Guida artistico spirituale Chiesa di San Michele

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Guida artistico spirituale Chiesa di San Michele
GUIDA SPIRITUALE ALLA CHIESA DI S. MICHELE
Introduzione Generale
La Compagnia di Gesù fin dalla sua nascita(1540) ha avuto un ruolo importante nella
così detta “Riforma cattolica”. Quasi contemporaneamente il Concilio di Trento (15451563), sottolineava il ruolo pedagogico dell’arte, in modo particolare delle immagini, in
quanto l’onore che è rivolto ad esse, in realtà è rivolto ai prototipi che rappresentano. Lo
stesso Ignazio negli Esercizi afferma: “Si lodino il decorare e l’erigere le chiese, così
pure le immagini, venerandole secondo quello che rappresentano» (EESS, Ottava regola
"Sentire cum ecclesia";n.360).
Riguardo all'uso di immagini per rappresentare realtà soprannaturali, due erano le sensibilità.
Una di sapore protestantico faceva capo a Es 20,4: «Non ti farai idolo o immagina alcuna di
quanto è lassù nel cielo»; l'altra, invece si basa su Col 1,15:
«Egli [Cristo] è immagine del Dio invisibile».
Per cui, a motivo della sensibilità ignaziana, i gesuiti sono stati sempre strenui assertori
dell'utilizzo delle immagini a scopo religioso; per cui non hanno ricercato nell'arte il cosiddetto
"diletto estetico"; bensì, se ne sono serviti quale strumento per la meditazione personale e la
catechesi pubblica. Ragion per cui, i cicli figurativi posti nelle loro chiese, non sono ideati
tanto per una fruizione passiva da parte dello spettatore, bensì, per stimolare la risposta
individuale della preghiera dei fedeli, non a caso l'attenzione è concentrata sul presbiterio.
Infatti, nelle chiese gesuitiche si rinuncia alla parte destinata al coro, alla preghiera cantata,
per intensificare catechesi e apostolato.
Descrizione storica della costruzione
Un primo tentativo di insediare un noviziato a Cagliari, fu fatto già nel 1566, nel 1577 lo si
aprì a Busachi; nel 1584, per decisione del Preposto Generale Claudio Acquaviva, si trasferì il
noviziato a Cagliari nel rione Stampace (eretto con bolla del pontefice Gregorio XIII) nella via
"de monti” (attuale via Ospedale) a ridosso dell'antica Chiesa dei santi Michele ed Egidio,
praticamente a fianco dell'antica Torre dello Sperone (del 1293).
Questa prima costruzione va ascritta al conte di Sedilo Gerolamo Torresani. Vi contribuì
anche il decano della cattedrale di Ales don Giacomo Spiga. Già nel 1595. i primitivi locali si
rivelarono insufficienti a contenere l'alto numero di novizi; fu, pertanto un grosso lascito del
vescovo di Ampurias e Civita, mons. Giovanni Sanna, originario di S. Lussurgiu (1586-1607),
che offrì una dotazione annua di 20.000 lire sarde, a permettere il definitivo ampliamento del
noviziato, per cui il Sanna fu considerato l'effettivo "fondatore" del noviziato di S. Michele.
Ci fu un piccolo ampliamento nel 1647; in seguito, i lavori successivi coinvolsero l'attuale
complesso della chiesa di S. Michele Infatti, dal 1674 era possibile disporre dell'eredita del
dott. Francesco Angelo Dessi, originario di Bortigali; giureconsulto Questa eredità permise la
ristrutturazione della residenza gesuitica, tra cui l'ampliamento del noviziato, ed infine la
costruzione della nuova chiesa di S. Michele.
I lavori iniziarono nello stesso 1674, e previdero, dapprima, l'ampliamento del noviziato di
ulteriori 24 camere. Terminati questi lavori tra il 1677 ed il 1680 fu costruita la cappella
interna
del noviziato. I lavori di costruzione della chiesa richiesero tempi lunghi tuttavia la chiesa
"costruita al modonostro gesuitico , ha goduto di un'impostazione unitaria. Nei primi anni del
nuovo secolo continuarono i lavori nella facciata prospiciente l'attuale via Azuni che risulta
terminata nel 1705.1 lavori non si fermarono qui: al 1707 va datata la collocazione dell'altare
del presbiterio e la collocazione della statua di S. Michele, di scuola e provenienza genovese.
Infine, l'ultima costruzione riguarda la costruzione della sacrestia. in questo caso i lavori
vanno situati tra il 1710 ed il 1715. Negli anni seguenti la sacrestia venne arricchita dalle
imponenti tele dell'Altomonte e del Colombino. Maestri marmorari vi realizzarono il prezioso
pavimento intarsiato,oltre alla balaustra del presbiterio ed al monumento funebre del Dessi.
Mentre la realizzazione dei mobili della sacrestia va collocata tra il 1717 ed il 1720.
Successiva è la decorazione delle cappelle laterali (1730-1740).
Circa il nome del progettista della chiesa, si possono fare solo congetture. Generalmente
essa viene attribuita al lombardo Francesco Lagomaggiore, che in quegli stessi anni lavorò a
Cagliari sia nella copertura della Cattedrale, sia nella costruzione della Chiesa di S. Antonio
Abate, la cui cupola ottagonale era molto simile a quella di S. Michele.
DESCRIZIONE DELLA CHIESA
Lo schema planimetrico presenta i caratteri propri degli impianti gesuitici. D'altronde la
costruzione di una chiesa gesuitica richiedeva l'approvazione ufficiale dell'ordine; il che
spiega come mai questa chiesa sia così diversa dalle altre chiese sarde. Diversamente dalla
Chiesa del Gesù di Roma (del Vignola) che presenta una pianta ad aula con tre cappelle
perpendicolari
per lato, S. Michele presenta sì una pianta centralizzata (a pianta centrale e aula unica) ma
con un diverso sviluppo dello spazio. Infatti, attorno all'aula centrale si aprono a corona tre
cappelle comunicanti tra loro, dietro alle quali si apre la cappella presbiteriale, ovviamente
sopraelevata di alcuni gradini. Questa soluzione, tipicamente barocca, ha permesso di
fondere assieme croce latina e croce greca.
Come in altre chiede gesuitiche sarde (S. Croce a Cagliari, S. Ignazio a Oliena, Purissima a
Iglesias) anche S. Michele non presenta transetto, sostituito dalle due grandi cappelle
intermedie.
La FACCIATA (che non è solo della chiesa, ma dell'intero complesso, si affaccia per motivi
scenografici sulla attuale via Azuni) presenta una struttura a retablo, in tufo argilloso, ed è
composta da tre ordini che nel loro insieme ripropongono uno schema tipico degli altari lignei
seicenteschi. il primo ordine (inferiore) è composto da tre fornici (archi usati come sostegno o
passaggio) che immettono in un portico voltato a crociera, (intersezione delle volte a botte)
dal quale si accedeva al noviziato e alla chiesa, il cui portale con architrave è sormontato
da volute (spirali ornamentali) a doppia inflessione con lo stemma della Compagnia di Gesù.
I fornici sono inquadrati tra quattro colonne scanalate, su plinti decorati sul fronte e sui lati.
La trabeazione (la struttura orizzontale sostenuta da colonne), con cornice molto aggettante
(sporgente), sottolinea il secondo ordine, tripartito come il precedente da colonne corinzie
scanalate, che suddividono la superficie in tre riquadri nei quali è inserita una finestra con
timpano spezzato.
In asse si riconoscono tre stemmi: quello centrale, il monogramma della Compagnia: quello
di destra di mons. Giovanni Sanna (un cinghiale sottostante una quercia, il tutto sovrastato
dal cappello cardinalizio), esimio benefattore della Compagnia; (a lui si deve oltre la
costruzione del noviziato di S. Michele anche quella della casa professa "Gesù e Maria" a
Sassari).
Lo stemma a sinistra appartiene al benefattore Francesco Angelo Dessi (su quattro quarti
rappresentanti: un uccello, una corona, sei pigne, uccello con cartiglio nel becco), lo stemma
viene poi ripetuto anche sulla porta d'ingresso alla sacrestia. Il lascito testamentario del Dessi
permise il completamento della chiesa, la realizzazione della sacrestia, del suo stesso
monumento funebre, più lasciti vari (carcerati, malati -> ospedale civico, ragazze prive di
dote, processione dei misteri).
il terzo ordine, sormontato da un timpano triangolare, presenta una nicchia contenente la
statua marmorea settecentesca di San Michele Arcangelo. Essa fu collocata dalle stesse
maestranze che realizzarono l'altare nel 1707 (a detta dello Spano essa proviene da un
blocco di marmo ritrovato nell'area della casa di Tigellio; ma la notizia è controversa, in
quanto tale statua proviene da Genova).
Entrati nell'atrio l'attenzione viene attirata dal cosiddetto "Pulpito di Carlo V". Si tratta, in
realtà, di un prezioso pergamo, non originario, ma proveniente dalla chiesa dei Frati minori
conventuali di S. Francesco al Corso (crollata nei 1875), e trasferito nell'atrio nel 1902. Tra i
rilievi spicca la figura di S. Paolo. Il nome deriva dalla tradizione secondo cui l'imperatore
Carlo V, di passaggio a Cagliari nel 1535, diretto a Tunisi contro il pirata barbaresco Khair-edDin detto il Barbarossa, con una flotta di oltre 100 navi, avrebbe ascoltato messa da questo
pergamo, come riportato dall'iscrizione in latino che circoscrive tutto il pulpito. La quale
iscrizione va così sciolta:
A(nno) MDXXXV XI lunii Carolo V Philipi Guarissimo) A(ugusto) Cruce Muni/to ab Hispania
Classi Ingenti Karalim Ingresso Citoq(ue) Vieta Tuteto Tu(n)c Hoc Sculp/tum A
Bartho(lomaei) Vi(nd)oti Fr(at)ris Minori theologi(a)eq(ue) Probi Doctoris Cura et [...].
Teologia del nome di Cristo
Una particolarità di tutta la struttura è la ripetizione costante del monogramma IHS in tutte
le sue componenti: 1 volta nella facciata, 1 nell’ingresso, 52 nell’interno della chiesa, 2
nell’antisacrestia, 22 nella sacrestia; per un totale di 78. Il monogramma lo si ritrova sia
circoscritto entro il sole coi raggi, o all’interno dell’eucarestia, sia unito al cuore sovrastato dai
tre chiodi della croce. Come mai questa rappresentatività? Partiamo da una domanda: vi è un
luogo teologico pregno della nostra salvezza? La risposta la troviamo negli Atti: «In nessun
altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito
che possiamo essere salvati» (At 4, 12). Incontrare il nome di Gesù significa entrare in
relazione col senso ultimo della nostra vita.
Nel mondo semitico il nome rappresenta la persona, nella sua totalità. Con l'incarnazione di
Cristo è sopraggiunta una novità: quel Dio misterioso, senza volto e dal nome
impronunciabile ora assume un volto umano e ne assume un nome che lo caratterizza:
"leshua" ["Dio salva"]; da questo momento tutto ciò che era del Padre appartiene al Figlio;
anzi, per entrare in relazione con Dio Padre, occorre passare attraverso la mediazione del
Figlio, occorre passare attraverso la nuova "porta delle pecore" (cf Gv 10, 9: “Io sono la porta,
se uno entra attraverso di me sarà salvo”) Dove oggi i cristiani possono "incontrare" Gesù?
Nell'eucarestia, in primo luogo; essa è il tramite tra il nome di Dio e la sua stessa persona.
Da cui scaturisce l'importanza del monogramma IHS. Diffuso dapprima da S. Bernardino da
Siena, e poi "adottato" da Ignazio di Loyola fin dalla prima edizione degli esercizi spirituali. Se
poi il monogramma è sovrastato dalla croce, si carica di un ulteriore significato: l'identità di
Gesù si manifesta nella croce; nella croce c'è già tutto ciò che si può dire su Gesù.
Per cui non è un caso che nelle chiese gesuitiche l'emblema IHS sia presente sull'ingresso
delle chiese: ovvero il nome di Gesù è la porta d'ingresso nella casa del Padre. Ciò accade
nella chiesa del Gesù a Roma, ma anche qui a S. Michele. Lo troviamo anche alla base della
cupola in due diverse raffigurazioni: quel Gesù è veramente il tramite, la pietra angolare su
cui poggia il regno del Padre. Lo troviamo anche sopra l'altare maggiore, in perfetta simmetria
col tabernacolo.
Lo ritroviamo in diverse tele. Nella tela posta nella cappellina di S. Luigi Gonzaga, troviamo
in alto a destra la corrispondenza tra ostia consacrata e nome del Figlio: lesus Hominis
Salvator. Questo nome è sovrastato dalla croce, luogo esistenziale della nostra salvezza,
mentre, al di sotto i tre chiodi della croce ricordano il prezzo del sacrificio d'amore patito dal
Salvatore. L'eucarestia è dunque quel dono sacramentale in cui, con gli occhi della fede, si
entra ancora oggi in relazione con Gesù, e non con la sua esteriorità, ma nella sua totalità, di
relazione e di grazia.
Entrati in CHIESA, sulla destra dell'ingresso troviamo l'iscrizione con la quale si ricorda la
consacrazione della chiesa compiuta dai vescovo di Usellus-Terralba. Mons. Antonio
Carcassona avvenuta il 30-11-1738. Le pareti sono scandite da paraste (pilastri inglobati
nelle
pareti) d'ordine corinzio, ornate da fregio di foglie e figure umane, sormontate da una cornice
che percorre l'intero perimetro.
La cupola a padiglione poggia su un tamburo ottagonale sul quale si aprono, alternate a
ottagoni ciechi, quattro finestre. Coperta con tegole a squame, presenta paraste agli spigoli
esterni ed è sormontata da un lucernario. La cupola è ricca di suggestioni religiose:
simboleggia il cielo, metafora della trascendenza di Dio in mezzo agli uomini, il ruolo
simbolico della cupola è antichissimo: la volta del cielo, simboleggiante la casa del Padre,
s'innalza sulla terra (il quadrato di base, in questo caso un ottagono) tramite la parola di Dio (i
vangeli) che uniscono cielo e terra.
La cupola internamente è divisa in spicchi decorati con elementi vegetali e s'innesta sui
pennacchi (raccordi a vela) entro cui sono raffigurati (ad opera del romano Domenico Tonelli)
gli Evangelisti (raffigurati secondo la consueta tipologia tratta da Ap 4, 7); ovvero il leone per
Marco, l'angelo per Matteo, il bue per Luca, l'aquila per Giovanni. Quello di Luca risulta
arricchito non soltanto dell'immagine del bue, ma raffigura anche un'altra attività attribuitagli
dalla tradizione, l'essere il primo artista che dipinge le sembianze della Madonna, raffigurata
tenendo in braccio il bambino, secondo il tema classico dell’ Odigitria.
All'altezza della volta sopra i quattro arconi si trovano il monogramma IHS di Gesù (rivolto
verso il presbiterio), il monogramma di Maria (sull'ingresso; in totale compare 8 volte), gli
stemmi di mons. Sanna (a sinistra) e dei Dessi (a destra).
Il programma iconografico degli affreschi, ha l'intento di divulgare il messaggio evangelico,
rappresentando il mistero della vita umana colmata dalla grazia, tema che troviamo:
- sia nell'Annunciazione, dipinta nella volta sopra l'ingresso,la parola che si fa carne nel
grembo di Maria. L'affresco dipinto dal Massa (T 1805), fu restaurato una prima volta nel
1908 (dal Parenti), infine fu sostituito con una copia del Barracchia fatta nel 1963.
- questa parola viene poi assunta nella gloria del cielo nell'incoronazione della Vergine
parte della Trinità, dipinta da Giacomo Altomonte nella volta del presbiterio; in cui Gesù è
rappresentato portante la croce, secondo la celebre visione di S. Ignazio nei pressi de La
Storta (Roma, metà novembre 1537).
Al di sotto dell’affresco dell’Annunciazione, dunque sopra la bussola d’ingresso, troviamo la
cantoria, delimitata da tribuna lignea e decorata con angeli che suonano strumenti musicali
(una viola ed un organo), vi si trova un organo a canne del napoletano Cimini. Tutto questo
spazio fu allestito nel 1804.
Posti su questa stessa altezza troviamo altre quattro tribune lignee e quattro coretti, tutti
finemente decorati, del fine settecento, dalle cui grate era possibile assistere alla messa.
Praticamente la pianta centrale poggia su un ottagono ampliato a croce nei lati opposti, che
comporta due cappelle maggiori centrali munite di altare, che si aprono direttamente sulla
volta centrale della chiesa, e sei cappelline radiali tutte intercomunicanti, tre per lato (secondo
il richiamo al dogma trinitario) voltate a botte. Questa soluzione planimetrica permette di
raggiungere lo scopo di unire la pianta centrale a quella longitudinale senza fonderle. La
planimetria della chiesa evidenzia anche una chiara impostazione dottrinale: nell'apertura di
tre cappelle per lato vi è un'allusione al mistero trinitario. L'aula costituisce un tutt'uno,
secondo i dettami gesuitici, secondo cui niente all'interno dell'aula doveva distrarre
l'attenzione del fedele dal "sacro mistero" che si svolgeva sul presbiterio.
I dipinti gesuitici
II complesso contiene, oltre alle 10 tele sui misteri del rosario di cui si dirà più avanti, 20 tele
raffiguranti santi della Compagnia, o terminali di qualche devozione. Resta da considerare
che ogni attribuzione o scelta stilistica non è casuale, ma riflette sempre quella che è stata la
sensibilità spirituale dei gesuiti, committenti di queste opere d'arte. Ogni santo rappresenta un
volto familiare nella galleria degli antenati. Ovviamente Ignazio di Loyola (il fondatore) e
Francesco Saverio (la figura più carismatica del gruppo iniziale, oltre che Patrono delle
Missioni) sono i più rappresentati.
La presenza di S. Francesco Borgia (+ 1572) va ascritta alla fama di santità di questi, duca
di Gandìa, viceré di Catalogna, dopo la morte della moglie Eleonora de Castro, entrò nella
Compagnia, divenendone terzo Preposito generale, famoso per l'austerità dei costumi, e la
vita di penitenza condotta, quasi a espiare i peccati dello zio (papa Alessandro VI). Fu un
"Grande
di Spagna", alieno dagli onori mondani (nella tela in chiesa lo vediamo già gesuita, con ai suoi
piedi una corona ed un cappello cardinalizio, simbolo di quegli onori a cui fuggì (infatti, prima
della nomina a Preposito rifiutò tre volte la nomina cardinalizia). A lui si deve l'individuazione
del primo gruppo di gesuiti inviati in Sardegna nel 1559.
S. Luigi Gonzaga (patrono della gioventù, e degli studenti), di origine nobile (marchese di
Castiglione delle Stiviere) è mostrato mentre abbandona gli onori del mondo fatuo di corte
(rappresentato dalla corona principesca e dallo scettro) per scegliere la Compagnia di Gesù.
Morì a Roma, nel 1591, mentre studiava teologia, sfinito dall'assistenza agli appestati. La
tela della sacrestia lo raffigura nel teologato del Collegio romano, nelle "camerette di S. Luigi",
sopra la chiesa di S. Ignazio.
La presenza di S. Jean-Francois Régis ( + 1640) va ascritta alla fama di questo santo nel
momento in cui si realizzava la chiesa (fu canonizzato nel 1737), egli fu un missionario
popolare francese che evangelizzò la Francia centrale. La sua festa cade nella stessa data del santo
raffigurato nella tela posta a destra del presbiterio, S. Francesco de Geronimo ( + 1716),
cioè
il 2 luglio, in quanto, in tale data, la liturgia gesuitica ricorda cinque missionari popolari, italiani
e francesi. Questo gesuita fu incaricato della "missione urbana permanente" a Napoli che
esercitò per 40 anni, in quello che oggi chiameremo sottoproletariato urbano, ottenendo
innumerevoli conversioni. Possiamo intuire quale sia stata la sua influenza dal numero delle
ostie distribuite ai suoi funerali: 42.000.
Nella sacrestia ritroviamo alcune di queste figure (Loyola, Saverio, Borgia, Gonzaga); sul
lato destro troviamo i martiri di Nagasaki Paolo Miki (primo religioso cattolico giapponese),
Giovanni Soan, e Giacomo Kisai, tutti martirizzati nel 1597. La tragica vicenda in cui
restarono coinvolti fu la condanna a morte di sei francescani imbarcati sul galeone S. Felipe,
naufraga
to a Nagasaki, e che causò un incidente diplomatico tra spagnoli e giapponesi. Oltre i sei
francescani, furono condannati 15 loro aiutanti laici giapponesi; questi 21 furono raggiunti, da
Osaka, da Paolo Miki e due collaboratori laici della missione, il diciannovenne Giovanni Soan
ed il sessantaquattrenne Giacomo Kisai, i quali poco prima del martirio fecero i voti religiosi
gesuitici.
Sulla sinistra compare S. Stanislao Kostka (1550-1568), anch'egli di famiglia principesca,
pur di entrare nella Compagnia venne a piedi da Vienna a Roma, e qui entrò nel noviziato di
S. Andrea al Quirinale. La tradizione gli attribuisce alcuni episodi mistici, fra cui l'apparizione
della Madonna in punto di morte (morì il 15 agosto, festa dell'Assunzione). 81 quadro in
sacrestia rappresenta invece l'episodio in cui Stanislao, ancora studente a Vienna (gli abiti
gesuitici sono dunque impropri), cadde gravemente malato ed in punto di morte, chiesta la
comunione, fu negato l'accesso al sacerdote dal padrone di casa luterano; ma alcune sere
dopo Stanislao vide giungere S. Barbara con due angeli che gli portavano la comunione.
Le cappelle
La cappella di S Ignazio di Loyola, (posta a sinistra, rispetto all'asse della chiesa), in cui si
conserva il dipinto "L'estasi di S.Ignazio" (del cagliaritano Scaleta), è stata realizzata nel
1726.
La scena mostra il santo, vestito con la pianeta da sacerdote, mentre intravede la presenza
divina nell'ostia consacrata. L'immagine raffigurata sul tabernacolo è Gesù sorretto da un
angelo nel Getsemani.
Dirimpetto (dunque a destra) a quella di Ignazio vi è la cappella di S. Francesco Saverio,
del 1731, con il dipinto della "Predica di S. Francesco Saverio" di Domenico Colombino, in
cui il santo, è rappresentato nella consueta veste nera, con cotta bianca e stola, mentre
predica ai pagani. Il tabernacolo di questo altare raffigura il buon pastore. Curiosamente il
monogramma posto alla sommità dell'altare non è IHS ma quello mariano (possibile indizio
per una diversa destinazione?). La pavimentazione antistante questo altare (come anche
quello di S. Ignazio) ricorda quella del presbiterio, con abbondante uso della rosa dei venti.
In ogni caso, l'intitolazione dei due altari principali a S. Ignazio e al Saverio riprende
l'impostazione del Gesù di Roma, modello per molte chiese dell'Ordine.
Le balaustre di tutte le cappelle e del presbiterio sono precedenti al 1768, forse, eseguite
da maestranze comasche. Invece, gli arabeschi (composizioni in stucco) di quattro delle
cappelle
laterali non sono originari, ma risalenti al 1940.
Sono opera di Pietro Pozzo (un genovese stabilitosi a Stampace, in via Azuni) le sei
cappelle minori, realizzate in coppia: tra il 1736 e 1740 quelle di S. Francesco Borgia,
(posta a sinistra rispetto a quella di Ignazio); duca di Gandia, generale dell'Ordine (15651572) e dirimpetto troviamo quella di S.Francesco Régis.
Tra le due cappelle maggiori ed il presbiterio troviamo altre due cappelle, oggi entrambe
"mariane ", quella a destra del presbiterio dedicata alla Vergine col bambino (in cui
compaiono alcuni simboli delle litanie lauretane: Madre di Dio, tempio dello Spirito Santo,
regina degli angeli, torre davidica, specchio di giustizia, stella del mattino, giglio [Madre
purissima]), ovviamente il disegno centrale della volta della cappellina raffigura il
monogramma mariano. Originariamente era dedicata alla "Purissima Concezione" [inventario
1773].
Quella a sinistra ha subito diverse trasformazioni; originariamente era dedicata ai Salvatore
motivo, per cui sulla volta è disegnato l'agnello), divenuta nel corso dell'ottocento cappella di
S.
Filomena, vi era collocato la "Madonna con bambino" del Comastri, attualmente collocata
nella cappella domestica dei padri gesuiti. Narra lo Spano (1861) che questa immagine era
completamente ricoperta di ex voto. In seguito vi fu collocata l'immagine della Madonna di
Fatima; oggi accoglie la statua in cera di Maria bambina (del 1929, anno in cui sorse a S.
Michele un'Arciconfraternita di Maria SS Bambina), patrona della Congregazione degli Artieri
(riproduzione della statua venerata a Milano dalle "Suore di Maria Bambina").
Ultime (1741-43) sono state realizzate le due cappelle dedicate ai santi patroni degli
scolastici gesuiti, ovvero S. Luigi Gonzaga (patrono degli studenti gesuiti di teologia) e del
polacco S. Stanislao Kostka (patrono dei novizi gesuiti), entrambi canonizzati nel 1726;
attualmente questa cappella ospita un quadro del S. Cuore di Pio Bottoni del 1912.
Perché una cappella dedicata al S. Cuore?
Per comprendere il culto al Cuore di Cristo è importante comprendere prima di tutto il
significato biblico della parola "cuore". Esso indica il centro della persona umana, del suo
mondo interiore e della sua vita spirituale, la 'sede' della forza vitale, delle emozioni, dei
sentimenti, dei pensieri, delle sue decisioni e progetti. Riferirsi al cuore di qualcuno, perciò,
equivale a riferirsi al suo centro più ìntimo e nascosto, alla profondità del suo essere. Parlare
del "Cuore di Gesù", vuoi dire fare riferimento al centro vitale della sua Persona umano divina, alla "sede" dei suoi sentimenti. L'origine storica del culto deriva poi dalle rivelazioni
ricevute nel 1675 da S. Margherita Maria Alacoque e poi divulgate dal gesuita Claudio La
Colombière, suo direttore spirituale (il cui ritratto, un tempo presente nell'antisacrestia, si trova
oggi nella residenza dei padri gesuiti. Il messaggio di Paray-le-Monial, indicò a tutta la
Chiesa le caratteristiche di una spiritualità, non nozionistica, astratta, o rigida, bensì ricordò il
volto personale e misericordioso di un Redentore che ci invita ad una relazione affettiva con
Lui, fatta di interiorità, di fede nell'amore di Dio, di riparazione, di fiducia nel suo perdono.
I dipinti originari delle cappelle erano concepiti come un ciclo dedicato a Gesù, a Maria, e ai
principali santi dell'ordine, il che poteva fornire ai predicatori diversi spunti di meditazione.
Una
particolarità curiosa di tutte le cappelle è che il soggetto raffigurato a sinistra, in pendant con
quello di destra, risulta all'interno della sensibilità della Compagnia, sempre più importante del
corrispondente soggetto posto di fronte.
L'arredo marmoreo della chiesa fu poi terminato dal figlio del Pozzo, Ignazio che con un
altro marmoraro, Spazzi, nel 1752 completarono le incorniciature marmoree degli accessi alle
cappelle, al presbiterio, alla sacrestia, del portone d'ingresso e il pavimento della chiesa.
Un altro elemento molto presente a S. Michele sono le colonne tortili, in numero di
ventiquattro; elemento molto adoperato in quest'epoca dopo che Bernini lo aveva utilizzato
per il baldacchino di S. Pietro. Anche questa scelta è funzionale al tutto, avendo la funzione
quasi di esplicitare meglio il moto ascensionale del cammino di fede.
Sulla sinistra dell'aula troviamo il pulpito, decorato in marmo; il tutto risulta sovrastato dalla
colomba; simbolo dello Spirito Santo, che ispira la predicazione.
Non abbiamo, invece, alcuna indicazione riguardo la provenienza delle stazioni della via
crucis.
Il Presbiterio
L'altare maggiore (realizzato a Genova da Giuseppe Maria Massetti), e poi montato in
loco nel 1707 dal suo discepolo Pietro Pozzo. Composto da un paliotto (rivestimento della
parte anteriore dell'altare) marmoreo, rinserrato tra le colonne tortili che si avvitano nello
spazio inducendo lo sguardo a sollevarsi verso il cielo e sopraelevato rispetto all'aula, esso è
visibile da ogni punto; la chiesa infatti non presenta strutture divisorie che possano interferire,
distraendo il fedele durante il rito: tutto (liturgia, luci, musica, paramenti e arredi) concorre a
sollecitare il coinvolgimento emotivo e devozionale.
Sopra l'altare troviamo la statua lignea di S. Michele (misure: 190x88) in legno policromo
dorato, di scuola napoletana, viene citata per la prima volta nell'inventario del 1773, ma è
possibile che sia stato collocato fin dal momento della realizzazione dell'altare.
Secondo alcuni potrebbe trattarsi di una statua indorata dal napoletano Giuseppe De Rosa
nel 1620 per "la chiesa del Collegio di Cagliari ”; il de Rosa risulta essere stato pagato per
la"doratura, graffitura e coloritura della statua", tuttavia, sebbene non si parli del suo intaglio,
chi effettuava quelle operazioni era sempre lo scultore stesso della statua.
Invece nelle nicchie ai lati dell'altare troviamo due statue marmoree (risalenti alla fine del
settecento), ovvero: S. Anna con Maria bambina a sinistra. e S. Giuseppe con Gesù
bambino a destra. Non dimentichiamoci che i gesuiti diffusero la devozione a questo santo
(patrono degli esercizi spirituali) in tutta Europa.
II presbiterio è sovrastato dall'affresco dell'Incoronazione di Maria (ad opera
dell'Altomonte). Si noti che la testa del Padre e del Figlio con la colomba, sono posti ai vertici
di un triangolo equilatero. Chiaro esempio di impostazione trinitaria.
Il principale pittore a cui i gesuiti commissionarono le tele più importanti della chiesa è il
ro m a n o Giacomo Altomonte, maestro del rococò in Sardegna. Mentre Domenico
Colombino è solo un suo aiutante, artisticamente molto inferiore al maestro, ed operò solo
nell'isola. Giacomo Altomonte era fratello di Martino Altomonte, napoletano, pittore imperiale
a Vienna (e forse non è un caso che egli dipinga in Sardegna durante la dominazione
asburgica dell'isola: 1708-1720).
Completano la decorazione del presbiterio gli stucchi, con quattro angeli reggidrappi che
scendono da un coronamento.
Ai lati sono dipinti due animali simbolici che vanno interpretati in chiave cristologica: ovvero
a sinistra il Pellicano (mal raffigurato in quanto il disegno è più simile ad un cigno) mentre si
apre il petto per nutrire i suoi piccoli, allusione al sangue versato da Cristo per riscattare
l'umanità; ed a destra troviamo la Fenice (anche in questo caso il disegno è fonte di equivoci,
più simile ad un gallo), l'uccello immortale che rinasce dalle sue ceneri dopo tre giorni così
come Cristo è resuscitato dal sepolcro.
Sempre allo stesso Massetti si deve il monumento funebre in marmo di Francesco Angelo
Dessi (1712), nella parete sinistra del presbiterio, ricco di elementi simbolici allusivi al
passaggio del tempo (clessidra, conchiglia) e alla morte (teschio, ossa ecc.). L'iscrizione,
molto retorica, ricorda le virtù benefìche del benefattore paragonato ad Aristide per la probità,
a Creso per la ricchezza, a Davide per la munificenza, ad Augusto per liberalità.
Dirimpetto al monumento troviamo una grande tela su olio raffigurante S. Francesco de
Geronimo (1642-1716), missionario gesuita pugliese, che ha operato prevalentemente a
Napoli, l'opera è stata verosimilmente realizzata in concomitanza alla sua canonizzazione
(1839).
Il pavimento del presbiterio è caratterizzato dalla riproduzione della stella con la rosa dei
venti, con punte bicolori bianche e nere. Questi intarsi marmorei sono ricchi di significati
simbolici: le stelle sono dodici come gli apostoli, su cui si fonda la Chiesa; la rosa dei venti
allude allo Spirito, che soffia dove vuole diffondendo l'annuncio evangelico; le punte indicano i
quattro punti cardinali, cioè tutte le direzioni, quale tensione universale di un ordine
impegnato, soprattutto, nella predicazione missionaria.
Il tutto fa convergere gli sguardi dei fedeli verso il tabernacolo, luogo sacro per eccellenza
in quanto custodia dell'eucarestia e fulcro della sacra azione liturgica.
Dalla cappella di Maria Bambina si accede alla ANTISACRESTIA. Alla sinistra vi troviamo il
lavabo di gusto manieristico, con i due angeli reggi-acquasantiera, il tutto sormontato dallo
stemma della Compagnia. Destinato alle abluzioni dei sacerdoti, secondo i dettami tridentini,
è da ascriversi ai primi del settecento.
Questa sala rettangolare è impreziosita dalla presenza di 10 grandi tele del cagliaritano
Giuseppe Deris (+ 1695) concernenti i misteri dolorosi e gloriosi del rosario. Il ciclo completo
di 15 tele era stato commissionato per la cappella interna del noviziato. Le tele mancanti (i
misteri gaudiosi) si trovano oggi presso la chiesa di S. Maria del Monte in Castello. Nella tela
della deposizione troviamo firma dell'autore e anno di conclusione del ciclo pittorico: 1681. Il Deris (o
De Eris) abitò nel quartiere della Marina, e fu contattato dai gesuiti anche per la commissione
di
alcune tele per la chiesa di S. Croce. Una delle sue particolarità più curiose è il fatto che
predilige rappresentare scene in cui appaiono persone che parlano o gesticolano. Circa la
sua origine, al momento si è a conoscenza del fatto che il padre (Jaime) fosse francese di
nascita.
Lo stile usato è in sintonia con i dettami artistici dei gesuiti, che non amavano troppo le
allegorie del manierismo, ma erano più inclini alla veridicità delle scene rappresentate, e
raccomandavano decoro morale. Le immagini avevano lo scopo di offrire spunti per la
meditazione dello spettatore.
È stato osservato che nella tela della "Presentazione al tempio" (non presente a S. Michele),
in cui si rappresenta la circoncisione di Gesù, vi è raffigurato un servitore del sacerdote, che
si volge verso lo spettatore, quasi a ricordare la raccomandazione di Ignazio nella
meditazione della Natività a farsi “servitorelli” per meglio osservare da vicino la scena
evangelica.
Nel fondo di questa sala troviamo le sei statue (alcune parziali. cioè con struttura "a
manichino") raffiguranti i "Misteri della passione di Gesù Cristo". La cui paternità al più
importante scultore sardo del settecento, il senorbese Giuseppe Antonio Lonis (1720-1805),
formatesi a Napoli, è attestata con sicurezza solo per due di esse. Tuttavia, le statue di cui
non si hanno tracce documentarie, è possibile che siano addirittura precedenti, risalenti
pertanto al primo periodo di attività del Lonis (il quale aprì bottega Stampace nel 1750). Le
statue (ancora oggi usate in processione durante la "Processione dei Misteri" del martedì
santo) raffigurano le scene dell'Ecce homo, il Cristo che porta la croce (1799), l'Addolorata
(1798), la preghiera nel
Getsemani, il Cristo deriso, ed il Cristo alla colonna. Il simulacro del settimo mistero è dato
dal crocefìsso collocato nell'atrio della chiesa, uno dei crocifissi più belli presenti a Cagliari.
Le statue nell'ottocento erano attestate nell'oratorio della Congregazione Mariana degli Artieri,
in pratica la cappella interna dell'ex noviziato (realizzata nel 1680), antistante il chiostro del
complesso gesuitico, al quale si accedeva mediante una porta, oggi murata, nell'antisacrestia.
In fondo a destra troviamo la porta che immette nella sacrestia. In essa vi troviamo dipinte a
pennello le figure del Risorto e della Vergine, recanti i rispettivi monogrammi entro
stemmi,presentati come fonti di vita soprannaturale.
L a SAGRESTIA è un ambiente studiato in ogni sua parte, aggiornato al gusto rococò del
primo Settecento (il rococò è una trasformazione del barocco in chiave più leggiadra,
floreale, molto decorativa). Poiché essa fu costruita grazie alla donazione del Dessi il suo
stemma sovrasta la porta d'accesso. La sacrestia opera del lombardo Giovan Battista
Corbellini, è sovrastata da una volta a botte lunettata, in cui, tra festoni e dorature,
capolavoro del rococò in Sardegna, viene rappresentato il "Trionfo del nome di Gesù" (un
classico dell'iconografia gesuitica, che ha come modello lo stupendo affresco della volta della
chiesa del Gesù a Roma) unito alla "Cacciata degli angeli ribelli ad opera di S. Michele
arcangelo", alla presenza dei tre santi gesuiti, Ignazio, Francesco Saverio e Roberto
Bellarmino, posti sulla destra; tutti sostenitori del culto degli angeli. I tre medaglioni della volta
costituiscono quasi tre squarci sul cielo, in cui i due minori rappresentano, uno, la
continuazione della caduta dei demoni, l'altro il trionfo degli angeli; si noti (classico artifizio
barocco) che i demoni cacciati continuano la loro caduta fuoriuscendo dal medaglione stesso.
Si può constatare infine che il nome di Gesù non sia solo il soggetto dell'affresco ma tema
portante di tutta la chiesa e dei suoi arredi, dalla facciata all'interno, dagli altari alle porte; il
suo fondamento (78 rimandi ad esso!), questo trionfo ricorda al credente il centro della
"buona
notizia”: nel nome di Gesù è possibile vincere il male.
Il combattimento dell'angelo vittorioso sul demonio, tema universale dell'eterna lotta tra
Bene e Male, diventa emblema della Chiesa trionfante contro l'eresia e contro i suoi nemici e
rappresenta l'irruzione del mondo celeste in quello terrestre.
Il tema in contesto gesuitico assume una particolare rilevanza. Afferma lo studioso d'arte
gesuita, il P. Pfeiffer: «Perla spiritualità degli Esercizi spirituali di sant'Ignazio il tema di san
Michele è fondamentale, perché il primo punto della prima meditazione di tutto il libro
consiste proprio nell'applicazione della memoria, dell'intelletto e della volontà sul peccato
degli angeli e
della loro conseguente condanna per esso. Inoltre sant'Ignazio insegna le regole del
discernimento tra i suggerimenti del buono e del cattivo Spirito. Questo discernimento
immette l'esercitante in mezzo alla battaglia tra gli angeli buoni e cattivi, un combattimento
che trova il suo momento culminante nella lotta tra Michele e Lucifero».
Le pareti della sacrestia terminano superiormente con tele lunettate (tutte dipinte
dall'Altomonte) raffiguranti scene bibliche e miracoli in cui l'arcangelo Michele è protagonista,
esplicitate da scritte entro targhe dorate. A sinistra trovano posto episodi veterotestamentari:
NB: le indicazioni scritturistiche date dall'autore e riportate nel fregio non corrispondono (se
non in un caso) all'effettiva citazione biblica.
1) II sacrificio di Isacco di Gen 22 (S. MICHAEL GLADIUM COHIBUIT NE ABRAHAN
FILIUM INTERFICERET VIECAS. IN APOC. 4);
2) Mosè riceve le tavole della legge , cf Dt 5 o Es 20 (S. MICHAEL VICE DEI DEDIT
LEGEM HEBRAEIS IN MONTE SYNAIALAP. INDAN. 12);
3) II roveto ardente di Es 3 (S. MICHAEL MOYSI PASCENTI OVES APPARUIT IN MEDIO
RUBI IN LAPIDE. IN DAN. 13);
4) I tre giovani nella fornace di Dan 3 (S. MICHAEL TRES PUEROS IN FORNACE
BABILONIAE ILLESOS SERVAVIT VIEC. INAPOC.12).
Nei due lati brevi troviamo (sopra l'ingresso) la scena biblica di Agar e Ismaele nel deserto
(Gen 21 ), mentre di fronte è raffigurato un paesaggio silvestre. Sul lato destro invece sono
rappresentate altre scene; una extrascritturistica (l'apparizione sul Monte Gargano che diede poi
awio al culto dell'arcangelo in questo sito), le altre sono tratte dal Nuovo testamento, e cioè:
1) San Michele sconfigge il demonio (S. MICHAEL SPUORIS SUI INTERFICIET BESTIAM
IN MONTE OLIVETI. D. THO. IN 2 AD THESAL. 2);
2) Miracolo del toro sul monte Gargano (S. MICHAEL IN ANTRO MONTI GARGANI
APPARUIT ANNO 488. BARONI IN MARTIRO.);
3) La Maddalena penitente , forse Le 8,2 (S. MICHAEL DEVIT B M. MAGDALAE QDO IN
ANTRO TENTATA A SPECTRIS DAEMONIUM EOS FUGAVIT. ALAP. IN NUM 21).
4) Cristo nell'orto degli ulivi in Le 22, 43 (S. MICHAEL XPUM IN HORTO MAERENTEM
CONFORTAVIT CARTHUSIAN IN LUC. 22).
Il culto degli angeli
Anche gli angeli costituiscono dunque un tema ricorrente in ogni ambiente della chiesa,
intitolata non a caso all'arcangelo S. Michele. Come spiegarci questo tema apparentemente
poco attuale? Ricordiamoci che con essi condividiamo la stessa paternità: siamo tutti figli di
Dio. Quali "fratelli maggiori" essi non si disinteressano della nostra sorte, ma si fanno nostri
compagni di viaggio, sono messaggeri di Dio e ne segnano la vicinanza soccorritrice;
accompagnano la nostra liturgia, condividiamo con essi l'inno del Sanctus. Sono messaggeri
della speranza, custodi della nostra "immagine originaria"; qualora fossimo in pericolo,
possiamo sempre ricorrere al loro consiglio e alle loro ispirazioni (cf EESS, nn. 331 ss). Il tutto
secondo l'indicazione biblica «Ecco, io mando un angelo davanti a tè per custodirti sul
cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza,
ascolta la sua voce» (Es 23, 20-21).
Il culto di s. Michele
II culto agli angeli è attestato a Cagliari fin dall'antichità; durante il pontificato di papa Leone
IV (attorno all'850) si ha notizia di una porta e di una chiesa dei "Santi Angeli" accanto a cui si
aveva presenza d'acqua [forse, il sito corrisponde alla nostra chiesa, in quanto era situata al
di fuori delle mura romane, inoltre sotto l'attuale presbiterio si riscontra la presenza di una
vasca quadrangolare su gradoni).
Michele è il capo delle milizie celesti, rappresentato come un giovane guerriero, con
corazza, col volto inespressivo. La sua effigie viene sempre collocata in alto, perché egli
protegge la città dai suoi nemici; oltre a rappresentare la vittoria del bene sul male (il maligno
trafìtto ai suoi piedi); egli è anche colui che conduce le anime a Dio. per cui le pesa con la
bilancia, altro elemento caratterizzante la sua rappresentazione.
Il culto di S. Michele si è molto diffuso in Sardegna durante il periodo bizantino; fra l'altro, la
sua caratterizzazione combattente, si coniugava con l'indole di un popolo costretto a
difendersi da tanti nemici esterni.
Nelle due pareti maggiori della sacrestia sono rappresentate in cornici in legno di tiglio
(realizzate a Cagliari da un artista napoletano, Truisi o Troisi), otto dipinti raffiguranti storie
e miracoli di santi gesuiti, ad opera di Giacomo Altomonte e Domenico Colombino. I dipinti
illustrano: uomini d'azione come S. Ignazio (raffigurato mentre un dardo di fuoco dal cuore di
Cristo raggiunge e penetra il suo; l'elmo e la palla di cannone ricordano l'episodio dell'assedio
di Pamplona del 1521, prodromo della sua conversione; il drago posto in basso a destra
rappresenta il demonio che con inganni cerca di ostacolarne la conversione (cf Autobiografia,
n 31).
Dirimpetto troviamo S. Francesco Saverio (nell'episodio del granchio che riporta al santo, il
crocifìsso che aveva perso durante una burrasca nelle Molucche). Troviamo santi carismatici
come S. Francesco Borgia (ritratto mentre medita la rinuncia agli onori mondani al cospetto
della bara dell'imperatrice Isabella, moglie di Carlo V, donna famosa per la sua bellezza);
contemplativi come S. Luigi Gonzaga e S. Stanislao Kostka, o i martiri di Nagasaki Paolo
Miki, Giovanni Soan, e Giacomo Kisai (+ 1597).
Nella parete frontale, sopra l'ingresso, troviamo la Strage degli Innocenti (la più grande tela
sacra di Cagliari). La tela fu ritoccata dopo il ritomo dei gesuiti nell'ottocento, su ordine del p.
Pizzi, da un tale Ami che coprì le nudità presenti sia in que-sta tela che in quelle di Adamo ed
Eva. La tela risulta firmata dai due autori. Si noti la rivendicazione di originalità lasciata
dall'Altomonte che vi si definisce "inventor”; ovvero: ciò che ha dipinto non l'ha tratto da altre
rappresentazioni ma sono frutto della sua personale inventiva.
I l programma iconografico della sacrestia, dedicato alla storia della salvezza, alla
glorificazione del nome di Gesù e dell'Ordine gesuitico, si completa con le tele raffiguranti
Adamo ed Eva (dell'Altomonte); i progenitori, simboli dell'umanità biso-gnosa di redenzione;
che affiancano la statua lignea (di origine ligure) dell'Immacolata Concezione, la Nuova
Eva, segno dell'umanità redenta, con la quale si conclude il percorso spirituale iniziato
all'ingresso della chiesa.
U n percorso in cui sono stati additati ai fedeli alcuni testimo-ni di santità, che ci hanno
preceduto nel pellegrinaggio terreno, e che ora intercedono per noi. Un ruolo particolare
riveste per noi Maria; le sue rappresentazioni che troviamo nella chiesa ce la additano non
tanto come un modello irraggiungibile, bensì come la donna pienamente redenta, per grazia,
colei che ci precede nel nostro pellegrinaggio, indicandocene le tappe, in-coraggiandoci che
anche noi, un giorno, pienamente redenti, faremo nostre.
L a conclusione della visita della chiesa davanti a quest'opera, ci riporta al suggerimento
che S. Ignazio da, durante il percorso degli EESS, con il "triplice colloquio", in cui suggerisce,
ripetendo la meditazioni sui propri peccati (n. 63), di terminare tale meditazione colloquiando
anche con la Vergine.
N:B: La volta della sacrestia è stata gravemente danneggiata dai bombardamenti del 1943,
per cui diversi stucchi e decorazioni sono state rifatte nel 1946.
L'arredo ligneo della sacrestia, in legno di noce intarsiato, venne completato dal catalano
Magin Segura tra il 1717 ed il 1720. La paratora, mobile a due ordini che occupa tutta la
parete di fondo, negli sportelli superiori del lato sinistra reca incisi a bulino episodi della vita di
S. Ignazio, narrati nell'Autobiografìa. E cioè: 1) Ignazio che dona le vesti a un povero; 2)
Pellegrino
in Terrasanta mentre viene maltrattato da un servo, 3) Approvazione della Regola da parte di
Paolo III; 4) Morte del Santo.
Specularmente, sul fianco destro sono raffigurati episodi della vita di S. Francesco Saverio:
1) Partenza per la missione; 2) mentre si flagella davanti al crocifìsso; 3) mentre si tiene alla
coda di un cavallo al galoppo; 4) Morte sull'isola di Sancian.
Al centro di questo mobile troviamo altre due scene, raffiguranti l'Ascensione (a sinistra) e
l'Assunzione (a destra). Negli altri mobili, comprendenti due armadi, due credenzini e quattro
inginocchiatoi, vi sono raffigurate immagini naturalistiche di fiori entro vasi, alternati ad ampi
decori a volute vegetali con terminazioni fantastiche (teste leonine, unicorni, cariatidi, erme).
Nel 1773 la Compagnia di Gesù venne momentaneamente soppressa (fu poi ripristinata nel
1814). Gli arredi liturgici e i paramenti di S. Michele furono assegnati nel 1780 alle cattedrali
di Galtellì, di Nuoro, e alla parrocchia di Paulilatino. Questo spiega la povertà di opere
antiche; infatti la maggior parte delle poche opere presenti, sono state commissionate dalla
Congregazione degli Artieri nel corso dell'ottocento. Quest'ultima, la cui denominazione
esatta era di "Congregazione della Natività di Maria Vergine", sorta nel 1586 nel collegio di S.
Croce, si trasferì nel 1795 nell'allora convitto di S. Michele. Ad es. l'organo fu commissionato
da essa, così i candelieri, tutti dell'ottocento. Ad un prefetto della Congregazione artieri, tale
Giovanni Dessy, si devono, attorno al 1940 i lampadari e le decorazioni di 4 cappelline
laterali.
Nel 1822 il re Carlo felice ristabilì l'Ordine in Sardegna e nel 1835 si riaprì il Noviziato di San
Michele. I Gesuiti furono poi nuovamente espulsi nel 1848, durante i moti popolari che
precedettero la I guerra d'indipendenza, moti fomentati dall'opera del Gioberti "Il gesuita
moderno". Purtroppo in questa occasione la residenza di S. Michele fu assaltata dai rivoltosi e
l'archivio andò praticamente distrutto.
Da questa data i locali del Noviziato ospiteranno l'Ospedale Militare. Sarà, pertanto la
Congregazione degli Artieri a ottenere l'uso della chiesa di S. Michele, sino al ritorno dei
gesuiti. Questi ritornati a Cagliari nel 1910, e stabilitisi presso il Seminario Tridentino di via
Università, dopo il loro trasferimento a Cuglieri nel 1927, si posero il problema di dove stare a
Cagliari; fu così fatta richiesta (da parte di p. Abbo) a mons. Piovella di rientrare in possesso
della chiesa di S. Michele, la richiesta fu accolta ed essi vi poterono rientrare il 19 agosto
1928.
Concludendo, si può affermare che i gesuiti, committenti della chiesa, nonostante i
settant’anni necessari per la sua costruzione, vi attuarono un preciso disegno pastorale.
Infatti, in essa si tratteggia un itinerario spirituale che dall'esaltazione dei nomi di Gesù e di
Maria, dalla testimonianza data dai santi gesuiti, sulla sequela del Cristo crocifisso, propone
come modelli di fede l'Immacolata e S. Michele Arcangelo, tutte immagini di una fede
militante; il tutto allo scopo di delineare quel "pellegrinaggio mistico" che conduce alla
conversione ed infine al rinnovamento interiore.
A cura di Guglielmo Pireddu SJ
Seconda ristampa - ottobre 2011
II presente testo è una sintesi tratta da:
- A. PASOLINI, San Michele di Cagliari. Architettura e arredi di una chiesa gesuitica, in Teologica &
Historica, Voi. XDC, Cagliari 2010, pp. 401-34.
- G. CAVALLO, I maestri della sacrestia della Chiesa di S. Michele a Cagliari., in: Quaderni del
Dipartimento di Architettura. Facoltà di Ingegneria. Università di Cagliari, [Cagliari 2008], pp. 7-38.
- O. LILLIU, La chiesa di S. Michele in Cagliari in rapporto all'ideologia gesuitica e alla cultura
barocca, in KIROVA T. [ed.], Arte e cultura del '600 e del 700 in Sardegna, Napoli 1984, pp. 199-216.
- A. INGEGNO [ed.], Il restauro della chiesa di San Michele, Cagliari 1995.
- Schede Soprintendenza per i beni ambientali architettonici artistici e storici di Cagliari, 1992.
Ad uso dei volontari di "Pietre vive" che prestano servizio di accoglienza e di
accompagnamento della chiesa di S. Michele.