enciclopedia la regione geografica
della “Padania”. Il ministro mi ha risposto che la Padania è sempre esistita, prova ne è
l’esistenza del formaggio grana padano e del Gazzettino padano! Poi, con un salto logico che
tuttora non mi spiego, il ministro mi ha spiegato che “nemmeno l’Italia esisteva, l’abbiamo
costruita. Anzi l’hanno costruita!”. Io tentavo di ribattere a queste assurde affermazioni,
abbozzando di Augusto, e dei socii italici, dei municipia e della denominazione “penisola italica”
(lui mi contestava dicendo che, no, non era mai esistita questa formula geografica) ma il ministro
non mi dava modo di concludere il mio discorso e ripeteva: “Lei è qui soltanto per fare
provocazione. Non mi faccia perdere tempo!”. Alquanto sconcertata, me ne sono andata, ascoltando
gli sghignazzi dei fedelissimi dietro alle mie spalle.
Questa minima esperienza mi insegna due cose. La prima: l’ideologia politica della Lega Nord
è in realtà priva di qualsiasi fondamento. Le loro azioni politiche si basano su un’opera di
eccitazione irrazionalistica delle masse (vedi la rabbia contro lo straniero o il meridionale), e
tuttavia tali azioni si fondano ideologicamente sul nulla: le affermazioni intorno all’esistenza
della Padania affondano le proprie radici non sulla Storia fattuale (tant’è che mi sono vista
indicare il grana padano come fondamento di questa regione pseudo-statale), ma sul
pregiudizio (il Nord è meglio del Sud, gli stranieri ci invadono ecc). La seconda: il fenomeno
politico (?) della Lega Nord costituisce un grave pericolo per la nostra democrazia. Bobbio
nella sua opera Il futuro della democrazia parla del pericolo del fanatismo, inteso come “la
credenza cieca nella propria verità e nella forza capace di imporla”. Io ho sperimentato
questa “credenza cieca”: anche di fronte all’evidente infondatezza delle sue tesi, il ministro
seguitava ad affermarle come vere acquisendo minuto dopo minuto un tono di voce sempre
più acceso, duro e aggressivo. Gli esponenti della Lega Nord si sentono tanto forti e sicuri da non
consentire all’“avversario” il frangente temporale di una risposta, e anzi, da negare persino la
possibilità di una discussione (sono stata accusata di fare perdere tempo, d’altro canto il ministro si
trovava in un bar, il proprietario del quale gli aveva appena offerto un “goccio di spumante”, che il
ministro prontamente ha rifiutato perché “ho ancora altri tre comizi”, insomma era davvero
impegnato.). Questo mi spinge a pensare che sia venuto meno uno degli strumenti che oggettiva il
concetto di democrazia: diceva Pericle nel celebre discorso agli Ateniesi del 461 a.C che “noi non
consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia”. Oggi, invece, mi sembra
che la provocazione, che è uno dei modi per dare inizio ad un confronto dialettico, sia considerata
una terribile minaccia; anzi, essa viene soffocata sul nascere.
Inoltre, sempre attingendo a quello splendido documento di democrazia che è il discorso di Pericle,
mi pare che sia caduta un’altra delle condizioni affinché uno Stato sia, di fatto, una democrazia: il
merito della sua classe politica. “Quando un cittadino ateniese si distingue, allora esso sarà, a
preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una
ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento”. Ditemi, quale merito (e parlo
solo di merito intellettuale, non potrei sapere se C. sia o meno una persona moralmente integra, ma
in ogni caso il merito intellettuale costituisce la metà esatta dei requisiti per fare politica, l’altra
metà è data dalle qualità morali) , quale merito detiene il ministro Calderoli per ricoprire la sua
carica politica se fonda l’ideologia del suo partito sul grana padano? O se sostiene che mai prima
del Regno d’Italia s’era nominata l’Italia? E l’“Ahi, serva Italia, di dolore ostello…” di dantesca
memoria, non le dice niente, signor ministro? . Che cosa mi ha lasciato questa esperienza? Un senso
angosciante di paura. Ho letto negli occhi del ministro un dispregio così acuto e quasi organico,
come se di fronte a me non ci fosse un individuo solo, ma si materializzasse tutta la macchina del
partito. Forte della sua posizione privilegiata e della presenza attorno a lui di una folla asservita,
egli ha costruito tra la sua persona e la mia un muro di disprezzo. E io non riuscivo a parlare, perché
la sua voce sovrastava la mia. Sono tornata a casa con quest’amara constatazione nel cuore: la
classe politica italiana sta via via distruggendo la forma democratica del nostro Paese e ci vuole
trasformare tutti in sudditi, in un “gregge di pecore volte unicamente a pascolare l’erba l’una
accanto all’altra” (J.S. Mill) . Serviamo a loro come pioli di una scala, gli aiutiamo a raggiungere
una posizione di potere dalla quale esercitare la loro bieca “democrazia degli interessi”.
Dalla loro hanno la scusa di essere stati votati dal popolo. Ma, come dice la mia professoressa di
filosofia, tra Gesù e Barabba, il popolo ha scelto Barabba. Stanno facendo della nostra democrazia
rappresentativa la “pura e semplice espressione della legge del più forte”, come ha scritto Roberta
De Monticelli in una lettera pubblicata ieri su L’Unità.
Ma io, cittadina dello Stato italiano, pretendo che coloro ai quali delego il mio potere decisionale
affinché scelgano ciò che è meglio per la collettività e, quindi, anche ciò che è meglio per me
custodiscano la fragile essenza della democrazia. Pretendo che essi si sentano in obbligo verso di
me e verso tutta la cittadinanza, perché senza di tutti noi, essi non sarebbero nulla. Pretendo che lo
spazio politico non sia ridotto ad un mercato di favori e che, anzi, venga allargato a tutta la
cittadinanza attraverso una riforma elettorale equa, che tenga conto di ciò che decide il popolo, non
di ciò che impone il partito. Pretendo che la politica si levi di dosso le infinite maschere che la
infangano fin da Tangentopoli. Pretendo che la mia e la nostra classe politica parli una lingua
italiana che non sia fatta di volgarità, che sia fedele alle norme di senso (J. Hersch) di questa lingua
e che, all’interno di essa, costruisca dei discorsi che non siano prese in giro della collettività.
Pretendo che non si fondi un partito sul grana padano. Non mi interessa se sarò tacciata di utopia: io
voglio, fermamente desidero e spero che la democrazia ideale e la democrazia reale coincidano o,
perlomeno, si avvicinino il più possibile. Pretendo che la politica sia una cosa pulita, e ritorni ad
essere una cosa nostra, una cosa di tutti. I ragazzi della mia generazione si stanno svegliando:
accanto a quelli che, nati nel sonno, dormono ancora, vi è una cospicua parte di giovani che
non tarderà a farsi sentire. E, allora, si passerà all’azione: non rimarremo più, ancora per
molto, inerti davanti al palese smantellamento della nostra democrazia.
Emmanuela De Toni