leggi agevolative allo sviluppo delle attività produttive

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leggi agevolative allo sviluppo delle attività produttive
“LEGGI AGEVOLATIVE ALLO
SVILUPPO DELLE ATTIVITÀ
PRODUTTIVE”
PROF. MARIA ROSARIA NADDEO
Università Telematica Pegaso
Leggi agevolate allo sviluppo delle attività produttive
Indice
1
GLI INCENTIVI PROPULSIVI DELLE INTRAPRESE ECONOMICHE (INNOVAZIONE, PMI,
IMPRENDITORIA GIOVANILE E FEMMINILE) --------------------------------------------------------------------------- 3
2
L’ECONOMIA “ASSISTITA” PER AREE TERRITORIALI: L’ESPERIENZA DEL
MERIDIONALISMO E LA DEGENERAZIONE DEL “MEZZOGIORNISMO” -------------------------------------- 5
3
NORMATIVE IN FAVORE DELLE “AREE DEPRESSE DEL CENTRO-NORD” E DELLE ZONE
MONTANE ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
4
LE ATTUALI POLITICHE NAZIONALI DI AUSILIO GENERALE E DI INCENTIVAZIONE
ORDINARIA ALLE IMPRESE --------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
5
LEGGE 488/92 ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13
6
GLI AIUTI ALLE IMPRESE COOPERATIVE E ARTIGIANE --------------------------------------------------- 15
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Gli incentivi propulsivi delle intraprese
economiche (innovazione, PMI, imprenditoria
giovanile e femminile)
Gli stanziamenti per l’innovazione tecnologica, disposti già dagli anni ’60, ebbero una
funzione accrescitiva alla competitività ed allo sviluppo delle imprese italiane, fino all’istituzione
del Fondo per la ricerca applicata presso l’IMI (L. 1089/68). In questo modo si è cercato di
raccordare la ricerca scientifica con le ricerche delle imprese, rifinanziato con la legge 46/82 anche
con contratti pubblici di ricerca, e al contempo rafforzato dal Fondo speciale rotativo per
l’innovazione tecnologica, istituito da quest’ultima legge, soprattutto per l’introduzione di nuovi
processi produttivi, come gestione fuori bilancio presso l’allora Ministero dell’Industria, con quote
di riserva per la piccola e media industria, che ha avuto minori difficoltà ad attingervi.
L’attenzione all’innovazione e alla ricerca applicata si è manifestata in modo crescente negli
ultimi anni (L. 326/2003, art. 1, peraltro in forma di detassazione) fino alla citata finanziaria 2005,
che nell’unico articolo prevede esplicitamente, tra l’altro, spese per la ricerca avanzata nei settori di
rilevanza strategica (comma 251) e per la progettazione di processi innovativi nella distribuzione
commerciale (comma 270). Considerevole si appalesa l’approccio italiano ai benefits UE del sesto
programma quadro per la ricerca 2002-2006, nel quale la Commissione Europea ha riservato ad un
sesto del budget complessivo la quota destinata a sostenere i progetti e le iniziative di innovazione
delle PMI.
Le imprese medie e piccole furono di rado oggetto di veri e propri salvataggi, per cui le
provvidenze in loro favore, succedutesi dal 1965, hanno di frequente assunto caratteristiche di
stimolo e di impulso. Di tali norme si dà notizia solo della L. 5 ottobre 1991 n. 317. Alla piccola
industria (scesa ora a 200 addetti) sono state concesse agevolazioni per l’acquisizione di tecnologie
esterne finanziate essenzialmente mediante automatici crediti d’imposta e con più vasta gamma di
possibilità. Si giunge infatti a finanziare l’acquisizione di servizi reali destinati all’aumento della
produttività e alla ricerca di nuovi mercati, oltre che favorire l’accesso al credito agevolato,
rafforzando le forme di garanzia collettiva, ad esempio mediante i c.d. Confidi (consorzi di garanzia
fidi, riorganizzati dall’art. 13 della legge 24 novembre 2003 n. 326).
Nello stesso senso sembrano andare sia la legge 8 agosto 1992 n. 359, nata per favorire la
crescita imprenditoriale con una detassazione degli utili reinvestiti ottenuti mediante una riduzione
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del reddito da assoggettare all’imposta nella misura del 50 per cento della differenza con l’anno
precedente (l’incremento deve essere almeno del 15 per cento), sia legge 489/94 (di conversione del
cosiddetto decreto dei “cento giorni”).
Quella a favore dell’imprenditoria giovanile (L. 28 febbraio 1986 n. 44) , ancorché dedicata
in origine, al Sud insieme alla L. 64/86, recò misure straordinarie proprio per la promozione e lo
sviluppo di una nuova imprenditorialità sia pure nella sola area meridionale. La c.d. legge De Vito
affiancò alle agevolazioni tradizionali l’assistenza alla progettazione e la formazione professionale
dell’imprenditore.
Questo complesso normativo, tuttavia introdusse fortissimi contributi in conto capitale per le
spese di impianto e di gestione delle società detenute da giovani tra i 18 e i 29 anni e operanti nei
territori meridionali, accanto a lunghi mutui a tassi ridotti a meno di un terzo del normale e ad altri
contributi triennali decrescenti. Con la legge 11 agosto 1991 n. 275 e relativo regolamento si elevò a
35 anni l’età dei beneficiari e a 10 anni il divieto di trasferimento inter vivos di azioni o quote delle
società beneficiate. L’intervento, modificato, riguarda adesso i giovani di tutto il territorio
nazionale.
L’altra legge di ausilio all’imprenditoria del 25 febbraio 1992 n. 215 (Azioni positive per
l’imprenditoria femminile) vuol promuovere l’uguaglianza sostanziale e le pari opportunità per le
donne nell’attività economica. Sono ammesse ai benefici società di persone e cooperative costituite
al 60 per cento da persone di sesso femminile; società di capitali partecipate – e amministrate – per
almeno due terzi da donne; altri soggetti (associazioni, consorzi, enti, ecc.) che promuovano corsi o
servizi riservati al 70 per cento alle donne.
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2 L’economia “assistita” per aree territoriali:
l’esperienza del meridionalismo e la
degenerazione del “Mezzogiornismo”
L’impegno pubblico per lo sviluppo di zone geografiche determinate ha ormai perso di
importanza per comprendere le attuali sfaccettature dell’ausilio pubblico generalizzato: essa trova la
sua massima espressione nel lungo intervento a favore del Meridione d’Italia.
L’arretratezza socio-economica delle regioni meridionali e insulari preesisteva all’Unità e
dipendeva da vicende lontane: la mancanza dell’esperienza comunale, la dominazione di monarchie
straniere assecondate dalla nobiltà locale prima e dalla proprietà agraria poi e la mancata
formazione di un’alta borghesia, attiva e intraprendente. Estraneo, nel suo complesso, alla
rivoluzione industriale, il Sud del Paese presentava un’agricoltura arcaica (latifondo, monoculture)
ed un terziario rimasto da secoli con dimensioni poco sviluppate. Coinvolto nell’unità nazionale
tramite la sostanziale annessione alla monarchia sabauda mediante i plebisciti èlitari, il Meridione
non ebbe mai una vera rappresentanza di interessi nella politica nazionale. L’abbandono dell’idea
federalista, pur dominante nel Risorgimento, segnò per le popolazioni del Sud il tramonto di ogni
speranza di riscatto civile e di affrancamento dal bisogno.
Neanche il primo suffragio universale consentì al popolo di designare una rappresentanza
portatrice dei particolari problemi del Sud, che non riusciva così ad esprimere una classe dirigente
collegata al tessuto sociale, al massimo rimettendosi ad una borghesia di modesto livello ma di
elevata corrutibilità.
Il quadro muta sensibilmente nel secondo dopoguerra.
Il voto a tutti (1946) visualizza le popolazioni meridionali come il più vasto (all’epoca)
serbatoio del Paese ed impone alle nuove forze politiche un’attenzione per l’area del sottosviluppo
interno, e cioè per i bassi livelli di occupazione, di reddito e di produttività, nonché per l’assenza di
capitali e di infrastrutture e per le carenze dell’organizzazione amministrativa dello Stato, per
ovviare ai quali fu profilato un intervento straordinario dello Stato.
Con la legge n. 646/50 fu istituita (in Roma) la “Cassa per opere straordinarie di pubblico
interesse nell’Italia meridionale”, avente propria personalità giuridica. Alla c.d. Cassa per il
Mezzogiorno, ente pubblico gestito di fatto da un comitato di ministri, venne rimesso il compito di
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formulare alcuni piani pluriennali per l’ “infrastrutturazione” delle regioni meridionali, con
l’aggiunta di alcuni territori depressi dell’Italia centrale. Con la seconda legge di proroga (1957), si
aggiunse alle opere pubbliche (bonifiche, sistemazioni idrauliche, acquedotti, miglioramenti
stradali, ecc.) il c.d. secondo tempo della politica meridionalistica, con l’introduzione di incentivi
per l’industrializzazione dell’area, avvalendosi prima delle Sezioni di Credito industriale dei
“Banchi meridionali” e poi di enti creditizi speciali appositamente creati.
Con la stessa legge 634/57 si obbligarono gli enti pubblici e le imprese partecipate dallo
Stato a localizzare al Sud non meno del 60 per cento dei nuovi investimenti e del 40 per cento degli
investimenti complessivi. La Cassa avrebbe dovuto individuare quattro poli di sviluppo (aree di
Napoli, Bari, Catania e Porto Torres), da industrializzare con maggiori provvidenze: le spinte
clientelari decuplicarono in breve tempo questi “nuclei di industrializzazione”.
In tale direzione con la legge 717/65 (“terzo tempo”) venne prorogata fino al 1980 (e
rifinanziata) la Cassa del Mezzogiorno e fu introdotto – parallelamente all’esperienza
programmatoria nazionale – un Piano di coordinamento degli interventi pubblici nel Mezzogiorno,
soppresso nel 1971. Il Governo con DPR 153/67 approvò un testo unico recante norme di inventario
e di classificazione dei moltissimi ausili, distinti tra quelle rivolte all’industria e agli altri per
l’agricoltura e il turismo, nonché tra gli interventi infrastrutturali comuni a tutto il Sud e quelli
specifici per talune regioni, province e comuni.
Le dimensioni del fenomeno ausiliativo territoriale sono testimoniate dall’istituzione di un
nuovo Ministero per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, senza portafoglio autonomo.
Con la legge 853/71 si attribuì al CIPE una posizione preminente di indirizzo e controllo
delle politiche favoritive; si inserirono le regioni nei processi decisionali; si elevarono le quote
riservate all’investimento nel Meridione imposte all’impresa pubblica; si introdusse la
“contrattazione programmata” tra le grandi imprese, private e pubbliche, e lo Stato, per indurre le
prime a localizzare le loro attività al Sud, pena la dissuasione ad ubicarsi in altre parti dell’Italia o
all’estero.
Il definitivo declino della colossale struttura muove dalla legge 651/83 (che non proroga la
Cassa) e passa per la legge 64/86, che sostituisce trasformisticamente la quiescente Cassa con una
“Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno” (AGENSUD), cui vengono trasferiti
dipendenti della Cassa e attribuiti ingenti finanziamenti.
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Dal 15 aprile 1993 la vecchia struttura (ministro compreso) pertanto non esiste più, mentre
le provvidenze potenzialmente e sostanzialmente rimangono in altra forma, e comunque mediate da
una gestione ordinaria in favore di qualsiasi area depressa dell’intero territorio nazionale.
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3 Normative in favore delle “aree depresse del
Centro-Nord” e delle zone montane
L’attenzione del legislatore, dal dopoguerra, si indirizzò anche alle aree geografiche in
ritardo economico diverse da quelle meridionali. L’interessamento nasce con la “legge Tupini” (L.
589/49), che predisponeva sussidi e concorsi nelle spese per le opere pubbliche degli enti locali di
tutto il territorio nazionale, aggiungendo però che le condizioni per l’ottenimento dei benefici erano
riferibili anche ai comuni non meridionali, a patto che per essi fosse accertata per decreto una
“situazione economica similare” a quella del Mezzogiorno e delle isole.
La parificazione fu concessa soltanto a poco più di duecento comuni minori, rispetto alle
provvidenze generalizzate per tutti i municipi del Sud.
Nello stesso giorno dell’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno (L. 646/50), il
Parlamento approvava la L. 10 agosto 1950 n. 647, recante il titolo: “Esecuzione di opere
straordinarie di pubblico interesse nell’Italia settentrionale e centrale”, riferendosi alle “località
economicamente depresse”.
Solo con la legge 614/66 vennero previste più incisive forme di intervento e nuovi strumenti
di promozione, ma soprattutto furono finalmente indicati i parametri di individuazione e
graduazione delle zone sfavorite non più rimessi alla totale discrezionalità dell’amministrazione
(es.: esodo o senescenza dei residenti, basso reddito pro capite, basso livello di produttività, ecc.),
poi precisati anche quantitativamente con il DPR 992/76 mediante indici di riferimento, insieme ai
criteri di priorità e alla tipologia delle attività sostentabili e degli incentivi concedibili, con
coinvolgimento degli organi regionali.
La politica di sostegno delle aree non sviluppate del Centro-Nord ha perso le sue
connotazioni residue al momento della sostanziale soppressione dell’intervento “straordinario” per
il Mezzogiorno. Attualmente le provvidenze per le aree economicamente svantaggiate riguardano
l’intero territorio nazionale in presenza di determinati requisiti negativi comuni. Di fatto le aree di
insufficiente sviluppo centro-settentrionali erano andate via via riducendosi, fin quasi ad
identificarsi con alcune limitate zone montane.
La legge 614/66 conteneva molte disposizioni speciali per il territorio di montagna,
scorporando dai benefici le località più ricche ed attrezzate; la legge 1102/71 recava nuove norme
per lo sviluppo della montagna attraverso piani “comunitari” – zonali – affidati alle comunità
montane, trasformate in enti pubblici per “zone omogenee” dal punto di vista non solo territoriale,
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ma anche in base a criteri di unitarietà economico-sociale e storico-tradizionale, in ideale
collegamento con le antiche “regole” o comunanze agrarie di vallata. La legge 142/90 ha però
introdotto nuove disposizioni riguardanti la programmazione degli ausili alla montagna derivanti
dal favor di cui all’art. 44 Cost.
L’avvio dell’ordinarietà degli interventi in generale nelle aree depresse di tutto il territorio
nazionale è avvenuto fin dal DL. 4 gennaio 1994 n. 4, che ha fatto coincidere le zone assistibili con
quelle ammesse agli interventi strutturali CEE, con strumenti di tipo programmatorio.
Alle zone montane, invece, la importante legge quadro 97/94 (modificata a partire dalla L.
513/95 fino alla L. 309/2004) ha riconosciuto carattere di preminente interesse nazionale, definendo
gli interventi speciali di salvaguardia territoriale e di valorizzazione economica e sociale da attuarsi
mediante un nuovo Fondo nazionale per la montagna, introducendo meccanismi favoritivi anche
nuovi ( proprietà contadina giovanile; gestione convenzionata delle foreste, patteggiamento fiscale).
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4 Le attuali politiche nazionali di ausilio generale e
di incentivazione ordinaria alle imprese
Per solidarietà si intende un vincolo spontaneo di mutui vantaggi scambievoli tra “alleati” in
caso di reciproca necessità. Al contrario il c.d. solidarismo, è un sistema che si è andato
configurando in politica come “adozione permanente” di un soggetto diseredato addossata
vincolativamente al soggetto più abbiente, fin tanto che questi non la percepisca come approfitto.
Il tramonto dell’ausilio pubblico straordinario è stato segnato dall’adozione frettolosa di
provvedimenti normativi tesi a scongiurare l’effettuazione del referendum Giannini del 1993,
abrogativo della disciplina organica per il Mezzogiorno.
Il nuovo scenario agevolativo si fondava già sulla legge 16 dicembre 1992 n. 488, applicata
però solo dal 1996.
Per linee generali, soggetti destinatari sono le imprese ubicate nelle aree ammissibili ai
benefici, individuate con i criteri di classificazione della UE (c.d. “obiettivi”); iniziative agevolabili
sono la costruzione o l’ampliamento di un insediamento produttivo, ovvero il suo
ammodernamento, ristrutturazione, riconversione, riattivazione o delocalizzazione.
E’ sempre necessario un progetto dell’impresa richiedente, perché l’ausilio può essere
concesso in misura percentuale (c.d. “Equivalente Sovvenzione”) degli investimenti complessivi in
esso previsti. L’impresa dovrà trovarsi o nelle regioni dell’ex Mezzogiorno (Obiettivo 1) ovvero in
altre zone di “declino industriale” (Obiettivo 2) oppure in aree rurali da sviluppare (Obiettivo 5 b).
L’entità effettiva dell’aiuto, onnicomprensivo di qualsiasi agevolazione, è graduata secondo
l’obiettivo e il comparto merceologico e inversamente alle dimensioni dell’impresa. Trovano
accoglienza prioritaria - per la limitatezza delle risorse disponibili – solo i progetti più validi,
collocati in una graduatoria – in applicazione di parametri preventivi e trasparenti – e finanziati,
secondo lo stato di avanzamento degli investimenti realizzati, da banche concessionarie
convenzionate con il Ministero delle attività produttive, mediante “contributi” senza restituzione.
Tutt’altro significato hanno assunto poi i cosiddetti incentivi automatici introdotti dalla
legge 341/95, che prevedeva l’assegnazione di contributi da usare mediante un bonus utilizzabile
come sconto all’atto del versamento delle imposte. Beneficiarie possono essere le stesse imprese
individuate dalla L. 488/92 (escluse quelle fornitrici di servizi), per investimenti e spese ammissibili
a domanda.
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La misura del beneficio è variabile percentualmente e funziona come un credito di imposta,
liquidabile dal Ministero suddetto dopo che sono stati effettuati gli investimenti da agevolare.
E’ disciplinata da regolamenti CEE fin dal 1993, l’utilizzazione dei Fondi strutturali della
Comunità Europea recanti provvidenze particolari per le zone rurali comunitarie, per il sostegno del
settore della pesca, ma soprattutto per il miglioramento dell’occupazione (FSE) e per ridurre le
disparità di sviluppo tra le regioni della Comunità (FESR). Tali fondi sovente non sono
completamente utilizzati e talvolta sembrano gestiti con leggerezza e senza risultati effettivamente
misurabili.
Sono state trasferite dallo Stato alle regioni moltissime agevolazioni ed è stata decentrata la
titolarità dei procedimenti di aggiudicazione, che vanno differenziandosi da regione a regione,
mediante piani di utilizzazione soprattutto dei fondi di derivazione europea, denominati “documento
unico di programmazione” (DocUP 2000-2006; POR 2002/2013).
In sede di revisione della L. 488/92 i contributi in conto capitale a fondo perduto saranno
sostituiti gradualmente, mediante un fondo rotativo, con finanziamenti creditizi (da restituire) di
pari entità complessiva, ma addossati al tasso di interesse agevolato soltanto per la metà, scontando
per il resto il tasso di mercato praticato dalla banca erogante. La stretta comporta una maggiore
responsabilità degli istituti di credito, coinvolti nella valutazione delle iniziative agevolabili, e delle
stesse imprese richiedenti, dalle quali si vogliono non tentativi, ma risultati.
Tramite Sviluppo Italia S.p.a. – società a totale partecipazione pubblica preposta allo
sviluppo delle imprese e al reperimento degli investimenti – il Ministero dell’economia ha
concentrato dal 2005, con un action plan apposito, gli interventi per il sostegno ed il rilancio di
aziende e distretti operanti in settori strategici o in aree a forte concentrazione industriale, che
versino in crisi di competitività imputabili a fattori esterni (globalizzazione, falsificazione,
delocalizzazione in paesi esteri a basso costo della forza lavoro).
Le forme di ausilio conosciute non si limitano a quelle per le attività produttive interne: si
ponga mente al considerevole sistema di stanziamenti pubblici per la cosiddetta cooperazione per lo
sviluppo, che prevede trasferimenti ai Paesi in via di sviluppo (governi ed ONG – Organizzazioni
Non Governative) mediante elargizioni donative, interventi operativi (costruzione gratuita di opere)
e da ultimo crediti di aiuto, i cui effetti recentemente il nostro Paese ha provveduto a rinviare o
cancellare nei confronti di alcuni paesi in via di sviluppo (dell’Africa, dell’America latina e poi
dell’Asia sud-orientale), manifestamente impossibilitati ad estinguere il debito con noi contratto.
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La prima disciplina del pesante accollo di questi ausili economici internazionale è ormai
risalente agli anni ‘70 (L. 1222/71; L. 38/79; L. 49/87).
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5 Legge 488/92
La legge 488 rappresenta il principale strumento agevolativo nazionale. Pubblicata nel 1992
ha iniziato ad operare soltanto alla fine del 1996 con l’emanazione del primo bando riservato al
settore industriale. Nel 1999, gli interventi della legge sono stati estesi al settore turistico e ,
successivamente, a quello commerciale. L’impianto delle legge ha subito delle modifiche in
relazione ai diversi settori produttivi ai quali si applica.
E’ una norma piuttosto complessa e costituisce lo strumento mediante il quale il Ministero
delle Attività Produttive mette a disposizione delle imprese che intendano promuovere programmi
di investimento, nelle aree depresse, agevolazioni sotto forma di contributi in conto capitale (“a
fondo perduto”), finanziando in tal modo piani di spesa di importo medio alto, disposti su più anni.
Per aree depresse si intendono quelle individuate dalla Commissione Europea quali zone in
ritardo di sviluppo - aree Obiettivo 1 (Regioni del Mezzogiorno: Sicilia; Sardegna; Puglia;
Basilicata; Calabria; Campania) e zone in declino industriale - aree Obiettivo 2 (vari comuni del
Centro-Nord, tra cui Molise ed Abruzzo) e aree fuori Obiettivo con deroga o a sostegno transitorio.
Per poter accedere ai fondi strutturali (dei quali fa parte anche la L. 488/92) è necessario che
l’imprenditore abbia a disposizione almeno il 25% in capitale proprio dell’ammontare
dell’investimento totale e, inoltre, che abbia ottenuto una delibera di finanziamento bancario il cui
importo sia almeno equivalente a quello del finanziamento agevolato.
Altro presupposto fondamentale ai fini della richiesta dell’agevolazione è la predisposizione
di un Business plan, piano d’impresa in cui venga descritto dettagliatamente l’investimento,
l’impresa ed il mercato in cui opera.
Sono ammesse alle agevolazioni le piccole e medie imprese (comprese le cooperative) che:
 svolgano attività estrattive, manifatturiere, delle costruzioni e attività di servizi
compresi nelle classificazioni Istat;
 siano in regime di contabilità ordinaria.
La CEE ha fissato i requisiti – numero di dipendenti, fatturato, indipendenza -
che
un’impresa deve possedere per poter essere considerata piccola o media per i diversi settori
produttivi.
Le tipologie di investimento previste dalla legge sono:
1. Nuovo impianto (realizzazione di un nuovo insediamento produttivo);
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2. Ampliamento (aumento della capacità di produzione attraverso un incremento
dell’occupazione);
3. Ammodernamento
(innovazioni
finalizzate
all’aumento
della
produttività
e/o
miglioramento delle condizioni ecologiche);
4. Riattivazione (ripresa di insediamenti produttivi inattivi da almeno 8-10 mesi);
5. Riconversione (sostituzione dei prodotti esistenti con prodotti appartenenti a comparti
merceologici diversi);
6. Ristrutturazione (riorganizzazione produttiva dell’impresa);
7. Trasferimento ( diversa localizzazione degli impianti dettata da esigenze economiche o
amministrative).
Sono ammissibili le spese riguardanti:
 progettazione e studi di fattibilità per un ammontare massimo pari al 5%
dell’investimento;
 terreno e sue sistemazioni per un ammontare massimo pari al 10% dell’investimento;
 opere murarie ed assimilate;
 macchinari, impianti ed attrezzature;
 software e brevetti;
 infrastrutture aziendali;
 mezzi mobili necessari al ciclo produttivo;
 costi per certificazioni ambientali e di qualità;
 quota di ingresso in franchising;
Per poter usufruire delle agevolazioni è necessario presentare apposita domanda nei tempi e
nei termini previsti dal relativo bando. Il bando fissa la data di apertura di presentazione delle
domande, invece la data di chiusura può essere indicata nello stesso decreto o in un decreto
successivo. Inoltre il decreto prevede anche l’entità dei fondi riservati al bando, suddivisi per
Regione. Le graduatorie, effettuate sempre su base regionale, vengono formate in relazione ad
indicatori specifici.
L’ultimo bando relativo alla legge 488/92 per il settore artigianato
si è chiuso il 30
settembre 2007.
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6 Gli aiuti alle imprese cooperative e artigiane
E’ la stessa carta costituzionale a stabilire per la cooperazione e l’artigianato un obbligo
indefettibile di favor affidato alla normazione ordinaria (art. 45, rispettivamente c. 1 e 2).
Soprattutto il loro trattamento fiscale è fortemente favoritivo, essendo giunto in passato a
vere e proprie esenzioni per alcune forme cooperative ritenute più meritevoli di aiuto (L. 127/71;
più estesamente il richiamato DPR 601/73). Non mancano tuttavia altre forme di incentivazione: il
credito alla cooperazione è stato disciplinato dalla legge 27 febbraio 1985 n. 49 (“legge Marcora”),
recante misure particolari mediante fondi di rotazione dedicati esclusivamente alle cooperative.
Sempre alla promozione ed allo sviluppo del fenomeno cooperativo, che in alcune aree
settentrionali del Paese ha radici e tradizioni assai lontane, ha mirato la legge 31 gennaio 1992 n.
59, attraverso la costituzione di fondi mutualistici nei quali confluiscono piccole quote degli utili
netti di ciascuna cooperativa in attività, nonché i residui patrimoni di quelle poste in liquidazione.
L’obbligo ausiliativo costituzionalmente sancito appare rispettato appieno dal potere
politico, che – subordinatamente ad una forte vigilanza e ad un controllo secolare specie sulle
cooperative di grandi od enormi dimensioni e di rilevante fatturato (L. 59/92) – ha sempre mostrato
un atteggiamento più che benevolo verso questa importante realtà imprenditoriale. Non si possono
escludere intrecci tra economia della cooperazione e classe politica: molti la ravvisano nel dubbio
carattere di mutualità della grandissima cooperativa, che talvolta ha le caratteristiche oggettive ed i
profitti della grande impresa, peraltro fruendo di vantaggi e privilegi pensati per le cooperative
minimali.
La L. 311/2004 ha riordinato i c.d. regimi speciali delle società cooperative.
Quanto invece all’artigianato, nessuna caratteristica è richiesta alle imprese così classificate
per essere ammesse alla benevolenza pubblica.
La legge-quadro per l’artigianato (L. 8 agosto 1985 n. 443) ha esteso il coinvolgimento
diretto dell’imprenditore all’intero processo produttivo e non alla materiale lavorazione e
produzione di beni e servizi.
Anche gli ausili specifici per l’artigianato sono dei tipi consueti, da ultimo anche con l’uso
dei contratti di solidarietà. Le provvidenze creditizie sono quelle della piccola impresa. Le
sovvenzioni sono per lo più ripartite dalle Regioni, con opportune diversificazioni. Con il D.LGS.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Università Telematica Pegaso
Leggi agevolate allo sviluppo delle attività produttive
31 marzo 1998, n. 112, sono state devolute agli enti locali tutte le competenze amministrative
relative all’artigianato, fatta eccezione per quelle espressamente conservate allo Stato.
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