Guida artistico spirituale Chiesa di San Michele
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Guida artistico spirituale Chiesa di San Michele
GUIDA SPIRITUALE ALLA CHIESA DI S. MICHELE Introduzione Generale La Compagnia di Gesù fin dalla sua nascita(1540) ha avuto un ruolo importante nella così detta “Riforma cattolica”. Quasi contemporaneamente il Concilio di Trento (15451563), sottolineava il ruolo pedagogico dell’arte, in modo particolare delle immagini, in quanto l’onore che è rivolto ad esse, in realtà è rivolto ai prototipi che rappresentano. Lo stesso Ignazio negli Esercizi afferma: “Si lodino il decorare e l’erigere le chiese, così pure le immagini, venerandole secondo quello che rappresentano» (EESS, Ottava regola "Sentire cum ecclesia";n.360). Riguardo all'uso di immagini per rappresentare realtà soprannaturali, due erano le sensibilità. Una di sapore protestantico faceva capo a Es 20,4: «Non ti farai idolo o immagina alcuna di quanto è lassù nel cielo»; l'altra, invece si basa su Col 1,15: «Egli [Cristo] è immagine del Dio invisibile». Per cui, a motivo della sensibilità ignaziana, i gesuiti sono stati sempre strenui assertori dell'utilizzo delle immagini a scopo religioso; per cui non hanno ricercato nell'arte il cosiddetto "diletto estetico"; bensì, se ne sono serviti quale strumento per la meditazione personale e la catechesi pubblica. Ragion per cui, i cicli figurativi posti nelle loro chiese, non sono ideati tanto per una fruizione passiva da parte dello spettatore, bensì, per stimolare la risposta individuale della preghiera dei fedeli, non a caso l'attenzione è concentrata sul presbiterio. Infatti, nelle chiese gesuitiche si rinuncia alla parte destinata al coro, alla preghiera cantata, per intensificare catechesi e apostolato. Descrizione storica della costruzione Un primo tentativo di insediare un noviziato a Cagliari, fu fatto già nel 1566, nel 1577 lo si aprì a Busachi; nel 1584, per decisione del Preposto Generale Claudio Acquaviva, si trasferì il noviziato a Cagliari nel rione Stampace (eretto con bolla del pontefice Gregorio XIII) nella via "de monti” (attuale via Ospedale) a ridosso dell'antica Chiesa dei santi Michele ed Egidio, praticamente a fianco dell'antica Torre dello Sperone (del 1293). Questa prima costruzione va ascritta al conte di Sedilo Gerolamo Torresani. Vi contribuì anche il decano della cattedrale di Ales don Giacomo Spiga. Già nel 1595. i primitivi locali si rivelarono insufficienti a contenere l'alto numero di novizi; fu, pertanto un grosso lascito del vescovo di Ampurias e Civita, mons. Giovanni Sanna, originario di S. Lussurgiu (1586-1607), che offrì una dotazione annua di 20.000 lire sarde, a permettere il definitivo ampliamento del noviziato, per cui il Sanna fu considerato l'effettivo "fondatore" del noviziato di S. Michele. Ci fu un piccolo ampliamento nel 1647; in seguito, i lavori successivi coinvolsero l'attuale complesso della chiesa di S. Michele Infatti, dal 1674 era possibile disporre dell'eredita del dott. Francesco Angelo Dessi, originario di Bortigali; giureconsulto Questa eredità permise la ristrutturazione della residenza gesuitica, tra cui l'ampliamento del noviziato, ed infine la costruzione della nuova chiesa di S. Michele. I lavori iniziarono nello stesso 1674, e previdero, dapprima, l'ampliamento del noviziato di ulteriori 24 camere. Terminati questi lavori tra il 1677 ed il 1680 fu costruita la cappella interna del noviziato. I lavori di costruzione della chiesa richiesero tempi lunghi tuttavia la chiesa "costruita al modonostro gesuitico , ha goduto di un'impostazione unitaria. Nei primi anni del nuovo secolo continuarono i lavori nella facciata prospiciente l'attuale via Azuni che risulta terminata nel 1705.1 lavori non si fermarono qui: al 1707 va datata la collocazione dell'altare del presbiterio e la collocazione della statua di S. Michele, di scuola e provenienza genovese. Infine, l'ultima costruzione riguarda la costruzione della sacrestia. in questo caso i lavori vanno situati tra il 1710 ed il 1715. Negli anni seguenti la sacrestia venne arricchita dalle imponenti tele dell'Altomonte e del Colombino. Maestri marmorari vi realizzarono il prezioso pavimento intarsiato,oltre alla balaustra del presbiterio ed al monumento funebre del Dessi. Mentre la realizzazione dei mobili della sacrestia va collocata tra il 1717 ed il 1720. Successiva è la decorazione delle cappelle laterali (1730-1740). Circa il nome del progettista della chiesa, si possono fare solo congetture. Generalmente essa viene attribuita al lombardo Francesco Lagomaggiore, che in quegli stessi anni lavorò a Cagliari sia nella copertura della Cattedrale, sia nella costruzione della Chiesa di S. Antonio Abate, la cui cupola ottagonale era molto simile a quella di S. Michele. DESCRIZIONE DELLA CHIESA Lo schema planimetrico presenta i caratteri propri degli impianti gesuitici. D'altronde la costruzione di una chiesa gesuitica richiedeva l'approvazione ufficiale dell'ordine; il che spiega come mai questa chiesa sia così diversa dalle altre chiese sarde. Diversamente dalla Chiesa del Gesù di Roma (del Vignola) che presenta una pianta ad aula con tre cappelle perpendicolari per lato, S. Michele presenta sì una pianta centralizzata (a pianta centrale e aula unica) ma con un diverso sviluppo dello spazio. Infatti, attorno all'aula centrale si aprono a corona tre cappelle comunicanti tra loro, dietro alle quali si apre la cappella presbiteriale, ovviamente sopraelevata di alcuni gradini. Questa soluzione, tipicamente barocca, ha permesso di fondere assieme croce latina e croce greca. Come in altre chiede gesuitiche sarde (S. Croce a Cagliari, S. Ignazio a Oliena, Purissima a Iglesias) anche S. Michele non presenta transetto, sostituito dalle due grandi cappelle intermedie. La FACCIATA (che non è solo della chiesa, ma dell'intero complesso, si affaccia per motivi scenografici sulla attuale via Azuni) presenta una struttura a retablo, in tufo argilloso, ed è composta da tre ordini che nel loro insieme ripropongono uno schema tipico degli altari lignei seicenteschi. il primo ordine (inferiore) è composto da tre fornici (archi usati come sostegno o passaggio) che immettono in un portico voltato a crociera, (intersezione delle volte a botte) dal quale si accedeva al noviziato e alla chiesa, il cui portale con architrave è sormontato da volute (spirali ornamentali) a doppia inflessione con lo stemma della Compagnia di Gesù. I fornici sono inquadrati tra quattro colonne scanalate, su plinti decorati sul fronte e sui lati. La trabeazione (la struttura orizzontale sostenuta da colonne), con cornice molto aggettante (sporgente), sottolinea il secondo ordine, tripartito come il precedente da colonne corinzie scanalate, che suddividono la superficie in tre riquadri nei quali è inserita una finestra con timpano spezzato. In asse si riconoscono tre stemmi: quello centrale, il monogramma della Compagnia: quello di destra di mons. Giovanni Sanna (un cinghiale sottostante una quercia, il tutto sovrastato dal cappello cardinalizio), esimio benefattore della Compagnia; (a lui si deve oltre la costruzione del noviziato di S. Michele anche quella della casa professa "Gesù e Maria" a Sassari). Lo stemma a sinistra appartiene al benefattore Francesco Angelo Dessi (su quattro quarti rappresentanti: un uccello, una corona, sei pigne, uccello con cartiglio nel becco), lo stemma viene poi ripetuto anche sulla porta d'ingresso alla sacrestia. Il lascito testamentario del Dessi permise il completamento della chiesa, la realizzazione della sacrestia, del suo stesso monumento funebre, più lasciti vari (carcerati, malati -> ospedale civico, ragazze prive di dote, processione dei misteri). il terzo ordine, sormontato da un timpano triangolare, presenta una nicchia contenente la statua marmorea settecentesca di San Michele Arcangelo. Essa fu collocata dalle stesse maestranze che realizzarono l'altare nel 1707 (a detta dello Spano essa proviene da un blocco di marmo ritrovato nell'area della casa di Tigellio; ma la notizia è controversa, in quanto tale statua proviene da Genova). Entrati nell'atrio l'attenzione viene attirata dal cosiddetto "Pulpito di Carlo V". Si tratta, in realtà, di un prezioso pergamo, non originario, ma proveniente dalla chiesa dei Frati minori conventuali di S. Francesco al Corso (crollata nei 1875), e trasferito nell'atrio nel 1902. Tra i rilievi spicca la figura di S. Paolo. Il nome deriva dalla tradizione secondo cui l'imperatore Carlo V, di passaggio a Cagliari nel 1535, diretto a Tunisi contro il pirata barbaresco Khair-edDin detto il Barbarossa, con una flotta di oltre 100 navi, avrebbe ascoltato messa da questo pergamo, come riportato dall'iscrizione in latino che circoscrive tutto il pulpito. La quale iscrizione va così sciolta: A(nno) MDXXXV XI lunii Carolo V Philipi Guarissimo) A(ugusto) Cruce Muni/to ab Hispania Classi Ingenti Karalim Ingresso Citoq(ue) Vieta Tuteto Tu(n)c Hoc Sculp/tum A Bartho(lomaei) Vi(nd)oti Fr(at)ris Minori theologi(a)eq(ue) Probi Doctoris Cura et [...]. Teologia del nome di Cristo Una particolarità di tutta la struttura è la ripetizione costante del monogramma IHS in tutte le sue componenti: 1 volta nella facciata, 1 nell’ingresso, 52 nell’interno della chiesa, 2 nell’antisacrestia, 22 nella sacrestia; per un totale di 78. Il monogramma lo si ritrova sia circoscritto entro il sole coi raggi, o all’interno dell’eucarestia, sia unito al cuore sovrastato dai tre chiodi della croce. Come mai questa rappresentatività? Partiamo da una domanda: vi è un luogo teologico pregno della nostra salvezza? La risposta la troviamo negli Atti: «In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4, 12). Incontrare il nome di Gesù significa entrare in relazione col senso ultimo della nostra vita. Nel mondo semitico il nome rappresenta la persona, nella sua totalità. Con l'incarnazione di Cristo è sopraggiunta una novità: quel Dio misterioso, senza volto e dal nome impronunciabile ora assume un volto umano e ne assume un nome che lo caratterizza: "leshua" ["Dio salva"]; da questo momento tutto ciò che era del Padre appartiene al Figlio; anzi, per entrare in relazione con Dio Padre, occorre passare attraverso la mediazione del Figlio, occorre passare attraverso la nuova "porta delle pecore" (cf Gv 10, 9: “Io sono la porta, se uno entra attraverso di me sarà salvo”) Dove oggi i cristiani possono "incontrare" Gesù? Nell'eucarestia, in primo luogo; essa è il tramite tra il nome di Dio e la sua stessa persona. Da cui scaturisce l'importanza del monogramma IHS. Diffuso dapprima da S. Bernardino da Siena, e poi "adottato" da Ignazio di Loyola fin dalla prima edizione degli esercizi spirituali. Se poi il monogramma è sovrastato dalla croce, si carica di un ulteriore significato: l'identità di Gesù si manifesta nella croce; nella croce c'è già tutto ciò che si può dire su Gesù. Per cui non è un caso che nelle chiese gesuitiche l'emblema IHS sia presente sull'ingresso delle chiese: ovvero il nome di Gesù è la porta d'ingresso nella casa del Padre. Ciò accade nella chiesa del Gesù a Roma, ma anche qui a S. Michele. Lo troviamo anche alla base della cupola in due diverse raffigurazioni: quel Gesù è veramente il tramite, la pietra angolare su cui poggia il regno del Padre. Lo troviamo anche sopra l'altare maggiore, in perfetta simmetria col tabernacolo. Lo ritroviamo in diverse tele. Nella tela posta nella cappellina di S. Luigi Gonzaga, troviamo in alto a destra la corrispondenza tra ostia consacrata e nome del Figlio: lesus Hominis Salvator. Questo nome è sovrastato dalla croce, luogo esistenziale della nostra salvezza, mentre, al di sotto i tre chiodi della croce ricordano il prezzo del sacrificio d'amore patito dal Salvatore. L'eucarestia è dunque quel dono sacramentale in cui, con gli occhi della fede, si entra ancora oggi in relazione con Gesù, e non con la sua esteriorità, ma nella sua totalità, di relazione e di grazia. Entrati in CHIESA, sulla destra dell'ingresso troviamo l'iscrizione con la quale si ricorda la consacrazione della chiesa compiuta dai vescovo di Usellus-Terralba. Mons. Antonio Carcassona avvenuta il 30-11-1738. Le pareti sono scandite da paraste (pilastri inglobati nelle pareti) d'ordine corinzio, ornate da fregio di foglie e figure umane, sormontate da una cornice che percorre l'intero perimetro. La cupola a padiglione poggia su un tamburo ottagonale sul quale si aprono, alternate a ottagoni ciechi, quattro finestre. Coperta con tegole a squame, presenta paraste agli spigoli esterni ed è sormontata da un lucernario. La cupola è ricca di suggestioni religiose: simboleggia il cielo, metafora della trascendenza di Dio in mezzo agli uomini, il ruolo simbolico della cupola è antichissimo: la volta del cielo, simboleggiante la casa del Padre, s'innalza sulla terra (il quadrato di base, in questo caso un ottagono) tramite la parola di Dio (i vangeli) che uniscono cielo e terra. La cupola internamente è divisa in spicchi decorati con elementi vegetali e s'innesta sui pennacchi (raccordi a vela) entro cui sono raffigurati (ad opera del romano Domenico Tonelli) gli Evangelisti (raffigurati secondo la consueta tipologia tratta da Ap 4, 7); ovvero il leone per Marco, l'angelo per Matteo, il bue per Luca, l'aquila per Giovanni. Quello di Luca risulta arricchito non soltanto dell'immagine del bue, ma raffigura anche un'altra attività attribuitagli dalla tradizione, l'essere il primo artista che dipinge le sembianze della Madonna, raffigurata tenendo in braccio il bambino, secondo il tema classico dell’ Odigitria. All'altezza della volta sopra i quattro arconi si trovano il monogramma IHS di Gesù (rivolto verso il presbiterio), il monogramma di Maria (sull'ingresso; in totale compare 8 volte), gli stemmi di mons. Sanna (a sinistra) e dei Dessi (a destra). Il programma iconografico degli affreschi, ha l'intento di divulgare il messaggio evangelico, rappresentando il mistero della vita umana colmata dalla grazia, tema che troviamo: - sia nell'Annunciazione, dipinta nella volta sopra l'ingresso,la parola che si fa carne nel grembo di Maria. L'affresco dipinto dal Massa (T 1805), fu restaurato una prima volta nel 1908 (dal Parenti), infine fu sostituito con una copia del Barracchia fatta nel 1963. - questa parola viene poi assunta nella gloria del cielo nell'incoronazione della Vergine parte della Trinità, dipinta da Giacomo Altomonte nella volta del presbiterio; in cui Gesù è rappresentato portante la croce, secondo la celebre visione di S. Ignazio nei pressi de La Storta (Roma, metà novembre 1537). Al di sotto dell’affresco dell’Annunciazione, dunque sopra la bussola d’ingresso, troviamo la cantoria, delimitata da tribuna lignea e decorata con angeli che suonano strumenti musicali (una viola ed un organo), vi si trova un organo a canne del napoletano Cimini. Tutto questo spazio fu allestito nel 1804. Posti su questa stessa altezza troviamo altre quattro tribune lignee e quattro coretti, tutti finemente decorati, del fine settecento, dalle cui grate era possibile assistere alla messa. Praticamente la pianta centrale poggia su un ottagono ampliato a croce nei lati opposti, che comporta due cappelle maggiori centrali munite di altare, che si aprono direttamente sulla volta centrale della chiesa, e sei cappelline radiali tutte intercomunicanti, tre per lato (secondo il richiamo al dogma trinitario) voltate a botte. Questa soluzione planimetrica permette di raggiungere lo scopo di unire la pianta centrale a quella longitudinale senza fonderle. La planimetria della chiesa evidenzia anche una chiara impostazione dottrinale: nell'apertura di tre cappelle per lato vi è un'allusione al mistero trinitario. L'aula costituisce un tutt'uno, secondo i dettami gesuitici, secondo cui niente all'interno dell'aula doveva distrarre l'attenzione del fedele dal "sacro mistero" che si svolgeva sul presbiterio. I dipinti gesuitici II complesso contiene, oltre alle 10 tele sui misteri del rosario di cui si dirà più avanti, 20 tele raffiguranti santi della Compagnia, o terminali di qualche devozione. Resta da considerare che ogni attribuzione o scelta stilistica non è casuale, ma riflette sempre quella che è stata la sensibilità spirituale dei gesuiti, committenti di queste opere d'arte. Ogni santo rappresenta un volto familiare nella galleria degli antenati. Ovviamente Ignazio di Loyola (il fondatore) e Francesco Saverio (la figura più carismatica del gruppo iniziale, oltre che Patrono delle Missioni) sono i più rappresentati. La presenza di S. Francesco Borgia (+ 1572) va ascritta alla fama di santità di questi, duca di Gandìa, viceré di Catalogna, dopo la morte della moglie Eleonora de Castro, entrò nella Compagnia, divenendone terzo Preposito generale, famoso per l'austerità dei costumi, e la vita di penitenza condotta, quasi a espiare i peccati dello zio (papa Alessandro VI). Fu un "Grande di Spagna", alieno dagli onori mondani (nella tela in chiesa lo vediamo già gesuita, con ai suoi piedi una corona ed un cappello cardinalizio, simbolo di quegli onori a cui fuggì (infatti, prima della nomina a Preposito rifiutò tre volte la nomina cardinalizia). A lui si deve l'individuazione del primo gruppo di gesuiti inviati in Sardegna nel 1559. S. Luigi Gonzaga (patrono della gioventù, e degli studenti), di origine nobile (marchese di Castiglione delle Stiviere) è mostrato mentre abbandona gli onori del mondo fatuo di corte (rappresentato dalla corona principesca e dallo scettro) per scegliere la Compagnia di Gesù. Morì a Roma, nel 1591, mentre studiava teologia, sfinito dall'assistenza agli appestati. La tela della sacrestia lo raffigura nel teologato del Collegio romano, nelle "camerette di S. Luigi", sopra la chiesa di S. Ignazio. La presenza di S. Jean-Francois Régis ( + 1640) va ascritta alla fama di questo santo nel momento in cui si realizzava la chiesa (fu canonizzato nel 1737), egli fu un missionario popolare francese che evangelizzò la Francia centrale. La sua festa cade nella stessa data del santo raffigurato nella tela posta a destra del presbiterio, S. Francesco de Geronimo ( + 1716), cioè il 2 luglio, in quanto, in tale data, la liturgia gesuitica ricorda cinque missionari popolari, italiani e francesi. Questo gesuita fu incaricato della "missione urbana permanente" a Napoli che esercitò per 40 anni, in quello che oggi chiameremo sottoproletariato urbano, ottenendo innumerevoli conversioni. Possiamo intuire quale sia stata la sua influenza dal numero delle ostie distribuite ai suoi funerali: 42.000. Nella sacrestia ritroviamo alcune di queste figure (Loyola, Saverio, Borgia, Gonzaga); sul lato destro troviamo i martiri di Nagasaki Paolo Miki (primo religioso cattolico giapponese), Giovanni Soan, e Giacomo Kisai, tutti martirizzati nel 1597. La tragica vicenda in cui restarono coinvolti fu la condanna a morte di sei francescani imbarcati sul galeone S. Felipe, naufraga to a Nagasaki, e che causò un incidente diplomatico tra spagnoli e giapponesi. Oltre i sei francescani, furono condannati 15 loro aiutanti laici giapponesi; questi 21 furono raggiunti, da Osaka, da Paolo Miki e due collaboratori laici della missione, il diciannovenne Giovanni Soan ed il sessantaquattrenne Giacomo Kisai, i quali poco prima del martirio fecero i voti religiosi gesuitici. Sulla sinistra compare S. Stanislao Kostka (1550-1568), anch'egli di famiglia principesca, pur di entrare nella Compagnia venne a piedi da Vienna a Roma, e qui entrò nel noviziato di S. Andrea al Quirinale. La tradizione gli attribuisce alcuni episodi mistici, fra cui l'apparizione della Madonna in punto di morte (morì il 15 agosto, festa dell'Assunzione). 81 quadro in sacrestia rappresenta invece l'episodio in cui Stanislao, ancora studente a Vienna (gli abiti gesuitici sono dunque impropri), cadde gravemente malato ed in punto di morte, chiesta la comunione, fu negato l'accesso al sacerdote dal padrone di casa luterano; ma alcune sere dopo Stanislao vide giungere S. Barbara con due angeli che gli portavano la comunione. Le cappelle La cappella di S Ignazio di Loyola, (posta a sinistra, rispetto all'asse della chiesa), in cui si conserva il dipinto "L'estasi di S.Ignazio" (del cagliaritano Scaleta), è stata realizzata nel 1726. La scena mostra il santo, vestito con la pianeta da sacerdote, mentre intravede la presenza divina nell'ostia consacrata. L'immagine raffigurata sul tabernacolo è Gesù sorretto da un angelo nel Getsemani. Dirimpetto (dunque a destra) a quella di Ignazio vi è la cappella di S. Francesco Saverio, del 1731, con il dipinto della "Predica di S. Francesco Saverio" di Domenico Colombino, in cui il santo, è rappresentato nella consueta veste nera, con cotta bianca e stola, mentre predica ai pagani. Il tabernacolo di questo altare raffigura il buon pastore. Curiosamente il monogramma posto alla sommità dell'altare non è IHS ma quello mariano (possibile indizio per una diversa destinazione?). La pavimentazione antistante questo altare (come anche quello di S. Ignazio) ricorda quella del presbiterio, con abbondante uso della rosa dei venti. In ogni caso, l'intitolazione dei due altari principali a S. Ignazio e al Saverio riprende l'impostazione del Gesù di Roma, modello per molte chiese dell'Ordine. Le balaustre di tutte le cappelle e del presbiterio sono precedenti al 1768, forse, eseguite da maestranze comasche. Invece, gli arabeschi (composizioni in stucco) di quattro delle cappelle laterali non sono originari, ma risalenti al 1940. Sono opera di Pietro Pozzo (un genovese stabilitosi a Stampace, in via Azuni) le sei cappelle minori, realizzate in coppia: tra il 1736 e 1740 quelle di S. Francesco Borgia, (posta a sinistra rispetto a quella di Ignazio); duca di Gandia, generale dell'Ordine (15651572) e dirimpetto troviamo quella di S.Francesco Régis. Tra le due cappelle maggiori ed il presbiterio troviamo altre due cappelle, oggi entrambe "mariane ", quella a destra del presbiterio dedicata alla Vergine col bambino (in cui compaiono alcuni simboli delle litanie lauretane: Madre di Dio, tempio dello Spirito Santo, regina degli angeli, torre davidica, specchio di giustizia, stella del mattino, giglio [Madre purissima]), ovviamente il disegno centrale della volta della cappellina raffigura il monogramma mariano. Originariamente era dedicata alla "Purissima Concezione" [inventario 1773]. Quella a sinistra ha subito diverse trasformazioni; originariamente era dedicata ai Salvatore motivo, per cui sulla volta è disegnato l'agnello), divenuta nel corso dell'ottocento cappella di S. Filomena, vi era collocato la "Madonna con bambino" del Comastri, attualmente collocata nella cappella domestica dei padri gesuiti. Narra lo Spano (1861) che questa immagine era completamente ricoperta di ex voto. In seguito vi fu collocata l'immagine della Madonna di Fatima; oggi accoglie la statua in cera di Maria bambina (del 1929, anno in cui sorse a S. Michele un'Arciconfraternita di Maria SS Bambina), patrona della Congregazione degli Artieri (riproduzione della statua venerata a Milano dalle "Suore di Maria Bambina"). Ultime (1741-43) sono state realizzate le due cappelle dedicate ai santi patroni degli scolastici gesuiti, ovvero S. Luigi Gonzaga (patrono degli studenti gesuiti di teologia) e del polacco S. Stanislao Kostka (patrono dei novizi gesuiti), entrambi canonizzati nel 1726; attualmente questa cappella ospita un quadro del S. Cuore di Pio Bottoni del 1912. Perché una cappella dedicata al S. Cuore? Per comprendere il culto al Cuore di Cristo è importante comprendere prima di tutto il significato biblico della parola "cuore". Esso indica il centro della persona umana, del suo mondo interiore e della sua vita spirituale, la 'sede' della forza vitale, delle emozioni, dei sentimenti, dei pensieri, delle sue decisioni e progetti. Riferirsi al cuore di qualcuno, perciò, equivale a riferirsi al suo centro più ìntimo e nascosto, alla profondità del suo essere. Parlare del "Cuore di Gesù", vuoi dire fare riferimento al centro vitale della sua Persona umano divina, alla "sede" dei suoi sentimenti. L'origine storica del culto deriva poi dalle rivelazioni ricevute nel 1675 da S. Margherita Maria Alacoque e poi divulgate dal gesuita Claudio La Colombière, suo direttore spirituale (il cui ritratto, un tempo presente nell'antisacrestia, si trova oggi nella residenza dei padri gesuiti. Il messaggio di Paray-le-Monial, indicò a tutta la Chiesa le caratteristiche di una spiritualità, non nozionistica, astratta, o rigida, bensì ricordò il volto personale e misericordioso di un Redentore che ci invita ad una relazione affettiva con Lui, fatta di interiorità, di fede nell'amore di Dio, di riparazione, di fiducia nel suo perdono. I dipinti originari delle cappelle erano concepiti come un ciclo dedicato a Gesù, a Maria, e ai principali santi dell'ordine, il che poteva fornire ai predicatori diversi spunti di meditazione. Una particolarità curiosa di tutte le cappelle è che il soggetto raffigurato a sinistra, in pendant con quello di destra, risulta all'interno della sensibilità della Compagnia, sempre più importante del corrispondente soggetto posto di fronte. L'arredo marmoreo della chiesa fu poi terminato dal figlio del Pozzo, Ignazio che con un altro marmoraro, Spazzi, nel 1752 completarono le incorniciature marmoree degli accessi alle cappelle, al presbiterio, alla sacrestia, del portone d'ingresso e il pavimento della chiesa. Un altro elemento molto presente a S. Michele sono le colonne tortili, in numero di ventiquattro; elemento molto adoperato in quest'epoca dopo che Bernini lo aveva utilizzato per il baldacchino di S. Pietro. Anche questa scelta è funzionale al tutto, avendo la funzione quasi di esplicitare meglio il moto ascensionale del cammino di fede. Sulla sinistra dell'aula troviamo il pulpito, decorato in marmo; il tutto risulta sovrastato dalla colomba; simbolo dello Spirito Santo, che ispira la predicazione. Non abbiamo, invece, alcuna indicazione riguardo la provenienza delle stazioni della via crucis. Il Presbiterio L'altare maggiore (realizzato a Genova da Giuseppe Maria Massetti), e poi montato in loco nel 1707 dal suo discepolo Pietro Pozzo. Composto da un paliotto (rivestimento della parte anteriore dell'altare) marmoreo, rinserrato tra le colonne tortili che si avvitano nello spazio inducendo lo sguardo a sollevarsi verso il cielo e sopraelevato rispetto all'aula, esso è visibile da ogni punto; la chiesa infatti non presenta strutture divisorie che possano interferire, distraendo il fedele durante il rito: tutto (liturgia, luci, musica, paramenti e arredi) concorre a sollecitare il coinvolgimento emotivo e devozionale. Sopra l'altare troviamo la statua lignea di S. Michele (misure: 190x88) in legno policromo dorato, di scuola napoletana, viene citata per la prima volta nell'inventario del 1773, ma è possibile che sia stato collocato fin dal momento della realizzazione dell'altare. Secondo alcuni potrebbe trattarsi di una statua indorata dal napoletano Giuseppe De Rosa nel 1620 per "la chiesa del Collegio di Cagliari ”; il de Rosa risulta essere stato pagato per la"doratura, graffitura e coloritura della statua", tuttavia, sebbene non si parli del suo intaglio, chi effettuava quelle operazioni era sempre lo scultore stesso della statua. Invece nelle nicchie ai lati dell'altare troviamo due statue marmoree (risalenti alla fine del settecento), ovvero: S. Anna con Maria bambina a sinistra. e S. Giuseppe con Gesù bambino a destra. Non dimentichiamoci che i gesuiti diffusero la devozione a questo santo (patrono degli esercizi spirituali) in tutta Europa. II presbiterio è sovrastato dall'affresco dell'Incoronazione di Maria (ad opera dell'Altomonte). Si noti che la testa del Padre e del Figlio con la colomba, sono posti ai vertici di un triangolo equilatero. Chiaro esempio di impostazione trinitaria. Il principale pittore a cui i gesuiti commissionarono le tele più importanti della chiesa è il ro m a n o Giacomo Altomonte, maestro del rococò in Sardegna. Mentre Domenico Colombino è solo un suo aiutante, artisticamente molto inferiore al maestro, ed operò solo nell'isola. Giacomo Altomonte era fratello di Martino Altomonte, napoletano, pittore imperiale a Vienna (e forse non è un caso che egli dipinga in Sardegna durante la dominazione asburgica dell'isola: 1708-1720). Completano la decorazione del presbiterio gli stucchi, con quattro angeli reggidrappi che scendono da un coronamento. Ai lati sono dipinti due animali simbolici che vanno interpretati in chiave cristologica: ovvero a sinistra il Pellicano (mal raffigurato in quanto il disegno è più simile ad un cigno) mentre si apre il petto per nutrire i suoi piccoli, allusione al sangue versato da Cristo per riscattare l'umanità; ed a destra troviamo la Fenice (anche in questo caso il disegno è fonte di equivoci, più simile ad un gallo), l'uccello immortale che rinasce dalle sue ceneri dopo tre giorni così come Cristo è resuscitato dal sepolcro. Sempre allo stesso Massetti si deve il monumento funebre in marmo di Francesco Angelo Dessi (1712), nella parete sinistra del presbiterio, ricco di elementi simbolici allusivi al passaggio del tempo (clessidra, conchiglia) e alla morte (teschio, ossa ecc.). L'iscrizione, molto retorica, ricorda le virtù benefìche del benefattore paragonato ad Aristide per la probità, a Creso per la ricchezza, a Davide per la munificenza, ad Augusto per liberalità. Dirimpetto al monumento troviamo una grande tela su olio raffigurante S. Francesco de Geronimo (1642-1716), missionario gesuita pugliese, che ha operato prevalentemente a Napoli, l'opera è stata verosimilmente realizzata in concomitanza alla sua canonizzazione (1839). Il pavimento del presbiterio è caratterizzato dalla riproduzione della stella con la rosa dei venti, con punte bicolori bianche e nere. Questi intarsi marmorei sono ricchi di significati simbolici: le stelle sono dodici come gli apostoli, su cui si fonda la Chiesa; la rosa dei venti allude allo Spirito, che soffia dove vuole diffondendo l'annuncio evangelico; le punte indicano i quattro punti cardinali, cioè tutte le direzioni, quale tensione universale di un ordine impegnato, soprattutto, nella predicazione missionaria. Il tutto fa convergere gli sguardi dei fedeli verso il tabernacolo, luogo sacro per eccellenza in quanto custodia dell'eucarestia e fulcro della sacra azione liturgica. Dalla cappella di Maria Bambina si accede alla ANTISACRESTIA. Alla sinistra vi troviamo il lavabo di gusto manieristico, con i due angeli reggi-acquasantiera, il tutto sormontato dallo stemma della Compagnia. Destinato alle abluzioni dei sacerdoti, secondo i dettami tridentini, è da ascriversi ai primi del settecento. Questa sala rettangolare è impreziosita dalla presenza di 10 grandi tele del cagliaritano Giuseppe Deris (+ 1695) concernenti i misteri dolorosi e gloriosi del rosario. Il ciclo completo di 15 tele era stato commissionato per la cappella interna del noviziato. Le tele mancanti (i misteri gaudiosi) si trovano oggi presso la chiesa di S. Maria del Monte in Castello. Nella tela della deposizione troviamo firma dell'autore e anno di conclusione del ciclo pittorico: 1681. Il Deris (o De Eris) abitò nel quartiere della Marina, e fu contattato dai gesuiti anche per la commissione di alcune tele per la chiesa di S. Croce. Una delle sue particolarità più curiose è il fatto che predilige rappresentare scene in cui appaiono persone che parlano o gesticolano. Circa la sua origine, al momento si è a conoscenza del fatto che il padre (Jaime) fosse francese di nascita. Lo stile usato è in sintonia con i dettami artistici dei gesuiti, che non amavano troppo le allegorie del manierismo, ma erano più inclini alla veridicità delle scene rappresentate, e raccomandavano decoro morale. Le immagini avevano lo scopo di offrire spunti per la meditazione dello spettatore. È stato osservato che nella tela della "Presentazione al tempio" (non presente a S. Michele), in cui si rappresenta la circoncisione di Gesù, vi è raffigurato un servitore del sacerdote, che si volge verso lo spettatore, quasi a ricordare la raccomandazione di Ignazio nella meditazione della Natività a farsi “servitorelli” per meglio osservare da vicino la scena evangelica. Nel fondo di questa sala troviamo le sei statue (alcune parziali. cioè con struttura "a manichino") raffiguranti i "Misteri della passione di Gesù Cristo". La cui paternità al più importante scultore sardo del settecento, il senorbese Giuseppe Antonio Lonis (1720-1805), formatesi a Napoli, è attestata con sicurezza solo per due di esse. Tuttavia, le statue di cui non si hanno tracce documentarie, è possibile che siano addirittura precedenti, risalenti pertanto al primo periodo di attività del Lonis (il quale aprì bottega Stampace nel 1750). Le statue (ancora oggi usate in processione durante la "Processione dei Misteri" del martedì santo) raffigurano le scene dell'Ecce homo, il Cristo che porta la croce (1799), l'Addolorata (1798), la preghiera nel Getsemani, il Cristo deriso, ed il Cristo alla colonna. Il simulacro del settimo mistero è dato dal crocefìsso collocato nell'atrio della chiesa, uno dei crocifissi più belli presenti a Cagliari. Le statue nell'ottocento erano attestate nell'oratorio della Congregazione Mariana degli Artieri, in pratica la cappella interna dell'ex noviziato (realizzata nel 1680), antistante il chiostro del complesso gesuitico, al quale si accedeva mediante una porta, oggi murata, nell'antisacrestia. In fondo a destra troviamo la porta che immette nella sacrestia. In essa vi troviamo dipinte a pennello le figure del Risorto e della Vergine, recanti i rispettivi monogrammi entro stemmi,presentati come fonti di vita soprannaturale. L a SAGRESTIA è un ambiente studiato in ogni sua parte, aggiornato al gusto rococò del primo Settecento (il rococò è una trasformazione del barocco in chiave più leggiadra, floreale, molto decorativa). Poiché essa fu costruita grazie alla donazione del Dessi il suo stemma sovrasta la porta d'accesso. La sacrestia opera del lombardo Giovan Battista Corbellini, è sovrastata da una volta a botte lunettata, in cui, tra festoni e dorature, capolavoro del rococò in Sardegna, viene rappresentato il "Trionfo del nome di Gesù" (un classico dell'iconografia gesuitica, che ha come modello lo stupendo affresco della volta della chiesa del Gesù a Roma) unito alla "Cacciata degli angeli ribelli ad opera di S. Michele arcangelo", alla presenza dei tre santi gesuiti, Ignazio, Francesco Saverio e Roberto Bellarmino, posti sulla destra; tutti sostenitori del culto degli angeli. I tre medaglioni della volta costituiscono quasi tre squarci sul cielo, in cui i due minori rappresentano, uno, la continuazione della caduta dei demoni, l'altro il trionfo degli angeli; si noti (classico artifizio barocco) che i demoni cacciati continuano la loro caduta fuoriuscendo dal medaglione stesso. Si può constatare infine che il nome di Gesù non sia solo il soggetto dell'affresco ma tema portante di tutta la chiesa e dei suoi arredi, dalla facciata all'interno, dagli altari alle porte; il suo fondamento (78 rimandi ad esso!), questo trionfo ricorda al credente il centro della "buona notizia”: nel nome di Gesù è possibile vincere il male. Il combattimento dell'angelo vittorioso sul demonio, tema universale dell'eterna lotta tra Bene e Male, diventa emblema della Chiesa trionfante contro l'eresia e contro i suoi nemici e rappresenta l'irruzione del mondo celeste in quello terrestre. Il tema in contesto gesuitico assume una particolare rilevanza. Afferma lo studioso d'arte gesuita, il P. Pfeiffer: «Perla spiritualità degli Esercizi spirituali di sant'Ignazio il tema di san Michele è fondamentale, perché il primo punto della prima meditazione di tutto il libro consiste proprio nell'applicazione della memoria, dell'intelletto e della volontà sul peccato degli angeli e della loro conseguente condanna per esso. Inoltre sant'Ignazio insegna le regole del discernimento tra i suggerimenti del buono e del cattivo Spirito. Questo discernimento immette l'esercitante in mezzo alla battaglia tra gli angeli buoni e cattivi, un combattimento che trova il suo momento culminante nella lotta tra Michele e Lucifero». Le pareti della sacrestia terminano superiormente con tele lunettate (tutte dipinte dall'Altomonte) raffiguranti scene bibliche e miracoli in cui l'arcangelo Michele è protagonista, esplicitate da scritte entro targhe dorate. A sinistra trovano posto episodi veterotestamentari: NB: le indicazioni scritturistiche date dall'autore e riportate nel fregio non corrispondono (se non in un caso) all'effettiva citazione biblica. 1) II sacrificio di Isacco di Gen 22 (S. MICHAEL GLADIUM COHIBUIT NE ABRAHAN FILIUM INTERFICERET VIECAS. IN APOC. 4); 2) Mosè riceve le tavole della legge , cf Dt 5 o Es 20 (S. MICHAEL VICE DEI DEDIT LEGEM HEBRAEIS IN MONTE SYNAIALAP. INDAN. 12); 3) II roveto ardente di Es 3 (S. MICHAEL MOYSI PASCENTI OVES APPARUIT IN MEDIO RUBI IN LAPIDE. IN DAN. 13); 4) I tre giovani nella fornace di Dan 3 (S. MICHAEL TRES PUEROS IN FORNACE BABILONIAE ILLESOS SERVAVIT VIEC. INAPOC.12). Nei due lati brevi troviamo (sopra l'ingresso) la scena biblica di Agar e Ismaele nel deserto (Gen 21 ), mentre di fronte è raffigurato un paesaggio silvestre. Sul lato destro invece sono rappresentate altre scene; una extrascritturistica (l'apparizione sul Monte Gargano che diede poi awio al culto dell'arcangelo in questo sito), le altre sono tratte dal Nuovo testamento, e cioè: 1) San Michele sconfigge il demonio (S. MICHAEL SPUORIS SUI INTERFICIET BESTIAM IN MONTE OLIVETI. D. THO. IN 2 AD THESAL. 2); 2) Miracolo del toro sul monte Gargano (S. MICHAEL IN ANTRO MONTI GARGANI APPARUIT ANNO 488. BARONI IN MARTIRO.); 3) La Maddalena penitente , forse Le 8,2 (S. MICHAEL DEVIT B M. MAGDALAE QDO IN ANTRO TENTATA A SPECTRIS DAEMONIUM EOS FUGAVIT. ALAP. IN NUM 21). 4) Cristo nell'orto degli ulivi in Le 22, 43 (S. MICHAEL XPUM IN HORTO MAERENTEM CONFORTAVIT CARTHUSIAN IN LUC. 22). Il culto degli angeli Anche gli angeli costituiscono dunque un tema ricorrente in ogni ambiente della chiesa, intitolata non a caso all'arcangelo S. Michele. Come spiegarci questo tema apparentemente poco attuale? Ricordiamoci che con essi condividiamo la stessa paternità: siamo tutti figli di Dio. Quali "fratelli maggiori" essi non si disinteressano della nostra sorte, ma si fanno nostri compagni di viaggio, sono messaggeri di Dio e ne segnano la vicinanza soccorritrice; accompagnano la nostra liturgia, condividiamo con essi l'inno del Sanctus. Sono messaggeri della speranza, custodi della nostra "immagine originaria"; qualora fossimo in pericolo, possiamo sempre ricorrere al loro consiglio e alle loro ispirazioni (cf EESS, nn. 331 ss). Il tutto secondo l'indicazione biblica «Ecco, io mando un angelo davanti a tè per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza, ascolta la sua voce» (Es 23, 20-21). Il culto di s. Michele II culto agli angeli è attestato a Cagliari fin dall'antichità; durante il pontificato di papa Leone IV (attorno all'850) si ha notizia di una porta e di una chiesa dei "Santi Angeli" accanto a cui si aveva presenza d'acqua [forse, il sito corrisponde alla nostra chiesa, in quanto era situata al di fuori delle mura romane, inoltre sotto l'attuale presbiterio si riscontra la presenza di una vasca quadrangolare su gradoni). Michele è il capo delle milizie celesti, rappresentato come un giovane guerriero, con corazza, col volto inespressivo. La sua effigie viene sempre collocata in alto, perché egli protegge la città dai suoi nemici; oltre a rappresentare la vittoria del bene sul male (il maligno trafìtto ai suoi piedi); egli è anche colui che conduce le anime a Dio. per cui le pesa con la bilancia, altro elemento caratterizzante la sua rappresentazione. Il culto di S. Michele si è molto diffuso in Sardegna durante il periodo bizantino; fra l'altro, la sua caratterizzazione combattente, si coniugava con l'indole di un popolo costretto a difendersi da tanti nemici esterni. Nelle due pareti maggiori della sacrestia sono rappresentate in cornici in legno di tiglio (realizzate a Cagliari da un artista napoletano, Truisi o Troisi), otto dipinti raffiguranti storie e miracoli di santi gesuiti, ad opera di Giacomo Altomonte e Domenico Colombino. I dipinti illustrano: uomini d'azione come S. Ignazio (raffigurato mentre un dardo di fuoco dal cuore di Cristo raggiunge e penetra il suo; l'elmo e la palla di cannone ricordano l'episodio dell'assedio di Pamplona del 1521, prodromo della sua conversione; il drago posto in basso a destra rappresenta il demonio che con inganni cerca di ostacolarne la conversione (cf Autobiografia, n 31). Dirimpetto troviamo S. Francesco Saverio (nell'episodio del granchio che riporta al santo, il crocifìsso che aveva perso durante una burrasca nelle Molucche). Troviamo santi carismatici come S. Francesco Borgia (ritratto mentre medita la rinuncia agli onori mondani al cospetto della bara dell'imperatrice Isabella, moglie di Carlo V, donna famosa per la sua bellezza); contemplativi come S. Luigi Gonzaga e S. Stanislao Kostka, o i martiri di Nagasaki Paolo Miki, Giovanni Soan, e Giacomo Kisai (+ 1597). Nella parete frontale, sopra l'ingresso, troviamo la Strage degli Innocenti (la più grande tela sacra di Cagliari). La tela fu ritoccata dopo il ritomo dei gesuiti nell'ottocento, su ordine del p. Pizzi, da un tale Ami che coprì le nudità presenti sia in que-sta tela che in quelle di Adamo ed Eva. La tela risulta firmata dai due autori. Si noti la rivendicazione di originalità lasciata dall'Altomonte che vi si definisce "inventor”; ovvero: ciò che ha dipinto non l'ha tratto da altre rappresentazioni ma sono frutto della sua personale inventiva. I l programma iconografico della sacrestia, dedicato alla storia della salvezza, alla glorificazione del nome di Gesù e dell'Ordine gesuitico, si completa con le tele raffiguranti Adamo ed Eva (dell'Altomonte); i progenitori, simboli dell'umanità biso-gnosa di redenzione; che affiancano la statua lignea (di origine ligure) dell'Immacolata Concezione, la Nuova Eva, segno dell'umanità redenta, con la quale si conclude il percorso spirituale iniziato all'ingresso della chiesa. U n percorso in cui sono stati additati ai fedeli alcuni testimo-ni di santità, che ci hanno preceduto nel pellegrinaggio terreno, e che ora intercedono per noi. Un ruolo particolare riveste per noi Maria; le sue rappresentazioni che troviamo nella chiesa ce la additano non tanto come un modello irraggiungibile, bensì come la donna pienamente redenta, per grazia, colei che ci precede nel nostro pellegrinaggio, indicandocene le tappe, in-coraggiandoci che anche noi, un giorno, pienamente redenti, faremo nostre. L a conclusione della visita della chiesa davanti a quest'opera, ci riporta al suggerimento che S. Ignazio da, durante il percorso degli EESS, con il "triplice colloquio", in cui suggerisce, ripetendo la meditazioni sui propri peccati (n. 63), di terminare tale meditazione colloquiando anche con la Vergine. N:B: La volta della sacrestia è stata gravemente danneggiata dai bombardamenti del 1943, per cui diversi stucchi e decorazioni sono state rifatte nel 1946. L'arredo ligneo della sacrestia, in legno di noce intarsiato, venne completato dal catalano Magin Segura tra il 1717 ed il 1720. La paratora, mobile a due ordini che occupa tutta la parete di fondo, negli sportelli superiori del lato sinistra reca incisi a bulino episodi della vita di S. Ignazio, narrati nell'Autobiografìa. E cioè: 1) Ignazio che dona le vesti a un povero; 2) Pellegrino in Terrasanta mentre viene maltrattato da un servo, 3) Approvazione della Regola da parte di Paolo III; 4) Morte del Santo. Specularmente, sul fianco destro sono raffigurati episodi della vita di S. Francesco Saverio: 1) Partenza per la missione; 2) mentre si flagella davanti al crocifìsso; 3) mentre si tiene alla coda di un cavallo al galoppo; 4) Morte sull'isola di Sancian. Al centro di questo mobile troviamo altre due scene, raffiguranti l'Ascensione (a sinistra) e l'Assunzione (a destra). Negli altri mobili, comprendenti due armadi, due credenzini e quattro inginocchiatoi, vi sono raffigurate immagini naturalistiche di fiori entro vasi, alternati ad ampi decori a volute vegetali con terminazioni fantastiche (teste leonine, unicorni, cariatidi, erme). Nel 1773 la Compagnia di Gesù venne momentaneamente soppressa (fu poi ripristinata nel 1814). Gli arredi liturgici e i paramenti di S. Michele furono assegnati nel 1780 alle cattedrali di Galtellì, di Nuoro, e alla parrocchia di Paulilatino. Questo spiega la povertà di opere antiche; infatti la maggior parte delle poche opere presenti, sono state commissionate dalla Congregazione degli Artieri nel corso dell'ottocento. Quest'ultima, la cui denominazione esatta era di "Congregazione della Natività di Maria Vergine", sorta nel 1586 nel collegio di S. Croce, si trasferì nel 1795 nell'allora convitto di S. Michele. Ad es. l'organo fu commissionato da essa, così i candelieri, tutti dell'ottocento. Ad un prefetto della Congregazione artieri, tale Giovanni Dessy, si devono, attorno al 1940 i lampadari e le decorazioni di 4 cappelline laterali. Nel 1822 il re Carlo felice ristabilì l'Ordine in Sardegna e nel 1835 si riaprì il Noviziato di San Michele. I Gesuiti furono poi nuovamente espulsi nel 1848, durante i moti popolari che precedettero la I guerra d'indipendenza, moti fomentati dall'opera del Gioberti "Il gesuita moderno". Purtroppo in questa occasione la residenza di S. Michele fu assaltata dai rivoltosi e l'archivio andò praticamente distrutto. Da questa data i locali del Noviziato ospiteranno l'Ospedale Militare. Sarà, pertanto la Congregazione degli Artieri a ottenere l'uso della chiesa di S. Michele, sino al ritorno dei gesuiti. Questi ritornati a Cagliari nel 1910, e stabilitisi presso il Seminario Tridentino di via Università, dopo il loro trasferimento a Cuglieri nel 1927, si posero il problema di dove stare a Cagliari; fu così fatta richiesta (da parte di p. Abbo) a mons. Piovella di rientrare in possesso della chiesa di S. Michele, la richiesta fu accolta ed essi vi poterono rientrare il 19 agosto 1928. Concludendo, si può affermare che i gesuiti, committenti della chiesa, nonostante i settant’anni necessari per la sua costruzione, vi attuarono un preciso disegno pastorale. Infatti, in essa si tratteggia un itinerario spirituale che dall'esaltazione dei nomi di Gesù e di Maria, dalla testimonianza data dai santi gesuiti, sulla sequela del Cristo crocifisso, propone come modelli di fede l'Immacolata e S. Michele Arcangelo, tutte immagini di una fede militante; il tutto allo scopo di delineare quel "pellegrinaggio mistico" che conduce alla conversione ed infine al rinnovamento interiore. A cura di Guglielmo Pireddu SJ Seconda ristampa - ottobre 2011 II presente testo è una sintesi tratta da: - A. PASOLINI, San Michele di Cagliari. Architettura e arredi di una chiesa gesuitica, in Teologica & Historica, Voi. XDC, Cagliari 2010, pp. 401-34. - G. CAVALLO, I maestri della sacrestia della Chiesa di S. Michele a Cagliari., in: Quaderni del Dipartimento di Architettura. Facoltà di Ingegneria. Università di Cagliari, [Cagliari 2008], pp. 7-38. - O. LILLIU, La chiesa di S. Michele in Cagliari in rapporto all'ideologia gesuitica e alla cultura barocca, in KIROVA T. [ed.], Arte e cultura del '600 e del 700 in Sardegna, Napoli 1984, pp. 199-216. - A. INGEGNO [ed.], Il restauro della chiesa di San Michele, Cagliari 1995. - Schede Soprintendenza per i beni ambientali architettonici artistici e storici di Cagliari, 1992. Ad uso dei volontari di "Pietre vive" che prestano servizio di accoglienza e di accompagnamento della chiesa di S. Michele.