Relazione-Riva-Mons_L_Maule

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Relazione-Riva-Mons_L_Maule
Arcidiocesi di Trento
5° CONVEGNO DIOCESANO
MINISTRI DELLA COMUNIONE
E DELLA LITURGIA
Riva del Garda, Domenica 3 novembre 2013
SACROSANCTUM CONCILIUM
50 anni
tra memoria e profezia, accoglienza e ritardi
Introduzione
Iniziando questa riflessione possiamo riconoscere onestamente che fino ad oggi,
della riforma liturgica voluta e operata 50 anni fa dal Concilio, non tutto è stato
compreso e che, tuttora è carente lo studio attento e paziente; di conseguenza è
ancora parziale la comprensione profonda di quanto il Concilio Vaticano II ha
trasmesso.
• Velocità e “freno a mano”
Ai giorni nostri, avvertiamo, non senza preoccupazione la crescita forte, anche tra i
giovani, della fuga, del desiderio di guardare all’indietro, di ricercare e tornare a
forme liturgiche arcaiche e, in alcuni casi, prive di significato.
Dopo giorni di sperimentazione apparsa a volte piuttosto selvaggia, ora c’è chi
tende, e si orienta, non solo a tirare il freno a mano, ma anche a inserire la
retromarcia.
Davanti ad un simile panorama storico sentiamo il bisogno di ritornare alle Fonti e
dare uno sguardo alla Costituzione Conciliare Sacrosanctum Concilium (SC), nella
sua genesi, nelle indicazioni che offre, per poter poi giungere a una riflessione
personale e fondata che trovi attuazione nella pastorale.
• Una riscoperta vitale
Va sottolineato e compreso che il rinnovamento della Liturgia, voluto e operato dal
Concilio, non fu frutto di un capriccio momentaneo o di pura e semplice voglia di
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cambiamento.
Quanto la SC ha posto in luce è la riscoperta vitale della natura della Liturgia.
Mediante la Celebrazione liturgica, infatti, diventiamo per così dire, contemporanei
degli Eventi di salvezza che si sono adempiuti nella storia; e ci troviamo ad essere
attori per la costruzione di un mondo nuovo, predisponendo la venuta del Regno.
• La “Storia della salvezza in atto”
Non a caso, in ogni Celebrazione eucaristica, nel momento culminante della grande
Prece, l’Assemblea, contemplando e accogliendo il Pane ed il Vino, fatti Presenza
del Crocifisso-Risorto, acclama esprimendo tre verbi: “annunciamo, proclamiamo,
attendiamo”. Passato, presente e futuro si coagulano nell’azione liturgica che si
rivela quale: “momento nella storia della salvezza”.
• “Culmine e fonte”
Per questo SC dichiara che la Liturgia è il vertice dell’attività della Chiesa.
Comprendiamo che la Liturgia non può essere semplicemente ridotta a livello di un
qualsiasi strumento di comunicazione: essa è lo strumento di comunicazione per
eccellenza, poiché ci fa diventare ciò che comunica e ci assimila nella sua attività.
Scopo del rinnovamento e adeguamento liturgico è rendere accessibile ad ogni
persona, secondo le sue possibilità o cultura, quanto la Celebrazione offre. Così ogni
azione di rinnovamento dovrà compiersi dopo uno studio serio, che permetta di
comprendere, alla luce della storia e del presente, quanto è essenziale e intangibile, e
quanto invece è accessorio.
Parlando di adattamento ci si troverà ad operare su due livelli, e qui la lingua latina
viene in aiuto, troviamo: l’aptatio, riservata ai vescovi e alla Sede apostolica e
troviamo l’accomodatio, che risponde a bisogni più immediati, riservata al ministro
che presiede la Celebrazione.
Appare evidente che l’uso di uno strumento così importante e delicato non può
essere affidato al primo venuto e non può nascere dall’improvvisazione.
Il rinnovamento non deve mai nascere dal capriccio personale di cambiare tanto per
cambiare, o da semplici appagamenti del sentimento o peggio sentimentalismo. Il
grande Romano Gardini parlava della “divina monotonia” e della necessità delle
norme o delle rubriche che preservano e salvano dagli “umori” di chi presiede.
Dobbiamo riconoscere che nei cinquant’anni che ormai ci separano dalla
celebrazione del Concilio, non di rado, è mancata un’adeguata catechesi, sia per i
fedeli sia anche per i presbiteri. Del resto è anche vero che gli storici insegnano
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come le grandi riforme e i cambiamenti voluti dai Concili, necessitano per entrare
pienamente in atto, di almeno una cinquantina d’anni.
L’impressione che ci coglie a tratti è quella di trovarci ancora in mezzo ad un guado
dove alcuni corrono avanti sollevando grandi spruzzi che subito ricadono, mentre
altri invece, e questo non può non preoccupare, timorosi e spauriti tornano indietro.
Per dovere di cronaca va ricordato che il rinnovamento liturgico si è iniziato proprio
nel tempo in cui nasceva e si sviluppava il fenomeno della secolarizzazione. Ora, se
il secolarismo in quanto opposizione alla fede va respinto, invece non è da
condannare una certa “secolarizzazione” che porti a illustrare il significato vero e
profondo del sacro, ridimensionando una “sacralizzazione” fine a se stessa ed
eccessiva.
Il rinnovamento della Liturgia questo persegue e vuole: riscoprire il senso vero del
sacro nella sua autenticità, sfrondandolo da forme eccessive e soffocanti di un
rubricismo fine a se stesso.
Il Concilio Vaticano II ha dunque offerto un metodo di lavoro, a partire da un attento
studio storico della Liturgia e delle forme celebrative che si intendevano rinnovare e
rendere più accessibili.
Lo studio della Liturgia deve superare e allontanare due pericoli opposti:
• quello di un archeologismo fine a se stesso
• quello di un’innovazione incontrollata che sfoci nella distruzione del
linguaggio simbolico.
A questo proposito ecco un esempio che aiuti a capire: consideriamo l’Altare che a
volte nelle celebrazioni è un po’ svilito nella sua centralità e forte valenza simbolica.
Nelle celebrazioni della Chiesa delle origini, specie in tempi in cui le Assemblee
eucaristiche si radunavano furtivamente a motivo delle persecuzioni, l’Altare era un
semplice tavolo, necessario come appoggio. In quell’epoca eroica e semplice, i
cristiani potevano affermare come loro segno distintivo, contro le imponenti liturgie
del Tempio o dei riti pagani: “noi non abbiamo altari”.
Davvero in quei tempi di fedeltà, e di testimonianza fino al sangue, l’Altare più
splendido e nobile erano loro, i primi nostri fratelli di fede e testimoni coraggiosi,
ma tutto questo non può portare nelle epoche successive, a rinnegare il simbolismo
dell’Altare-Cristo, manifestato ben presto nella storia liturgica, e ancora oggi,
magnificamente testimoniato nella Preghiera di Dedicazione dell’Altare.
Si potrebbero di seguito ricordare altri “segni” in questo senso: il Cero pasquale,
necessario allora per illuminare e poi riconosciuto “simbolo” di Cristo-Luce (cfr.san
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Girolamo); così l’acqua unita al vino per l’Eucarestia: esigenza “alimentare” e
culturale di quei tempi e regioni, e quindi divenuto “rinvio” alla due Nature: Divina
e Umana in Cristo (Rito Romano), o riferimento all’acqua e sangue sgorgati dal
Costato trafitto di Cristo (cfr. Rito Ambrosiano).
Tutti elementi simbolici che arricchiscono e rendono profondo, bello e vero il
linguaggio liturgico. Un discorso a sé meriterebbe l’uso dell’incenso.
Vi è un secondo aspetto problematico nella Riforma, dato dal fatto che il nostro
tempo, legato ad una cultura profondamente audio-visiva, spesso si mostra più
attento al “visivo” che all’“audio”.
E’ necessario operare un sano equilibrio. Del resto la Sacra Scrittura trova le sue basi
proprio “nell’ascoltare, nel vedere e nel toccare”.
Il N.T., al proposito, si esprime in modo fortissimo: “Quello che era da principio,
quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello
che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita -la vita
infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi
annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi-, quello
che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate
in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo,
Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena” (1 Gv 1,14).
La fede cristiana è fondata sulla realtà dell’Incarnazione. Ciò che ci deve rendere
avvertiti è il rischio sempre ricorrente nei nostri giorni, di dare più importanza al
“contenitore” che al “contenuto”.
Lo sviluppo di forme “esteriori” che soffocano la comprensione profonda. Non di
rado all’impegno di voler combattere quanto si ritiene solo “rubricismo” si finisce
per cadere in un “rubricismo” di altro stampo e peggiore.
Accostiamo il Documento conciliare
“Il resto è liturgia…”! Intercalare ricorrente per indicare qualcosa di marginale,
accessorio o “ornamentale”. Così, non di rado, è la comprensione della Liturgia,
anche da parte di molti credenti.
Soffermiamoci a riflettere sulla prima delle Costituzioni del Concilio Ecumenico
Vaticano II, conosciuta come: Sacrosanctum Concilium (SC); essa porta la data del 4
dicembre 1963. Cinquanta anni esatti.
Fu promulgata dal Papa Paolo VI nel discorso di chiusura del secondo periodo del
Concilio. Quel grande Papa si espresse così: “Non è stata del resto senza frutto
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l’ardua e intricata discussione, se uno dei temi, il primo esaminato e il primo, in un
certo senso, nell’eccellenza intrinseca e nell’importanza per la vita della Chiesa,
quello su la sacra Liturgia, è stato felicemente concluso ed è oggi da noi
solennemente promulgato. Esulta l’animo nostro per questo risultato. Noi vi
ravvisiamo l’ossequio alla scala dei valori e dei doveri: Dio al primo posto; la
preghiera nostra prima obbligazione; la liturgia prima fonte della vita divina a noi
comunicata, prima scuola della nostra vita spirituale, primo dono che noi possiamo
fare al popolo cristiano, con noi credente ed orante, e primo invito al mondo, perché
sciolga in preghiera beata e verace la muta sua lingua e senta l’ineffabile potenza
rigeneratrice del cantare con noi le lodi divine e le speranze umane, per Cristo
Signore e nello Spirito Santo” (EV, I, Deh 212).
Paolo VI, spiega dunque il motivo per cui i Padri, convocati a Concilio, hanno
voluto la Liturgia quale apertura dei lavori conciliari. Di quell’evento, che avrebbe
segnato la vita e la storia della Chiesa, e non solo di essa? Di quell’assise che il
beato Giovanni XXIII definì una “primavera dello Spirito Santo”.
• Il concetto di Liturgia prima del Concilio Vaticano II
Visione giuridico formale: La Liturgia è vista come un complesso di riti e cerimonie
“ordinati” dalla Chiesa (gerarchia). In una visione formale, con rubriche minuziose.
Questa è una visione inadeguata, già respinta da papa Pio XII nella Mediator Dei
(1947). In questa visione erano educati i sacerdoti del passato.
Concezione naturalistico–etica: la Liturgia è ritenuta come espressione pubblica
(sociale) e solenne della “virtù di religione” (virtù morale con cui la/e creatura/e
manifesta/no la sovranità di Dio e professano la loro dipendenza da Lui). Una
visione limitata, che non tiene conto dell’originalità del culto cristiano nel suo essere
“risposta” della Comunità dei credenti a quanto Dio opera e dice per realizzare la
salvezza.
Concezione storico–sacramentale: questa è la visione che emerge dai Documenti
del Magistero e del Movimento liturgico, biblico, teologico recente. La Liturgia è
considerata “l’esercizio del sacerdozio di Cristo” (SC 5-6-7); cioè: il complesso dei
segni con cui Cristo Risorto con lo Spirito, nella Chiesa e mediante di essa, continua
la sua opera salvifica, culminata nell’Evento centrale del suo sacerdozio: Morte,
Resurrezione, Dono dello Spirito Santo, finalizzato a glorificare il Padre ed a salvare
gli uomini, in continuità con quanto Dio “ha parlato” ed operato nell’A.T. e come
piena e definitiva realizzazione del suo progetto. La Liturgia è: “momento della
storia della salvezza”.
Trattare di Liturgia non è, dunque, questione di “ornamento” o di realtà accessoria.
Trascorsi 50 anni, qual è la comprensione nel popolo cristiano? Si sono fatti tutti i
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passi possibili per comprendere e attuare quanto il Concilio ha proposto?
A volte si ha l’impressione che, perdonate l’esempio, si proceda a tempo di valzer:
due passi avanti e uno indietro.
Benedetto XVI, nel suo incontro con il clero di Roma all’inizio della Quaresima
2013, ormai nell’imminenza del suo ritiro dalla Cattedra di Pietro, ricordava che
molto resta da fare. Poi, quale Testimone di quei giorni formidabili, ricordava come
si fu allora (e forse non è del tutto superato), segnati da quello che ha definito come:
“il Concilio dei media”.
Sicuramente, nei 50 anni trascorsi, ci sono stati frutti buoni in diverse realtà
ecclesiali: è cresciuto l’amore e l’attenzione alla Sante Scritture; il diffondersi della
lectio divina, i gruppi della Parola, la catechesi; l’attenzione al mondo
contemporaneo; il rispetto per il creato; ma altrettanto non si può affermare a
riguardo della Liturgia che resta non di rado campo delle più variegate
sperimentazioni (sia in “avanti”, sia “all’indietro”) e non, come il Concilio avrebbe
voluto, “nutrimento della vita spirituale del credente”, al punto che il Concilio
definisce la Liturgia: “Culmen et fons”. “Culmine verso cui tende l’azione della
Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua (virtus) virtù” (SC 10). Su
questo torneremo.
A questo proposito è opportuno ricordare quanto Benedetto XVI, prima di
concludere il suo ministero petrino, volle trasmettere ai sacerdoti della sua Diocesi
nell’Udienza del giovedì dopo le Ceneri.
Richiesto di fare una “lezione” sul Concilio, da lui vissuto e partecipato quale
esperto, si schernì dicendo di volersi limitare semplicemente a una riflessione sul
filo dei ricordi. In realtà ne uscì un discorso di grande interesse. Disse tra l’altro: “Io
trovo adesso, retrospettivamente, che è stato molto buono cominciare con la
liturgia, così appare il primato di Dio, il primato dell’adorazione. “Operi Dei nihil
praeponatur”: questa parola della Regola di san Benedetto (cfr 43,3) appare così
come la suprema regola del Concilio.
Qualcuno aveva criticato che il Concilio ha parlato su tante cose, ma non su Dio.
Ha parlato su Dio! Ed è stato il primo atto e quello sostanziale parlare su Dio e
aprire tutta la gente, tutto il popolo santo, all’adorazione di Dio, nella comune
celebrazione della liturgia del Corpo e Sangue di Cristo. In questo senso, al di là dei
fattori pratici che sconsigliavano di cominciare subito con temi controversi, è stato,
diciamo, realmente un atto di Provvidenza che agli inizi del Concilio stia la liturgia,
stia Dio, stia l’adorazione”.
Ormai “nel cuore” del nostro tema possiamo accennare che un tempo, prima del
Vaticano II, la Liturgia (salvo le felici iniziative del Movimento liturgico) era campo
riservato al clero e ai monaci; i fedeli si rifugiavano nelle devozioni. Basti ricordare
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quanto accadeva durante la celebrazione della Messa: il sacerdote all’Altare, quasi
isolato, e i fedeli nei loro banchi con tra le mani il rosario o i libri di devozione.
Fa pensare come, a 50 anni dal Concilio, si noti un rifiorire delle devozioni, cosa non
disdicevole in sé, ma segnale importante su cui interrogarsi perché indica come la
“spiritualità liturgica”, base della vita del credente, non sia ancora passata nella vita
del popolo di Dio.
• Gli anni della “preparazione” del Concilio. Come nacque la Costituzione SC
a) Nel corso del 1800 cominciò a manifestarsi, in diverse nazioni, un movimento di
rinnovamento e di riforma nel campo della liturgia, così:
• in Francia, nasce il “movimento liturgico”, con Dom Prosper Guéranger e la
riforma del Gregoriano a Solesmes;
• in Italia, con Dom Amelli, abate di Cassino, verso gli anni ‘70-‘80 del 1800;
• in Belgio con il Card. Mercier, poi Dom Lambert Beaduin, fondatore del
monastero della S. Croce di Amay, oggi Chevetogne.
• Poi in Austria e in Germania.
Il primo motivo del rinnovamento era il “ritorno alle fonti”: Bibbia, Padri e
Liturgia; la Liturgia come “Lex orandi”; quindi il recupero della Liturgia sulle altre
materie teologiche che la ignoravano come valore centrale. Così faceva la teologia
positiva, e le altre scienza ecclesiastiche; inoltre la partecipazione piena di tutto il
popolo; l’attenzione ai grandi valori dell’Anno liturgico, basti ricordare l’opera:
“L’année liturgique” di Dom P. Guéranger.
b) Dopo il 1910, con i primi Congressi eucaristici, internazionali e nazionali, il
moltiplicarsi dei “Messalini” per il popolo, le prime riviste specializzate, lo studio
dei testi critici della liturgia, si parla di “movimento moderno” della liturgia: O.
Casel, R. Guardini, P. Parsch, J.A. Jungmann, Monastero di Maria Laach con
l’abate I. Herwegen, il Card. I. Schuster, sono alcuni dei primi promotori.
c) Non furono poche le difficoltà dei liturgisti, stretti da ogni parte, tra
incomprensioni gravi, e molte polemiche dei devozionisti e di alcune scuole di
spiritualità.
d) Nel 1943 muta il quadro. Anzitutto l’Enciclica “Divino afflante Spiritu” per lo
studio scientifico e la meditazione della Bibbia; poi con l’Enciclica “Mystici
corporis”, sulla natura vera della Chiesa, umana e divina.
Soprattutto però dal 1947, con l’Enciclica “Mediator Dei”, di papa Pio XII, che
finalmente definiva la Liturgia come il culto ufficiale della Chiesa, Capo e Corpo,
con le sue leggi di salvezza, con la santità come fine. La definizione dell’Anno
liturgico: non pura e semplice ripetizione annuale di “pie memorie”, ma presenza di
“Cristo che vive nel tempo”.
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Era così superato l’aspetto giuridico e rubricistico del culto, il senso devozionale e
moralistico.
Da allora si moltiplicano gli studi. Si fondano le Associazioni dei liturgisti, i
Congressi di Liturgia, in Italia nasce il Centro di Azione Liturgica, (CAL). Si
diffonde la propaganda liturgica, divengono usuali i Messalini.
• Il Concilio Vaticano II
Con il Concilio Ecumenico Vaticano II, convocato da Giovanni XXIII, e iniziato nel
1962, finalmente si pone termine alla fase pionieristica. Con la Sacrosanctum
Concilium (SC), primo documento del Concilio, da una parte si sancisce
positivamente il lavoro dei benemeriti pionieri della Liturgia, dall’altro si riflette
sulla natura e fini della Liturgia. Con la SC il Concilio ebbe una vera positiva svolta.
a) L’esigenza di un Documento liturgico era sentita, sia dalla S. Sede, sia dai
liturgisti; questo sentire fu fatto proprio dai Padri. La SC fu votata praticamente
all’unanimità con soli 4 voti contrari in tutta l’Assemblea conciliare. L’età moderna
voleva porre ordine, dettare alcune linee di rinnovamento ed incoraggiare una vera
pastorale che tenesse conto del fine della vita cristiana e dei fedeli: dare culto al
Signore, e santificarsi mediante i “Santi Segni”. Ma per fare questo si dovevano
riaffermare alcuni principi.
b) Questo si vede facilmente dalla struttura della SC, nei 7 capitoli, così distribuiti:
I. Principi generali per restaurare e favorire la liturgia;
II. Il Mistero eucaristico;
III. Gli altri Sacramenti e i sacramentali;
IV. L’Ufficio divino;
V. L’Anno liturgico;
VI. La musica sacra;
VII. L’arte sacra, con un’Appendice sul futuro Calendario universale.
c) Di fatto, già nel Proemio (SC 1-4) si ristabilisce la natura della Chiesa, che opera
la Liturgia: umana e divina; visibile e invisibile; storica ma tesa all’adempimento
escatologico.
Da questo viene la massima attenzione a proclamare i valori della Liturgia della
Chiesa, e la sua riforma necessaria.
Così i nn. 5-13 sono destinati alla presentazione della Liturgia e la sua eccezionale
importanza per la vita della Chiesa: opera della Redenzione adempiuta dal Padre
mediante il Figlio nello Spirito santo con la Chiesa; il centro è il Mistero di Cristo
Morto e Risorto, e il fine il nostro inserimento nello stesso Mistero.
d) Perciò, Cristo stesso è presente (praesens adest) alla sua Chiesa: con la Parola;
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l’Eucaristia; i Sacramenti; la Liturgia delle Ore (SC 7), in modo che la “gloria di Dio
e la santificazione degli uomini” concorrano in modo convergente: lì il Cristo
Sacerdote opera in modo sommamente efficace.
Di qui appare che la Liturgia è di Cristo e nostra, e dunque è: “azione sacra per
eccellenza”, non paragonabile a nessun’altra azione della Chiesa, a nessun culto
individuale. Non solo, ma la Liturgia concorre potentemente a spingere verso
l’adempimento finale: essa è “pregusto” della Liturgia eterna di lode e di azione di
grazie alla quale siamo destinati (SC 8).
Dunque la Liturgia terrena è come un “allenamento” a quella celeste. Così dai
fedeli tutti si chiede la permanente conversione del cuore (SC 9).
e) Ciò posto, la Liturgia è giustamente definita come “il culmine e la fonte” della
vita della Chiesa (SC 10). La quale dunque ad essa tende, culmen e da essa deriva
ogni suo forza e grazia, fons.
f) Infine la Liturgia postula la partecipazione del popolo. Essa è grazia, non
sforzo umano, e dunque sarà “attiva, devota, intelligente, e perciò ‘fruttuosa” (SC
10, passim).
• Le strutture intese dal Vaticano II
Poiché nei decenni precedenti si era opposta alla Liturgia, intesa come “culto
esterno”, la vita devota e la contemplazione, la SC mostra anzitutto che tra i due
aspetti esiste armonia. Poi, la Costituzione conciliare manifesta in che la Liturgia
sia prevalente ad ogni azione privata. Qui si riafferma la struttura e i contenuti
della liturgia:
a) anzitutto il Mistero eucaristico, al centro del Complesso dei Sacramenti (e dei
sacramentali) ricevuto dalla Tradizione apostolica;
b) quindi le Ore sante; per comprendere l’importanza di esse in quanto sono “la
Preghiera della Chiesa” per eccellenza: l’Eucaristia ne è la divina fonte e il
divino sigillo. L’Istruzione generale sulla Liturgia delle Ore n. 13 afferma che la
Liturgia delle Ore distribuisce (dilatat) lungo la settimana la grazia dei Misteri
eucaristici. Grande rilievo è dato ai Vespri e alle Lodi come “ufficio cattedrale”,
ossia celebrato quotidianamente dal vescovo e clero con il popolo in Cattedrale;
c) infine, l’Anno liturgico, immenso complesso simbolico, composto anzitutto
dalla Domenica, “Giorno del “Signore” = “Risorto” (At 2,32-33; 2,36; Rom
1,4!), con la sua “linea” che comincia dalla Pentecoste ed si immette
nell’eternità; dal Lezionario della Parola, con la linea degli Evangeli domenicali;
al proposito, dice Benedetto XVI: “è un peccato che oggi si sia trasformata la
Domenica in fine settimana, mentre è la prima giornata”; poi dai “tempi liturgici”,
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dalle “feste”, dalle “ferie”.
Il simbolismo è il “circolo”: una realtà che si inizia, corre al suo culmine, dunque
alla sua consumazione, con la Resurrezione domenicale al centro. Stesso
simbolismo, è la settimana, che si inizia con la Domenica; e la stessa feria:
inizio, culmine, fine, bene simboleggiato del resto dalle Lodi e dai Vespri quali
celebrazioni della Luce che sorge e, tramontando nel giorno, immette però nella
Luce della Divina Gloria.
• Il senso della riforma
La SC poneva i principi sommari, fermi e agevoli, della “riforma liturgica”.
Qui si debbono osservare alcuni fatti.
a) Anzitutto l’impostazione pastorale: questa è demandata ai Vescovi. La
Liturgia deve determinare programmi e metodi, e dare tutti i contenuti della
pastorale della Chiesa (SC 3).
b) La Liturgia postula una chiara ecclesiologia (SC 2), poiché essa è propria
della Chiesa in “quanto popolo di Dio” in marcia verso la Patria (cfr. LG 2, il
Popolo di Dio). E si dà così impulso anche da questa parte al rinnovamento
dell’ecclesiologia (cfr. poi la LG, 1’AG, la GS), intesa come “Chiesa presente
nel mondo”, ma con il suo Mistero che è il Mistero di Cristo. Infatti l’aspetto
misterico deve prevalere su ogni altro aspetto, che al primo deve essere
subordinato, in tensione escatologica.
c) La Liturgia ripropone il concetto di Mistero-sacramento (= rivelazione del
Disegno divino e sua attuazione nell’oggi). Così si scopre la “sacramentalità
salvifica”, che si può schematizzare così:
• Cristo nello Spirito Santo è il Mistero-sacramento del Padre,
• la Chiesa, di Cristo, secondo SC 5: “dal costato di Cristo addormentato
sulla Croce, nacque dell’intera Chiesa il mirabile sacramento”, testo del
Messale Romano, ma che proviene dall’intera tradizione dei Padri, e
letteralmente da sant’Agostino;
• la Liturgia è Mistero-sacramento della Chiesa. Mistero-sacramento,
infatti, come detto poco sopra, è insieme rivelazione del Disegno divino, e
sua attuazione nel tempo storico dell’alleanza divina, nei “segni”
dell’alleanza, santificati dalla Parola e dallo Spirito Santo.
d) La questione molto sentita dalla Tradizione, e riaffermata dal Concilio, che
la Liturgia è “culmine e fonte” (SC 9-10) e, se non esaurisce tutta la vita della
Chiesa, -impegno missionario, catechesi, attività caritativa, organizzativa- ad
essa tuttavia conferisce grazia e significato, presentandole il punto di arrivo
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obbligato.
e) La Liturgia è la “continuazione della storia della salvezza” (SC 5-13), sulla
linea dell’adempimento di Cristo Morto e Risorto, che attua 1’A.T. e conduce
nello Spirito al Padre. Sicché la grazia della salvezza viene ai fedeli nella storia
dalla vita liturgica intensa.
f) Il programma della SC insiste sulla Bibbia: i Tesori biblici da ridare al
popolo che ne ha diritto (SC 51) determinano un nuovo ed ampio Lezionario.
D’altra parte, i Salmi, preghiera ispirata, formano il tessuto della spiritualità
liturgica della Chiesa.
g) Il Mistero di Cristo: i Padri lo chiamano anche “Incarnazione storica”. Così si
comprende la profezia dell’A.T., l’Annuncio a Maria, la Nascita, il Battesimo e la
Trasfigurazione, la Vita storica con la predicazione dell’Evangelo e del Regno, e le
opere del Regno, la Croce e la Risurrezione, la Pentecoste, la Chiesa nascente, il
glorioso Ritorno. Aspetti diversi e successivi che si celebrano: sia sempre come “un
tutto” -cfr. l’Anamnesi della Messa-, sia anche in momenti speciali dell’Anno
liturgico.
h) Facilitare la comprensione e la partecipazione del popolo: di qui, l’importanza
della catechesi liturgica, della formazione continua, dei Riti più chiari e percepibili e
partecipabili, nella riaffermazione dell’indole comunitaria della liturgia “culto e
santificazione” e promozione dell’autentica coscienza storica, la “coscienza storica
della fede battesimale”.
i) Una certa libertà della celebrazione, nel senso che il presidente, con intelligenza,
può adattare formule e preghiere.
j) Lo spirito ecumenico: la formazione liturgica deve tendere a riformare la
coscienza cristiana fraterna, nella consapevolezza che l’azione ecumenica -tra tante
difficoltà del momento- tende tuttavia alla piena comunione dei fratelli cristiani,
nella fede comune ritrovata, e questo non sarà definitivo, se non nella partecipazione
all’unico Altare e all’unica Coppa del Signore.
Il Concilio dei Padri e il concilio dei media
Avviandoci a considerare alcuni passaggi importanti della Costituzione SC, vorrei
soffermarmi un istante su un interrogativo. Perché in molti casi, dopo 50 anni, la
Riforma liturgica non ha trovato un piena comprensione e applicazione. Non di rado
ci si trova o in situazioni “archeologiche”, o in situazioni di una “superficiale e
insignificante creatività”.
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Possiamo pensare che sia mancata una vera e autentica formazione permanente che
permettesse di entrare con il cuore e con la mente dentro le ricchezze del Documento
e della sua applicazione. E’ vero, si sono tradotti “i testi”, ma purtroppo non sempre
sono cambiate “le teste”. Non bastava fermarsi alla superficie, all’esteriore, ma
entrare in profondità. E’ venuta a mancare una vera (per dirlo nel linguaggio dei
Padri della Chiesa) catechesi mistagogica della Liturgia.
• Due chiavi di lettura
Nel suo discorso al clero di Roma, iniziando la Quaresima, Benedetto XVI ha
presentato una considerazione suggestiva che è opportuno riprendere: “C’era il
Concilio dei Padri -il vero Concilio-, ma c’era anche il Concilio dei media. Era
quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite questi, tramite i
media. Quindi il Concilio immediatamente efficiente arrivato al popolo, è stato
quello dei media, non quello dei Padri. E mentre il Concilio dei Padri si realizzava
all’interno della fede, era un Concilio della fede che cerca l’intellectus, che cerca di
comprendersi e cerca di comprendere i segni di Dio in quel momento, che cerca di
rispondere alla sfida di Dio in quel momento e di trovare nella Parola di Dio la
parola per oggi e domani, mentre tutto il Concilio -come ho detto- si muoveva
all’interno della fede, come fides quaerens intellectum, il Concilio dei giornalisti
non si è realizzato, naturalmente, all’interno della fede, ma all’interno delle
categorie dei media di oggi, cioè fuori dalla fede, con un’ermeneutica diversa. Era
un’ermeneutica politica: per i media, il Concilio era una lotta politica, una lotta di
potere tra diverse correnti nella Chiesa. Era ovvio che i media prendessero
posizione per quella parte che a loro appariva quella più confacente con il loro
mondo. C’erano quelli che cercavano la decentralizzazione della Chiesa, il potere
per i Vescovi e poi, tramite la parola “Popolo di Dio”, il potere del popolo, dei
laici. C’era questa triplice questione: il potere del Papa, poi trasferito al potere dei
Vescovi e al potere di tutti, sovranità popolare. Naturalmente, per loro era questa la
parte da approvare, da promulgare, da favorire. E così anche per la liturgia: non
interessava la liturgia come atto della fede, ma come una cosa dove si fanno cose
comprensibili, una cosa di attività della comunità, una cosa profana. E sappiamo
che c’era una tendenza, che si fondava anche storicamente, a dire: la sacralità è
una cosa pagana, eventualmente anche dell’Antico Testamento. Nel Nuovo vale solo
che Cristo è morto fuori: cioè fuori dalle porte, cioè nel mondo profano. Sacralità
quindi da terminare, profanità anche del culto: il culto non è culto, ma un atto
dell’insieme, della partecipazione comune, e così anche partecipazione come
attività. Queste traduzioni, banalizzazioni dell’idea del Concilio, sono state
virulente nella prassi dell’applicazione della Riforma liturgica; esse erano nate in
una visione del Concilio al di fuori della sua propria chiave, della fede. E così,
anche nella questione della Scrittura: la Scrittura è un libro, storico, da trattare
storicamente e nient’altro, e così via. Sappiamo come questo Concilio dei media
fosse accessibile a tutti. Quindi, questo era quello dominante, più efficiente, ed ha
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creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi,
conventi chiusi, liturgia banalizzata … e il vero Concilio ha avuto difficoltà a
concretizzarsi, a realizzarsi; il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale. Ma
la forza reale del Concilio era presente e, man mano, si realizza sempre più e
diventa la vera forza che poi è anche vera riforma, vero rinnovamento della Chiesa.
Mi sembra che, 50 anni dopo il Concilio, vediamo come questo Concilio virtuale si
rompa, si perda, e appare il vero Concilio con tutta la sua forza spirituale”.
Alcuni passaggi da attuare
Abbiamo letto che al n. 10 di SC si afferma come la Liturgia sia: “Culmine e fonte”
della vita della Chiesa. L’impressione odierna però ci porta nella direzione di vedere
la Liturgia più come problema che risorsa. Eppure in questo campo si gioca il futuro
della cristianità, cioè dal rendere la Liturgia “la fonte della vita spirituale dei
credenti”.
• Celebrare
Da come si celebra la Liturgia (culmen) sgorga il “vivere la liturgia” (fons); cioè
imparare a vivere quanto Liturgia ci insegna:
• il perdono: invocato, accolto, donato;
• il rendere grazie: lodare, narrare, professare la fede, testimoniare;
• il “celebrare” = “frequentare”; il “fare memoria”: “ricordare per accettare”.
In SC 14 si legge: “È ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano
formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni
liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo
cristiano, « stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato » (1 Pt
2,9; cfr 2,4-5), ha diritto e dovere in forza del battesimo. A tale piena e attiva
partecipazione di tutto il popolo va dedicata una specialissima cura nel quadro
della riforma e della promozione della liturgia. Essa infatti è la prima e
indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito
cristiano, e perciò i pastori d'anime in tutta la loro attività pastorale devono
sforzarsi di ottenerla attraverso un'adeguata formazione. Ma poiché non si può
sperare di ottenere questo risultato, se gli stessi pastori d’anime non saranno
impregnati, loro per primi, dello spirito e della forza della liturgia e se non ne
diventeranno maestri, è assolutamente necessario dare il primo posto alla
formazione liturgica del clero”.
• Assemblea
Risulta quindi necessario che la Liturgia “attivamente partecipata” divenga luogo di
autentico ascolto della Parola, spazio per la preghiera, esperienza di adorazione,
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incontro reale con Dio.
Chi esce dall’Assemblea domenicale dovrebbe portare con sé la forza di
un’esperienza che lo ha alimentato come uomo e come credente.
Riprendo ora quanto accennavo all’inizio. Non fa forse riflettere il ritorno e la
ricerca di tanti verso le antiche devozioni? Il rifiorire (ed è un bene, se ben compresa
e non diventa fuga nell’intimismo) dell’Adorazione eucaristica)? E da ultimo il
numero crescente di quelli che vanno a rifugiarsi nell’antica ritualità preconciliare?
• Contemplazione non “superficialità ed emozioni”
O la Liturgia diventerà più meditativa e contemplativa oppure ci avvieremo, come
era un tempo, verso una vita extraliturgica. Un aspetto da non sottovalutare, poi, è
l’esaltazione dei sentimenti e delle emozioni nella celebrazione. Realtà che
solleticano, ma che, a lungo andare, non nutrono la vita del credente. La Liturgia
solo di rado e in casi straordinari è fonte di emozioni forti.
Ma chi frequenta fedelmente l’Eucaristia domenicale, chi pratica la Liturgia delle
Ore, non cerca emozioni e solletichi, ma cerca la “consolazione” (etim.: con-solari=
lenire) di una fede non di rado messa alla prova; cerca la speranza certa che viene
dal perdono dei peccati e dalla riconciliazione con i fratelli. Cerca la saldezza della
fede radicata nel Vangelo; cerca la carità sincera che nasce dalla partecipazionecomunione al Corpo di Cristo.
• Bellezza e semplicità
Un ultimo accenno al n. 34 di SC: “I riti splendano per nobile semplicità; siano
trasparenti per il fatto della loro brevità e senza inutili ripetizioni; siano adattati
alla capacità di comprensione dei fedeli né abbiano bisogno, generalmente, di molte
spiegazioni”.
Qui il discorso ci porterebbe lontano, nel valutare gli eccessi nell’una o nell’altra
direzione, ma una lettura attenta e un’esperienza liturgica autentica porteranno alla
soluzione: (esperienza = ex - per - ire).
Conclusione
La conclusione della nostra riflessione non può che riportarci al punto di partenza:
“La liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da
cui promana tutta la sua virtù. Infatti il lavoro apostolico è ordinato a che tutti,
diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea,
lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al Sacrificio e alla Mensa del Signore” (SC
10).
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La Celebrazione cristiana vissuta come segno di alleanza, è sempre simbolica. Essa
si organizza a partire da riti e da segni.
Le parole, i gesti, gli atteggiamenti, i canti, i movimenti sono per rendere “parlante”
il Mistero celebrato. Il significato sgorga dall’azione, ma l’azione ha sempre
necessità di nutrirsi di significato.
La Celebrazione è un cammino come quello dei discepoli di Emmaus. Tempo di
riconoscimento, tempo di comunione, quindi invio in missione e Dono di un Soffio
nuovo nel quotidiano.
Avremo così compreso e sperimentato che la Liturgia è anzitutto azione di Dio per
l’uomo alla quale con gratitudine siamo chiamati a rispondere.
don Lodovico Maule
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