Gazzetta Forense n. 1 del 2007

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Gazzetta Forense n. 1 del 2007
Gazzetta
F O R E N S E
Bimestrale
Anno 1 - Settembre 2007
DIRETTORE RESPONSABILE
Roberto Dante COGLIANDRO
REDAZIONE
CAPO REDATTORE
Sergio CARLINO
REDAZIONE GAZZETTA FORENSE
Valeria D’ANTÒ, Melania DURATUTO
Anna ELISEO, Caterina VALIA
EDITORE
Denaro Libri Srl Piazza dei Martiri, 58 - 80121 Napoli
POPRIETARIO
Associazione: Nemo plus iuris
COMITATO DI REDAZIONE
Antonio ARDITURO
Fabio BENINCASA
Almerina BOVE
Carlo BUONAURO
Sergio CARLINO
Raffaele CANTONE
Massimiliano CICORIA
Corrado d’AMBROSIO
Domenico DE CARLO
Mario de BELLIS
Andrea DELLO RUSSO
Mario GRIFFO
Catello MARESCA
Daniele MARRAMA
Giuseppe PEDERSOLI
Lucia PICARDI
Ermanno RESTUCCI
Raffaele ROSSI
Angelo SCALA
Mariano VALENTE
COMITATO SCIENTIFICO
Fernando BOCCHINI
Aurelio CERNIGLIARO
Lorenzo CHIEFFI
Giuseppe FERRARA
Antonio PANICO
Giuseppe RICCIO
Giuseppe TESAURO
Renato VUOSI
N. REGISTRAZ. TRIBUNALE
1494/2007 in data 13/03/2007
STAMPA
Cangiano Grafica- Napoli
SOMMARIO
• EDITORIALE
Ai lettori
7
Roberto Dante Cogliandro
Avvocato
Ragioni politiche e premesse di metodo per la riforma
del Codice di procedura penale
9
Giuseppe Riccio
Professore ordinario Procedura Penale Università di Napoli Federico II
Presidente Commissione Ministeriale di Riforma del Cpp
• DIRITTO E PROCEDURA CIVILE
Le novità in materia di esecuzione immobiliare
15
Ermanno Restucci
Avvocato civilista
Effetti cambiari posti a garanzia della cessione di quote di Srl
19
Gaetano Scuotto
Avvocato civilista
L’assenza del destinatario - La via crucis del notificante
23
Leonardo Pica
Giudice presso il Tribunale di Napoli
La simulazione del prezzo negli atti di compravendita di immobili
36
Caterina Valia
Avvocato civilista presso il Consiglio Nazionale del Notariato
• DIRITTO E PROCEDURA PENALE
Il nuovo fronte dell’aggressione ai patrimoni illeciti:
l’art. 12 - sexies legge n. 356/92
Catello Maresca e Antonio Ardituro
Pubblici ministeri presso il Tribunale di Napoli
45
Non è consentito al pubblico ministero disporre il fermo
55
del soggetto “scarcerato”a seguito di omesso interrogatorio di garanzia
Mario Griffo
Avvocato penalista
Rassegna di Giurisprudenza di legittimità
e procedura penale
64
a cura di Mario Griffo e Luigia Martino
Rassegna di Giurisprudenza di merito di diritto
e procedura penale
76
a cura di Mario Griffo
• DIRITTO AMMINISTRATIVO
I rischi della semplificazione nella nuova normativa sugli appalti pubblici
93
Carlo Buonauro
Magistrato TAR Campania - Napoli
Osservatorio della giurisprudenza in tema di codice dei contratti
100
a cura di Almerina Bove
Avvocatura regionale della Campania
• DIRITTO COMMERCIALE
L’amministrazione nella nuova S.r.l.
107
Corrado D’Ambrosio
Giudice presso il Tribunale di Napoli
Limiti e condizioni della presenza della S.r.l.
sul mercato del capitale di credito
Corrado D’Ambrosio
111
• DIRITTO TRIBUTARIO
Irap e professionisti: imposta non dovuta,
ma è complicato evitare il pagamento
117
Giuseppe Pedersoli
Dottore Commercialista, Docente a contratto Università di Napoli Federico II
• NOVITÀ LEGISLATIVE
Riforma della riforma delle procedure concorsuali
123
a cura di Corrado D’Ambrosio
Bozza di delega legislativa al Governo
per l’emanazione del nuovo Codice di Procedura penale
134
a cura di Mario Griffo
• RECENSIONI
Massimo Domini
Imputazione oggettiva dell'evento.
“Nesso di rischio” e responsabilità per fatto proprio
159
Giappichelli Editore, Torino 2006
Mario Griffo
A cura di Giuseppe De Marzo, con contributi di C. Di Marco, L. Gallo, G. Le Pera e L. Piochi
160
Il condono edilizio e la legislazione regionale
Giuffrè Editore, MIlano 2007
Valeria D’Antò
A cura di Salvatore Patti
L’amministrazione di sostegno, in Familia
Quaderni diretti da Salvatore Patti, Giuffrè Editore, Milano 2005
Anna Eliseo
161
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Editoriale
Ai lettori
● Roberto Dante Cogliandro
Avvocato
La “Gazzetta Forense” ambisce a diventare uno dei maggiori periodici giuridici di formazione ed approfondimento per avvocati e magistrati, che rappresentano i due
lati della stessa medaglia di un settore del mondo giuridico dove l’analisi e la ricerca costituiscono ormai l’unico strumento utile a tutti per seguire l’evoluzione della
giurisprudenza e delle elaborazioni dottrinarie con pronti risvolti pratici.
Il progetto legato alla Gazzetta nasce da molto lontano, quando un gruppo di giovani amanti del diritto e professionisti pieni di tanto entusiasmo constatano che l’amplio panorama editoriale non offre ai lettori una rivista
giuridica che sia al tempo stesso di immediata consultazione e studio, così come un valido strumento per approfondire materie ed argomenti che solo le riviste di taglio strettamente accademico e ad utilizzo prevalentemente universitario possono contenere. In sostanza, le difficoltà della formazione postlaurea e della professione forense e la necessità di un continuo aggiornamento impongono sempre di più al bravo avvocato e all’attento
magistrato di aggiornarsi e continuare a leggere e studiare
il diritto in sempre più rapida evoluzione.
Così, grazie alla fiducia accordataci da un attento e sensibile editore, è iniziato un percorso lungo, ma spesso esaltante, dove si è creato un Comitato di Redazione ed un
Comitato Scientifico. Insieme, riunioni dopo riunioni,
abbiamo messo su la nostra, Vostra, “Gazzetta Forense”,
la quale si presenta al pubblico dei giuristi come bimestrale giuridico di carattere eminentemente interdisciplinare, articolato in molteplici rubriche, tutte concepite
tanto per servire chi ha appena completato i teorici studi universitari, quanto per essere funzionale alla rapida
consultazione degli operatori pratici.
Gazzetta Forense si vanta di essere un periodico sensibilmente diverso dagli altri, una rivista fatta per essere
non tanto consultata su questo o su quell’argomento, bensì per essere studiata ed approfondita nella sua interezza. Essa vuol essere, nella sostanza, una sorta di breviario interdisciplinare ove le materie saranno centellinate
di volta in volta che la prassi giurisprudenziale e l’attualità scientifica ne solleciterà l’approfondimento. Il tutto
al fine di consentire l’autoformazione permanente di chi,
subito dopo i teorici studi universitari o nell’esercizio
quotidiano della professione di avvocato e di magistrato, avverta il bisogno di avere sottomano un efficace
strumento di analisi delle tematiche che man mano passano per le aule giudiziarie e aleggiano nelle analisi dottrinarie.
La sfida, siamo coscienti, è difficile, ma con l’apporto di un validissimo Comitato di Redazione e il supporto di fini giuristi che ci onorano di far parte del Comitato Scientifico siamo sicuri di saperla raccogliere, così da
superare gli attenti e scrupolosi esami di Voi lettori che
numero dopo numero saprete appellarci.
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Ragioni politiche
e premesse di metodo
per la riforma
del Codice
di Procedura penale
● Giuseppe Riccio
Professore ordinario procedura penale
Federico II - Presidente
Commissione Ministeriale di Riforma del cpp
1. Premessa
Con la legislazione in corso è iniziata una stagione riformista del “pianeta Giustizia”, certamente la prima –
per complessità ed ampiezza di orizzonti – dell’era democratica del nostro Paese.
In questo contesto non poteva mancare una nuova attenzione al Codice di Procedura penale, anche se esso è
nato meno di venti anni fa.
Ed è proprio la mancanza di stabilità del primo Codice della Repubblica che aumenta l’attenzione sulla specifica operazione riformista e che richiede il chiarimento delle ragioni e delle premesse culturali su cui si affaccia la nuova stagione della Procedura penale.
Ebbene, affrontare il tema della riforma del Codice di
Procedura penale non significa – solo – porsi problemi
di metodo; significa anche e soprattutto entrare in uno
spirito di consonanza con le attese del Paese rispetto ad
una crisi della giurisdizione senza precedenti in gran parte d’ordine sovrastrutturale, confluendo in essa “responsabilità” non tutte addebitabili al contesto normativo.
Rispetto a questo, poi, le cause più recenti della crisi
vanno ricercate: nel tramonto dell’eguaglianza, che ha caratterizzato la politica penale di questo Paese negli ultimi anni secondo le linee di una tentata restaurazione dello Stato liberale di stampo ottocentesco; nel conseguente rilancio dell’illusione repressiva, operata, però, solo sul
terreno del. cd. ordine pubblico, con contraddittoria linea di tendenza negli altri settori; nella crescita dei reati
senza danno, che ha prodotto una pericolosa “evanescenza” delle fattispecie; nella fine del monopolio della
giurisdizione, a cui ha fatto da sostegno la perenne tendenza a ritenere che l’assetto normativo del processo
debba essere condizionato dalla disponibilità delle risorse - anche umane - e dai problemi organizzativi, non
- come sarebbe naturale - il contrario.
L’analisi sembra riguardare i profili problematici del
Diritto penale sostanziale. Epperò, è sotto gli occhi di tutti il disorientamento della giurisdizione e della giurisprudenza per effetto delle più recenti leggi, soprattutto
processuali, che, peraltro, hanno richiesto ripetuti interventi della Corte costituzionale.
Peraltro, la dottrina sin dall’inizio ha denunziato il difetto genetico del codice del 1989, quello della non contestualità della riforma dei due codici, pur esso causa di
grande sofferenza per la giurisdizione.
Su questo terreno si cala la riforma della Procedura penale - non la revisione del codice di procedura penale -;
ed è riforma perché si riparte con legge-delega, unico strumento utile per riscrivere percorsi processuali efficienti
nel rispetto delle garanzie dell’individuo. E deve essere delega, perché, esaminando i settori a cui è indispensabile
metter mano, l’elenco è così lungo e nutrito da dimostrare,
esso stesso, il bisogno di una riforma organica complessiva. Infatti, i settori da rivedere – ma l’elencazione è viziata per difetto – sono: i modelli di giurisdizione; le “fi-
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nestre di giurisdizione” durante le indagini; il sistema delle prove per far fronte alla tipizzazione di nuovi mezzi
“invasivi” delle libertà della persona; la rilevabilità dei
vizi di competenza, degli atti, delle sanzioni processuali, delle notificazioni – queste, anche al fine di eliminare
il processo in contumacia e, tutti, nell’ottica della realizzazione della “ragionevole durata del processo” –; la
procedimentalizzazione dell’avviso di conclusione delle
indagini capace di far confluire, in un’unica udienza,
scelte processuali e anticipazione della condanna richiesta dall’imputato, per eliminare la inattuale moltiplicazione delle procedure; il sistema delle impugnazioni; ecc.,
il tutto in direzione della armonizzazione tra garanzie e
tempi del processo.
2. Le ragioni
Peraltro, l’attuale crisi della Giustizia – anche se amplificata da avvenimenti esterni al tessuto normativo – è
in buona parte prodotta, sì a causa della “legislazione
della disuguaglianza” coltivata nella precedente legislatura, ma anche a ragione della molteplicità degli interventi novellistici prodotti a partire dalla fine degli anni
’90, che hanno aggravato la crisi risalente, determinando insopportabili stasi processuali. Tutta questa legislazione va ora ricondotta ad unità sistematica ed a razionalità operativa, insieme agli interventi che, nel frattempo, sono stati ritenuti urgenti dal Ministro e/o dal Governo.
Ma esistono ragioni più profondamente di natura tecnica, che non possono essere ignorate e che, anzi, debbono guidare l’opera di riforma.
La prima è data dall’ampliamento delle fonti comunitarie e dalle risoluzioni del Consiglio d’Europa, che, in
più occasioni, ha richiamato il nostro Paese ad adeguare la normativa interna a quella comunitaria e/o della CEDU. Tra queste fonti hanno particolare rilievo quella
sulla “mediazione” – che comporta l’allargamento dei
modelli di giurisdizione e delle alternative al processo –
e quella sulle “vittime del reato” – che eleva l’attenzione della partecipazione della stessa quale portatrice della pretesa determinata dall’offesa, non quale soggetto che
azione la richiesta risarcitoria –; nonché quelle in materia di cooperazione giudiziaria, per realizzare la quale sono indispensabili coordinamento normativo e risorse
operative.
La seconda ragione si aggancia alla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, che non ha perso occasione
per condannare l’Italia in materia di processo contumaciale e di ragionevole durata del processo.
La terza riguarda la permanenza di contrasti giurisprudenziali che feriscono o mettono in pericolo l’uguaglianza di trattamento, spesso a causa di disattenzioni
dogmatiche e di malintesa indipendenza interpretativa del
giudice, ma anche a ragione di norme che si prestano ad
“equivoche” operazioni ermeneutiche.
La quarta ragione si attesta sul bisogno di contestua-
lità della riforma con quella del Codice Penale, perché
solo essa consente un recupero di razionalità sistematica, elimina contraddizioni di settore, contestualmente
apre la strada a felici combinazioni in tema di sanzioni
(=misure cautelari), di prescrizione (=tempi del processo), di ampliamento dei casi di archiviazione (=tenue offensività), ecc.
Ma la ragione principale su cui fonda la nuova stagione riformista, è l’entrata in vigore dell’art. 111 Cost.
Le articolate disposizioni ivi contenute, per un verso,
impongono il recupero di un reale contraddittorio tra le
parti e la predisposizione di meccanismi per una maggiore presenza della giurisdizione durante la prima fase
del processo (le c.d. “finestre di giurisdizione”); per altro verso, riconoscendo il “processo di parti” come struttura democratica del processo, danno nuovo vigore al
consenso della parte, suggerendo la pratica di spazi operativi finora ritenuti impraticabili.
Epperò, sbaglierebbe chi ritenesse che la nuova regola per la giurisdizione ha valore solo sul piano strutturale, essendo profondamente convinto, invece, che la
novità più saliente del nuovo art. 111 Cost. è la costituzionalizzazione della ragionevole durata del processo.
Ebbene, al di là della disputa se la regola abbia natura oggettiva e/o soggettiva, certo è che essa stabilisce un
rapporto di mezzo a scopo, che indirizza l’opera del legislatore, aprendo allo stesso nuovi orizzonti ed attirando nell’ambito della procedura penale i temi prescrizionali.
Insomma, la ragionevole durata del processo costituisce, oggi, la regola pregiuridica a cui conformare i comportamenti riformatori; anche perché essa influenza la
lettura degli altri “principi” costituzionali.
3. Le premesse
La prima poggia sulla convinzione che il codice del
1988 - contrapponendosi al codice del 1930 e dovendo
“attuare la Costituzione” – fu felice operazione intellettuale, preceduta ed accompagnata da un quarantennale
dibattito sul “garantismo difensivo” al punto che ancora oggi risulta intangibile il suo schema generale e la bifasicità disomogenea. Essa, però, fu processo senza sperimentazione!
E, dunque, il presupposto dell’opera odierna – che non
intende rinunciare a quello schema ma correggerlo nell’ottica della ragionevole durata del processo – nasce
proprio dalla sperimentazione di quell’assetto normativo e dall’abbandono di “scorie inquisitorie” che esso conservò (es.: formalismi processuali; nullità; impugnazioni; ecc.) per la realizzazione di un nuovo “garantismo efficientista”.
Insieme, le due idee hanno prodotto il bisogno di un
doppio tavolo di lavoro, quello della documentazione (affidato al Comitato scientifico) e quello della riflessione
per le nuove direttive di delega – di competenza della
Commissione –, risultando palese che questo secondo ta-
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volo è condizionato dal rilevamento e dallo studio delle
disfunzioni del processo. Si son potuti documentare, così, anche attraverso opportune audizioni, i punti di crisi del processo, lo stato dello studio sul “processo telematico” - utile soprattutto in tema di notificazioni, ma
anche nei rapporti tra giudice, pubblico ministero e difesa - e quello dell’organizzazione delle cancellerie e così via.
Ma sono state individuate soprattutto le cause normative delle disfunzioni processuali e dei tempi morti del
processo, tra le quali assume particolare rilievo l’attuale art. 415-bis c.p.p., che crea stasi lunghissime tra attività ad esso conseguenti e reale esercizio dell’azione penale.
Su questo impervio terreno si è cimentata la Commissione istituita con decreto interministeriale del 27 luglio 2006; e si cimenta ancora, per la ricerca del punto
di equilibrio tra garanzia dell’individuo ed efficienza della giurisdizione, entrambe avvertite come valori irrinunciabili di uno Stato democratico.
DIRITTO
&
PROCEDURA
Civile
Le novità in materia di esecuzione immobiliare
15
Ermanno Restucci
Avvocato civilista
Effetti cambiari posti a garanzia della cessione di quote di Srl
19
Gaetano Scuotto
Avvocato civilista
L’assenza del destinatario - La via crucis del notificante
23
Leonardo Pica
Giudice presso il Tribunale di Napoli
La simulazione del prezzo negli atti
di compravendita di immobili
Caterina Valia
Avvocato civilista presso il Consiglio Nazionale del Notariato
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Le novità in materia
di esecuzione immobiliare
● Ermanno Restucci
Avvocato civilista
Sul solco già tracciato dalla legge 302/98 il legislatore è
intervenuto con un intervento normativo che ha profondamente modificato la procedura espropriativa sia
mobiliare che immobiliare.
A quest’ultima veniva da tempo indicata come la
procedura che presentava maggiori problematiche nelle operazioni che conducono alla liquidazione dei beni
staggiti.
In particolare venivano segnalate le inefficienze consistenti in:
• tempi eccessivamente lunghi per predisporre la documentazione necessaria al perfezionamento della
vendita, per la pronuncia del provvedimento ex art.
569 cpc e la fissazione di un numero eccessivo di
udienze (nomina del perito, giuramento del perito, esame della perizia, etc.), prima di pervenire all’ordinanza di vendita;
• ritardi nello svolgimento delle operazioni di vendita
forzata delegate ai notai;
• scarsa opportunità di conoscenza per il quivis de populo delle informazioni relative alle aste e delle modalità di svolgimento delle stesse;
• sostanziale monopolizzazione delle aste da parte di
pochi operatori, mossi unicamente da intenti speculativi.
A queste problematiche il legislatore aveva già cercato in
passato di porre rimedio con la possibilità di delegare ai
notai le operazioni di vendita forzata.
La legge 80/2005 ha ulteriormente sviluppato i criteri già
tracciati prevedendo:
1) l’allargamento della platea dei professionisti ai quali
la delega può essere conferita, comprendendovi anche gli avvocati ed i commercialisti;
2) la necessità di disporre sempre la vendita senza incanto;
3) la razionalizzare dello svolgimento della fase di accesso alla vendita immobiliare, semplificando le procedure di nomina e di giuramento dell’esperto, accelerando i tempi al fine di ottenere la perizia e lo svolgimento dell’udienza in contraddittorio tra le parti;
4) maggiore trasparenza nelle procedure di vendita, puntando su un più largo utilizzo degli strumenti di diffusione pubblicitaria.
La riforma si è imposta, inoltre, per necessità di combattere efficacemente gli abusi e le turbative d’asta e per avere la certezza di acquisire offerte irrevocabili, nonché per
favorire anche il contrarsi dei costi della procedura, solitamente molto alti per il reiterarsi dei molteplici esperimenti
negativi di vendita con incanto.
Sulla scorta di queste linee guida, il legislatore è intervenuto modificando, oltre che il sistema delle vendite, anche:
- l’art. 474 cpc nel senso di ampliare il novero e la portata dei titoli esecutivi;
- l’art. 492 cpc in ordine alla ricerca delle cose da pignorare ed agli avvertimenti al debitore per la possibilità di proporre istanza di conversione e per gli ef-
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fetti della mancata elezione di domicilio;
• l’art. 499 prevedendo la possibilità di ammettere l’intervento per i soli creditori muniti di titolo;
• l’art. 567 cpc raddoppiando il termine per il deposito della documentazione ipocatastale;
• l’art. 512 in ordine alla risoluzione delle controversie
in sede di distribuzione, prevedendosi che il giudice
della esecuzione provveda con ordinanza impugnabile nelle forme dello art. 617 cpc;
• gli art. 559 e 560 cpc disciplinando la custodia e le
modalità della stessa, allargando i poteri e la centralità delle funzioni del custode;
• l’art. 585 relativo alla previsione dell’acquisto del bene con la erogazione di finanziamento;
• l’art. 586 cpc prevedendosi la cancellazione anche
delle formalità successive alla trascrizione del pignoramento;
• l’art. 616 cpc in relazione ai provvedimenti nel giudizio di cognizione introdotto dalla opposizione, prevedendosi la non impugnabilità della sentenza che decide sulla opposizione;
• l’art. 624 cpc in ordine alla reclamabilità del provvedimento che decide sulla sospensione della esecuzione;
• l’art. 624 bis cpc introducendo la possibilità di richiedere al giudice della esecuzione la sospensione, per
un periodo non superiore a ventiquattro mesi, della
procedura esecutiva.
Come detto, è nella disciplina della vendita che il legislatore ha profondamente innovato la normativa, prevedendo un radicale mutamento dello schema prima attuato, dovendosi, nel sistema attuale, disporre sempre la
vendita senza incanto e, unicamente nella ipotesi di esito negativo della stessa, per motivi tassativamente previsti, procedersi alla vendita con incanto.
Occorre precisare che la scelta del legislatore di iniziare gli esperimenti di liquidazione con lo schema della vendita senza incanto è legata alla volontà che si pervenga immediatamente alla definitività della aggiudicazione, evitandosi così le prassi negative che si sono riscontrate nel passato nello svolgimento degli esperimenti
di vendita con incanto.
Il sistema delineato dalla nuova normativa è, come
si vedrà, in definitiva, una sintesi tra il procedimento della vendita senza incanto con quella dell’incanto.
Prima di passare alla descrizione del nuova procedimento di vendita, occorre segnalare altre importanti novità introdotte, tra le quali assumono particolare rilevanza le nuove competenze affidate allo esperto ed il sistema di conferimento dello incarico allo stesso.
La tendenza del legislatore del 2005 ad evitare lo svolgimento di udienze inutili, (senza con questo comprimere
i diritti difensivi delle parti che anzi risultano meglio tutelate) trova proprio una sua interessante manifestazione nella nuova disciplina della nomina del perito, ricavabile dal combinato disposto degli artt. 569 cpc e 173
bis disp. Att. Cpc.
Il sistema appare così schematizzabile:
• nei trenta giorni successivi al deposito della documentazione ipocatastale, il giudice dell’esecuzione nomina l’esperto e lo convoca davanti a sé per il giuramento ed il conferimento dell’incarico, fissando altresì
l’udienza per la comparizione delle parti e dei creditori iscritti che non siano intervenuti; tra il provvedimento di nomina e l’udienza non devono intercorrere più di novanta giorni;
• a seguito della nomina, l’esperto provvede alla redazione della relazione di stima, verificando (ex art. 173
bis disp. Att. cpc) altresì la situazione giuridica e di
fatto del bene (stato di possesso, esistenza di vincoli,
oneri e formalità, regolarità urbanistica), nonché la
completezza della documentazione ipocatastale depositata dai creditori o (raramente) dal debitore esecutato;
• l’esperto invia anche a mezzo posta elettronica – almeno 45 giorni prima dell’udienza fissata dal giudice – copia della relazione ai creditori e al debitore, i
quali possono presentare note scritte anche direttamente all’udienza, purchè ne abbiano anticipato di almeno 15 giorni il testo al perito, in modo da consentirgli di rendere i chiarimenti intervenendo direttamente all’udienza;
• all’udienza fissata dal giudice, le parti possono fare osservazioni circa il tempo e le modalità della vendita e
proporre le eventuali opposizioni agli atti esecutivi, se
non sono già decadute ex art. 617 cpc.
Dallo schema sopra riportato, già appaiono evidenti gli
effetti positivi che in tal modo si possono raggiungere:
• evitare di fissare due successive udienze, destinate rispettivamente alla nomina ed al giuramento del perito, in quanto quest’ultimo viene nominato con provvedimento pronunziato fuori udienza e presta giuramento davanti al giudice, sempre fuori dell’udienza;
• le parti che volessero contestare la nomina dell’esperto hanno la possibilità di farlo, proponendo opposizione agli atti esecutivi al provvedimento stesso;
• non è necessario fissare una successiva udienza per l’esame della perizia, poiché le parti sono poste in condizioni di conoscere il contenuto della stessa ed interloquire e contraddire circa il tempo e le modalità
della vendita, avendo già fatto tenere al perito le loro eventuali osservazioni e/o richieste di chiarimenti
sulla relazione di stima;
• nella ipotesi in cui il perito, nella relazione di stima,
segnali l’incompletezza della documentazione depositata, il giudice potrà pronunziare, nella medesima
udienza, i provvedimenti di inefficacia e/o di estinzione
del pignoramento.
Quanto al nuovo procedimento di vendita, rimandando ad un più approfondito esame delle varie novità
introdotte, lo schema risulta così articolato:
- alla prima udienza fissata ex art. 569 cpc, se non vi
sono opposizioni, il giudice, disponendo già della rela-
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zione dello esperto, stabilisce le condizioni di vendita con
un provvedimento complesso.
L’ordinanza si compone di due parti tra di loro autonome e di una terza parte, la cui presenza è affidata alla valutazione discrezionale del giudice. Nella prima si
dispone la vendita senza incanto stabilendo le relative
modalità di svolgimento.
Nella seconda - che ha corso solo nella ipotesi in cui
non si raggiunga l’obiettivo della vendita senza incanto
- si stabiliscono le modalità della vendita con incanto.
Nella terza parte è prevista la eventuale delega ad un
professionista per le operazioni di vendita.
In quest’ultimo caso la ordinanza conterrà tutte le
previsioni relative alle modalità della vendita senza incanto e della eventuale vendita con incanto.
L’ordinanza, in sintesi, dovrà contenere: la indicazione del prezzo minimo, l’ammontare della cauzione, le forme di pubblicità, il termine (tra 90 e 120 giorni) per il
deposito delle offerte di acquisto, la data della udienza
per l’esame delle offerte e della gara nel caso di più offerte e la data dello eventuale incanto (nelle ipotesi di
mancanza di offerte o di scelta dei creditori di optare per
l’incanto in presenza di offerta non superiore di almeno 1/5 al prezzo minimo).
Nel caso di esito negativo degli esperimenti di vendita senza e con incanto, nella ipotesi in cui non siano state formulate istanze di assegnazione, il giudice della esecuzione può: 1) disporre l’amministrazione giudiziaria del
bene; 2) fissare un nuovo incanto allo stesso prezzo e con
le stesse condizioni; 3) procedere alla vendita a nuove
condizioni.
Come si può notare la legge n.80 del 2005 ha privilegiato una strada diversa da quella della prassi più diffusa dei tribunali, prevedendo che:
4) la vendita senza incanto rappresenta un passaggio necessario prima che si passi, nel caso che non si raggiunga l’obiettivo della liquidazione del bene staggito, alla vendita con incanto;
5) tra la vendita senza incanto e quella con incanto non
è necessario disporre di un nuovo provvedimento del
giudice perché quest’ultimo fissa, con il medesimo
provvedimento anche tempi e modalità della vendita
con incanto, qualora la vendita senza incanto non abbia luogo;
6) sono delegabili ai notai e agli altri professionisti individuati dalla legge anche le operazioni di vendita senza incanto.
La scelta del legislatore di rendere la vendita senza incanto un passaggio obbligato della procedura di liquidazione del bene staggito si accompagna a significative
innovazioni in ordine alla pubblicità della vendita, alle
modalità di presentazione delle offerte ed alla deliberazione sull’offerta.
Quanto alla pubblicità della vendita, l’obiettivo perseguito dal legislatore è quello di favorire la maggiore partecipazione possibile alle operazioni di vendita, allar-
gando la platea dei potenziali offerenti.
Il nuovo testo dell’art. 490 cpc prevede che l’avviso
di vendita sia inserito in appositi siti internet almeno 45
giorni prima del termine per la presentazione delle offerte
ovvero (nel caso in cui si proceda a vendita con incanto) almeno 45 giorni prima della data dell’incanto.
Unitamente all’avviso di vendita deve essere inserito
nei siti internet anche il testo della ordinanza che dispone la vendita, nonché la relazione di stima, al fine di dare modo agli interessati di prendere immediata e precisa contezza delle caratteristiche del bene staggito e del
valore ad esso attribuito dall’esperto.
L’ ordinanza di vendita di cui al terzo comma dell’art.
569 cp dovrà fissare il termine, non inferiore a 60 e non
superiore a 120 giorni entro il quale possono essere
proposte offerte di acquisto ai sensi dell’art. 571 cpc.
E’ previsto che il giudice debba altresì fissare - già per
il giorno successivo alla scadenza del predetto termine la udienza per la delibazione sull’offerta ai sensi dell’art.
572 e per la eventuale gara tra gli offerenti ai sensi dell’art. 575 cpc.
Il nuovo testo dell’art. 571 cpc (nel ribadire che le offerte possono essere presentate da chiunque tranne che
dal debitore, e che sono inefficaci se sono inferiori al
prezzo di stima o se l’offerente non presta cauzione in
misura non inferiore al decimo del prezzo da lui proposto) ai fini acceleratori della procedura di liquidazione,
disciplina altresì la previsione di inefficacia della offerta
tardiva, cioè depositata in cancelleria oltre il termine fissato dal giudice ai sensi del terzo comma dell’art. 569
cpc.
Inoltre, sempre per il fine di accentuare il rigore e la
trasparenza della procedura, l’ultimo comma dell’art.
571 cpc prevede che le offerte debbano essere depositate in busta chiusa nella cancelleria del Tribunale personalmente dall’interessato a anche a mezzo di un avvocato.
In pratica cancelliere ricevente provvede ad annotare all’esterno della busta il nome di chi provvede al deposito, il nome del giudice della esecuzione (o del professionista delegato) e la data della udienza fissata per
l’esame delle offerte.
E’ da notare che su questo punto la formulazione della norma appare imprecisa, nel senso che il suo tenore
semantico sembrerebbe imporre che, anche nel caso di
delega ad un professionista ai sensi dell’art. 591 bis cpc
le buste contenenti le offerte debbano comunque essere
depositate presso la cancelleria del tribunale e ricevute
dal cancelliere ,ancorché la loro apertura potrebbe non
avvenire in Tribunale.
Le buste sono aperte alla udienza fissata per l’esame
delle offerte alla presenza degli offerenti.
La nuova disciplina della deliberazione sulle offerte
esprime pienamente l’intento del legislatore di favorire
al massimo grado la definitività della aggiudicazione, arrestandone lo svolgimento alla fase senza incanto.
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A norma degli artt. 572 e 573 cpc (che disciplinano
la deliberazioni sulle offerte) occorre distinguere a seconda che sia presentata una unica offerta ovvero più offerte.
Se viene presentata una unica offerta, gli esiti variano a seconda in quanto:
1) se l’offerta è superiore al valore stimato dell’immobile, aumentato di un quinto, essa deve essere accolta;
2) se l’offerta è inferiore a tale valore, il giudice può dare luogo egualmente alla vendita, a meno che vi sia il
dissenso del creditore procedente o il giudice della
esecuzione ( o il delegato) ritenga che vi siano serie possibilità di una vendita più fruttuosa con il sistema dell’incanto.
Se vengono presentate più offerte, il giudice (o il delegato) invitano gli offerenti a una gara sull’offerta più
alta.
Se gli offerenti non aderiscono allora il giudice (o il
delegato) può disporre la vendita in favore del maggiore offerente oppure ordinare l’incanto.
La nuova normativa ha modificato anche la disciplina della vendita con incanto, della cauzione, del regime
delle offerte dopo l’incanto e le conseguenze della diserzione della gara.
Quanto alla cauzione, a mente dell’art.580 cpc, per
partecipare all’incanto, è necessario aver prestato la cauzione entro il termine fissato dal giudice della esecuzione nell’ordinanza di vendita.
L’ammontare della cauzione è fissato dal giudice in misura non superiore al decimo del prezzo base d’asta.
Non è più previsto il deposito per le spese di trasferimento.
Il secondo comma dell’art.580 cpc prevede che se l’offerente non diviene aggiudicatario, la cauzione è immediatamente restituita dopo la chiusura dell’incanto, salvo che lo stesso, senza documentato o giustificato motivo, abbia omesso di partecipare al medesimo, personalmente o a mezzo di procuratore speciale. In quest’ultimo caso, la cauzione è restituita soltanto nella misura di nove decimi dell’intero e la restante parte è trattenuta come somma ricavata dalla esecuzione.
Si può osservare che la portata della nuova disciplina
è quella di rafforzare la serietà dello intento che muove
l’offerente a partecipare all’incanto e di scoraggiarlo a
disertare l’asta, al fine di evitare la sanzione della perdita di un decimo della cauzione versata.
E’ da rilevare che la modesta entità economica non sarà tale da eliminare del tutto il fenomeno di mandare le
aste deserte, ma la norma, essendo destinata a colpire
chi opera continuamente nel settore, potrebbe avere
egualmente una efficacia deterrente.
Il decreto di aggiudicazione (nella vendita con incanto) è da ritenersi provvisorio in quanto l’art. 584 cpc
- che è stato interamente sostituito con legge n. 80 del
2005 - consente che si propongano offerte dopo l’incanto.
I tratti salienti della nuova disciplina sono i seguenti:
- le offerte dopo l’incanto possono essere presentate
sempre entro il termine perentorio di dieci giorni dall’incanto, ma esse non sono efficaci se il prezzo offerto non supera di un quinto ( e non più un sesto)
quello di aggiudicazione provvisoria. Occorre notare che la legge 80/2005 ha utilizzato questa stessa percentuale ( 25%) anche come limite per definire come
sproporzionate le prestazioni sanzionate come tali
dallo art. 67 L.F.
Tale considerazione induce a ritenere che la riapertura della gara sia connessa alla sproporzione tra il
prezzo di aggiudicazione e quello di mercato;
• le modalità delle offerte dopo l’incanto sono le stesse di quelle previste dall’art. 571 per la vendita senza incanto, ma l’importo della cauzione è pari al doppio della somma fissata dal giudice dell’esecuzione per
partecipare all’incanto;
• una volta verificata la regolarità delle offerte dopo
l’incanto, il giudice dell’esecuzione apre una ulteriore gara, alla quale si darà la medesima pubblicità
prevista dall’art. 570 cpc per la vendita senza incanto fissando anche il termine perentorio entro il quale possono essere fatte ulteriori offerte;
• la nuova norma prevede espressamente che l’aggiudicatario provvisorio sia destinatario di una comunicazione ad personam circa l’indicazione della nuova gara al prezzo offerto dall’aumentante;
• la riforma ha previsto che alla nuova gara possano
partecipare: l’aggiudicatario provvisorio; gli offerenti
in aumento di un quinto; gli offerenti al precedente
incanto che, nel termine perentorio fissato dal giudice, abbiano integrato la cauzione.
L’ultimo comma del nuovo art. 584 cpc stabilisce infine che, nel caso di diserzione della gara indetta a seguito della presentazioni di offerte in aumento, l’aggiudicazione provvisoria diventa definitiva, ed il giudice dell’esecuzione pronuncia a carico degli offerenti la
perdita della intera cauzione depositata, il cui importo viene trattenuto a tutti gli effetti come ricavato della procedura di espropriazione.
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●
Effetti cambiari posti
a garanzia della cessione
di quote di Srl
Commento a Tribunale
di Napoli
Sez. distaccata di Ischia
Sentenza n. 89/07 G.U.
● Gaetano Scuotto
Avvocato civilista
Massima
Il pagamento di un titolo cambiario emesso a garanzia
di cessione di quota societaria, potrà avvenire solo nei
confronti del creditore o ad un terzo quale suo rappresentante ovvero indicato dal creditore o autorizzato
dalla legge o dal giudice a riceverlo, a nulla valendo la
formale intestazione degli effetti in favore del terzo stesso; in mancanza di detta indicazione, il rapporto sottostante gli effetti cambiari sarà privo di giustificazione causale, anche tenuto conto che il rapporto di garanzia, rispetto a quello principale, presuppone l’identità del soggetto creditore. In caso di più debitori solidali, il decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto contro
gli stessi acquista autorità di giudicato sostanziale solo
nei confronti dell’intimato che non abbia proposto opposizione, rimanendo insensibilie all’eventuale accoglimento dell’opposizione avanzata da altro intimato.
“… (omissis)… Motivazione
La presente controversia involge la verifica del credito di 21.392,90 vantato dal sig. A nei confronti dei sigg.ri B e C
in virtù di n. 11 effetti cambiari emessi, in data 1.7.1998,
da questi ultimi in favore del ricorrente e non onorati alla
scadenza del 30-7-99, oltre spese di protesto. Con ricorso
per decreto ingiuntivo depositato in data 17.3.04, il sig. A
chiedeva ingiungersi ai sigg.ri B e C il pagamento in solido
della somma di euro 21.392,90, di cui euro 21.174,70, quale importo di n. 11 cambiali versate in atti emesse da questi ultimi un favore dell’istante nel luglio del 1998, e euro
218,20 per spese di protesto. Con decreto n. 28/04 del
22.3.04 il Tribunale di Napoli, sez. distaccata di Ischia ingiungeva ai sigg.ri B e C il pagamento della somma di euro
21.292,90 oltre interessi e spese di lite. Con la presente opposizione, il sig. B, nel premettere che, con scrittura privata del 24.6.98, il sig. A aveva ceduto la propria quota societaria della zeta s.n.c. ai soci B e C per un valore nominale di £ 5.000.000 e che, a garanzia di tale cessione, erano
stati rilasciati sedici effetti cambiari per un totale di
£60.000.000 in favore del sig. A, padre del sig. D, rinveniva la giustificazione causale sottostante i suddetti effetti
cambiari nella qualità di socio occulto in capo all’opposto,
con conseguente estinzione del credito da quest’ultimo vantato in virtù dei detti titoli, a seguito dello scioglimento in
data 8.6.99 (prima della scadenza in data 30.7.99 dei titoli cambiari richiamati) della società zeta s.n.c. e cancellazione
della stessa dal registro delle imprese in data 24.6.99. Di contro l’opposto nel negare, in capo allo stesso, la qualità di socio occulto della zeta s.n.c., deduceva che la sottoscrizione
in data 1.7.1998 da parte dei soci B e C della sedici cambiali – undici delle quali venivano richieste in pagamento –
di cui scrittura privata del 24.6.98, per l’importo complessivo di £ 60.000.000, era avvenuta in favore del ricorrente
per conto del figlio D, a garanzia del pagamento del prezzo effettivo della cessione della quota societaria di quest’ultimo (il cui valore nominale era stato indicato in
£5.000.000). La cambiale rientra tra le promesse di paga-
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mento e pertanto fa presumere l’esistenza del rapporto fondamentale sino a prova contraria da parte del debitore cartolare (Cass. 81/1256). Nel caso di specie, circostanza pacifica è la emissione da parte dei sigg.ri B e C, quali soci della zeta s.n.c., di una serie di effetti cambiari per l’importo
di £ 60.000.000 - tra cui quelli richiamati nell’atto introduttivo per l’importo di £ 41.000.000 - a garanzia del pagamento del prezzo della cessione della quota societaria del
sig. D disposta con scrittura privata del 24.9.98. Invero, il
rilascio di detti effetti cambiari in favore della parte opposta A, sarebbe avvenuta, secondo la prospettazione di parte opponente, in quanto quest’ultimo rivestiva la qualità di
socio occulto della zeta s.n.c., e secondo la prospettazione
di parte opposta, per conto del figlio D. Invero, a prescindere dalla mancata prova di una titolarità in capo all’opposto della qualità di socio occulto della zeta s.n.c. (non risulta ammissibile al riguardo una prova per testi in quanto in contrasto con l’atto per notar K del 27.11.97 di costituzione della zeta s.n.c. con i soci B e C) non è dato rinvenire, alla luce degli atti di causa, alcun rapporto di provvista sotteso agli effetti cambiari in questione. Al riguardo,
con scrittura privata del 24.6.1998, il sig. A. cedeva la propria quota societaria (di valore nominale pari a £ 5.000.000)
ai soci B e C al prezzo reale complessivo di £ 60.000.000
da pagare entro il 31.7.99. Pertanto, in virtù della suddetta scrittura, titolare del credito relativo al prezzo della cessione della quota societaria, era il cedente sig. D e non già
il terzo A, padre di quest’ultimo. Il rilascio degli effetti cambiari in oggetto dai sig.ri B e C a garanzia del detto pagamento in favore del sig. A, per conto del figlio D, avrebbe
presupposto una indicazione in tal senso da parte del creditore. Infatti ex art. 1188 CC il pagamento deve essere fatto al creditore o al suo rappresentante ovvero alla persona
indicata dal creditore o autorizzata dalla legge o dal giudice a riceverlo. La figura dell’adiectus solutionis causa - che
è il soggetto indicato dal creditore come la persona incaricata di ricevere la prestazione in nome proprio ma per conto di esso creditore – non solo presuppone la costituzione
del vincolo giuridico obbligatorio,ma che su di esso si sia
innestato un rapporto trilaterale, in virtù del quale il creditore abbia indicato al debitore la persona legittimata a ricevere l’adempimento in sua vece con effetto per lui ugualmente liberatorio. In mancanza della prova di una indicazione da parte del creditore D del soggetto terzo incaricato
a ricevere per suo conto, anche solo quale intestatario di effetti cambiali emessi a garanzia del credito vantato, rende
privo di alcuna giustificazione causale sottostante il rilascio
in favore di A degli effetti cambiari azionati. E infatti il rapporto di garanzia presuppone rispetto a quello principale
l’identità del soggetto creditore. Alla luce delle suddette argomentazioni, va accolta la opposizione avverso il decreto
ingiuntivo n. 28/04 proposta dal sig. B nei confronti del sig.
A, e per l’effetto revocato nei confronti della sola parte opponente (non avendo proposto opposizione anche l’altro ingiunto C) il decreto ingiuntivo opposto. Va, al riguardo, precisato che il decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto contro
più debitori solidali acquista autorità di giudicato sostanziale nei confronti dell’intimato che non proponga opposizione e la relativa efficacia resta insensibile all’eventuale accoglimento dell’opposizione avanzata da altro intimato. Le
spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate
come in dispositivo. P.Q.M. tribunale di Napoli, sez, distacc.di Ischia, in persona del giudice unico dott.ssa Maria
Giulia Donati Viscido di Nocera, definitivamente pronunciando sulle domande proposte come in epigrafe, così provvede: accoglie la opposizione proposta dal sig. B nei confronti del sig. A e per l’effetto revoca nei confronti dell’opponente il decreto ingiuntivo 28/04 emesso dal tribunale di
Napoli sez. distaccata di Ischia in data 22.3.04; condanna
A al pagamento in favore di B delle spese processuali che
liquida in euro 77,50 per spese, euro 800,00 per diritti euro 1100,00 per onorari oltre rimborso forfettario, Iva e Cpa
come per legge. Ischia 18.04.07”.
Commento
• Cambiale – natura – efficacia – elementi: la cambiale è un
titolo di credito all’ordine, con funzione creditizia caratterizzata dalla celerità nell’ipotesi di inadempienza, costituendo essa stessa titolo esecutivo, al pari di una sentenza di condanna provvisoriamente esecutiva ovvero passata in giudicato, di talchè il creditore non dovrà citare in
giudizio il debitore, ma potrà proporre direttamente una
azione esecutiva, ovvero notificare il precetto e poi, decorsi infruttuosamente i termini di legge, il pignoramento. Nel caso in cui siano passati più di tre anni dalla scadenza indicata nel titolo, il pagherò non avrà la valenza
di titolo esecutivo e pertanto il prenditore, al fine di ottenere il credito indicato nel vaglia, dovrà agire o con una
azione ordinaria, ovvero, ed in alternativa, con un giudizio monitorio. La cambiale trova disciplina e regolamento sia nella normativa del codice civile che nella legge speciale R.D. 33/1669 che ne prevede due tipi: 1) la cambiale vera e propria anche detto vaglia cambiario o pagherò
cambiario; 2) la cambiale tratta detta anche solo tratta. Il
pagherò è una promessa del debitore (emittente) al creditore (primo prenditore) avente ad oggetto il pagamento
di una certa somma ad una certa scadenza. La cambiale
tratta, invece, (laddove accettata) determina una vicenda
trilatera, poiché ne sono interessati il debitore traente, il
creditore primo prenditore ed il terzo trattario; se il debitore ha a sua volta un proprio debitore può ordinare a quest’ultimo di pagare il debito al terzo creditore. La cambiale
deve rispondere ai requisiti formali stabiliti dalla legge.
L’art. 1 L.C., infatti, pretende che dal titolo risulti: 1) la
denominazione di cambiale inserita nel contesto del titolo ed espressa nella lingua in cui esso è redatto; 2) l’ordine incondizionato nel caso di tratta ovvero la promessa nel caso di cambiale semplice di pagare una somma determinata che va indicata in lettere e cifre prevalendo, in
caso di contrasto, l’indicazione in lettere. Nel caso in cui
la somma da corrispondersi sia scritta più di una volta in
lettere o in cifre, in caso di differenza prevarrà la cifra più
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bassa come stabilito dall’art. 6 L.C.; 3) il nome del trattario e del primo prenditore in caso di tratta o solo di quest’ultimo in caso di pagherò. Ai sensi dell’art 3 L.C., la
cambiale può anche essere emessa a favore dello stesso
emittente che poi provvede a farla circolare mediante girata così come può essere tratta sullo stesso traente; 4) l’indicazione della scadenza,ed in mancanza la cambiale si
considera pagabile a vista (art. 2 co. 2 L.C.); 5) l’indicazione del luogo del pagamento; 6) l’indicazione della data e del luogo di emissione. In difetto di indicazione del
luogo, esso coincide con quello indicato accanto al nome
del traente o del promittente (art. 2 L.C.); 7) la sottoscrizione dell’emittente o traente con nome, cognome, e ditta nonché, in caso di rappresentanza di tale qualità1 con
possibile ratifica, anche implicita, in caso di falsus procu2
rator . È valida anche la sottoscrizione con nome abbreviato o indicato con la sola iniziale.
• Socio occulto – prove – possibilità di sussistenza – presunzioni
e prova testimoniale: la figura del socio occulto, mai realmente riconosciuta dalla legge, se supportata da idonea
prova, può essere chiaramente riconoscibile ed accertata dal Magistrato. Per socio occulto generalmente si intende un soggetto che solo formalmente non risulta parte effettiva di una società, ma che in realtà partecipa sia
dal punto di vista decisionale che economico al risultato
dell’impresa. Ovviamente, il regime di prove a cui sottende
la dimostrazione che il soggetto terzo sia parte integrante di una società, è estremamente rigido, incorrendo, ad
esempio in tutti i limiti della prova testimoniale di cui all’art. 2721 CC, ed in genere tutti i limiti che incontra la
dimostrazione di un fatto presunto avverso un fatto documentale come potrebbe essere una scrittura privata, un
atto notarile ed in genere una prova costituita. Un documento, una prova costituita, si rende pertanto, se non necessaria, quanto mai indispensabile, attesa ed accettata
la residuale possibilità di ricorrere al regime delle presunzioni. Andare a confutare il significato e contenuto di
un documento scritto, però, imporrebbe una azione di simulazione, in alternativa la proposizione di una azione
volta ad invalidare il contenuto dell’atto stesso: percorsi
estremamente complessi e lunghi se proposti in maniera
autonoma e non incidentale. Il ricorso al regime delle pre-
•••
1 Corte di Cassazione, n. 4763 del 1993: “Requisiti per la valida assunzione di una obbligazione cambiaria in nome altrui sono, ai sensi dell’art. 11 r.d. 14 dicembre 1933 n. 1669, non solo l’esistenza di una procura o di un potere ex lege, ma anche l’apposizione della sottoscrizione
con l’indicazione della qualità, ancorché senza l’uso di formule sacramentali e con le sole modalità idonee a rendere evidente ai terzi l’avvenuta assunzione dell’obbligazione per conto di altri, come nel caso di
collocazione della firma cambiaria sotto il timbro di una società, sufficiente a rivelare la volontà del sottoscrittore di impegnarsi in rappresentanza dell’ente, con la conseguenza che a questo ultimo deve rivolgersi il beneficiario del titolo, salva l’eccezione, proponibile soltanto dal
rappresentato, del difetto o eccesso di rappresentanza del sottoscrittore”. Giur. It. 94, I, 1, 960
2 Cass., sez. I, 04-05-1994, n. 4321: “La ratifica dell’obbligazione
sunzioni è a questo punto necessario. Ma arriviamoci gradatamente. Per prove presuntive (anche considerate prove critiche), definite dall’art. 2727 CC intendiamo le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto
3
per risalire ad un fatto ignoto . Le presunzioni legali a loro volta si suddividono in legali assolute e legali relative.
Le prime, dette anche presunzioni iuris et de iure, operano più sul piano sostanziale che probatorio, nel senso
che esse tendono a fissare una equipollenza tra fatto produttivo di un dato effetto ed altro fatto dalla legge equiparato. Quanto alle presunzioni relative dette anche iuris tantum, pur non presentando un forte aspetto di equiparazione funzionale, non sembrano inquadrarsi perfettamente nel fenomeno probatorio, perché è pur sempre
il fatto dell’equipollenza piuttosto che l’evento da provare
ad essere oggetto di prova contraria. Le presunzioni semplici, che sono quelle non stabilite dalla legge ma lasciate alla prudenza del giudice, sono invece mezzi di prova,
che rilevano solo in quanto gravi, precise e concordanti
(art. 2729 CC). La prova testimoniale, unitamente al richiamato regime probatorio delle presunzioni, costituiscono efficaci mezzi per ricostruire il ruolo attivo e sostanziale del socio occulto. È opportuno ricordare che
l’art. 2721 CC al secondo comma prevede la possibilità,
4
rimessa al Magistrato , di ammettere comunque la prova testimoniale anche accedendo i limiti di cui al primo
comma del citato articolo, avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e ad ogni altra circostanza. Circostanza che può apparire anche come presunzione implicita, tenuto conto, ovviamente, che il giudicante non potrà oltrepassare i limiti di cui all’art. 112
c.p.c., in applicazione del principio della corrispondenza
tra chiesto e pronunciato. Il rapporto che c’è tra presunzioni e prova testimoniale è molto stretto, quasi genetico come dichiarato dall’art. 2729 CC II co “Le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge
5
esclude la prova per testimoni (c. 2721 ss.)” . Anche il divieto della prova testimoniale, però, trova nel codice civile, all’art. 2724 CC, determinate e specifiche eccezioni
“la prova per testimoni è ammessa in ogni caso: 1) quando vi è un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona concambiaria assunta dal falsus procurator non richiede la forma scritta
(stante l’inapplicabilità dell’art. 1399, come del precedente art. 1392 c.c.,
alle obbligazioni cartolari) e può avvenire anche per implicito, purché
risulti da un comportamento non equivoco che dimostri l’intenzione dell’interessato di accettare le conseguenze dell’altrui operato” Giust. Civ.
94, I, 2143.
3 Fabbrini, D, XIV, 279.
4 Cass., sez. III, 22-07-2004, n. 13621: “L’ammissione della prova
testimoniale oltre i limiti di valore stabiliti dall’art. 2721 c.c. costituisce
un potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio è insindacabile in sede di legittimità ove sia correttamente motivato”
5 Cass., sez. III, 21-12-2004, n. 23692: “La prova per presunzione è
consentita in tutti i casi in cui la legge non esclude la prova per testimoni
e, quindi, anche nel caso in cui il giudice, ammettendo tale mezzo oltre
i limiti fissati dall’art. 2721, 1º comma, c.c., abbia esercitato la facoltà
prevista dal 2º comma di detto articolo”
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tro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante,
che faccia apparire verosimile il fatto allegato (c. 241, 242,
2717)”. Tali eccezioni, una volta ammessa la prova testimoniale nel giudizio di accertamento della figura di socio occulto, potrebbero aiutare il difensore a dimostrare
che quel tale terzo soggetto è socio occulto di quella tale
società. Difatti, come nella sentenza in commento, il soggetto intestatario dei pagherò cambiari, quali garanzie per
la cessione di quote societarie intestate al figlio, laddove
non fosse socio, non avrebbe titolo a ricevere le cambiali. E pertanto delle due l’una: o il terzo è socio occulto,
o il rapporto di provvista sottostante gli effetti cambiari
è senza giustificazione causale. Nel secondo caso il terzo
non avrà diritto ad incassare la somma di cui ai pagherò, siccome il rapporto di garanzia presuppone rispetto
a quello principale l’identità del soggetto creditore.
• Destinatario del pagamento: l’art. 1188, c.c. espressamente prevede che “ 1. Il pagamento (c. 1321 ) deve essere fatto al creditore (c. 1000) o al suo rappresentante (c. 1387
ss. ), ovvero alla persona indicata dal creditore o autorizzata dalla legge o dal giudice a riceverlo (c. 1208 n. 1). 2.
Il pagamento fatto a chi non era legittimato a riceverlo libera il debitore, se il creditore lo ratifica (c. 1399) o se ne
ha approfittato (c. 1190). art. 1188, c.c.” Tenuto conto
della figura dell’adiectus solutionis causa, il Giudice del Tribunale di Napoli sez. distaccata di Ischia, ha ritenuto, in
applicazione del principio di cui al citato articolo, di negare la riscossione del credito cartolare a chi non fosse stato l’effettivo creditore, o suo rappresentante ovvero persona indicata o autorizzata dal creditore o dalla legge o
dal giudice all‘incasso, precisando che tra A, B e D non si
era assolutamente innestato un rapporto trilaterale, e che
quindi D non avesse mai indicato a B la persona legittimata a ricevere l’adempimento in sua vece, e che pertanto A aveva agito senza alcuna giustificazione causale.
• Obbligazioni solidali e giudicato sostanziale – diversità con
il giudicato implicito: L’autorità del giudicato sostanziale
opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identità di soggetti, oltre che di
petitum e di causa pretendi (Cass. 02/125646, 95/4751,
87/1382). Ciò comporta che se nei confronti di due o più
soggetti opera il giudicato sostanziale di una statuizione
giurisdizionale, gli stessi debbono osservare il dettato di
quella statuizione anche quando uno dei soggetti non
abbia partecipato al giudizio, ovvero sia stato contuma-
ce volontario. Richiamando la sentenza Cass. n. 7881 del
20.05.2003, il giudicante ha, in buona sostanza, rimarcato il principio di cui all’art. 1306, co. I, CC “1. La sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha
effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori
(c. 29097)” così precisando che la sentenza di chiusura del
procedimento cognitivo instauratosi a seguito della opposizione proposta da uno degli ingiunti, non esplica i sui
effetti nei confronti di altro debitore solidale verso il quale, invece, il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato sostanziale8. Pertanto, il debitore che non ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo, dovrà corrispondere quanto ingiuntogli in fase monitoria. Cosa ben
diversa dal giudicato sostanziale è il giudicato implicito9,
il quale si forma su quella parte della domanda che non
solo non sia stata accolta con la sentenza impugnata, ma
che non sia stata neanche gravata, tale da precludere che
la domanda medesima possa essere riproposta in separata sede. Ma affinché possa parlarsi di giudicato implicito è necessario che dalla sentenza si evinca che su quella domanda vi sia stata una decisione implicita di rigetto; a tal fine non è sufficiente che la domanda non espressamente decisa sia in qualche modo connessa con quella
decisa, ma si richiede che essa sia legata all’altra da un
rapporto di dipendenza indissolubile, sì da costituirne il
presupposto di fatto e l’antecedente logico-giuridico. Pertanto, il giudicato sostanziale opera ed insiste sugli elementi costitutivi dell’azione (identità di soggetti, petitum
e causa pretendi), il giudicato implicito, invece, insiste su
quella parte della sentenza impugnata non solo non accolta, ma anche non gravata.
• Conclusioni: Il Tribunale di Napoli, sez. distaccata di
Ischia, in accoglimento della opposizione a decreto ingiuntivo concesso su credito cambiario costituito da n.
11 effetti, posti a garanzia di cessione di quota societaria avvenuta con scrittura privata, nel richiamare
l’art. 1188 CC, ribadisce il principio secondo il quale
il pagamento deve essere fatto al creditore o al suo rappresentante ovvero alla persona indicata dal creditore
o autorizzata dalla legge o dal giudice a riceverlo, in
considerazione del fatto che il titolare del prezzo della
cessione della quota societaria era il cedente, giammai
il terzo che agiva, risultando quest’ultimo solo formalmente, ma non sostanzialmente, l’effettivo titolare
del credito cambiario.
•••
reso esecutivo per mancata opposizione ha efficacia di giudicato sostanziale.”
9 Cass. 12905 del 19.12.1997: “in caso di omessa espressa pronuncia
su di una domanda si forma, ove la sentenza passi in cosa giudicata per
mancata impugnazione, un giudicato implicito sul punto del mancato accoglimento della domanda non espressamente decisa, tale da precludere
che la domanda medesima possa essere riproposta in separata sede, allorché questa sia legata a quella decisa da un rapporto di dipendenza indissolubile, sì da costituirne il presupposto di fatto e l’antecedente logico-giuridico”.
6 Cass., sez. II, 27-08-2002, n. 12564: “L’autorità del giudicato sostanziale opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi
dell’azione e presuppone che tra la precedente causa e quella in atto vi
sia identità di soggetti, oltre che di petitum e di causa petendi”.
7 Art. 2909, CC, Cosa giudicata: “1. L’accertamento contenuto nella
sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa (c. 1306)”
8 In tal senso anche A. Venezia, 26-01-2004. “Il decreto ingiuntivo
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●
1. L’intervento della Cassazione a Sezioni unite
in tema di notifica al temporaneamente assente
L’assenza del destinatario
La via crucis
del notificante
● Leonardo Pica
Giudice presso il Tribunale di Napoli
•••
1 Cass. S.U., ord. 13 gennaio 2005, n. 458, in “Foro it.”, 2005, I, col.
699 ss.; in “Corriere giuridico”, 2005, p. 351 ss.; in “Diritto e giustizia”,
2005, fasc. n.7, p. 14 ss.; in “Giust. civ.”, 2005, I, p. 935 ss.; in “Riv. dir.
trib.”, 2005, II, p. 185 ss.; in “Riv. dir. proc.”, 2006, p. 389 ss..
2 Cass. S.U. 5 novembre 1981, n. 5825, in “Foro it.”, 1982, I, col. 418
ss.; in “Giust. civ.”, 1982, I, p. 431 ss..
Questa pronunzia è intervenuta proprio a risolvere il contrasto tra coloro che giudicavano una mera irregolarità la mancata allegazione dell’avviso di ricevimento all’originale dell’atto (Cass. 11 maggio 1948, n. 690,
in “Giur. It.”, 1949, I, 1, p. 62 ss.; Cass. 21 maggio 1962, n.1161, in
“Giust. civ.”, 1962, I, p. 2149 ss.; Cass. 30 ottobre 1969, n. 3619, in “Foro it.”, Rep. 1970, voce Notificazione civ. n. 17; Cass. 8 settembre 1978,
n. 4068, in “Foro it.”, Rep. 1978, voce Notificazione civ. n. 33; etc.; in
dottrina, hanno sempre concordato con questo orientamento: G. BALENA, voce Notificazione e comunicazione, in Dig. disc. priv., sez. civ., XII,
Torino, 1995, p. 267 ss.; S. LA CHINA, voce Notificazione - II) diritto
processuale civile, in Enc. giur., XXI, agg., Roma, 2000, 3; G. MARTINETTO, voce Notificazione “dir. proc. civ.”, in Noviss. dig. it., XI, Torino, 1965, p. 398.) e coloro che ritenevano necessaria l’allegazione della ricevuta di ritorno, al fine di verificare che la raccomandata fosse stata regolarmente recapitata (Cass. 23 maggio 1980, n. 3409, in “Foro it.”,
La pronunzia della S.C. a Sezioni unite n. 458/20051
ha provocato di primo acchito l’impressione che si volesse
“gettare una pietra in uno stagno”.
Fuor di metafora, ad uno stagno è assimilabile l’orientamento giurisprudenziale assolutamente univoco in
ordine alla questione del perfezionamento della notifica
compiuta ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ.. Infatti, a
partire dalla decisione della S.C. a Sezioni unite n.
5825/1981, si è sempre ritenuto che la notificazione, effettuata ai sensi dell’art. 140 cit., si perfezioni, dopo il deposito dell’atto presso il comune e l’affissione di un avviso alla porta dell’abitazione, con la spedizione al destinatario della raccomandata con avviso di ricevimento,
contenente la notizia di detto deposito, e che siano peraltro
irrilevanti sia l’avvenuta consegna della raccomandata al
destinatario, sia l’allegazione dell’avviso di ricevimento
2
sottoscritto dallo stesso (o da altra persona legittimata).
Questa interpretazione è stata avallata anche dalla
Corte costituzionale,3 la quale ha sempre dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale.4
In questo contesto, ossia in assenza di un contrasto di
giurisprudenza, l’intervento delle Sezioni unite può ben
dirsi “un fulmine a ciel sereno”, posto che la Corte ha colto l’occasione per capovolgere l’indirizzo giurisprudenziale
ormai pluriennale di cui si è detto.5
Ad avviso delle Sezioni unite:
• resta fermo il principio, secondo cui la notificazione,
eseguita ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ., si perfeziona con la spedizione della raccomandata (che determina l’effetto di conoscibilità legale nei confronti del
destinatario);
• tuttavia, la ricevuta di ritorno della raccomandata (la
cd. cartolina verde) va necessariamente allegata all’originale dell’atto;
1980, I, col. 2537 ss.; in questo senso, in dottrina, cfr.: C. PUNZI, Commentario del codice di procedura civile, diretto da Allorio, Torino, Utet
1973, p. 1499 ss.; A. TRAVI, Notificazione per mezzo della posta e integrazione postale della notificazione per affissione, in “Giur. It.”, 1949,
I, 1, p. 62 ss.).
3 Corte cost. 15 luglio 1975, n. 213, in “Foro it.”, 1975, I, col.
1572 ss.
4 Per una più dettagliata panoramica sulla dottrina, sulla giurisprudenza
di legittimità e su quella costituzionale, in ordine alla questione della valenza della spedizione della raccomandata, mi permetto di rinviare a L.
PICA, L’assente ha sempre ragione?, in Annali 7/2005, Università degli
Studi del Molise, Napoli, E.S.I. 2006, p. 49 ss., e a L. PICA, Notifica all’assente: così gli ermellini. La giurisprudenza sui casi di irreperibilità del
destinatario, in “Diritto e giustizia”, 2006, 27, p. 56 ss.
5 Nell’ordinanza della quinta Sezione civile della Cassazione, con cui
le Sezioni unite sono state investite della questione, si fa riferimento a due
orientamenti ipotizzati in conflitto. In realtà, i due indirizzi riguardano
due modalità diverse di notificazione: l’uno, per il quale la mancanza dell’avviso di ricevimento comporta l’inesistenza della notifica, concerne le
notificazioni degli atti eseguite mediante il servizio postale (cfr., ad esempio, Cass. 3 agosto 1999, n. 8403); l’altro, per cui l’avviso di ricevimento sarebbe irrilevante, attiene alle notificazioni effettuate ai sensi dell’art.
140 cod. proc. civ. (vedi Cass. 5 luglio 1997, n. 6060).
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• la mancata allegazione dell’avviso di ricevimento comporta la nullità della notifica.
Questo mutamento d’indirizzo suscita più d’una perplessità.
Sia, anzitutto, ben chiaro che non s’intende porre in
dubbio l’ammissibilità del revirement della S.C.
Vero è che la certezza del diritto, specie in materia processuale, è di per sé un valore inestimabile, a presidio
del quale è posta proprio la Corte suprema di cassazione, cui è rimesso il compito di assicurare l’uniforme interpretazione della legge.6
Il diritto (anche quello cd. vivente), però, non può essere immutabile, ma deve adattarsi alle “sopravvenienze”, ossia alle trasformazioni sociali, alle modifiche degli altri dati normativi, etc..
D’altronde, nel caso di specie, il mutamento di indirizzo è stato ampiamente giustificato da parte dei supremi giudici, i quali hanno evidenziato la necessità di
tener conto delle recenti sentenze della Corte costituzionale in tema di notificazioni,7 in virtù delle quali è
stata anticipata, per il notificante, l’efficacia della notifica alla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario.
Piuttosto, vi è da dire che un revirement in tanto si
giustifica, in quanto gli argomenti giuridici posti a fondamento del nuovo orientamento siano di spessore maggiore rispetto a quelli che accreditavano le pregresse
opinioni. Sotto questo profilo, per le ragioni che si illustreranno, non sembra affatto che la soluzione interpretativa prescelta dalla S.C. sia ineccepibile, soprattutto
perché non è ravvisabile nel nostro ordinamento un dato normativo certo, dal quale desumere che nel caso de
quo l’allegazione dell’avviso di ricevimento sia prescritta
a pena di nullità della notifica.
La verità è, com’è detto expressis verbis nell’ordinanza
n. 458/2005, che l’intento dei supremi giudici è stato
quello di indurre a che si faccia tutto il possibile per avvisare il destinatario.
Tale intento, ovviamente, è senz’altro apprezzabile e
giustamente la Corte afferma che la tutela del contraddittorio deve essere effettiva e non formale.
Tuttavia, quando si va ad incidere su quell’equilibrio, sempre precario, tra la posizione del notificante e
•••
6 Non occorrono troppe parole per illustrare la gravità delle conseguenze di un revirement interpretativo in materia processuale. Per rimanere al nostro caso, è sufficiente evidenziare che il nuovo orientamento della Suprema Corte, pur non valendo con efficacia retroattiva, alla stregua di una dichiarazione d’incostituzionalità, spiega certamente i propri effetti anche sui processi in corso, il che può portare
a far dichiarare la nullità di notifiche già eseguite. Ad esempio, ove si
ritenga che, in base al nuovo indirizzo adottato dalla S.C., sia da giudicare nulla la notifica della citazione introduttiva, detto annullamento può condurre finanche a far annullare ex art. 159 cod. proc. civ.
tutti gli atti di un processo magari giunto al suo epilogo.
7 Cfr. Corte cost. 26 novembre 2002, n. 477, in “Corriere trib.”,
quella del destinatario della notifica, occorre essere avvisati del fatto che sta in agguato il rischio che si finisca per offrire tutela indiscriminatamente a tutti i destinatari, ivi compresi quelli che si sono strategicamente messi in condizione di non essere rintracciati.
In definitiva, il dubbio è che la Corte suprema non si
sia avveduta del fatto che nel nostro paese l’eccessivo
garantismo favorisce soprattutto i furbi e che il nuovo
orientamento verrà salutato favorevolmente specie da
coloro che, per far perdere tempo, potranno trovare
conveniente (ancor più di prima) fare i “girovaghi”,
rendersi irreperibili e indurre i familiari, il portiere, etc.
a rifiutare la consegna degli atti.
Si vuol dire che, spostando i pesi da un piatto all’altro della bilancia, sia pure al fine di meglio tutelare il
diritto di difesa, si corre il pericolo di pregiudicare il diritto di agire in giudizio in tempi ragionevoli, che pure
è meritevole di analoga tutela.
Insomma, il sasso nello stagno ha provocato uno spostamento d’acqua, la cui portata va ben valutata. Affinché non risulti pregiudizievole per il notificante - la
cui barchetta rischia di affondare in acque divenute perigliose -, il nuovo orientamento dovrà essere applicato cum grano salis e dovrà indurre a mutare anche altri principi del diritto vivente, al fine di addivenire davvero ad un bilanciamento delle opposte esigenze.8
2. Le motivazioni della S.C.: l’argomento testuale e logico
Per giustificare il proprio mutato orientamento, la
Cassazione ha sostanzialmente utilizzato tre argomenti.
Anzitutto, vi è un argomento testuale e logico. Ad avviso della Corte, dal confronto del tenore dell’art. 140
cod. proc. civ. con quello dell’art. 139 co. 4 cod. proc.
civ. (che concerne la notifica a mani del portiere o del
vicino di casa), si evince che il recapito della raccomandata è importante. Altrimenti, non si comprende
perché la legge avrebbe richiesto la spedizione di una raccomandata con avviso di ricevimento, anziché di una
raccomandata semplice.9
Il ragionamento non è persuasivo, in quanto proprio
il confronto tra le due fattispecie aiuta a cogliere il reale significato che la legge attribuisce alla spedizione della raccomandata nelle due ipotesi.
2003, p. 151 ss; in “Riv. dir. trib.”, 2003, II, p. 131 ss.; in “Foro it.”,
2003, I, col. 13 ss.; in “Giur. it.”, 2003, p. 627 ss.; Corte cost. 23 gennaio 2004, n. 28, in “Giur. cost.”, 2004, p. 1 ss.; in “Foro it.”, 2004,
I, col. 645 ss.; in “Giur. it.”, 2004, p. 939 ss..
8 Ancora recentemente, d’altra parte, la Corte costituzionale ha avuto modo di ribadire che il bilanciamento tra l’interesse del notificante
al compimento della notificazione e l’interesse del destinatario all’effettiva conoscenza dell’atto notificato deve essere ragionevole (cfr.
Corte cost. 22 luglio 2005, n. 310).
9 Secondo la Corte, quando la notifica viene fatta a mani del portiere (o di un vicino), è prescritto che la notizia al destinatario venga
data con una raccomandata semplice, poiché la consegna dell’atto al
portiere è formalità ben più affidabile rispetto all’affissione di un avviso alla porta.
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Nel caso della notifica eseguita a mani del portiere (o
del vicino di casa), la spedizione della raccomandata non
è una formalità essenziale del procedimento, ma è solo diretta a dare notizia al destinatario della già “avvenuta”
notificazione. La spedizione della raccomandata è posta
al di fuori della fattispecie, in quanto si ritiene comunemente che la notifica si perfezioni al momento della consegna dell’atto (al portiere o al vicino). Orbene, a prescindere dalle ragioni poste a fondamento di siffatta previsione, che certamente si configura quale norma imperfetta, ossia non munita di adeguata sanzione, sta di fatto
che l’eventuale mancata spedizione non può che comportare una mera irregolarità.10
Viceversa, nel caso della notifica ex art. 140 cit., la spedizione della raccomandata è richiesta al fine del perfezionamento della notifica. Stavolta, però, è il recapito della raccomandata che è posto al di fuori della fattispecie,
come emerge dal chiaro tenore della norma, che parimenti va definita quale norma imperfetta.11
In definitiva, quand’anche si vogliano giudicare inutili dette previsioni, l’interpretazione testuale dovrebbe
indurre a tenerne conto e non a manipolarle.12
3. Il perfezionamento provvisorio
Il nuovo orientamento si giustifica, secondo la Corte, anche alla luce delle recenti sentenze del giudice delle leggi in tema di notifiche. Si sostiene che se, da un lato, il perfezionamento della notificazione nei confronti
del notificante è anticipato al momento della consegna
dell’atto all’ufficiale giudiziario, ben può dirsi, d’altro
•••
10 Cfr. Cass. 28 settembre 1959, n. 2623; 11 febbraio 1974, n. 397;
3 marzo 1983, n. 1581; 20 aprile 1994, n. 3767; 20 settembre 1997,
n. 9329; 13 maggio 2003, n. 7349.
Va segnalato, peraltro, che, secondo una recente decisione, in caso di
notifica con consegna al portiere, la mancata spedizione della raccomandata comporterebbe non una mera irregolarità, ma la nullità della notifica, per le stesse argomentazioni poste a sostegno della pronuncia
n. 458/2005 (cfr. Cass. 6 maggio 2005, n. 9510). Non pare, però, che
questa conclusione tenga in adeguata considerazione il fatto che, fintantoché la spedizione della raccomandata non assurge al ruolo di requisito formale indispensabile, la sanzione della nullità è ingiustificata (cfr. art. 156 co. 2 cod. proc. civ.).
11 Tra l’altro, l’art. 48 n. 2 disp. att. cod. proc. civ. stabilisce che
l’avviso deve contenere l’indicazione della natura dell’atto “notificato”, ossia allude ad un’attività già esaurita, il che induce a considerare la notifica già compiuta, indipendentemente sia dalla ricezione della raccomandata, sia dalla sorte dell’avviso affisso. Sul punto, cfr. amplius G. SORGE, Notificazione in caso di irreperibilità, incapacità o
rifiuto di ricevere la copia, in “Foro it.”, 1958, IV, col. 70.
12 Condivide la tesi, secondo cui la spedizione della raccomandata esaurisce il procedimento ex art.140 cit. e fa entrare l’atto nella sfera di conoscibilità del destinatario, per cui la mancata allegazione dell’avviso di ricevimento integra una mera irregolarità, B. SARACENI,
Notificazioni all’irreperibile: la pronuncia delle sezioni unite sulla scissione del perfezionamento del procedimento notificatorio, in “Giust.
civ.”, 2005, I, p. 952.
Anche A. M. MARZOCCO, Perfezionamento del “procedimento” di
notificazione ex art. 140 cod. proc. civ. e funzione dell’avviso di rice-
canto, che per il destinatario il perfezionamento della
notifica al momento della spedizione della raccomandata sia solo “provvisorio” o “anticipato”, essendo destinato a consolidarsi con l’allegazione, all’originale dell’atto, dell’avviso di ricevimento, le cui risultanze possono confermare o smentire che la notifica abbia raggiunto lo scopo cui era destinata.
Sia ben chiaro che la Cassazione continua ad ammettere che la notifica si perfeziona (nei confronti del
destinatario dell’atto) al momento della spedizione della raccomandata, il che si desume dal tenore testuale dell’art. 140 cit., dalla struttura del procedimento da detta norma contemplato, ma anche dall’esigenza logica di
ancorare l’effetto legale tipico della conoscibilità ad una
data certa.
Per giustificare, però, la seconda conclusione, quella
secondo cui sarebbe necessario sempre allegare la cartolina verde, al fine di dimostrare che la raccomandata
sia pervenuta al destinatario, la Suprema Corte ha aggiunto che il perfezionamento sarebbe solo provvisorio.
Questa tesi non convince.
Già i primi commentatori della pronuncia13 hanno segnalato che non sembra opportuno discorrere di “perfezionamento provvisorio”, posto che una fattispecie o
si perfeziona definitivamente o non si perfeziona. Semmai, può dirsi che provvisoriamente, rispetto al suo perfezionamento, una fattispecie può produrre alcuni effetti
cd. preliminari.14
In ogni caso, è contraddittorio, sul piano teorico, sostenere che il procedimento si perfeziona al momento
vimento, in “Riv. dir. civ.”, 2006, II, p. 535 ss., ritiene che la Corte abbia finito per enfatizzare, più che valorizzare, il ruolo dell’avviso di ricevimento e che ciò, in mancanza di un’espressa previsione, non sia
condivisibile.
Giudica, invece, benemerito il nuovo orientamento della S.C., proprio
per il fatto che pone rimedio ad un autentico paradosso, R. GIORDANO, La notifica a destinatari irreperibili in un grand arrét delle sezioni unite, in “Giust. civ.”, 2005, I, p. 1510. Aderisce, nel suo complesso, alla decisione delle Sezioni unite, pur giudicando eccessivo che
il consolidamento dell’effetto della notificazione si abbia solo nel momento in cui il destinatario abbia avuto effettiva conoscenza dell’atto, G. BASILICO, Riflessioni sull’orientamento della giurisprudenza
di cassazione successivo alle recenti decisioni costituzionali in tema di
notificazione, in “Riv. dir. proc.”, 2006, p. 396 ss.
13 R. CAPONI, Svolta delle Sezioni unite nella disciplina della notificazione ex art. 140 cod. proc. civ., in “Foro it.”, 2005, I, col. 699
e ss.; R. CONTE, Revirement delle Sezioni unite sulle formalità di notifica ex art. 140 cod. proc. civ.: si sana un’incongruenza, ma ne resta
aperta un’altra, in “Corriere giuridico”, 2005, p. 356 ss.
14 Così anche R. CAPONI, ivi, col. 702, che evidenzia, altresì, che
non vi sarebbe ragione per anticipare gli effetti della notifica al momento della spedizione della raccomandata, posto che il notificante è
gia tutelato, in via generale, dal fatto che la notifica produce effetti, ai
fini dell’osservanza di eventuali termini di decadenza, fin dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario.
Anche A. M. MARZOCCO, op. cit., p. 568, sostiene che erroneamente
la Corte fa dipendere il consolidamento del perfezionamento dall’allegazione dell’avviso di ricevimento e che detto avviso, più che come
una condizione risolutiva sui generis, rileva su un piano eminentemente
probatorio, ossia quale strumento di controllo della validità della notificazione.
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della spedizione della raccomandata, ma che la mancata produzione dell’avviso di ricevimento ne determina
la nullità. Invero, vi è una contraddizione in termini
nell’affermare, da un lato, che l’avviso di ricevimento
non costituisce parte integrante della relazione di notifica (come nel caso della notifica postale, giusta quanto previsto dall’art. 149 co. 2 cod. proc. civ.) e, dall’altro, che l’allegazione di detto avviso all’originale dell’atto
notificato è ugualmente necessaria.15
La verità è che, al fine di garantire la conoscibilità dell’atto da parte del destinatario e per evitare, nel contempo, le incongruenze logico-giuridiche appena segnalate, sarebbe necessario fare un passo in più, ossia
ammettere che la notificazione si perfezioni (nei confronti del destinatario dell’atto) al momento della ricezione della raccomandata.16
Neanche questa soluzione è, però, condivisibile.
Non solo, e non tanto, perché sembra disinteressarsi del dato normativo, che colloca al di fuori della fattispecie il recapito della raccomandata, ma soprattutto perchè trascura la finalità stessa dell’art. 140 cit., che
è quella di assicurare il compimento della notifica anche in caso di irreperibilità del destinatario, ovviando
a tutte quelle difficoltà di ordine materiale che rendono impossibile la consegna, scongiurando anche eventuali pratiche dilatorie (che il destinatario potrebbe
mettere in atto, per non farsi raggiungere).
E’ evidente che il procedimento ideato dal legislatore rappresenta una soluzione di “compromesso” tra
opposte esigenze.
In caso di assenza (più o meno prolungata) dai luoghi in cui si può essere reperiti, ciascuno deve predisporre quelle cautele che gli permettano di essere raggiunto da eventuali comunicazioni.17 Ne consegue che,
ove dette accortezze non siano adottate o, addirittura,
nel caso in cui il destinatario dia istruzione agli eventuali possibili consegnatari di rifiutare la consegna, il
mittente ha diritto di veder ugualmente compiuta la notifica.
D’altra parte, l’assunzione di misure precauzionali in
vista di eventuali notificazioni può essere talora eccessivamente difficoltosa (si pensi alle assenze nel periodo delle ferie estive), per cui non è giusto che il destinatario sia
pregiudicato per il solo fatto di non essere stato in casa
al momento dell’accesso dell’ufficiale giudiziario.
Per contemperare gli interessi in conflitto, dunque, il
legislatore ha dovuto predisporre altri adempimenti, da
sostituire a quello della consegna (che è impossibile), per
far sì che l’atto giunga lo stesso al destinatario. E’ per
questo che l’atto va lasciato in deposito presso il comune,
a disposizione del destinatario, che di ciò viene informato
mediante un avviso affisso alla porta e tramite una lettera raccomandata.
Il legislatore ha imposto tale duplice forma di comunicazione, proprio per tener conto dei rischi connessi sia
all’affissione (potendo l’avviso affisso sulla porta essere disperso o sottratto prima dell’arrivo del destinatario), sia alla spedizione della raccomandata (stanti le possibili disfunzioni e i ritardi della distribuzione della posta).
Ciò posto, se si pretende che la notifica si perfezioni
solo se, e quando, detto secondo avviso sia recapitato,
si torna al punto di partenza.18
Se il meccanismo è congegnato per far fronte alla irreperibilità (talora involontaria, ma altre volte ostruzionistica) del destinatario, subordinare il perfezionamento della notifica al recapito dell’avviso significa non
risolvere il problema, poiché per gli stessi motivi per i
quali non è stato possibile consegnare l’atto, potrebbe
essere impossibile recapitare l’avviso.
Pur valutando positivamente la nuova presa di posizione della S.C.,
sottolinea invece che non ha senso ragionare in termini di efficacia provvisoria o anticipata in relazione ad una notifica che si ritiene già perfezionata, operando piuttosto la nullità per mancata allegazione dell’avviso sul versante della rimozione retroattiva della notificazione
stessa e dei relativi effetti, C. GLENDI, Occorre la ricevuta di ritorno
per la validità della notifica ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ., in “Corriere trib.”, 2005, p. 860.
15 A voler seguire l’impostazione della Cassazione, sarebbe più coerente ammettere che, nel caso di notifica ex art. 140 cod. proc. civ., l’attività dell’ufficiale giudiziario non esaurisce il procedimento, in quanto
va integrata da quella dell’agente postale. Per questa via, però, questa
forma di notifica finirebbe con essere inutilmente sovrabbondante, rispetto a quella che si effettua a mezzo posta.
16 Di questo avviso sono: R. CAPONI, op. cit., col. 701 e R. CONTE, op. cit., p. 365.
In passato, hanno ritenuto che la notifica ex art. 140 cit. dovesse ritenersi compiuta solo al momento della ricezione, da parte del destinatario, della lettera raccomandata: V. ANDRIOLI, Diritto processuale
civile, I, Napoli, Jovene 1979, p. 514-515; P. D’ONOFRIO, Commento
al cod. proc. civ., Torino, 1957, I, p. 268 ss.; G. TERZAGO, La notificazione agli irreperibili: formalità necessarie, in “Giust. civ.”, 1964,
I, p. 1860 ss..
Più di recente è stato sostenuto, addirittura, che, in applicazione analogica del novellato art. 8 della legge n. 890/1982 (come modificato
per effetto dell’art. 2 co. 4 del d.l. n. 35/2005, in vigore dal 15 maggio 2005), anche la notifica ex art. 140 cit. deve ritenersi perfezionata alla stregua della notifica a mezzo posta per compiuta giacenza, ossia decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della raccomandata o
al momento in cui il destinatario ritira il plico presso il comune, se anteriore (Trib. Genova 3 novembre 2005, in “Diritto e giustizia”, 2006,
fasc. n. 6, p. 19 ss.). Tale tesi, che si preoccupa di garantire al destinatario certezze non solo in ordine all’an, ma anche in ordine al quando si determina la conoscibilità dell’atto, sembra trascurare il fatto che
nella specie non può ricorrersi all’analogia, in quanto non è vero che
l’art. 140 cit. nulla dispone in merito al momento perfezionativo della notifica (in tal senso anche M. DI MARZIO, Quell’ingiunzione al
debitore assente. I giudici: ora garanzie uguali per tutti, in “Diritto e
giustizia”, 2006, fasc. n. 6, p. 16 ss.).
17 In tal senso, cfr. Corte cost. 15 luglio 1975, n. 213, cit..
18 Non si trascuri, inoltre, il fatto che, per giurisprudenza pacifica,
in mancanza dell’avviso di ricevimento, l’attestazione della spedizione a mezzo posta (ossia la ricevuta rilasciata dall’ufficio postale) è idonea almeno a determinare una presunzione semplice della ricezione (o,
meglio, dell’arrivo della raccomandata a destinazione), in considerazione dei particolari doveri che la spedizione impone all’ufficio postale in ordine al suo inoltro e alla consegna al destinatario (cfr. Cass. 9
settembre 1996, n. 8180; 15 maggio 1998, n. 4915; 27 luglio 2001,
n. 10284; 3 luglio 2003, n. 10536; 18 agosto 2003, n. 12078; 22 febbraio 2006, n. 3873, etc.).
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In buona sostanza, non appare logico un sistema, alternativo a quello della consegna, che ne ripropone gli
inconvenienti, ossia un procedimento di notifica, che
abbia come elemento essenziale l’onere della consegna
di un atto al destinatario, un procedimento, cioè, che sia
incentrato pur sempre su quel recapito, che non si è potuto effettuare.19
Inoltre, anche se, ai fini della tempestività della notifica (ossia ai fini dell’osservanza di eventuali termini di
decadenza), ciò che conta è la data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario (purché la notifica abbia poi
buon esito), non è vero che il notificante non abbia interesse a che la notifica si compia in tempi ragionevoli,
posto che gli effetti sostanziali e processuali della notifica si producono pur sempre dal momento in cui questa si è perfezionata.20
4. L’interpretazione cd. costituzionalmente orientata
Vi è, infine, ma non ultimo, l’argomento, secondo cui
va privilegiata un’interpretazione cd. costituzionalmente
orientata, la quale impone che le garanzie di conoscibilità dell’atto da parte del destinatario siano ispirate ad un
criterio di effettività, come effettiva, e non soltanto formale,
deve essere la tutela del contraddittorio. Pertanto, secondo la Corte, vanno valorizzati tutti gli elementi idonei a
perseguire tale obiettivo.
In particolare, per garantire l’effettività del contraddittorio, si sostiene che l’avviso di ricevimento della raccomandata debba sempre essere allegato all’originale dell’atto
notificato, a pena di nullità. Tale adempimento servirebbe a dimostrare sia che la raccomandata è pervenuta al destinatario, sia che l’atto notificato è entrato nella sfera di
conoscibilità di quest’ultimo.
Questa tesi non convince sotto due profili.
•••
19 D’altra parte, proprio in virtù di questo ragionamento, la giurisprudenza ha finora considerato la spedizione della raccomandata come un “mezzo potenziale di informazione” che, se le circostanze lo permetteranno, darà al destinatario quella notizia che, in precedenza, non
è stato possibile fargli pervenire. Trattandosi di un ulteriore tentativo di
avvisare il destinatario, ne consegue che la fase di consegna della raccomandata da parte del postino sta al di fuori dell’attività notificatrice
vera e propria (cfr. Cass. 21 maggio 1962, n.1161, cit.).
20 E’ noto che, a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale,
è stata introdotta la regola della cd. scissione del momento perfezionativo della notifica (cfr. Corte cost. 26 novembre 2002, n. 477 e 23 gennaio 2004, n. 28, cit.), per cui,
quando vi è un termine di decadenza da rispettare, il notificante non deve più sopportare le conseguenze degli eventuali ritardi della notifica,
poiché è sufficiente che consegni in tempo l’atto all’ufficiale giudiziario.
Peraltro, il novellato art. 149 co. 3 cod. proc. civ. (come modificato dall’art. 2 della legge n. 263/2005, in vigore dal 1 marzo 2006) prevede ora
testualmente che “la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, al
momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell’atto”.
Tuttavia, ciò non toglie che il notificante conservi interesse a che la notifica si perfezioni in tempi rapidi, al fine, ad esempio, di poter tempestivamente dare inizio ad un determinato procedimento. A questo proposito, inoltre, va ricordato che è tuttora controverso se la mera conse-
In linea di principio, va osservato che un’interpretazione costituzionalmente orientata deve fare i conti, altresì,
con la necessità di garantire il diritto di agire in giudizio e
la ragionevole durata del processo, il che porta ad escludere l’ammissibilità di una tutela ad ogni costo degli irreperibili, tenuto conto dell’onere incombente su chi si allontana di predisporre le cose in modo da poter essere rintracciato e considerato che il recapito di atti al destinatario può essere reso impossibile proprio per iniziativa di quest’ultimo. In poche parole, se s’intende adottare un’interpretazione delle norme conforme alla Costituzione, occorre
tener conto di tutti i valori dalla stessa tutelati.
In ogni caso, il canone ermeneutico de quo è utilizzabile solo nei limiti in cui la “reductio ad legitimitatem”
delle norme sospette di incostituzionalità risulti a rime
obbligate, e non quando, come nella specie, essa implichi una manipolazione delle stesse, finalizzata a reperire l’esistenza di un precetto e, soprattutto, di una sanzione, che in realtà il legislatore non ha dettato.
Sta di fatto che l’allegazione dell’avviso di ricevimento
non sembra prescritto a nessun fine: né al fine di provare
la spedizione della raccomandata, né al fine di provare il
recapito della stessa, né al fine di provare la validità della
notifica.
Anzitutto, va osservato che l’avviso di ricevimento non
serve certamente al fine di provare la spedizione della raccomandata.
La spedizione dell’avviso è formalità necessaria, ma, al
fine di provare detto adempimento, è sufficiente quanto
attestato nella relata dall’ufficiale giudiziario.21 D’altra
parte, onde superare quanto dichiarato dal notificante, è
stata ritenuta sufficiente l’esibizione, da parte del destinatario, di una certificazione dell’amministrazione postale,
comprovante che il competente ufficio, non avendo rice-
gna dell’atto all’ufficiale giudiziario abbia anche efficacia sul piano sostanziale (ad esempio al fine dell’interruzione della prescrizione) (cfr. amplius in argomento, anche per riferimenti di dottrina e giurisprudenza,
L. FOLLIERI, Il perfezionamento del procedimento di notificazione e
la recettizietà degli atti giuridici, in “Studium Iuris”, 2006, p. 1090 ss.,
1247 ss.).
21 Secondo alcune pronunzie, tuttavia, ai fini della prova della spedizione della raccomandata, non basta l’attestazione dell’ufficiale giudiziario con l’indicazione del numero della raccomandata spedita, ma
sarebbe necessario che alla relata venga allegata la ricevuta di spedizione rilasciata dall’ufficio postale (dalla quale soltanto si può desumere
l’indirizzo al quale la raccomandata è stata spedita e il destinatario della medesima) (Cass. 4 aprile 1998, n. 3497).22Cfr. Cass. 23 giugno 1998,
n. 6233.
Va detto, peraltro, che non basta che la raccomandata sia consegnata
all’ufficio postale di partenza, ma è necessario che la stessa sia spedita,
con la conseguenza che la notificazione deve giudicarsi nulla, qualora
risulti che, dopo la consegna, il piego raccomandato non sia stato inoltrato dall’ufficio postale. Ad esempio, in un caso è emerso che la località, in cui doveva essere recapitata la raccomandata, non era raggiunta dal servizio postale, tant’è vero che l’avviso di ricevimento del piego
non era stato neppure riempito, per cui la notifica è stata giudicata nulla (cfr. Cass. 10 marzo 1999, n. 2082).
Per una più ampia analisi della casistica giurisprudenziale su questi argomenti, mi permetto di rinviare a L. PICA, Le notificazioni nel processo
civile, Napoli, Esselibri 2003.
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vuto il plico raccomandato (con il relativo avviso di ricevimento), non ha mai provveduto alla sua spedizione.22
In secondo luogo, se è vero che la consegna della raccomandata è estranea al procedimento di notifica, ne
consegue che non può considerarsi necessaria la prova
del recapito della raccomandata.23 Per tutte le considerazioni svolte nel precedente paragrafo, infatti, deve ritenersi che la notifica si perfezioni già al momento della spedizione della raccomandata, il che è sostanzialmente
riconosciuto dalla stessa Suprema Corte.
In poche parole, solo se si ritiene che l’“atto di dar notizia” per raccomandata sia a sua volta un atto recettizio
e che sia un atto essenziale del processo notificatorio, può
sostenersi la necessità di acquisire il documento, che attesti la sorte che ha avuto la raccomandata, mancando altrimenti la prova che l’atto è stato compiuto. Se, invece,
si ammette che la notifica si perfezioni indipendentemente dall’avvenuto recapito della raccomandata, ne consegue che la prova di detta ultima circostanza è superflua.24
Infine, neanche può dirsi che l’avviso di ricevimento
sia indispensabile ai fini della prova della regolarità della notifica, tanto più che esso non costituisce parte integrante della relazione di notifica.25
A questo proposito, le Sezioni unite hanno affermato che dalle annotazioni fatte dal postino sull’avviso di
ricevimento può emergere che la raccomandata non è stata consegnata perché il destinatario risulta trasferito,
oppure deceduto, etc. e che, quindi, l’atto non è pervenuto nella sfera di conoscibilità del destinatario, per cui,
a tale scopo, l’avviso di ricevimento va sempre allegato
all’originale dell’atto.
Insomma, ad avviso della Corte, l’avviso di ricevimento ed ogni altra dichiarazione della posta possono
offrire utili indicazioni sulla reale situazione del destinatario ed, eventualmente, possono smentire le risultanze della relata di notifica.26
Per certi aspetti, la pronuncia non introduce, in realtà, una novità, tant’è vero che la Corte stessa richiama
un proprio precedente in argomento.27
La novità sta, invece, nel fatto che, per consentire il
controllo de quo, secondo la Cassazione, l’avviso di ricevimento va sempre prodotto, a pena di nullità della notifica.
Ebbene, vero è che la regolarità del procedimento notificatorio presuppone l’esatta individuazione del luogo
di residenza (o di dimora, etc.) del destinatario. Vero è
che, nel caso in cui detto luogo, ove la notifica è tentata, non sia quello giusto, il compimento delle formalità
prescritte dalla legge non è certamente idoneo a portare l’atto nella sfera di conoscibilità del destinatario e che
la notifica va giudicata affetta da nullità.28 Tuttavia, ad
avviso di chi scrive, le conclusioni della Suprema Corte
sono discutibili.
La legge prevede l’uso della raccomandata con avviso di ricevimento, ma non impone espressamente che detto avviso venga poi allegato (arg. ex art. 149 co. 2 cit.)
e, tanto meno, sancisce esplicitamente la nullità della notifica per il caso che l’avviso non sia prodotto (cfr. artt.
156 e 160 cod. proc. civ.).
Nè la notifica può considerarsi nulla per mancanza dei
requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo (arg. ex art. 156 co. 2 cod. proc. civ.), in quanto l’av-
•••
trasto delle risultanze di due atti pubblici, occorre tener conto della
data indicata dall’ufficio postale (Cass. 27 luglio 1981, n. 4840; 24
febbraio 1992, n. 2263; 14 gennaio 2002, n. 359).
Tuttavia, nel caso delle notifiche postali, è noto che la giurisprudenza attribuisce alle attestazioni dell’agente postale riportate sull’avviso di ricevimento la stessa forza certificatoria di quelle contenute nella relata di notifica dell’ufficiale giudiziario, proprio perché, in tal caso, il postino compie un’attività legittimamente delegatagli dall’ufficiale giudiziario (cfr. Cass. 1 marzo 2003, n. 3065; 23 luglio 2003, n.
11452).
27
Cfr. Cass. 16 luglio 2004, n. 13183, concernente una notifica
eseguita, ai sensi dell’art. 140 cit., all’indirizzo risultante dal certificato anagrafico. In questo caso, l’agente postale, recatosi il giorno successivo presso lo stesso indirizzo per la consegna della raccomandata, aveva restituito al mittente il plico, apponendo sulla relativa busta un talloncino contenente l’indicazione: destinatario trasferito.
Secondo la Suprema Corte, la contraddittorietà degli elementi emergenti dalle difformi attestazioni, rese dall’ufficiale giudiziario e dall’agente postale in date così ravvicinate, valeva ad escludere la certezza che all’indirizzo anagrafico il destinatario della notifica avesse
conservato la propria abitazione.
Pertanto, in siffatta situazione, sussistendo elementi idonei ad ingenerare il sospetto del trasferimento del destinatario, la notifica è stata giudicata nulla, mancando la prova che l’ufficiale giudiziario avesse svolto le opportune ricerche per accertare l’eventuale trasferimento (tenuto conto del valore meramente indiziario delle risultanze anagrafiche).
28
Cass. S.U. 6 dicembre 1978, n. 5753, in “Riv. dir. proc.”, 1981,
p. 364 ss., con nota di G. OLIVIERI, La “faticosa” notificazione al
destinatario irreperibile.
22
Cfr. Cass. 23 giugno 1998, n. 6233.
23
A questo proposito, va anche evidenziato che, quando la notifica viene eseguita con le modalità di cui all’art. 140 cit., il perfezionamento della fattispecie determina una presunzione legale di conoscenza (una fictio iuris), che vale ad ogni effetto. E’ erroneo, pertanto, ritenere che la notifica, benché perfezionatasi, possa non essere efficace (ad esempio ai fini dell’interruzione della prescrizione) senza la
prova dell’avvenuta consegna della raccomandata (in tal senso, invece, cfr. Cass. 14 giugno 1994, n. 5760, rimasta isolata).
24
D’altronde, va ribadito che non pare congruo ipotizzare la medesima sanzione (la nullità) sia per il caso in cui manchi un elemento
perfezionativo della notifica (la spedizione della raccomandata), sia
per il caso in cui manchi la prova di un evento estraneo alla fattispecie (il recapito della raccomandata).
25
D’altra parte, è la stessa Suprema Corte ad ammettere che il diverso tenore dell’art. 140 cit., rispetto all’art. 149 co. 2 cit. (che impone espressamente l’allegazione dell’avviso di ricevimento), si giustifica perché solo nel caso della notifica postale l’avviso di ricevimento
costituisce prova dell’esecuzione della notifica.
26
Questa affermazione non va presa alla lettera, posto che, in caso di contrasto tra le attestazioni dell’ufficiale giudiziario e quelle del
postino, non può tout court riconoscersi fede “privilegiata” a queste
ultime, trattandosi quanto meno di risultanze aventi il medesimo valore probatorio.
Peraltro, a proposito della data della spedizione della raccomandata,
in caso di discordanza tra la data indicata dall’ufficiale giudiziario sulla relata e quella risultante dalla ricevuta di spedizione rilasciata dall’ufficio postale, la giurisprudenza ha sempre ritenuto che, nel con-
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viso di ricevimento non è l’unico mezzo per provare la
reale situazione del destinatario.29 Infatti, quanto attestato nella relata di notifica, con riferimento alla circostanza della effettiva ubicazione della residenza del
destinatario nel luogo di notifica, è superabile con qualsiasi mezzo di prova30 e non solo con l’avviso di ricevimento, per cui non può dirsi che la produzione di detto avviso sia indispensabile, a tale scopo.31
5. Le incongruenze
E’ noto che, in tema di interpretazione delle norme,
non può tenersi conto degli inconvenienti cui può dar
luogo una determinata opzione interpretativa, al fine
di contestarne tout court la validità.
Ciò nonostante, appare opportuno segnalare ugualmente che sul piano operativo il nuovo orientamento
è foriero di non poche incertezze e di incongruenze.
A)La discordanza tra le risultanze della relata e
quelle dell’avviso di ricevimento
Secondo le Sezioni unite, non solo l’avviso di ricevimento deve essere allegato, ma le annotazioni dell’agente postale servono per stabilire se la notifica sia stata eseguita validamente (se, ad esempio, sia stata fatta
presso il luogo di effettiva ed attuale residenza, dimora o domicilio del destinatario).
Così, secondo la Corte, se dall’avviso emerge che il
•••
29 Anche A. M. MARZOCCO, op. cit., p. 572, ritiene che la nullità non dovrebbe automaticamente discendere dalla mancata allegazione dell’avviso di ricevimento, bensì – in base alle regole sull’onere della prova – dall’insufficienza degli elementi che il notificante
ha fornito al giudice per il controllo sulla validità della notifica. Il
ruolo dell’avviso de quo dovrebbe essere quello di una fonte di prova a carattere eventuale e concorrente, non necessario e prevalente.
A questo proposito, però, va anche segnalato che non sempre il giudice è tenuto a svolgere d’ufficio il controllo sulla validità della notifica. E’ noto, infatti, che la notificazione rileva non tanto come atto autonomo, bensì quale strumento rispetto all’atto che viene notificato. Pertanto, il legislatore si è preoccupato più di specificare i casi in cui il giudice deve rilevare la nullità della notifica di un determinato atto, anziché di indicare le ipotesi in cui d’ufficio va rilevata
la nullità della notifica in sé (ad esempio a seconda della gravità o
della specie del difetto). In particolare, si sostiene comunemente che
la nullità della notificazione della citazione sia una nullità assoluta,
in quanto l’art. 291 cod. proc. civ. prevede implicitamente che il giudice rilevi d’ufficio la nullità (sempre che il convenuto non si sia costituito in giudizio). Viceversa, si ritiene, per lo più, che la nullità dell’intimazione dei testi da escutere debba essere eccepita dalla parte
interessata (cfr., in argomento, Cass. 10 gennaio 1963, n. 29; 30 novembre 1989, n. 5264; 13 agosto 2004, n. 15759). Ne consegue che,
pur volendo aderire alla prospettazione delle Sezioni unite, almeno
nei casi in cui non sussiste il sindacato officioso del giudice sulla validità della notificazione di un atto, deve continuare a ritenersi che
la notifica eseguita ex art. 140 cit. sia assistita da una presunzione
semplice di validità, anche senza che sia allegato l’avviso di ricevimento (purchè nella relazione di notifica si dia atto dell’avvenuto
compimento delle tre formalità prescritte dalla legge).
30 Nel caso in cui la notifica venga effettuata, nel luogo indicato, nelle forme previste dall’art. 140 cod. proc. civ., è da presumere
che in quel luogo si trovi la dimora del destinatario, onde quest’ul-
destinatario si è da tempo trasferito in un altro luogo,
la notifica va rinnovata,32 mentre se dalla ricevuta di ritorno risulta che in quel luogo il destinatario è sconosciuto, la notifica, più che nulla, sembra essere (giuridicamente) inesistente, siccome indirizzata verso un
luogo privo di qualsiasi collegamento con il destinatario.
Non è chiaro, però, in caso di contrasto tra l’attestazione dell’ufficiale giudiziario (che ha accertato la
momentanea assenza del destinatario) e quella del postino (a cui il destinatario è risultato trasferito definitivamente o addirittura sconosciuto), a quale delle due
affermazioni vada attribuito maggiore credito (trattandosi di risultanze aventi almeno il medesimo valore probatorio).33
In ogni caso, è evidente il rischio che sulla questione possa insorgere una controversia e che, quindi, debba instaurarsi un processo nel processo.
B) Le conseguenze dei disguidi imputabili al postino
Anche se in linea di principio si continua ad ammettere che la notifica si perfezioni con la spedizione della
raccomandata, nel momento in cui si pretende l’allegazione dell’avviso di ricevimento, deve ritenersi che, al di
là delle stesse affermazioni della Cassazione, ciò serva
non solo a comprovare la validità della notifica (ossia
a far verificare che l’atto sia stato indirizzato verso un
timo, ove ciò contesti al fine di far dichiarare la nullità della notifica stessa, ha l’onere di fornirne la prova (cfr., da ultimo, Cass. 29 luglio 2004, n. 14388; 19 luglio 2005, n. 15200), anche se può avvalersi di qualsiasi mezzo, senza necessità di impugnare la relata di notifica con querela di falso (cfr. Cass. 16 novembre 2006, n. 24416).
31 Su questo punto è bene intendersi. La legge prescrive che la raccomandata sia spedita con ricevuta di ritorno e questa prescrizione
non è del tutto inutile. E’ ragionevole, infatti, che sia imposta la formazione di una prova documentale concernente l’eventuale recapito della raccomandata, potendo questa prova, in caso di contestazione, tornare utile ad entrambe le parti per una maggiore sicurezza
e speditezza di controllo. Ciò che, però, non si condivide è l’intento
di trasformare detto documento in una sorta di “prova legale” e, oltretutto, in una prova, non tanto della sorte della raccomandata,
quanto del buon esito della stessa notifica.
32 Quando, peraltro, dall’avviso risulta che il destinatario si è da
tempo trasferito per ignota destinazione ed è assolutamente irreperibile (pur mantenendo la residenza anagrafica nel luogo in cui è stata tentata la notifica, in base a quanto emerge dal certificato anagrafico), appare dubbia la necessità di una nuova notifica. In tal caso, infatti, si dovrebbe procedere a norma dell’art.143 cod. proc. civ.,
per cui l’ufficiale giudiziario dovrebbe solo depositare l’atto presso
il comune dell’ultima residenza. Tuttavia, la superfluità della ripetizione di questo adempimento è di tutta evidenza. D’altra parte, appare anche irrilevante il fatto che in precedenza, essendosi proceduto ai sensi dell’art.140 cit., si siano erroneamente eseguiti anche ulteriori adempimenti (l’affissione e la spedizione della raccomandata). Ovviamente, però, la notifica può considerarsi compiuta solo dopo il decorso di venti giorni dal deposito dell’atto presso il comune.
33 Probabilmente, la ragione, non detta, del nuovo orientamento
va ravvisata in una sostanziale sfiducia nella correttezza e nella lealtà degli ufficiali giudiziari. Solo così può spiegarsi l’imposizione di
questa sorta di doppio e reciproco controllo. E’ per questo che, secondo la Corte, la presenza (rectius l’assenza temporanea) del destinatario in un determinato luogo va riscontrata sia dall’ufficiale giudiziario, che dal postino.
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luogo con cui il destinatario abbia una relazione), ma
anche ai fini della prova del recapito della raccomandata. Se ciò è vero, però, si finisce per rimettere il buon
esito della notifica non solo nelle mani dell’ufficiale giudiziario, ma anche in quelle del postino, di cui il mittente dovrà sopportare le eventuali inefficienze e gli errori.
Pertanto, la notifica potrà essere invalidata non solo
in caso di consegna della raccomandata a persona non
legittimata (ad esempio, a persona in conflitto d’interessi
con il destinatario) o quando dall’avviso non risulti la
qualifica del sottoscrittore (ossia a chi sia stato lasciato il plico), ma anche in caso di mancata sottoscrizione
dell’avviso di ricevimento da parte del postino e/o del
destinatario (o di altra persona abilitata a ricevere la consegna del plico) o nel caso in cui il destinatario disconosca la firma apposta sull’avviso ovvero nel caso in cui
l’avviso di ricevimento venga restituito non compilato
o con annotazioni insufficienti o erronee (come spesso
capita).
In definitiva, il nuovo orientamento rischia inevitabilmente di condurre da un eccesso all’altro: mentre in
passato il recapito della raccomandata era sostanzialmente ininfluente, oggi finirà per essere sopravvalutato.
C) La prova dell’affissione
Altra questione è se, per via del nuovo orientamento, debba ritenersi necessaria anche la prova dell’avvenuto rinvenimento da parte del destinatario dell’avviso
affisso alla porta.
A questo proposito si impone una breve digressione.
Finora, si è ritenuto che l’affissione fosse già idonea
a porre l’atto nella sfera di conoscibilità del destinatario, perché si presume, ed è normale, che questi faccia
capo alla sua abitazione (o al suo ufficio, etc.) e prenda visione dell’avviso affisso alla porta.34 In sostanza, si
è giudicata detta formalità adeguata alla funzione, anzi “autosufficiente”, sotto il profilo dell’efficacia pratica.35 D’altra parte, questa tesi trova conforto nella lettera dell’art. 140 cit., che sembra individuare proprio
nell’affissione l’essenza della notifica, la formalità integrativa destinata a rendere conoscibile il deposito. Inoltre, l’importanza dell’affissione emerge dall’art. 48 disp.
att. cod. proc. civ., che indica specificamente il contenuto dell’avviso da affiggere: mentre quest’ultimo deve
contenere tutti gli elementi di identificazione dell’atto
•••
34 Così Cass. S.U. 5 novembre 1981, n. 5825, cit..
35 Così Cass. 6 maggio 1980, n. 2989.
36 Questa conclusione si fonda, oltre che sul tenore del testo normativo, sul rilievo che l’art. 48 cit. riproduce la disposizione di cui all’art. 186 del regolamento generale giudiziario che, con riferimento all’art. 139 del codice di rito del 1865 (da cui deriva storicamente l’art.
140 del codice vigente), stabiliva appunto il contenuto dell’avviso da
affiggere.
notificato, la lettera raccomandata può limitarsi a contenere la notizia dell’avvenuto deposito.36
Da questa premessa discende che, se si pretende l’allegazione dell’avviso di ricevimento, per coerenza potrebbe anche pretendersi (magari in alternativa) la prova dell’avvenuto rinvenimento da parte del destinatario
dell’avviso affisso alla porta.37
Ma la verità è che il nuovo orientamento delle Sezioni
unite sembra, invece, presupporre una svalutazione della rilevanza dell’affissione alla porta, verosimilmente
perché, essendo migliorata l’efficienza del servizio postale, al giorno d’oggi è più probabile la dispersione
dell’avviso affisso alla porta, anziché lo smarrimento della lettera raccomandata.
D) La raccomandata spedita in un altro luogo
Infine, occorre chiedersi se la raccomandata possa essere spedita in un luogo, sempre riferibile al destinatario, ma diverso rispetto a quello in cui è stata eseguita
la notifica.
La questione non è peregrina e la risposta, se affermativa, può addirittura confutare il postulato in base
al quale la Cassazione ha mutato il proprio precedente
orientamento.
E’ noto che l’art. 139 cod. proc. civ. fissa un ordine
tassativo per l’individuazione del comune nel quale effettuare la notifica, ma lascia, poi, libero l’ufficiale giudiziario di ricercare il destinatario indifferentemente e
alternativamente nella casa di abitazione o nell’ufficio
o nel luogo in cui il destinatario esercita l’industria o il
commercio. In pratica, l’ufficiale giudiziario può recarsi nell’ufficio del destinatario anche subito, cioè prima
di averlo cercato presso la sua abitazione.38 Inoltre, l’art.
140 cod. proc. civ. si limita a prescrivere che al destinatario venga data notizia per raccomandata, senza nulla disporre in merito al luogo in cui la raccomandata
debba essere indirizzata. D’altra parte, se in un certo luogo (ad esempio la casa di abitazione) il destinatario non
è stato trovato, non sembra vietato, ma anzi auspicabile che la raccomandata venga inviata in un altro dei luoghi indicati dall’art. 139 cit. (ad esempio l’ufficio).
Se, però, la raccomandata viene inviata in un luogo
diverso rispetto a quello in cui si è tentata la notifica,
viene meno l’utilità di detto adempimento, al fine di confermare o smentire che l’atto sia stato ben notificato in
detto luogo, come preteso dalle Sezioni unite.
Di conseguenza, si è ritenuto che l’inesatta (o la mancata) indicazione
della data dell’udienza di comparizione nell’avviso spedito con raccomandata non determina la nullità della notificazione, poiché ciò che
conta è solo la data contenuta nell’avviso affisso alla porta dell’abitazione (Cass. 8 agosto 1962, n. 2456; 16 aprile 2004, n. 7246).
37 Al riguardo, è noto che, finora, si è ritenuto sufficiente che l’ufficiale giudiziario effettui l’affissione e che lo attesti nella relazione di
notifica, mentre resta irrilevante il mancato rinvenimento da parte del
destinatario dell’avviso affisso alla porta e la prova di tale circostanza (Cass. 22 marzo 1996, n. 2490).
38 Cfr. Cass. 26 luglio 2002, n. 11077.
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A volere, invece, seguire fino in fondo la tesi della Suprema Corte, deve ammettersi cha la raccomandata vada
spedita necessariamente nello stesso luogo in cui si è recato l’ufficiale giudiziario (al fine di far controllare che l’atto sia stato correttamente indirizzato). In questo modo, però, si fa perdere al destinatario l’opportunità di venire davvero a conoscenza dell’avviso (che, magari, potrebbe essergli recapitato più agevolmente in un altro luogo).
6. I dubbi interpretativi
Il nuovo orientamento pone tante altre questioni interpretative, la cui soluzione va rinvenuta applicando
con ragionevolezza il dictum della S.C., onde evitare che
la rincorsa al destinatario assente divenga per il notificante un vero calvario.
A) La rilevanza dei fatti sopravvenuti
Se si considera, come fa pure la S.C., la notifica perfezionata già con la spedizione della raccomandata, il
nuovo orientamento sconta i propri limiti (in termini di
coerenza) laddove sopravvengano fatti nuovi che impediscano il recapito della stessa.
Si pensi all’ipotesi del trasferimento del destinatario
in un altro luogo dopo l’accesso dell’ufficiale giudiziario. In questo caso, la notifica deve ritenersi senz’altro
valida, posto che il mancato recapito sembra imputabile
al destinatario medesimo. Al più può ritenersi sufficiente solo la spedizione di una nuova raccomandata,
piuttosto che la rinnovazione della notifica.
Più problematico, per quanto improbabile, è il caso
della morte del destinatario verificatasi dopo la spedizione della raccomandata, ma prima della ricezione della stessa, e attestata dall’avviso di ricevimento. E’ dubbio, infatti, se detta evenienza impedisca solo il recapito dell’avviso (di una notifica già perfezionata) o anche
il perfezionamento della notificazione.39
B) La persistente assenza del destinatario
Nel caso in cui la raccomandata spedita dall’ufficiale giudiziario non venga recapitata per temporanea assenza del destinatario (e per mancanza, inidoneità o rifiuto delle altre persone abilitate alla ricezione), non è
•••
39 Dovendosi tener conto dello stato di fatto esistente al momento
del perfezionamento della notifica (ossia al momento della spedizione
della raccomandata), il sopravvenuto decesso del destinatario dovrebbe
comportare (in caso di notifica della citazione) solo l’interruzione del
processo (così anche M. A. MARZOCCO, op. cit., p. 573).
40 Così R. CAPONI, op. cit., col. 703.
41 Anche secondo R. CONTE, op. cit., p. 363, se nemmeno la raccomandata viene ricevuta dal destinatario, ancora assente, la notifica
deve ritenersi andata a buon fine, per cui dovrà solo essere allegata all’originale dell’atto notificato la raccomandata che, spedita al destinatario della notifica, è stata restituita al notificante, compiuti i termini della giacenza presso l’ufficio postale.
chiaro se si applichino le norme che regolano la spedizione delle raccomandate (secondo cui il piego e la ricevuta di ritorno vanno restituiti al mittente dopo la prescritta giacenza) oppure la disciplina prevista dall’art.
8 della legge n. 890/1982 (come integrata dalla pronuncia della Corte Costituzionale 23 settembre 1998,
n. 346 ed ora modificata dal D.L. n. 35/2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 80/2005).
Secondo alcuni, nel caso in cui la raccomandata non
venga ricevuta dal destinatario, la notifica si perfeziona nei modi previsti dall’art. 8 della legge n. 890/1982,
applicato analogicamente.40
E’ preferibile, invece, ritenere che l’ufficiale postale non
debba mandare una seconda raccomandata, rispetto a
quella già inviata dall’ufficiale giudiziario, in quanto le
disposizioni dettate in tema di notificazioni per posta si
applicano alle comunicazioni a mezzo di lettera raccomandata effettuate dall’ufficiale giudiziario solo “in
quanto compatibili” (cfr. l’art. 10 della legge n.
890/1982).41 Invero, se si ritenesse il contrario, si giungerebbe all’assurdo per cui ogni raccomandata dovrebbe giacere per un periodo congruo presso l’ufficio postale
e dovrebbe essere sempre seguita da un’ulteriore raccomandata (per dare avviso della spedizione della precedente), in un “circolo vizioso potenzialmente infinito”.42
C) La mancanza dell’avviso di ricevimento
Nel caso in cui l’avviso di ricevimento non venga allegato, occorre, anzitutto, chiedersi se sia necessaria la
rinnovazione della notifica o se sia possibile spedire una
nuova lettera raccomandata a.r. (per dare notizia del deposito dell’atto presso il comune).
Se l’avviso di ricevimento servisse solo a dar prova
del buon esito della raccomandata, potrebbe essere
sufficiente, a sanare il vizio, anche solo la spedizione
di una nuova lettera raccomandata, giacché l’atto notificato resta depositato presso il comune a tempo indeterminato.
Se, però, come ritenuto dalle Sezioni unite, la ricevuta
di ritorno deve servire a far controllare la validità della notifica (cioè, vale a dimostrare che l’atto notificato
sia pervenuto nella sfera di conoscibilità del destinata-
42 Così Cass. 8 gennaio 2002, n. 131, nonché, da ultimo, Cass. 21
febbraio 2006, n. 3685.
Nello stesso senso pare orientata anche la giurisprudenza penale (con riguardo alla notifica all’imputato non detenuto, eseguita ex art. 157 ult.
co. cod. proc. pen.), secondo cui, nel caso in cui la raccomandata non
venga recapitata, l’ufficiale giudiziario non è tenuto ad informare l’interessato mediante nuova raccomandata con avviso di ricevimento (cfr.
Cass. pen. 19 marzo 1999, n. 3620; 21 marzo 2000, n. 3488; 1 luglio
2003, n. 28303).
Peraltro, sempre a proposito delle notifiche all’imputato non detenuto,
la Corte costituzionale ha ritenuto plausibile che la disciplina delle notifiche a mezzo posta di cui all’art. 8 della legge n. 890/1982 si applichi
integralmente alla comunicazione mediante raccomandata prescritta
dall’art. 157 co. 8 cod. proc. pen. (Corte cost. 20 aprile 2000, n. 111,
in “Giur. cost.”, 2000, p. 1004 ss.).
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rio e, quindi, che sia stato ben indirizzato), allora il vizio derivante dalla mancata allegazione dell’avviso può
essere sanato solo dalla rinnovazione della notifica (o
dalla costituzione in giudizio del destinatario).43
Peraltro, non sembra possibile che si arrivi a trasformare detto documento in una sorta di “prova legale”
del buon esito della notifica.44 In mancanza della ricevuta di ritorno, deve ritenersi ammissibile che il notificante dia la prova che il destinatario ha avuto notizia
del deposito, ad esempio, per mezzo dell’avviso affisso
alla porta.45
Altra questione è se, in caso di smarrimento dell’avviso di ricevimento da parte di Poste italiane S.p.a., sia
applicabile la stessa rigorosa disciplina dettata per le notifiche postali.46 Chi intende valorizzare l’importanza
dell’avviso di ricevimento, non solo ai fini della prova
del recapito della raccomandata, quanto proprio allo
scopo di riscontrare la validità della notifica, non potrà
che giudicare detta disciplina compatibile (ex art. 10 della legge n. 890/1982).
ni che il nuovo indirizzo comporta e, in caso contrario,
per quale via sia possibile giungere davvero ad un bilanciamento delle opposte esigenze.
7. I rischi per il notificante
Il nuovo orientamento, di cui bisogna ormai prendere atto,47 si fonda, in sostanza, su questo sillogismo:
poiché, per effetto della scissione del momento perfezionativo della notificazione, il notificante è stato liberato dai rischi connessi ai tempi del procedimento, si deve fare il possibile per garantire al destinatario l’effettiva conoscenza dell’atto.
Occorre, dunque, verificare se davvero per il notificante siano indifferenti le lungaggini e le complicazio-
A) L’incertezza sulla validità della notifica
Il revirement della S.C. implica, anzitutto, che, fino a
quando non viene restituito l’avviso di ricevimento, il
notificante non può esser certo della validità della notifica. Ciò comporta che, ove si tratti della notifica di un
atto introduttivo del giudizio ed occorra rispettare il termine per la costituzione in giudizio (che, comunque, decorre dalla spedizione della raccomandata), il notificante può trovarsi costretto ad iscrivere a ruolo una causa,
senza sapere se la notifica sia stata eseguita regolarmente, atteso che ben può darsi che l’avviso di ricevimento
venga restituito a distanza di giorni dalla spedizione.
A ben vedere, si tratta del medesimo inconveniente
in cui si incorre quando la notifica viene effettuata a mezzo posta.
Trattasi, peraltro, di un inconveniente di mero fatto,48
che certamente può tollerarsi, ove rappresenti il prezzo
da pagare per meglio garantire l’effettività del contraddittorio.49
Analogo discorso, anche se le disfunzioni possono talora essere più gravi, può farsi con riguardo alla notifica degli atti difensivi, che le parti possono scambiarsi
nel corso dei processi assoggettati al cd. rito societario
(introdotto dal d.lgs. n. 5/2003). Non vi è dubbio che,
nel caso in cui non ci si avvalga delle altre forme di trasmissione degli atti, di cui all’art. 17 del d.lgs. n. 5/2003,
il cd. “ping pong” difensivo può risultare davvero pro-
43 La necessità della rinnovazione si impone anche per un diverso motivo, ossia perché, secondo la prevalente giurisprudenza, è necessario che
le tre formalità prescritte siano compiute in uno stesso contesto temporale, anche se non necessariamente nello stesso giorno (Cass. 30 maggio
2002, n.7939).
44 Da diversa prospettiva, è stato sostenuto che talora lo stesso notificante potrebbe avere interesse a non allegare l’avviso di ricevimento per
non far emergere l’inesistenza della notifica (perché eseguita, ad esempio,
in un luogo del tutto estraneo al destinatario) e per poter rinnovare la notifica che, in caso di mancata allegazione dell’avviso, secondo la Corte, è
solo nulla (in tal senso cfr. A. M. MARZOCCO, op. cit., p. 579). Tuttavia, va segnalato che l’utilità di simile espediente può essere effimera, ben
potendo il destinatario sempre provare che l’originaria notifica fosse giuridicamente inesistente (magari acquisendo presso Poste italiane S.p.a. un
duplicato dell’avviso di ricevimento) e che, quindi, la rinnovazione sia stata effettuata al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge.
45 In linea di principio, la suesposta conclusione non può confutarsi,
tant’è vero che, nell’ipotesi inversa, ossia nel caso della mancata affissione dell’avviso, la giurisprudenza ritiene che la nullità sia sanata dalla ricezione della raccomandata (Cass. 11 marzo 2005, n. 5450) ovvero dal rituale adempimento della spedizione della raccomandata, comprovato dalla ricevuta di ritorno (Cass. 14 luglio 2005, n. 14817).
Ovviamente, non va sottaciuto che, almeno nei termini esposti, la questione appare più teorica che pratica, essendo sommamente difficile (per
non dire diabolica) la prova del fatto che l’affissione sia andata a buon
fine (ossia che effettivamente il destinatario abbia trovato l’avviso affisso alla porta). Peraltro, ciò che si intende soprattutto sottolineare in
questa sede è il rischio che, anche per tale via, sulla questione possa
instaurarsi un processo nel processo.
46 Per quanto riguarda le notifiche postali, l’art. 6 della legge n.
890/1982 stabilisce che Poste italiane S.p.a. è tenuta, in caso di smarrimento dell’avviso di ricevimento, a rilasciare gratuitamente un duplicato ed a farlo avere al mittente nel più breve tempo possibile. Secondo la giurisprudenza, in caso di smarrimento dell’avviso di ricevimento, la prova dell’eseguita notificazione può essere data solo dal duplicato, rilasciato ai sensi dell’art. 6 cit., ma non da altri atti, come, ad
esempio, da una certificazione rilasciata dal dirigente dell’ufficio postale - anche se attestante che la raccomandata è stata regolarmente ritirata e firmata dal destinatario - (Cass. 6 marzo 1995, n. 2572) o dalle risultanze del registro delle consegne tenuto dall’agente postale - da
cui si evinca l’avvenuta sottoscrizione del destinatario - (Cass. 23 marzo 1988, n. 2534).
47 Va segnalato, infatti, che al nuovo indirizzo hanno prestato adesione sia la giurisprudenza di merito (cfr., tra quelle edite, Trib. Milano 9 aprile 2005, in “Fallimento”, 2006, p. 314 ss.), sia le successive decisioni della Corte (cfr. Cass. 6 maggio 2005, n. 9510, cit.; 14 luglio 2005, n. 14817,
cit.; 21 febbraio 2006, n. 3685, cit.). Ritiene, invece, auspicabile un ripensamento, volto ad evitare incoerenze nell’interpretazione dell’art. 140
cod. proc. civ., M. A. MARZOCCO, op. cit., p. 581.
48 In generale, a proposito dell’iscrizione a ruolo con la cd. velina, la
stessa Corte costituzionale ha evidenziato che la costituzione in giudizio
anche prima della notificazione della citazione può comportare per l’attore solo ripercussioni di carattere meramente economico, dovendo questi affrontare le spese di iscrizione a ruolo prima di aver verificato la ritualità della notificazione (cfr. Corte cost. 2 aprile 2004, n. 107, in “Foro
it.”, 2004, I, col. 1321 ss.; nonché Corte cost. 12 aprile 2005, n. 154).
49 Peraltro, è noto che oggi, tramite il collegamento al sito web di Poste italiane S.p.a. è possibile consultare l’archivio informatizzato ed ottenere, pressoché in tempo reale, la rendicontazione degli esiti delle spedizioni e finanche l’immagine dell’avviso di ricevimento.
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blematico (specie nei processi con pluralità di parti), ove
la notifica si perfezioni ai sensi dell’art. 140 cit.. Basti
pensare, ad esempio, che fino a quando non è restituito l’avviso di ricevimento, il notificante non è in grado
di sapere se la notifica sia stata eseguita regolarmente,
se, quindi, siano stati rispettati i termini per lo scambio
e se siano cominciati a decorrere i termini per gli eventuali successivi scritti difensivi.50
B) La dilatazione dei tempi del processo
Fermo restante il diritto a che il processo abbia una
durata ragionevole, sembra un inconveniente di mero fatto (non illogico) anche l’allungamento dei tempi processuali, dipendente dall’accertamento della validità della notifica.
Peraltro, detto inconveniente può risultare insopportabile nell’ambito di quei giudizi caratterizzati da peculiari ragioni d’urgenza, si pensi ai procedimenti cautelari o al procedimento per la dichiarazione di fallimento.
In questi casi, l’attesa della restituzione dell’avviso di ricevimento può comportare differimenti dell’udienza di
comparizione delle parti, con conseguenti pregiudizi irreparabili per le ragioni dei ricorrenti.51
Inoltre, in caso di ripetute discordanze tra la relata di
notifica dell’ufficiale giudiziario (in cui si dà atto della
momentanea assenza del destinatario) e l’avviso di ricevimento (su cui il postino annota l’intervenuto trasferimento definitivo), il dilatamento dei tempi del processo
può essere virtualmente infinito, laddove il notificante
sia costretto a rinnovare continuamente la notifica. Né
il caso deve reputarsi meramente scolastico, potendosi
ben ipotizzare che la discordanza sia imputabile al fatto che l’ufficiale giudiziario ed il postino abbiano presente una diversa nozione di “assente”.
Si pensi all’ipotesi del destinatario latitante, che sfugge alle ricerche della polizia.
•••
50 A questo proposito, va anche ricordato che è ampiamente controversa la sorte degli atti compiuti, nella fase del processo successiva agli atti cd. propulsivi (quelli che condizionano l’evolversi del processo verso il
suo normale epilogo) invalidamente notificati, prima del verificarsi di una
sanatoria (cfr. A. PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, p. 82 ss.; G. BALENA, La rimessione della causa al primo giudice, Napoli, 1984, p. 100 ss. e 143 ss.; R. CAPONI, La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996, p. 408 ss.).
51 E’ noto, infatti, che non sempre si possono prevenire, neanche con
misure da adottare inaudita altera parte, i pregiudizi per l’efficacia dei provvedimenti invocati. Si pensi al fatto che il protrarsi dell’istruttoria prefallimentare può comportare la decadenza dall’esercizio delle azioni revocatorie (per il cd. consolidamento degli atti) e che a tale pericolo non può
ovviarsi con le misure che, a norma del novellato art. 15 co. 8 della legge
fallimentare, il tribunale può emettere, nel corso dell’istruttoria, a tutela
del patrimonio o dell’impresa del debitore.
52 Così Cass. 2 giugno 1988, n. 3743, in “Foro it.”, 1989, I, col.
828 ss.
53 Cfr. Cass. 15 maggio 2003, n. 7549.
54 In questo senso, cfr. Cass. 7 giugno 1965, n. 1131, in “Giust. civ.”,
1965, I, p. 2036 ss. e, in dottrina, C. S. GUIDETTI, La notificazione al
Secondo un’opinione, peraltro finora prevalente, in
questo caso la notifica potrebbe legittimamente eseguirsi
ai sensi dell’art. 140 cit., potendosi parlare di trasferimento, solo se vi siano segni presuntivi della “volontà
di non tornare” (ad esempio, il trasporto dell’arredamento).52 In sostanza, nel caso in cui il destinatario risulti ripetutamente assente dal luogo di residenza anagrafica, si è sostenuto che la notifica va fatta ai sensi dell’art. 140 cit., a meno che non vi siano ragioni per presumere che il destinatario abbia voluto abbandonare
definitivamente il luogo di residenza.53
Secondo altra opinione, invece, si può ritenere momentaneamente assente solo chi mantenga un concreto
ed attuale collegamento con un determinato luogo, comprovato dalla permanenza di relazioni familiari o sociali (a prescindere dall’esistenza o meno della volontà di
ritornarvi).54
E’ auspicabile che questa seconda opinione ritorni
predominante (e che sia fatta propria sia dagli ufficiali
giudiziari che dai postini). Altrimenti, in base al nuovo
orientamento della Cassazione, che tende a valorizzare
anche la sorte della raccomandata, la spedizione di quest’ultima appare come una formalità fine a se stessa (anzi, inutilmente pregiudizievole per gli interessi del notificante).55
C) L’efficacia della rinnovazione della notifica
Può dirsi che il nuovo orientamento non pregiudichi
il notificante, solo a condizione di ammettere che, acclarata la nullità di una notifica, ad esempio della citazione, la rinnovazione abbia efficacia retroattiva (vale
a dire risalente al momento in cui è stata compiuta la
prima notifica) a tutti i fini56 e, in particolare, ai fini dell’interruzione della prescrizione.
Testualmente, però, l’art. 291 co. 3 cod. proc. civ. stabilisce che la rinnovazione impedisce ogni decadenza.
destinatario latitante, in “Foro it.”, 1989, I, col. 829 ss.
55 Analoga questione si pone in caso di notifica diretta ad una società
commerciale che, pur conservando la sede legale o l’insegna in un determinato posto, risulti di fatto irraggiungibile per la persistente chiusura dei
locali. Anche in questa ipotesi, va riconsiderata la tesi, pure seguita finora dalla giurisprudenza, secondo cui sarebbe sempre possibile procedere
con le formalità dell’art. 140 cit. direttamente nei confronti della società
(cfr. Cass. S.U. 4 giugno 2002, n. 8091, in “Giur. It.”, 2003, I, 1, p. 33
ss.).
Peraltro, alla stregua del nuovo tenore dell’art. 145 cod. proc. civ., modificato dall’art. 2 della legge n. 263/2005 (in vigore con decorrenza dal 1
marzo 2006, nei procedimenti instaurati dopo tale data), non sembra più
ammissibile la notifica alle persone giuridiche nella loro sede a norma dell’art. 140 cit. (diversamente, però, è orientato G. BALENA, La riforma
(della riforma) del processo civile. Note a prima lettura sulla l. 28 dicembre 2005 n. 263, in “Foro it.”, 2006, V, col. 63, per il quale la notifica
può tuttora effettuarsi a norma dell’art. 140 cit. anche presso la sede dell’ente).
56 Il problema non si pone nel caso di atti non recettizi, ossia quando
la notificazione è necessaria solo per provocare effetti ulteriori e diversi,
rispetto a quelli che l’atto è già in grado di produrre. Si pensi alla notifica
della sentenza (che serve solo a far decorrere il termine per l’impugnazione): è del tutto ovvio che la nullità della notifica impedisce il decorso del
termine e che la rinnovazione produrrà tale effetto solo ex nunc.
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La giurisprudenza prevalente, pertanto, in base ad
un’interpretazione letterale dell’art. 291 cit. (che si riferisce solo alle decadenze), sul presupposto che l’effetto interruttivo della prescrizione vada ricollegato necessariamente ad un atto recettizio (che si perfeziona solo quando viene portato a conoscenza del destinatario)
e per la ritenuta insuperabilità della difficoltà di scindere l’interruzione operante per l’attore da quella efficace per il convenuto, ritiene che la rinnovazione della
notifica della citazione non operi con efficacia retroattiva con riguardo alla prescrizione, per cui questa va considerata interrotta solo a partire dal momento della rinnovazione della notifica nulla.57
Ebbene, al fine di addivenire davvero ad un bilanciamento delle opposte esigenze, anche questa opinione va oggi riconsiderata. Infatti, se la rinnovazione tende proprio ad evitare ripercussioni negative in capo alla parte colpita dalla nullità, non può giustificarsi, ai fini di cui trattasi, una diversa disciplina della prescrizione
e della decadenza.58
D) Il diritto alla rimessione in termini
L’anticipazione degli effetti della notifica (per il notificante) è solo provvisoria, nel senso che è subordinata a
che il procedimento arrivi poi a compimento. In pratica,
tale regola tutela il notificante dai ritardi imputabili all’ufficiale giudiziario, ma lascia aperta la questione delle
conseguenze dell’omissione ovvero dell’invalido compimento della notifica - in caso di errori commessi dall’ufficiale giudiziario (o dall’agente postale) - quando la notifica deve essere effettuata entro un termine perentorio
(si pensi alla notifica di un atto di impugnazione).
•••
57 Cfr., Cass. 13 marzo 1973, n. 706; 26 agosto 1986, n. 5212; 30 marzo 1995, n. 3795; 14 agosto 1997, n. 7617; 26 novembre 2002, n.
16692. In dottrina, da ultimo, in tal senso cfr. L. FOLLIERI, op. cit., p.
1252.
58 Il che è sostenuto pure da una risalente pronuncia (Cass. 10 marzo 1970, n. 999) e da autorevole dottrina, in virtù di un’interpretazione storica e logica dell’art. 291 cit. (A. ATTARDI, Rinnovazione della
notificazione nulla e prescrizione, in “Giur. It.”, 1975, I, 1, p. 1165 ss.;
R. CAPONI, op. ult. cit., p. 408 ss.; B. CIACCIA CAVALLARI, La rinnovazione nel processo di cognizione, Milano, 1981, p. 342; M. FIORINI, Un’interpretazione restrittiva del codice che sana solo le ipotesi
di decadenza, in “Guida al diritto”, 1997, fasc. n. 38, p. 34 ss.; R. ORIANI, Processo di cognizione e interruzione della prescrizione, Napoli,
1977, p. 309 ss.; A. PROTO PISANI, Note in tema di nullità della citazione e di effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale, in
“Riv. dir. civ.”, 1988, p. 672). Da ultimo, si è fatto rilevare che le regole civilistiche, sul momento in cui gli atti recettizi producono i loro effetti, non possono restringere la portata del nuovo principio (sulla cd.
scissione del momento perfezionativo della notificazione) vigente in materia processuale, per cui anche l’effetto interruttivo della prescrizione
è sempre provvisoriamente anticipato al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario e che, per analoghe ragioni, la sanatoria ex
art. 291 cit. non può che riguardare tutti gli effetti sostanziali e processuali della domanda (cfr. R. CAPONI, Interruzione della prescrizione
con la consegna della citazione all’ufficiale giudiziario (e retroattività della sanatoria), in “Foro it.”, 2005, I, p. 1278 ss.).
Nel caso in cui la notifica risulti invalidamente eseguita, la rinnovazione è sempre possibile e il notificante
può beneficiare certamente (quanto al termine di decadenza) degli effetti retroattivi della sanatoria.
Piuttosto, occorre precisare quid iuris, nel caso in cui
la rinnovazione, pur effettuata tempestivamente, avvenga con notifica a sua volta nulla. In passato, si è sempre
ritenuto che in tale ipotesi non sarebbe ammissibile un’ulteriore rinnovazione, non potendosi assegnare un secondo termine per il medesimo adempimento.59
Questo orientamento deve considerarsi superato, posto che anche in questo caso non può che valere il principio, secondo cui per il notificante il termine prescritto
per la (ri)notifica deve considerarsi rispettato con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario.60
Il problema si pone, invece, nel caso in cui, ancorché tempestivamente richiesta, la notifica si riveli giuridicamente inesistente,61 per cui il termine risulti ex post non rispettato.62
Pur sussistendo una profonda analogia tra l’ipotesi della notifica tardiva e quella della notifica non compiuta,
nel senso che in entrambi i casi appare ingiusto porre a
carico della parte gli errori commessi dal pubblico ufficiale, secondo alcuni i principi introdotti dal giudice delle leggi (con le sentenze n. 477/2002 e n. 28/2004) non
riguardano la questione delle conseguenze negative degli errori commessi nella fase di esecuzione della notifica e lasciano irrisolto il problema della tutela del notificante nel caso in cui la notifica non si perfezioni.63
Secondo le più recenti pronunce della S.C., però, poiché la notifica, almeno quando deve compiersi entro un
determinato termine, si intende perfezionata, per il notificante, al momento dell’affidamento dell’atto all’uffi-
59 Cfr. Cass. 24 giugno 1997, 5633; 10 aprile 1999, 3497; 5 ottobre 2000, n. 13285.
60 Implicitamente, in questo senso, si è espressa anche Corte cost.
18 marzo 2005, n. 118, in “Giur cost.”, 2005, 2.
61 Si è detto prima che, in buona sostanza, il nuovo orientamento
finisce per rimettere il buon esito della notifica non solo nelle mani
dell’ufficiale giudiziario, ma anche in quelle del postino, per cui aumenta il rischio per il mittente di dover sopportare eventuali inefficienze
ed errori.
Si pensi al caso di una notifica non andata a buon fine per via del mancato recapito, prima dell’atto e poi della raccomandata, imputabile alle discordanti informazioni date all’ufficiale giudiziario e, poi, al postino da terzi, i quali abbiano riferito (erroneamente) al primo che il
destinatario è momentaneamente assente e (falsamente) al secondo che
è sconosciuto.
62 Ovviamente, l’ipotesi della notifica richiesta in termini, ma
non perfezionatasi per causa non imputabile, non va confusa con
quella della notifica già richiesta fuori termine, posto che in questo
caso all’inerzia non può assegnarsi alcuna tutela (cfr. Cass. 5 agosto 2004, 15062; 20 gennaio 2006, n. 1180; 31 marzo 2006, n.
7657).
63 M. CAMPUS, Notificazioni a mezzo posta e principio di sufficienza delle “formalità che non sfuggono alla disponibilità del notificante”, in “Studium Iuris”, 2003, p. 694 ss.; C. GLENDI, La notificazione degli atti dopo l’intervento della Corte costituzionale, in “Corriere giuridico”, 2004, p. 1323; E. DALMOTTO, Difficoltà interpretative poste dalla nuova regola sulla scissione del perfezionamento della notifica postale, in www.judicium.it).
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ciale giudiziario, non può influire negativamente sulla parte il mancato perfezionamento, ove ad essa non imputabile. Si ritiene possibile una deroga al principio generale
di improrogabilità dei termini perentori, di cui all’art. 153
cod. proc. civ., quante volte, avendo la parte tempestivamente espletato l’adempimento posto a suo carico, l’esito negativo del procedimento notificatorio sia dipeso da
un fatto che essa non era in condizione di conoscere ed in
concreto sottratto ai suoi poteri, e ciò alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata.64 Ovviamente,
viene pretesa una dimostrazione puntuale e rigorosa della dipendenza del mancato completamento del procedimento notificatorio da un fatto che esula oggettivamente
dai poteri di impulso della parte interessata.
Tuttavia, questa soluzione sconta la carenza di una disciplina di dettaglio (difficile da ricostruire per via giurisprudenziale), non tanto per quel che concerne la nozione di causa imputabile65 o quella di pregiudizio irreparabile, quanto proprio per quel che riguarda il modulo procedimentale in concreto utilizzabile.66 Allo stato appare difficile discorrere di rimessione in termini in questi casi, senza che sussistano dei limiti di applicabilità e,
in particolare, senza che sia normativamente individuato un termine finale, oltre il quale non dovrebbe più essere possibile la reintegrazione del potere di notificare.
In mancanza di una norma di questo genere, pur da
tanti auspicata 67, un equo bilanciamento delle opposte
esigenze non sembra allo stato realizzato.
•••
pestivamente consegnata all’ufficiale giudiziario, ma non effettuata per
mancato completamento della procedura), ed ha avuto buon gioco nell’affermare che il notificante abbia in tal caso il potere di rinnovare la
notifica secondo il modulo e nel termine previsto per l’opposizione tardiva di cui all’art. 650 cod. proc. civ..
67 Sull’opportunità dell’introduzione, preferibilmente per via legislativa, di un rimedio generale di carattere restitutorio, che consenta alla parte incorsa in una decadenza a sé non imputabile una rimessione
in termini, estesa anche ai poteri processuali esterni allo svolgimento
del giudizio, cfr.: E. DALMOTTO, La corte manipola la norma sul perfezionamento della notifica postale: vecchie alternative e nuovi problemi, in “Giur. It.”, 2003, I, 1, p. 1152 ss.; R. CAPONI, La causa
non imputabile alla parte nella disciplina della rimessione in termini
nel processo civile, in “Foro It.”, 1998, I, col. 2663 ss.; G. TARZIA,
Le istruzioni del giudice alle parti nel processo civile, in “Riv. Dir.
Proc.”, 1981, p. 662; A. FINOCCHIARO, Inviolabilità del diritto alla difesa e inosservanza di un termine perentorio, in “Giust. Civ.”, 1974,
III, p. 123 ss.; N. TROCKER, Processo civile e costituzione, Milano,
Giuffré, 1974, p. 480; A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, Jovene 1994, p. 249 ss..
64 Cass. 13 aprile 2004, n. 7018, in “Foro it.”, 2004, I, col. 2383 ss.;
Cass. S.U., 21 gennaio 2005, n. 1238, in “Foro it.”, 2005, I, col. 2401
ss.; Cass. S.U., 4 maggio 2006, n.10216, in “Guida al diritto”, 2006,
fasc. n. 21, p. 34 ss.).
65 La quale pure sarebbe utile, nell’ottica di un preciso bilanciamento degli opposti interessi e, in particolare, per non pregiudicare l’esigenza di certezza dei tempi processuali, sottesa alla regola di improrogabilità dei termini perentori, ora anche presidiata dal canone della ragionevole durata del processo, di cui al novellato art. 111 Cost..
Ad esempio, l’esito negativo della notifica, non andata a buon fine per
il mancato rinvenimento del destinatario al domicilio, può dirsi non
imputabile al notificante, ancorché questi abbia omesso di effettuare
tempestive e complete indagini anagrafiche?
66 Pur costituendo una notevole apertura verso l’ammissibilità della
rimessione in termini, va segnalato che la recente pronuncia della S.C.
a Sezioni unite n. 10216/2006 cit. si è interessata di un’ipotesi peculiare, ossia della notifica della opposizione a decreto ingiuntivo (tem-
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●
Cassazione Sezioni Unite Civili 26 marzo 2007 n. 7246
La simulazione del prezzo
negli atti di compravendita
di immobili
● Caterina Valia
Avvocato civilista presso
il Consiglio Nazionale
del Notariato
Il fatto
In data 1^ giugno 1990, i coniugi F. D. e I. P. stipulavano
un contratto preliminare di compravendita con il quale si
obbligavano a trasferire al signor A.C. un immobile loro
appartenente per il corrispettivo di lire 121.974.651, da
versare mediante accollo di due mutui rispettivamente di
lire 28.902.836 e di lire 80.757.918.
Nel contratto definitivo di compravendita, stipulato in
data 27 giugno 1990, il prezzo veniva dalle parti dichiarato in lire 41.000.000 da corrispondersi mediante accollo del solo mutuo di lire 28.902.836 che interessava il bene oggetto del trasferimento.
La parte acquirente procedeva, pertanto, all’accollo del
mutuo indicato nel contratto di compravendita e alla
corresponsione delle rate del secondo mutuo fino al mese di giugno 1991, rifiutando il pagamento delle rate
successive.
Con atto di citazione notificato in data 27 luglio 1992,
la parte venditrice conveniva in giudizio la parte acquirente
per sentirla condannare al pagamento del residuo importo di lire 69.894.225 e al risarcimento dei danni, previo
accertamento del prezzo nell’importo indicato nel preliminare di compravendita e dell’inadempimento dell’acquirente.
La parte convenuta deduceva la riduzione del prezzo originariamente pattuito in forza di successivi accordi trasfusi
solo in parte nel contratto definitivo.
I giudici di primo grado accoglievano, con sentenza
emessa in data 11 marzo 1998, le domande della parte attrice; la convenuta proponeva appello lamentando che il
Tribunale aveva erroneamente ammesso le prove testimoniali ai fini della determinazione del prezzo effettivo, ostando a tale soluzione la previsione contenuta nell’art. 1417
c.c..
La prova testimoniale sarebbe, nel caso di specie, ammissibile, rilevava la parte convenuta, nei stretti limiti di
cui all’art. 2725 c.c. relativo agli atti per i quali è richiesta
la prova per iscritto o la forma scritta; in modo errato il
Tribunale aveva, invece, richiamato l’art. 2724 n. 1 c.c. che
consente la prova testimoniale nell’ipotesi in cui vi sia un
principio di prova per iscritto.
L’appello veniva rigettato con sentenza del 20 novembre 2001 e la parte convenuta proponeva ricorso per cassazione; per risolvere il contrasto giurisprudenziale registrato in ordine al regime delle prova nel caso di simulazione del prezzo della compravendita, la causa è stata rimessa alle Sezioni Unite.
L’utilità della simulazione del prezzo nella compravendita
La dichiarazione, in sede di stipula di contratto di compravendita di beni immobili, di prezzo inferiore a quello
realmente pattuito e corrisposto dalle parte acquirente, è
ipotesi frequente cui si ricorre generalmente per ottenere
un illecito risparmio fiscale.
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Al fine di comprendere l’utilità di tale particolare congegno giuridico, è necessario soffermarsi brevemente sulle norme fiscali contenute nel D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131,
che determinano le imposte da corrispondere nell’ipotesi
di trasferimento di immobili.
Rilevano: in primo luogo, l’art. 43 che fissa la base imponibile, per i contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali, nel valore del bene o del diritto alla
data dell'atto; in secondo luogo, l’art. 511, come modificato dall'art. 57 del D. lgs. 15 dicembre 1997 n. 446, che
indica i parametri di riferimento per calcolare il valore dei
beni ai fini della tassazione ponendo, quale criterio generale sebbene passibile di rettifica, il valore dichiarato dalle parti, e riferendosi, per gli immobili, al valore venale dei
beni oggetto del contratto ed, infine, l’art. 522 che regola,
invece, le modalità di rettifica cui può far ricorso l’Amministrazione Finanziaria, precisando, al comma 4, che non
è comunque soggetto a rettifica il valore o il corrispettivo
degli immobili dichiarato in misura non inferiore all’importo corrispondente al cosiddetto “valore catastale”, risultante dalla moltiplicazione del reddito catastale secondo i parametri fissati.
I contraenti sono, pertanto, indotti a far riferimento a
tale ultimo valore in modo da corrispondere le imposte nell’importo minimo, proteggendosi, nel contempo, da eventuali accertamenti da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
E’ utile sottolineare immediatamente che tale fenomeno ha perso rilevanza a seguito degli ultimi interventi normativi, sui quali ci soffermeremo nella parte finale della
presente nota, i quali hanno scoraggiato detto comportamento eliminando, per un verso, l’utilità derivante dalla
dichiarazione di prezzo diverso da quello reale e prescrivendo, dall’altro, l’obbligo di indicare in atto con precisione le modalità di pagamento utilizzate, prevedendo forti sanzioni nel caso di violazione delle disposizioni.
Il caso posto all’attenzione della Corte di Cassazione si
riferisce ad un contratto di compravendita stipulato nel
1990, periodo in cui il ricorso alla dichiarazione di prezzo inferiore a quello reale era comune, considerato il rilevante vantaggio da esso derivante.
•••
la tabella. L’ufficio può tenere conto anche degli accertamenti compiuti ai fini di altre imposte e può procedere ad accessi, ispezioni e
verifiche secondo le disposizioni relative all’imposta sul valore aggiunto.
2 art. 52 Rettifica del valore degli immobili e delle aziende.
1. L’ufficio, se ritiene che i beni o i diritti di cui ai commi 3 e 4 dell’articolo 51 hanno un valore venale superiore al valore dichiarato o al
corrispettivo pattuito, provvede con lo stesso atto alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta, con gli interessi e le sanzioni…omissis
4. Non sono sottoposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli
immobili, iscritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in misura non inferiore, per i terreni, a sessanta volte il reddito dominicale risultante in catasto e, per i fabbricati, a ottanta volte il reddito risultante in catasto, aggiornati con i coefficienti stabiliti per le imposte sul reddito, né i valori o corrispettivi della nuda proprietà e dei diritti reali di
godimento sugli immobili stessi dichiarati in misura non inferiore a
quella determinata su tale base a norma degli articoli 47 e 48. Ai fini
della disposizione del presente comma le modifiche dei coefficienti stabiliti per le imposte sui redditi hanno effetto per gli atti pubblici formati, per le scritture private autenticate e gli atti giudiziari pubblicati o emanati dal decimo quinto giorno successivo a quello di pubblicazione dei
decreti previsti dagli articoli 87 e 88 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597, nonché per le scritture private non
autenticate presentate per la registrazione da tale data. La disposizione
del presente comma non si applica per i terreni per i quali gli strumenti
urbanistici prevedono la destinazione edificatoria…omissis.
5-bis. Le disposizioni dei commi 4 e 5 non si applicano relativamente
alle cessioni di immobili e relative pertinenze diverse da quelle disciplinate dall’articolo 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266,
e successive modificazioni.
1
Art. 51 Valore dei beni e dei diritti.
1. Ai fini dei precedenti articoli si assume come valore dei beni o dei
diritti, salvo il disposto dei commi successivi, quello dichiarato dalle parti nell’atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto.
2. Per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari e per quelli che hanno per oggetto aziende o diritti reali
su di esse, si intende per valore il valore venale in comune commercio.
3. Per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari l’ufficio del registro, ai fini dell’eventuale rettifica, controlla
il valore di cui al comma 1 avendo riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero
al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al
tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per
gli investimenti immobiliari, nonché ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai
comuni.
4. Per gli atti che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse il valore di cui al comma 1 è controllato dall’ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda,
compreso l’avviamento ed esclusi i beni indicati nell’art. 7 della parte prima della tariffa e art. 11-bis della tabella, al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi
data certa a norma del codice civile, tranne quelle che l’alienante si
sia espressamente impegnato ad estinguere e quelle relative ai beni
di cui al citato art. 7 della parte prima della tariffa e art. 11-bis del-
La posizione del notaio
La fattispecie coinvolge indirettamente anche il notaio
che, richiesto dalle parti di stipulare il contratto definitivo di compravendita, viene a trovarsi in una situazione alquanto delicata; nell’ipotesi in cui il pubblico ufficiale abbia redatto anche il preliminare di compravendita sarà, ovviamente, cura del medesimo preoccuparsi di accertare la
corrispondenza tra il prezzo precedentemente pattuito e
quello dichiarato in atto, invitando le parti ad integrare il
contenuto del preliminare stipulato qualora tale corrispondenza non sussista.
Il notaio richiamerà, in ogni caso, l’attenzione dei contraenti sull’importanza della dichiarazione del prezzo effettivo e sui rischi derivanti dal ricorso alla simulazione,
ma non potrà, in realtà, spingersi oltre; prima dell’intervento delle ultime modifiche legislative che hanno inciso
sostanzialmente sul punto, il pubblico ufficiale si limitava, secondo la prassi diffusa, ad inserire in atto la dichia-
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razione delle parti volta a riconoscere il preventivo versamento del prezzo pattuito a titolo di corrispettivo.
Il comportamento del notaio che indichi un prezzo differente da quello reale a lui noto è certamente scorretto e
censurabile rilevata la funzione di garante della legalità al
medesimo attribuita; pare difficilmente configurabile, però, l’ipotesi di abuso d’ufficio di cui all’art. 323 c.p. ovvero di falso in atto pubblico richiamata da quella parte
della dottrina3 preoccupata di preservare la certezza del
diritto e la corretta circolazione dei beni, quali corollari
dell’attività notarile.
L’efficacia privilegiata che copre, ai sensi dell’art. 2700
c.c., l’atto pubblico riguarda, infatti, le dichiarazioni che
il pubblico ufficiale attesta effettuate in sua presenza, ma
non la verità delle medesime; nessun reato è, perciò, rinvenibile nell’ipotesi in cui il notaio indichi il prezzo nell’importo, seppure simulato, corrispondente a quello realmente dichiarato dai contraenti.
La medesima situazione si presenta nell’ipotesi in cui
la parte acquirente proceda, immediatamente dopo la stipula dell’atto di compravendita, alla conclusione di contratto di mutuo per importo palesemente superiore al corrispettivo pattuito per l’acquisto del bene4.
Benchè il notaio non sia tenuto a partecipare alle trattative sul prezzo né ad accertarsi che quello dichiarato
sia il prezzo reale, è necessario che adotti un atteggiamento rigoroso, rilevato l’evidente connessione esistente tra i due negozi; in tal senso si è pronunciato, tra l’altro, il Tribunale di Milano5 che ha ritenuto deontologicamente scorretto e censurabile il comportamento frettoloso e compiacente del notaio che sistematicamente riceva atti di compravendita con atti di mutui collegati qualora non sussista corrispondenza tra il prezzo pattuito
quale corrispettivo nella compravendita e l’importo del
mutuo.
Natura giuridica
Delineata, in modo succinto, l’utilità pratica della fattispecie, è opportuno, a questo punto, analizzare gli aspetti prettamente giuridici in modo da rinvenire la colloca-
•••
3 MARIAVALENTINA PUCA, La simulazione del prezzo degli atti notarili. Risvolti pratici e fiscali, in Apparenza, Pubblicità, legittimazione – Studi di interesse notarile, Napoli 2004, p. 49 e ss.
4 Detta possibilità è ora esclusa nell’ipotesi di trasferimenti immobiliari soggetti ad IVA finanziati mediante mutui fondiari o finanziamenti bancari, dall’art. 35 comma 23 bis della legge 4 agosto 2006 n.
248 di conversione del D.L. 4 luglio 2006 n. 223, in forza del quale,
ai fini della rettifica di cui all’articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633 il valore normale non può essere inferiore all’ammontare del mutuo o finanziamento erogato.
5 Trib. Mi 21 aprile 2005 n. 4518, in Riv. Not. 2005, p. 1069
6 ALLARA, La teoria generale del contratto, Torino, 1955; AURICCHIO, La simulazione del negozio giuridico, Napoli, 1957; BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato Vassalli, Torino,
zione che assume la simulazione parziale del prezzo all’interno del nostro sistema normativo.
La spinosa questione da affrontare, che ha visto contrapposte la dottrina e la giurisprudenza, è quella relativa all’individuazione della natura giuridica dell’istituto; si
tratta, più precisamente, di verificare se la fattispecie possa essere ricompresa nel fenomeno della simulazione relativa6 ovvero se essa consista in una mera integrazione del
negozio e riguardi, perciò, l’attività interpretativa.
L’opzione di una delle alternative prospettate ha non indifferenti implicazioni sostanziali; il riferimento alla simulazione relativa determina, infatti, l’applicazione della
corrispondente disciplina ed, in particolare, dell’art. 1414
comma 2 c.c. in ordine alla forma del contratto dissimulato, e dell’art. 1417 c.c. in materia di prova.
La prima norma imporrebbe, nel caso di specie, alle parti di trasfondere il contenuto dell’accordo simulatorio in
un atto dotato della forma pubblica utilizzata per il negozio di compravendita; in forza della seconda norma la
prova testimoniale sarebbe esclusa, trattandosi di domanda proposta tra le parti per fini diversi dalla dichiarazione di illiceità del contratto simulato.
La riconduzione alla simulazione relativa comporterebbe, nel contempo, l’applicazione dei limiti alla prova
testimoniale disposti dall’art.2721 e ss, c.c. che integrano e completano l’art. 1417 c.c. ed, in particolare: dell’art. 2722 c.c., che esclude il ricorso alla prova testimoniale qualora essa abbia ad oggetto patti aggiunti o
contrari al contenuto di un documento stipulato anteriormente o contemporaneamente; dell’art. 2724 c.c.
che pare aprire una breccia laddove àncora l’intervento
dei testimoni all’esistenza di un principio di prova per
iscritto, nonché dell’art. 2725 c.c. che, per gli atti per i
quali è richiesta la forma scritta, ammette la prova testimoniale nella sola ipotesi di perdita incolpevole del documento oggetto di prova.
I limiti di ammissibilità della prova della simulazione
parziale del prezzo risulterebbero, conseguentemente, individuabili dall’attento e preciso coordinamento delle norme richiamate.
1960; BIANCA, Diritto Civile, III, Il contratto, Milano, 2000; Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto civile, I, 2, Torino, 1989;
CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1948; CARRESI, Il contratto, in Trattato Cicu-Messineo,
Milano, 1987; CASELLA, voce Simulazione (diritto privato), in Enc.
Dir., XLII, Milano 1990; DISTASO, La simulazione dei negozi giuridici, Torino, 1960; ID, voce Simulazione del negozio, in Noviss. Dig.
It., XVII, Torino, 1979; GALGANO, Il negozio giuridico, in Trattato
Cicu-Messineo, Milano, 1988; GAZZONI, Manuale di diritto privato, 12a ed., Napoli, 2006; GENTILI, voce Simulazione dei negozi giuridici, in Dig. Disc. Priv. -sez. civ, XVIII, Torino, 1998; MIRABELLI,
Dei contratti in generale, Torino, 1980; NUTI, La simulazione del contratto, Milano, 1986; PELLICANO’, Il problema della simulazione,
Padova, 1988; SACCO, Il contratto, in Trattato Vassalli, VI, 2, Torino, 1975; SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1985; STOLFI, Teoria del negozio giuridico, Padova,
1947.
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Tale percorso non è stato, però, battuto dalla prevalente
giurisprudenza, che dopo alterne pronunce, ha assunto un
costante orientamento volto a contraddistinguere la simulazione del prezzo da quella relativa.
La posizione della giurisprudenza e della dottrina
La giurisprudenza, come sopra anticipato, non ha assunto una posizione lineare; una soluzione rigorosa si registra nelle sentenze meno recenti7 che, pur non individuando chiaramente la natura giuridica della fattispecie,
concludono per la piena applicazione, in materia di prova, dell’art. 1417 c.c. ed escludono, quindi, il ricorso ai
testimoni.
Successivamente8 si assiste ad un sostanziale mutamento di indirizzo per cui si tende a distinguere la fattispecie in oggetto dalla simulazione relativa e a ritenere, pertanto, inapplicabile la disciplina di cui agli articoli 1414
e seguenti del codice civile .
Il ragionamento dei giudici, che è venuto a costituire
consolidato orientamento9, si fonda sulle peculiarità della simulazione parziale nella quale l’accordo sottostante
riguarda esclusivamente la pattuizione del prezzo mentre
rimangono sostanzialmente immutati tutti gli altri elementi essenziali del contratto nonché le eventuali clausole accidentali predisposte.
L’accordo simulatorio non incide, osserva la giurisprudenza, sulla natura del contratto originario il quale non
può, conseguentemente, ritenersi viziato né da nullità né
tantomeno da annullabilità, ma semplicemente inefficace
tra le parti; tali aspetti hanno indotto i giudici a rinvenire nell’integrazione, ovvero nella sostituzione, lo strumento idoneo a far valere la pattuizione effettivamente voluta dalle parti.
•••
7 Cass. 12 dicembre 1958 n. 3870; Cass. 9 luglio 1959 n. 2208; Cass.
10 giugno 1968 n.1777, in Giust. civ. 1968, I, p. 1830; Cass. 25 gennaio
1968 n. 227, in Giust. Civ. 1968, I, p. 1268; Cass. 15 gennaio 1973 n.
151, in Giur. It., 1975, I, 1, p. 999, Cass. 4 febbraio 1985 n. 768, in Gius.
Civ. Mass. 1985, fasc. 2.
8 Cass. 2 ottobre 1978 n. 4336, in Gius. Civ. 1979, I, p. 77.
9 Cass. 9 luglio 1987 n. 5975, in Giust. Civ. 1988, I, p. 1020; Cass. 23
gennaio 1988 n. 526, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1988, I, p. 534 e ss. con
nota. ALLEGRETTI, Simulazione del prezzo e ammissibilità della prova
per testimoni; Cass. 24 aprile 1996 n. 3857, in Vita Not. 1996, p. 1319;
Cass. 24 luglio 1997 n. 6933, in Giust. Civ. Mass. 1997, p. 1269; Cass. 24
giugno 2003 n. 10009, in Giust. civ. Mass. 2003, p. 6 ;
10 Pretura di Pesaro 4 maggio 1998, in Riv. Dir. Civ. 2000, 2, p. 438 e ss.
con nota di F. MAYER, Simulazione del prezzo e limitazione della prova.
E’ utile, altresì, rilevare che in materia fallimentare, secondo l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (Cass. 20 febbraio 1992 n.
20097, in Il fall., 1992, p. 682; Cass. 15 ottobre 1992 n. 11273, in Il fall.,
1993, p. 492), si ritiene opponibile al curatore fallimentare che agisce in
revocatoria la simulazione relativa del maggior prezzo versato dall’acquirente al venditore successivamente fallito, ma si richiede, a tal fine, prova
scritta proveniente dalle parti dell’accordo simulatorio (Cass. 7 gennaio
1999 n. 22, in Riv. Not. 1999, p.990., Cass. 21 giugno 2000 n. 8426, in
Giust. civ. Mass. 2000, p. 1361; Cassazione. 15 settembre 2000 n. 12172,
in Giust. Civ. Mass. 2000, p. 1935; contra Trib. Napoli 30 giugno 1987,
in Giur. Comm. 1989, II, p 146 e ss. con nota di A. MAIENZA, Sulla ne-
La simulazione del prezzo potrebbe essere, quindi, provata con qualunque mezzo poiché non avrebbe applicazione
la rigida disciplina dettata dall’art. 1417 c.c. e giustificata
dai rilevanti effetti prodotti dalla simulazione relativa nella quale la dissimulazione coinvolge l’intero negozio.
La carenza di autonomia strutturale ovvero funzionale nella simulazione parziale non consentirebbe, secondo
tale impostazione, l’assimilazione al patto aggiunto di cui
al citato art. 2722 c.c.; non sarebbe, allo stesso modo, applicabile il citato art. 2725 c.c. poiché la forma scritta non
verrebbe a costituire elemento essenziale per la conclusione
dell’accordo.
La prova avrebbe, nel caso di specie, natura meramente
integrativa e potrebbe, secondo i giudici, risultare anche
da dichiarazione unilaterale del compratore.
In senso difforme si rinviene un’isolata pronuncia della Pretura10 che in un caso di cessione di quota sociale, in
contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale, ha escluso il ricorso alla prova testimoniale; l’organo giudicante ha omesso però di individuare la natura giuridica dell’accordo e, quindi, di sciogliere il nodo fondamentale, adducendo a sostegno dell’iter argomentativo
l’unitarietà della simulazione che comprende tanto quella relativa quanto quella assoluta.
La lettura proposta dalla giurisprudenza non è stata,
però, condivisa dalla maggior parte degli autori che, soffermatisi sulla fattispecie11, hanno ritenuto poco corretto
circoscrivere l’applicazione dell’art. 1414 comma 2 c.c. alle ipotesi di conclusione di negozio di tipo diverso da quello apparente.
La presunta natura meramente integrativa dell’accordo non giustifica, si osserva, l’esonero dal requisito della
forma scritta ab substantiam e, di conseguenza, dall’apcessità che la simulazione del prezzo sia provata a mezzo di controdichiarazione avente data certa).
11 L. BELLONI PERESSUTTI, Limiti di ammissibilità inter partes della prova testimoniale della simulazione, in Studium Iuris 2000, II, p. 1389
e ss; U. CARNEVALI, Accordo simulatorio e contratto dissimulato: prova e data certa, nota a Cass. 14 gennaio 1999 n. 351, in I contratti, 1999,
n.8/9, p. 761 e ss. MARANI, La simulazione negli atti unilaterali, Padova, 1971, p. 35; P. FORCHIELLI, Prova per testi della simulazione del prezzo immobiliare?, in Studi in onore di M. Giorgianni, Napoli 1988, p. 231
e ss.; SACCO DE NOVA, Il contratto, in Trattato di diritto civile a cura
di Sacco, Torino 1998, I, p. 533; F. TOMMASEO, Sul Patto di simulazione del prezzo nei contratti solenni, in Giur. It., 1988, I, p. 563; G. STOLFI, Note minime sulla prova della simulazione relativa, nota a Cass. 15
gennaio 1973 n. 151, in Giur. It. 1975, I, 1, p. 999; G. TERRANOVA,
La prova della simulazione nelle revocatorie fallimentari, in Riv. Dir. Civ.,
1999, II, p. 152; RICCIUTO, La simulazione, in I contratti in generale a
cura di Gabrielli, I, Torino 1999, p.1426;
Condividono, invece, l’orientamento giurisprudenziale: G. FURGIUELE,
Della simulazione di effetti negoziali, Padova 1992, p. 116; T. MONTECCHIARI, La simulazione del contratto, Milano 1999, p.101; U. MAJELLO, Il contratto simulato: aspetti funzionali e strutturali, in Riv. Dir.
Civ. 1995, II, p. 652;
GIORGIANNI, in Enc. Dir. voce Forma degli atti giuridici, XVII, Milano 1968, p.908 il quale distingue l’ipotesi in cui le pattuizioni aggiunte riguardino la fissazione del prezzo e siano quindi relative ad un elemento
essenziale del contratto, da quelle relative alle determinazione delle modalità di pagamento; soltanto la prima tipologia di convenzioni sarebbe
sottoposta ai rigorosi oneri formali nella redazione e nella prova.
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plicazione della disciplina sulla prova testimoniale ammessa, ai sensi dell’art. 2724 n. 3 c.c., nella sola ipotesi di
perdita senza colpa del documento.
Ulteriore ostacolo sarebbe, in ogni caso, rappresentato dall’art. 2722 c.c. che, a differenza di quanto sostenuto dai giudici, avrebbe, nel caso di specie, piena applicazione poiché la pattuizione di prezzo diverso da quello apparente costituisce, in modo chiaro, un patto contrario al
contenuto del negozio precedentemente stipulato.
Tali conclusioni sono state accolte dalla più recente
giurisprudenza12 la quale, in aperto contrasto con l’orientamento indicato, ha espressamente escluso l’ingresso della prova testimoniale nell’ipotesi di simulazione del prezzo, ritenendo applicabile i limiti di cui all’art. 2722 e chiarendo l’ambito di operatività dell’art.1417 c.c..
La pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite
In tale quadro si inserisce la pronuncia emessa dalla Cassazione a Sezioni Unite che, discostandosi dal costante
orientamento assunto dalla giurisprudenza meno recente, aderisce alla ricostruzione proposta dalla prevalente
dottrina e condivisa dall’ultima pronuncia della cassazione che viene sostanzialmente riprodotta.
La Corte Suprema si preoccupa, in primo luogo, di verificare la possibile riconduzione della simulazione parziale
oggettiva al patto aggiunto di cui all’art. 2722 c.c. delineando il contenuto della norma ed operando una valutazione comparativa dell’efficacia dei diversi tipi di prova; si evidenzia, così, la certezza di veridicità offerta dalla prova documentale, ma non garantita, negli stessi termini, dalla prova testimoniale.
Tale aspetto induce i giudici ad assumere un atteggiamento rigoroso e attento e ritenere, quindi, poco corretto far sostanzialmente dipendere la decisione dalle affermazioni di soggetti terzi ed estranei, quali i testimoni;
qualora le parti decidano di fissare per iscritto le pattuizioni raggiunte, è logico presumere, si osserva, che le medesime intendano subordinare alla stessa forma anche gli
ulteriori eventuali accordi modificativi e/o integrativi.
La disciplina dettata dal legislatore volta ad individuare ipotesi tassative e giustificabili in cui la prova testimoniale è ammessa pur in presenza di un originario accordo
concluso per iscritto, viene considerata, perciò, lineare e
corretta
La Cassazione tende, pertanto ad escludere l’ingresso
della prova testimoniale in tutti i casi in cui le parti intendano dimostrare che gli effettivi accordi intercorsi non
corrispondono a quanto appare dal negozio concluso e redatto in forma scritta.
Volgendo l’analisi all’istituto della simulazione, la Su-
•••
12 Cass. 19 marzo 2004 n. 5539, in Vita Not. 2004, p.966 e in Foro It. 2005, I, p. 510.
prema Corte si sofferma sull’art. 1417 c.c. relativo alla prova testimoniale ed evidenzia la necessità di collegare tale
disposizione con la disciplina sui limiti alla prova testimoniale contenuta nell’art. 2721 e ss. c.c.; i giudici chiariscono, quindi, che fuori dall’ipotesi di contratto dissimulato illecito la prova tra le parti è subordinata a detti
limiti ed, in particolare, all’art. 2722 c.c
L’adita Corte si sofferma, poi, sulla distinzione introdotta tra il tradizionale istituto della simulazione di cui all’art. 1414 e ss c.c. e la simulazione parziale, quale patto
meramente integrativo, carente di autonomia funzionale
e strutturale rispetto al contratto originario, e ne respinge la legittimità; si sminuisce, correttamente, l’incidenza
della natura integrativa dell’accordo il quale risulta, comunque, ricompreso nell’ambito di operatività dell’art.
2722 c.c., trattandosi di patto contrario ad un accordo precedente contenuto in un documento.
La Corte Suprema riconduce, pertanto, la fattispecie alla simulazione relativa con conseguente applicazione della relativa disciplina; benché, infatti, il contratto simulato non risulti viziato da nullità o annullabilità, ma sia
semplicemente inefficace tra le parti, il contratto dissimulato, ai sensi dell’art. 1414 comma 2 c. c., dovrà comunque rispettare i requisiti di forma richiesti per la validità del medesimo.
L’importanza della prova della simulazione del prezzo
Per valutare la portata della pronuncia in commento è utile riportare, a titolo esemplificativo, le principali ipotesi
in cui risulta fondamentale per l’acquirente dimostrare che
il corrispettivo realmente corrisposto è superiore a quello risultante dal contratto di compravendita stipulato.
Rileva, in primo luogo, l’eventuale risoluzione, rescissione o annullamento del contratto secondo le modalità
e nei limiti riconosciuti dal nostro ordinamento; il compratore potrà ottenere, infatti, la restituzione del prezzo
effettivo soltanto se riuscirà a provare di aver corrisposto
una somma superiore e dovrà, altrimenti, accontentarsi del
solo prezzo dichiarato in contratto.
Nel caso di beni soggetti a prelazione legale13, inoltre,
se la parte alienante trasferisce il bene in violazione della
prelazione legale, i titolari del diritto di prelazione potranno esercitare il diritto di riscatto corrispondendo, a tal
fine, il prezzo dichiarato in atto.
Nelle ipotesi, poi, in cui, successivamente all'atto di
compravendita, il venditore fallisca , o emerga comunque
una situazione di insolvenza del medesimo, il curatore
fallimentare o i creditori potranno ottenere, a determinate condizioni, la revoca degli atti compiuti dal venditore
in frode alle loro ragioni14; il compratore non potrà che
13 Prelazione agraria ex art. 8 legge 26 maggio 1965 n. 590 ed ex
art. 7 legge 14 agosto 1971 n. 817, prelazione urbana ex artt. 38-3941-35 della legge 27 febbraio 1978 n. 392, prelazione ereditaria ex art.
732 c.c.
14 Vd.: art. 2901 del codice civile; art. 67 R.D. 267/1942
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insinuarsi nel fallimento e far valere il proprio credito
corrispondente all'importo dichiarato nel rogito definitivo e non a quello effettivo che rileverà soltanto se provato mediante controdichiarazione scritta derivante dalle
parti dell’accordo simulatorio15:
In caso di contratti relativi ad immobile da costruire
conclusi ai sensi del d. lgs. 20 giugno 2005 n. 12216, la parte del prezzo simulato eventualmente corrisposta prima del
trasferimento della proprietà all'acquirente non sarà assistita dalla garanzia fideiussoria prevista dagli artt. 2 e 3
del d. lgs. 20 giugno 2005 n. 12217 e il contratto risulterà
viziato da nullità relativa.
I recenti interventi normativi
L’utilità del ricorso alla simulazione del prezzo è solitamente motivata, come evidenziato nella parte iniziale della presente nota, dallo scopo di ottenere un, in realtà illecito, risparmio fiscale, calcolando le imposte sul minor
prezzo dichiarato in atto.
Si deve, però, sottolineare che tale interesse è, in parte,
venuto meno a seguito dell’introduzione della cosiddetta
“disciplina del prezzo-valore” disposta ai sensi dell’art. 1
comma 497 della legge 23 dicembre 2005 n. 266, come
modificato dall’art. 35 comma 22 legge 4 agosto 2006 n.
248 di conversione del D.L. 4 luglio 2006 n. 223 e dall’art. 1 comma 310 della legge 27 dicembre 2006 n. 296,,
in forza della quale, nel caso di cessioni nei confronti di
persone fisiche che non agiscano nell'esercizio di attività
commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto
immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, è costituita, in deroga a quanto stabilito dal citato all'art. 43 del D.P.R. n.131/1986 e su richiesta della parte acquirente, dal valore dell'immobile determinato ai sensi dell'art. 52, commi 4 e 5, del D.P.R. n.131/1986 sopra
riportato.
E’, nel contempo, tramontata la funzione protettiva finora rappresentata dal valore catastale indicato in atto;
l’art. 23 ter della citata legge 4 agosto 2006 n. 248 di conversione del D.L. 4 luglio 2006 n. 223 ha, infatti, introdotto, all’art. 51 del D.P.R. 131/198618, il nuovo comma
5 bis che dichiara comunque soggetto a verifica da parte
dell’Amministrazione Finanziaria il valore degli immobili e delle pertinenze dichiarati nelle ipotesi di cessioni di-
•••
15 Vd. sub. nota 10.
16 Trattasi della particolare disciplina disposta per tutelare i diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, applicabile ai
contratti stipulati tra “acquirente” e “costruttore” come definiti dall’art. 1 del D. lgs. n.122/2005 e aventi ad oggetto il trasferimento non
immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento di immobili che siano ancora da edificare o la cui costruzione non risulti essere stata ultimata versando in stadio tale da non consentire ancora il
rilascio del certificato di agibilità.
17 L’art. 2 del D. lgs. n. 122/2005 pone, in capo al costruttore, l’ob-
verse da quelle di cui alla disciplina del prezzo valore.
Ulteriori interventi dettati da esigenze sostanzialmente
differenti tendono, nel contempo, a rendere più difficile e
rischioso ricorrere al meccanismo della simulazione del
prezzo.
Si registra, in tal senso, la disciplina di cui al d. lgs. 20
giugno 2005 n. 122 disposta a tutela degli acquirente degli immobili da costruire19.
L’art. 6, riferito espressamente al preliminare ma applicabile in tutte le ipotesi in cui si stipuli un atto compreso
nell’ambito di applicazione della normativa, richiede, alla lettera f, espressa indicazione del prezzo complessivo pattuito nonchè delle precise modalità di pagamento del medesimo; modalità che, al fine di garantire la tracciabilità
dei trasferimenti di danaro, devono necessariamente consistere in bonifici bancari o in versamenti diretti su conti
correnti bancari o postali.
E’, quindi, evidente come in dette ipotesi sia estremamente difficile ricorrere alla simulazione del prezzo; la
parte acquirente è, infatti, interessata all’indicazione precisa delle informazioni richieste in modo da godere di
adeguata garanzia nel caso in cui l’alienante si ritrovi in
una situazione di crisi.
Al fine di combattere l’evasione fiscale, il legislatore ha,
poi, introdotto l'art. 35 comma 22 legge 4 agosto 2006
n. 248 di conversione del D.L. 4 luglio 2006 n. 223 il quale pone, nel caso di cessione dell'immobile, anche se assoggettata ad IVA, l’obbligo, in capo alle parti, di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà
recante l'indicazione analitica delle modalità di pagamento ed applica, nel il caso di omessa, incompleta o
mendace indicazione dei predetti dati, la sanzione amministrativa da euro 500,00 ad euro 10.000,00, disponendo altresì che, ai fini dell'imposta del registro, i beni trasferiti siano assoggettati ad accertamento di valore.
Le sanzioni
Per evitare la frode fiscale, il legislatore ha, inoltre, predisposto forti sanzioni per le ipotesi in cui risulti che il
prezzo dichiarato in atto, secondo quanto prescritto nelle disposizioni sopra riportate, non corrisponde a quello reale.
Le parti potranno, più precisamente, subire i seguenti effetti:
bligo di rilasciare a favore dell’acquirente, all’atto della stipula del contratto ovvero in un momento precedente, a pena di nullità del contratto,
una fideiussione di importo corrispondente alle somme che ha riscosso e a quelle che, secondo i termini e le modalità stabilite nel contratto, deve ancora riscuotere dall’acquirente prima del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento. L’art.3 del D. lgs. n.
122/2005 precisa che la fideiussione deve garantire, nel caso in cui il
costruttore incorra in una situazione di crisi, la restituzione delle somme effettivamente riscosse e dei relativi interessi legali maturati fino al
momento in cui la situazione si è verificata.
18 Vd. sub nota 2.
19 Vd. sub. nota 16.
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• sarà, in primo luogo, possibile incorrere in un accertamento del maggior valore e alla conseguente rettifica da
parte dell'Agenzia delle Entrate nonché all’applicazione delle relative sanzioni20; ai sensi dell’art.2772 c.c., lo
Stato, avente privilegio sugli immobili oggetto di compravendita, potrà, inoltre, procedere all’esproprio dei
medesimi, anche nei confronti del terzo acquirente;
• nell’ipotesi in cui i contribuenti si avvalgano della disciplina del prezzo/valore; le imposte saranno dovute
sull'intero importo e sarà applicabile la sanzione amministrativa dal 50% al 100% della differenza tra l'imposta dovuta e quella già applicata in base al corrispettivo dichiarato, detratto l'importo della sanzione irrogata a sensi dell'art. 71 D.P.R. 131/198621;
• nel caso di occultamento, anche in parte, del corrispettivo convenuto nelle ipotesi diverse da quelle regolate dal
prezzo-valore, le parti saranno soggette, ai sensi della legge n. 266/2005, oltre che al pagamento della maggiore
imposta dovuta sulla differenza di prezzo, a una sanzione
dal 200% al 400% della differenza tra l’imposta dovuta e quella già applicata in base al corrispettivo dichiarato22; lo Stato avente privilegio sugli immobili oggetto
di compravendita a garanzia del credito d’imposta, potrà, inoltre, espropriarli;
• nell’ipotesi di atti che producono plusvalenze, l'eventuale simulazione del prezzo accertata dal fisco, comporterà anche l’applicazione delle sanzioni previste
per omessa o insufficiente dichiarazione dei redditi delle persone fisiche23.
L'indicazione in atto di un prezzo simulato inferiore anche all'importo del mutuo può, infine, determinare, in
particolari ipotesi, una perdita economica per il compratore; l'art. 15 comma 1, lettera b), del D.P.R. 22 dicembre
1986 n. 917 prevede, infatti, la detrazione dal reddito delle persone fisiche degli interessi passivi dipendenti da mutui ipotecari contratti per l'acquisto dell'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale nei termini ed entro
i limiti indicati. La detrazione spetta esclusivamente fino
a concorrenza della parte di mutuo corrispondente al prezzo dichiarato nella compravendita24 per cui, nel caso di simulazione del prezzo, il mutuatario non potrà detrarre dal
proprio reddito l'intera quota di interessi di competenza.
Conclusioni
La pronuncia emessa dalla Suprema Corte, apprezzabile per
la linearità, deve essere accolta con favore poiché chiarisce
•••
20 Per l’insufficiente dichiarazione di valore l’art. 71delD.P.R. 131/1986
prevede una sanzione dal 100% al 200% della maggior imposta dovuta.
21 Art. 35 comma 21 legge 248/2006 di conversione del D.L. 4 luglio
2006 n. 223
22 Art. 72 D.P.R. 131/1986
23 Sarà applicabile, più precisamente, una sanzione amministrativa dal
la natura giuridica dell’istituto della simulazione parziale
assegnandogli una chiara collocazione nell’ordinamento.
La particolare costruzione proposta dalla precedente
giurisprudenza, mossa molto probabilmente da esigenze
pratiche e poco attenta agli aspetti sistematici, deve ritenersi, pertanto, ormai superata; sfuggivano, a ben vedere, gli elementi volti ad individuare la natura del particolare patto integrativo, carente di autonomia funzionale e
strutturale rispetto al contratto originario, ma stranamente sottoposto a differente e meno rigorosa disciplina.
Sono, pertanto, condivisibili gli appunti mossi dalla
Cassazione alla sentenza impugnata; censurabile appare, altresì, il richiamo effettuato dai giudici di primo grado all’art. 2724 n. 1 c.c. in forza del quale è stato attribuito valore di principio di prova al contratto preliminare stipulato.
Benché, infatti, la più recente dottrina, confermata
dalla giurisprudenza25, ritenga ammissibile desumere dallo stesso contratto simulato la prova della simulazione,
particolare prudenza viene adottata in ordine al preliminare di compravendita il quale, essendo anteriore alla vendita definitiva, non pare possa costituire valida
prova della controdichiarazione; quest’ultima, in realtà,
presuppone l’accordo simulatorio e non può, perciò,
precederlo26.
Le conclusioni cui giunge la Corte di Cassazione hanno una rilevante incidenza nella contrattazione e richiamano le parti ad adottare atteggiamento scrupoloso e accorto; esse dovranno, infatti, preoccuparsi di redigere in
forma scritta tutti gli eventuali ulteriori accordi che si
pongano in contrasto ovvero che completino quanto
precedentemente concluso, pena l’impossibilità di far
valere le reali pattuizioni.
Trattasi di effetto dirompente per i contraenti ormai
adagiati sulla comoda soluzione offerta dal tranquillizzante ed indulgente orientamento giurisprudenziale.
I più recenti interventi normativi hanno, sicuramente,
segnato un declino del meccanismo della simulazione del
prezzo, ma il tramonto appare, in verità, lento e graduale; sebbene il legislatore abbia previsto l’applicazione delle forti sanzioni indicate, essa continua, infatti, a conservare una certa rilevanza nelle contrattazioni economiche.
Gli effetti della pronuncia della Corte di Cassazione
non sono, perciò, destinati a dispiegarsi soltanto sui rapporti giuridici pendenti ma a interessare, in generale,
tutti i trasferimenti immobiliari.
100% al 200% della maggiore imposta dovuta (art. 1, comma 2, del D.
lgs. 18 dicembre 1997 n. 471); qualora si tratti di atto soggetto ad IVA avrà
applicazione la sanzione amministrativa dal 100 % al 200 % della differenza di imposta (art. 5, comma 4, del D .lgs. 471/1997).
24
In tal senso: Circolare dell’ Agenzia delle Entrate 20 aprile 2005 n.
15/E e Circolare dell’Agenzia delle Entrate 31 maggio 2005 n. 26/E.
25 Cass. 18 dicembre 1997 n.12813, in Giust. civ. Mass. 1997, p. 2397;
Cass.13 novembre 1997 n. 11232, in Giust. civ. Mass. 1997, p. 216i.
26 In tal senso: Cass. 1^ marzo 1988 n. 2130, in Dir. Fam. 1988, p. 1316.
DIRITTO
Penale
E
PROCEDURA
Il nuovo fronte dell’aggressione di patrimoni illeciti:
L’art. 12 - sexies legge n. 356/92
45
Catello Maresca e Antonio Ardituro
Pubblici ministeri presso il Tribunale di Napoli
Non è consentito al pubblico ministero disporre il fermo del soggetto
“scarcerato”a seguito di omesso interrogatorio di garanzia
55
Mario Griffo
Avvocato penalista
Rassegna di Giurisprudenza di legittimità di diritto e procedura penale
64
Mario Griffo e Luigia Martino
Rassegna di Giurisprudenza di merito di diritto e procedura penale
Mario Griffo
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L’art. 12-sexies legge n. 356/92
(Il nuovo fronte dell’aggressione patrimoni illeciti)
●
Il nuovo fronte
dell’aggressione
ai patrimoni illeciti
● Catello Maresca e Antonio Ardituro
Pubblici ministeri
presso il Tribunale di Napoli
•••
1
Cfr. atti del Convegno di studi promosso dall’Università di Catania
sul tema: Le sanzioni patrimoniali come moderno strumento di lotta con-
1. Premessa – 2. Il sequestro preventivo di cui all’art. 12-sexies: natura giuridica – 3. Riflessi civilistici sulla trascrivibilità. Le modalità di esecuzione.
La natura del sequestro ex 12 sexies. - 4. La disciplina: le condizioni di applicabilità – 5. Delitti presupposti: l’art. 12 quinques.- 6. Rapporti tra 12
quinques e 648 bis e ter:
1. Premessa
La legislazione vigente in materia di confisca di patrimoni illeciti è particolarmente variegata e spesso le diverse disposizioni appaiono frutto di interventi emergenziali e, quindi, non sono armonicamente coordinate
fra loro. Ciò determina, ovviamente, notevoli difficoltà
interpretative ed applicative.
Una recente pubblicazione 1 ha suddiviso le confische
in tre categorie: la confisca di prevenzione, la confisca
penale e la confisca penale “allargata” prevista dall’art.
12-sexies Legge n. 356/92, e succ.modif.
Il sequestro e la conseguente confisca dei patrimoni
di provenienza illecita possono essere, infatti, disposti sia
in sede penale che in sede di prevenzione: il codice penale e numerose leggi speciali prevedono la confisca dei
beni come misura di sicurezza patrimoniale quando essi siano direttamente o indirettamente collegati al reato
per il quale è stata pronunciata condanna; mentre la legge 575/65 e succ. modif. prevede il sequestro e la confisca dei beni come misura di prevenzione patrimoniale.
In linea di massima, come vedremo, per raggiungere la
confisca definitiva, il pubblico ministero, tende oggi sempre più a privilegiare, quando l’indiziato sia stato già iscritto nel registro degli indagati, la sede delle indagini preliminari per sviluppare anche quelle riguardanti i patrimoni illeciti accumulati dall’indagato, finalizzandole alla richiesta di applicazione del sequestro preventivo dei beni
di provenienza illecita in vista della successiva confisca a
seguito di condanna per i reati per i quali si procede.
La ragione giustificativa di tale sempre più diffusa impostazione investigativa riposa sulla necessità di colpire tutte le ricchezze illecite accumulate dalle organizzazioni criminali, accompagnando agli accertamenti sulla
responsabilità per i delitti ascritti, quella sulla capitalizzazione delle attività illecite, sugli investimenti e sull’accumulo di patrimoni illeciti.
In tale ottica appare chiaro come l’introduzione della confisca allargata prevista dall’art. 12-sexies ha notevolmente ridotto gli spazi di intervento della confisca
tro il crimine: il reciproco riconoscimento eprospettive di armonizzazione.
La confisca penale fra disposizioni codicistiche e leggi speciali:esigenze di
coordinamento normativo e prospettive di riforma. Relatore: Roberto Alfonso
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di prevenzione quando questa ha come presupposto l’esistenza di indizi per uno dei reati di cui all’elenco sempre più ampio contenuto nell’art. 12-sexies2.
Le varie ipotesi di confisca penale sono connotate da
specifiche differenze e le stesse a loro volta si distinguono dalle confische di prevenzione, sotto molteplici profili: il procedimento, l’oggetto, l’esecuzione del sequestro,
l’amministrazione dei beni, la tutela dei terzi, la destinazione finale dei beni confiscati3.
Il presente lavoro si propone in questa ottica di chiarire le connotazioni e le peculiarità applicative che fanno del sequestro e della successiva confisca ex art. 12 sexies uno strumento formidabile di aggressione all’accumulo di patrimoni illeciti.
2. Il sequestro preventivo di cui all’art. 12-sexies:
natura giuridica
Appare preventivamente opportuno delineare l’inquadramento giuridico dell’istituto cautelare in questione, che ha riflessi significativi in ordine al parametro costituzionale di riferimento.
In generale, come è noto, il sequestro preventivo previsto dall’art. 321, primo comma, c.p.p. - misura coercitiva reale volta ad interrompere l’iter criminoso di un
illecito o ad impedire la commissione di nuovi reati - svolge essenzialmente una finalità cautelare che può essere
disposta dal giudice, con decreto motivato, su richiesta
del pubblico ministero. L’art. 321, secondo comma, invece, disciplina il c.d. sequestro preventivo finalizzato alla confisca della cosa. Si tratta di una misura cautelare
sostanzialmente distinta da quella prevista dal primo
comma; difatti, per il sequestro preventivo ai fini della
confisca, l’unica condizione, oltre alla ricorrenza del periculum, posta dalla norma sembra essere la confiscabilità del bene oggetto di sequestro, cioè l’appartenenza alla categoria dei beni suscettibili di confisca.
Va al riguardo precisato che, per quanto riguarda l’individuazione delle tipologie di sequestro finalizzato alla
confisca, le disposizioni codicistiche sono integrate da numerose altre disposizioni presenti nella legislazione speciale,
tra cui, appunto, l’art. 12-sexies del D.L. 306/92.
Le ipotesi particolari di confisca di cui all’art. 12-sexies del D.L. 306/92 – in previsione delle quali l’autorità
giudiziaria può disporre, ai sensi del comma 4, il sequestro
preventivo – costituiscono, alla luce degli orientamenti dottrinali più recenti, una sorta di espropriazione per pubblico interesse che determina il trasferimento, a titolo originario, dei beni al patrimonio dello Stato, al fine di impedi-
•••
2
Si tratta a ben vedere di una considerazione di fatto, che va del
resto contrastata nei limiti in cui in numerosi casi è ben possibile, ed
anzi preferibile, duplicare il titolo del sequestro e sottoporre i benei
sia al sequestro di prevenzione sia a quello preventivo penale.
3
Si rinvia sul punto ad un’approfondita analisi contenuta negli at-
re a chiunque di trarre vantaggio da proventi che non abbiano una lecita origine economica, o siano il prodotto del
delitto di usura, ovvero degli altri delitti di cui al relativo
elenco.
Non appare superfluo rimarcare che la confisca dei
beni prevista dalla disposizione in esame non è tanto finalizzata all’acquisizione del bene al patrimonio dello
Stato, quanto alla esigenza, tipicamente preventiva, di
interrompere la relazione del bene stesso con l’autore del
reato e di sottrarlo alla disponibilità di quest’ultimo.
In altri termini, come peraltro più volte evidenziato
dalla Corte di Cassazione, il fine principale e immediato della confisca “penale” è la spoliazione del reo nei diritti che egli ha sulla cosa; l’acquisto di tali diritti da parte dello Stato costituisce soltanto una conseguenza necessaria di tale spoliazione.
Il sequestro preventivo di cui all’art. 12-sexies, comma
4, in esame, dunque, può essere qualificato come una species del genus “sequestro preventivo ai fini di confisca”,
disciplinato dall’art. 321, secondo comma, c.p.p. ; ed invero l’art. 12 sexies, più che introdurre una misura cautelare distinta ed autonoma rispetto a quella disciplinata in
via generale dal citato art. 321, secondo comma, sembra
aver delineato, nel settore della criminalità mafiosa, una
disciplina peculiare del sequestro preventivo basata su di
un criterio semplificato di accertamento del legame tra
fattispecie criminosa e disponibilità economica.
In estrema sintesi, il valore aggiunto della più volte citata disposizione, rispetto alla fattispecie di cui all’art. 321
c.p.p., è rappresentato dalla particolare presunzione operata dalla stessa disposizione circa i criteri di riconducibilità di un certo patrimonio all’attività illecita, consistente nella oggettiva sproporzione tra il patrimonio del
soggetto indagato per le particolari tipologie di reato ivi
disciplinate e il reddito percepito dal soggetto medesimo.
Se questo è vero appare più rassicurante la riconducibilità della conseguente confisca al genus delle misure
di sicurezza patrimoniali, riconducibili al parametro costituzionale di cui all’art. 25 Cost.4
Non mancano, tuttavia, opinioni dissenzienti, che tendono a riportare la confisca nell’alveo delle pene accessorie (art. 27 Cost.), ovvero a riconoscerle una natura
polivalente da verificare in concreto5.
3. Riflessi civilistici sulla trascrivibilità. Le modalità
di esecuzione. La natura del sequestro ex 12-sexies.
Le argomentazioni poste a sostegno della trascrivibilità del sequestro preventivo compiuto a norma dell’art.
ti del Convegno, cit.
4
In tal senso sembra orientata la giurisprudenza (cfr. SS.UU. Cass.
19 gennaio 2004 Pres. MARVULLI, in Diritto penale e processo, 9/2004)
e la dottrina dominante (per un panorama completo cfr. R.FUZIO, Commento all’art. 240, in AA.VV. Rassegna di giurisprudenza e dottrina sul
codice penale, Lattanzi Lupo, Milano, IV, 2000, 839 ss.) .
5 Cfr. in tal senso MARCO CERASE in Diritto penale e processo,
9/2004.
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12-sexies investono direttamente, come si è visto, alcune considerazioni sulla sua peculiare natura. In particolare è stata evidenziata la sua funzione prodromica alla
confisca obbligatoria che sopravviene in caso di condanna; i suoi effetti sono dunque tutti finalizzati a consentire l’acquisto a titolo derivativo dello Stato sui beni
del soggetto condannato. In quest’ottica è coerente richiamare l’applicabilità dell’art. 2 quater della legge
575/65 che prescrive la trascrizione quale modalità di esecuzione del sequestro (disposto come misura di prevenzione patrimoniale) avente ad oggetto beni immobili, perché consente di dare effettività alla confisca, spiazzan-
do facili manovre elusive mediante sistemi di interposizione successivi al sequestro stesso.
Invero sulla trascrivibilità del sequestro preventivo
emesso ai sensi dell’art. 12-sexies, comma 4, del D.L.
306/92, il dibattito è stato particolarmente vivace, non essendo scontata la soluzione positiva e soprattutto il riferimento normativo utilizzabile. Non a caso l’Agenzia del
territorio ha emanato la circolare n. 8 del 26 ottobre
2004, per chiarire i termini della questione agli uffici territoriali6.
La circolare7 trae spunto dalle motivazioni poste dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 3028 del 2001,
•••
gli orientamenti dottrinali più recenti, una sorta di espropriazione per
pubblico interesse che determina il trasferimento, a titolo originario,
dei beni al patrimonio dello Stato, al fine di impedire a chiunque di
trarre vantaggio da proventi che non abbiano una lecita origine economica, o siano il prodotto del delitto di usura.
Non appare superfluo rimarcare che la confisca dei beni prevista
dalla disposizione in esame non è tanto finalizzata all’acquisizione del
bene al patrimonio dello Stato, quanto alla esigenza, tipicamente preventiva, di interrompere la relazione del bene stesso con l’autore del
reato e di sottrarlo alla disponibilità di quest’ultimo.
In altri termini, come peraltro più vote evidenziato dalla Corte di
Cassazione, il fine principale e immediato della confisca “penale” è la
spoliazione del reo nei diritti che egli ha sulla cosa; l’acquisto di tali
diritti da parte dello Stato costituisce soltanto una conseguenza necessaria di tale spoliazione.
Il sequestro preventivo di cui all’art. 12-sexies, comma 4, in esame, dunque, può essere qualificato come una species del genus “sequestro preventivo ai fini di confisca”, disciplinato dall’art. 321, secondo comma, c.p.p. ; ed invero l’art. 12sexies, più che introdurre una
misura di prevenzione distinta ed autonoma rispetto a quella disciplinata in via generale dal citato art. 321, secondo comma, sembra aver
delineato, nel settore della criminalità mafiosa, una disciplina peculiare
del sequestro preventivo basata su di un criterio semplificato di accertamento del legame tra fattispecie criminosa e disponibilità economica.
In estrema sintesi, il valore aggiunto della più volte citata disposizione, rispetto alla fattispecie di cui all’art. 321 c.p.p., sembra infatti
rappresentato dalla particolare presunzione operata dalla stessa disposizione circa i criteri di riconducibilità di un certo patrimonio all’attività illecita, consistente nella oggettiva sproporzione tra il patrimonio del soggetto indagato per le particolari tipologie di reato ivi disciplinate e il reddito percepito dal soggetto medesimo.
6
Sul punto cfr. Gazzetta Notarile n. 4 - 2004, dello stesso autore
di cui si riportano alcuni passi.
7
Questo il testo della circolare: Pervengono alla Scrivente richieste di chiarimenti in ordine alla trascrivibilità dei decreti di sequestro
preventivo emessi ai sensi dell’art. 12-sexies, comma 4, del D.L. 306/92
(che prevede, tra l’altro, ipotesi particolari di confisca in relazione a
delitti di criminalità organizzata). I dubbi interpretativi segnalati scaturiscono da una serie di pronunce emanate dai Tribunali o dalle Corti di Appello territorialmente competenti, nell’ambito di giudizi instaurati ai sensi dell’articolo 113 ter delle disposizioni per l’attuazione del codice civile, in seguito a provvedimenti di trascrizione con riserva eseguiti dai Conservatori a norma dell’art. 2674-bis del codice
civile. I predetti organi giurisdizionali, infatti, allineandosi tendenzialmente all’orientamento giurisprudenziale assunto sulla questione
dalla Corte di Cassazione (cfr. sentenza n. 3028 dell’11 gennaio 2001),
riconoscono, con indirizzo pressoché consolidato, la trascrivibilità del
provvedimento di sequestro in parola, sulla base delle seguenti considerazioni:
1. peculiarità del sequestro preventivo di cui all’art. 12-sexies, comma 4, del D.L. 306/92, rispetto al sequestro disciplinato dall’art.
321 c.p.p.;
2. applicabilità al predetto sequestro preventivo, attesane la comune
ratio, della normativa antimafia contenuta nella legge 31 maggio
1965, n. 575, il cui art. 2-quater consente espressamente la trascrizione dei provvedimenti di sequestro emessi nell’ambito della
medesima normativa.
Sequestro preventivo di cui all’art. 12-sexies del D.L. 306/92: natura
giuridica
Al fine di pervenire alla corretta soluzione della problematica interpretativa segnalata, appare preventivamente opportuno delineare
l’inquadramento giuridico dell’istituto cautelare in questione. Detto accertamento, infatti, si palesa senza dubbio rilevante al fine di stabilire
la compatibilità dell’istituto medesimo con la disciplina della trascrizione, così come delineata dal vigente sistema di pubblicità immobiliare.
Come è noto, il sequestro preventivo previsto dall’art. 321, primo
comma, c.p.p. misura coercitiva reale volta ad interrompere l’iter criminoso di un illecito o ad impedire la commissione di nuovi reati - svolge essenzialmente una finalità cautelare che può essere disposta dal giudice, con decreto motivato, su richiesta del pubblico ministero. L’art.
321, secondo comma, invece, disciplina il c.d. sequestro preventivo finalizzato alla confisca della cosa. Si tratta di una misura cautelare sostanzialmente distinta da quella prevista dal primo comma; difatti, per
il sequestro preventivo ai fini della confisca, l’unica condizione posta
dalla norma sembra essere la confiscabilità del bene oggetto di sequestro, cioè l’appartenenza alla categoria dei beni suscettibili di confisca.
Va al riguardo precisato che, per quanto riguarda l’individuazione
delle tipologie di sequestro finalizzato alla confisca, le disposizioni codicistiche sono integrate da numerose altre disposizioni presenti nella
legislazione speciale, tra cui, appunto, l’art. 12-sexies del D.L. 306/92.
Le ipotesi particolari di confisca di cui all’art. 12-sexies del D.L.
306/92 – in previsione delle quali l’autorità giudiziaria può disporre,
ai sensi del comma 4, il sequestro preventivo – costituisce, alla luce de-
Trascrivibilità del sequestro preventivo di cui all’art. 12-sexies del
D.L. 306/92: orientamenti giurisprudenziali
La peculiare natura del provvedimento in parola - in quanto espressamente preordinato alla confisca di beni (anche immobili) e, quindi,
alla conseguente acquisizione degli stessi al patrimonio dello Stato potrebbe autorizzare a ritenere opportuna la relativa trascrizione,
quantomeno in ossequio alla generale esigenza, insita nel nostro sistema
di pubblicità immobiliare, di rendere conoscibili nei confronti dei terzi le vicende che importano mutazioni alla situazione giuridica di beni immobili.
E ciò, anche prescindendo dalla rinvenibilità o meno, nel quadro
normativo di riferimento, di una disposizione che preveda espressamente la trascrivibilità del provvedimento di cui trattasi.
A tale ultimo proposito, peraltro, va evidenziato che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 3148 del 10 dicembre 1996 e con specifico
riferimento al sequestro preventivo di cui all’art. 321 c.p.p., ha affermato che lo stesso non può essere trascritto nei registri immobiliari,
posto che tale formalità esula dalle previsioni normative che disciplinano l’istituto, diversamente da quanto avviene in tema di sequestro
conservativo di cui all’art. 316 c.p.p.
Per quanto riguarda, invece, il peculiare provvedimento cautelare
in esame, la Suprema Corte, con sentenza n. 3028 dell’11 gennaio 2001
- citata in premessa -ha chiarito che, a differenza di quanto disposto
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che costituisce il punto di riferimento per la determinazione delle forme per mezzo delle quali si esegue quel particolare tipo di sequestro preventivo che è disciplinato
dall’art. 12-sexies della legge 356/928.
Come si vedrà la natura del sequestro e della successiva confisca ha trovato recente specificazione nella sentenza delle Suprema Corte, sez.un. penali, n. 920 del 19
gennaio 2004.
per il sequestro preventivo disciplinato dall’art. 321 c.p.p., il sequestro di un immobile eseguito ai sensi dell’art. 12-sexies del D.L. 306/92
può essere trascritto nei registri immobiliari e può dunque essere opposto ai terzi acquirenti del bene che abbiano trascritto posteriormente.
La Suprema Corte è pervenuta a tale conclusione affermando l’applicabilità al sequestro preventivo in parola di alcune disposizioni (anche riguardanti il procedimento) della legge 31 maggio 1965, n. 575,
tra cui l’art. 2-quater il quale prescrive che “Il sequestro, disposto ai
sensi dell’art. 2-ter, è eseguito…sugli immobili o mobili registrati con
la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici.”.
La stessa Corte ha conclusivamente affermato che la particolare finalizzazione alla confisca del sequestro previsto da tale disposizione
ed i meccanismi volti a neutralizzare forme di interposizione – fittizie
o reali che siano – conduce alla conclusione che debba trovare applicazione l’art. 2-quater della legge 575/65 e che, di conseguenza, debba ritenersi legittima la trascrizione del sequestro preventivo.”.
traducono, nella sostanza, in un richiamo alla efficacia normativa globalmente intesa della diversa fonte richiamata e, conseguentemente,
comportano una sorta di recepimento “allargato” della disciplina ivi
contenuta, ovviamente coerente con il criterio ispiratore del rinvio
medesimo.
Sotto tale profilo, dunque, sembra sussistere la necessaria “inerenza” dell’art. 2quater della legge 575/65 ai riferimenti contenuti nella
norma di rinvio, per l’individuazione delle disposizioni che dovrebbero costituire oggetto del rinvio medesimo.
Tutto ciò premesso, pertanto, si ritiene di poter concludere, in linea con l’orientamento assunto dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 3028 dell’11 gennaio 2001, che i provvedimenti di sequestro
preventivo emessi ai sensi dell’art. 12-sexies, comma 4, del D.L. 306/92,
debbano considerarsi trascrivibili.
Si segnala, peraltro, che il Ministero della Giustizia -interpellato sull’argomento dalla Scrivente - con parere n. 2/59-8 (2004) u/10724 del
5/10/2004, ha osservato che “La soluzione anzidetta è giustificata dall’autorevole interpretazione della Suprema Corte…nonché dai rilievi
di ordine giuridico generale prospettati e dalla salvaguardia delle rilevanti finalità di ordine pubblicistico che impongono di sottrarre alla
disponibilità giuridica, oltre che materiale, della criminalità mafiosa i
beni sequestrati che, invece, in caso di mancata trascrizione dei sequestri
preventivi, potrebbero essere utilmente alienati a terzi di buona fede.”
8
Di particolare interesse è la ricostruzione storica fatta dalla Corte in relazione alle successive modifiche che in corso di approvazione
del codice di procedura penale furono apportate sul tema della trascrizione del sequestro preventivo, genus nel quale rientra quello di cui
all’art. 12 sexies della successiva legge del 1992: “In via generale, va
rammentato che nel Progetto preliminare del codice 1988 a proposito del sequestro conservativo, l’art. 317, comma 3, stabiliva: “Il sequestro è eseguito dall’ufficiale giudiziario con le forme prescritte dal
codice di procedura civile per l’esecuzione del sequestro conservativo
sui beni mobili o immobili”. Vale a dire, a norma dell’art. 679 c.p.c.,
in base al quale “Il sequestro conservativo sugli immobili si esegue con
la trascrizione del provvedimento presso l’Ufficio del conservatore dei
registri immobiliari del luogo in cui i beni sono situati” (l^ comma)
mentre “Per la custodia dell’immobile si applica la disposizione dell’art. 559 ”. Nulla il Progetto disponeva circa l’esecuzione del sequestro preventivo su beni immobili. Solo nel Progetto preliminare delle
norme di attuazione - disposizioni, non di rado, utilizzate allo scopo
di colmare lacune della disciplina codicistica - faceva la sua comparsa un precetto, precisamente l’art. 102, in base al quale “Per l’iscrizione e la cancellazione del sequestro conservativo e preventivo su beni immobili, richiesta dal pubblico ministero, l’ufficio del conservatore dei registri immobiliari non può esigere alcuna tassa o diritto, salva l’azione contro il condannato”.
Le Osservazioni governative (pag. 57) chiarivano che “La disposizione è stata introdotta per evitare intralci anche economici alla adozione delle misure cautelari del sequestro conservativo e preventivo di
beni immobili”.
Nell’art. 102 del Progetto definitivo veniva eliminato ogni riferimento al sequestro preventivo stabilendosi che “Per la trascrizione e
la cancellazione del sequestro preventivo richiesto dal pubblico ministero, l’ufficio del conservatore dei registri immobiliari non può esigere alcuna tassa o diritto, salva l’azione contro il condannato”. Le
ragioni di una simile inversione di tendenza sono illustrate dalle Osservazioni governative (p. 125) nelle quali, per un verso, si puntualizza che la locuzione - “iscrizione” è stata sostituita dalla locuzione
“trascrizione”, “giacché il sequestro conservativo sugli immobili si
esegue a norma dell’art. 679 c.p.c., applicabile in virtù del rinvio enunciato dall’art. 317, comma 3, mediante trascrizione del provvedimento presso la locale conservatoria dei registri immobiliari”; per un altro verso, si argomenta in ordine alla soppressione di ogni riferimento al sequestro preventivo, precisandosi che “la natura di misura, squisitamente penale”, della cautela in parola, “rende improprio il ricorso al regime di pubblicità dichiarativa tipico della trascrizione, oltre a
La trascrivibilità del sequestro preventivo di cui all’art. 12-sexies del
D.L. 306/92: fondamento e ulteriori riflessioni
Il percorso argomentativo seguito dalla Corte di Cassazione nella
pronuncia citata si fonda essenzialmente sul rinvio operato dall’art. 12sexies, comma 4-bis, del D.L. 306/92 alle “…disposizioni in materia
di gestione e destinazione dei beni sequestrati o confiscati previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni…”.
Sul punto la Suprema Corte si è limitata ad affermare che, nell’ambito della predetta ampia e generica accezione, possa ricomprendersi anche l’art. 2-quater della stessa legge 575/65 il quale, come accennato, prevede espressamente la trascrivibilità dei sequestri disposti
ai sensi della normativa medesima. In relazione a tale decisivo aspetto, quindi, il nodo centrale della questione è rappresentato, a parere
della Scrivente, proprio dalla corretta individuazione delle disposizioni della legge 575/65 che formano oggetto del rinvio operato dall’art.
12sexies, comma 4-bis del D.L. 306/92. Il che, in altri termini, per quanto riguarda il caso specifico, si traduce nello stabilire se effettivamente l’operazione di rinvio di cui al comma 4-bis citato, come osservato
dalla Suprema Corte, coinvolga anche la disposizione che prevede in
modo espresso la trascrivibilità dei provvedimenti di sequestro o di confisca.
Ora, una interpretazione strettamente aderente al tenore letterale
della formula di rinvio contenuta nell’art. 12-sexies, comma 4-bis
(“…disposizioni in materia di gestione e destinazione dei beni sequestrati o confiscati…”), potrebbe indurre a ritenere coinvolte dalla operazione di rinvio soltanto le disposizioni contenute negli articoli che
vanno dal 2-sexies al 2-duodecies della legge 575/65, disciplinanti, senza dubbio, aspetti direttamente connessi alla gestione e alla destinazione dei beni sequestrati.
Al riguardo, tuttavia, si osserva come l’art. 2-quater – pur non disciplinando, apparentemente, profili connessi alla gestione e/o destinazione dei beni sequestrati o confiscati - nel contesto normativo in
cui risulta inserito sembra assumere, comunque, la connotazione di norma “propedeutica” alla corretta attuazione degli adempimenti “gestori”
e delle attività preordinate alla destinazione dei predetti beni.
D’altra parte, non può sfuggire come la previsione di trascrivibilità di un provvedimento cautelare, quale il sequestro preventivo, svolga un ruolo incisivo e pregnante ai fini della corretta amministrazione e gestione dei beni coinvolti anche in vista degli eventuali atti di alienazione successivi alla confisca degli stessi.
La riferibilità del rinvio operato dall’art. 12-sexies in parola anche
alla disposizione recata dall’art. 2-quater della legge 575/65, in tema
di trascrivibilità del sequestro, appare peraltro sostenibile, ad avviso
della Scrivente, anche alla luce dei principi generali in materia di rinvio normativo.
Come è noto, infatti, le cosiddette operazioni di rinvio a contenuto generico - come quella disposta dal comma 4-bis dell’art. 12-sexies
in esame -non riferendosi a disposizioni specificamente individuate, si
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Il dato di partenza è la costante e quasi unanime giurisprudenza di legittimità che dichiara l’ impossibilità
di procedere alla trascrizione del sequestro preventivo di
un bene immobile, argomentando con considerazioni che
nascono sia dall’analisi della disciplina dell’art. 321
c.p.p. e delle relative norme di attuazione, sia dal richiamo alle norme di diritto civile in materia di trascrizione.
Nel primo senso si afferma che la trascrizione non è
prevista dalle norme procedurali penali, che si preoccupano solo di ammetterne la possibilità per il sequestro
conservativo (cfr. artt. 317 co. 3 c.p.p. e 679 c.p.c.)9. Tale differenza, rinvenibile nella disciplina degli art.. 103
e 104 c.p.p., sarebbe razionale perché il sequestro preventivo è una misura cautelare reale con finalità ed obiettivi tutti interni al processo penale volti ad impedire la
reiterazione del reato o il protrarsi dei suoi effetti, o comunque ad assicurare i beni per la successiva confisca
ex art. 240 c.p.10, mentre il sequestro conservativo ha finalità volte a tutelare gli effetti civili di una eventuale sentenza di condanna e la effettività della liquidazione del
risarcimento danni (infatti a norma dell’art. 320 c.p.p.
il sequestro conservativo si converte in pignoramento e
l’esecuzione forzata sulle cose sequestrate si compie nelle forme prescritte dal codice di procedura civile)11.
Quanto alla norme di diritto civile, poi, viene rimarcata la tassatività delle ipotesi di trascrizione, essendo la
stessa espressamente prevista dalla legge nei casi in cui
è stata ritenuta necessaria tale particolare forma di pubblicità, a fronte della regola generale che prescrive la libertà delle forme degli atti e dei negozi giuridici. Ne
consegue che le norme sulla trascrizione non si possono
applicare analogicamente12.
Assunto il dato della inammissibilità, allo stato, di eseguire il sequestro preventivo di un immobile mediante
la trascrizione nei registri immobiliari13, la giurisprudenza ha differenziato il caso del sequestro preventivo
disposto ex art. 12-sexies della legge 356/92, finalizzato alla successiva confisca.
Tale interpretazione prende spunto dall’ordinanza n.
18 del 1996 della Corte Costituzionale, che ha spiegato
come il sequestro preventivo sia caratterizzato da una immediata correlazione fra il reato per cui si procede ed il
bene sequestrato con efficacia cautelare, mentre il sequestro ex art. 12-sexies è preordinato esclusivamente
alla confisca del bene, intesa come acquisto a titolo derivativo da parte dello Stato dei beni di chi è stato condannato per determinati reati. “Può dunque affermarsi
che la necessaria funzionalità del sequestro preventivo
alla confisca - quale modo di acquisto a titolo derivativo - prevista dai commi 1 e 2 dell’art. 12-sexies, delinei
la possibilità di incidere mediante verifiche ermeneutiche informate al principio di ragionevolezza e, dunque,
secundum Constitutionem apparentemente travalicando
generare effetti pregiudizievoli in capo al titolare del bene (si pensi al
sequestro di azienda) ”. Il Consiglio Superiore della magistratura, nel
suo Parere sul Progetto definitivo delle norme di attuazione (p. 13) ,
nel formulare le sue osservazioni sull’art. 102-bis che, non figurante
nel Progetto preliminare, prescrive “Per il sequestro preventivo si applicano le disposizioni relative al sequestro probatorio contenute nel
capo 6^”, una norma divenuta, poi, con l’aggiunta dell’applicazione
al sequestro preventivo dell’art. 92, riferibile a tutti i provvedimenti
che dispongono misure cautelari, l’art. 104 del testo definitivo - aveva subito rilevato come suscitasse “qualche perplessità, per l’evidente
menomazione dei terzi di buona fede, la limitazione della iscrizione nei
registi immobiliari al sequestro conservativo e non anche al sequestro
preventivo”. Un parere che sembra possa essere oggetto di una duplice, complementare lettura: da un lato, nel senso che la funzione di realizzare l’esigenza che la misura cautelare non resti condizionata - così
come diverrebbe inevitabile in un regime che sottrae l’indisponibilità
del bene quale effetto primario del provvedimento di sequestro preventivo alle più elementari regole concernenti la circolazione dei beni
immobili - nel perseguimento della fondamentale finalità di garantire
il vincolo; dall’altro lato, nel senso di apprestare un regime di pubblicità del sequestro preventivo immobiliare in grado di contemperare la
permanenza della misura con la tutela dei terzi; pure se può - ma solo
per inciso - notarsi che poiché gli atti di trasferimento immobiliare tra
i privati sono comunque assoggettati al regime della trascrizione, il vero nodo da sciogliere sembrerebbe costituito dal dovere dell’autorità
procedente di trascrivere il vincolo di indisponibilità sulla res, da cui
discende l’idoneità di un sistema così congegnato ad assicurare ai terzi di buona fede (venendo in rilievo sia l’interposizione fittizia sia l’interposizione reale) una protezione effettiva.
Poiché l’art. 102 delle norme di attuazione non ha subito modificazioni nel testo definitivo, ove è divenuto art. 103, si dovrebbe concludere nel senso che la trascrizione del sequestro preventivo resta preclusa dall’assenza di ogni previsione normativa, considerata la natura
di stretta interpretazione del regime della trascrizione immobiliare”.
9
Ancora dalla sentenza della Cassazione n. 3028 del 2001: “La Corte costituzionale, con ordinanza n.48 del1998 ha dichiarato manife-
stamente infondata - ma solo per il parametro evocato, l’art. 97 Cost.,
non riferibile all’esercizio della funzione giurisdizionale nel suo complesso ed ai diversi provvedimenti che ne costituiscono l’espressione
- la questione di legittimità degli artt. 321 c.p.p. e 104 delle norme attuazione dello stesso codice, nella parte in cui non prevedono la trascrivibilità del sequestro preventivo, in quanto non sarebbe conforme al principio del buon andamento della amministrazione della giustizia la previsione di un istituto volto, in via cautelare, ad impedire
l’aggravamento del reato o la commissione di altri reati e tuttavia destinato a rimanere privo di efficacia.
La questione era stata sollevata, con ordinanza del 15 aprile 1997
(R.O. 399 del 1997, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 27, la serie speciale, del 1997) dal Tribunale di Torino, chiamato a pronunciarsi sul reclamo proposto dal Pubblico ministero, ai sensi dell’art.
2674-bis c.p.c., avverso la trascrizione con riserva di un provvedimento
di sequestro preventivo eseguita dal Conservatore dei registri immobiliari. Secondo il giudice a quo la non trascrivibilità precluderebbe
al sequestro preventivo il raggiungimento dello scopo per il quale è
previsto dalla legge, poiché la semplice esecuzione nelle forme previste per il sequestro probatorio (art. 104 norme att.) non inciderebbe
sulla libera disponibilità del bene che, pur sequestrato, potrebbe essere ceduto a terzi di buona fede” .
10 Ai sensi dell’art. 321 comma secondo, c.p.p., può essere disposto il sequestro preventivo delle cose di cui è consentita la confisca.
Tra queste cose, l’art. 240 c.p. include quelle che sono il prodotto od
il profitto del reato. Sul piano esegetico il prodotto va identificato con
la cosa creata, trasformata od acquisita con la condotta criminosa,
mentre il profitto è dato dai beni o dalle utilità acquisite mediante realizzazione del prodotto del reato. Ne consegue che è certamente assoggettabile a sequestro anche un bene immobile, quando rientra in
tali categorie (Cfr. Cass. sez. VI, sent. 1022 del 7.6.95, in Cass. Pen.
1996, 1528).
11 Cfr. Cass., sez. 2^ civ., 26 novembre 1976, n.4482.
12 Cfr. Cass, sez. un. civ., 18 febbraio 1963, n. 392.
13 Il conservatore immobiliare deve ritenere irricevibile un’istanza
in tal senso che provenga dal Pubblico Ministero..
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il modulo codicistico, tali che possano garantire la realizzazione delle finalità perseguite dal legislatore, secondo un modello incentrato, non soltanto sulla misura cautelare, ma anche sulle sequenze procedimentali intrinsecamente connesse all’utilizzazione di essa14”.
Il percorso argomentativo si conclude ritenendo applicabili al sequestro ex art. 12 sexies le norme previste
dagli artt. 2-sexies, 2-septies e 2-octies della legge n. 575
del 1965, introdotti dal decreto- legge 14 giugno 1989,
n. 230, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1989, n. 282, trattandosi di istituti che rientrano
nell’ampio genere delle misure di prevenzione di carattere patrimoniale.
Inoltre l’art. 2-quater, aggiunto dall’art. 14 della legge 13 settembre 1982, n. 646, prevede che il sequestro
disposto ai sensi dell’art. 2-ter, è eseguito sui mobili e sui
crediti secondo le norme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo e sugli immobili o mobili registrati con la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici.
Un regime che secondo la Corte, è puntualmente aderente alla specialità del sequestro disciplinato dall’art. 12sexies del decreto-legge n. 306 del 199215. La particolare ineludibile finalizzazione alla confisca del sequestro
previsto da tale disposizione ed i meccanismi volti a neutralizzare forme di interposizione - fittizie o reali che esse siano - conduce, dunque, alla conclusione che debba
trovare applicazione la norma adesso ricordata e che, di
conseguenza, debba ritenersi legittima la trascrizione di
questa particolare forma di sequestro preventivo.
Per completezza non può quindi in questa sede non
approfondirsi il tema della natura del sequestro e della
confisca ex art. 12 sexies, in relazione ala sentenza delle Sezioni Unite penali, n. 920 del 19 gennaio 200416.
La Suprema Corte ha affermato che per disporre la
confisca non occorre accertare l’esistenza di un rapporto di pertinenzialità del bene da confiscare con uno dei
reati indicati nell’art. 12 sexies o, comunque, con una attività delittuosa della persona condannata, né la confisca deve riguardare esclusivamente i beni acquistati in un
determinato periodo di tempo prossimo alla commissione
del reato. Queste affermazioni si fondano proprio sulla
radicale differenza che sussiste fra queste ipotesi e quelle disciplinate dagli artt. 321 c.p.p. e 240 c.p.
Il legislatore non ha inteso prevedere alcun rapporto
di pertinenzialità del bene con il reato per cui si procede, perché altrimenti la previsione sarebbe stata meramente ripetitiva dello schema del sequestro preventivo,
per la cui disposizione occorre appunto accertare che il
bene che si colpisce è tale da impedire la reiterazione del
reato o l’aggravamento dei suoi effetti. La pertinenzialità inoltre “corrisponderebbe o alle cose utilizzate per il
reato o alla nozione di prezzo o di prodotto o di profitto”, la cui confiscabilità è già prevista dall’art. 240 c.p.
E, quindi, in questo ordine di idee, l’art. 12-sexies, posto che per il prezzo l’art. 240 c.p. già la impone, si limiterebbe a rendere obbligatoria la confisca facoltativa
prevista per le cose destinate a commettere il reato, il prodotto e il profitto di questo. Ma considerando che l’obbligatorietà è già specificatamente prevista dal codice
per i delitti di associazione mafiosa e di usura, la norma
in esame, per questi delitti, costituirebbe un’inutile replica
di un istituto già esistente nell’ordinamento, così come
in generale lo sarebbe per la confisca del prezzo del reato …17”.
La giurisprudenza dunque, anche più recentemente e
con l’autorevolezza delle Sezioni Unite18, distingue nel merito radicalmente i provvedimenti adottati ex art. 12 sexies da quelli disciplinati dall’art. 321 c.p.p. (sequestro
preventivo) e 240 co. 2 c.p. (confisca facoltativa), evidenziando che i primi sono una misura di sicurezza atipica con funzione anche dissuasiva, parallela all’affine
misura di prevenzione antimafia introdotta dalla legge
32 maggio1965, n. 575 (che prevede la trascrizione del
sequestro di beni immobili)19. Distinzione che rafforza le
considerazioni già formulate sul differente regime in tema di trascrizione quando tali provvedimenti hanno ad
oggetto beni immobili.
Pertanto, gli elementi in base ai quali può disporsi il
sequestro preventivo ex art. 12 sexies vanno così individuati: sotto il profilo del “fumus” dovrà verificarsi se
i fatti addebitati all’indagato siano astrattamente configurabili negli schemi di uno dei reati indicati dalla norma; quanto al “periculum” esso coincide evidentemente con la necessità di confiscare il bene in caso di condanna, per cui esso va ritenuto sussistente ove si rinvenga, a livello di prima delibazione e salvi i successivi
accertamenti nel merito, sia la sproporzione di valore fra
•••
17 “Sotto un profilo positivo, significa che, una volta intervenuta la
condanna, la confisca va sempre ordinata quando sia provata l’esistenza di una sproporzione tra il valore economico dei beni di cui il condannato ha la disponibilità e il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica e non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza delle cose … la confiscabilità dei singoli beni, derivante da una situazione di pericolosità presente, non è certo esclusa per
il fatto che i beni siano stati acquisiti in data anteriore o successiva al
reato per cui si è proceduto o che il loro valore superi il provento del
delitto per cui è intervenuta condanna.
18 Di questo recente intervento avrebbe dovuto tenere conto, in senso rafforzativo, anche la circolare dell’ agenzia delle entrate.
19 Sul punto cfr. anche Cass., Sezioni Unite, 17 luglio 2001, Derouach.
14 Cass, VI sez civ., 11 gennaio 2001, n. 3028.
15 Cass., VI sez. pen., 16 febbraio 2000, Orofino
16 La questione è stata sottoposta alle Sezioni Unite, sussistendo un
evidente contrasto giurisprudenziale sul tema del rapporto di pertinenzialità tra beni confiscabili ed il reato per cui si procede. In particolare alcune sentenze escludevano la necessità di alcun nesso di questo tipo (es. Cass., Sez. II 22 ottobre 2001, ric. Del Mistro), altre richiedevano un nesso di pertinenzialità quantomeno con riferimento
alla generica attività delittuosa del soggetto (es. Cass., sez. V, 22 settembre 1998, ric. Sibio), altre ancora esigevano un preciso rapporto
fra bene e delitto 8es. cass., sez. V, 21 giugno 2001, p.m. Capomasi)
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il bene ed il reddito, sia l’inesistenza di una valida giustificazione della lecita provenienza. Quindi nessun collegamento fra bene sequestrato (e poi confiscato) e reato; nessuna verifica sul momento in cui il bene è stato
acquistato rispetto al tempo in cui è stato commesso il
reato.
4. La disciplina: le condizioni di applicabilità
Sul punto deve evidenziarsi come la recente giurisprudenza della Suprema Corte ha affermato che, in tema di sequestro preventivo propedeutico alla confisca di
cui all’art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in
l. 7 agosto 1992, n. 356, sussiste, a carico del titolare apparente di beni, una presunzione di illecita accumulazione
patrimoniale, in forza della quale è sufficiente dimostrare che il titolare apparente non svolge un’attività tale da procurargli il bene, per invertire l’onere della prova ed imporre alla parte di dimostrare da quale reddito
legittimo proviene l’acquisto e la veritiera appartenenza
del bene medesimo (cfr. Cassazione penale sez. VI, 24 ottobre 2000, n. 3889).
Ma, soprattutto, la recente sentenza della Suprema
Corte, Sezioni Unite penali, n. 920 del 19 gennaio 2004,
ha definitivamente chiarito che: “per disporre la confisca prevista dall’articolo 12 sexies comma 1 e 2 del Dl
8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla legge 7 agosto
1992, n. 356, non occorre accertare l’esistenza di un rapporto di pertinenzialità del bene da confiscare con uno
dei reati indicati in tali disposizioni, o, più genericamente, con un’attività delittuosa della persona condannata” … “la confisca non deve riguardare esclusivamente i beni acquistati in un determinato periodo di
tempo, prossimo alla commissione del reato” … “la confisca va disposta quando sia provata l’esistenza di una
sproporzione tra il valore dei beni ed il reddito dichiarato o i proventi dell’attività economica del condannato al momento dell’acquisto, e non risulti una giustificazione credibile circa la loro provenienza”. “lo speciale sequestro preventivo di cui all’art. 12 sexies della legge 356/92 presuppone unicamente: a) quanto al fumus,
che all’indagato sia attribuito un fatto rientrante nelle fattispecie criminose di cui all’a1l’art. 12 sexies, senza che
rilevino né la sussistenza degli indizi di colpevolezza né
la loro gravità; b) quanto al periculum in mora, che sussistano seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca (la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito, e la mancata giustificazione
della lecita provenienza degli stessi).
Esaminando più nel dettaglio la norma, emerge dun-
•••
20 “In tema di reato ex art. 12 quinquies D.L. n. 306 del 1992,
non è sufficiente, al fine di giustificare la provenienza dei beni, la
mera esibizione degli atti negoziali di acquisto regolarmente stipu-
que che presupposto della confisca è la condanna o l’ applicazione della pena su richiesta per uno dei seguenti reati: associazione per delinquere finalizzata alla tratta di
persone (art. 416, comma 6, c.p.), riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù, tratta di persone, acquisto
e alienazione di schiavi (artt. 600-601-602 c.p.)8, associazione di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.), estorsione (art. 629 c.p.), sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.), usura e usura impropria (art. 644
c. p., così come risulta modificato dall’art. 1 legge 7-31996 n.108 che ha abrogato l’art.644 bis c.p.), ricettazione (art. 648, c.1, c.p.), riciclaggio (art. 648-bis), trasferimento fraudolento di valori ( art.12-quinques, c. 1,
D.L. 8-6-92, n. 306, convertito, con modificazioni, nella legge 7-8-92, n.356) ovvero per taluno dei reati relativi al traffico di sostanze stupefacenti previsti dall’ art.
73, escluse le fattispecie di lieve entità, e dall’art.74
D.P.R. n.309/90; ed inoltre per uno dei delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis
c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni
previste dallo stesso articolo; nonché per il delitto in materia di contrabbando nei casi di cui all’art.295 c. 2
D.P.R. 23-1-1973, n.43, e per delitti in materia di terrorismo.
Con la legge finanziaria per il 2007 (art.1, comma 220,
legge 27-12-2006, n. 296) sono stati aggiunti anche i delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter,
317, 318, 319, 319-ter, 320, 322, 322-bis, 325 c.p. Le
altre condizioni richieste dalla norma perché possa disporsi la confisca sono costituite dall’ esistenza di un
complesso di elementi patrimoniali attivi costituiti da denaro, beni o altre utilità di cui il soggetto sia titolare o
abbia, anche per interposta persona fisica o giuridica, la
disponibilità di essi a qualsiasi titolo; come detto, il valore sproporzionato di tale complesso patrimoniale rispetto al reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o all’attività economica svolta; la mancata giustificazione della provenienza dei beni suddetti.
La previsione di tale ultimo elemento ha dato luogo
a svariate osservazioni in relazione alla paventata equipollenza dell’espressione “giustificare la provenienza” dei
beni, rispetto alla precedente espressione “ giustificare
la legittima provenienza” dei beni, già bocciata dalla
Consulta; nonché alla inversione dell’onere della prova
della provenienza dei beni, posto ancora a carico del soggetto e non già del P.M.
Tuttavia, non manca chi sostiene che nel caso in esame non si tratterebbe di una vera e propria inversione
dell’onere della prova ma di una diversa ripartizione di
lati e trascritti, dovendosi, invece, fornire, da parte dell’interessato
un’esauriente spiegazione che dimostri la derivazione dei mezzi impiegati per l’acquisto da legittime disponibilità finanziarie” (Cass.
pen., sez. III, 11.1.2000. n. 00089, RV. 215060, imp. Rosato; e successive, di identico tenore).
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esso. Ossia si sostiene che a carico del pubblico ministero
è posto l’onere di provare le due circostanze che costituiscono gli elementi indizianti della riconducibilità del
patrimonio alle attività illecite del condannato e cioè la
titolarità o la disponibilità dei beni da parte del soggetto e la sproporzione di essi rispetto al suo reddito o alla sua attività. Al prevenuto spetta invece l’onere di vanificare la portata indiziante delle due circostanze dimostrando di avere legittimamente acquisito al proprio
patrimonio i beni in contestazione.
5. Delitti presupposti: l’art. 12 quinques
Tra i delitti presupposti particolare attenzione nella pratica investigativa merita certamente il reato di
cui all’art. 12 quinquies che mira a sanzionare la condotta di coloro che ingenerano una situazione, sia di
fatto che giuridica, la quale apparentemente riconduca
a terzi la titolarità o la disponibilità di denaro, beni
o altre utilità, al fine di sottrarli alla (potenziale) aggressione da parte del Giudice della prevenzione, ovvero per farne poi oggetto di impiego (come anche di
riciclaggio), trattandosi di valori tutti (o anche solo
in parte) riconducibili ad attività delittuosa.
Gli atti di gestione e quelli di disposizione, realizzati attraverso uno o più dei propri familiari, conviventi e terzi intestatari, integrano la violazione della
norma dell’art 12 quinquies, di cui sono chiamati a
rispondere a titolo di concorso (se la condotta è precedente l’inizio delle investigazioni) o a titolo di favoreggiamento reale (se successiva) quelli tra i familiari e/o conviventi che abbiano posto in essere uno o
più degli stessi20.
Né deve apparire stravagante una cessione apparente
ai propri più stretti congiunti, “a fini di elusione di una
proposta di prevenzione patrimoniale”, dal momento che
ciò è esattamente quanto più di frequente accade (ed è que-
•••
21 Cfr. Cass. pen., sez. II, 4.10.2004, n. 38733, RV. 230109, imp.
Casillo ed altri; nell’affermare tale principio, la Corte ha peraltro
precisato che l’inconsapevolezza da parte del terzo...rileva solo al
fine di escludere in capo allo stesso...la sussistenza dell’elemento psicologico.
22 In sede di rinvio, la S.C. ha altresì affermato: “Il pubblico ministero ricorrente ha posto in risalto circostanze...che avrebbero dovuto essere...considerate dal giudice del riesame ai fini dell’accertamento del dolo specifico e della sussistenza in fatto del fraudolento trasferimento di valori, che nel caso concreto è stato operato mediante un’atipica donazione di edifici costruiti con danaro di
provenienza delittuosa su fondi di proprietà comune dei P.. In particolare, il ricorrente ha sottolineato che nel dicembre del 2000 furono effettuati i primi fermi di altri appartenenti al clan e nel maggio 2001 furono effettuati fermi di soggetti che operavano nel mercato ittico, luogo in cui Nicola P. era conosciuto dai commercianti come personaggio di rilievo. Si sottolinea, infine, che dalla scheda allegata agli atti risulterebbero controlli e denunce precedenti
presentate dagli organi di polizia a carico di P. e una denuncia nel
lontano 1996 per associazione camorristica”.
Non è possibile dunque, ancorare l’elemento del dolo del reato di
sta la ragione per la quale la normativa in materia di misure di prevenzione prende in considerazione anzitutto tale eventualità, senza che ciò precluda ai prossimi congiunti del proposto, di godere di un proprio patrimonio,
lecitamente acquisito, e per questo indenne dalla portata
del giudice della prevenzione).
La S.C. ha costantemente affermato che il delitto di cui
all’art. 12 quinquies “integra una fattispecie a concorso
necessario, poiché il soggetto agente in tanto può realizzare l’attribuzione fittizia di beni, in quanto vi siano terzi che accettino di acquisirne la titolarità o la disponibilità”21 .
Né, tantomeno, occorre che un procedimento di prevenzione sia in atto al momento del trasferimento; occorre,
invece, ai fini della dimostrazione del dolo specifico, che
il soggetto interponente avesse contezza della pendenza,
nei suoi confronti, di un procedimento pericoloso per la
sorte dei suoi beni. Più in particolare ciò che appare rilevante, ai fini dimostrativi dello specifico fine elusivo della condotta di fittizia attribuzione di beni e valori, non é
la intima consapevolezza di esser camorrista o mafioso (al
momento del trasferimento dei beni), quanto piuttosto la
consapevolezza che una contestazione che possa mettere
in pericolo la titolarità dei propri beni (illecitamente acquisiti e formati con i proventi dell’attività mafiosa) sia
stata elevata, o possa essere concretamente elevata, in relazione alla attività illecita che costantemente si compie.
E’ questo particolare elemento psicologico che consente
di coprire la distanza giuridica tra quelli che sono gli effetti ineludibili della mafiosità (confisca ex an. 416 bis co.
7 c.p., misure di prevenzione e sequestri ex art. 12 sexies
L. 356/92) e la autonoma contestazione di cui all’art. 12
quinquies L. 356/92, giacché con tale incriminazione si intende sanzionare qualcosa di più e di diverso rispetto alla illecita accumulazione di beni, qualcosa che è rappresentato dal trasferimento fittizio e fraudolento dei beni già
cui all’art. 12 quinquies all’instaurarsi del procedimento di prevenzione, considerato, del resto, che a partire da tale momento non
sono più possibili, normativamente, atti di disposizione del patrimonio del proposto, sicchè una condotta di trasferimento fraudolento di valori sarebbe di per sé frustrato in quella che, per opinione
condivisa, costituisce il fine specifico della condotta contestata (“Il
dolo specifico del reato previsto dall’art. 12 quinquies... ben può
essere configurato non solo quando sia già in atto la procedura di
prevenzione -che darebbe luogo automaticamente a indisponibilità dei beni attraverso le cautele previste dagli ant. 2-bis e 2-rer della legge n. 575 dei 1965, rendendo il più delle volte impossibile la
condotta di fittizia intestazione in cui si sostanzia sotto il profilo
oggettivo il reato...’ ; Cass. pen.. sez. III. 11.1.2000, n. 00089, imp.
Rosato).
Né appare congruo legare la conoscenza di uno stato di pericolo
per il (proprio) patrimonio illecitamente accumulato, alla emissione dì un provvedimento restrittivo, al fine di individuare il momento
a partire dal quale possa ritenersi realizzato il dolo di trasferimento fraudolento. Né appare verosimile che il legislatore abbia voluto ricondurre, sul piano psicologico, la commissione del reato di trasferimento fraudolento di valori, alla adozione di una misura restrittiva a carico dell’interponente, il quale difficilmente potrebbe
compiere atti di disposizione del proprio patrimonio trovandosi in
vinculis, o nella condizione di latitante.
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accumulati, trasferimento potenzialmente in grado di lasciare senza effetti la normativa che impone la confisca dei
beni stessi. Ne consegue dunque, che per ritenere integrato
tale autonomo delitto occorre che l’interponente almeno
abbia contezza di essere oggetto di attenzione investigativa per reati qualificati dalla mafiosità.
La S.C., in una recente sentenza emessa dalla VI sez.
penale nr. 1008 emessa in data 24\5\2005, nell’ambito di
un procedimento penale relativo ad un soggetto imputato presso il Tribunale di Napoli, annullando con rinvio un
provvedimento del tribunale del riesame su ricorso del
P.M., annotava: “Anche l’indagine diretta a verificare l’esistenza del dolo specifico richiesto per la configurazione
giuridica del delitto di fraudolento trasferimento di valori deve essere condotta in base ai criteri più volte enunciati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui il delitto previsto dall’art. 12 quinquies, primo comma, del d.l.
8 giugno 1992, n. 306, conv. in legge 7 agosto 1992, n.
356, può essere commesso anche da chi non sia ancora
sottoposto a misura di prevenzione e anche prima che il
relativo procedimento sia iniziato, occorrendo solo, per
la configurabilità del dolo specifico, che l’interessato possa fondatamente presumere l’avvio di un procedimento penale o di una procedura che possa dar luogo al sequestro
o confisca dei beni alla cui elusione la condotta è orientata (ex plurimis, Sez. VI, 2 marzo 2004, Ciarlante, rv.
227969). Mentre, l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice sarebbe neutralizzato se...fosse soltanto la conoscenza legale dell’avvio di una procedura o di un procedimento penale...ovvero, come ha ritenuto il Tribunale, l’adozione di una ordinanza cautelare per il delitto di
associazione mafiosa” a determinare l’attribuzione fittizia ad altri della titolarità o disponibilità di denaro, beni
od altra utilità di provenienza illecita22.
A tal riguardo, vale evidenziare che, ai sensi dell’art. 12
sexies, co. IV, L. cit., il sequestro preventivo dei beni può
essere disposto, a fini di successiva confisca, in seguito all’instaurarsi di un procedimento per uno qualsiasi dei reati fine del sodalizio criminoso; così come appare utile evidenziare che la condotta sanzionata ai sensi dell’art. 12
quinquies tende ad “eludere le disposizioni di legge in
materia di misure di prevenzione patrimoniali” (quindi anche quelle prese in considerazione dal successivo comma
sexies). Quindi, non è tanto. o non è solo, dal Giudice della prevenzione, che l’interponente deve cautelarsi, quanto, altresì, anche da quello ordinario, vale a dire dal Giudice penale tout court che si avvalga delle facoltà previste dalla norma dell’art. 12 sexies, allorché proceda per
uno qualsiasi dei reati ivi indicati.
6. Rapporti tra 12 quinques e 648 bis e ter:
Val la pena a questo punto, in conclusione, approfondire anche un altro aspetto significativo nella pratica
applicativa. La finalizzazione della condotta di trasferimento fraudolento di valori in quella di ricettazione, riciclaggio ed impiego di denaro, beni o utilità di prove-
nienza illecita, rappresenta la più tipica manifestazione
della capacità ed attitudine della criminalità organizzata
di operare nei settori economici e/o finanziari, dal momento che in tanto essa ricorre ad una attività rischiosa
o dispendiosa qual è l’intestazione fittizia di valori a terzi, in quanto il successivo (re)inserimento degli stessi nel
mercato legale le consente di lucrare da detta operazione ulteriore plus-valenza: una propensione, questa appena descritta, che si rivela indifferentemente sia nelle grandi operazioni o transazioni finanziarie, di trasferimento
all’estero di capitali da investire nel lucroso mercato degli stupefacenti quanto, a livello locale e necessariamente in forme meno elaborate, nell’attività d’impresa od in
quella edilizia, che costituisce anzi uno strumento assai
collaudato per assicurare continuità e sostegno economico alla attività associativa, sia pure attraverso i singoli soggetti che di esso beneficiano.
In tal senso, ha poco senso distinguere tra vantaggi del
sodalizio criminoso e vantaggi personali del singolo associato, dal momento che in tanto l’associazione si mantiene e progredisce, in quanto ogni suo singolo associato
beneficia dei proventi dell’attività: sotto tale profilo, infatti. l’associazione, come ogni persona giuridica, è un’entità astratta. Così come non rileva la diversa posizione tra
interponente ed interposto, o l’esatto contenuto del rapporto interno tra concorrente nel reato presupposto e
soggetto attivo delle condotte di riciclaggio e/o (re)impiego, tanto più che, nella vicenda di causa, gli indagati
risultano legati tra loro da rapporti di (stretta) parentela
E proprio sul punto della compatibilità fra la contestazione di cui all’art. 648 bis (o 648 ter c.p.) con quella
di cui all’art. 12 quinquies, va evidenziato come si era ritenuto in passato che la accertata provenienza del danaro da attività illecite e poi l’utilizzo del medesimo denaro nella realizzazione degli immobili, immessi nelle attività economiche lecite da parte di soggetti cui tali beni
sono stati attribuiti in proprietà, avrebbe potuto integrare
soltanto il delitto di cui all’art. 648 bis o 648 ter c.p. e
non anche quello previsto dall’art. 12 quinquies legge n.
356 del 1992, altrimenti si sarebbe sanzionata la medesima condotta con due diversi reati. L’argomento giuridico a favore della esclusione del concorso dei reati, si fondava sulla clausola di riserva contenuta nell’incipit dell’art. 12 quinquies (salvo che il fatto costituisca più grave reato): reato più grave, nel caso di specie ravvisato in
quello previsto dall’art. 648 ter c.p. di impiego di proventi
illeciti contestato alla stessa persona alla quale è addebitato la fittizia attribuzione.
La S.C. con la citata sentenza nr.1008 emessa dalla VI
sez. in data 24\5\2005 è però giunta a diversa conclusione, affermando che “le due fattispecie criminose considerate configurano un concorso di reati e non, invece, un
concorso apparente di norme, in quanto (tra) le condotte descritte quali elementi costitutivi dei due distinti reati, non vi è assorbimento. La condotta richiesta dall’art.
12 quinquies ha il fine, come previsto nella clausola del-
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la fattispecie nella quale è racchiuso il dolo specifico, di
agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli artt.
648, 648 bis e 648 ter c.p. e, in tal modo, essa realizza
un comportamento utile per commettere tali ultime ipotesi di reato. Ciò comporta che la persona che commette il reato mezzo, cioè l’attività illecita dalla quale proviene danaro o altra utilità patrimoniale, ben può commettere la condotta agevolatrice in concorso necessario
con il soggetto col quale sia stato realizzato un fraudolento trasferimento di valori, id est una fittizia attribuzione della titolarità dei beni di provenienza illecita. Il diverso soggetto, poi, che ... fuori del caso di concorso...nel
reato mezzo, sia stato il concorrente necessario della condotta di fraudolento trasferimento dei valori, si renderà
responsabile del delitto di cui all’art. 648 bis o ter c.p.;
in particolare questo soggetto interposto darà un contributo causale al riciclaggio dei soldi illeciti 648 bis) proprio attraversa la consapevole fittizia intestazione, idonea a costituire congegno per l ala pulitura o il lavaggio
del denaro sporco; oppure darà un contributo causale al
reimpiego (648 ter c.p.), qualora l’interposizione si porrà come momento successivo ad una precedente fase di
ripulitura e l’apparente attribuzione sarà strumentale all’
impiego in attività economiche-finanziarie del capitale (per
es. in un attività di impresa o, nel caso dell’intestazione di
immobili, attraverso una attività di locazione e di produzione per tale via di nuovi ed ulteriori proventi). Dunque il
rapporto tra il delitto di fraudolento trasferimento di valori e quello di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza
illecita, in base al raffronto delle due fattispecie, non è di
genus ad speciem bensì di condotte autonome e distinte che
hanno una loro individualità fenomenica imposta proprio
dal rapporto esistente tra reato mezzo e reato fine, che trova ulteriore conferma nella espressione in cui è racchiusa la
descrizione del dolo specifico richiesto per integrare il delitto previsto dall’an. 12 quinquies:...al fine di agevolare la
commissione di uno dei delitti di cui agli artt. 648, 648 bis
e 648 ter c.p.
In conclusione, nel delitto di cui all’art. 12 quinquies
del d.1. 8 giugno 1992. n. 306, conv. in legge 7 agosto
1992, n. 356, il soggetto attivo può essere anche colui nei
cui confronti sia pendente procedimento penale per il
reato presupposto e che, attraverso la fittizia attribuzione di beni di provenienza illecita, si attivi per agevolare
la commissione, tra l’altro del reato di impiego di danaro, beni, o utilità di provenienza illecita”.
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Non è consentito
al pubblico ministero
disporre il fermo
del soggetto “scarcerato”
a seguito
di omesso interrogatorio
di garanzia
Nota a Tribunale di Napoli
Sez. G.I.P. uff. VI
Sentenza n. 89/07 G.U.
● a cura di Mario Griffo
TRIBUNALE DI NAPOLI
Sezione del giudice per le indagini preliminari
Ufficio VI
Il giudice, vista la richiesta presentata dal P.M. sede nel procedimento sopra indicato in data 13/10/2006 ore 11,25 di
convalida del fermo di S.I., generalizzato in atti, ed indagato in ordine ai reati dettagliatamente contestati nella richiesta del PM; all’esito dell’odierna udienza di convalida:
- ritenuto, in primo luogo, che deve essere rigettata l’eccezione di nullità formulata dai difensori per violazione
dell’art. 302 c.p.p., alla luce della giurisprudenza della SC
che ha affermato che tale disposizione non esige che il previo interrogatorio avvenga a piede libero, ma soltanto che
il titolo caducato non sia più operante (Cass. Sez. IV,
24/5/2004, n. 32203): nel caso di specie, l’Occ emessa dal
Gip di Lecce in data 27/6/2006, e rimessa dal Gip di Napoli il 25/8/2006, veniva dichiarata inefficace, per omesso interrogatorio, con provvedimento del Gip Napoli
dell’11/10/2006. In pari data interveniva il fermo disposto dal PM;
- ritenuto che il fermo è legittimo per la sussistenza dei gravi indizi nonché il pericolo di fuga, dimostrato dal decreto
di latitanza emesso dal Gip di Lecce il 31/8/2006 e dalle
condizioni personali dell’indagato, controllato con dati
normativi diversi, il quale anche in sede di convalidata forniva generalità ancora una volta diverse e contrastanti con
quelle documentate in atti dalla comparizione dei rilievi
dattiloscopici;
- rilevato che il titolo di reato oggetto della richiesta lo consente;
- rilevato, inoltre, che l’indagato è stato posto tempestivamente a disposizione del Pm, il quale nei termini di cui
all’art. 390/384 cpp ha richiesto la convalida a questo
Gip, e che l’odierna udienza di convalida si è a sua volta colebrata nel rispetto dei termini previsti nella citata
norma;
PQM
Convalida il fermo del predetto, avvenuto in data
13/10/2006 in relazione al reato indicato.
All’esito dell’udienza di convalida, vista l’allegato richiesta del Pm di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere.
Napoli, 14/10/2006
(Dott.ssa Maria Vittoria Foschini)
Non è consentito al pubblico ministero disporre
il fermo del soggetto “scarcerato” a seguito
di omesso interrogatorio di garanzia.
La quaestio concernente la possibilità, per il pubblico
ministero, di “impedire” la scarcerazione, effettiva,
del soggetto in favore del quale si fosse omesso l’interrogatorio ex art. 294 c.p.p. sembrava ormai supe-
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rata nel senso di ritenere precluso qualsiasi intervento - non giurisdizionale - che si frapponesse all’acquisto della libertà dello stesso; ed in tal senso si esprimevano la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie.
Con la decisione in oggetto, tuttavia, si ritorna sul tema, fornendosi un’interpretazione del disposto di cui
al comma 1 dell’art. 302 c.p.p. certamente distonica
rispetto alla ratio della previsione oltre che contrastante con la sistematica codicistica afferente alla reiterabilità dei provvedimenti cautelari coercitivi.
Da qui l’interesse suscitato dall’ordinanza del giudice
per le indagini preliminari del tribunale di Napoli; a
fronte di pur comprensibili istanze connesse alla necessità di conservazione della limitazione cautelare in
ipotesi di delitti particolarmente allarmanti, permane
l’insuperabilità del dato letterale della norma nonché
valutazioni logico-sistematiche che certamente inibiscono il ricorso a prassi fuorvianti rispetto alla voluntas
legislativa trasfusa nei dati normativi operanti nel caso di specie.
1. La “resistenza” della giurisprudenza di merito.
Torna alla ribalta la questione relativa alla corretta
interpretazione del combinato disposto di cui agli artt.
294 e 302 del codice di rito in riferimento alla possibilità per il pubblico ministero di emettere provvedimento di fermo nei confronti del soggetto beneficiario di perenzione della misura cautelare a seguito di omesso interrogatorio di garanzia.
Nel provvedimento annotato, in controtendenza rispetto ad un orientamento giurisprudenziale che poteva dirsi oramai consolidato1, si è ritenuto che la previsione contenuta nell’art. 302 seconda parte c.p.p. autorizzi il pubblico ministero a disporre il fermo dell’interrogando non richiedendo affatto che il “nuovo” interrogatorio di garanzia, ai fini dell’emissione della misura cautelare, avvenga libero pede, ma solo ed esclu-
•••
1 V. sul punto Sez. IV, 16 gennaio 2001, Scala, in Cass. pen., 2000, p.
696; Sez. IV, 29 gennaio 1999, Imbrice, in Cass. pen., 2000, p. 985;
Sez. V, 17 marzo 1999, Esposito, in C.E.D. Cass., n. 213521; Sez. IV,
5 maggio 1999, Gammarota, ivi, n. 213817; Sez. III, 1° dicembre 1999,
Bonesta, ivi, n. 215349; Sez. I, 12 ottobre 1998, Iannone, in Cass. pen.,
2000, p. 708; Sez. IV, 16 ottobre 1998, Patanè, in Giur. it., 1999, p.
1478, con nota di INZERILLO, Reiterazione di misure custodiali e contraddittorio. Per pronunce più risalenti si veda Sez. I, 2 novembre 1994,
in C.E.D. Cass., n. 203331; Sez. II, 24 febbraio 1993, CAMPOCCIA,
in Cass. pen., 1994, p. 1899; Sez. VI, 22 gennaio 1992, QUARTA, ivi,
1993, p. 613, con interessante nota di BERETTA, Sul ripristino della
custodia cautelare divenuta inefficace per omesso interrogatorio ai sensi dell’art. 294 c.p.p.; Sez. V, 23 luglio 1992, PEZZOLLA, in C.E.D.
Cass., n. 191937; Sez. fer., 8 agosto 1991, MORICONI, in Cass. pen.,
1992, p. 703.
2 V. Cass., 24 maggio 2004, Ejili, in Cass. pen., 2006, n. 1, p. 161.
3 Cfr. Sez. I, 11 marzo 1996, Biondolillo, in Cass. pen., 1998, p. 156;
Sez. V., 14 maggio 1997, De Martino, in Cass. pen., 1999, p. 234, Cass.,
Sez. I, 28 ottobre 1991, Biondino, in Riv. pen., 1992, p. 689; Sez. V, 6 lu-
sivamente che il precedente titolo caducato non sia, di
fatto, più operante al momento dello svolgimento dell’audizione del proposto.
Sulla scorta di tali premesse, il giudice partenopeo palesa esplicita adesione all’indirizzo espresso dalla quarta sezione penale della Corte di cassazione nella sentenza del
24 maggio 20042 - espressamente richiamata nella pronuncia in commento - ove i giudici di legittimità rigettano
un ricorso proposto avverso un’ordinanza di convalida di
fermo eseguito nei confronti di soggetto non materialmente scarcerato a seguito di omesso - o nullo - interrogatorio di garanzia e fondato sui medesimi elementi che avevano dato origine alla misura cautelare estinta.
Nella specie, ritenuto assolutamente legittimo il provvedimento con il quale il pubblico ministero disponeva
il fermo del soggetto “scarcerato”, si è puntualizzato in tal modo recependo l’orientamento minoritario vigente in materia3 - come l’art. 302 c.p.p. non preveda
espressamente che l’interrogatorio di garanzia venga
reso in stato di libertà, presupponendo, viceversa, che
"il giudice possa valutare la difesa dell’indagato in un
momento antecedente al ripristino della misura coercitiva poiché l’immediata scarcerazione ha il solo scopo di evitare che l’interrogatorio venga reso nell’illegittima protrazione di fatto del provvedimento estinto".
Sicché - secondo l’arresto richiamato - non soltanto
sarebbe legittimo il fermo disposto nelle more tra scarcerazione e nuovo interrogatorio, ma risulterebbe altresì
valido l’interrogatorio acquisito in stato di detenzione durante la (successiva) udienza di convalida.
Su di una sponda radicalmente opposta si collocano la
giurisprudenza e la dottrina maggioritarie le quali - pur
non essendosi mai occupate specificamente della legittimità del fermo disposto in casi simili - risultano concordi nel ritenere che alla dichiarazione d’inefficacia della
custodia cautelare debba seguire l’immediata scarcerazione del soggetto e l’assunzione dell’interrogatorio, al
glio 1994, Cacciolla, in Cass. pen., 1995, p. 2971.
4 Sez. VI, 24 ottobre 2002, Kamel, in C.E.D. Cass., n. 227209; Sez. IV,
16 gennaio 2001, Scala, cit.; Cass., Sez. VI, 7 marzo 2000, Allegri, ivi,
2001, p. 570; Sez. VI, 25 novembre 1999, Modaffari, ivi, 2001, p. 1550;
Sez. IV, 13 ottobre 1999, Caridi, ivi, 2001, 2134; Sez. IV, 12 gennaio 1999,
Franchini, in C.E.D. Cass., n. 213128; Sez. IV, 16 ottobre 1998, Patané,
cit.; Sez. I, 12 ottobre 1998, Iannone, cit.; Sez. VI, 9 ottobre 1998, Manfredi, in C.E.D. Cass., n. 211751; Sez. III, 9 settembre 1993, Emmanuello,
in Cass. pen., 1994, p. 2160. In dottrina, ALBERTA, Commentario breve al codice di procedura penale, a cura di Conso-Grevi, Sub art. 302 c.p.p.,
Padova, 2005, p. 972; BERETTA, Sul ripristino della custodia cautelare
divenuta inefficace per omesso interrogatorio ai sensi dell’art. 294 c.p.p.,
in Cass. pen., 1993, p. 619, BUZZELLI, Il contributo dell’imputato alla
ricostruzione del fatto, in La conoscenza del fatto nel processo penale, a
cura di Ubertis, Milano, 1992, p. 93; CARCANO-IZZO, Arresto fermo
e misure coercitive nel nuovo processo penale, Padova, 1990, p. 148; CORDERO, Procedura penale, Milano, 2003 p. 525; FELLI, La remissione
del provvedimento di custodia cautelare tra esigenze di garanzia ed esigenze di efficienza: i requisiti dell’art. 302 c.p.p., in Cass. pen., 1995, p.
2976; GREVI, Misure cautelari, in Conso-Grevi, Compendio di procedura
penale, Padova, 2003, p. 404.
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quale lo stesso deve partecipare in stato di effettiva libertà4.
Secondo tale orientamento, infatti, lo status libertatis costituisce la condizione essenziale per il valido esercizio del
diritto di difesa, impedendo, di conseguenza, l’applicazione
di qualunque provvedimento restrittivo, sia esso di natura cautelare o precautelare. Ebbene, prima di vagliare i passaggi tecnico-giuridici che hanno ispirato la opinabile decisione del giudice per le indagini preliminari del tribunale
di Napoli - adottata all’esito di udienza di convalida di fermo disposto nei confronti di cittadino extracomunitario
indiziato della commissione del reato di sfruttamento della prostituzione - bisogna ricostruire l’iter cautelare dal
quale ha tratto scaturigine la stessa.
Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di
Lecce, in data 27/6/2006, emetteva ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di soggetto indagato del reato di cui agli artt. 81 cp, 110 cp, art. 3 l. 75/58
e, contestualmente all’adozione del provvedimento di
cautela, dichiarava la propria incompetenza, ex art. 27
c.p.p., disponendo la trasmissione degli atti al tribunale di Napoli.
Il giudice per le indagini preliminari del tribunale
campano, allora, emetteva, nei termini di legge, nuova
ordinanza custodiale.
Fondandosi tale ultimo provvedimento su contestazioni “nuove” rispetto a quelle contenute nell’originario provvedimento restrittivo del giudice leccese, si sarebbe dovuto procedere, comunque, ad interrogatorio
dell’indagato ex art. 294 c.p.p.5
L’omissione di tale atto comportava la caducazione del
titolo custodiale, ai sensi dell’art. 302 c.p.p.
E però, contestualmente alla declaratoria di inefficacia
della misura, il pubblico ministero disponeva il fermo dell’indagato il quale, in vinculis, partecipava alla successiva udienza di convalida, all’esito della quale il giudice per
le indagini preliminari convalidava il fermo ed emetteva
ulteriore ordinanza carceraria.
L’indagine, è chiaro, dovrà vertere sulla corretta ermeneusi del disposto di cui al comma 1 dell’art. 302 c.p.p.,
non prima di aver tracciato le linee guida alle quali il legislatore ha inteso ispirare l’istituto dell’interrogatorio di
garanzia. E’ questo, infatti, il percorso che conduce a penetrare le problematiche poste dalla decisione in commento, nonché a tracciare - anche in via problematica -
•••
5 Suprema Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite ha affermato che
“Le misure cautelari disposte da un giudice dichiaratosi contestualmente
o successivamente incompetente, a norma dell’art. 27 cpp, non perdono
efficacia per il mancato espletamento di un nuovo interrogatorio di garanzia da parte del giudice competente il quale abbia emesso, nel termine
stabilito, una propria ordinanza, sempre che non siano stati contestati all’indagato o all’imputato fatti nuovi ovvero il provvedimento non sia fondato su indizi o su esigenze cautelari in tutto o in parte diversi rispetto a
quelli posti a fondamento dell’ordinanza emessa dal giudice competente”
(v. Cass. S.U. 26 settembre-8 novembre 2001, n. 29 Zaccardi).
possibili soluzioni sintoniche rispetto alla sistematica del
codice e comunque conformi al dato letterale della previsione normativa, tenendo presente che il vero punctum dolens posto in risalto dalla decisione annotata attiene alla
configurabilità del potere in capo al pubblico ministero di
“introdurre” la nuova restrizione cautelare. Soltanto in un
secondo momento, e percorrendo un piano di indagine comunque sovrapposto a quello concernente l’attivazione
cautelare del pubblico ministero, potrà individuarsi lo
status che deve connotare il soggetto da sottoporre ad interrogatorio di garanzia.
2. Ratio e finalità dell’interrogatorio
di garanzia
Il diritto ad un pronto interrogatorio giudiziale riconosciuto a chi si trovi in stato di custodia cautelare affonda
le sue prime radici in clausole di fonte internazionale,
quali l’art. 5 n. 3, della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e l’art. 14 n. 3, del Patto internazionale sui diritti civili e politici; e rinviene la sua ratio nel principio sancito dall’art. 13 Cost. che esige la realizzazione di un contatto il più immediato possibile tra giudice e destinatario
della misura restrittiva6.
Sicché, diversamente dall’interrogatorio assunto dal
pubblico ministero, che risponde a finalità soprattutto investigative, l’interrogatorio disciplinato dall’art. 294 c.p.p.
possiede, oltre ad un’essenziale e generale connotazione
difensiva - comprovata, comunque, dall’espresso richiamo agli artt. 64 e 65 c.p.p. - una tipica funzione di controllo e di garanzia valida per tutto l’arco del procedimento, rappresentando, esso, lo strumento atto a garantire, attraverso il contatto diretto tra giudice ed imputato-indagato, l’immediata verifica della ritualità e fondatezza del provvedimento cautelare7.
Ad esso non sono equipollenti né l’audizione della persona in vinculis nel corso del procedimento incidentale
di riesame (art. 309 c.p.p.) - posto che l’oggetto dell’audizione resta circoscritto alle doglianze articolate con il
gravame - né l’interrogatorio che il giudice deve assumere in caso di richiesta di revoca o di sostituzione della misura (art. 299 commi 3 e 3-ter c.p.p.), poiché presupposto di tale atto è che l’istanza fondi su elementi nuovi o
diversi rispetto a quelli già valutati8.
L’interrogatorio di garanzia, dunque, è di peculiare im-
6 Sul punto, Sez. II, 12 marzo 1990, Savio, in Giur. it. 1990, II, c. 250.
7 In dottrina, FERRAIOLI, Il ruolo di garante del giudice per le indagini preliminari, Padova, 1993; GREVI, Misure cautelari, in Compendio di procedura penale, Padova, 2000, p. 380; LOZZI, Lezioni
di procedura penale, Torino, 1997, p. 263; NAPPI, Guida al codice di
procedura penale, Milano, 2001, p. 641; RUGGIERI, La giurisdizione di garanzia nelle indagini preliminari, Milano, 1996; TEBRUSI, Le
misure personali di coercizione, Torino, 2000, p. 184 s.; VARRASO,
Interrogatorio in vinculis dell’imputato: tra istanze di difesa, esigenze
di garanzia, ragioni di accertamento, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999,
p. 1397 ss.
8 Così, Sez. Un., 28 gennaio 1998, Budini, in Cass. pen., 1998, p.
2324.
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portanza, anche perché, all’esito di esso, il giudice, a norma dell’art. 299 c.p.p., può ordinare, anche ex officio, la
revoca o la sostituzione della misura disposta, ovvero disporre accertamenti sulle condizioni di salute o sulle condizioni o qualità personali del soggetto sottoposto ad essa, se non in grado di decidere allo stato degli atti; la verifica giudiziale degli elementi posti a fondamento della
misura concernerà tutte le indicazioni fornite dal soggetto nel corso dell’audizione imponendo, di conseguenza, un
vaglio approfondito sulle esigenze cautelari, sulle condizioni generali di applicabilità previste dagli artt. 273, 274
e 275 c.p.p. e circa la sussistenza della condizione relativa ai limiti di pena previsti dagli artt. 280 e 287 c.p.p., rispettivamente, per le misure coercitive ed interdittive9.
Questa interpretazione corrisponde ad un fondamentale principio di civiltà giuridica, in quanto la libertà personale è bene primario, situato al primo posto tra i diritti inviolabili del cittadino e presidiato dalla duplice riserva di giurisdizione e di legge secondo il disposto di cui all’art. 13 Cost., che comunque sembrerebbe prescindere dalla finalità e dai motivi per i quali le misure cautelari si applicano, accreditando "l’impressione di un generico agnosticismo della Costituzione rispetto a quello che in buona sostanza rappresenta l’interrogativo di fondo per la tematica della libertà personale nel processo penale"10.
Sicché, il "vuoto di fini" dell’art. 13 Cost. - che è norma servente per il soddisfacimento di rilevanti interessi costituzionali - va riempito con altre previsioni della Carta
fondamentale, segnatamente, con l’art. 27 comma 2, secondo cui "l’imputato non è considerato colpevole sino
alla condanna definitiva", nonché con le richiamate disposizione contenute nelle Carte internazionali11.
Il dibattito sembra oggi esaurito, sul punto. E però, va
ricordato che, poiché il soggetto prima della sentenza definitiva è da considerarsi non colpevole, nessuna coercizione può essere ordinata sulla sola base di elementi di colpevolezza, quasi come anticipazione della pena; di conseguenza, la restrizione della libertà personale è legittima "solo quando è disposta a protezione di interessi o di scopi
che magari presuppongono accertamenti probatori o valutazioni di colpevolezza dell’imputato, ma che abbiano
rilevanza autonoma e corrispondono ad ulteriori e specifiche esigenze, di natura costituzionale o pattizia, ritenute meritevoli di tutela"13.
La valorizzazione della funzione difensiva dell’interro-
•••
9 DE AMICIS, Codice di procedura penale, Rassegna di giurisprudenza
e di dottrina, diretta da Lattanti-Lupo, Sub art. 294 c.p.p., vol. IV, Milano, 2003, p. 596 ss.).
10 Testualmente, GREVI, Libertà personale dell’imputato, in Enc. dir.,
vol. XXIV, Milano, 1974, p. 330.
11 RICCIO, La regola costituzionale del giudizio, in Principi costituzionali e riforma della procedura penale, Napoli, 1991, p. 75 ss.12
ZAPPALÀ, Le misure cautelari, AA.VV., Diritto processuale penale, a
cura di Siracusano-Galati-Tranchina-Zappalà, vol. I, Milano, 1996, p.
gatorio e l’esigenza di consentire un costante vaglio giurisdizionale sulle ragioni della permanenza dello stato custodiale, nell’ambito dei principi di adeguatezza e proporzionalità cui si informa il sistema delle misure cautelari, hanno indotto il legislatore (con l’art. 2 del d.l. 22 febbraio 1999, n. 29, convertito, con modificazioni, in l. 21
aprile 1999, n. 109) ad estenderne l’ambito di operatività oltre la fase delle indagini preliminari, affidandone la
conduzione al giudice che ha deciso in ordine all’applicazione della misura cautelare, fino alla dichiarazione di
apertura del dibattimento, ed al presidente del collegio o
ad un giudice da lui delegato quando la stessa sia disposta dalla Corte d’assise o dal tribunale14.
Quanto ai limiti concernenti l’estensione applicativa dell’istituto, la giurisprudenza ha precisato: a) che nell’ipotesi di emissione di una nuova misura custodiale in seguito
alla dichiarazione di inefficacia di quella precedente nelle evenienze contemplate dai commi 5 e 10 dell’art. 309
c.p.p., il giudice per le indagini preliminari non ha l’obbligo di interrogare l’indagato prima di ripristinare nei suoi
confronti il regime carcerario; b) che per le misure cautelari applicate nel corso delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare, ma eseguite dopo l’avvenuta trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, fino alla
dichiarazione di apertura del dibattimento, l’interrogatorio di garanzia deve essere eseguito, nei termini di legge,
dal giudice per le indagini preliminari o dal giudice dell’udienza preliminare che ha emesso la misura; questo
giudice sarà, quindi, legittimato a verificare la permanenza delle condizioni di applicabilità e delle esigenze cautelari nonché ad ordinare, anche d’ufficio, a norma degli
artt. 306 c.p.p. e 98 disp. att. c.p.p., l’immediata liberazione dell’imputato nell’ipotesi di perdita di efficacia della misura cautelare15.
Va comunque evidenziato che perno della disciplina dell’istituto - che conferisce ad esso piena effettività - era (ed
è) rimasta, anche a fronte dei numerosi interventi sulla norma, la sanzione processuale prevista per il mancato svolgimento dell’interrogatorio nei termini: la caducazione automatica della misura, ovvero la più drastica delle censure16.
3. L’art. 302 c.p.p. in rapporto al previgente
art. 365 c.p.p. 1930
Stabilisce l’art. 302 c.p.p. che la custodia cautelare perde immediatamente efficacia se il giudice che ha emesso
434; MARZADURI, Misure cautelari personali, in Dig. disc. pen., vol.
IV, Torino, 1994, p. 62 ss.
13 In tal senso, RICCIO, La regola costituzionale del giudizio, in Principi costituzionali e riforma della procedura penale, cit., p. 81 ss.; ZAPPALÀ, Le misure cautelari, cit., p. 434.
14 SPANGHER, Le nuove disposizioni sulla competenza per materia
e l’interrogatorio di garanzia, in Dir. pen. proc., 1999, p. 275; SPANGHER, Convertito il decreto legge in tema di competenza per materia
e interrogatorio di garanzia, ivi, 1999, p. 553.
15 Sez. I, 1 febbraio 2000, Carloni, in C.E.D. Cass., n. 215407.
16 Sez. III, 17 dicembre 2002, Bianco, in Guida dir., 2003, n. 20,
p. 100.
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il relativo provvedimento non provvede nei termini indicati dall'art. 294 c.p.p. all’interrogatorio di garanzia17. La
norma prosegue, poi, prevedendo che a seguito della liberazione dell'indagato la misura possa essere nuovamente disposta, su richiesta del pubblico ministero, solo
previo interrogatorio dello stesso, qualora il giudice ritenga
ancora sussistenti le condizioni indicate negli artt. 273, 274
e 275 del codice di rito per l’emissione del provvedimento cautelare.
Il riconoscimento che il colloquio “postumo” fra persona sottoposta alla misura cautelare ed il giudice è rivolto a consentire a quest’ultimo la verifica della permanenza delle condizioni poste a base del provvedimento
emesso, non può non implicare la previsione di una “sanzione” nel caso in cui non si proceda all’adempimento
nei tempi e nei modi fissati dalla legge: all’omissione ovvero all’invalidità dell’atto la legge ricollega la caduzazione
dell’ordinanza18. La norma recepisce, in sostanza, l’orientamento maturato con riguardo al previgente art. 365
c.p.p. ed inquadra la perdita di efficacia della misura come rimedio funzionale a garantire all’indiziato il diritto
ad essere interrogato “da libero ”19.
Nella relazione preliminare al nuovo codice, infatti,
si legge come la previsione di cui all’art. 302 c.p.p., nell’attuare la direttiva n. 60 della legge-delega, riproduca
una disposizione contenuta nell’art. 365 c.p.p. 1930,
come modificato dall’art. 10 l. 28 luglio 1984, n. 398
ove prevede l’automatica caducazione della custodia
cautelare disposta nel corso delle indagini preliminari nel
caso in cui il giudice non proceda all’interrogatorio entro il termine stabilito dall’art. 294 c.p.p. In particolare, in essa testualmente si legge "la misura può essere
nuovamente disposta per gli stessi motivi dopo che l’indiziato sia stato interrogato in stato di libertà e sempre
che, tenuto conto di quanto emerso nel corso dell’inter-
•••
17 All’omissione dell’interrogatorio è stata equiparata la nullità dello stesso per inosservanza delle garanzie difensive o per altra ragione;
v., sul punto, Sez. I, 17 marzo 1993, Papalia, in Cass. pen., 1994, p. 1897;
Sez. fer., 6 agosto 1992, in Giust. pen., 1992, III, c. 658; Sez. I, 4 novembre 1991, Ugon, in Cass. pen., 1993, p. 607.
18 PISANI, Caducazione, in Enc. dir., vol. V, Milano, 1959, p. 775;
ID., Libertà personale e caducazione, in Libertà personale e processo,
Padova, 1974, pp. 61-62.
19 Cass., Sez. VI, 22 maggio 1991, Spazio, in Cass. pen., 1992, p. 104.
La disposizione rappresenta il precipitato di una serie di indicazioni di
rango costituzionale: come si è visto, essa adempie e soddisfa funzioni
della stessa natura di quelle fondanti la privazione della libertà personale. Alla norma il legislatore ha inteso subordinare qualsiasi altro interesse che in concreto potrebbe giustificare la protrazione della custodia (Cass., Sez.II, 26 aprile 1985, D’Angelo, in Cass. pen., 1985, p.
1155. Quest’ultima notazione, da sottoscrivere pienamente, costituisce
un dato essenziale, rappresentando il criterio guida cui condizionare
ogni, eventuale questione interpretativa sollecitata dalla formulazione
degli artt. 294 e 302 c.p.p.
20 Cfr. Relazione al Prog. prel. del c.p.p., in Speciale Documenti Giustizia, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1988, II, p. 166.
rogatorio, ne ricorrano ancora i presupposti "20.
Il riferimento si presenta assolutamente coerente rispetto alla menzionata direttiva n. 60 della legge delega, ove è statuito il "diritto dell’imputato in stato di custodia cautelare ad essere interrogato nella fase delle indagini preliminari immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dalla esecuzione del provvedimento
privativo della libertà personale; liberazione dell’imputato che non sia stato interrogato entro detto termine,
salvo che ciò sia dipeso da assoluto impedimento del
quale il giudice da atto con decreto; nuovo decorso del
termine dalla data della notifica della cessazione dell’impedimento".
Ebbene, già in precedenza, nella sua ultima formulazione, frutto dell'intervento interpolatorio dovuto alla citata l. 28 luglio 1984, n. 398, l'art. 365 comma 1 c.p.p.
1930, stabiliva che se l'imputato non fosse stato interrogato nel termine di 15 giorni dall'arresto, lo stesso sarebbe stato immediatamente liberato. Tale disposizione
venne arricchita, in via interpretativa, ritenendo che, implicitamente, dovesse essere individuato un ulteriore presupposto per l'emissione del nuovo provvedimento coercitivo. La nuova cattura - si chiarì subito in sede giurisprudenziale21 - era possibile soltanto a condizione che
l'imputato fosse stato prima interrogato, nello stato di
libertà, sui fatti oggetto delle imputazioni22. Chiaro il fine della norma: impedire il protrarsi della custodia e lo
svolgimento dell’interrogatorio dell'imputato in vinculis e consentire allo stesso, dopo la scarcerazione, di difendersi in stato di libertà in relazione ai reati contestati.
Tale interpretazione, come accennato, trova pieno riconoscimento legislativo all'interno della formulazione
dell'art. 302 c.p.p.
La finalità della previsione, tesa ad attuare i principi
costituzionali in tema di diritto di difesa, di libertà per-
21 La motivazione integrale di tale provvedimento (sent. 28 gennaio
1985, Annunziata) si può leggere in Giust. pen., 1985, III, c. 518, con
nota critica di MELCHIONDA, L’aggiramento della “nuova” scarcerazione automatica: dai buoni propositi ai cattivi risultati. Sullo stesso argomento v. BONETTO, Commento alla l. 28 luglio 1984 n. 398,
art. 10, in Legisl. pen., 1985, p. 171.
22 Proprio in questi termini si esprimeva la Cassazione nella citata
sentenza 28 gennaio 1985, Annunziata, in uno dei sui primi interventi sull'articolo 365 c.p.p. novellato, che costituì, di fatto, il precedente cui in seguito si adeguarono le successive pronunce sino al consolidamento dell'orientamento.
Meritano attenzione alcuni passaggi argomentativi della stessa decisione che appaiono illuminanti ai fini di individuare la corretta interpretazione dell’art. 302 c.p.p. Si evidenziava in quella pronuncia che
con l'introduzione del nuovo comma 1 dell'art. 365 c.p.p. 1930 la custodia cautelare veniva sottoposta ab initio alla condizione risolutiva,
avente efficacia ex nunc, del mancato interrogatorio dell’imputato detenuto, mentre il conseguente obbligo per il giudice di disporre la scarcerazione veniva a porsi come sanzione in termini processuali dell’omessa osservanza del precedente obbligo di tempestivo interrogatorio.
Il legislatore, introducendo così una nuova ipotesi di “cessazione automatica” della custodia cautelare — si legge ancora nella decisione aveva inteso dare più incisiva e concreta attuazione ai principi costituzionali del diritto di difesa, di libertà personale e di presunzione di
non colpevolezza.
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sonale e di presunzione di non colpevolezza, importa che
la misura cautelare sia sottoposta, ab initio, alla condizione risolutiva avente efficacia ex nunc ed obbliga, conseguentemente, il giudice a disporre la scarcerazione
ogniqualvolta si attesti l’omissione o l’invalidità dell’atto
di garanzia.
Dall’applicazione della sanzione deriva un mutamento del regime di efficacia dell’atto coercitivo, che da
provvedimento provvisorio si trasforma in un provvedimento a termine23.
La perdita di efficacia dell’ordinanza cautelare, nel caso
di inottemperanza all’obbligo di dar corso all’atto di cui all’art. 294 c.p.p., presuppone che all’interrogatorio venga assegnata la qualità di causa di inefficacia sopravvenuta di un
atto già emesso, valido ab initio, ma condizionato negli effetti. Nel caso dell’art. 302 c.p.p., dunque, l’interrogatorio
diviene causa preesistente impeditiva del valido esercizio del
potere del giudice di disporre la misura.
Da un punto di vista generale, comunque, opererà l’art.
306 comma 1 c.p.p. secondo cui "nei casi in cui la custodia cautelare perde efficacia secondo le norme del presente
titolo, il giudice dispone con ordinanza l’immediata liberazione della persona sottoposta alla misura"; ad ogni modo, ai fini della reiterazione del provvedimento cautelare
- che non presuppone l’integrarsi di ulteriori o nuovi elementi ovvero il prospettarsi di differenti valutazioni24 - si
richiede solo che il decidente dia conto del vizio di inefficacia della precedente misura e ne valuti specificamente l’incidenza nei confronti dell’imputato25. Il legame esistente tra l’art. 294 e l’art. 302 c.p.p. fa sì che la misura
venga meno per un difetto sopravvenuto che non incide
sulla fondatezza e sulla legittimità delle ragioni (artt. 273
e 274 c.p.p.) e delle argomentazioni ad essa originariamente sottese: il che, come accennato, consente che la misura caducata sia restaurabile, semplicemente, a richiesta del pubblico ministero, dopo l’interrogatorio del soggetto “libero”, sempre che non risulti ristretto per una misura riguardante un altro fatto.
L’interrogatorio da espletarsi in via anticipata si identifica pienamente con quello che il giudice era tenuto a
svolgere a mente dell’art. 294 c.p.p.: parimenti a quello, l’audizione a conduzione esclusivamente giurisdizionale andrà espletata secondo le cadenze di cui agli artt.
64 e 65 c.p.p. e con la obbligatoria (necessaria) presen-
za del difensore.
In tal caso, l’interrogatorio rappresenta il presupposto necessario per emettere una seconda misura cautelare, assumendo, così, connotazioni significativamente diverse da quelle funzioni di controllo che lo caratterizzano26: la legge intende mettere il giudice nella condizione
di valutare la preventiva difesa dell’indagato-imputato
e di consentirgli di effettuare un controllo ex ante sulla
fondatezza e sull’accoglibilità della domanda cautelare
dell’accusa.
Non casualmente, mentre nell’art. 294 c.p.p. si prescrive
che il giudice, all’esito dell’interrogatorio, deve valutare
se permangono le condizioni di applicabilità della misura, nell’art. 302 c.p.p. si sottolinea come il giudice, dopo
l’interrogatorio, debba verificare la sussistenza delle condizioni di cui agli artt. 273, 274 e 275 c.p.p.
Sulla natura garantista e di strumento di difesa dell’interrogatorio in esame sotto la vigenza del codice Rocco, a seguito della modifica legislativa dell’art. 365 c.p.p., si era espressa unanimemente la giurisprudenza
di legittimità; si vedano in particolare Sez. I, 15 marzo 1985, Di Gioia,
in Cass. pen., 1985, p. 1154; Sez. II, 26 aprile 1985, D'Angelo, ivi, 1985,
p. 1155; Sez. I, 5 maggio 1986, Pagano, in Foro it., 1987, II, c. 430; Sez.
I, 1° dicembre 1986, Giuliano, in Cass. pen., 1988, p. 484; Sez. un., 16
aprile 1988, Campione, ivi, 1988, p. 1593. In dottrina si vedano BONETTO, Commento, cit., p. 168; GREVI, La garanzia dell’intervento
giurisdizionale nel corso delle indagini preliminari, in Giust. pen., 1988,
I, c. 360; MAZZOLENI, Interrogatorio viziato e custodia cautelare, in
questa rivista, 1988, p. 1218; PERCHINUNNO, La scarcerazione automatica per omesso interrogatorio dell’imputato detenuto, in AA. VV.,
La nuova disciplina della libertà personale, a cura di Grevi, Padova, 1985,
p. 353 ss. Per il nuovo codice si veda per tutti BILANCETTI, Le funzioni del giudice nella fase delle indagini preliminari, in Giust. pen., 1989,
III, c. 299.
23 MARANDOLA, L’interrogatorio di garanzia, Padova, 2006, p. 487.
24 Cass., Sez. Un., 20 aprile 2004, Donelli, in Cass. pen., 2004, p.
2746, con nota di SPAGNOLO, I poteri cognitivi e decisori del tribunale della libertà investito dell’appello de libertate del pubblico ministero: i confini tra devolutum e novum; in Giur. it, 2005, p. 132.
25 Su tutte, Cass., Sez. V, 29 marzo 2000, Virga, in Cass. pen., 2001,
p. 1551; Cass., Sez. V, 24 giugno 1997, De Martino, in C.E.D. Cass.,
n. 208020.
26 BUZZELLI, Il contributo dell’imputato, cit., p. 95.
4. Le possibili interferenze del pubblico ministero nel procedimento applicativo della “nuova” misura cautelare.
Occorre a questo punto verificare quali siano le implicazioni connesse all’omesso espletamento dell’interrogatorio di garanzia in riferimento alla possibilità di operare una nuova restrizione cautelare.
Nella ordinanza in commento si ritiene che nelle ipotesi di estinzione della misura per omesso interrogatorio, l’indagato, una volta liberato, nel senso di non essere più formalmente sottoposto agli effetti del provvedimento caducato, possa essere sottoposto, ricorrendone i presupposti, a fermo da parte del pubblico ministero. Questa strada è stata ritenuta percorribile sul presupposto che il divieto stabilito dall’art. 302 c.p.p. riguarderebbe il giudice e non il pubblico ministero il quale, pertanto, sarebbe in condizione di emettere un provvedimento di fermo che, oltre ad avere natura provvisoria, si caratterizzerebbe, non solo per gli elementi di
cui agli artt. 273 e 274 c.p.p., ma anche per il pericolo
di fuga e per la previsione di una pena edittale più elevata rispetto a quella legittimante l’emissione di un’ordinanza cautelare. In tale prospettiva, il fermo non sarebbe riproduttivo del precedente provvedimento custodiale ma, secondo il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli, dalla ritualità dello stesso
e dalla possibilità di procedere all’interrogatorio nel corso della relativa udienza di convalida discenderebbe la
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legittimità del secondo provvedimento restrittivo, non
potendosi creare "un rito ibrido per consentire l’interrogatorio in stato di libertà".
Ebbene, la decisione in oggetto, prima ancora di sollecitare l’attenzione sulle modalità attraverso le quali
deve esperirsi l’interrogatorio del soggetto da sottoporsi a nuovo titolo custodiale - a cui riferisce prevalente attenzione lo stesso giudice partenopeo - pone un interrogativo la cui soluzione assume rilievo precipuo nella economia della trattazione della tematica in oggetto. Esso
afferisce alla possibilità, per il pubblico ministero, di “interferire” nel procedimento che conduce al ripristino
della misura cautelare.
Riannodando il discorso a quanto detto in precedenza, appare evidente come l’art. 302 c.p.p. esprima l’archetipo dei rapporti tra la perenzione legale del titolo e
la sua possibile reiterazione27.
La previsione, insomma, è espressione del principio
della inesistenza di preclusioni, salvo specifiche previsioni
normative, alla reiterabilità, anche in forza dei medesimi elementi giustificativi, del precedente provvedimento, secondo il canone al quale risulta ispirato l’intero assetto della disciplina, come emerge dagli artt. 297 comma 3 e 307 comma 2 c.p.p. e conferma l’art. 27 c.p.p.
A tal riguardo, la prima disposizione considera i casi nei quali siano emessi più provvedimenti cautelari relativi allo stesso fatto, anche se diversamente circostanziato o qualificato - riconoscendo, a contrario, la
possibile pronuncia di più titoli relativi ad un unico
fatto; quanto all’art. 307 c.p.p., ove persista l’esigenza cautelare, lo scarcerato è passibile di altre misure coercitive ed interdittive.
Sotto il secondo profilo, "il limite temporale dell’efficacia
della misura cautelare disposta dal giudice incompetente,
non comporta alcuna preclusione all’esercizio del poteredovere del giudice competente di emettere successivamente il provvedimento applicativo di detta misura, ancorché
sulla base degli stessi presupposti e delle stesse esigenze cautelari, ove sussistenti"28.
Dall’insieme di questi elementi prende le mosse il riconoscimento della legittimità della reiterazione dell’atto ogniqualvolta la sua inefficacia derivi da aspetti formali29 e non da profili sostanziali. La caducazione della
misura è incapace di dar luogo ad un preiudicatum sostanziale: essa, quindi, non mette il soggetto, che pur ha
goduto della liberazione, al riparo da successivi provvedimenti coercitivi30. E però, nell’evenienza di perdita di
efficacia della misura cautelare per omesso interrogatorio ex art. 294 c.p.p. al pubblico ministero spetterà,
stante il disposto di cui all’art. 302 c.p.p., soltanto la possibilità di avanzare una richiesta cautelare avente ad oggetto i medesimi presupposi sostanziali che avevano determinato l’adozione del primo provvedimento cautelare; non è riconosciuta, dunque, allo stesso la possibilità
di emettere un autonomo titolo di “cautela” che interferisca con la libertà personale del soggetto.
E’, in primis, la lettera della norma ad escludere l’esperibilità del potere di fermo nei confronti del soggetto “liberato” a seguito di omissione dell’interrogatorio
di garanzia.
Il secondo periodo del comma 1 dell’art. 302 c.p.p. individua in maniera inequivoca il procedimento - ex art. 291
c.p.p. - che può condurre alla rinnovazione della misura
cautelare. Invero, nella previsione in oggetto si legge come
la misura possa essere nuovamente disposta “dal giudice
su richiesta del pubblico ministero” - ovviamente previo
interrogatorio del proposto.
Soltanto attraverso un’ordinanza giurisdizionale, sollecitata da una richiesta del pubblico ministero, è possibile fa “rivivere” quel provvedimento caducato per mero vizio formale. D’altro canto, la medesima previsione
richiede, ai fini dell’emissione del nuovo provvedimento restrittivo, la necessaria valutazione dei presupposti
e delle condizioni di cui agli artt. 273, 274 e 275 c.p.p.
che sicuramente non costituiscono il fondamento per
l’emissione del provvedimento di fermo da parte dell’organo di accusa.
E’ chiaro, allora, che nel momento in cui il pubblico ministero richiede l’applicazione di misura cautelare, si
“spoglia” del proprio potere in materia cautelare non potendo più recuperare lo stesso attraverso l’emissione di un
provvedimento di fermo rispetto ad un provvedimento caducato per violazione dell’art. 294 c.p.p.
Depauperatosi del proprio potere restrittivo, al pubblico
ministero non rimarrà altra strada che quella di riattivare il procedimento cautelare attraverso una “nuova” richiesta di applicazione di misura cautelare.
Ad opinare diversamente si renderebbe vana la previsione di cui all’art. 302 c.p.p. la quale rimarrebbe, di fatto, inapplicata stante la possibilità per il pubblico ministero di eludere il disposto normativo che oltre ad imporre
la liberazione del soggetto sottoposto a misura cautelare,
prescrive il procedimento attraverso il quale si deve pervenire a nuova restrizione della libertà personale.
•••
29 V., sul punto, Relazione al progetto preliminare del 1988, in
CONSO-GREVI-NEPPI MODONA, Il nuovo codice di procedura
penale dalle leggi delega ai decreti delegati, vol. IV, Il progetto preliminare del 1988, Padova, 1990, p. 743.
30 Cfr. CARCANO-IZZO, Arresto, fermo e misure coercitive nel
nuovo processo penale, cit., p. 179.
31 La conclusione, tra l’altro, è imposta anche dalla considerazione
secondo la quale il comportamento del giudice di omettere l’espletamento
dell’interrogatorio di garanzia potrebbe essere “intenzionalmente” di-
27 Cass., Sez. II settembre 1991, Piscitello, in Giust. pen., 1992, III,
c. 27; Cass., Sez., II, 16 febbraio 1991, Lamari, in C.E.D. Cass., n.
186828, Cass., Sez. Fer., 2 novembre 1990, Palma, in Cass. pen.,
1991, II, p. 356.
28 Cass., Sez. Un., 29 luglio 1993, Silvano, in Cass. pen., 1994, p.
42. Così anche Cass., Sez. VI, 20 novembre 1997, Pacini Battaglia, in
C.E.D. Cass., n. 210043.
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Lo status dell’interrogando
La soluzione da dare al quesito, è chiaro, si connette
alle argomentazioni sviluppate circa l’inesistenza di un
potere di fermo in capo al pubblico ministero nell’ipotesi di perdita di efficacia della misura cautelare per
omesso espletamento dell’interrogatorio di garanzia.
Invero, se alcuna modalità di restrizione della libertà
personale può surrogarsi all’ordinario procedimento di
ripristino della misura cautelare contemplato dal secondo periodo del comma 1 dell’art. 302 c.p.p., è giocoforza concludere nel senso che lo stesso dovrà comunque succedere all’effettiva liberazione del proposto
- da effettuarsi ovviamente prima della sottoposizione del
medesimo all’interrogatorio di garanzia.
Se il pubblico ministero non può bloccare il soggetto
sulla soglia dell’istituto di detenzione, quest’ultimo, da libero, parteciperà all’interrogatorio e, da libero, subirà la
nuova restrizione cautelare. Sicché, la rimessione in libertà
costituisce un atto “vincolato”, “automatico” e tendenzialmente stabile: verificatasi la condizione di legge, sor-
ge in capo all’indagato-imputato il diritto soggettivo alla scarcerazione. Invero, la mancata identificazione del
soggetto, l’intempestiva contestazione32 dell’accusa e l’impossibilità di esporre la propria tesi difensiva entro i definiti limiti temporali, escludono la “legalità” del provvedimento cautelare: la liberazione dell’“arrestato” sanziona l’obiettiva “inerzia del processo33” ed è del tutto
indipendente dai presupposti legittimanti la misura cautelare; essa, infatti, opera su un terreno squisitamente formale, non ricollegandosi a vizi di legittimità o di merito dell’originario provvedimento34.
La finalità della previsione di cui all’art. 302 c.p.p., tesa
ad attuare i principi costituzionali in tema di diritto di difesa, di libertà personale e di presunzione di non colpevolezza deve, quindi, entrare nel bilanciamento con contrapposti precetti ogniqualvolta si verta sul tema de quo: la sanzione endoprocessuale investe, su un piano obiettivo, la validità degli atti35, essendo circondata di “efficacia cogente36”.
La conclusione trova avallo in un’ulteriore considerazione.
Dalla previsione di cui all’art. 307 c.p.p. discende che,
estinta la misura per decorso dei termini, non può essere emessa una nuova misura per lo stesso fatto. Principio che il legislatore ha inteso mitigare introducendo le
eccezioni previste nel comma 2 della richiamata previsione. Ogni altra ipotesi impedisce la restaurazione della misura cautelare, in quanto simili norme, in malam
partem, rifiutano estensioni analogiche.
In tale ambito deve essere collocata la esperibilità del
fermo dello scarcerato come norma di eccezione al generale principio della impossibilità di adozione di misure
comunque restrittive della libertà personale, per lo stesso fatto, nei confronti di colui il quale sia stato precedentemente liberato per decorrenza dei termini37.
La considerazione consente di fugare qualsiasi dubbio in ordine alla corretta interpretazione del disposto
di cui all’art. 302 c.p.p.
retta ad agevolare - per ragioni da lui soltanto conosciute - la caducazione del il titolo cautelare. In questa prospettiva, dunque, la nuova misura cautelare — pur basata sui medesimi elementi — potrà essere adottata soltanto seguendo l’iter ordinario tracciato dall’art. 291 c.p.p.: alla
richiesta del pubblico ministero dovrà seguire una nuova statuizione giurisdizionale su presupposti e condizioni legittimanti la restrizione cautelare, non sembrando percorribile la strada che configuri una sorta di “potere surrogatorio” in capo al pubblico ministero.
32 MELCHIONDA, L’aggiramento della “nuova” scarcerazione automatica, dai buoni propositi ai cattivi risultati, cit., c. 526.
33 Cass., Sez. II, 11 maggio 1985, D’Angelo, in Cass. pen., 1985, p.
1155. PISANI, voce Caducazione, cit., p. 275.
34 PISANI, Le sanzioni per violazione dei diritti dell’imputato, in "Italian style", figure e forme del nuovo processo penale, Padova, 1998,
p. 61.
35 PERCHINUNNO, La scarcerazione per omesso interogatorio,
cit., p. 362
36 V. ALONZI, Art. 302 c.p.p., un non condivisibile ripensamento della suprema corte, in Cass. pen., 2005, 5, p. 1643 ss.
37 Il dato sistematico che vi emerge si concreta nel dato in virtù del
quale a fronte dell'estinzione di una misura cautelare (in un caso per
decorso dei termini, ma conclusioni analoghe si possono formulare
anche nelle ipotesi di omesso interrogatorio), ogni ulteriore intervento
limitativo della libertà personale, di qualsiasi natura, è possibile nei
casi e modi previsti dalla legge e pertanto deve essere frutto di un’espressa previsione normativa. Il rilievo, dunque, va inteso con un elevato grado di rigidità, pena l'affievolimento o il venir meno della tutela della libertà personale.
Interpretazioni meno rigorose finirebbero, infatti, per vanificare l'intera disciplina che, nel rispetto del canone costituzionale, il legislatore ha inteso predisporre. Le misure cautelari devono necessariamente
avere durata ben definita ed essere sottoposte a continui controlli che
verifichino la necessità della loro permanenza. Da qui discende l'importanza delle cause di estinzione delle misure che il legislatore ha inteso costruire come effetto automatico al verificarsi di alcune situazioni (il decorso del tempo o l'omesso compimento di alcune condotte). La estinzione della misura impedisce il ripristino della stessa
sic et simpliciter ed impone il rispetto di quelle procedure fissate dal
legislatore nelle ipotesi in cui lo stesso abbia ritenuto, in considerazione di altri beni quali la sicurezza sociale et similia, di prevedere
che si potesse di nuovo dar corso ad una limitazione della libertà personale.
A prescindere, dunque, dallo status che deve connotare
il soggetto da sottoporsi a nuovo titolo cautelare per l’espletamento dell’interrogatorio omesso, il vero nodo posto
dalla decisione in commento attiene alla possibilità di riconoscere un potere di “interferenza” del pubblico ministero
all’interno del procedimento che deve condurre al ripristino della misura cautelare. A tal riguardo è evidente come al
pubblico ministero competa soltanto l’iniziativa a sollecitare un “nuovo” provvedimento giurisdizionale, non spettando allo stesso alcun potere restrittivo “diretto”, espletabile attraverso il ricorso al fermo di indiziato di delitto31.
Può, a questo punto, stabilirsi se il soggetto proposto
per il ripristino della misura cautelare, a seguito della richiesta del pubblico ministero, debba essere interrogato libero pede ovvero se sia sufficiente la non operatività, di fatto, dell’originario titolo cautelare.
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A fronte della caducazione della misura per mancato
interrogatorio, l’unica via che appare percorribile, ai fini dell'adozione di un nuovo provvedimento restrittivo,
è quella indicata dalla norma che esclude la possibilità
di ricorrere al fermo del pubblico ministero.
La lettera e lo spirito della previsione, infatti, delineano
un unico percorso nell’interpretazione dei requisiti richiesti per l’emissione di un nuovo provvedimento custodiale: liberazione effettiva dell'indagato, con la conseguente impossibilità di adottare qualsivoglia altra misura limitativa nei suoi confronti (se non seguendo il meccanismo specificamente previsto), e successiva sottoposizione, in stato di libertà, ad interrogatorio. Letture diverse, pur se talvolta motivate dall'esigenza tutta prati-
•••
38 Tali considerazioni, assolutamente condivisibili sono espresse da
ALONZI, Art. 302 c.p.p., un non condivisibile ripensamento della suprema
corte, cit.
ca di porre rimedio a situazioni riguardanti reati che destano particolare allarme sociale (nella maggior parte dei
casi sottoposti all'attenzione della Corte che ha aderito
a tale orientamento figuravano infatti ipotesi di omicidio od associazioni di stampo mafioso), possono essere
produttive di maggiori danni di quelli che vorrebbero evitare nel caso concreto. La tenuta di un sistema è garantita infatti dal puntuale rispetto di ogni sua singola articolazione, esigenza questa che deve essere particolarmente avvertita in materie che coinvolgono diritti costituzionalmente garantiti quali la libertà personale dei cittadini ed il loro diritto di difesa. Distorsioni obliquamente
introdotte in tali materie rischiano di produrre un insanabile vulnus all’intero ordinamento38.
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Rassegna
di Giurisprudenza
di legittimità di diritto
e procedura penale
● a cura di Mario Griffo
e Luigia Martino
Appello incidentale 595, 597
cassazione – Sezioni unite penali (up)
– SENTENZA 17 OTTOBRE 2006 – 9 MARZO 2007, N. 10251
Presidente Marvulli – Relatore De Roberto
La natura accessoria dell’appello incidentale – secondo un
modello, come si è visto, già ampiamente scrutinato sia dalla giurisprudenza costituzionale sia dalla giurisprudenza
delle Sezioni Unite di questa Corte – conduce alla conclusione che esso (non prevedendo il sistema codicistico la figura generale dell’impugnazione incidentale) debba essere disegnato come omologo dell’appello principale, con la
necessità – in caso di pronuncia plurima o cumulativa – di
indicare i capi di sentenza coinvolti dall’appello incidentale e, in ogni caso, i punti cui si riferisce il detto atto di
impugnazione, alla stregua del precetto dell’articolo 597,
comma 1, quale ineludibile effetto della tipologia di protesta rispetto all’atto di impugnazione principale. Ove si
opinasse il contrario, infatti, si consentirebbe una dilatazione dell’impugnazione principale oltre i limiti segnati
dall’appello principale, con palese violazione della norma
sopra richiamata.
Art. 8 D. Lgs. 74/2000
Cassazione – Sezione quinta penale
(CC) SENTENZA 10 GENNAIO – 26 FEBBRAIO 2007, N. 7916
Presidente Pizzuti, Relatore Di Tommasi
La rilevanza penale delle condotte prodromiche non può
per l’utilizzatore risorgere alla stregua della contestazione della truffa tentata ai danni dell’erario, così deve affermarsi che la punibilità dell’emittente per il contributo dato alla frode fiscale ai danni dell’Erario con profitto dell’utilizzatore non può essere reintrodotta attraverso la contestazione della truffa. Anche con riferimento al
reato di cui all’articolo 8 del D. Lgs 74/2000 va perciò
ribadito che l’evidente e assoluta specialità connotate i
meccanismi della repressione penal-tributaria non consentono di ascrivere al concorrente delitto di truffa ai danni dello Stato quelle condotte che, previste e sanzionate
nel decreto 74/2000, non hanno altra diretta finalità che
l’evasione o l’elisione dell’obbligazione tributaria.
Art. 51 co 2 D. Lgs. 22/97
Cassazione – Sezione terza penale
– SENTENZA 16 NOVEMBRE 2006- 9 GENNAIO 2007, N. 137
Presidente Lupo – Relatore Teresi
In tema di gestione di rifiuti, la consapevolezza del proprietario del fondo dell’abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terzi, non è sufficiente ad integrare il concorso
nel reato di cui all’articolo 51, comma 2, d.lgs 22/1997 (abbandono o deposito incontrollato di rifiuti), atteso che la
condotta omissiva può dar luogo ad ipotesi di responsabilità solo nel caso in cui ricorrano gli estremi del comma
2 dell’articolo 40 Cp, ovvero sussista l’obbligo giuridico
di impedire l’evento.
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Azione penale - Querela - per conto di una società
- Direttore - Prova dei poteri di rappresentanza
- Necessità - Ragioni
SENTENZA N. 37214 UD. 19/10/2006
DEPOSITO del 09/11/2006
La persona fisica che, in qualità di legale rappresentante
di una società, propone querela, ha l’onere di fornire
espressamente la prova dei poteri di rappresentanza nel
caso in cui dichiari soltanto la qualifica di direttore e
quindi di organo societario con meri compiti di direzione interna, che infatti può ritenersi dotato dei poteri di rappresentanza nei rapporti esterni soltanto ove sussista una
specifica attribuzione statutaria o un conferimento negoziale da parte dell’organo amministrativo della società o
ancora se tale potere derivi dalla natura, che va dimostrata,
dei compiti affidatigli.
Sentenza n. 37214 ud.19/10/2006 - depositata il
9/11/2006 (sezione Seconda Penale, Presidente A. S.
Rizzo, Relatore G. Casucci)
Cosa giudicata - "Ne bis in idem" internazionale art. 54 della convenzione di Schengen - Provvedimento
di archiviazione dell'autorità giudiziaria estera
SENTENZA N 7385 UD. 18/01/2007
DEPOSITO del 22/02/2007
Il principio del “ne bis in idem” internazionale, previsto
dall'art. 54 della Convenzione applicativa dell’Accordo di
Schengen, può operare anche nel caso in cui, sullo stesso
fatto e nei confronti dello stesso soggetto, sia intervenuta una pronuncia di archiviazione dell'Autorità giudiziaria estera (nella specie, tedesca), a condizione però che il
soggetto interessato adempia all'onere di dimostrare che
con tale provvedimento è stato compiuto un apprezzamento nel merito circa l'infondatezza della notizia di reato, con conseguente giudizio di non colpevolezza, suscettibile di passaggio in cosa giudicata e di esplicare pertanto un’efficacia preclusiva all'instaurazione di altro giudizio. Va segnalata sul tema la sentenza della Corte di giustizia dell’11 febbraio 2003, che ha stabilito che anche nel
caso dei provvedimenti previsti dal diritto tedesco, mediante i quali il pubblico ministero chiude “definitivamente” il procedimento penale, senza l'intervento di un
giudice, l'interessato deve essere considerato “giudicato”
con sentenza definitiva”, ai sensi dell'art. 54 cit. per i fatti al medesimo contestati.
Sentenza n. 7385 del 18 gennaio 2007 - depositata il
22 febbraio 2007-05-30 (sezione Seconda Penale, Presidente A. Morgigni, Relatore P. Zeppia)
Custodia cautelare e separazione di procedimenti
Cassazione - Sezione quinta penale (cc)
- SENTENZA 12 DICEMBRE 2006-28 FEBBRAIO 2007, N. 8427
Presidente Marini - Relatore Bruno
Le vicende della custodia cautelare non possono restare
condizionate dalla separazione di procedimento o da nuove fascicolazioni contrassegnate da diversa numerazione,
al punto da rendere necessario un provvedimento espresso di raccordo e di traslazione nel nuovo procedimento
dei titoli custodiali emessi nell’originario procedimento. I
titoli di custodia cautelare attengono, ovviamente, alla posizione sostanziale dell’indagato, con il loro corredo contestativo di specifici titoli di reato e risentono, per ciò
stesso, delle vicende ad essa relativa.
(Nel caso di specie, disposta la custodia cautelare dell’imputato nell’ambito del procedimento originario ed
eseguito lo stralcio della relativa posizione, con creazione di un distinto procedimento, i titoli custodiali restano
ovviamente connessi a tale posizione, trasmigrando eo
ipso, senza bisogno di alcuna determinazione, nel nuovo
procedimento che riguarda specificamente l’indagato, risentendo inevitabilmente delle vicende procedurali che lo
riguardano.
Nel caso di specie, gli effetti ineludibili del rinvio a giudizio e della successiva declaratoria di nullità da parte del
giudice dibattimentale, con conseguente regressione del dibattimento e computo ex novo dei termini custodiali, salvo il computo del presofferto e nei limiti della durata massima dei termini di fase, a seguito della menzionata pronuncia del giudice delle leggi)
Delitti contro il patrimonio - Frode in assicurazione
- Polizza e contrassegno - Falsificazione integrale
- Conseguenze
SENTENZA N. 12210 UD. 20/02/2007
DEPOSITO del 22/03/2007
In tema di reato di frode in assicurazione, l’integrale falsificazione della polizza e del contrassegno assicurativo,
siccome impedisce l’instaurazione del rapporto tra l’autore della condotta tipica e la compagnia di assicurazione,
rende l’azione inidonea a ledere il bene protetto dalla norma incriminatrice. La Corte precisa che la condotta di
falsificazione del contrassegno e della polizza può integrare la fattispecie di cui all’art. 485 c.p., secondo quanto statuito dalle Sezioni unite, n. 18056/02, Panarelli ed
altro.
Sentenza n. 12210 del 20 febbraio 2007 - depositata
il 22 marzo 2007 (Sezione Seconda Penale, Presidente A.S. Rizzo, Relatore G. Di Iorio)
Delitti contro il patrimonio - Riciclaggio - Autovettura
- Smontaggio e riutilizzo dei pezzi - Sussistenza
SENTENZA N. 15092 UD. 02/04/2007
DEPOSITO del 13/04/2007
Integra il delitto di riciclaggio la condotta di smontaggio e di successiva vendita, o riutilizzo in altro modo, dei
singoli pezzi di un’autovettura di provenienza delittuosa, pur se non muniti di codici identificativi suscettibili
di alterazione, in ragione della idoneità dell’indicata con-
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dotta ad ottenere l’occultamento della provenienza del
bene.
Sentenza n. 15092 del 2 aprile 2007
depositata il 13 aprile 2007 (sezione Seconda Penale,
Presidente G.M. Cosentino, Relatore P. Davigo)
Delitti contro la P.A. - Indebita percezione
di erogazioni a danno dello stato - Truffa aggravata
per il conseguimento di erogazioni pubbliche
SENTENZA N. 16568 UD. 19/04/2007
DEPOSITO del 27/04/2007
Il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno
dello Stato è in rapporto di sussidiarietà, e non di specialità, con quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, al pari del quale, e diversamente dal delitto di malversazione a danno dello
Stato, è astrattamente configurabile anche nel caso di
indebita erogazione di contributi aventi natura assistenziale.
Ne consegue che il delitto di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato, che peraltro, e diversamente dal delitto di truffa aggravata, assorbe il disvalore espresso dai delitti di falso ideologico di cui all’art.
483 c.p. e di uso di atto falso di cui all’art. 489 c.p., si
configura solo quando facciano difetto nella condotta
gli estremi della truffa, come nel caso delle situazioni
qualificate dal mero silenzio antidoveroso o dall’assenza di induzione in errore dell’autore della disposizione
patrimoniale.
Sentenza n. 16568 del 19 aprile 2007 - depositata il 27
aprile 2007
Delitti contro l'amministrazione della giustizia
- Calunnia - Falsa prospettazione di fatti incidenti
sulla sola gravità del reato attribuito all'incolpato
- Sussistenza del delitto - Esclusione
SENTENZA N 2805 UD. 20/11/2006
DEPOSITO del 25/01/2007
La Corte ha affermato che non ricorre il delitto di calunnia se i profili di falsità della denuncia sporta dal
soggetto attivo non incidano sul giudizio di sussistenza del fatto e sulla relativa qualificazione giuridica, anche se da essi possa derivare l'indebita contestazione di
circostanze aggravanti. Nel caso si specie, la Corte ha
escluso ricorresse il reato di calunnia poichè l'agente
aveva falsamente riferito, nel denunciare un oltraggio
effettivamente subito, di aver subito anche frasi minacciose. Va evidenziato che la soluzione seguita dalla
Corte non trova una pacifica condivisione nella giurisprudenza di legittimità, riscontrandosi decisioni di segno contrario.
Sentenza n. 2805 del 20 novembre 2006 - depositata
25 gennaio 2007 (sezione Sesta Penale, Presidente I.S.
Martella, Relatore D. Carcano)
Elezione di domicilio
CASS. SEZ. UN. 17/10/2006 - 18/12/2006 N. 41280/2006
E’ vero che l’elezione di domicilio implica la designazione di un domiciliatario, nel quale evidentemente l’indagato (o l’imputato) ripone fiducia. Ma non è men vero che
se questo - avendo a disposizione più luoghi tra quelli indicati nell’art. 157 cpp - dichiara un luogo specifico, evidentemente pone fiducia nelle persone che - in sua vece possono ricevere l’atto. Con ciò si vuole significare che il
rapporto fiduciario, che esiste nell’elezione di domicilio,
in definitiva non manca nella dichiarazione di domicilio.
E nel silenzio della legge l’interprete non si può sostituire
all’interessato, fissando con presunzioni ciò che è meglio
per lui: se il sistema gli riconosce il potere di scelta, tale
potere va rispettato.
Esecuzione - Corte europea di Strasburgo
- Accertamento di violazione dell'art. 6 Cedu
- Esecuzione della pena - Conseguenze
SENTENZA N 4395 UD. 15/11/2006
DEPOSITO del 02/02/2007
La Corte è tornata sull’importante tema dei rapporti tra
la sentenza della Corte europea che ha accertato il carattere non equo del processo ed il giudicato emesso nel
procedimento nazionale all’esito del suddetto processo.
Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte europea, una volta constatata la violazione dell’art. 6 Cedu, deve essere concessa all’imputato la possibilità di ottenere la “restitutio in integrum”, ovvero la rinnovazione
del processo. Di recente, la Corte di cassazione, superando precedenti incertezze, ha stabilito che il giudice è
tenuto a conformarsi alla decisione della Corte europea
dei diritti dell'uomo che, in accoglimento del ricorso
proposto dal condannato, abbia riconosciuto il carattere non equo del processo, con la conseguenza che non
può essergli negato il diritto al nuovo processo invocando
l'autorità del pregresso giudicato svoltosi nel rispetto della normativa processuale interna. Mentre in tema di giudizio contumaciale, la Corte ha applicato tale principio
riconoscendo all’imputato il diritto alla restituzione nel
termine (Cass. sez. I, 12/7/2006, Somogyi, Ced Cass. n.
32678), nella diversa ipotesi di violazione del contraddittorio, non ha potuto che constatare la mancanza di
un rimedio interno per la riapertura del processo, ciononostante dichiarando la non eseguibilità della sentenza divenuta definita (Cass. sez. I, 1/12/2006, Dorigo,
n. 2800). In quest’ultima sentenza, in particolare, la
Corte aveva dichiarato l’inefficacia dell’ordine di carcerazione, ordinando la liberazione del condannato, sul rilevo che non poteva ritenersi legittima, ai sensi dell’art.
5 della Cedu, una detenzione fondata su di un titolo
emesso in un giudizio nel quale siano state poste in essere violazioni delle regole del giusto processo accertate dalla Corte europea. Con la sentenza in esame, la
Corte si è trovata a decidere su di un’analoga richiesta
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avanzata in sede di incidente di esecuzione, ma relativa
ad una sentenza emessa all’esito di un processo contumaciale, giudicato non equo dalla Corte europea con
una pronuncia addirittura risalente al 1991. La conclusione a cui è approdata la Corte è stata parzialmente diversa da quella della sentenza Dorigo, in quanto ha ritenuto che l’esecuzione della sentenza (e pertanto la detenzione della persona condannata) non possa venir meno per la sola pronuncia della Corte europea, qualora,
come nel caso del procedimento contumaciale, esista nel
nostro ordinamento il rimedio per consentire all’interessato la rinnovazione del giudizio (nella specie, da costui
non attivato)
Giudice - Ricusazione - Decisione di inammissibilità
o rigetto - Potere di pronunciare sentenza - Sussistenza
SENTENZA N. 7220 UD. 21/12/2006
DEPOSITO del 21/02/2007
Il giudice ricusato ha il potere di pronunciare sentenza
dopo la decisione di inammissibilità o di rigetto, senza
necessità che sia previamente definito il ricorso medio
tempore proposto avverso tale decisione.
Sentenza n. 7220 del 21/12/2006 - depositata il
21/02/2007 (sezione Seconda Penale, Presidente G. Di
Iorioi, Relatore F. Monastero)
Giudice -Ricusazione - Deposito dell’istanza
presso la cancelleria del giudice ricusato Corte di assise di appello - Autonomia - Conseguenze
SENTENZA N. 35719 UD. 17/10/2006
DEPOSITO del 24/10/2006
E’ inammissibile ai sensi degli artt. 38, comma 3, e 41
cod. proc. pen., l’istanza di ricusazione presentata nei confronti della Corte d’Assise d’appello e depositata presso
la cancelleria della Corte d’appello, in quanto le Corti di
assise godono di autonomia funzionale ai sensi della legge n. 281 del 10 aprile 1951, essendo istituite con decreto
del Presidente della Repubblica e non con provvedimento di variazione tabellare. (La Corte ha chiarito che la riforma dell’art. 7 bis O.G., introdotta con la legge 22 settembre 1988 n. 449, ha eliminato l’autonomia delle Corti di assise con riguardo all’assegnazione dei giudici ma
non alla loro costituzione).
Sentenza n. 35719 del 17 ottobre 2006 - depositata il
24 ottobre 2006 (sezione Prima Penale, Prsidente E,
Fazzioli, Relatore P. Piraccini)
Giudizio - Istruzione dibattimentale - Prova documentale
- Assunzione tardiva - Inutilizzabilità - esclusione
SENTENZA N. 1343 UD. 16/11/2006 DEPOSITO del 19/01/2007
L’acquisizione tardiva in dibattimento, perché successiva
all’assunzione delle prove testimoniali, di una prova documentale non ne determina l’inutilizzabilità.
Sentenza n. 1343 del 16 novembre 2006 - depositata il
19 gennaio 2007 (sezione Terza Penale, Presidente E.
Lupo, Relatore G. De Maio)
Giudizio - Lista testimoniale - Tardivo deposito
- Prova testimoniale comunque assunta
- Inutilizzabilità - Esclusione
SENTENZA N. 1585 UD. 21/12/2006
DEPOSITO del 19/01/2007
Il mancato deposito della lista testimoniale nel termine prescritto non determina, in assenza di una espressa previsione di legge, l’inutilizzabilità della prova comunque assunta.
Sentenza n. 1585 del 21 dicembre 2006 - depositata il
19 gennaio 2007 (sezione Prima Penale, Presidente G.
Fabbri , Relatore S. Chieffi)
Impugnazioni - Appello - Diversità tra fatto contestato
e fatto risultato in dibattimento - Ordinanza
di restituzione degli atti al p.m. - Ricorso per cassazione
- Difetto di interesse
SENTENZA N. 40625 UD. 27/10/2006
DEPOSITO del 12/12/2006
Il combinato disposto degli artt. 521 e 598 c.p.p. impone
al giudice di appello di rinviare gli atti al P.M. perché proceda per il fatto diverso accertato, previa declaratoria di nullità della sentenza di primo grado, resa necessaria al fine di
evitare il formarsi del giudicato assolutorio sul fatto e quindi la preclusione al nuovo esercizio della azione penale. La
seconda osservazione è che nella fattispecie appena ricordata non può, viceversa, operare la regola dell’art. 604
comma 1 c.p.p.che impone al giudice di appello la trasmissione degli atti non già al P.M. ma al giudice di primo
grado, poiché tale norma disciplina la differente ipotesi
della nullità ex art. 522, derivante dalla violazione delle regole sulle contestazioni dibattimentali. La terza notazione
riguarda il profilo della ammissibilità del ricorso per cassazione contro il provvedimento che dispone la restituzione degli atti al P.M., anziché, come avrebbe auspicato il ricorrente, pronunciare la assoluzione sul fatto non ritenuto. La Corte ha escluso l’interesse a ricorrere, trattandosi
di ordinanza - quella di rinvio al P.M.- prevista proprio nell’interesse dello stesso imputato oltre che non espressamente soggetta ad impugnazione.
Sentenza n. 40625 del 27 ottobre 2006 - depositata il
12 dicembre 2006
(sezione Quinta Penale, Presidente R. L. Calabrese, Relatore M. S. Di Tommasi)
Impugnazioni - Appello - Rinnovazione dell’istruzione Prove già acquisite e prove nuove
SENTENZA N. 230 UD. 09/11/2006
DEPOSITO del 10/01/2007
Il giudice di appello, ove sia richiesta la riassunzione di una
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prova già acquisita o l’assunzione di una prova nuova, perché nota alle parti nel giudizio di primo grado ma non acquisita, dà luogo alla rinnovazione solo se ritiene di non
essere in grado di decidere allo stato degli atti ed in tale
giudizio deve apprezzare la necessità dell’integrazione anche in relazione alle prospettive di riforma della sentenza
impugnata ed alla idoneità della stessa a giustificare un ragionevole dubbio sulla colpevolezza; ove invece sia richiesta l’assunzione di una prova nuova sopravvenuta o
scoperta dopo il giudizio di primo grado, ne valuta la mera utilità, fuori dei casi di prova dichiarativa nei procedimenti per taluno dei delitti di cui all’art. 51 comma 3 bis
c.p.p., non essendo indispensabile per l’assunzione della
prova che essa si prospetti come decisiva.
Sentenza n. 230 del 9 novembre 2006 - depositata il 10
gennaio 2007 (sezione Terza Penale, Presidente C. Vitalone, Relatore C. Petti)
Impugnazioni - Cassazione - Sentenza di condanna
- Vizio di motivazione - Prescrizione del reato - Effetti
SENTENZA N. 9399 UD. 05/02/2007
DEPOSITO del 06/03/2007
La Corte di cassazione, nonostante l’esistenza di un vizio
di motivazione che condurrebbe all’annullamento con
rinvio, pronuncia l’annullamento senza rinvio ai fini penali dell’impugnata sentenza di condanna se rileva l’estinzione del reato per prescrizione, e dispone il rinvio innanzi al giudice civile per la pronuncia sui capi civili della sentenza con attribuzione a quest’ultimo, in ragione del
difetto di motivazione pur subordinatamente rilevato,
della cognizione sia sull’an che sul quantum della pretesa alle restituzioni o al risarcimento dei danni.
Sentenza n. 9399 del 5 febbraio 2007 - depositata il 6 marzo 2007 (sezione Quinta Penale, Presidente D. Nardi,
Relatore M. Fumo)
Impugnazioni - Revisione - Revisione "parziale"
- Sentenza di condanna per reato continuato - Condizioni
SENTENZA N. 40685 UD. 30/10/2006
DEPOSITO del 13/12/2006
La Corte ha affermato che, nel caso di sentenza di condanna per una pluralità di reati, unificati quoad poenam ai
sensi dell’art. 81 c.p., ma ontologicamente diversi, è ammissibile la revisione “parziale”, quando le "nuove" prove dedotte comporterebbero una decisione di proscioglimento in ordine ad almeno uno dei capi della condanna. La Corte ha invero chiarito che tale ipotesi va tenuta distinta da quella oggetto di un precedente arresto
(Cass. VI, n. 2626, 31 maggio 1994 - 13 settembre 1994,
Nastasia, Ced Cass. n. 199442), nel quale è stata esclusa la revisione parziale in presenza di una condanna per
reato continuato.
In tale caso, si trattava di una eguale condotta di peculato reiterata nel tempo e la revisione avrebbe soltanto
portato ad un’attenuazione del reato per il quale era stata riportata condanna, non coinvolgendo l'illiceità del
fatto.
Sentenza n. 40685 del 30 ottobre 2006 - depositata il
13 dicembre 2006 (sezione Sesta Penale, Presidente L.
Sansone, Relatore G. Ambrosini)
Impugnazioni - Ricorso straordinario
- Sentenza in materia di estradizione
- Impugnabilità - Esclusione
SENTENZA N. 7946 UD. 09/02/2007
DEPOSITO del 26/02/2007
Il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, che
è strumento previsto soltanto in favore del condannato,
non può essere proposto nei confronti della sentenza della Corte di Cassazione che rigetti il ricorso avverso la decisione di accoglimento di una richiesta di estradizione, dal
momento che il procedimento di estradizione è strutturalmente inidoneo alla compromissione dei beni primari,
quali la libertà personale, colpiti da una sentenza di condanna con l’inflizione di una pena.
Sentenza n. 7946 del 9 febbraio 2007 - depositata il
26 febbraio 2007 (sezione Seconda Penale, Presidente
A. Morgigni , Relatore M. Renzo)
Indagini preliminari - Richiesta di archiviazione
- Reato ambientale - Associazione ambientalista
- Diritto all’avviso - Limiti
SENTENZA N. 554 UD. 14/11/2006
DEPOSITO del 15/01/2007
Le associazioni ambientaliste portatrici di interessi superindividuali possono intervenire nei procedimenti per
reati di danno ambientale, con poteri identici a quelli della persona offesa, della quale è però necessario il costante
consenso come requisito della loro legittimazione processuale, sicché, ove questo manchi, l’avviso circa la richiesta di archiviazione non è dovuto.
Sentenza n. 554 del 14 novevbre 2006 - depositata il
15 gennaio 2007 (sezione Terza Penale, Presidente E.
Papa, Relatore C. Squassoni)
Indagini preliminari - Richiesta archiviazione - Rigetto
- Ulteriori indagini - Contestuale fissazione udienza
e indicazione modalità atti di indagine - Abnormità
SENTENZA N. 37994 UD. 13/07/2006
DEPOSITO del 20/11/2006
La Corte conferma il principio espresso da Sez. un., 31
maggio 2005, n, 22909, P.M. in proc. Minervini e dichiara così l’abnormità del provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, rigettando la richiesta di
archiviazione con l’indicazione della necessità di ulteriori
indagini, ha fissato contestualmente la data dell’udienza
per il prosieguo. Estende poi la valutazione di abnormità
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alla parte del provvedimento in cui il giudice per le indagini preliminari ha dettato le modalità di espletamento della sollecitata consulenza tecnica, perché, così operando, ha
posto un vincolo ai poteri del pubblico ministero di indirizzo e gestione delle indagini.
Sentenza n. 37994 del 13/07/2006 - depositata il
20/11/2006 (sezione Quarta Penale, Presidente L. Marini, Relatore G. Foti)
Investigazione - Opposizione Inammissibilità per irrilevanza
CASSAZIONE - SEZIONE QUINTA PENALE (CC)
- SENTENZA 8 FEBBRAIO -16 MARZO 2007 N. 11524
Presidente Pizzuti - Relatore Rotella
Il termine “investigazione” significa inequivocabilmente
“ricerca” tesa alla scoperta di quanto è ignoto. Perciò definisce l’attività che consentirebbe di dare fondamento
storico alla notizia. Pertanto l’opposizione deve servire a
superare la valutazione in ipotesi provvisoria di infondatezza della notizia di reato. Ne segue che il giudice, arbitro in materia, può ritenere inutile la sua proposizione
quando l’oggetto dell’investigazione, su cui s’incentra la
valutazione d’infondatezza della notizia, è già noto. A
questo punto è evidente che il giudice può ritenere inammissibile l’opposizione se “l’oggetto dell’investigazione
suppletiva è irrilevante”, non si riferisce affatto alla valutazione preventiva di potenziale idoneità alla scoperta di
quanto è rimasto decisivamente ignoto nel corso delle indagini e perciò non concerne la locuzione indicazione dei
relativi elementi di prova.
Misure cautelari custodiali art 304 cpp
Cassazione - Sezione seconda penale (cc)
- SENTENZA 30 GENNAIO - 27 FEBBRAIO 2007, N. 8358
Presidente Di Iorio - Relatore Bernabai
Il principio della necessità dell’integrazione del contraddittorio tra le parti ai fini della sospensione dei termini
di custodia cautelare non si applicano alla fattispecie di
cui al primo comma dell’articolo 304 codice di rito, caratterizzata dalla assenza di margini discrezionali per la
sospensione. Vi rientra, in particolare, l’evenienza in esame, della fissazione di un termine superiore a quello ordinario per la redazione della sentenza motivata (articolo
304, primo comma, lettera c).
Misure cautelari - Custodia cautelare Termini di durata massima - Determinazione
della pena prevista per il reato
- Circostanza attenuante ad effetto speciale
- Incidenza - Condizioni
SENTENZA N. 32636 UD. 19/09/2006
DEPOSITO del 02/10/2006
La Corte ha ribadito l’orientamento, secondo cui è pregiudiziale, ai fini della considerazione della circostanza at-
tenuante ad effetto speciale agli effetti dell’art. 303 c.p.p.,
che la stessa figuri ab initio nel fatto contestato dal P.M.
ovvero sia riconosciuta come sussistente dal giudice per le
indagini preliminari, in sede di applicazione della misura
coercitiva o successivamente dal tribunale della libertà, in
sede di riesame o di appello, nell'ambito del rispettivo potere di qualificazione giuridica del fatto. Nel caso di specie, nel quale nessuna delle citate condizioni era presente,
la Corte ha ritenuto tra l’altro irrilevante che la circostanza attenuante invocata dal ricorrente fosse stata concessa
al coimputato giudicato separatamente. Invero, tale riconoscimento, ha precisato la Corte, non poteva spiegare alcun effetto automatico nel suddetto processo, senza una
specifica valutazione da parte del giudice di merito.
Sentenza n. 32636 del 19/09/2006 - depositata il
02/10/2006 (sezione Sesta Penale, Presidente G. De Roberto, Relatore G. Fidelbo)
Misure Cautelari personali 294 C.p.p. Co 1Cpp durata
della custodia cautelare termini processuali 172 Cpp
Cassazione - Sezione sesta penale
- SENTENZA 5 MARZO - 14 MARZO, N. 10863
Presidente Sansone - Relatore De Roberto
Il termine di cinque giorni previsto dall’articolo 294, comma 1, Cpp, non attiene alla durata della custodia cautelare, ma all’attività del giudice, e si atteggia, perciò, come
un normale termine processuale al quale si applica la regola generale dell’articolo 172, comma 4, Cpp, secondo
la quale non si computa il giorno iniziale di decorrenza, e
cioè il giorno in cui è iniziata l’esecuzione della custodia.
Quando il quinto giorno dalla privazione della libertà cade in un giorno festivo, l’interrogatorio dell’indagato in stato di custodia cautelare può legittimamente svolgersi nel
giorno successivo non festivo, essendo in tale ipotesi applicabile la regola generale di cui all’articolo 172, commi
3 e 4, Cpp, secondo cui non si computano l’ora e il giorno in cui è iniziata la decorrenza del termine il quale, se
stabilito a giorni e scadente in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno successivo non festivo; ribadendosi che né l’articolo 294 Cpp, che fissa il termine di cinque giorni per il suddetto incombente, apporta alla disciplina deroghe di sorta, le quali, in ogni caso, secondo il
disposto del comma 4 dell’articolo 172, potrebbero riguardare esclusivamente i criteri di individuazione del momento iniziale della decorrenza e non quello finale.
Misure cautelari- personali - Preclusioni- Condizioni
SENTENZA N. 5701 UD. 15/01/2007
DEPOSITO del 09/02/2007
La Sez. V affronta in modo articolato il tema della reiterabilità dei provvedimenti restrittivi della libertà personale,
per uno stesso fatto, nei confronti del medesimo soggetto.
Fatta salva l’ipotesi di reiterazione della ordinanza quando
la precedente è rimasta in vigore - dato che per le misure cau-
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telari non opera il divieto del “ne bis in idem” -, viene analizzato il profilo della reiterabilità della misura quando la precedente si sia estinta per annullamento o revoca. La Corte
distingue l’ipotesi in cui la prima ordinanza de libertate sia
carente dei requisiti di validità prescritti dall’art. 292 c.p.p.,
da quella in cui sia mancante, invece, dei presupposti edittali (art. 280 c.p.p.), indiziari (art. 273 c.p.p.) o cautelari (art.
274 c.p.p.). Nel primo caso, la carenza deve essere dedotta,
con la conseguenza che se essa non viene dedotta, anche per
mancata proposizione del riesame, oppure non viene riconosciuta in sede di impugnazione cautelare, si forma una preclusione all’ulteriore proposizione con la procedura incidentale della questione relativa al difetto dei requisiti di validità prescritti dall’art. 292 c.p.p.. E viceversa, se è riconosciuta, non è preclusa la nuova edizione della misura, emendata delle mancanze rilevate. Nel secondo caso, invece, la
preclusione derivante dal c.d. giudicato cautelare si determina
solo in relazione alle questioni effettivamente dedotte. La
Corte aggiunge che, comunque, in presenza di una decisione sul merito di una di tali questioni, non è inibito all’indagato di reiterare istanze di revoca della misura, le quali, pertanto, non possono essere dichiarate inammissibili ma solo
dare luogo, se del caso, a provvedimenti motivati per relationem con riferimento alla ordinanza che ha già deciso la
medesima questione.
Sentenza n. 5701 del 15 gennaio 2007 - depositata il
9 febbraio 2007 (sezione Quinta Penale, Presidente D.
Nardi, Relatore A. Nappi)
Misure cautelari - Procedimenti diversi
- Pluralità di ordinanze - Fatti diversi non connessi
- Retrodatazione dei termini di custodia - Condizioni
SENTENZA N. 14535 UD. 19/12/2006
DEPOSITO del 10/04/2007
Le Sezioni unite, in continuità con quanto già affermato
nella sentenza Rahulia del 22 marzo 2005, ed in considerazione di quanto statuito dalla Corte costituzionale con
la pronuncia n. 408 del 2005, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 297, comma 3, c.p.p., per la parte in cui
non si applica a fatti diversi non connessi in caso di desumibilità, al momento dell’emissione della prima ordinanza, degli elementi per emettere la successiva, hanno precisato che nell’ipotesi in cui in diversi procedimenti sono
emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi, non legati da connessione qualificata, e gli elementi posti a fondamento della seconda ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini
di custodia cautelare della seconda ordinanza decorrono
dal momento in cui è stata eseguita o notificata la prima,
se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto
di una scelta del pubblico ministero.
Sentenza n. 14535 del 19 dicembre 2006 - depositata
il 10 aprile 2007 (sezioni Unite Penali, Presidente V.
Carbone , Relatore G. Lattanzi)
Misure cautelari personali - Scarcerazione
per decorrenza dei termini - Sentenza di condanna
- Ripristino
SENTENZA N. 9857 UD. 16/01/2007
DEPOSITO del 08/03/2007
In ipotesi di ripristino della custodia cautelare in carcere
contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna, ai sensi dell'art. 307, comma secondo, lett. b),
c.p.p., il giudice non é tenuto a espletare l'interrogatorio
di garanzia previsto dall'art. 294 c.p.p, in quanto l'adozione del provvedimento limitativo della libertà personale
si fonda sul complesso delle risultanze probatorie formate
ed acquisite nel contraddittorio fra le parti e in ordine alle quali è stata, quindi, assicurata la pienezza ed effettività del diritto di difesa.
Sentenza n. 9857 del 16 gennaio 2007 - depositata l'8
marzo 2007 (sezione Prima Penale, Presidente G. Fabbri, Relatore M. Cassano)
Misure cautelari - Reali - Sequestro preventivo
- Profitto del reato per equivalente - Estensione
nei confronti del concorrente
SENTENZA N. 31989 UD. 14/06/2006
DEPOSITO del 27/09/2006
In un procedimento per il reato di truffa aggravata per il
conseguimento di erogazioni pubbliche commesso in concorso da una società a r. l. e da una persona fisica, che in
favore della società aveva prestato attività di consulenza
professionale, la Corte, dopo aver precisato che l’ente non
può certo dirsi estraneo al reato ed ha invece un titolo
autonomo di responsabilità, ha statuito il principio secondo cui il sequestro preventivo preordinato alla confisca di beni per un valore equivalente al profitto del reato può essere emesso nei confronti della persona fisica
concorrente, pur se il profitto sia stato interamente acquisito dalla società. Non v’è infatti sussidiarietà nella
confisca della responsabilità della persona fisica autore
del reato e vige invece, data la natura sanzionatoria della confisca per equivalente, il principio solidaristico secondo cui l’intera azione delittuosa e l’effetto conseguente
sono imputati a ciascun concorrente.
Sentenza n. 31989 del 14/06/2006 - depositata il
27/09/2006 (sezione Seconda Penale, Presidente F.
Morelli, Relatore F. Fiandanese)
Misure di sicurezza - Confisca per equivalente
- Condizioni di applicabilità - Decisione-quadro
del consiglio dell’unione europea
SENTENZA N. 10838 UD. 20/12/2006
DEPOSITO del 14/03/2007
È da escludere che la confisca per equivalente prevista dall'art. 322 ter c.p. ed il sequestro preventivo ad essa finalizzato postulino l'esistenza di un nesso di pertinenzialità tra i beni da confiscare ed il reato addebitato al sog-
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getto che ne dispone, disattendendo così la tesi difensiva, che mirava a trarre argomenti in senso contrario dalla Decisione-quadro del Consiglio dell’Unione europea n.
2005/212/GAI del 24 febbraio 2005 relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato. Secondo la
Corte, con tale decisione l’Unione europea ha inteso imporre una disciplina “minima uniforme” in funzione della repressione di reati ritenuti di particolare allarme sociale e nocività economica e non restringere i limiti di applicabilità dell'istituto in discorso.
Sentenza n. 10838 del 20 dicembre 2006 - depositata il 14 marzo 2007 (sezione Seconda Penale, Presidente A. Esposito, Relatore R. Bernabai)
Nullità a regime intermedio - Interrogatorio
di garanzia- Cassazione - Sezione seconda penale (cc)
- SENTENZA 14-23 FEBBRAIO 2007, N. 7729
Presidente Cosentino - Relatore Morgigni
Nell’ipotesi in cui l’indagato sia assistito da due difensori di fiducia e l’avviso dell’udienza fissata per l’interrogatorio di garanzia sia dato ad uno solo di essi, si verifica una nullità a regime intermedio, che determina l’inefficacia della misura cautelare personale. Se, però, l’indagato o il difensore presente non deduca tale nullità prima dell’espletamento dell’atto, la nullità predetta è sanata,
ai sensi dell’articolo 182 Cpp.
Ordinanza della Corte Costituzionale
n. 43 del 20 febbraio 2007
Presidente F. Bile - Relatore G. Tesauro
Processo penale - Giudice di pace - Ricorso immediato parere contrario del p.m. - decreto di convocazione delle parti - obbligatorietà - esclusione
Il giudice di pace di Roma, adìto con ricorso immediato
dalla persona offesa dal reato a norma dell’art. 21 del d.
lgs n. 274 del 2000 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’art. 14 della legge
24 novembre 1999, n. 468), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 Cost.,
dell’art. 27, commi 1 e 3, lettera d), del citato d. lgs. N.
274, nella parte in cui non consente al giudice di ordinare la formulazione dell’imputazione al p.m. che sia rimasto inerte o abbia espresso parere contrario alla citazione a giudizio della persona cui è attribuito l’addebito
nel ricorso immediato. Ad avviso del rimettente, la norma impugnata determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento ai danni “dell’indagato che vede vagliata la sua posizione da una parte portatrice di interessi, quale è quella ricorrente, rispetto all’imputato nei cui
confronti viene emesso atto di citazione a giudizio della
polizia giudiziaria dopo che il p.m., parte estranea a qualsiasi rapporto di natura personale, ha esercitato l’azione
penale formulando l’imputazione”.
Il giudice a quo muove presupposto di non poter fare al-
tro, a fronte della opposizione del p.m. alla citazione a
giudizio, da lui non condivisa, che emettere il decreto di
convocazione delle parti, recependo l’addebito descritto
dalla persona offesa.
La Corte costituzionale richiama, invece, la giurisprudenza di legittimità che ha prospettato, in via interpretativa, per detta ipotesi, la opzione, diversa da quella fatta propria del rimettente, e compatibile con i parametri
costituzionali evocati, della trasmissione degli atti al p.m.
affinché questi possa procedere nelle forme ordinarie (v.
Cass., sez. IV pen. 27 maggio 2004, n. 33675; sez. V pen.,
25 ottobre 2005, n. 12; sez. V pen., 17 gennaio 2006, n.
20559). Inoltre, rileva il giudice delle leggi, l’art. 17, comma 4, dello stesso d.lgs. n. 274 del 2000 consente comunque al giudice di pace di ordinare la formulazione della imputazione al p.m. che, dopo la trasmissione degli atti da parte del giudice, abbia avanzato richiesta di archiviazione. La Corte ha, perciò, dichiarato la questione
manifestamente inammissibile, per non essersi il giudice
a quo conformato al canone della esplorazione delle possibilità di interpretazione della norma in questione secundum Costitutionem.
Pena - Cause di estinzione - Liberazione condizionale
- Ravvedimento - Nozione
SENTENZA N. 18022 UD. 24/04/2007
DEPOSITO del 10/05/2007
L’accertamento del “sicuro ravvedimento” del condannato a pena detentiva, necessario per la concessione della liberazione condizionale, non implica opinabili indagini di tipo soggettivistico volte ad apprezzare l’avvenuta modificazione, ideologica o psicologica, della personalità, ma deve muovere dall’osservazione dei concreti
comportamenti tenuti durante l’esecuzione della pena, da
cui possa desumersi la compiuta revisione critica delle scelte criminali di vita anteatta, e sulla cui base possa formularsi, in termini di certezza o di elevata probabilità, un
giudizio prognostico di reinserimento nel tessuto sociale
e di non recidivanza. La Corte ha anche precisato che la
sospensione dell’esecuzione della parte residua di pena è
comunque risolutivamente condizionata all’osservanza
delle regole di condotta poste con il provvedimento atipico di libertà vigilata, che accompagna obbligatoriamente la concessione della liberazione condizionale.
Sentenza n. 18022 del 24 aprile 2007 - depositata il
10 maggio 2007 (sezione Prima Penale, Presidente T.
Gemelli, Relatore G. Canzio)
Procedimenti speciali - Decreto penale - Opposizione
- Richiesta di abbreviato condizionato
- Omessa indicazione attivita’ integrativa - Effetti
SENTENZA N 9355 UD. 08/02/2007
DEPOSITO del 06/03/2007
La richiesta di giudizio abbreviato condizionato, priva del-
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l’indicazione delle attività di integrazione probatoria ritenute necessarie ma comunque tempestivamente proposta a seguito della notificazione del decreto penale di
condanna, non può essere dichiarata de plano inammissibile, sì da giustificare la dichiarazione di inammissibilità dell’atto di opposizione con conseguente esecutività
del decreto penale, dovendo il giudice provvedere alla fissazione dell’udienza prevista dall’art. 464, comma 1,
c.p.p. per poi valutare nel contraddittorio tra le parti la
meritevolezza della richiesta.
Sentenza n. 9355 del 08/02/2007 - depositata il
06/03/2007 (sezione Quinta Penale, Presidente G.
Pizzuti, Relatore M.S. Di Tommasi)
Procedimenti speciali - Giudizio abbreviato condizionato
- Revoca - Esclusione
SENTENZA N. 15117 UD. 02/04/2007
DEPOSITO del 13/04/2007
Il giudice, dopo aver ammesso il giudizio abbreviato condizionato, non ha il potere di revocare l’ordinanza di
ammissione, pur nel caso in cui l’integrazione probatoria non possa avere luogo per circostanze imprevedibili
e sopraggiunte.
Sentenza n. 15117 del 2 aprile 2007 - depositata il 13
aprile 2007 (sezione Seconda Penale, Presidente G.M.
Cosentino, Relatore M. Renzo)
Procedimenti speciali - Patteggiamento - Sentenza
- Revisione - Nozione di prove nuove - Regola di giudizio
SENTENZA N. 8957 UD. 04/12/2006
DEPOSITO del 01/03/2007
La revisione della sentenza di patteggiamento, richiesta
per la sopravvenienza o la scoperta di nuove prove, implica il riferimento alla regola di giudizio dell'assenza
delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 cod.
proc. pen., sicché deve trovare fondamento in elementi
tali da dimostrare che l'interessato deve essere prosciolto per la ricorrenza di una delle cause che danno luogo
all'immediata declaratoria di non punibilità.(La Corte ha
precisato che, in ragione di un'inconciliabilità logica con
le caratteristiche dell'accertamento nell'applicazione di pena concordata, nella nozione di prove nuove non possono essere ricomprese le prove "non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente", che invece rilevano per la revisione
delle ordinarie sentenze di condanna.)
La sentenza è stata massimata, per la visualizzazione
della massima e del testo integrale della sentenza consultare la banca dati Italgiure-Web
Processo penale
- Decreto di citazione a giudizio
previa emissione del decreto di irreperibilità
Sospensione obbligatoria del processo
Mancata previsione
SENTENZA N. 117 DEL 05/04/2007
La Corte ha dichiarato non fondata, in riferimento agli
artt. 3, 10, primo comma, 97, primo comma e 111, secondo, terzo e quarto comma della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 159, 160,
420-quater, comma 1, e 484 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono la sospensione obbligatoria del processo nei confronti degli imputati ai
quali il decreto di citazione a giudizio sia stato notificato previa emissione del decreto di irreperibilità.
Sentenza della Corte Costituzionale n. 117 del 5 aprile
2007 (Presidente F. Bile - Relatore F. Amirante)
Processo penale - Segreto di stato
- Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
- Ammissibilità del conflitto
ORDINANZA N. 125 DEL 18/04/2007
Con l’ordinanza n. 124, la Corte ha - in sede di prima
delibazione - dichiarato ammissibile il conflitto di attribuzione proposto dal Presidente del Consiglio dei
ministri - deducendo la violazione degli artt. 1, 5, 52,
87, 94, 95 e 126 della Costituzione, in relazione agli artt.
12 e 16 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, ed agli artt.
202, 256 e 362 cod. proc. pen. - per sentir dichiarare
che "non spetta al Pubblico Ministero in persona del
Procuratore della Repubblica di Milano e dei suoi sostituti" procedere nelle indagini utilizzando documenti coperti da segreto di Stato ed allegare tali documenti alla richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili del sequestro di persona ai danni di Abu Omar; svolgere attività di indagine - nella specie, di intercettazioni telefoniche e di interrogatori di indagati - le cui specifiche modalità risultino lesive del segreto opposto dal Presidente del Consiglio dei ministri;
nonché procedere ad incidente probatorio al fine di accertare circostanze anch’esse oggetto di secretazione: con
il conseguente annullamento degli atti di indagine e della "richiesta di rinvio a giudizio (anche) su di essi basata".
Con la coeva ordinanza n. 125, la Corte - sempre in sede di prima delibazione - ha dichiarato ammissibile il
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto
dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti
del Giudice per le indagini preliminari, in funzione di
giudice dell’udienza preliminare, presso il Tribunale di
Milano, in relazione al decreto di rinvio a giudizio emesso il 16.2.2007 su richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica di Milano, nei confronti di funzionari del SISMI, tra cui il suo Direttore, di agenti di
un servizio straniero e di altri, in quanto adottato "sulla base (anche) di documentazione secretata e di altre
fonti di prova acquisite in violazione del segreto di Stato che accompagnavano la richiesta di rinvio a giudi-
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zio", così esercitando la funzione giurisdizionale in materia sottratta alla competenza dell’autorità giudiziaria.
Ordinanza della Corte Costituzionale n. 125 del 18
aprile 2007
(Presidente F. Bile - Relatore G.M. Flick)
Prove - Mezzi di ricerca della prova - Intercettazioni
di conversazioni - Utilizzazione di impianti diversi
da quelli della procura - Decreto del P.M. - Motivazione
- "Insufficienza" degli impianti
SENTENZA N 40668 UD. 26/09/2006
DEPOSITO del 13/12/2006
Muovendo dal principio enunciato dalle Sezioni unite con
la sentenza n. 919 del 26 novembre 2003, Gatto, Ced Cass.
n. 226487 - secondo cui, ai fini della legittimità del decreto del pubblico ministero che dispone, a norma dell'art.
268, comma 3, ult. parte, c.p.p., il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria, la motivazione relativa alla
insufficienza o alla inidoneità de li impianti della procura della Repubblica deve anche specificare la ragione della insufficienza o della inidoneità, sia pure mediante una
indicazione sintetica, purché questa non si traduca nella
mera riproduzione del testo di legge, ma dia conto del fatto storico, ricadente nell'ambito dei poteri di cognizione
del P.M., che ha dato causa ad essa - la Corte ha chiarito
che il livello di specificazione concreta della suddetta motivazione può variare a seconda che si tratti di giustificare il presupposto della insufficienza o della inidoneità. Invero, mentre quest’ultimo può richiedere uno sforzo giustificativo maggiore - potendo tale situazione dipendere
da una molteplicità di cause (quali ragioni tecniche riguardanti gli impianti, valutazioni afferenti la tipologia di
indagine in corso, ecc.) - il presupposto dell’insufficienza
necessiterebbe invece di un livello di specificazione più basso, non potendo che concernerne il rapporto tra la disponibilità degli impianti e le richieste di intercettazioni, riferendosi cioè ad una situazione di mancanza, ristrettezza e scarsità dei mezzi. In altri termini, la motivazione su
tale punto, più che di giustificazione, dovrebbe - secondo
la Corte - sostanziarsi in una attività di mera attività di
attestazione. Nella specie, la Corte ha così ritenuto correttamente motivato il decreto del p.m., fondato sulla “indisponibilità” delle linee presso la procura.
Sentenza n. 40668 del 26/09/2006 - depositata il
13/12/2006 (Sezione Sesta Penale, Presidente L. Sansone, Relatore G. Fidelbo)
Rapporti giurisdizionali con autorità straniere
- Mandato di arresto europeo - Presupposti - Garanzie
costituzionali attinenti al “giusto processo” - nozione
SENTENZA N. 17632 UD. 03/05/2007
DEPOSITO del 08/05/2007
La Corte ha chiarito che i “principi e le regole” conte-
nuti nella Costituzione della Repubblica attinenti al “giusto processo”, il cui rispetto è condizione imposta dall’art.
2, comma 1, lett. b) della legge n. 69 del 2005 per l’esecuzione del mandato d'arresto europeo, sono quelli definiti dalle Carte sovranazionali ed in particolare dall’art. 6 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo,
al quale si richiama il novellato art. 111 Cost.
Nella fattispecie, la Corte ha rigettato il motivo di ricorso, nel quale il ricorrente si doleva che la sentenza di condanna emessa dalle autorità giudiziarie tedesche, per la
cui esecuzione era stata chiesta la sua consegna, aveva violato i principi dell’oralità e del contraddittorio, in quanto aveva fondato il giudizio di responsabilità sulla deposizione di un ufficiale di polizia giudiziaria, che aveva riferito di dichiarazioni rese da un testimone che in dibattimento si era avvalso della facoltà di non rispondere.
Sentenza n. 17632 del 3 maggio 2007 - depositata l'8
maggio 2007 (sezione Sesta Penale, Presidente G. De
Roberto, Relatore G. Conti)
Reati militari - Istigazione a disobbedire alle leggi
SENTENZA N. 15895 UD 30/03/2007
DEPOSITO del 19/04/2007
- Elementi costitutivi di istigazione di militari a disobbedire alle leggi, previsto dall’art. 213, comma 1 e 47 n. 2
c.p.m.p., in relazione all’art. 266, commi 1, 2 e 4 n. 2 c.p.,
sussiste solo quando la condotta è rivolta a più militari
e non invece quando riguarda un solo militare, sulla base del tenore letterale della norma, che differenziandosi
da altre fattispecie, quali ad esempio l’istigazione a delinquere prevista dall’art. 212 c.p.m.p., parla di istigazione
“verso militari” e non di istigazione “ verso uno o più
militari”.
Sentenza n. 15895 del 30 marzo 2006 - depositata il
19 aprile 2006 (sezione Prima Penale, Presidente G.
Silvestri, Relatore E.G. Gironi)
Responsabilità della P.A. per i danni subiti dall’utente di
bene demaniale. Commento sentenza Cassazione civile,
30 novembre 2006 - 8 marzo 2007, n. 5308
CASSAZIONE CIVILE, 30 NOVEMBRE 2006 - 8 MARZO 2007, N. 5308.
Presidente Duva, Relatore Segreto
Pm Marinelli - Ricorrente Salonia - Controricorrente Comune di Genova
La presunzione di responsabilità per danni da cose in custodia, di cui all'art. 2051 c.c. non si applica agli enti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni demaniali (nella fattispecie: del demanio stradale) ogni qual volta sul
bene demaniale, per le sue caratteristiche, non sia possibile esercitare la custodia, intesa quale potere di fatto sulla stessa. L'estensione del bene demaniale e l'utilizzazione generale e diretta dello stesso da parte di terzi, sono
solo figure sintomatiche dell'impossibilità della custodia
da parte della P.A., mentre elemento sintomatico della pos-
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sibilità di custodia del bene del demanio stradale comunale è che la strada, dal cui difetto di manutenzione è stato causato un danno, si trovi nel perimetro urbano delimitato dallo stesso Comune, pur dovendo dette circostanze, proprio
perchè solo sintomatiche, essere sottoposte al vaglio in concreto da parte del giudice di merito. Ove non sia applicabile la disciplina della responsabilità ex articolo 2051 Cc, per
l’impossibilità in concreto dell’effettiva custodia del bene demaniale, l’ente pubblico risponde dei danni da detti beni, subiti dall’utente, secondo la regola generale dettata dall’articolo 2043 Cc, nel quale caso graverà sul danneggiato l’onore della prova del comportamento colposo della p.a. di
cui le figure dell’insidia o del trabocchetto, sono solo elementi
sintomatici, ma non escludono altre ipotesi di responsabilità colposa. Tanto in ipotesi di responsabilità oggettiva della P.A. ex articolo 2051 Cc, quanto in ipotesi di responsabilità della stessa ex articolo 2043 Cc, il comportamento colposo del soggetto danneggiato nell’uso di bene demaniale
(cge sussiste anche quando egli abbia usato il bene demaniale senza la normale diligenza o con l’affidamento soggettivo anomalo) esclude la responsabilità della p.a. se tale
comportamento è idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, integrando, altrimenti, un concorso di colpa al sensi dell’articolo 1227 Cc
primo comma, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in proporzione all’incidenza causale del comportamento del danneggiato.
Retroattività delle sentenze della Consulta nel caso
di incostituzionalita di una norma processuale
Cassazione - Sezione terza penale
- ORDINANZA 15 - 27 FEBBRAIO 2007, N. 8080
Presidente Lupo - Relatore Squassoni
L’efficacia retroattiva della sentenze della Consulta vale
anche nel caso di incostituzionalità di una norma processuale con l’eccezione per quei rapporti per i quali si sono formate situazioni consolidate (nell’ipotesi in esame,
non si è esaurita la fase dell’impugnazione, che si conclude
con la decisione sul gravame, per cui la fattispecie subisce
l’influenza del giudicato costituzionale; che il ricorso proposto dal Procuratore Generale non può ritenersi immediato in Cassazione, a sensi dell’articolo 569 Cpp dal momento che contiene censure in ordine alla valutazione
delle prove; che, pertanto, l’impugnazione va qualificata
come appello, in applicazione della regola contenuta nell’articolo 568, comma 5, Cpp, e gi atti trasmessi alla Corte territoriale di Salerno per l’ulteriore corso di giustizia).
Ripristino dell’appellabilità della sentenza di proscioglimento da parte del pm
Cassazione - Sezione terza penale
- SENTENZA 15-27 FEBBRAIO 2007, N. 8081
Presidente Lupo - Relatore De Maio
La pronunzia 26/2007 della Corte costituzionale ha ri-
pristinato la normale appellabilità della sentenza di proscioglimento da parte del Pm (escluse quelle di condanna
alla sola pena dell’ammenda). Questo effetto, applicato
ai processi che, essendo pendenti davanti a questa Corte,
non possono considerarsi definiti, comporta che vada annullata l’ordinanza di inammissibilità dell’appello originariamente proposto dal Pm. Detta ordinanza è stata prevista dall’articolo 10, comma 2, della legge 46/2006, con
riferimento agli appelli proposti anteriormente alla sua entrata in vigore, e proprio tale dichiarazione di inammissibilità è stata ritenuta incostituzionale dalla sentenza
26/2007. Essa, infatti, costituirebbe un ostacolo all’instaurazione del giudizio di appello che la Corte costituzionale ha inteso conservare, ostacolo dichiarato espressamente incostituzionale.
Sequestro di beni appartenenti a terzi
Cassazione - Sezione seconda penale
- SENTENZA 8 FEBBRAIO - 7 MARZO, N. 9757
Presidente Rizzo Relatore Cardella
L’appartenenza del bene, oggetto di sequestro, ad un terzo non esclude che il bene stesso conservi la sua relazione col reato e che continuino a sussistere le esigenze cautelari, poste a fondamento della misura cautelare. In tal
caso bisogna illustrare, in positivo, le ragioni che farebbero ritenere che, nonostante il bene sequestrato appartenga ad un terzo, ugualmente sussista una relazione col
reato e, soprattutto, le ragioni a sostegno della sussistenza del pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze di reato.
Traduzione degli atti nomina dell’interprete - att 143
cpp. Cassazione - Sezione quinta penale
- SENTENZA 8 FEBBRAIO - 12 FEBBRAIO 2007, N. 10517
Presidente Pizzuti - Relatore Di Tommasi
E’ a rivelare la erroneità della prospettiva dalla quale
muove il ricorrente basterà ricordare come, alla luce dei
principi affermati da Corte cost. sentenze 10/1993 e
341/99, la partecipazione personale dell’imputato al procedimento perché sia effettiva deve essere consapevole: in
specie “nelle fasi che l’ordinamento affida al principio dell’oralità”; “il che comporta la possibilità effettiva sia di
percepire, comprendendone il significa linguistico, le
espressioni orali dell’autorità procedente e degli altri protagonisti del procedimento, sia di esprimersi a sua volta
essendone percepito e compreso. Sicché l’articolo 143,
comma 1, Cpp correttamente configura il ricorso all’interprete non già come un mero strumento tecnico a disposizione del giudice per consentire o facilitare lo scioglimento del processo in presenza di persone che non parlino o non comprendano l’italiano, ma come oggetto di
un diritto individuale dell’imputato, diretto a consentirgli quella partecipazione cosciente al procedimento che,
come si è detto, è parte ineliminabile del diritto di difesa;
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e per questo anche è stata intesa da questa Corte come suscettibile di essere applicata con la massima espansione, in
funzione della sua ratio. Qualunque forma assuma dunque il contatto dell’accusato con il giudice, esso presuppone
che quello sia in grado di comprendere, per essere informato; e di comunicare, per difendersi. “Presentare” l’arrestato al Tribunale non può perciò significare soltanto trasportare alla presenza di un giudice un soggetto incapace
di partecipare consapevolmente all’attività giudiziaria che
deve compiersi in sua presenza.
Valore di prova della testimonianza indiretta
Art. 195 co 2 cpp
CASS. SEZ. III N. 9801 DELL/8/3/2007
La testimonianza indiretta ha valore di prova e non di sem-
plice indizio. Invero, secondo l’articolo 195 Cpp, essa è inutilizzabile solo nella ipotesi in cui, sulla richiesta di una parte, il giudice non chiami a deporre anche il teste diretto. Ma
al di fuori di questa ipotesi, la norma non pone alcuna limitazione al valore probatorio delle testimonianze c.d. indirette. Queste, per conseguenza, devono essere configurate, al pari di ogni altra prova storica, come rappresentazione dello stesso fatto determinato che si assume di voler provare, sia pure soggettivamente mediata attraverso il testimone
indiretto, e non già come prova logica, o indizio, che ha per
oggetto un fatto diverso dal quale si può logicamente dedurre il fatto determinato che deve essere accertato. La valutazione delle testimonianze de relato deve essere condotta con particolare cautela e deve essere supportata da adeguata motivazione. Ma sotto questo profilo nessuna censura
può addebitarsi alla sentenza impugnata.
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Rassegna
di Giurisprudenza di merito
di diritto
e procedura penale
● a cura di Mario Griffo
e Luigia Martino
MEZZI DI PROVA – TESTIMONIANZA – PERSONE IMPUTATE IN UN PROCEDIMENTO CONNESSO O PER REATO COLLEGATO CHE ASSUMONO L’UFFICIO DI TESTIMONE, ART. 197
BIS C.P.P. - Tribunale di Napoli, VI Sezione penale, procedimento penale n 3072/06 R.G. a carico di P.P. + altri
– Verbale Udienza 17 febbraio 2005
L’imputato di un reato collegato ai sensi dell’art. 371,
comma 2 lett. b), nei confronti del quale sia stata pronunciata sentenza di proscioglimento, divenuta irrevocabile, deve essere sentito come testimone con le garanzie di cui all’art. 197 bis, comma 1 e 3 c.p.p. (deve
essere assistito da un difensore ed ha l’obbligo di testimoniare). Non trova applicazione, nel caso di specie, la
norma di cui al quarto comma del citato art. 197 bis, essendo tale norma - che prevede la facoltà di astenersi dal
deporre contro sé - applicabile solo in caso di pregressa
condanna.
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Misure cautelari
impugnazioni,
Art. 310, comma 3 c.p.p.
Libertà personale
●
Secondo un orientamento giurisprudenziale (v. Cass., sez. VI,
28.5.1996 n. 1453, Mastrangelo; sez. II, 18.1.1997, n. 4192,
Ficare), l’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame, a seguito di rinvio della Corte di Cassazione, conferma l’ordinanza custodiale emessa dal G.I.P. ed una prima volta revocata
dal Tribunale, è immediatamente esecutiva e determina il ripristino dello stato di custodia, non estendendosi per analogia
l’effetto sospensivo previsto dall’art. 310 co. 3 c.p.p., anche se
avverso il provvedimento sia presentato ricorso per Cassazione. Peraltro, la Corte di Cassazione, II sezione, con sentenza
del 3.12.1997, Funaro, ha ritenuto “preferibile l’opposto orientamento che si fonda su una interpretazione delle norme… maggiormente aderente ai principi generali del favor libertatis ai
quali si ispira il nuovo codice di procedura penale”. Al riguardo la Corte, ha osservato, richiamando la pronunzia della VI Sezione del 18.10.1995, Chiodo, che “le impugnazioni
contro i provvedimenti in materia di libertà personale, intendendosi per tali sia quelli genetici della misura custodiale sia
quelli confermativi della stessa, sia anche quelli che la negano,
la revocano, l’annullano, non hanno in alcun caso, a norma
dell’art. 588 co. 2 c.p.p., effetto sospensivo, il che significa che,
a differenza di quanto avviene, di regola in tema di impugnazione, conservano la loro esecutività”. Ha inoltre osservato che
“l’art. 310 c.p.p. costituisce eccezione al richiamo principio ed
è disposizione manifestamente orientata nel senso del favor libertatis”. La Corte, pertanto, con riferimento al caso sottoposto
al suo esame, ha sostenuto “che l’esecutività del provvedimento di rimessione in libertà… adottata in sede di riesame…
della misura cautelare del G.I.P. non poteva essere interrotta
dalla nuova pronuncia… sfavorevole all’indagato prima che
la stessa avesse acquistato il carattere della irrevocabilità (art.
628 c.p.p.), sostituendo solo in tal caso quella annullata dalla
Corte di Cassazione e, quindi, determinando una situazione di
definitività destinata a produrre effetti sostanziali sullo “status libertatis”, o nel senso di garantirne l’intangibilità oppure
di far rivivere l’originaria misura coercitiva”.
TRIBUNALE DI NAPOLI
Riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale e
dei sequestri
Dodicesima sezione penale (coll. C)
Il Tribunale, nelle persone dei Magistrati:
Dott.ssa Viviana Anziano Presidente
Dott.ssa Stefania Daniele Giudice (est.)
Dott. Massimo Perrotti Giudice
Ha emesso la seguente
ORDINANZA
Sull’istanza di riesame presentata in data 8.6.2006 nell’interesse
di R. V. avverso l’ordinanza emessa il 3.6.2006 dal G.I.P. del
Tribunale di S. Maria C.V., con la quale veniva disposta nei
confronti dell’istante indagato l’applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere.
A seguito di annullamento con rinvio dell’ordinanza n.
3835/2006, ex art. 309 c.p.p., emessa dal Tribunale del riesame in data 16.6.2006, disposto dalla Corte di Cassazione con
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sentenza n. 1615/2006 resa in data 21.11.2006 (depositata il 15.12.2006);
esaminati gli atti qui ritrasmessi il 3.1.2007, a seguito dell’udienza camerale dell’1.3.2007 ed a scioglimento della riserva espressa a verbale
osserva
- Con ordinanza in data 3-6-2006, il g.i.p. del Tribunale
di S. Maria C.V. convalidava il fermo disposto dal PM
nei confronti di R. V. ed applicava al predetto indagato
la misura della custodia cautelare in carcere per il reato
di concorso in rapina aggravata, anche dall’uso di un’arma, commessa ai danni di T. D. M., titolare della farmacia “S.”, al quale veniva sottratta la somma di euro
2200,00 (Capo A), nonché in relazione al connesso reato in tema di armi (capo B).
Fatti commessi in San Tammaro il 5.5.2006.
Questo Tribunale, in diversa composizione collegiale,
adito con istanza di riesame dalla Difesa del R., annullava
l’ordinanza cautelare ritenendo insussistenti i gravi indizi
di colpevolezza a carico del prevenuto, stante l’assenza di
dati “certezza” in ordine alla identificazione del soggetto
(“E.”) – indicato nei colloqui intercorsi tra lo I. S. (sicuro
responsabile della rapina) e la convivente F. M. – nel R. V.
Su ricorso proposto dal PM presso il Tribunale di S. Maria C.V., la Corte di Cassazione si è pronunciata con sentenza n. 1615/2006 del 21.11.2006 (depositata il
15.12.2006) con la quale, ritenuti fondati i motivi di doglianza evidenziati dalla Pubblica accusa, ha affermato –
disponendo il rinvio al Tribunale di Napoli per nuova valutazione – che il Tribunale del riesame ha indirizzato la sua
attenzione solo sulle conversazioni in cui si parla di “E.”,
ritenendole inidonee alla identificazione di detta persona
con il R. V., omettendo del tutto di valutare il contenuto
delle specifiche intercettazioni avvenute il 24.5.2006, trasfuse nella informativa di PG in pari data, anch’esse relative a colloqui intercorsi tra lo I. e la sua convivente. Tale
omissione, a giudizio della Corte, rendendo del tutto priva di adeguata motivazione l’ordinanza del TdL, imponeva l’annullamento di quest’ultima con rinvio per nuovo
esame.
- All’udienza camerale dell’1.3.2007 – alla quale l’indagato era presente in stato di libertà – il difensore, preliminarmente, depositava varie documentazione (sentenza di condanna emessa nei confronti dello I. S.; certificato di stato di famiglia del R.; verbale in data 5.4.2006,
di sottoposizione del predetto ad altre misure cautelari,
non detentive, disposte nei suoi confronti in relazione
ad altri procedimenti penali; istanza difensiva rivolta al
PM in merito allo svolgimento di specifiche indagini; nota del RIS di Roma sugli esiti di accertamenti tecnici delegati; copia degli atti relativi alle operazioni di perquisizione svolte nei confronti del prevenuto); quindi illustrava brevemente i motivi dell’impugnazione e concludeva per l’annullamento dell’ordinanza coercitiva del
GIP per insussistenza di gravi indizi di colpevolezza,
avanzando istanza, in via gradata, di applicazione della misura degli arresti domiciliari; per quant’altro e per
le eccezioni in diritto richiamava il contenuto della memoria depositata in sede di primo incidente cautelare. Il
Tribunale riservava la decisione.
- Il proposto riesame è parzialmente fondato, va accolto
per quanto di ragione.
Preliminarmente delibando sulle preliminari questioni
in rito svolte dal difensore nella memoria già depositata all’udienza camerale del 16.6.2006 (in questa sede
espressamente richiamata) ne va evidenziata l’infondatezza; in proposito, quanto all’eccezione relativa alla
nullità dell’interrogatorio del R., svoltosi in sede di
udienza di convalida, per violazione dell’art. 293 co. 3
c.p.p. (omesso deposito degli atti prima dello svolgimento dell’atto e mancato avviso al difensore dell’avvenuto deposito), trattasi di questione che afferendo alla efficacia del titolo cautelare e non alla sua validità esula dalle attribuzioni del TdL in sede di riesame, e pertanto va rappresentata al giudice che procede la cui ordinanza è, eventualmente, impugnabile in sede di appello
incidentale ex art. 310 c.p.p.; del pari si sottrae alla valutazione del TdL ex art. 309 c.p.p., il provvedimento
del GIP di convalida del fermo, avverso il quale la legge prevede espressamente la possibilità di esperire ricorso
per cassazione (art. 391 co. 4 c.p.p.):
Quanto al merito, ritiene il Tribunale che gli elementi di
accusa posti a fondamento della gravata ordinanza – da esaminare oggi nuovamente alla luce dei rilievi evidenziati
dalla Suprema Corte di Cassazione – siano pacificamente
idonei a configurare la sussistenza della gravità indiziaria
a carico di R. V., apparendo al Collegio incontestabile, in
base ad una complessiva valutazione delle emergenze processuali, la riferibilità all’odierno prevenuto dei colloqui evidenziati dal PM e dal GIP nonché la valenza indiziaria del
loro specifico contenuto.
Richiamando integralmente, nella presente sede, il provvedimento restrittivo del GIP nonché gli elementi accusatori posti a base del decreto di fermo del PM sammaritano emesso in data 29.5.2006, va unicamente evidenziata
la consistente valenza del contenuto narrativo delle conversazioni intercettate in ambientale fra lo I. S. e la F. M.,
sua convivente, nel corso dei colloqui svoltisi tra i predetti all’interno della casa circondariale di detenzione dello I.
medesimo, in custodia cautelare per la rapina che viene oggi ascritta a titolo di concorso anche al R.
In proposito si osserva che la identificazione dell’“E.”
con il R. V., trova una prima conferma nelle stesse dichiarazioni rese dal R. in sede di interrogatorio al GIP nel corso dell’udienza di convalida del fermo; in particolare, l’indagato ha ammesso di aver avuto contatto con la compagna dello I. per la consegna di alcune magliette destinate
all’amico detenuto, e tanto riscontra più che adeguatamente il tenore della conversazione del 16.5.2006, in cui
vi è l’espresso riferimento a detta circostanza venendo, altresì, affermare la inaffidabilità del predetto “E.” che cer-
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ca apertamente di avere contatti, da solo, con la F., che invita a casa sua alle tre, in orario cui la moglie è al lavoro
(M.: “Ah, mo’un’altra cosa… ma di questo scemo qua non
si deve averne fiducia se dice vicino a me vieni a tale posto
da sola che parliamo”; S.: “E.?”; M.: “eh!” …; S.: “non
darli attenzione”; M.: “perché ieri mi ha dato le maglie”;
S.: “uh!”; M.: “però mi incontrò per strada e disse vicino
a me”; S.: “Le maglie per me ti ha dato?”; M.: “eh!… vieni tu da sola alle tre sopra. Io dissi ma perché devo andare alle tre?”; S.: “perché la moglie sta al lavoro…”). Inoltre lo specifico tenore del prosieguo di detta conversazione, afferente all’assistenza legale che lo I. pretende garantita economicamente anche dal suo complice, rimasto libero (“allora no, no, lascia perdere… un’altra cosa, diglielo
che non si mette a posto con l’avvocato e non provvede a
mettere la sua quota io me lo "canto" sul bene dei figli, non
le ho mai fatte queste cattiverie ma questa è la volta buona”) appare essere in chiaro collegamento anche con la conversazione del 24.5.2006 (posta i particolare evidenza dal
PM ricorrente) in cui la F. commenta con lo I. l’interesse
della PG a conoscere il suo complice, riferendo al suo interlocutore che detto soggetto le aveva contestato di non
essere andata da lui (“che c’è , non sei venuta alle tre a casa? Ma tieni paura di me? O perché la parola che ho detto la gente si fanno i film?”); lo I., pertanto, le suggerisce
di assumere in comportamento di apertura “rottura” nei
confronti di tale persona che manifesta insistenza nell’avere
contatti con la F. (S.: “allora fai una cosa, eh… appena lo
rivedrai, comunque, base principale, non salutarmi più e
non guardarmi neanche più in faccia, adesso ti arriva qualche lettera di T. E poi vediamo dove vuole arrivare; con testuali parole! Hai capito?”; M.: “uh!”; S.: “poi S. scrive a
V. R.”; M.: “uh!”; S.: “nome e cognome, adesso dove vuoi
arrivare… lo devo gonfiare di bo… umh!… la mamma”;
M.: “disse: che fai oggi vieni alle tre? Gli dissi: ma fammi
capire ma che … fammi capire una cosa, ma io alle tre cosa devo venire a fare?).
Nella stessa conversazione M. riferisce poi al suo compagno che O., molto preoccupata, le aveva chiesto se (I.)
“avesse messo in mezzo E.”.
Orbene la lettura congiunta di dette conversazioni e la
consequenziale valutazione del contenuto dei colloqui, rende evidente che l’E. “delle magliette” si identifica con il soggetto che è interessato ad avere contatti personali con la
compagna dello I. (detenuto), e pertanto con il V. R. al quale “T.” intende scrivere, ed altresì con l’“E.” per il quale
O. è preoccupata che sia messo in mezzo.
Né detta ricostruzione, che appare adeguatamente avallata dai passaggi in cui risultano articolati i riferiti colloqui, può ritenersi inficiata dalla circostanza che il nome della moglie dell’indagato istante non corrisponde a quello di
O. (la consorte del prevenuto risulta chiamarsi S. E.) ben
potendo, comunque, trattarsi di altra persona – familiare
o non – preoccupata per le sorti di “E.”.
Sulla scorta di detta identificazione assume, poi, particolare rilevanza anche il comportamento assunto dall’in-
dagato nell’immediatezza dei fatti (rientrato in casa mentre era in atto la perquisizione si dava alla fuga), dallo stesso neppure plausibilmente giustificato.
E’ possibile, pertanto, affermare, con elevata fondatezza, che il R. V. si identifica nel complice dello I. S. (quest’ultimo riconosciuto dalla p.o. come autore della rapina)
nella commissione del delitto sub A), del quale il detenuto
minaccia di operare la chiamata in correità se questi non
provvederà a contribuire, pro quota, alla sua difesa.
La gravità indiziaria, allo stato, va per conto esclusa con
riferimento all’autonoma fattispecie di detenzione e porto
di arma comune da sparo (capo B), non emergendo neppure dalle riferite conversazioni ambientali elementi idonei a comprovare la effettiva natura della pistola, non rinvenuta, che la stessa p.o. non ha saputo meglio precisare
(“l’arma era di colore scuro, di grosse dimensioni, non saprei dire se vera o giocattolo”).
Quanto al profilo cautelare va, poi, del tutto condivisa
la valutazione svolta dal giudice di prime circa l’attualità e
concretezza del pericolo di reiterazione di analoghe condotte
delittuose; in proposito –vanno evidenziate le modalità e
circostanze del fatto (il prevenuto, unitamente al correo –
già condannato in primo grado – ha perpetrato il delitto
all’interno di un esercizio commerciale, facendo uso anche
di un’arma per minacciare i presenti) che appaiono altamente indicative di destrezza e spregiudicatezza nel delinquere; peraltro l’indagato, gravato da un carico per fatto
omogeneo (dal medesimo dichiarato), palesa una personalità anche altamente trasgressiva e, dunque, fortemente
inaffidabile (il R. all’atto della commissione del delitto era
sottoposto, per altro procedimento, alla misura dell’obbligo di presentazione alla PG, essendo anche assoggettato, i
virtù di altro verbale esecutivo del 5.4.2006 redatto dati CC
della Sezione di S. Maria C.V.).
Orbene, tutte tali risultanze rendono concretamente fondato il pericolo che il prevenuto possa commettere ulteriori
reati dello stesso tipo di quelli per cui si procede.
Inoltre, le esposte valutazioni in ordine alla specifica pericolosità del Romano, fanno ritenere la misura imposta unica adeguata, allo stato, alla effettiva salvaguardia delle esigenze di tutela della collettività, apparendo la stessa anche
proporzionata alla gravità del fatto contestato ed alla sanzione irrogabile, esclusa la possibilità che l’istante possa beneficiare della pena sospesa (lo I., in sede di abbreviato, ha
riportato condanna alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 1000,00 di multa).
Né la personalità inaffidabile e trasgressiva dell’indagato, ampiamente desumibile dalle riferite risultanze processuali, consente, allo stato, di formulare nei suoi confronti
una positiva prognosi sui suoi futuri comportamenti, anche con riguardo al rispetto degli obblighi e delle prescrizioni connesse a regimi alternativi, seppure di natura autocustodiale, invocati dalla Difesa.
Al parziale accoglimento dell’istanza consegue che nulla va posto a carico del prevenuto a titolo di spese della presente procedura incidentale.
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Si osserva, infine, quanto alla esecutività del presente
provvedimento che, secondo un’orientamento giurisprudenziale, l’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame,
a seguito di rinvio della Corte di cassazione, conferma l’ordinanza custodiale emessa dal G.I.P. ed una prima volta revocata dal Tribunale, è immediatamente esecutiva e determina il ripristino dello stato di custodia, non estendendosi
per analogia l’effetto sospensivo previsto dall’art. 310 co.
3 c.p.p., anche se avverso il provvedimento sia presentato
ricorso per Cassazione (Cass., sez. VI, 28.5.1996 n. 1453,
Mastrangelo; sez. II, 18.1.1997, n. 4192, Ficare).
Peraltro, la Corte di Cassazione, II sezione, con sentenza del 3.12.1997, Funaro, ha ritenuto “preferibile l’opposto orientamento che si fonda su una interpretazione delle
norme… maggiormente aderente ai principi generali del favor libertatis ai quali si ispira il nuovo codice di procedura
penale”. Al riguardo la Corte, ha osservato, richiamando
la pronunzia della VI Sezione del 18.10.1995, Chiodo, che
“le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale, intendendosi per tali sia quelli genetici della misura custodiale sia quelli confermativi della stessa, sia
anche quelli che la negano, la revocano, l’annullano, non
hanno in alcun caso, a norma dell’art. 588 co. 2 c.p.p., effetto sospensivo, il ce significa che, a differenza di quanto
avviene, di regola in tema di impugnazione, conservano la
loro esecutività”. Ha inoltre osservato che “l’art. 310 c.p.p.
costituisce eccezione al richiamo principio ed è disposizione manifestamente orientata nel senso del favor libertatis”.
La Corte, pertanto, con riferimento al caso sottoposto al
suo esame, ha sostenuto “che l’esecutività del provvedimento di rimessione in libertà… adottata in sede di riesame… della misura cautelare del G.I.P. non poteva essere interrotta dalla nuova pronuncia… sfavorevole all’indagine
prima che la stessa avesse acquistato il carattere della irrevocabilità (art. 628 c.p.p.), sostituendo solo in tal caso
quella annullata dalla Corte di Cassazione e, quindi, determinando una situazione di definitività destinata a produrre effetti sostanziali sullo “status libertatis”, o nel senso di garantirne l’intangibilità oppure di far rivivere l’originaria misura coercitiva”.
Tale ultimo orientamento è quello cui si uniforma questo Collegio e pertanto, va dichiarata sospesa l’esecuzione
della presente ordinanza sino a quando la stessa non sia divenuta definitiva.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE
pronunciando a seguito di annullamento con rinvio dell’ordinanza n. 3835/2006, ex art. 309 c.p.p., emessa dal Tribunale del riesame in data 16.6.2006, disposto dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 1615/2006 resa in data
21.11.2006 (depositata il 15.12.2006), letto l’art. 309 c.p.p.,
in parziale riforma dell’ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di S. Maria C.V. in data 3.6.2006
- annulla il titolo cautelare nei confronti di Romano Vincenzo in riferimento al capo B);
- conferma l’impugnata ordinanza nei confronti del medesimo indagato in relazione al capo A).
Dichiara non dovute dall’istante le spese della presente
procedura incidentale.
Sospende l’efficacia esecutiva della presente ordinanza
sino alla sua definitività.
Manda alla Cancelleria per la comunicazione e gli adempimenti di rito.
Così decido in Napoli, nella camera di consiglio
dell’1.3.2007.
Il Giudice Estensore
Stefania Danieli
Il Presidente
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●
Misure cautelari personali
provvedimenti in caso
di trasgressione
alle prescrizioni imposte
- Art. 276 comma 1 ter C.p.p.
●
Il Tribunale di Napoli composto dai signori Magistrati:
dott. Pierluigi Di Stefano
Presidente dott.ssa Anna Grillo
Giudice dott. Donato D’Auria
Giudice rel. ed est. riunito in Camera di Consiglio ha
pronunziato la seguente
ORDINANZA
nei confronti di D. M. O.
sull’appello presentato il 12/2/07 e riguardante l’ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Napoli in data 7/2/07 con la quale si aggravava la misura cautelare degli arresti domiciliari con quella della custodia in
carcere
L’appello avanzato nell’interesse di D. M . O., sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari e
condannato per il delitto di evasione dal Tribunale di
Palermo – in composizione monocratica – con sentenza del 24/1/07, è infondato e va, pertanto, rigettato.
Rileva, invero, il Tribunale che l’impugnata ordinanza è immune da censure di qualsivoglia genere, atteso che l’art. 276 comma 1 ter c.p.p. (introdotto nel
tessuto codicistico dalla legge n. 4/2001) stabilisce che
…in deroga a quanto previsto nel comma primo, in caso di trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di non allontanarsi dalla propria abitazione o da
altro luogo di privata dimora, il Giudice dispone la revoca della misura e la sua sostituzione con la custodia
cautelare in carcere… Questo dato legislativo è stato sottoposto a vaglio di costituzionalità, in relazione all’art.
3 della Carta Costituzionale (con riferimento alla previsione del dovere del Giudice…di revocare la misura degli arresti domiciliari e di sostituirla con la custodia cautelare in carcere in caso di trasgressione alle prescrizioni
concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione…), nell’ordinanza n. 40/2002 della Corte Costituzionale. Orbene, in tale provvedimento la Corte ha
dichiarato manifestamente infondata la questione proposta mettendo in risalto che …non può…ritenersi soluzione costituzionalmente obbligata quella di affidare sempre e comunque al Giudice l’apprezzamento del
tipo di misura in concreto rilevata come necessaria (il
quomodo della cautela), ben potendo tale scelta essere
effettuata in termini generali dal legislatore, nel rispetto del limite della ragionevolezza e del corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti (ordinanza
n. 450 e 339 del 1995; sentenze n. 1 del 1980 e n.
64/1970);…la norma impugnata…integra un caso di
presunzione di inadeguatezza di ogni misura coercitiva diversa dalla custodia cautelare in carcere una volta che la meno afflittiva misura degli arresti domiciliari si sia rivelata insufficiente allo scopo, per la trasgressione del suo contenuto essenziale;…non appare
irragionevole ritenere che il volontario allontanamen-
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to dalla propria abitazione costituisca pertanto l’indice di una radicale insofferenza alle prescrizioni da parte della persona sottoposta alla misura degli arresti domiciliari, tale da incidere sulla valutazione circa l’inadeguatezza di questa specifica misura cautelare, cui è
connaturato un maggior grado di affidamento nel
comportamento di chi vi è assoggettato, rispetto ad
ogni altra misura (sentenza n. 406/1997; ordinanza n.
332/1995)…(cfr., al riguardo, anche l’ordinanza n.
130/2003 della Corte Costituzionale).
Pertanto, si può affermare – anche sulla scorta del
costante insegnamento della Corte Costituzionale ( cfr.
ordinanze n. 40/2002 e n. 130/2003) – che la norma di
cui all’art. 276 comma 1 ter c.p.p. ( applicata dal GIP
del Tribunale di Napoli nel provvedimento emesso in data 7/2/07) prevede che : 1) in caso di accertata…trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di non allontanarsi dalla propria abitazione …; 2) il Giudice debba disporre…la revoca della misura e la sua sostituzione con la custodia caute-
lare in carcere…Nel caso di specie non ricorre allo stato alcun genere di dubbio in merito alla presenza del
requisito di applicabilità del dato legislativo in esame di
cui al punto 1) (rappresentato dalla… violazione che la
norma…assume a presupposto della sostituzione…: cfr.
ordinanza n. 40/2002 della Corte Costituzionale), atteso che il D. – detenuto agli arresti domiciliari – ha riportato condanna per evasione; da ciò consegue la totale legittimità dell’impugnata ordinanza con la quale è stata disposta a carico dell’odierno ricorrente la sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari con quella della custodia in carcere.
P.Q.M.
Rigetta l’appello e condanna D. M. O. al pagamento delle spese della presente procedura.
Manda la Cancelleria per gli adempimenti di rito, anche ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p.
Napoli, così deciso nella Camera di Consiglio del
23/4/07.
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Tribunale
di Santa Maria Capua Vetere
Ufficio del Giudice
per le Indagini Preliminari
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LEGITTIMAZIONE ALL’AZIONE CIVILE PER DANNO AMBIENTALE, ANCHE IN SEDE PENALE, DELLE
ASSOCIAZIONI RICONOSCIUTE EX ART. 13 DELLA
LEGGE N. 349/86 – ARTT. 18 LEGGE 349/86 E 4 CO. 3
DELLA LEGGE 3.8.99 N. 265, POI TRASFUSO NELL’ART. 9 CO. 3 DEL D. LGS.VO N. 267/00 (TESTO UNICO SULL’ORDINAMENTO DEGLI ENTI LOCALI).
– V. Proc. n. 7897/06 R.g.n.r., n. 10740/06 r.g. gip -Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Ufficio del Giudice per
le Indagini Preliminari – Dott. Raffaele Piccirillo - Ordinanza
resa nel corso dell’udienza preliminare del 31/10/2006 –
23/11/2006.
La questione concernente la legittimazione delle associazioni ambientaliste e di consumatori a costituirsi parte
civile in giudizio per la presenza di un danno ambientale,
implica, quale passaggio essenziale del ragionamento, una
presa di posizione sulla corretta esegesi dell’art. 18 della legge n. 349/86 e dell’art. 4 della legge 3.8.99 n. 265.
La prima disposizione assegnava, al comma terzo, allo
Stato e agli enti territoriali minori la legittimazione a promuovere, anche in sede penale, l’azione risarcitoria.
Al comma quinto la stessa norma riconosceva invece alle associazioni riconosciute ai sensi dell’art. 13 della stessa
legge (quelle cioè rivestite di carattere nazionale o presenti
in almeno cinque Regioni e individuate con apposito decreto
del ministro dell’Ambiente) un potere d’intervento nei giudizi per danno ambientale e un potere di ricorso in sede giurisdizionale amministrativa per l’annullamento degli atti illegittimi.
La norma veniva da una parte della giurisprudenza coordinata con l’art. 212 d. att. c.p.p. (“quando le leggi o decreti consentono la costituzione di parte civile o l’intervento nel processo penale al di fuori delle ipotesi indicate nell’art. 74 del codice, è consentito solo l’intervento nei limiti e alle condizioni previste dagli artt. 91, 92, 93 e 94 del
codice) e con gli artt. 91 e ss. c.p.p. per inferirne che:
- le associazioni ambientaliste hanno solo la facoltà di intervenire nel giudizio di danno, identica per fictio juris a
quella della persona offesa, ai sensi dell’art. 91 e ss. c.p.p.;
- esse hanno cioè facoltà limitate ad una funzione di ausilio del P.M., attraverso la presentazione di memorie e
l’indicazione di elementi di prova (Cass., III, 23.6.94,
Galletti n. 7275).
Questa posizione limitativa trovava ulteriori supporti esegetici di carattere sistematico:
- nella Relazione Ministeriale al progetto definitivo del codice di procedura penale, ove si illustrava come le norme
degli artt. 91 e ss. c.p.p. avessero inteso assegnare alle associazioni senza scopo di lucro riconosciute prima della
commissione del fatto “una loro sfera di azione processuale che… tende a realizzare, mediante forme di adesione
all’attività del P.M. ovvero di controllo su di essa, una
sporta di contributo all’esercizio e al proseguimento dell’azione penale”;
- nell’art. 109 bis del D.L. 18.6.86 n. 282, quasi coevo ri-
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spetto alla legge istituita del Ministero dell’Ambiente,
che in tema di misure urgenti per la prevenzione e repressione delle sofisticazioni alimentari espressamente
attribuisce alle associazioni dei consumatori e dei produttori la facoltà di “costituirsi parte civile, indipendentemente dalle prove di un danno immediato e diretto,
nei procedimenti penali per le infrazioni al presente decreto”.
Il confronto dell’art. 18 con questi referenti normativi segnalava che la differenziazione tra i poteri di tutela
riconosciuti allo Stato e agli enti territoriali corrispondeva ad una precisa e consapevole scelta legislativa.
A fronte di questa scelta apparivano arbitrarie talune
letture tecniche del concetto di intervento che avevano
condotto una parte della giurisprudenza a comprendere
nella nozione anche una legittimazione delle associazioni alla costituzione di parte civile (Cass., III, 17.3.92, Ginatta; Cass., VI, 14.10.88, Zorzi; Cass., III, 1.3.88, Hampe Wilfred).
Coordinando l’art. 18 citato con l’art. 4 co. 3 della legge 3.8.99 n. 265, poi trasfuso nell’art. 9 co. 3 del D.
Lgs.vo n. 267/00 (testo unico sull’ordinamento degli enti locali), si affermava poi che – oltre al potere di intervento ad adiuvandum – spetta alle associazioni ambientalistiche riconosciute una legittimazione straordinaria
per proporre le azioni risarcitorie spettanti al Comune e
alla Provincia.
La norma radicava, secondo la lettura unanime data
da giurisprudenza e dottrina, un caso evidente di “sostituzione processuale”: un caso nel quale cioè, sul presupposto dell’inerzia dell’ente territoriale titolare della posizione soggettiva passiva, la pretesa risacitoria poteva
essere azionata iure alieno dall’ente associativo cui spettava la liquidazione delle sole spese processuali (Cass.,
III, 3.12.2002, Veronese n. 43238).
Il discorso e le posizioni giurisprudenza illustrate non
risentono sensibilmente dell’abrogazione della gran parte dell’art. 18 della legge 349/86, operata dall’art. 318
del D.lgs.vo n. 152/06.
La norma è stata soppiantata dall’art. 311 del D. Lgs.vo
3 aprile 2006 n. 152 che, trascurando gli enti territoriali
minori, ha però conservato allo Stato per il tramite del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio la legittimazione all’azione risarcitoria (1° comma).
Nello stesso tempo il Decreto Legislativo – sia pure dopo un’intricata vicenda – ha evitato di abrogare sia l’art.
13 che il comma quinto dell’art. 18 della legge n. 349/86.
Permane quindi quel quadro normativo di differenziazione di poteri sul quale si è già espressa la giurisprudenza con le posizioni sopra sunteggiate.
L’esegesi delle due norme sopra indicate, così come
quella del nuovo art. 311 D. Lgs.vo 152/06 non è in grado di esaurire i termini della questione.
Non può trascurarsi infatti il carattere complesso e polimorfo del bene ambiente e delle lesioni che questo può
subire.
La tutela di questo bene giuridico non trova la sua fonte genetica nell’art. 18 della legge n. 349/86, ma direttamente nella Costituzione, attraverso il combinato disposto degli artt. 2, 3, 9, 41, 42 e il loro collegamento con
la norma fondativa della tutela aquiliana (art. 2043 c.c.).
In questo senso si sono più volte espresse tanto la
Corte Costituzionale, quanto la Corte di Cassazione Civile e Penale (ex plurimis, v. Cass., III sezione civile, n.
5650 del 19.6.96; Cass., III sezione penale, n. 33887 del
7.4 – 9.10.06).
E’ proprio la complessità del bene giuridico a comportare la possibilità che la sua lesione involga interesse
individuali, collettivi e/o pubblici facenti capo a soggetti diversi.
L’idea della complessità del bene e delle sue potenziali lesioni e la concreta possibilità che un fatto illecito lesivo dell’ambiente produca plurimi profili di danno in capo a soggetti diversi è resa icasticamente dalla
S.C. con un esempio particolarmente vicino ai casi al
nostro esame:
“E’ evidente, ad esempio, che quando il danno ambientale consista nella contaminazione del terreno, solo
l’ente territoriale potrà pretendere un risarcimento rapportato alle operazioni di decontaminazione e di ripristino che istituzionalmente competono all’ente territoriale
medesimo; solo i privati proprietari dei terreni contaminati potranno pretendere il risarcimento dei danni subiti per il mancato godimento delle risorse naturali del terreno; mentre i danni alla salute conseguenti alla contaminazione potranno essere richiesti solo dalle persone fisiche concretamente danneggiate nella loro integrità fisica o psichica” (Cass., III, n. 577 del 7.4 – 9.10.06).
Il problema allora si sposta dall’analisi delle norme legittimanti a quello delle singole posizioni giuridiche che
si assumono lese.
Diventa cioè dirimente stabilire se le associazioni in
questione abbiano articolato le loro prospettazioni di
danno in termini tali da far emergere un interesse che,
per essere sufficientemente soggettivizzato e differenziato, meriti di essere etichettato come interesse collettivo.
Giova alla piena comprensione di questi concetti il richiamo della sistemazione teorica elaborata dalla dottrina
e dalla giurisprudenza amministrativa le quali distinguono:
- gli interessi diffusi, che sono in genere comuni a tutti
gli individui di una formazione sociale o addirittura della comunità nazionale o internazionale e che, essendo
insuscettibili di appropriazione individuale (i cc.dd.
interessi adespoti), sono anche inadeguati alla gestione processuale;
- gli interessi collettivi che rappresentano un momento
di soggettivazione o corporativizzazione e sono suscettibili di tutela giurisdizionale perché trovano una
titolarità in enti esponenziali capaci di agire, che si distinguono tanto dalla comunità generale quanto dai singoli associati nell’organizzazione collettiva.
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La tutela risarcitoria degli interessi collettivi è stata affermata dalla fondamentale sentenza delle S.U. Cass.
Civ. n. 500 del 22.7.99, Comune di Fiesole c. Vitali che
ha disancorato l’art. 2043 c.c. dalla classe dei diritti soggettivi, affermando che anche la lesione di un interesse
legittimo può essere fonte di responsabilità aquilana
“giacché il danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art.
2043 c.p. è quello che si risolve nella lesione di un interesse
rilevante per l’ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione formale, e in particolare senza che assuma rilievo la
qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo”.
Per affrontare le questioni in esame diviene dirimente stabilire se gli interessi rappresentati dalle parti civili
e le relative lesioni siano qualificabili come interessi collettivi differenziati anziché come meri interessi diffusi.
La diagnosi differenziale può giovarsi delle linee guida dettate dalla giurisprudenza amministrativa e penale
che si soffermano:
- sul collegamento territoriale tra l’ambito operativo
dell’associazione e l’area interessata dalla lesione;
- sul collegamento con scopi statutari di tutela che l’ente dimostri di avere concretamente perseguito e che i
fatti criminosi abbiano frustrato;
- sulla lesione dell’immagine dell’ente associativo e sulla demoralizzazione dei suoi membri che può conseguire al reato ambientale;
- sulla vanificazione degli sforzi economici già profusi
dall’associazione per la salvaguardia o il recupero di
aree poi devastate dal crimine.
Alcune pronunce di merito e di legittimità esemplificano vividamente ipotesi nelle quali la lesione dell’interesse merita tutela risarcitoria per essere sufficientemente
differenziata:
- “si ipotizzi il caso di un’associazione il cui scopo è in
sintonia con primari valori costituzionali sia presente
sul territorio e sia impegnata in opere di sensibilizzazione e denuncia… se detta associazione vede ogni suo
sforzo vanificato da quelle condotte contro le quali statutariamente si batte, finirà sempre più con l’assumere, agli occhi di tanti, una connotazione meramente
simbolica, di bandiera, di sterile testimonianza, se non
con il divenire oggetto di velata irrisione per l’utopismo dei suoi fini” (GIP Venezia, 19.9.01);
- “la legittimazione a costituirsi parte civile del ‘comitato per la difesa dell’agro nolano’ non deriva dal solo fatto che tale ente non riconosciuto abbia posto la
tutela ambientale del proprio territorio come scopo
del sodalizio, né deriva dal solo fatto che l’ente abbia la propria sede nel territorio interessato dai fatti
oggetto della richiesta di rinvio a giudizio, ma deriva dalla concreta attività che detto comitato ha svolto per la tutela della specifica situazione ambientale
che ha portato prima alla genesi e allo sviluppo delle indagini preliminari e poi alla richiesta di rinvio a
giudizio…” (GIP Nola, 23.9.04).
Riflette pienamente questa impostazione, seppure
con formulazione negativa, Cass., III, n. 9729 del
28.10.93 secondo la quale “non sono legittimati a costituirsi parte civile gli enti e le associazioni, ancorché
abbiano ottenuto il riconoscimento governativo ex art.
13 della legge n. 349/1986, quando l’interesse perseguito sia quello ambientale genericamente inteso o comunque un interesse che, per essere caratterizzato da
un mero collegamento ideologico con l’interesse pubblico, resta un interesse diffuso, come tale non proprio
del sodalizio e perciò anche non risarcibile”.
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Tribunale 493
S. Maria Capua Vetere
IIa Sezione Collegiale
Dr.ssa F. Rugarli presidente
Dr.ssa E. Russo giudice a latare
Dr.ssa R. Stravino giudice a latare
Verbale di udienza redatto in forma stenotipica
Pagine verbale: n. 33
Procedimento penale n. 1410/06 R.G.
A carico di: D.V. R. + 6
Udienza del 2 marzo 2007
●
RICHIESTE DI PROVA – ART. 493, COMMA 3, C.P.P.
La norma (che prevede il cd. patteggiamento sulla prova) mira a conseguire uno snellimento dei tempi del processo, riconoscendo alle parti anche in sede di richiesta
delle prove la facoltà di chiedere al giudice dibattimentale di attribuire agli atti di indagine della accusa e della difesa quella valenza probatoria di cui gli stessi sono normalmente privi. Tale accordo non è sindacabile
dal giudice del dibattimento se non per impedire l’accesso al fascicolo di atti vietati dalla legge o che comunque risultino irrilevanti o superflui rispetto al thema decidendum. Si è inoltre affermato che qualora il
consenso all’acquisizione venga prestato, oltre che dal
pubblico ministero, da alcuni imputati e non da altri,
gli effetti dell’atto ricadranno solo su quelle parti che
hanno manifestato il consenso (verificandosi così un’ipotesi di utilizzazione relativa in chiave soggettiva dell’atto). – V. G. Lattanti –E. Lupo, CODICE DI PROCEDURA PENALE, Rassegna di Giurisprudenza e di
Dottrina, Nuova Edizione, Volume VII, Giuffrè Editore, 2003, pp. 136 e ss.
Secondo un contrario orientamento della giurisprudenza di merito, l’art. 493, comma 3 c.p.p., richiederebbe il consenso di tutti gli imputati – v. Procedimento penale n. 1410/06 R.G., a carico di D. V. + altri, Trib. S. Maria Capua Vetere, IIa Sezione Collegiale, Dr.ssa F. Rugarli Presidente, Dr.ssa E. Russo Giudice a latere, Dr.ssa R. Stravino Giudice a latere, Verbale di udienza del 2/3/07. In particolare, il Tribunale disconosce la cd. utilizzazione relativa - nei confronti del
solo imputato che abbia prestato il consenso - degli atti acquisiti ex art. 493. I Giudici pongono a base dell’argomentazione quanto previsto dal codice in materia
di acquisizione dei verbali degli interrogatori rese dall’imputato nel corso delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare, ove si delimita l’utilizzabilità
“soggettiva” delle dichiarazioni acquisite ex art. 513;
secondo il Tribunale ove manchi tale specificazione – come, appunto, nell’art. 493 c.p.p - è da ritenersi che il
codice abbia previsto un’utilizzazione erga omnes: per
questo motivo non potrebbe prescindersi dal consenso
di tutti gli imputati per l’acquisizione degli atti ex art.
493 comma 3 c.p.p.
Presidente: . . . Per quanto riguarda la questione di
V. R., acquisizione di tutti gli atti e separazione della posizione, il Tribunale non ritiene di poter accedere a questa richiesta per queste ragioni: allo stato il processo è
unitario e per acquisire tutti gli atti ci vorrebbe il consenso di tutte le parti, che non c’è, c’è solamente il consenso, ovviamente, delle parti interessate. D’altro conto, la separazione della sola posizione del V., venendo
poi a creare per forza di cose una situazione di incompatibilità del Collegio rispetto alle altre posizioni, quanto meno rispetto al D. V. R., che risponde del medesi-
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Tribunale
di Santa Maria Capua Vetere
Ufficio del Giudice
per le Indagini Preliminari
●
Ordinanza resa nel corso dell’udienza preliminare
Giudice dr. Raffaele Piccirillo,
l’eccezione difensiva inerente alla nullità della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari relativo
agli imputati ROMA Francesco, MARINO Antonio e
?ELLOTA Nicola;
rilevato che:
2. la difesa ha prodotto le copie degli avvisi notificate agli
imputati in data 2.6.06 dalle quali emerge l’incompletezza dell’atto notificato, per mancanza dell’ultima pagina dell’atto – quella contenente gli avvertimenti relativi alla discovery e alle facoltà difensive proprie della
fase – e apposizione della relata sul retro della penultima pagina;
3. dagli originali, presenti nel fascicolo delle indagini preliminari trasmesso a questo giudice per l’udienza preliminare emerge la competenza dell’atto notificato con apposizione della relata sul retro della pagina contenente
gli avvertimenti previsti dalla legge;
ritenuto che:
4. la completezza della notifica, sanzionata dall’art. 171
lett. a) c.p.p., dev’essere valutata in relazione alla copia
consegnata al destinatario, dal momento che è dalla copia che resta in suo possesso che l’indagine apprende i
contenuti dell’addebito provvisorio e la consistenza della sua facoltà;
5. la parte mancante dell’atto notificato riveste importanza essenziale, in quanto si tratta della pagina che contiene gli avvertimenti che attuano la funzione propria
dell’avviso previsto dall’art. 415 bis c.p.p.;
P.Q.M.
Dichiara la nullità della richiesta di rinvio a giudizio nei
confronti degli imputati sopra indicati e dispone trasmettersi gli atti al P.M. procedente.
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Tribunale di Nola
Seconda Sezione Penale
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Il giudice monocratico, dott. Martino Aurigemma, sulle
richieste di prova formulate dalle parti e sul mancato consenso della difesa all’utilizzabilità degli atti istruttori già
espletati, in considerazione del mutamento della persona fisica del giudice titolare del presente procedimento, osserva:
il principio di immutabilità, del giudice sancito dall’art.
525, 2° comma, c.p.p. per il quale alla “deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudice che hanno partecipato al dibattimento”, impone che, allorquando
intervenga un mutamento nella titolarità dell’organo giudicante investito del procedimento, il dibattimento sia integralmente rinnovato, con la ripetizione della sequenza
procedimentale costituita dalla dichiarazione di apertura del
dibattimento (art. 492 c.p.p.), dall’esposizione introduttiva e dalle rinnovate richieste di ammissione delle prove (art.
493 c.p.p.) dai provvedimenti relativi all’ammissione (art.
495 c.p.p.) e dall’assunzione delle prove (in tal senso Cass.
Sez. Un., 15/1/1999, Iannasso).
Ciò posto, si ritiene che l’istruttoria dibattimentale espletata dinanzi al Tribunale diversamente composto sia pienamente utilizzabile, mediante semplice lettura e senza la
necessità di ripetere l’esame del dichiarante, in quanto i verbali dei mezzi di prova assunti nella precedente fase dibattimentale sono legittimamente acquisiti al fascicolo per il dibattimento e possono essere utilizzati ai fini della decisione. Invero, la pregressa istruttoria dibattimentale, pur soggetta, per le motivazioni anzidette, a rinnovazione, conserva comunque il carattere di attività legittimamente compiuta,
il cui regime è quello dettato dall’art. 511 c.p.p., con la possibilità di acquisire, anche d’ufficio – restando, quindi, irrilevante la richiesta delle parti – le precedenti dichiarazioni
mediante lettura, od indicazione sostitutiva, in tutti i casi in
cui il previo esame del dichiarante non abbia luogo (v. Corte Cost. 3/2/1994, n. 17; in tal senso vds. Anche Corte
Cost., 3/6/1992, n. 255 e Corte 12/12/1996, Musina e Cass.,
17/12/1997 Pendinelli).
Né può sostenersi la necessità dell’acquisizione del consenso delle parti onde ritenersi l’utilizzabilità della prova rappresentativa orale assunta avanti al giudice nella precedente composizione, allorquando la parte che ne abbia diritto
(avendo presentato nei termini la lista di cui all’art. 468
c.p.p.), non abbia proposto la richiesta di nuova assunzione della prova orale già assunta – proprio come avvenuto
nella fattispecie in esame – non potendo a ciò fondatamente
opporsi le altre parti che non abbiano, a suo tempo, ritualmente chiesto l’ammissione dello specifico mezzo di prova
ex art. 468 c.p.p., non potendo le stesse essere rimesse in
termini per il solo fatto dell’intervenuto mutamento della
composizione dell’organo giudicante. Da un lato, infatti, non
esiste alcuna possibilità, alla stregua dei principi che disciplinano la materia, di ritenere che tutte le parti siano legittimate a formulare la richiesta di nuovo esame (nel qual caso potrebbe legittimamente affermarsi che il consenso delle parti, comunque manifesto, costituisca condicio sine qua
non della rinnovazione mediante lettura). Dall’altro, appare conforme ai principi del codice di rito ritenere che qua-
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lora, in caso di rinnovazione del dibattimento non venga
proposta la richiesta di ammissione della prova precedentemente assunta dalla parte che ne ha diritto e non ne
sia decaduta, il giudice possa disporne d’ufficio la lettura,
essendo i relativi verbali – come sopra evidenziato – già legittimamente acquisiti al fascicolo per il dibattimento: la
lettura in detti termini della più recente sentenza della Suprema Corte in tema di rinnovazione del dibattimento, costituita da Cass. Sez. Un. 15.1.1999, Iannasso (la quale, pur
ponendo in relazione la rinnovazione degli atti istruttori
già assunti con la richiesta delle parti, non chiarisce adeguatamente con quali modalità ed entro quali limiti possa esplicarsi la loro volontà al riguardo), appare, invero,
non solo quella sistematicamente più adeguata, ma anche
quella maggiormente aderente alle pronunce della Consulta
in materia di coordinamento dei principi di oralità e di formazione della prova in dibattimento, di non dispersione
del materiale probatorio legittimamente acquisito, di semplificazione nello svolgimento del processo e di piena cognizione del fatto di reato, nonché con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo. In tale
prospettiva e quale ulteriore applicazione del citato principio costituzionale dettato dall’art. 111, 2° comma, Cost.
deve valutarsi in maniera estremamente significativa il richiamo normativo operato dalla sentenza delle Sezioni
Unite agli artt. 190 e 495 c.p.p., disposizioni alla stregua
delle quali il giudice deve decidere in ordine alle richieste
di prova avanzate dalle parti a seguito della rinnovazione
del dibattimento secondo i parametri della non manifesta
superfluità ed irrilevanza, per cui non può escludersi la possibilità, anche in caso di reiterazione della richiesta di prova – ad opera (come già precisato) della parte che ne abbia diritto – che il giudice esprima una valutazione di superfluità (da esercitarsi non in astratto, considerando la prova richiesta di per se stessa, ma in concreto, e cioè in relazione a tutti gli elementi conoscitivi dei quali il giudice legittimamente disponga) basata proprio sulla circostanza che
detta prova – i cui verbali sono pienamente utilizzabili per
la decisione e, quindi, anche ai fini del giudizio di ammissibilità della prova – è già stata assunta, esaurientemente,
dinanzi al giudice diversamente composto (in tal senso già
Corte Cost. 3/2/1994 n. 17, e di recente Corte Cost.
11/12/2001, n. 399).
Ne consegue, in definitiva, che si dovrà procedere al nuovo esame del dichiarante allorquando non solo la parte che
ne ha diritto ne abbia fatto richiesta ex art. 493 c.p.p., ma
anche, e soprattutto, qualora il giudice, sottoponendo la
richiesta di riesame del testo al vaglio di ammissibilità previsto dall’art. 190 c.p.p. – si ribadisce da effettuare in concreto alla luce dell’omologa prova già acquisita al fascicolo del dibattimento – non ne ritenga manifestamente superflua o irrilevante la ripetizione ovvero, nei processi per
reati di criminalità organizzata, conformemente alla previsione dell’art. 190 bis c.p.p., la stessa concerna fatti o circostanze diverse da quelli già oggetto delle precedenti dichiarazioni o, sulla base di specifiche esigenze, sia ritenu-
ta necessaria (nel senso dell’applicabilità dell’art. 190 bis
c.p.p. all’ipotesi in esame cfr. Cass. Sez. III 4/4/01, Carta;
Cass. Sez. I, 8/5/02, Madonia). Ricostruita la questione in
questi termini l’art. 511, 2° comma, c.p.p. (per il quale “la
lettura di verbali di dichiarazioni è disposta solo dopo l’esame della persona che le ha rese, a meno che l’esame non
abbia luogo”) deve dunque essere correttamente interpretato nel senso che non pone affatto la condizione negativa che l’esame “non possa essere ripetuto”, ma solo che
“non abbia luogo” per impossibilità di ripetizione, per
mancata richiesta del nuovo esame (della parte legittimata) o perché il giudice non l’ammetta ritenendolo superfluo
o irrilevante proprio in quanto già legittimamente reso e
consacrato in un verbale ritualmente acquisito nel fascicolo
del dibattimento.
Pertanto, e conclusivamente sul punto, si ritiene che
nell’ipotesi di mancata riproposizione della richiesta di
esame del teste (proveniente dalla parte a ciò legittimata)
non si presenta assolutamente necessaria l’acquisizione del
consenso delle altre parti all’utilizzabilità degli atti: si osserva, peraltro, che anche a voler ritenere, secondo l’indirizzo più rigoristico e ormai del tutto minoritario, che la
lettura degli atti di istruzione probatoria in precedenza
raccolti da altro giudice rispetto a quello che decida violi
il principio di immutabilità del giudice, non si comprende
come il consenso o l’acquiescenza delle parti potrebbe condizionare gli effetti di una nullità assoluta, quale quella prevista dall’art. 525, n.2° comma, c.p.p. posto che l’art. 179,
2° comma c.p.p. prevede che “sono … insanabili e sono
rilevate d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento le
nullità definite assolute da specifiche disposizioni di legge”.
D’altra parte lo stesso principio di immediatezza – espresso dalla citata disposizione normativa – non solo non si
identifica in quello di oralità (potendone prescindere) ma
non deve neppure essere considerato un valore in sé in
quanto esso è funzionale ad assicurare la genuinità della
prova e ad impedire che il giudice venga privato, sia pure
in parte, della sua funzione di controllo e di verifica, garantendo così ogni interferenza tra l’organo giudicante e
la fonte della prova: ciò posto, appare del tutto evidente
che, rispetto alla problematica in questione, a privare in
gran parte di rilevanza il richiamo al principio di immediatezza è, da un lato, la estrema completezza delle tecniche di verbalizzazione previste dal codice, dall’altro il fatto che la motivazione deve fondarsi su elementi oggettivamente esistenti agli atti del processo e non su circostanze (quali espressioni del viso e simili) sfuggite ai sistemi di
documentazione processuale, poiché altrimenti la stessa finirebbe per basarsi sull’intuito personale e non verificabile del magistrato.
P.Q.M.
Rigetta la richiesta di nuovo esame dei testi già escussi
in quanto manifestamente superfluo. Ammette, per il resto, le prove come richieste dalle parti e dispone procedersi
oltre nell’istruzione dibattimentale.
DIRITTO
Amministrativo
I rischi della semplificazione
nella nuova normativa sugli appalti pubblici
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Carlo Buonauro
Giudice TAR Campania - Napoli
Osservatorio della giurisprudenza
in tema di codice dei contratti
a cura di Almerina Bove
Avvocatura regionale della Campania
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I rischi della semplificazione
nella nuova normativa
sugli appalti pubblici
La procedura di affidamento
degli incarichi di progettazione
di ultima soglia
● Carlo Buonauro
Giudice TAR Campania - Napoli
1. Premessa
L’intervento di riforma e codificazione della materia
degli appalti pubblici, culminato (ancorché non in termini di compiuta definitività, attesi i successivi interventi di correzione e modificazione in atto) nel D. Lgs.
n. 163/2006 (cd. Codice dei contratti pubblici) si pone
in termini di discontinuità rispetto al precedente assetto
ordinamentale del settore in questione, tra l’altro, lungo
due evidenti coordinate di fondo di chiara ispirazione comunitaria, certamente apprezzabili in termini di principio, ma non sempre scevre da difficoltà e controindicazioni operative:
• da un lato, in luogo della frammentazione regolamentare che anteriormente connotava il nostro sistema legislativo (caoticamente “spalmato” su di una
congerie di fonti eterogenee e distinto, sul piano contenutistico, in ragione della tipologia dell’oggetto del
contratto da stipulare: servizi, forniture e lavori; sul
piano del valore economico e della materia, in ragione rispettivamente del superamento o meno della cd.
soglia comunitaria e della natura ordinaria o speciale del settore di riferimento; sul piano delle competenze, in ragione del livello statale, regionale, regolamentare della normativa) si tende alla predisposizione di un unico testo, volto a fornire, in linea di massima e salve le specificità del caso, una disciplina uniforme ed omogenea della procedura di evidenza pubblica preordinata alla stipula del contratto, indipendentemente dal suo oggetto e dalla sua rilevanza economico-funzionale;
• per altro verso, soprattutto nel settore dei lavori pubblici, l’impronta fortemente restrittiva e di rigidità che
pervadeva l’intero sistema della normativa sulle opere pubbliche (in ragione del contesto storico-sociale da
cui scaturì la L. 109/94 nella sua originaria formulazione), viene del tutto ribaltata in un opposta visione
assiologica per la quale il valore del mercato e della
concorrenza necessariamente postula un ben più elevato grado di semplificazione, snellimento e duttilità
delle forme di azione delle stazioni appaltanti. In questo senso, vengono in rilievo, ad esempio le scelte in
tema di tendenziale fungibilità tra i due criteri di aggiudicazione (prezzo più basso ed offerta economicamente più vantaggiosa); il supermento della separazione netta fra progettazione e realizzazione dei lavori, che potranno essere affidati a un solo soggetto; la
rinnovata fiducia con cui si guarda a forme di affidamento diretto o comunque esulanti dalle rigorose formalità delle procedure concorsuali (si pensi all’’ampliamento delle ipotersi di procedura negoziata senza
bando; alle nuove figure del dialogo competitivo e
dell’accordo quadro; alla disciplina degli affidamenti
in economia; ecc).
Nondimeno, anche dal confronto con le ben più perentorie opzioni formulate in sede di Legge delega, emerge
la preoccupazione che tali previsioni normative consen-
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tano la (ri)emersione di prassi operative che, in nome dell’efficienza e dell’economicità dell’azione amministrativa, celano forme di strumentalizzazione e distorsione in
settori particolarmente delicati in ragione degli interessi coinvolti: è il caso delle modalità di affidamento degli
incarichi di progettazione esterna.
2. La precedente disciplina degli incarichi di progettazione
e la giurisprudenza formatasi sul punto
La materia del procedimento per l’affidamento dell’incarico professionale di cd. ultima soglia, fino all’entrata in vigore della Legge 18 aprile 2005 n. 62 (cd. Legge
Comunitaria per il 2004, recante altresì la delega per la
redazione di in unico testo in materia di appalti pubblici) e del D. Lgs. n. 163/2006 (recante il cd. Codice dei
contratti pubblici), è stata disciplinata dall’art. 17, comma 12, l. n. 109/94, nel testo, da ultimo, novellato dall’art. 7, comma 1, lett. i) n. 5) della l. 1° agosto 2002 n.
166, che così recitava :
“Per l’affidamento di incarichi di progettazione ovvero della direzione dei lavori il cui importo stimato sia inferiore a 100.000 euro le stazioni appaltanti per il tramite
del responsabile del procedimento possono procedere all’affidamento ai soggetti di cui al comma 1, lettere d), e)
f) e g), di loro fiducia, previa verifica dell’esperienza e della capacità professionale degli stessi e con motivazione
della scelta in relazione al progetto da affidare”.
La elaborazione pretoria risultava consolidata intorno ad alcuni principi che possono così riassumersi:
• l’art. 17, comma 12, l. 11 febbraio 1994 n. 109, nel
disciplinare la procedura di affidamento degli incarichi di progettazione, non impone di provvedere attribuendo rilievo esaustivo e determinante ai curricula, ma soltanto che il processo di valutazione comparativa dei concorrenti deve prendere le mosse dalla verifica del possesso, documentato attraverso i curricula stessi, di capacità professionali adeguate all’incarico da attribuire (Cons. St. Sez. V 10 giugno 2002 n.
3206);
• la scelta dei professionisti con cui stipulare un contratto d’opera impone all’amministrazione, che abbia
a tal fine emanato un avviso pubblico con invito ai
professionisti interessati a presentare i curriculum,
soltanto di dar conto di avere effettivamente proceduto alla scelta dopo la comparazione dei curricula
pervenuti; non si possono sovrapporre la scelta fiduciaria - fatta di apprezzamenti soggettivi circa le qualità professionali e l’idoneità a soddisfare le esigenze
del committente - e la scelta concorsuale costituita dall’applicazione di criteri oggettivi e predeterminati;
stante l’incompatibilità logica tra le due cose e perché
tale sovrapposizione, del resto, da una parte costituirebbe una garanzia puramente illusoria e dall’altra sarebbe perpetuamente censurabile da chi non è stato
prescelto (Cons. St. Sez. V 19 febbraio 2004 n. 667);
• per l’affidamento dell’incarico di progettazione ex
art. 17 l. 11 febbraio 1994 n. 109, è legittima la valutazione di carattere generale ancorata sia alla comprovata capacità tecnico-professionale sia alla specifica esperienza nella progettazione richiesta, e non è
necessaria una comparazione analitica e puntuale di
tutti i curricula sulla base di criteri predeterminati
(Cons. St. Sez. V 7 aprile 2003 n. 1834);
- in materia di affidamento di incarichi di progettazione all’esterno, la Pubblica Amministrazione deve dare conto delle ragioni di preferenza accordata, in relazione agli indici di esperienza e di specifica capacità
professionale, desunti dal curriculum del professionista prescelto (Tar Campania - Salerno Sez. I 31 marzo 2005 n. 327).
In sostanza, la citata elaborazione giurisprudenziale deve stimarsi ormai consolidata in ordine ad alcuni punti e
segnatamente in ordine alla necessità che l’affidamento
esterno sia motivato con riferimento all’esperienza del
professionista ed alla specifica capacità professionale del
soggetto esterno, e non anche e necessariamente in ordine alla comparazione dei curricula, intesa come confronto stringente ed oggettivo tale da condurre ad una graduatoria necessariamente legata ad elementi precisi ed univoci, quali ad es. il numero delle opere progettate, il valore delle opere, la rilevanza delle opere, bensì alla comparazione intesa quale effettiva valutazione dei curricula presentati; nonché in ordine al principio per il quale il
conferimento di un incarico di progettazione che consegua all’esperimento di procedura amministrativa attivata con avviso pubblico, non può assimilarsi ad una vera
e propria procedura concorrenziale secondo i crismi dell’evidenza pubblica (Cons. St. Sez. V 10 febbraio 2004
n. 500).
Configurandosi al riguardo una scelta fiduciaria (tale
la definiva la disposizione che governava il relativo procedimento) - sia pur operata all’esito di apposita selezione - fatta di apprezzamenti soggettivi circa le qualità professionali e l’idoneità a soddisfare le esigenze del committente, la giurisprudenza del giudice amministrativo richiedeva soltanto che essa non fosse slegata dalla necessaria motivazione che doverosamente doveva presiedere
gli atti amministrativi per effetto dei principi generali introdotti dalla legge n. 241/90, e che tale motivazione, in
ossequio alle coordinate tracciate dalla relativa disposizione normativa, desse conto dell’esperienza e delle capacità professionali del soggetto prescelto con specifico
riferimento al progetto da affidare.
Non mancavano, peraltro, già nel vigore della precedente disciplina, interventi giurisprudenziali volti a rafforzare le garanzie partecipative di coloro che concorrevano al conferimento degli incarichi di progettazione di
ultima soglia, anticipando in una certa qual misura le novità introdotte nel biennio 2005/2006.
Così, ad esempio, si è statuito che l’affidamento di incarichi di progettazione di valore sotto soglia non può
considerarsi svincolato da qualsiasi onere istruttorio e mo-
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tivazionale, essendo pur sempre necessaria la previa verifica dell’esperienza e della capacità professionale dei
professionisti esterni di fiducia dell’ente (con comparazione dei curricula), nonché un’effettiva motivazione della scelta in relazione al progetto da affidare. Pertanto è
illegittimo il provvedimento di incarico dotato di motivazione solo apparente, che non spiega in alcun modo le
ragioni della ritenuta idoneità (rectius: maggiore idoneità) dei controinteressati all’incarico, utilizzando una clausola meramente formale, vuota di contenuti effettivi, che
andrebbe indifferentemente bene anche per l’attribuzione dell’incarico a qualunque altro concorrente. (T.A.R.
Campania Napoli, sez. II, 19 dicembre 2005 , n. 20462).
Peraltro, in senso parzialmente contrario, si era già
espresso il medesimo giudice amministrativo partenopeo,
temperando i principi sopra affermati e precisando che
l’amministrazione, anche quando scelga di affidare gli incarichi di progettazione, d’importo inferiore ad euro
100.000 e senza esperimento di una formale procedura
di aggiudicazione, come le è consentito dall’art. 7 comma 1, l. n. 166 del 2002, deve motivare la propria scelta dando sì conto delle ragioni della preferenza accordata,
in relazione agli indici di esperienza e specifica capacità
professionale desunti dal “curriculum” del professionista prescelto, ma nondimeno non è richiesta una comparazione analitica e puntuale dei “curriculum” di tutti
i partecipanti sulla base di criteri predeterminati. (T.A.R.
Campania Napoli, sez. II, 03 marzo 2005, n. 1547).
3. L’ultima formulazione della art. 17 L. Merloni
nel testo introdotto dalla L. Comunitaria 2004
La novella di cui all’art. 24, comma 5, l. 18 aprile 2005
n. 62, c.d. legge comunitaria per il 2004, recante disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità europea, contiene
una (prima) diversa disciplina degli affidamenti di valore inferiore a 100.000 (accogliendo le censure della Unione Europea nella procedura di infrazione che la stessa ha
intentato contro l’Italia nella materia de qua ed anticipando il complessivo intervento codificatore in ragione
dell’impellenza di adeguare il diritto interno a quello comunitario): da un lato, scompare il discusso riferimento
alla “fiducia” presente nel pre-vigente testo normativo;
dall’altro, la disciplina de qua viene conformata ai criteri di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, giusta indicazione emergente dalla recente Direttiva 2004/18/CE.
La citata novella rappresenta, quindi, il punto di arrivo di una successiva stratificazione normativa che, a
partire dall’originaria formulazione dell’art. 17 della l.
n. 109/94, configura un progressivo abbandono del modello dell’affidamento diretto degli incarichi tecnici da
parte dell’organo giuntale, in carenza di adeguata pubblicità, per introdurre il diverso modulo dell’affidamento degli incarichi sotto soglia, non puramente concorsuale, previa pubblicità e con obbligo di motivazione: può
sinteticamente affermarsi che, già con il D.P.R. n. 554/99,
gli incarichi fiduciari, consentiti fino a 40.000 euro, ex
art. 62, comma 1, del citato D.P.R., dovevano essere preceduti da adeguata pubblicità e l’affidamento doveva essere reso noto con adeguate formalità, in uno alle motivazioni della scelta; fermo restando, per gli importi superiori a tale cifra, le formalità proprie di una procedura concorsuale.
Tale connotazione di fondo resta sostanzialmente
immutata fino alla Merloni - ter, per essere poi modificato, come visto in precedenza, con la Merloni-quater (l. 1 agosto 2002 n. 166) che eleva da 40.000 a
100.000 la soglia dell’importo dei progetti da affidare, per il tramite del responsabile del procedimento, ai
soggetti di fiducia delle amministrazioni, previa verifica dell’esperienza e della capacità professionale degli stessi e con motivazione della scelta in relazione al
progetto da affidare.
La giurisprudenza ha prontamente colto la carica di
innovatività sottesa all’intervento del 2005, evidenziandosi come in tema di affidamento di incarichi di progettazione ovvero della direzione dei lavori di importo
stimato inferiore a 100.000, l’art. 17 comma 12, l. 11
febbraio 1994, n. 109, nel testo risultante dalla modifica introdotta dall’art. 24, l. 18 aprile 2005, n. 62, sebbene non introduca una nuova procedura concorsuale
tipica, essendo ispirata da intenti di semplificazione e speditezza dell’azione amministrativa, impone alle stazioni appaltanti di procedere agli affidamenti nel rispetto
dei principi, di chiara ispirazione comunitaria, di non
discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità
e trasparenza; detti principi, impongono senz’altro alle
stazioni appaltanti di dare adeguata pubblicità ai criteri di valutazione prescelti, di garantire la massima partecipazione alla procedura selettiva, di procedere alla
scelta dell’affidatario sulla base di una valutazione comparativa dei curricula pervenuti, e di motivare in ordine alle ragioni della scelta medesima, con la conseguenza
che, pur nell’ottica della massima semplificazione e speditezza correlata al limitato importo dell’incarico da affidare, le stazioni appaltanti non possono prescindere per
gli affidamenti dall’osservanza di una procedura di evidenza, esternando adeguatamente, nel rispetto del principio di trasparenza, le ragioni sottese alla scelta dell’affidatario. (cfr., T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 16
gennaio 2006 , n. 21 Corriere del merito 2006, 3)
Utili indicazioni al riguardo sono state rese dalle Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici con la Determinazione 19.01.2006, n. 1/06 (Gazzetta Ufficiale 14
febbraio 2006, n. 37), la quale nell’esplicare il significato dei richiamatici principi comunitari – i quali costituiscono altrettanti corollari del generale principio comunitario della tutela della libera concorrenza, in base
al quale si intende garantire a ciascun potenziale concorrente le stesse possibilità di partecipazione alle procedure di gara e l’imparzialità della relativa azione am-
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ministrativa - e dei correlati strumenti di attuazione, ha
elaborato le seguenti considerazioni
• i servizi di ingegneria di importo inferiore a 100.000
euro devono essere affidati dalle stazioni appaltanti
previo esperimento di una procedura competitiva e
comparativa, che dovrà essere preceduta dalla pubblicazione di un avviso, divulgato con modalità adeguate alla rilevanza dell’affidamento (ad esempio l’Albo pretorio, il sito internet, l’Albo della stazione appaltante...) e diffuso ai rispettivi Ordini professionali, al fine di raggiungere la più ampia sfera di potenziali professionisti interessati all’affidamento; l’Autorità, a questo proposito, insiste sulla necessità di assicurare adeguati tempi di pubblicazione;
• gli avvisi per l’affidamento dei servizi di ingegneria devono contenere gli elementi essenziali costituenti l’oggetto della prestazione, il relativo importo presunto,
il tempo massimo per l’espletamento dell’incarico, il
termine di ricezione delle offerte non inferiore a ventisei giorni dalla data di pubblicazione dell’avviso ed
ogni altro ulteriore elemento di cui all’articolo 63 del
D.P.R. 554/1999 ritenuto utile, nonché i criteri che verranno utilizzati per l’affidamento;
• i requisiti richiesti ai partecipanti alla selezione dovranno essere proporzionali all’incarico da affidare; è
dunque esclusa la possibilità di richiedere i requisiti
previsti per incarichi appartenenti a fasce superiori di
importo;
• il merito tecnico da esaminare nella fase di ammissione
alla selezione dovrà riguardare elementi meramente
quantitativi (accertamento dell’importo dei lavori appartenenti alle stesse classi e categorie dell’opera oggetto dell’incarico, eseguiti in periodo anteriore alla data del bando). Al contrario, il merito tecnico da valutarsi nella fase di affidamento dovrà intendersi con riguardo alle caratteristiche qualitative di progetti in precedenza redatti e presentati, che l’offerente ritiene rappresentativi della propria capacità progettuale e affini all’opera da progettare per tipologia ed importo.
In particolare, il principio di non discriminazione comporta, secondo la suddetta determinazione, il divieto di effettuare una selezione di concorrenti privilegiando coloro
che esercitano prevalentemente la loro attività nello stesso ambito territoriale in cui devono essere svolte le prestazioni. È invece possibile istituire un elenco di professionisti presso le singole stazioni appaltanti, a patto che:
• siano previsti idonei meccanismi riguardanti il relativo
aggiornamento periodico, anche semestrale;
• si adottino adeguate forme di pubblicità per garantire
ai professionisti in possesso dei prescritti requisiti il diritto di iscriversi all’albo stesso, senza limitazioni temporali;
• criteri e requisiti per la formazione dell’albo siano adeguatamente pubblicizzati (come richiesto anche dall’art.62, comma 1 del DPR 554/1999). Per “adeguata
pubblicità” secondo l’Autorità di Vigilanza deve inten-
dersi quindi quella pubblicità che, seppure semplificata,
permette di raggiungere la più ampia sfera di potenziali professionisti interessati all’affidamento, in relazione
all’entità ed all’importanza dell’incarico, tenendo anche
conto del contesto ambientale e di mercato.
4. La nuova disciplina del Codice dei Contratti Pubblici (D. Lgs.
N. 163/2006: Capo IV – Progettazione e concorsi di progettazione. Sezione I – Progettazione interna ed esterna, livelli della progettazione Artt. 90-112)
Il Codice dei Contratti, quanto alle caratteristiche sostanziali della progettazione esterna, ha, da un lato, riaffermato il principio della priorità della progettazione interna. Ed, invero, l’art. 90, comma 4 (che ripropone il comma 4 dell’art. 17 della Merloni) elenca (in modo da ritenersi tassativo) le ipotesi in cui è possibile affidare a soggetti esterni attività di progettazione e quelle tecnico-amministrative ad essa connesse:
• carenza di organico tecnico nelle stazioni appaltanti;
• difficoltà di rispettare i tempi della programmazione
dei lavori o di svolgere i compiti d’istituto;
• lavori particolarmente complessi o di rilevanza ambientale od architettonica;
• necessità di predisporre progetti integrali (progetti
elaborati in forma completa e dettagliata in tutte le sue
parti, architettonica, strutturale e impiantistica: art. 2
Regolamento) che richiedano l’apporto di competenze diversificate.
Ove ricorrano queste ipotesi, il responsabile del procedimento le accerta e le certifica.
Sul piano tipologico-contenustico deve osservarsi che
fino alla Merloni ter, l’art. 17, comma 4 della legge quadro ammetteva esplicitamente l’affidamento a progettisti esterni della redazione del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo o di parti di esso, nonché lo svolgimento di attività tecnico-amministrative. Dopo la L.
415/1998 e tutt’ora nella formulazione del Codice, il ricorso a progettisti esterni per l’effettuazione di singole
parti dell’attività progettuale non sembra più essere possibile: la norma, infatti, dispone che oggetto dell’affidamento può essere solo uno o più dei livelli progettuali.
L’art. 91, comma 4, inoltre, dispone che le progettazioni definitive ed esecutive sono affidate, in via generale,
al medesimo soggetto (non importa se pubblico o privato)
salvo che particolari ragioni, accertate dal responsabile
del procedimento, consiglino diversamente. Qualora i due
livelli di progettazione siano affidati a soggetti diversi, il
nuovo progettista dovrà esplicitamente accettare l’attività progettuale svolta dal predecessore.
L’affidamento può ricomprendere entrambi i livelli di
progettazione, fermo restando che l’avvio di quello esecutivo resta sospensivamente condizionato alla determinazione della stazione appaltante sulla progettazione definitiva. Interessanti sono altresì le disposizione che prevedono, per i progettisti interni, l’impossibilità di svolgere incarichi professionali nell’ambito territoriale del-
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l’ufficio di appartenenza, qualora abbiano un rapporto
a tempo parziale (art. 90, comma 4; si veda anche il disposto di cui all’art. 91, comma 8, che vieta l’affidamento di attività di progettazione, direzione, lavori, collaudo, indagine ed attività di supporto a mezzo di contratti a tempo determinato od altre procedure diverse da
quelle previste dalla legge); e, per i progettisti incaricati,
il divieto di partecipazione alla gara per l’aggiudicazione dei lavori dell’opera progettata (art. 90, comma 8), divieto che vale anche per le imprese collegate e controllate ai sensi dell’art. 2359 c.c. (residuando il problema
della rilevanza delle situazioni di cc.dd. controllo di fatto, secondo la più ampia previsione di cui all’art. 34, ult.
comma, D. Lgs 163/06. Sul punto cfr. Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici Determinazione n. 1/2007 dl
29 marzo 2007 “Partecipazione di concorrenti a gare di
progettazione”).
Con specifico riguardo alla disciplina procedimentale
degli incarichi di progettazione da affidare all’esterno, il
Codice Contratti, a differenza della pre-vigente legge
quadro che prevedeva tre diverse fasce di incarichi (fino
a 100.000 euro, da 100.000 alla soglia comunitaria, sopra soglia), individua ora una soglia unica e distingue:
• gli incarichi superiori a 100.000 euro che devono affidarsi secondo le procedure previste nella parte II del
Codice;
• gli incarichi di importo inferiore ai 100mila euro che
possono affidarsi mediante procedura negoziata senza la preventiva pubblicazione di un bando (si consideri però la possibilità di affidamento diretto da parte del RUP degli incarichi fino a euro 20.000,00 ai sensi dell’art. 125 dello stesso codice. Sul punto si rinvia
alle recenti indicazioni fornite dall’ Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici con la Determinazione n.
4/2007 del 29 marzo 2007, riportata per esteso nell’allegato al presente scritto.
Per questi ultimi la nuova normativa, se da un lato conferma le indicazioni di cui alla legge delega, dall’altro introduce un ulteriore – di non sempre facile comprensione sia nelle sue motivazioni che nella sua portata precettiva – passaggio dispositivo di tipo procedurale.
La norma in questione è costituita dall’art. 91, comma 2 del Codice, in base alla quale:
2. Gli incarichi di progettazione di importo inferiore
alla soglia di cui al comma 1 possono essere affidati
dalle stazioni appaltanti, a cura del responsabile del
procedimento, ai soggetti di cui al comma 1, lettere d),
e), f), g) e h) dell’articolo 90, nel rispetto dei principi
di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura
prevista dall’articolo 57, comma 6; l’invito è rivolto
ad almeno cinque soggetti, se sussistono in tale numero
aspiranti idonei.
Ne deriva che gli incarichi in esame possono essere affidati dalle stazioni appaltanti, a cura del responsabile del
procedimento nel rispetto dei principi di non discrimi-
nazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza e secondo la procedura prevista dall’articolo 57,
comma 6, vale a dire una procedura negoziata (senza previa pubblicazione di un bando) cui invitare almeno cinque soggetti:
“Ove possibile, la stazione appaltante individua gli
operatori economici da consultare sulla base di informazioni riguardanti le caratteristiche di qualificazione economico – finanziaria e tecnico – organizzativa
desunte dal mercato, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza, rotazione, e seleziona almeno
tre operatori economici, se sussistono in tale numero
soggetti idonei. Gli operatori economici selezionati
vengono contemporaneamente invitati a presentare le
offerte oggetto della negoziazione, con lettera contenente gli elementi essenziali della prestazione richiesta.
La stazione appaltante sceglie l’operatore economico
che ha offerto le condizioni più vantaggiose, secondo
il criterio del prezzo più basso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa, previa verifica del possesso
dei requisiti di qualificazione previsti per l’affidamento di contratti di uguale importo mediante procedura
aperta, ristretta, o negoziata previo bando”.
a) La prima novità concerne la posizione ed il ruolo del
RUP nella procedura di affidamento degli incarichi di
progettazione di ultima soglia.
Sul punto la precedente formulazione – “ per il tramite
del responsabile del procedimento” – aveva ingenerato dubbi interpretativi in ordina sia al rapporto tra personale burocratico e organi di indirizzo politico, sia tra
dirigente preposto all’ufficio competente ed il soggetto investito della responsabilità del procedimento.
Al riguardo, in ossequio alla più coerente e rigorosa
interpretazione del sistema di competenze nel rinnovato quadro dell’organizzazione amministrativa, viene precisato, implicitamente ma univocamente, che, alla medesima stregua delle altre forme di affidamento
di servizi, è in modo certo da escludersi un’attribuzione
di competenza nella materia in questione all’organo politico-amministrativo.
È noto che l’art. 3 del D.Lgs. n. 29/1993 e poi l’art. 4
del D.Lgs. n. 165/2001, che sono norme che esprimono
per espresso dettato dell’art. 1 dei medesimi D.Lgs. un
principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico, hanno sancito la separazione tra le funzioni di
indirizzo politico-amministrativo in capo agli organi
di governo, e le funzioni di gestione amministrativa della cosa pubblica in capo ai dirigenti delle Pubbliche
Amministrazioni. In coerenza al suddetto principio ai
dirigenti degli Enti Locali è dall’art. 107 del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali specificamente attribuita la competenza in materia di procedure
concorsuali d’appalto; ed in consonanza con il carattere di principio fondamentale espresso dalla normativa in materia, il citato art. 107 del T.U. ha stabilito
che le attribuzioni dei dirigenti non possono essere
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oggetto di deroga se non per espressa e specifica disposizione legislativa e che le disposizioni legislative
che conferiscono agli organi di governo l’adozione di
atti di gestione e di emissione di provvedimenti amministrativi s’intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti. Orbene in forza del quadro di principio e normativo richiamato è in modo certo da escludersi un’attribuzione di competenza nella
materia in questione all’organo politico-amministrativo. Invero già la pre-vigente disposizione legislativa
da ultimo citata stabiliva che la stazione appaltante dovesse procedere alla scelta del contraente “per il tramite del responsabile del procedimento,” e ciò, in base al solo tenore letterale della norma, è già sufficiente ad escludere la competenza in materia della Giunta Municipale. Se poi si tiene conto della nuova disposizione e la si legge, come i canoni di corretta ermeneutica esigono, con riferimento al descritto quadro di principio e normativo, non può sorgere dubbio
che in materia la competenza non è attribuita alla
G.M. ma al Dirigente dell’Ufficio.
b) In secondo luogo e soprattutto, il Codice delinea alcuni passaggi procedurali ma, in attesa di una disciplina regolamentare sul punto, residuano ancora importanti aspetti di discrezionalità delle Stazioni appaltanti e dubbi interpretativi
b1) Sul piano dell’efficacia temporale del novum in
questione, può discutersi se il rinvio operato con
riferimento al disposto di cui all’art. 57, co. 6
(norma attualmente sospesa fino al 31.07.2007 per
effetto del secondo correttivo operato dal D. Lgs.
N. 6/2007) comporti la temporanea inoperatività
anche della norma richiamante ovvero quest’ultima, secondo il modello del rinvio fisso e con soluzione ermeneutica che appare maggiormente
fondata, non abbia una sfera di efficacia del tutto
autonoma ed indipendente dalla sorte normativa
della disposizione richiamata.
b2) Sul piano sostanziale, non vi è dubbio che, sulla
scia della ratio già sottesa alla riforma del 2005,
la scelta del progettista esterno postuli
- a monte una iniziale fase di pubblicità che, attraverso la congrua conoscibilità dell’avviso, faccia emergere le intenzioni della pubblica amministrazione. Di qui l’indicazione, tra l’altro, dell’oggetto dell’affidamento, i requisiti minimi di partecipazione ed i criteri oggettivi di selezione.
- a valle una selezione di stampo comparativo (tra
almeno cinque soggetti) con motivazione non meramente idoneativa ma di preferenza sulla scorta
di prefissati parametri ed in base al criterio indicato in sede di avviso, il quale potrebbe, in tutto
od in parte strutturarsi esemplificativamente secondo il seguente schema:
i) capacità tecnico economica della struttura professionale con particolare riguardo ai servizi pre-
stati per la Pubblica Amministrazione;
II) capacità tecnico economica specifica relativa ad
opere della stessa categoria/tipologia realizzate negli ultimi anni;
III) caratteristiche qualitative di progetti in precedenza redatti, che l’offerente ritiene rappresentativi
della propria capacità progettuale e affini all’opera da progettare per tipologia;
IV) offerta economica, in considerazione dell’importanza dell’opera e del decoro della professione,
così come stabilito dall’art. 2233 c.c.;
V) tempi di espletamento dell’incarico in considerazione dell’importanza dell’opera e del decoro della professione, così come stabilito dall’art. 2233
c.c.;
VI) presenza, in un gruppo di professionisti, di un giovane con iscrizione all’albo inferiore ai 5 anni dalla data del presente bando (si veda al riguardo
l’art. 13, comma 12, della Legge Regionale N. 3
Del 27 Febbraio 2007 recante la “Disciplina dei
Lavori Pubblici, dei Servizi e delle Forniture in
Campania”, secondo cui
“La regione Campania, in accordo con gli ordini professionali, nel rispetto delle norme regolamentari statali, provvede ad agevolare ed incentivare la partecipazione dei giovani professionisti di cui al comma 7
anche attraverso forme di premialità e di riconoscimento ai fini curriculari della titolarità della parte del
servizio prestato”).
Al riguardo deve rammentarsi come la nuova normativa, accanto al criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa previa verifica dei requisiti di qualificazione
previsti, preveda la possibilità che l’affidamento abbia
luogo secondo il metodo automatico ed oggettivo del
“prezzo più basso” (eventualmente corretto con il sistema dell’esclusione automatica delle offerte anomale), secondo una tipologia attualmente resa in concreto operativa ed utilizzabile come criterio nella progettazione per
effetto della discussa abrogazione dei minimi tariffari
conseguente al cd. “Decreto Bersani (L. 248/06). Sul punto si rinvia alle recenti indicazioni fornite dall’ Autorità
per la vigilanza sui lavori pubblici con la Determinazione n. 4/2007 del 29 marzo 2007.
• Residua il problema centrale tendente a stabilire quale sia il metodo attraverso cui selezionare gli almeno
cinque candidati tra cui avviare la fase competitiva in
senso stretto. Ed, invero, escluso che la norma imponga la pubblicazione di un bando di gara (in tal senso va innanzi tutto colto il rinvio alla procedura negoziata senza bando, per la quale è prevista l’individuazione degli operatori da consultare “sulla base di
informazioni riguardanti le caratteristiche di qualificazione economico-finanziarie e tecnico-organizzative
desunte dal mercato”), non emergono dalla norma sicuri indici ermeneutici per stabilire in che modo le stazioni appaltanti possano dedurre queste informazio-
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ni, stante altresì l’assenza di un sistema di qualificazione dei progettisti.
Sul punto paiono ipotizzabili due antipodiche ricostruzioni interpretative
I) La norma impone un procedimento strutturato in termini trifasici:
A) una Fase iniziale connessa alla redazione e diffusione
dell’avviso, recante, tra l’altro, i criteri oggettivi di selezione dei candidati da invitare alla procedura competitiva (eventualmente insieme ai criteri ed ai punteggi
per l’individuazione della migliore offerta pervenuta
dai candidati selezionati, fermo restando che tale
adempimento può essere temporalmente differito alla fase dell’invito a presentare l’offerta)
B) una Fase intermedia, definibile in senso lato di prequalificazione, che giunga a designare tra coloro che
hanno dimostrato il possesso dei requisiti minimi di
ammissione, gli almeno cinque candidati da invitare
alla fase strettamente competitiva
C) una Fase finale, di competizione in senso stretto, nella quale gli almeno cinque candidati selezionati verranno invitati a presentare l’offerta, la cui valutazione, secondo i criteri sopra descritti, porterà alla scelta del progettista.
Si tratta con evidenza di un sistema fortemente modellato sullo schema dell’evidenza pubblica e certamente conforme rispetto ai segnalati e vincolanti principi comunitari di concorrenza; nondimeno, per un verso, siffatta selezione rischia di compromettere le altrettanto significative esigenze di semplificazione che dovrebbero caratterizzare l’affidamento di incarichi di non rilevante importo e complessità (tanto che la stessa procedura d’infrazione avviata contro il nostro precedente sistema non
imponeva l’obbligo di rispettare una procedura concorsuale tipica); e, dall’altro, rischia paradossalmente di
presentarsi come maggiormente complessa ed articolata rispetto all’affidamento di incarichi di progettazione
di importo compreso tra 100.000,00 euro e la soglia comunitaria, per i quali l’art. 125 del D. Lgs. N. 163/2006
prevede la possibilità che, con atto interno che espliciti
l’intenzione dell’amministrazione di acquistare servizi
(in genere ed in specie) di progettazione, rende legittima
l’applicazione della semplificata procedura dell’acquisto
in economia (essendo ivi statuito soltanto l’obbligo per
le stazioni appaltanti, senza previa pubblicità, di invitare almeno cinque candidati in possesso dei requisiti richiesti e di aggiudicare mediante un predeterminato criterio di selezione)
II) All’opposto, la norma – anche per frenare gli eccessi
garantisti prontamente emersi nella prima e citata giurisprudenza applicativa della Legge comunitaria per il
2004 – ha inteso circoscrivere la portata filo-concorrenziale sottesa all’applicazione dei menzionati principi comunitari soltanto alla fase competitiva tra i cinque soggetti, la cui preliminare scelta tuttavia non soggiace a vincoli comparativi, potendosi operare la relativa individuazione al di fuori di criteri oggettivi e predeterminati, salvo il possesso dei requisiti di qualificazione ed il vincolo di rotazione (non è chiaro se soltanto nei confronti del vincitore finale, non precludendo agli altri quatto di immediatamente concorrere in nuove procedure di affidamento; ovvero estendendo anche a questi ultimi il meccanismo rotativo, sull’altrettanto valido presupposto per cui comunque agli
stessi è stata riconosciuta l’astratta possibilità di concorrere per l’aggiudicazione, ma con il rischio di abusi e strumentalizzazioni ad excludendum). In altri termini, è stata avanzata la tesi che la nuova norma reintroduca – riveduto e corretto – un meccanismo di scelta fiduciaria sia pure tra i 5 competitori finali (i quali, anche se necessariamente in possesso dei prescritti
requisiti, nondimeno possono essere scelti fiduciariamente a parità di requisiti), salva la loro rotazione, per
effettuare una procedura di gara, con uno dei metodi
indicati, fra questi soli cinque.
E ciò, se indubbiamente comporta un recupero di semplificazione, speditezza ed efficienza (sub specie di celerità e duttilità degli strumenti giuridici rispetto al fine da
perseguire), nondimeno pone immediati problemi di compatibilità con il diritto comunitario nella misura in cui
reintroduce un nuovo momento di “fiduciarietà” che va
in controtendenza con la L. 62/2005
5. Conclusione.
Ecco quindi che la parabola normativa, lungi dal
considerarsi completata, rischia di mutarsi in pericolosa sinusoide in cui alti e bassi, tensione concorrenziale-comunitaria e spinta fiduciario-nazionale si alternano in una sequenza non lineare (e per certi versi
caotica) su cui la giurisprudenza amministrativa dovrà
necessariamente intervenire per porre chiarezza, in attesa di un probabile, ulteriore aggiustamento normativo di stampo legislativo-interno (eventualmente anche in sede di normazione regionale o regolamentare)
ovvero di un ennesimo procedimento di infrazione in
sede comunitaria.
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Codice dei contratti- individuazione dei soggetti che possono
partecipare agli appalti pubblici (art.34 ed art.3, comma 9)
TAR Campania, Napoli, sez.I, 7 marzo 2007, n.2507
●
Osservatorio
della giurisprudenza
in tema
di codice dei contratti
(D.Lgs. 12 aprile 2006, n.163)
● a cura di Almerina Bove
L’art. 34 del D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 non contempla gli enti pubblici tra i soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici; né una tale possibilità può essere evinta facendo riferimento all’art 3 comma 19 che
definisce la figura dell’imprenditore senza escludere
espressamente da tale categoria gli enti pubblici; la norma richiamata, infatti, fa riferimento ad una nozione di
imprenditore quale soggetto che “offre sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la
prestazione di servizi”, configurandolo alla stregua di
un operatore economico ben diverso dalla natura e dalla funzione propria di un ente pubblico; del resto, tale norma assume più che altro una portata definitoria generale, mentre è solo l’art. 34 che individua i soggetti che
possono assumere contratti pubblici, categoria in cui non
figurano in alcun modo gli enti pubblici.
Avvocatura regionale della Campania
Codice dei contratti- ambito soggettivo ed oggettivo
di applicazione- (art.3, comma 26)
Tar Campania, Napoli, sez.VIII, 15 gennaio 2007, n.844
1. La Cassazione a Sezione Unite, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione (Cassazione, SS.UU.,
sentenza n. 107 del 2 marzo 1999), ha puntualmente e perentoriamente precisato, per un verso, che le società consortili costituite per la costruzione e la gestione dei centri agro alimentari di interesse regionale o provinciale, a norma dell'art. 11 comma 16 della L. 18 febbraio 1986, n. 41, sono persone giuridiche di diritto privato, pur in presenza della partecipazione maggioritaria di capitale pubblico, ovvero
della erogazione di contributi pubblici. Per la verità,
nella funzione, nella struttura, nelle attività e nelle vicende di queste società non è ravvisabile alcun connotato pubblicistico, che valga a differenziarle da
qualsiasi altro società o impresa privata, che soddisfi
"interessi aventi carattere industriale o commerciale".
Né appare rilevante la erogazione di contributi pubblici. Invero, la costruzione del centro agro alimentare
- sia per la titolarità del bene costruito (spettante ad
un soggetto di diritto privato qual è la società consortile), sia per il difetto assoluto di ogni possibile configurazione di un qualsiasi diritto di uso pubblico sul
bene stesso - non può qualificarsi come opera pubblica, la cui realizzazione possa costituire oggetto di
concessione o di altro atto di conferimento di poteri
pubblicistici (in relazione all'esercizio dei quali possa profilarsi la giurisdizione del giudice amministrativo) (Cass., Sez. Un., 22 giugno 1994, n. 5973). Per
altro verso, le SS.UU. della Cassazione hanno ulteriormente chiarito che, appurato essere la committente
dell'appalto una società consortile per azioni, com-
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posta da enti pubblici territoriali, da istituzioni creditizie, nonché da associazioni di diritto privato, segue che la società opera come persona giuridica privata, nell'esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con gli enti pubblici che
partecipano al capitale sociale. Di qui la conclusione
per cui sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie promosse nei confronti della
società dai terzi interessati a partecipare a gare di appalto, indette per la costruzione e la gestione dei centri agro alimentari di interesse regionale o provinciale (in tema: Cass., Sez. Un., 5 marzo 1996, n. 1726;
Cass., Sez. Un., 6 maggio 1995, n. 4989).
2. Tali argomentazioni sono senz’altro condivise dal Collegio, anche alla luce di una duplice concorrente serie
di considerazioni attinenti alla irrilevanza nel caso di
specie sia del richiamo, sul versante soggettivo, alla
particolare categoria giuridica dell’“organismo di diritto pubblico”; sia in relazione, sul versante oggettivo, alle previsioni di cui all’art 33, comma 2, lettera
e) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 e dell’art. 6 della L. n. 205/2000. Quanto al primo aspetto, deve innanzi tutto essere rammentato che la stessa pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione, sia
pure in relazione alla disciplina degli appalti di pubblico servizio - dopo aver precisato che la società consortile non possa classificarsi tra le amministrazioni
dello Stato e tra gli enti pubblici territoriali; che non
possa considerarsi neppure come ente pubblico non
economico, per difetto di attribuzione dei compiti
pubblici e, in particolare, per la mancanza di norme
speciali, che la riguardino: ovverosia, per l'assenza
dei riferimenti di diritto positivo, in conformità con
il principio di legalità che informa la materia – conclude nel senso che la società consortile non può ricomprendersi neppure tra gli organismi di diritto pubblico, i quali costituiscono l'unica figura soggettiva in
cui potrebbe inserirsi, stante la tipicità degli enti specificamente menzionati dall'art. 2 comma 1 cit. Alla
società difetta, invero, il primo e il più importante dei
caratteri, che deve possedere l'organismo di diritto
pubblico: vale a dire il fine pubblico, come viene definito dall'art. 1, lett. b) comma 2, primo alinea, della Direttiva 92-50 CEE, che fa riferimento ad un organismo "istituito per soddisfare bisogni di interesse
generale aventi carattere non industriale o commerciale". Trattasi di conclusioni che mantengono la loro piena validità anche con riferimento al settore degli appalti di lavori pubblici in relazione ai quali la
normativa di riferimento considera ente pubblico qualsiasi organismo, dotato di personalità giuridica, istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale e la cui attività goda in misura maggioritaria di finanziamenti pubblici ovvero la cui gestione è
sottoposta al controllo dei soggetti parimenti pubbli-
ci. Si tratta di un nozione che viene, significativamente, ripresa e condotta a sistema dal nuovo codice
dei contratti pubblici (art.3, comma 26, D. lgs n.
163/2006), il quale, accanto al dato giuridico-formale del possesso della personalità giuridica (anche in forma societaria) ribadisce il duplice requisito della funzionalizzazione dell’attività in vista del perseguimento di finalità di interesse collettivo (istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale) e
dell’assoggettamento, in senso lato, a controlli pubblici (attività sia finanziata in modo maggioritario
dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia
soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui
organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è
designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o
da altri organismi di diritto pubblico)
3. Quanto al secondo profilo, neppure può sostenersi che,
pur prescindendosi dalle definizioni di “amministrazione aggiudicatrice” della normativa interna e comunitaria, possa venire in rilievo la circostanza secondo cui l’odierna resistente avrebbe mostrato essa
stessa di considerarsi tenuta alle procedure di "evidenza pubblica" indicendo una gara secondo lo schema normativo dei contratti pubblici, posto che, se pure il C.A.A.N. si fosse autolimitato scegliendo spontaneamente di applicare la normativa dell’“evidenza
pubblica”, ciò non basterebbe a rendere applicabile
le previsioni di giurisdizione amministrativa esclusiva di cui al d. lgs. n. 80/98 ed alla l. 205/2000, giacché esso si riferisce ai “soggetti comunque tenuti alla
applicazione delle norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale”, e non ai soggetti che applichino quelle norme pur senza esservi tenuti. In conclusione, il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione.
Codice dei contratti- obbligo di osservanza dei principi di trasparenza e non discriminazione anche negli appalti sotto soglia- giurisdizione
TAR Campania, Napoli, sez. II, 18 gennaio 2007, n. 2600
1. Per i soggetti che sono - a prescindere dalla formale
veste giuridica presentata- organismi di diritto pubblico, o concessionari pubblici, sussiste comunque
una necessità di applicazione di procedure concorrenziali trasparenti, la cui struttura procedimentalizzata comporta la sussistenza della giurisdizione amministrativa, sia pure di sola legittimità, indipendentemente dalla applicazione dell’art. 6 legge 205/2000.
Ne consegue che la natura di RFI, società che persegue scopi e bisogni relativi a strutture o impianti inerenti alla circolazione dei treni e alla manutenzione delle infrastrutture ferroviarie, in virtù di specifica con-
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cessione ai sensi del D. Lgs. 188/2003, è certamente
finalizzata alla realizzazione dei bisogni che qualificano l’organismo di diritto pubblico alla stregua della normativa di riferimento, e comporta la necessità
di applicazione di procedure concorrenziali trasparenti
e procedimentalizzate (cfr Cass. SS.UU. 4.5.2006 n.
10218).
2. Al fine di verificare se il giudice amministrativo sia dotato o meno di giurisdizione in tema di appalti, il problema non è tanto di verificare se a seguito del superamento della c.d. soglia comunitaria scatti o meno
l’applicazione della disciplina prevista per gli appalti
soprasoglia, ma piuttosto di accertare se l’amministrazione ( o il soggetto ad essa equiparato) sia tenuta o meno a scegliere il contraente secondo procedure di carattere amministrativo che garantiscano, attraverso la procedimentalizzazione delle stesse, il rispetto dei principi di trasparenza e di parità di trattamento. E’ irrilevante, ai fini che interessa, l’affermazione contenuta in numerose pronunce, nel senso
che ai fini del riparto di giurisdizione, non può rilevare l’adozione, ancorché libera e non obbligata, di
una procedura di evidenza pubblica da parte della
amministrazione aggiudicatrice, in quanto altrimenti
ciò renderebbe di fatto così la stessa P.A. arbitra di scegliere, in prospettiva, la giurisdizione che preferisce
(Cass. Sez. Unite, n. 17635/2003 e Cons. Stato, Ad.
Plen. n. 9/2004). Invero, ciò si riferisce alla sussistenza della giurisdizione esclusiva ex artt. 6 e 7 legge
205/2000, e non può comportare deroga ai principi
in tema di ricorribilità degli atti lesivi di interessi legittimi, non essendo ammissibile una deroga al regime di impugnativa costituzionalizzato nell’art. 103
Cost.
Occorre, piuttosto, accertare se una determinata procedura di scelta del contraente sia stata indetta per libera scelta dell’amministrazione, che avrebbe quindi potuto stipulare il contratto con qualsiasi soggetto liberamente individuato, o per rispetto di un obbligo, di seguire un procedimento di natura amministrativa, che,
benché non disciplinato nel dettaglio dal legislatore, garantisca la trasparenza, l’imparzialità e la non discriminazione nella scelta. Peraltro, siffatto accertamento
non comporta il discrimine tra giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria, ma tra giurisdizione
amministrativa esclusiva e giurisdizione amministrativa di mera legittimità.
In questa seconda ipotesi, anche nei casi in cui non si
applica una dettagliata disciplina di derivazione comunitaria (quale quella in tema di appalti pubblici soprasoglia di lavori, di forniture o di servizi), il provvedimento di aggiudicazione, ancorché sia collocato all’interno del procedimento (civilistico) preordinato alla conclusione del contratto, ha natura amministrativa
per quanto concerne l’individuazione del contraente,
contenendo, in primo luogo, un atto (amministrativo)
di accertamento (costitutivo) e solo in secondo luogo
la manifestazione di volontà (negoziale) della pubblica
amministrazione in ordine al contratto da stipulare.
La aggiudicazione assume così una valenza procedimentale ed amministrativa ed integra una vera e propria determinazione autoritativa dell’esito della procedura selettiva, mediante una statuizione propria degli atti pubblici diretti a creare certezze legali privilegiate ed a incidere sulla posizione soggettiva degli
aspiranti all’aggiudicazione, qualificabile come di interesse legittimo.
3. Anche quando un soggetto pubblico non è direttamente tenuto all’applicazione di una specifica disciplina per la scelta del contraente, il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento comunitario (ritraibili principalmente dagli articoli 43 e 55 del trattato C.E.), nonché dei principi generali che governano la materia dei contratti pubblici impone all’amministrazione procedente di operare con modalità che
preservino la pubblicità degli affidamenti e la non discriminazione delle imprese, mercé l’utilizzo di procedure competitive selettive (cons. Stato, VI, n.
1206/2001 con riferimento ad un appalto sottosoglia; IV, n. 253/2002; V, n. 2294/2002). In tali ipotesi il provvedimento di aggiudicazione assume la natura di atto amministrativo che incide su posizioni di
interesse legittimo, con conseguente devoluzione delle relative controversi al giudice amministrativo.
Gare d’appalto bandite da commissari per l’emergenza traslatio iudicii innanzi al Tar Lazio, quale giudice funzionalmente competente in primo grado.
Tar Campania Napoli, sez.II, 2 aprile 2007, n. 4786.
A tenore delle disposizioni di cui agli artt.2 bis, 2 ter,
2 quater del d.l.30 novembre 2005, convertito in legge
27 gennaio 2006, n. 21 (pubblicata sulla G.U. 28 gennaio 2006, n. 23), deve ritenersi funzionalmente competente a dirimere controversie in ordine a gare d’appalto
bandite da commissari per l’emergenza il TAR del Lazio-sede di Roma, risultando le richiamate disposizioni
applicabili anche ai giudizi in corso ed indipendentemente dal profilo connesso al carattere urgente e necessitato dell’intervento amministrativo;
Ai fini del trasferimento della controversia nella sede
competente, non può essere utilizzato l’ordinario meccanismo previsto per l’ipotesi di incompetenza territoriale, ostandovi il disposto letterale della norma che parla di “riproposizione” de “il ricorso”; nondimeno, anche al fine di evitare situazioni pregiudizievoli per ragioni
di territorio e conformemente al recente orientamento
espresso dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 77
del 2007, devono ritenersi maggiormente conformi al
principio di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 Cost.) quelle soluzioni ermeneutiche che, secondo il meccanismo della traslatio iudicii,
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consentano di pervenire alla salvezza degli effetti sostanziali e processuali delle domande giudiziali non correttamente instaurate per effetto di non univoci assetti
ordinamentali, di tal che deve statuirsi per le parti l’onere di riassumere il giudizio dinanzi al giudice competente nel termine massimo previsto dall’art. 50 c.p.c.
Codice dei contratti- valutazione offerte economiche- ampiezza del’obbligo motivazionale e contenuto della verbalizzazione (art.83)
Consiglio di Stato, sez.V, 7 novembre 2006, n.. 1790/07
1. La questione della idoneità del punteggio numerico a
supportare, sul piano motivazionale, il giudizio valutativo espresso dalle commissioni di gara ha formato
oggetto di una costante attenzione della giurisprudenza del Consiglio di Stato.
Al riguardo, dopo numerose oscillazioni, la giurisprudenza amministrativa sembra orientarsi verso una
soluzione abbastanza articolata, che vuole coniugare
efficienza e razionalità nella tutela delle parti. Gli indirizzi interpretativi formatisi sull’argomento possono sintetizzarsi nei seguenti punti.
Secondo Cons. Stato n. 67/2003, il solo punteggio numerico può essere ritenuto una sufficiente motivazione in relazione agli elementi di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, quando i criteri
prefissati di valutazione siano estremamente dettagliati. Sicché, anche il solo punteggio numerico, di cui
sono prestabiliti il minimo e il massimo, è idoneo a
dimostrare la logicità e congruità del giudizio tecnico. Non senza considerare che l’obbligo di motivazione è imposto dall’art. 3, legge n. 241/1990, per i
provvedimenti, vale a dire gli atti finali del procedimento, e non anche per gli atti preparatori, quali gli
atti di giudizio.
Analogamente, secondo Cons. Stato, V, n. 6007/2004,
e Cons. Stato, V, 6 ottobre 2003 n. 5899, il solo punteggio numerico può essere ritenuto una sufficiente
motivazione in relazione agli elementi di valutazione
dell’offerta economicamente più vantaggiosa, quando i criteri prefissati di valutazione siano estremamente dettagliati, e ciò per rendere percepibile l’iter
logico seguito nell’attribuzione del punteggio, se non
attraverso diffuse esternazioni verbali, relative al contenuto delle prove, quanto meno mediante taluni elementi che concorrano ad integrare e chiarire la valenza
del punteggio, esternando le ragioni dell’apprezzamento sinteticamente espresso con l’indicazione numerica.
Altra giurisprudenza, poi, si è fatta carico di definire
le modalità e i contenuti della verbalizzazione delle
operazioni di gara, allo scopo di comprendere pienamente l’iter compiuto dalla commissione (Cons. Stato, VI n. 1458/04). In tal modo, senza specificare la
presenza di un obbligo di motivazione, si definisce il
ruolo della documentazione delle attività compiute.
La verbalizzazione non deve condurre alla minuziosa
descrizione delle attività svolte e delle singole opinioni espresse, ma deve essere proporzionata ed adeguata rispetto all’attività esercitata, e, quindi, in relazione all’esistenza di ampi poteri discrezionali di valutazione di offerte tecniche complesse, come quella in esame, deve dare conto compiutamente ma con economia di mezzi, dell’iter logico seguito nell’attribuzione
dei punteggi a maggioranza.
2. Il codice dei contratti pubblici affronta, in parte, il tema indicato, stabilendo, all’articolo 83, che la commissione giudicatrice, prima dell’apertura delle buste
contenenti le offerte, fissa in via generale i criteri motivazionali cui si atterrà per attribuire a ciascun criterio e subcriterio di valutazione il punteggio tra il minimo e il massimo prestabiliti dal bando.
La norma esprime, al tempo stesso, il limite negativo
e il potere positivo dell’organo collegiale. Si cerca di
raggiungere un delicato punto di equilibrio tra il principio di trasparenza, che impone di definire nel bando il peso, anche relativo, attribuito a ciascuno dei criteri di valutazione, e la necessità che, in ogni caso, anche l’attività della commissione sia predefinita nel suo
svolgimento.
La formula utilizzata dalla legge (“criteri motivazionali”), evidenzia il collegamento molto stretto con la
motivazione concreta della valutazione di ciascuna
offerta. Sembra recuperato, allora, un certo ruolo della commissione, più in linea con gli indirizzi espressi
dal giudice comunitario.
La circostanza che si debbano preventivamente fissare i parametri motivazionali induce a ritenere che,
poi, debba essere definita la giustificazione della scelta conclusiva e della valutazione di ciascuna offerta;
ma la previsione di una rete fittissima di criteri e modalità di attribuzione dei punteggi, spesso incentrata
proprio su formule matematiche, dovrebbe rendere più
facile il ricorso alla motivazione espressa con dati numerici.
Codice dei contratti - insussistenza di qualsivoglia equivalenza tra aggiudicazione e contratto, anche in ipotesi di consegna anticipata dei lavori.
TAR Campania, Salerno, sez. I, 23 novembre 2006-15
febbraio 2007, n. 304
Il provvedimento di aggiudicazione non può essere assimilato all’atto civilistico rappresentato dal contratto.
Il D.Lgs. n. 163/06 (“Codice dei Contratti Pubblici”) non applicabile alla fattispecie ratione temporis, ma pur
sempre esplicazione di un trend normativo destinato in
quanto tale a lumeggiare l’interprete - espressamente
esclude la ridetta equivalenza, ribadendo implicitamente che il contratto costituisce il crinale che separa la giurisdizione ordinaria da quella amministrativa. Difatti la
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giurisdizione esclusiva del G.A. in materia di appalti
pubblici di lavori comprende tutti gli atti connessi con
la fase immediatamente anteriore a quella della stipula
del contratto, ivi comprese tutte le controversie nascenti dalla mancata esecuzione degli obblighi titolati nell’aggiudicazione definitiva dell’appalto, quali quelli collegati, ad esempio, alla prestazione della garanzia fidejussoria, alla ricezione della consegna dei lavori in via
d’urgenza, alla stipulazione e approvazione del contratto nei termini di legge (T.A.R. Lazio, sez. III, 27 ottobre
2005, n. 9941). Invece le controversie che insorgano dopo la stipulazione del contratto vertono propriamente su
questioni di diritto soggettivo (T.A.R. Latina, 12.3.2005,
n.307; T.A.R. Basilicata, 19.2.2005, n.98; Cass. Civ.
SS.UU. 18.10.2005, n.20116). Si ritiene, in particolare,
che siano conoscibili dal G.O. le controversie sugli atti
con i quali l’Amministrazione, dopo la stipula del contratto, provvede unilateralmente alla rescissione o risoluzione del contratto, attesa l’incidenza di una siffatta misura negoziale, che viene assunta “iure privatorum”, su
posizioni di diritto soggettivo, che non degradano ad interesse legittimo per il fatto che l’atto di rescissione o risoluzione riveste la forma dell’atto amministrativo (Cass.
Civ. SS.UU., 27.4.2005, n.8701; n. 20116/2005 citata;
31.3.2005, n.6743; C.S., sez. VI, Ord. Caut. 29.4.2005,
n.2092; T.A.R. Campania, NA, sez.I, 18.7.2005,
n.9918). T.A.R. Abruzzo, L’Aquila - 24 maggio 2006, n.
372. Non così invece per quanto attiene alla fase che conduce al provvedimento di aggiudicazione, atteso che tale atto, ancorché sia collocato all’interno del procedimento (civilistico) preordinato alla conclusione del contratto, ha natura amministrativa per quanto concerne
l’individuazione del contraente, contenendo, in primo
luogo, un atto (amministrativo) di accertamento (costitutivo) e solo in secondo luogo, quasi sempre, anche la
manifestazione di volontà (negoziale) della P.A. in ordine al contratto da stipulare. La aggiudicazione assume
così una valenza procedimentale ed amministrativa ed integra una vera e propria determinazione autoritativa
dell’esito della procedura selettiva, mediante una statuizione propria degli atti pubblici diretti a creare certezze
legali privilegiate ed a incidere sulla posizione soggettiva degli aspiranti all’aggiudicazione, qualificabile come
di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del
G.A. (Consiglio Stato, sez. VI, 15 novembre 2005, n.
6368). La controversia attiene esclusivamente alla fase
anteriore alla conclusione del contratto, con sussistenza
della giurisdizione del G.A. in materia, anche se ha avuto luogo la consegna dei lavori - con conseguente emersione di reciproche posizioni di diritto soggettivo e di obbligo - atteso che questa non esclude, ma anzi presuppone la successiva stipula del contratto con la definitiva
consacrazione delle rispettive posizioni obbligatorie. La
consegna dei lavori per ragioni di urgenza, quindi, non
altera la linea di confine che separa i perimetri dei due
plessi giurisdizionali, assumendo la valenza di ulteriore
tappa di avvicinamento al traguardo della stipula contrattuale seppure contrassegnata, per il profilo di urgenza che connota l’interesse pubblico sotteso all’esecuzione dei lavori in appalto, dalla precoce insorgenza di
posizioni inquadrabili nello stilema proprio del diritto
soggettivo (e contrapposto obbligo), che nemmeno possono dirsi non conoscibili dal giudice amministrativo
per la natura esclusiva della sua giurisdizione.
DIRITTO
Commerciale
L’amministrazione nella nuova S.r.l.
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Corrado d’Ambrosio
Giudice presso il Tribunale di Napoli
Limiti e condizioni della presenza della S.r.l.
sul mercato del capitale di credito
Corrado d’Ambrosio
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●
L’amministrazione
nella nuova S.r.l.
● Corrado d’Ambrosio
Giudice presso il Tribunale di Napoli
•••
1 Sul punto si veda, in luogo di molti, G. C. Rivolta, La società a responsabilità limitata, Milano, 1982, 4 ss
2 Di Cataldo, La società a responsabilità limitata nel disegno di leg-
E’ noto che la società a responsabilità limitata non può
vantare una tradizione analoga alla collettiva ed alla accomandita, che hanno origini nel medioevo, ed alla società anonima (oggi società per azioni), che deriva dalle Compagnie delle Indie sorte nel secolo XVII.
Infatti, la s.r.l. nasce non prima del XIX secolo e deriva
secondo alcuni dalla private company inglese, secondo
altri dalla Gesellschaft mit beschrankter Haftung1; è pertanto una sorta di new entry nel mondo delle società, il
che ha determinato incertezze di inquadramento tipologico, di disciplina ed ovviamente di interpretazione della stessa.
La codificazione del 1942 introduce per la prima volta la società a responsabilità limitata, che, tuttavia, non
viene disciplinata con un corpo di norme autonomo ma
mediante una regolamentazione che presenta disposizioni
di rinvio alla normativa dettata in tema di s.p.a. di carattere non generale ma specifico e relativo a singole norme regolatrici della stessa, il che ha finito per determinare l’appiattimento della S.r.l. sulla s.p.a. ed il suo configurarsi quale satellite della società azionaria, privo di
autonoma fisionomia, o dotato di essa soltanto a metà2,
con conseguente svuotamento della sua originaria caratterizzazione personalistica3.
E’ evidente poi che la mancanza di un corpo autonomo
di norme, da una parte, e l’assenza di un rinvio generale
alla disciplina in tema di s.p.a., dall’altro, ha finito con il
determinare molteplici questioni interpretative, ed in particolare se il mancato richiamo di questa o quella disposizione dettata in tema di s.p.a. debba essere intesa quale volontà del legislatore di dettare sul punto un regola diversa
o debba essere superato, in omaggio all’armonia del sistema, mediante il ricorso alla applicazione analogica di norme dettate in tema di società per azioni.
Il legislatore della riforma si è fatto carico di queste
esigenze ed ha previsto (art.3 comma 1 lett. a L.
366/2001) un autonomo ed organico complesso di norme, anche suppletive, modellato sul principio della rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i
soci, con ciò intendendo restituire autonomia alla S.r.l.
nei confronti della s.p.a. ed accentuare il carattere personalistico che questo tipo sociale aveva già nella matrice codicistica originaria, nella quale, tuttavia, risultava compresso dalla struttura corporativa prevista in funzione della tutela dei terzi e resa necessaria dalla limitazione della responsabilità dei soci.
Nella nuova S.r.l., con il solo limite del rispetto del
principio di certezza nei rapporti con i terzi, la libertà
organizzativa dei soci, espressa sotto forma di principio
ge delega per la riforma del diritto societario. Prime riflessioni sul nuovo regime, in La corporate governance nelle società non quotate, Milano, 2001, 31 ss
3 Non sono mancati, a dire il vero, tentativi di restituire alla s.r.l. autonomia.: si veda G. Zanzarone, S.r.l. contro s.p.a. nella legislazione
recente, in Giur. comm., 1995, I, 391 ss.
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generale al comma 1° lett. c dell’art. 3 legge delega, finisce con il diventare la regola aurea, traducendosi poi
nelle più analitiche indicazioni contenute al comma 2°
lett. e, con cui si prescrive al legislatore delegato di riconoscere “ampia autonomia statutaria riguardo alle
strutture organizzative, ai procedimenti decisionali della società e agli strumenti di tutela degli interessi dei soci, con particolare riferimento alle azioni di responsabilità”4.
Nella s.r.l. disegnata dal legislatore delegato5 si assiste ad una significativa riduzione delle norme di rinvio
alla disciplina della società azionaria, con conseguente
incremento delle disposizioni espressamente destinate
alla società a responsabilità limitata, ed alla introduzione di alcune norme modellate su regole tipiche della società di persone, il che è prevedibile renderà difficile la
vita dell’interprete, allorquando si dovrà individuare la
disciplina di fattispecie non espressamente regolate, che,
a dire il vero, non sono proprio pochissime. In tal caso,
se il venir meno della tecnica legislativa del rinvio consentirà il ricorso all’interpretazione analogica, non sarà
agevole capire se la normativa da applicare analogicamente dovrà essere reperita nella disciplina della società azionaria o della società di persone.
Proprio con riferimento alla disciplina della funzione
di amministrazione è agevole constatare questo fenomeno6.
Il novellato art. 2475 comma 1 del codice civile prevede infatti che l’amministrazione venga assegnata ai soci, salva diversa disposizione dell’atto costitutivo: questo significa che l’amministrazione può essere affidata anche a non
soci in virtù di una previsione espressa dell’atto costitutivo, il quale potrebbe non solo indicare i primi amministratori (art. 2462 secondo comma n.8 c.c.) e le modalità
di nomina degli eventuali amministratori successivi (art.
2462 secondo comma n.7 c.c.) ma prevedere anche l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti
l’amministrazione della società (oltre che la distribuzione
degli utili) (art. 2468 terzo comma). La locuzione “ particolari diritti riguardanti l’amministrazione” è molto ampia e potrebbe legittimare eventuali clausole che attribuiscano ad un singolo socio o a determinati specifici soci il
diritto esclusivo di designare gli amministratori della società o che autorizzino uno o più soci determinati ad in-
terferire nella gestione affidata all’amministratore vietando, ad esempio, il compimento di specifici atti da sottoporre
preventivamente alla loro approvazione.
Come ho già detto, i primi amministratori sono nominati nell’atto costitutivo (art. 2463 comma 2 n.8), il
che non rappresenta certamente una novità, che invece
può sussistere in ipotesi di amministratori nominati successivamente. A tale proposito il “vecchio” art. 2487
comma 2 c.c. rinviava al disposto dell’art. 2383 primo
comma, che prevede la competenza assembleare in ordine alla nomina degli amministratori. Il nuovo art.
2475 comma 1 c.c. stabilisce che gli amministratori della società a responsabilità limitata sono nominati con
decisione dei soci (che può assumere la forma della deliberazione assembleare o di una delle altre possibili
modalità decisionali previste dall’art. 2479) con salvezza di una eventuale diversa disposizione dell’atto costitutivo. Quest’ultima previsione, coordinata con la
disposizione dettata in tema di decisione dei soci, secondo cui sono riservate alla competenza esclusiva dei
soci la nomina degli amministratori, se prevista nell’atto costitutivo, indurrebbe a ritenere legittime modalità
convenzionali alternative di nomina degli amministratori: e cioè riserva della nomina ad uno solo dei soci ovvero unanimità dei soci anche per la nomina degli amministrativi successivi.
L’ampio spazio riconosciuto all’autonomia contrattuale induce a ritenere legittimo il silenzio dell’atto costitutivo in ordine al numero dei futuri amministratori,
che può essere determinato di volta in volta con decisione
dei soci.
In ordine ai requisiti soggettivi degli amministratori,
non è più richiamato l’art. 2382 c.c. sulle cause di ineleggibilità e di decadenza degli amministratori di s.p.a.,
per cui diventa sovrano l’atto costitutivo della società a
responsabilità limitata, analogamente alla durata in carica degli amministratori, per la quale continua a mancare qualsiasi limite legale.
In assenza di qualsiasi previsione normativa in tema
di revoca, cessazione, sostituzione degli amministratori e
di compensi ad essi spettanti, l’atto costitutivo detterà la
disciplina, in assenza della quale si potrà far ricorso alla
disciplina codicistica in tema di mandato, non essendo più
richiamata la disciplina della società per azioni.
•••
cietà di capitali, Milano, 2003, 201 ss., Rordorf, I sistemi di amministrazione e di controllo nella nuova s.r.l., in Le Società, 2003, 664,
Organizzazione e processi decisionali, in Aa. Vv., Il nuovo diritto delle società, a cura dell’Associazione Disiano Preite, Bologna, 2003, 249
ss., P. Benazzo, L’organizzazione nella nuova s.r.l. fra modelli legali e
statutari, in Le Società, 2003, 1071 ss F. Parrella, Commento sub
art.2475, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, in Le nuove leggi del diritto e dell’economia, dir. da M. Sandulli
e V. Santoro, 3, Torino, 2003, 107, S. Ambrosini, Appunti in tema di
amministrazione e controlli nella riforma delle società, in Le Società
2003, p. 355 ss, C. Caccavale, L’amministrazione, la rappresentanza
ed i controlli, in Aa.Vv. La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2003, 329 ss
4 Per un esame delle disposizioni della legge delega 3 ottobre 2001
n. 366 in tema s.r.l. si veda M. Perrino, La nuova s.r.l. nella riforma
delle società di capitali, in Riv. soc., 2002, 1118 ss
5 Il riferimento è ovviamente al decreto legislativo 17 gennaio 2003
n.6 in G. U. 22 gennaio 2003 n. 17 suppl. ord. N. 8/L
6 Sull’amministrazione nella nuova s.r.l. si veda, tra gli altri, Buonocore, La società a responsabilità limitata, in Aa.Vv., La riforma del
diritto societario, Torino, 2003, p. 136 ss L. De Angelis, Amministrazione e controllo nella società a responsabilità limitata, in Riv. Soc.,
2003, 469 ss., Abriani, Le società a responsabilità limitata. Decisioni dei soci. Amministrazioni. Controlli., in Aa. Vv., Diritto delle so-
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Va, inoltre, tenuto presente che l’eventuale diritto ad
amministrare attribuito ad un singolo socio, ai sensi dell’art. 2468 comma 3, può essere modificato soltanto
con il consenso di tutti i soci, salva diversa disposizione
dell’atto costitutivo, il che indurrebbe ad escludere in questo caso l’operatività della revoca dell’amministratore.
In ordine alla struttura dell’organo amministrativo, il
legislatore della riforma delinea tre modelli di amministrazione pluripersonale. Il modello base è rappresentato dal tradizionale organo collegiale - il consiglio di amministrazione (art. 2475 comma 3) -, che, venuta meno
la disciplina di rinvio alla società per azioni, risulta poco regolamentato. Infatti, si prevede solo che l’atto costitutivo può contemplare l’adozione di deliberazioni
con metodo non propriamente collegiale ma referendario, ossia mediante consultazione scritta o sulla base di
consenso espresso per iscritto, ipotesi in cui dai documenti sottoscritti dagli amministratori devono risultare
con chiarezza l’argomento oggetto della decisione ed il
consenso alla stessa.
Nulla è previsto in ordine ai tempi e ai modi della convocazione, delle riunioni, e delle deliberazioni del consiglio, alle eventuali deleghe di funzioni a singoli amministratori e al loro rapporto con l’organo collegiale
né in ordine alla disciplina delle eventuali invalidità di
tali deliberazioni e delle conseguenti impugnative (a differenza di quanto prevede il nuovo testo dell’art. 2388
c.c. in ordine alle società per azioni). Soltanto le delibere consiliari viziate da conflitto di interessi sono oggetto di una disciplina espressa, su cui ci si soffermerà
in seguito.
La struttura collegiale rappresenta il modello suppletivo di amministrazione, potendo l’atto costitutivo prevedere il modulo dell’amministrazione pluripersonale
disgiuntiva, che consente a ciascun amministratore di
compiere autonomamente qualsiasi operazione relativa
alla società, salvo il diritto degli altri amministratori di
opporsi prima che l’operazione sia compiuta.
Se l’opposizione dell’altro amministratore è proposta
tempestivamente, la decisione sulla stessa sarà rimessa
alla maggioranza dei soci ai sensi dell’ultimo comma
dell’art. 2257 c.c. e sarà assunta nelle forme previste dal
novellato art. 2479 c.c..
Relativamente al regolamento dei conflitti gestionali,
va, peraltro, segnalato l’art. 37 del decreto legislativo n.
5 del 2003 sulla disciplina delle controversie in materia
societaria, che è rubricato “risoluzione di contrasti sulla
gestione di società” e prevede la facoltà degli atti costitutivi delle società di persone e delle società a responsabilità limitata di deferire ad uno o più terzi la risoluzione dei contrasti insorti tra gli amministratori in ordine al-
le decisioni da adottare nella gestione della società, aggiungendo che i medesimi atti costitutivi possono anche
prevedere la reclamabilità della decisione davanti al collegio secondo modalità ed entro termini indicati nello statuto della società. E’ inoltre possibile attribuire al soggetto
o al collegio chiamato a dirimere questi contrasti la facoltà di dare indicazioni vincolanti anche sulle questioni
collegate con quelle espressamente deferitegli. Tutte le decisioni adottate in forza di siffatte previsioni dell’atto costitutivo saranno impugnabili a norma dell’art. 1349
comma 2, ossia soltanto in caso di mala fede.
E’ difficile rinvenire il fondamento di questa normativa nella legge delega, giustificare la sua collocazione nel
titolo relativo all’arbitrato, laddove si tratta di figura riconducibile al cosiddetto arbitraggio, come si desume dal
richiamo all’art. 1349 c.c., ed infine accettare l’idea che
un terzo estraneo alla società possa interferire nella gestione della stessa al di fuori dei circuiti funzionali e decisionali della società, del regime di impugnazione dei
relativi atti e di responsabilità dei relativi organi.
Altro modello di amministrazione pluripersonale adottabile dalla s.r.l. è rappresentato dalla amministrazione
congiuntiva prevista dall’art. 2258 in tema di società di
persone, che prevede la necessità del consenso di tutti i
soci amministratori per il compimento delle operazioni
sociali, salvo che vi sia urgenza di evitare un danno alla
società.
Questo modello gestorio può poi contemplare, accanto alla configurazione normale in cui le decisioni
debbono essere prese all’unanimità, l’ipotesi in cui, in generale o solo per determinati atti, le decisioni vengano
assunte a maggioranza.
Al di fuori delle opzioni contrattuali dei soci sono poste alcune decisioni concernenti la redazione dei progetti di bilancio, di fusione o di scissione, o quelle di aumento del capitale sociale delegato agli amministratori,
per le quali l’art. 2475 comma 5 c.c. pone una riserva di
competenza in capo all’organo amministrativo7.
In ordine alla distribuzione del potere tra soci ed amministratori, va rilevato che, escluse alcune competenze
inderogabilmente attribuite dal legislatore agli amministratori (si pensi alla redazione del progetto di bilancio,
dei progetti di fusione e scissione ai sensi dell’art. 2475
c.c.), i soci decidono sulle materie ad essi riservate nell’atto costitutivo nonchè sugli argomenti che gli stessi amministratori vogliano loro rimettere (art. 2479 comma
1 c.c.). Questo significa che, fatte salve le materie inderogabilmente riservate alla competenza dei soci (art.
2479 comma 2 c.c.), il rapporto tra potere decisionale
dei soci e potere gestorio degli amministratori potrà essere modulato liberamente.
•••
7
Questa è la formulazione più recente della norma, a seguito del-
l’errata corrige pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.153 del 4 luglio
2003.
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Va ancora ricordato che nella nuova disciplina della
amministrazione della s.r.l. non è più previsto il divieto
di concorrenza a carico degli amministratori, che continua, invece, ad essere imposto agli amministratori di società per azioni dall’art. 2390.
Come si è precedentemente accennato, anche in tema
di conflitto di interessi degli amministratori il legislatore ha abbandonato la tecnica del rinvio alla normativa
della s.p.a. ed ha disciplinato nell’art. 2475 ter c.c. l’unico vizio delle delibere consiliari in modo differente dal
corrispondente art. 2391 c.c..8
L’art. 2391 c.c., rubricato “Interessi degli amministratori” , disciplina infatti in modo dettagliato gli obblighi di informazione e di astensione facenti capo agli
amministratori di società per azioni che abbiano un proprio interesse (che potrebbe anche non essere configgente) in operazioni della società, prevede i casi in cui la
violazione dei relativi obblighi gravanti sul singolo amministratore determina l’invalidità delle deliberazioni
dell’organo collegiale, ed infine dispone in tema di responsabilità. Nessuna disciplina viene dettata, come d’altronde accade nel testo originario, in ordine ai contratti stipulati dall’amministratore in conflitto di interessi,
per i quali si ritiene applicabile la disciplina generale del
conflitto di interessi dettata dall’art. 1394 c.c., che prevede l’annullabilità del contratto stipulato dal rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato, su
domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o conoscibile dal terzo.
Il nuovo statuto legale della s.r.l. prevede, invece, nell’art. 2475 ter c.c., rubricato “Conflitto di interessi”,
una specifica disciplina dei contratti stipulati dagli amministratori in conflitto di interessi, che riproduce, peraltro, la disciplina generale dettata dall’art. 1394 c.c.,
per cui non si capisce l’esigenza cui questa disciplina fa
fronte, alla luce della considerazione che l’estensione
analogica della norma dettata in tema di contratto in generale si ammetteva anche con la vecchia disciplina e continua ad ammettersi in tema di contratti stipulati dagli
amministratori di società per azioni in conflitto di interessi.
Il secondo comma del medesimo articolo prevede poi
l’impugnabilità delle decisioni adottate dal consiglio di
amministrazione con il voto determinante dell’amministratore in conflitto di interessi entro tre mesi, qualora
cagionino alla società un danno patrimoniale, con salvezza dei diritti acquistati dai terzi in buona fede.
Questa disposizione, che sembrerebbe applicabile soltanto all’amministrazione collegiale, non differisce in
modo rilevante dalla omologa disposizione dettata in
tema di società azionaria (art.2391 c.c.), anche se quest’ultima fa riferimento alle deliberazioni che “possono
recare danno alla società”, laddove in tema di s.r.l. si fa
riferimento alle deliberazioni che “cagionino un danno
patrimoniale” alla società.
Ma quale è la ratio di questa diversa disciplina, che,
se interpretata con adesione al dato letterale, priverebbe lo strumento impugnatorio in esame, che ha natura
reale, di larga parte della sua funzione preventiva, con
invasione e quindi restrizione della sfera riservata all’azione risarcitoria? Inoltre, l’interpretazione letterale della disposizione in esame confliggerebbe con il regime dell’impugnazione delle deliberazioni assembleari (o decisioni dei soci) assunte con la partecipazione determinante di un socio che sia in conflitto di interessi con la
società, nel quale è richiesto non il danno patrimoniale
effettivo ma il danno potenziale (art. 2479- ter comma
2 c.c. ).
•••
Riv. Soc., 2003, p.48 e D. Maffeis, Il nuovo conflitto di interessi degli amministratori di società per azioni e di società a responsabilità
limitata: (alcune) prime osservazioni, in Riv. Dir. Priv, Milano, 2003
n.3, p.517 ss
8 Sul tema del conflitto di interessi nella riforma si segnalano Salanitro, Gli interessi degli amministratori nelle società di capitali, in
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●
Limiti e condizioni
della presenza della S.r.l.
sul mercato
del capitale di credito
● Corrado d’Ambrosio
Nella vigenza del codice civile del 1942, come è noto, soltanto la società per azioni ha potuto fare ricorso a tutte le
risorse del finanziamento di debito laddove la società a responsabilità limitata si è dovuta accontentare del credito
bancario, essendo alla stessa preclusa l’emissione di titoli
obbligazionari e di strumenti finanziari di contenuto similare, come previsto dall’art. 2486 terzo comma c.c. e dall’art. 18 L. 216/1974 (sostituito dall’art. 12 L. 77/1983).
L’esclusività dell’utilizzo dello strumento tipico di raccolta del capitale di credito, rappresentato dalle obbligazioni, da parte della società per azioni – regola, peraltro,
propria non solo del nostro ordinamento- aveva un fondamento incerto ed aveva resistito ad ogni tentativo di forzatura in via interpretativa. A tale proposito si ricorda che
la Corte di Cassazione, pronunziandosi in materia di trasformazione di una società per azioni in società a responsabilità limitata in presenza di un prestito obbligazionario ancora in corso, confermava “la precisa scelta delimitativa dell’accesso al prestito obbligazionario alle società
su base azionaria, secondo una valutazione aprioristica e
vincolante circa l’esclusiva attitudine di esse alle relative
operazioni”.
Da tempo si discute dell’opportunità di consentire anche ad altri tipi di società l’accesso al mercato del capitale
di credito, alla luce anche delle esperienze di altri paesi.
Prima del nuovo articolo 2483 c.c., che, come si vedrà
funditus di qui a breve, attribuisce alla società a responsabilità limitata la facoltà di emettere titoli di debito, non
sono mancate nella recente evoluzione legislativa aperture del mercato del capitale di credito anche ad altri soggetti, in direzione dell’abbattimento di quello che sì è atteggiato sin dall’inizio come un autentico privilegio della
società per azioni con finalità non già solidaristiche di garanzia di conservazione e di buon impiego del piccolo risparmio ma efficientistiche di attribuzione di maggiore
danaro alle grandi imprese.
Il riferimento è non tanto alla disciplina delle obbligazioni bancarie, che possono essere emesse sia dalle banche costituite in forma di società per azioni sia in forma
di società cooperative, e sono obbligazioni sui generis, che
poco hanno in comune con le obbligazioni di cui all’art.
2410 ss. c.c.
Infatti, l’emissione di obbligazioni da parte delle banche costituisce ormai un atto di gestione dell’impresa e
l’obbligazione uno dei tanti titoli utilizzabili per la raccolta
del risparmio.
In realtà, la descritta tendenza legislativa verso un ampliamento del novero dei soggetti abilitati ad accedere al
mercato del capitale di credito emerge soprattutto dall’art.
11 del T. U. bancario, che ha completamente rivisto la materia, consentendo la raccolta del risparmio a tutte le imprese (art.11 comma 4 lett. e).
In particolare, l’art. 11 Tub distingue tra raccolta del
risparmio tra il pubblico, che non è consentita a soggetti
diversi dalle banche (comma 2) e raccolta del risparmio in
forma diversa (comma 3).
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Per raccolta del risparmio in forma diversa si intende,
sulla base delle Istruzioni della Banca d’Italia, a) il reperimento di risorse sulla base di trattative personalizzate con
singoli soggetti, per i quali tale operazione si inserisce, di
norma, in una gamma più ampia di rapporti di natura economica con il soggetto finanziato b) l’acquisizione di fondi connessa con l’emissione e la gestione, da parte di un
fornitore di beni o servizi, di carte prepagate utilizzabili
esclusivamente presso lo stesso c) l’acquisizione di fondi
da parte della società con obbligo di rimborso presso banche, società finanziarie iscritte all’albo di cui all’art. 107
T. U. banc. o società finanziarie capogruppo di gruppi bancari, imprese di assicurazione, SIM, SICAV e fondi pensione d)raccolta del risparmio presso i soci iscritti da almeno tre mesi nel libro dei soci e con una partecipazione
di almeno il 2% del capitale sociale e) raccolta presso società controllanti, controllate o collegate f) raccolta del risparmio presso dipendenti nei limiti del capitale versato e
delle riserve.
Il medesimo T. U. Banc. esonera alcuni soggetti dal divieto di raccolta del risparmio tra il pubblico, ed in particolare, tra gli altri, “le società per azioni ed in accomandita per azioni per la raccolta effettuata, nei limiti previsti dal codice civile, mediante l’emissione di obbligazioni”,
“le società cooperative per la raccolta effettuata mediante l’emissione di obbligazioni”, “le società e gli enti con
titoli negoziati in un mercato regolamentato per la raccolta
effettuata mediante titoli anche obbligazionari”, “gli enti sottoposti a forme di vigilanza prudenziale individuati
dal Cicr” nonché “le imprese per la raccolta effettuata tramite banche ed enti sottoposti a forme di vigilanza prudenziale che esercitano attività assicurativa o finanziaria”
(art. 11 comma 4 lett. c, c-bis, d., d-bis, e).
Nell’elenco riportato di alcuni dei soggetti esentati dal
divieto di raccolta del risparmio tra il pubblico di cui all’art. 11 comma 2, va posta l’attenzione sulla raccolta effettuata da imprese tramite gli intermediari nominati dalla norma (banche, imprese di assicurazione, categorie di
intermediari finanziari individuate dal CICR), con osservanza dei “limiti e dei criteri stabiliti dal CICR, anche con
riguardo all’attività svolta dall’emittente”. Tali imprese, che
si identificano sostanzialmente nelle società a responsabilità limitata, sono, pertanto, legittimate soltanto ad una
raccolta indiretta del risparmio, essendo obbligatoria una
attività di intermediazione, di cui viene lasciata impregiudicata la forma tecnica e, soprattutto, in buona misura indeterminato il ruolo assegnato agli intermediari.
La normativa secondaria, che ha attuato l’art. 11 T.U.
bancario, consente l’accesso al capitale di credito alle imprese di cui al comma 4 lett. e), e quindi, come dianzi affermato, alle società a responsabilità limitata, a condizione che abbiano presentato per i tre anni precedenti il bilancio in utile, che i titoli siano assistiti da una garanzia,
di ammontare non inferiore al 50% del valore di sottoscrizione, prestata da determinate categorie di intermediari
vigilati (banche italiane, comunitarie e succursali di ban-
che extracomunitarie, imprese di assicurazione e intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale dell’art. 107
del t.u. banc.) ed infine che emettano titoli di debito rientranti nelle categorie delle cambiali finanziarie o dei certificati di investimento.
Come anticipato, il decreto legislativo 6/03 apre definitivamente le porte del mercato del capitale di credito alla s.r.l., rimuovendo il divieto di emissione di obbligazioni (già art. 2486 terzo comma c.c.) e consentendo alla stessa, sulla base di una previsione dell’atto costitutivo (art.
2483 c.c.), di emettere “titoli di debito”; locuzione questa estranea al codice civile ed adoperata in letteratura per
indicare titoli di credito emessi non già solvendi causa ma
credendi causa, in funzione cioè della provvista di capitale di credito. Questa locuzione viene poi ripresa dall’art.
1 comma 2 lett. b) del T.u.f. (d.lgs.58/98), che annovera
tra gli strumenti finanziari “le obbligazioni, i titoli di Stato e gli altri titoli di debito negoziabili sul mercato dei capitali”.
Da questa disposizione, che ricomprende le obbligazioni
nel novero dei titoli di debito, si desume che le società a
responsabilità limitata possono emettere oggi le obbligazioni ed i titoli ad esse assimilabili.
Come si è detto, condizione per procedere alla emissione
di titoli di debito è rappresentata dall’esistenza di una previsione dell’atto costitutivo, la quale rappresenta un limite legale del potere di rappresentanza della società, per cui
si deve ritenere inapplicabile, in ipotesi di emissione non
prevista dall’atto costitutivo, l’art. 2475 bis c.c., che, al pari dell’art. 2384 c.c., esclude l’opponibilità delle limitazioni
“che risultano dall’atto costitutivo….anche se pubblicate” ai terzi, salvo che si provi che costoro hanno agito intenzionalmente a danno della società. Pertanto, la società non sarà obbligata e il capitale versato dal sottoscrittore potrà essere considerato come una attribuzione sine
causa e, quindi, ripetibile.
Ovviamente, nell’ipotesi di emissione prevista dall’atto costitutivo ma posta in essere in violazione di limiti, modalità e maggioranze necessarie, sarà applicabile l’art.
2475 bis.
L’atto costitutivo dovrà stabilire il procedimento di
emissione dei titoli di debito, attribuendo la relativa competenza ai soci o agli amministratori. In questa opzione
deformalizzatrice in tema di emissione delle obbligazioni,
che deriva dall’ampliamento degli spazi dell’autonomia statutaria, che, come noto, rappresenta il leit motiv di tutto
l’intervento riformatore, si avverte l’influenza del regime
previsto per le obbligazioni bancarie dall’art. 12 T. U. bancario, che, alla luce del carattere di attività di ordinaria gestione dell’attività dell’impresa bancaria proprio dell’emissione delle stesse, attribuisce la relativa competenza agli
amministratori.
Nella disciplina normativa dei titoli di debito de quibus, non vengono fissati limiti quantitativi all’emissione,
diversamente da quanto prevede in tema di s.p.a. l’art.
2412 c.c., che fissa nel doppio del capitale sociale, della
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riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato il plafond per le emissioni di obbligazioni al portatore o nominative.
Invero, il legislatore rimette per la s.r.l., anche in questo caso, all’autonomia statutaria la determinazione di
siffatti limiti, i quali, pur essendo indicati quali eventuali,
è opportuno che siano specificati.
Una lettura sistematica del nuovo art. 2483 c.c. induce
a ritenere che il finanziamento cartolarizzato della s.r.l.
può atteggiarsi, al pari del finanziamento obbligazionario di cui agli art. 2410 ss. c.c., come postergato (art. 2411
comma 1 c.c.), indicizzato (2411 comma 2 c.c.) e variabile nella remunerazione “in dipendenza di parametri oggettivi anche relativi all’andamento economico della società”.
La scelta del legislatore della riforma di esaltare l’autonomia statutaria potrebbe indurre a ritenere legittime anche operazioni di finanziamento dal contenuto ulteriore
rispetto a quello oggi testualmente compatibile con l’emissione di obbligazioni: si pensi all’eventuale finanziamento cartolarizzato di una associazione in partecipazione o di altra cointerezzenza.
In linea di massima, invece, inammissibile deve ritenersi
l’emissione di titoli di debito convertibili in partecipazioni sociali, ad instar delle obbligazioni convertibili, che
configgerebbe con il divieto assoluto di fare delle partecipazioni “oggetto di sollecitazione all’investimento” (art.
2468 comma 1).
L’art. 2483 c.c. può, invece, fungere da fattore di rilancio
delle cambiali finanziarie di cui alla L. 43/94, che potrebbero rappresentare lo strumento naturale del finanziamento cartolarizzato, a cui la disposizione in esame concede alla nuova s.r.l. di accedere.
Va segnalata poi la pubblicità del regolamento del prestito, essendo previsto che la decisione di emissione, che
prevede le condizioni del prestito e le modalità del rimborso, venga iscritta, a cura degli amministratori, presso
il registro delle imprese. Alla luce di questa previsione, il
titolo potrà fare rinvio alla delibera di emissione soggetta a pubblicità e quindi potrà atteggiarsi quale titolo a letteralità incompleta.
Va ancora segnalato che la modifica delle condizioni del
prestito e delle modalità del rimborso deve essere espressamente prevista dalla decisione di emissione dei titoli e
deve essere decisa dalla maggioranza dei possessori degli
stessi.
Proseguendo nell’esame del nuovo art. 2483 c.c., si deve ritenere che i titoli considerati sono valori mobiliari ai
sensi dell’art. 129 T.u. banc., che il rapporto fondamentale alla base dell’emissione dei titoli di debito è un contratto di mutuo e che si tratta di titoli di massa, dato che
la decisione maggioritaria postulata dall’art. 2483 comma 3 c.c. per la modifica delle condizioni del prestito e delle modalità del rimborso presuppone una pluralità di possessori dei titoli.
L’accesso della s.r.l. alla tecnica cartolare per la raccol-
ta del capitale di credito non è però senza limiti, essendosi cercato un equilibrio tra l’esigenza di rendere praticabile ed utile per la società a responsabilità limitata il ricorso a questa forma di finanziamento e l’esigenza di assicurare la necessaria salvaguardia degli interessi dei risparmiatori.
In questa prospettiva, i titoli emessi possono essere sottoscritti soltanto da investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali; nell’ipotesi di trasferimento, l’alienante risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti. Di questa garanzia legale della solvenza della società, non possono godere gli acquirenti che siano investitori professionali o soci
della società medesima.
Da questa nuova previsione normativa si desume, pertanto, che i titoli di debito, pur essendo titoli di massa, sono connotati da una riserva di sottoscrizione in favore di
particolari soggetti, che si interpongono tra la società emittente ed il pubblico, e che sono qualificati “investitori
professionali soggetti a vigilanza prudenziale”.
A dire il vero, la prima stesura della disposizione, inviata alle Commissioni parlamentari per il parere di cui
all’art. 1 comma 4 della L.366/01, faceva riferimento agli
“investitori qualificati” e le disposizioni di attuazione dello schema di decreto legislativo (art. 9 dello schema di decreto, che introduceva l’art. 111-quater disp.att. codice civile) precisavano che tali erano quelli definiti ai sensi dell’art. 30 secondo comma del decreto legislativo 24 febbraio
1998 n. 58.
Tale disposizione veniva criticata, in quanto la locuzione
adoperata “investitori qualificati” consentiva di comprendere anche soggetti non dotati di alcuna capacità di
fornire garanzie patrimoniali. Conseguentemente il testo
definitivo ed attualmente vigente ha sostituito quella formula con la locuzione “investitori professionali soggetti a
vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali”, la quale non risulta presente, nella sua integrità, nel lessico della normativa primaria e secondaria, laddove le due componenti della stessa - investitori professionali e vigilanza
prudenziale- si rinvengono la prima nel TUF - artt. 30, 100e la seconda nel TUB - art. 11.
Ma allora chi sono gli “investitori professionali soggetti
a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali”, a cui
fa riferimento l’art. 2483 c.c. comma 2?
La cerchia dei soggetti considerati dalla disposizione in
esame probabilmente è desumibile dall’art. 28 del regolamento Consob in materia di emittenti, che, sotto la rubrica
“investitori professionali”, rinvia agli investitori definiti
dall’art. 31 del regolamento Consob in materia di intermediari. Il menzionato art. 31 comma 2 definisce operatori qualificati – tra gli altri- gli enti sottoposti a vigilanza prudenziale quali “intermediari autorizzati, società di
gestione del risparmio, SICAV, fondi pensione e le compagnie di assicurazione”.
Abbiamo detto che, salvi i casi in cui acquirenti dei titoli di debito siano altri investitori qualificati o i soci del-
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la società, l’alienante risponde della solvenza della società.
Da questa formulazione normativa è legittimo inferire
che la responsabilità dell’alienante è disegnata sulla analoga regola del diritto comune in tema di cessione del credito (art. 1267 c.c.): chi trasferisce il titolo risponde nei limiti quanto ha ricevuto. Resta, ovviamente, salvo il caso
in cui il trasferente sia gravato di una responsabilità più
intensa, in ragione dello strumento cartolare utilizzato.
Così, in ipotesi di emissione in serie dei titoli cambiari, il trasferimento per girata avrebbe per effetto la responsabilità di regresso per l’intero del girante. In questo
modo, tuttavia, verrebbe meno il regime tributario agevolato proprio delle cambiali finanziarie, tra le condizioni del quale la legge indica l’apposizione alla girata della
clausola senza garanzia (art. 1 comma 2 L. 43/94).
Il trasferente deve essere suscettibile di facile identificazione, per cui deve escludersi che possano emettersi titoli al portatore (come i certificati di investimento di cui
alla normativa secondaria in materia di raccolta del risparmio, che possono essere anche al portatore): l’operazione di finanziamento cartolarizzato deve avvalersi necessariamente di titoli a legittimazione nominale (nominativi o all’ordine).
Come si è già detto, non è revocabile in dubbio che i titoli di debito debbano essere considerati come mezzi di raccolta del risparmio (ai fini dell’art. 11 TUB), come prodotti finanziari (ai fini del regime del prospetto in caso di
sollecitazione all’investimento, ai fini, cioè, degli artt. 94
ss. TUF) come valori mobiliari (ai fini dell’art. 129 TUB)
e rientrano nella nozione di strumenti finanziari (art. 1
comma 2 lett. b).
Tuttavia, la riserva di sottoscrizione dei titoli ad investitori professionali qualificati, con esclusione del collocamento tramite gli stessi presso il pubblico, dovrebbe
rendere la s.r.l. emittente esente dall’applicazione della
normativa primaria e secondaria in materia bancaria e di
intermediazione finanziaria.
La riserva di sottoscrizione da parte dei soggetti menzionati (tanto più nella prospettiva della garanzia della solvenza del sottoscrittore trasferente) crea una netta soluzione di continuità tra società emittente e pubblico, che
dovrebbe renderla immune dalle normative indicate, il
che rappresenta una condizione essenziale perchè questa
nuova tecnica di finanziamento non resti sulla carta.
E’ chiaro però che, nell’ipotesi di successivo trading dei
titoli di debito da parte dei sottoscrittori, al fine di recuperare la liquidità investita, le normative menzionate torneranno ad essere applicabili.
In ordine alla spazio di operatività della garanzia di solvenza della società a responsabilità limitata, in ipotesi di
circolazione del titolo, prevista dell’art. 2483 comma 3,
la lettera della norma indurrebbe a ritenere che il primo
intermediario sottoscrittore risponde della solvenza della
società in ogni caso, anche nelle ipotesi in cui l’obbligazione è stata collocata tra il pubblico da altro investitore
qualificato, successivo prenditore del titolo.
E’ chiaro che questa soluzione interpretativa rischia di
disincentivare il ricorso al mercato dei capitali da parte delle imprese, poiché non è credibile che un intermediario accetti tale ruolo di garante, con relativa immobilizzazione
di capitale, anche quando la circolazione del titolo tra il
pubblico non è stata da lui voluta.
Probabilmente, la tutela dell’investitore non qualificato andava perseguita non attraverso queste forme di garanzie dell’intermediario, che rischiano, come testè detto,
di disincentivare il ricorso a tali forma di indebitamento
da parte della s.r.l., bensì ponendo il sottoscrittore in condizione di valutare natura e caratteristiche dell’investimento, rendendo obbligatorio la predisposizione di un
prospetto informativo.
A questo punto, dopo aver disegnato il percorso evolutivo che parte dall’art 11 comma 4 lett. e) del T.u.b. e
giunge al nuovo art. 2483 c.c., è possibile formulare qualche conclusione.
L’art. 11 comma 4 lett. d) e e) del T. u. b. e le relative
disposizioni di attuazione già citate1 abilitano le società a
responsabilità limitata, che presentino bilanci in utile nei
tre anni precedenti, ad emettere titoli a breve (cambiali finanziarie) ed a medio termine (certificati di investimento),
unicamente con una garanzia di ammontare pari al 50%
dell’investimento da parte dell’intermediario che per conto della società si rivolge al pubblico e, soprattutto, senza che la successiva cessione comporti altri impegni da parte del cedente.
Il nuovo art. 2483 c.c. prevede, invece, nell’ipotesi di
circolazione successiva del titolo, che la banca o l’eventuale
altro intermediario finanziario, che hanno sottoscritto i titoli, dovranno concedere un affidamento del 100%, con
il conseguente blocco della emissione di titoli.
Questo significa che le società a responsabilità limitata, che hanno i requisiti di cui all’art. 11 comma 4 lett.
d) e e) del T. u. b. e relative disposizioni di attuazione,
emetteranno titoli a breve (cambiali finanziarie) ed a
medio termine (certificati di investimento), con l’unica
novità rappresentata dalla facoltà di emettere titoli legittimamente denominabili obbligazioni, e si avvarranno dell’art. 2483 c.c. soltanto per la disciplina riguardante
l’emissione, laddove le società a responsabilità limitata
con bilanci in perdita faranno uso integralmente della
nuova disciplina.
DIRITTO
Tributario
Irap e professionisti: imposta non dovuta,
ma è complicato evitare il pagamento
Giuseppe Pedersoli
Dottore Commercialista, Docente a contratto Università di Napoli Federico II
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●
Irap e professionisti:
imposta non dovuta,
ma è complicato
evitare il pagamento
● Giuseppe Pedersoli
Dottore Commercialista, Docente a contratto
Università di Napoli Federico II
Premessa
I professionisti che non che utilizzano in misura moderata beni strumentali e hanno una “normale” organizzazione del lavoro, possono evitare il pagamento dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (Irap). E’ però molto difficile restare indenni da azioni di recupero
da parte dell’Erario, perché i modelli per la dichiarazione dei redditi (UNICO) sono costruiti ad arte per evitare auto-esoneri. In altre parole: la Corte di Cassazione si
è pronunciata in favore dei lavoratori autonomi che, in
forza dell’attività professionale basata essenzialmente
sull’intuitus personae, si ritengono esonerati dal versamento dell’Irap; tuttavia, il contenzioso dinanzi alle Commissioni Tributarie sembra inevitabile a chi non vuol pagare l’imposta.
Dopo le recenti sentenze della Suprema Corte, su cui
si tornerà più avanti, i comportamenti possibili per i professionisti che si considerano esclusi dal versamento dell’Irap, sono sostanzialmente quattro:
1) presentare UNICO omettendo la compilazione del
quadro IQ dell’Irap, esponendosi al rischio (rectius: alla certezza) di un accertamento di cui all’articolo 41
Dpr 600/73 per omessa presentazione della dichiarazione (e con ulteriore possibilità di un accertamento
induttivo);
2) presentare UNICO con il quadro IQ ma “forzando”
le deduzioni per azzerare la base imponibile; in questa ipotesi l’accertamento avviene ai sensi dell’articolo 39 Dpr 600/73 per infedele dichiarazione;
3) compilazione e presentazione del quadro IQ ma senza effettua il versamento dell’Irap; in tal caso la dichiarazione dei redditi viene liquidata ai sensi dell’articolo 36 bis Dpr 600/73, con invio di un avviso bonario prima e di una cartella di pagamento poi;
4) presentare regolarmente UNICO con il quadro IQ regolarmente compilato, versare l’Irap; successivamente chiedere il rimborso dell’imposta pagata ed eventualmente ricorrere contro il silenzio - rifiuto.
In ciascuna delle ipotesi, come si sarà compreso, il
professionista non può autonomamente sottrarsi all’obbligo tributario del pagamento dell’Irap, o almeno non
può farlo liberamente: dovrà infatti portare il proprio caso all’attenzione della magistratura tributaria.
Il comportamento da tenere in vista della imminente
scadenza delle dichiarazioni dei redditi deve essere deciso caso per caso, valutando la posizione di ciascun contribuente – professionista in relazione al contenuto delle recenti sentenze della Corte di Cassazione. Oltre, naturalmente, ai costi da sostenere per il contenzioso, che
dopo in due gradi di giudizio in Commissione Tributaria Provinciale e Regionale, potrebbe approdare in Corte di Cassazione.
Ciò premesso, il presente lavoro si svilupperà attraverso le seguenti linee direttrici: breve ricognizione delle
sentenze in materia di Irap dovuta dai professionisti;
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analisi delle conseguenze in ciascuna delle quattro ipotesi, sopra menzionate, per sfuggire al pagamento dell’Irap; impostazione del contenzioso tributario.
Breve ricognizione delle recenti sentenze
della Corte di Cassazione in materia di Irap e professionisti
Un primo gruppo di sentenze, per l’esattezza nove, è stato depositato il 16 febbraio 2007 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione: (numeri da 3672 al 3680).
A giudizio della Suprema Corte, il primo elemento da individuare per comprendere se il professionista sia soggetto
o meno ad Irap, è l’organizzazione. Le recenti sentenze
chiariscono che l’esercizio di un’attività protetta (notai,
dottori commercialisti, avvocati, medici ecc.) non è di per
sé sufficiente a negare l’esistenza di una “autonoma organizzazione”. Tale requisito deve essere accertata caso
per caso dal magistrato tributario, il cui giudizio è insindacabile. L’autonoma organizzazione è da ricercarsi
nella presenza delle seguenti condizioni:
• i beni strumentali impiegati (computer, automezzi, telefoni ecc.) non sono tali da lasciar presupporre una
prevalenza del capitale investito rispetto a lavoro del
professionista;
• il professionista è il responsabile dell’organizzazione
e non è quindi inserito in strutture organizzative che
siano riferibili a responsabilità ed interessi di altri.
E’ evidente, quindi, che qualora il lavoratore autonomo non abbia lavoratori dipendenti, non si avvalga di collaborazioni abituali e non possegga beni strumentali,
viene meno, senza dubbio, il presupposto impositivo dell’Irap. In tutti gli altri casi che si potrebbero definire “intermedi” la valutazione è affidata al giudice.
Il primo gruppo di sentenze citate è la naturale evoluzione
della precedente pronunzia della Corte, la n. 21203 del
5 novembre 2004. All’epoca, però, la Cassazione non forniva definizioni del requisito di organizzazione e più genericamente faceva riferimento alla giurisprudenza di
merito.
Del gruppo, la sentenza 3672/2007 è la più articolata. In prima battuta potrebbe apparire confusionaria per
eccesso di tecnicismi. Da una lettura attenta, invece,
emerge un principio fondamentale: se il lavoratore autonomo ha una struttura organizzativa qualitativamente ininfluente allo sviluppo dell’attività professionale, nel
senso che essa è soltanto complementare all’attività intuitus personae, l’esclusione dall’Irap è conclamata. La
Suprema Corte ricorda che anche i lavoratori dipendenti ed i collaboratori continuativi, che pure sono esclusi
dal campo di applicazione dell’Irap, utilizzano beni materiali e personali nello svolgimento del proprio lavoro.
La sentenza 3678/2007, invece, sarà ricordata per l’id
quod plerumque accidit. L’impiego dei bei strumentali,
sancisce la Corte, non deve superare il “minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di
organizzazione (…)”. La Corte di Cassazione esamina
il ricorso di un avvocato che esercita la professione nel-
la sua abitazione senza dipendenti o collaboratori, “utilizzando beni strumentali di uso comune indispensabili
per la sua attività e senza investimento di capitali”; nella sentenza 3678/2007 si fa anche riferimento all’utilizzo, “in modo non occasionale, di lavoro altrui”. E’ in sostanza il tema del confine esistente tra lavoro autonomo
ed attività d’impresa. Per evitare di affrontare questioni
che riguardano sempre e soltanto i “piccoli professionisti”, prendiamo ad esempio lo studio professionale di un
prestigioso avvocato, che si avvale delle prestazioni di cinque colleghi, tre segretarie, uno stuolo di praticanti e tutti utilizzano computer, fotocopiatrici, scanner, telefoni,
banche dati e quant’altro. A prescindere dall’esistenza
dell’intuitus personae, non sarebbe giusto esonerare il titolare dello studio dal pagamento dell’Irap, costringendo invece al versamento un modesto artigiano che lavora in completa solitudine!
Per chi ha dimestichezza con le tematiche tributarie,
una vicenda per taluni aspetti analoga fu quella dell’Imposta locale sui redditi (Ilor), poi soppressa e sostituita
dall’Irap. Si decise di escludere dal campo di applicazione dell’Ilor i “piccoli commercianti ed imprenditori”, e
per evitare una serie infinita di contenziosi, il legislatore, fissò un limite concreto oltre il quale scattava l’obbligo di pagare l’ilor: tre addetti: tre addetti. Tutte le imprese che, compreso il titolare, svolgevano l’attività con
quattro o più persone, erano assoggettate all’Ilor. Ma è
bene non continuare sul parallelismo tra Irap e Ilor: la
Corte Costituzionale, con sentenza 156/2001, ha infatti sgombrato il campo da ogni equivoco in tal senso (meglio quindi evitare una simile metafora in sede di contenzioso).
Tornando alla disamina della più specifica questione
dell’Irap, si segnala un secondo gruppo di sentenze depositate il 5 marzo 2007 dalla Sezione Tributaria della
Corte di Cassazione. Esse, però, al momento della redazione del presente articolo, non sono tutte integralmente disponibili nelle banche dati. La sentenza 5019/2007
prende ad esame il caso di un dottore commercialista e
conferma l’orientamento pro contribuenti nel caso in
cui ricorrano i presupposti sopra richiamati: l’id quod
plerumque accidit per i beni strumentali e un “non eccesso di organizzazione”. L’uso delle virgolette non è affatto casuale. La sentenza 5019, infatti, introduce un
principio molto importante: “è quasi impossibile esercitare l’attività senza l’ausilio di uno studio e/o di uno o
più collaboratori o dipendenti”. Non devono quindi sentirsi “condannati al pagamento dell’Irap” i professionisti che si avvalgono di collaboratori. Essi (i professionisti) “dovranno dare la prova delle condizioni sopra elencate” (si ripete: organizzazione “normale” e l’id quod plerumque accidit per l’impiego dei beni strumentali. La sentenza 5020/2007 si occupa di un medico di base e rigetta il ricorso proposto da Agenzia delle entrate e Ministero dell’economia e delle finanze che chiedevano la riforma della sentenza di secondo grado favorevole al con-
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tribuente. Secondo i giudici della Suprema Corte, non è
possibile sostenere soltanto genericamente che i professionisti rientrano comunque nel novero dei soggetti passivi dell’Irap. “E’ una tesi contraria al diritto, il ricorso
dell’Agenzia delle entrate va pertanto rigettato”.
Infine, la sentenza 5021/2007 che è sfavorevole ad un
geometra che si avvale di due dipendenti. Anche in questo caso, tuttavia, la Corte precisa che è infondata la tesi di una “generale assoggettabilità dei professionisti all’Irap”.
Analisi delle quattro diverse modalità
di non effettuare il pagamento dell’Irap
Come detto in premessa, è impossibile per un professionista evitare il pagamento dell’Irap senza passare attraverso il vaglio delle Commissioni tributarie. Il modello
di dichiarazione dei redditi, UNICO, è costruito in modo tale da non consentire un “dribbling” dell’imposta e
sfuggire al tempo stesso ai riflettori degli uffici fiscali.
La strada da seguire è quella dell’analisi delle sanzioni
correlate a ciascun comportamento per individuare il minor rischio e il minor costo. Fermo restando che il percorso più prudente è quello del pagamento, con successiva istanza di rimborso e ricorso contro il silenzio rifiuto.
a) Omessa compilazione del quadro IQ dell’Irap
L’invio telematico di UNICO senza il quadro IQ dell’Irap, se il contribuente ha partita Iva, fa scattare immediatamente le sirene del sistema ENTRATEL. All’intermediario viene segnalato un errore rilevante che
determina lo scarto della dichiarazione. Se si decide di
“forzare” il sistema si riesce ad ottenere la ricevuta di
presentazione, ma è certa la successiva notifica al professionista di un avviso di accertamento ai sensi dell’articolo 41 Dpr 600/1973. Tra l’altro la Corte di Cassazione, con sentenza 14479/2003 ha definitivamente
chiarito che in un’ipotesi del genere non si applica l’articolo 36 bis dello stesso Dpr (controllo automatico della dichiarazione) ma il citato articolo 41 per omessa presentazione del quadro. L’aspetto peggiore di quest’opzione è che l’Amministrazione ha un anno di tempo in
più per i controlli. La sanzione collegata all’articolo 41
va dal 120 al 240 per cento dell’imposta dovuta (oltre
naturalmente all’imposta stessa).
b) Compilazione del quadro IQ “forzando” le deduzioni
Prima alternativa all’omessa compilazione del quadro
è la “compilazione volutamente errata”. Inserendo
deduzioni non spettanti, l’Irap da versare è pari a zero e la dichiarazione non si considera omessa. In questo caso l’accertamento recapitato al professionista è
quello di cui all’articolo 39 Dpr 600/1973 per “infedele dichiarazione”. La sanzione dell’articolo 39 oscil-
la tra il 100 e il 200 per cento dell’imposta dovuta (in
aggiunta alla medesima imposta).
c) Regolare compilazione del quadro IQ
omettendo il versamento
Altra possibilità è la regolare compilazione omettendo però il versamento. Non si rischia l’accertamento
dell’articolo 41 né l’infedele dichiarazione dell’articolo 39. La dichiarazione dei redditi verrà ri-liquidata
ai sensi dell’articolo 36 bis Dpr 600/1973. A seguito
dell’articolo 36 bis, lo step successivo è il ricevimento di un “avviso bonario” (atto non ricorribile in Commissione tributaria) che recupera l’imposta con sanzioni ridotte al 10 per cento degli importi non versati. Se non ci si “ravvede” con l’avviso bonario, il passo successivo è la notifica della cartella di pagamento
che recupera l’imposta e applica sanzioni del 30 per
cento.
d) Pagamento dell’Irap con successiva istanza
di rimborso
E’ la soluzione in assoluto più prudente. Il professionista versa il dovuto per l’Irap, presenta un’istanza di
rimborso, l’Agenzia delle entrate certamente non fornirà alcune risposta entro novanta giorni dalla domanda, e sarà possibile proporre ricorso contro il silenzio-rifiuto dinanzi alla Commissione Tributaria
Provinciale.
Conclusioni ed impostazione del contenzioso
Se il professionista decide di avere tutti i requisiti per
non essere assoggettato all’Irap, deve ad ogni buon conto rassegnarsi ad un iter faticoso e complesso per risparmiare l’imposta (o chiedere ed ottenere il rimborso).
L’Agenzia delle entrate, nei modelli di dichiarazione dei
redditi, non ha previsto una “casellina” da barrare per
rientrare nella categoria degli esclusi da Irap che la Corte di Cassazione ha, di fatto e in diritto, istituito. Dopo
essersi predisposti mentalmente ad affrontare un ricorso in Commissione tributaria, si sceglierà uno dei quattro comportamenti sopra descritti. A parziale conforto
dei lavoratori autonomi che decidono di proporre ricorso, la circolare 9/E del 14 febbraio 2007 dell’Agenzia delle entrate. Il Fisco introduce una “linea morbida” e – citando il titolo usato dal Sole 24 Ore il 18 maggio 2007
– “Si prepara alla ritirata”. La circolare 9/E, in seguito
all’orientamento della Corte di Cassazione favorevole ai
professionisti, invita gli uffici locali a valutare le istanze
dei contribuenti caso per caso e a non insistere in un “contenzioso a prescindere”.
Il fac simile di ricorso più avanti proposto, deve intendersi come una bozza sulla quale ragionare ed eventualmente integrare per portare il proprio caso all’attenzione dei giudici tributari.
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On.le Commissione Tributaria Provinciale di ……..
***
RICORSO
di ………………………………….…………………….…. nato a ……………………………. ….il …………..C.F. …………………………
CONTRO
l’Agenzia delle entrate Ufficio locale di……
PER L’ANNULLAMENTO
dell’avviso di accertamento (o dell’iscrizione a ruolo e conseguente cartella di pagamento) relativi all’Irap anni d’imposta………………………; notifica
avvenuta il ……………………….……
oppure
CONTRO IL SILENZIO RIFIUTO
All’istanza di rimborso dell’Irap versata in relazione agli anni d’imposta…….
***
IN FATTO
Il ricorrente, professionista esercente l’attività di ………….……………….…………………….……. presentava tempestivamente la propria dichiarazione dei redditi relativa agli anni d’imposta ………………….
(Descrivere il comportamento tenuto: quadro IQ non compilato, compilato con deduzioni non spettanti o regolarmente compilato senza tuttavia versare
l’Irap; oppure spiegare che l’Irap è stata pagata, ne è stato chiesto il rimborso senza avere risposta dall’Agenzia delle entrate).
Lo scrivente dichiara che l’Irap non era da lui dovuta in quanto privo dei requisiti per essere assoggettato alla stessa (personalizzare descrivendo come viene
esercitata la professione)
***
IN DIRITTO
Come anticipato in punto di fatto, l’odierno ricorrente esercita l’attività libero-professionale di ……. ossia un’attività che, a mente dell’art. 2 del D.Lgs. n.
446/1997, si rivela solo astrattamente idonea a realizzare il presupposto applicativo dell’imposta regionale sulle attività produttive.
E’ invero ben noto come tale tributo (meglio conosciuto con l’acronimo di IRAP) colpisca non già il reddito, né il consumo, né il patrimonio: il suo presupposto è costituito invece da uno speciale indice di capacità contributiva che viene individuato nell’ "esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi". E’ altrettanto noto, però, che la Corte Costituzionale ha chiarito che "mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui.
Ma è evidente che nel caso di un’attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione, il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto, risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta sulle attività produttive, per l’appunto
rappresentato, secondo l’art. 2, dall’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa".
Sul solco interpretativo tracciato dalla Consulta si è andata consolidando una cospicua giurisprudenza delle corti territoriali (vds. ex multis C.T.P. Bologna, sent.
n. 421 del 21 agosto 2003, nonché C.T.R. Lombardia, sent. n. 46 del 10 ottobre 2003) in cui si è stabilito che, nell’ambito del lavoro autonomo, il presupposto
impositivo del tributo in questione è direttamente connesso alla sussistenza di un "apparato organizzativo" di entità tale da esprimere un’autonoma potenzialità economica – oggetto dell’imposizione – rispetto a quella personale del professionista, con riferimento alla quale la prima costituisca un quid pluris, cioè
una sorta di “valore aggiunto”.
Tale apparato organizzativo non va affatto individuato nel coordinamento e nell’organizzazione di cui è capace il professionista per migliorare e rendere più
agevole lo svolgimento del proprio lavoro, ma da quella organizzazione, autonoma rispetto al lavoro professionale, capace di spersonalizzare l’attività svolta
e di fornire, come struttura a sé stante, quella stessa prestazione professionale che connota l’attività personale tipica del professionista.
E tale organizzazione autonoma rispetto al lavoro professionale non è ravvisabile nell’attività di chi eserciti un’attività professionale senza l’ausilio di lavoratori dipendenti e con un minimo di beni “strumentali” (C.T.R. Lazio n. 50 del 17/7/2003; C.T.R. Toscana n. 15 del 28/5/2003; C.T.R. Emilia Romagna n. 11 del
13/3/2003; C.T.R. Emilia Romagna n. 320 del 2/4/2003; C.T.R. Piemonte n. 5 del 20/5/2003; C.T.P. Taranto n. 680 del 7/2/2003; C.T.P. Roma n. 328 del 19/7/2002;
C.T.P. Trento n. 101 del 2/10/2001; C.T.P. Piacenza n. 49 dell’8/10/2001; C.T.P. Parma n. 64 del 14/11/2001).
Come noto agli aditi giudici, la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, si è recentemente pronunciata a favore dei professionisti. Si vedano in tal senso le sentenze 3672, 3673, 3674, 3675, 3676, 3677, 3678, 3679, 3680 del 16 febbraio 2007 e le sentenze 5019, 5020 e 5021 del 5 marzo 2007.
Come risulta dalla dichiarazione annuali Mod. UNICO xxxxxxx il sottoscritto esercita l’attività professionale senza l’ausilio di personale dipendente, né con la
collaborazione di altri professionisti o di collaboratori c.d. coordinati e continuativi né di collaboratori c.d. occasionali e, quanto ai beni impiegati strumentalmente, dispone soltanto di un elaboratore elettronico xxxxxxx (personalizzare questa parte).
Da tanto deriva che sul sottoscritto non può neanche in via ipotetica realizzarsi il presupposto per l’applicazione dell’imposta regionale sulle attività produttive.
***
Sulla base di quanto sin qui osservato
SI CHIEDE
a codesta onorevole Commissione Tributaria di dichiarare l’infondatezza della pretesa erariale e di disporre, per l’effetto, l’annullamento dell’atto impugnato.
oppure
SI CHIEDE
a codesta onorevole Commissione Tributaria di disporre il rimborso dell’Irap versata per un totale di euro ……
Vittoria di spese e onorari.
Si chiede la sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato (da non chiedere se il ricorso è contro il silenzio rifiuto).
Si chiede altresì la trattazione del ricorso in pubblica udienza.
Si allega documentazione comprovante quanto sopra affermato (modello UNICO anni…… , in caso di richiesta di rimborso modelli di pagamento F24 con
prospetto riepilogativo ecc.)
Data
120
Novità legislative
Riforma della riforma delle procedure concorsuali
123
a cura di Corrado d’Ambrosio
Bozze di deleghe legislative al Governo per l’emanazione
del nuovo Codice di procedura penale
a cura di Mario Griffo
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●
Riforma della riforma
delle procedure concorsuali
● Corrado d’Ambrosio
Alla luce dell’articolo 1, comma 5-bis, della legge 14
maggio 2005, numero 80, che prevede la emanazione
di disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo numero 5/06 e del medesimo regio decreto entro il 16 luglio 2007, è stato emanato un decreto legislativo di “ riforma della riforma “ delle procedure concorsuali.
L’articolo 1, rubricato “Imprese soggette al fallimento
e al concordato preventivo”, prevede che sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.
Con l’intento di voler porre un correttivo all’eccessivo allargamento dell’area di esonero dalle procedure
concorsuali, che spesso ha impedito di assoggettare alla procedura fallimentare ed alle conseguenti sanzioni
penali imprenditori di rilevanti dimensioni in grado di
raggiungere elevati livelli di indebitamento, con conseguente danno, sia per i numerosi creditori insoddisfatti, che per l’economia in generale, il secondo comma decreta, per il non assoggettamento delle imprese alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, il
possesso congiunto- e non piu’ alternativo, come era invece previsto nel decreto numero 5/06 - dei seguenti
parametri:
un attivo patrimoniale (e non più il parametro dell’ammontare degli investimenti, di vaga ed incerta definizione) negli ultimi tre esercizi di ammontare complessivo annuo non superiore a euro 300.000;
il criterio dei ricavi lordi viene meglio precisato e reso più rigido, in quanto, eliminato il concetto di media dei ricavi degli ultimi tre esercizi, il decreto de quo
prevede la realizzazione, nei tre esercizi antecedenti,
di ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo
non superiore a euro 200.000;
ed infine un ammontare complessivo dei debiti, anche non scaduti, non superiore ad euro 500.000 (fattore introdotto da tale riforma).
In mancanza del possesso congiunto di questi tre requisiti, si è considerati piccoli imprenditori e di conseguenza non si fallisce, anche se questo decreto correttivo non prevede espressamente la figura del piccolo
imprenditore.
Per quanto questi criteri quantitativi siano già di per
sè elevati, tale riforma in itinere introduce un ulteriore criterio per esonerare l'imprenditore, anche se mediogrande, dal fallimento (ultimo comma, articolo 15, della riforma suddetta); tale criterio si riferisce alla proporzione dell'indebitamento, prevedendo che non si
proceda alla dichiarazione di fallimento se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti
dell'istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro 30.000, e non più a euro 25.000, il che
significa che il legislatore ha voluto esonerare dal fallimento coloro che in sede di istruttoria prefallimentare
hanno una soglia di indebitamento non rilevante ai fi-
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N O V I T À
L E G I S L A T I V E
124
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ni dell'applicazione della procedura concorsuale, in quanto sarebbero maggiori i costi di amministrazione rispetto
ai ricavi di liquidazione finalizzati al soddisfacimento dei
creditori, ai quali a questo punto non resta che esperire delle singole azioni esecutive.
Tali criteri di natura quantitativa diventeranno senz’altro negli anni inadeguati; per evitare ciò gli articoli
1 e 15 prevedono che questi parametri vengano aggiornati ogni tre anni, prendendo come base di riferimento
gli indici ISTAT dei prezzi al consumo.
Grava sul debitore l’onere di fornire la prova dei requisiti di non fallibilità, intesi come fatti impeditivi della dichiarazione di fallimento. Si evita, così, di “premiare” con la non fallibilità quegli imprenditori che scelgono di non difendersi in sede di istruttoria prefallimentare o che non depositano la documentazione contabile.
Il legislatore, all’articolo 9 bis, ha poi stabilito che la
dichiarazione di incompetenza non debba essere pronunciata necessariamente con sentenza, ma anche con altro tipo di provvedimento.
L’articolo 10, secondo comma, prevede l’esonero per
gli imprenditori individuali e collettivi cancellati d’ufficio dalla facoltà di provare che la cessazione effettiva dell'attività è anteriore alla manifestazione di insolvenza, dal
momento che tale facoltà spetterà al creditore o al PM.
Non è apparso corretto, quindi, consentire all'imprenditore che, pur avendo cessato di fatto l'attività d'impresa, non abbia curato (tempestivamente) la cancellazione dal registro delle imprese, di superare con la prova contraria le risultanze del registro medesimo, eludendo così il legittimo affidamento che i creditori hanno tratto dalla pubblicità dei fatti iscritti nel registro
delle imprese.
L’ articolo 15, oltre a confermare le innovazioni apportate dal decreto legislativo numero 5/06 in tema di
istruttoria prefallimentare, prevede che, in ogni caso, il
tribunale disponga il deposito dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi da parte dell’imprenditore, nonché una
situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata, e può richiedere eventuali informazioni urgenti.
Tali termini possono essere abbreviati per ragioni di urgenza. In tali casi, il decreto de quo prevede che il presidente del tribunale possa disporre che il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza siano portati a conoscenza delle parti con ogni mezzo idoneo, omessa ogni formalità non indispensabile alla conoscenza degli stessi.
L’articolo 16, rubricato “Sentenza dichiarativa di fallimento”, per consentire un più lungo termine per la fissazione dell’adunanza per l’esame dello stato passivo
nei casi di procedure particolarmente complesse, e quindi con numerosi creditori, in considerazione delle esigenze
organizzative dei curatori e dei giudici delegati, prevede
un ulteriore termine di 180 giorni in caso di particolare
complessità della procedura.
Nel decreto numero 5/06 non era prevista più l'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, soppressione, questa, da ricollegarsi alla nuova disciplina della istruttoria prefallimentare, perfettamente in grado di
garantire una maggiore partecipazione del debitore al
procedimento, e caratterizzata da un più spiccato carattere contraddittorio.
Anche in questo caso l'obiettivo del legislatore è stato quello di velocizzare, di rendere più spedita la procedura: avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, quindi, era proponibile appello, con ricorso, direttamente
dinanzi alla corte d'appello.
Con il decreto correttivo de quo abbiamo la sostituzione dell’“appello” con il “reclamo”; ciò è coerente con
il rito camerale, adottato non solo per la decisione di primo grado, ma anche per la fase di gravame.
Il reclamo è, infatti, il mezzo tipico di impugnazione
dei provvedimenti pronunciati in camera di consiglio,
quale che ne sia la forma. La modifica vale ad escludere l’applicabilità della disciplina dell’appello dettata dal
codice di rito, stante l’effetto non pienamente devolutivo di tale mezzo di impugnazione. Per assicurare tale effetto, com’è necessario, attesi il carattere indisponibile
della materia controversa e gli effetti della sentenza di
fallimento, che incide su tutto il patrimonio e sullo status del fallito, è stato previsto il reclamo.
Dando seguito ai criteri di omologazione dei procedimenti camerali secondo uno schema uniforme, i commi secondo, quinto, sesto, settimo, ottavo, nono e decimo disciplinano la fase introduttiva del procedimento in
conformità al procedimento di primo grado.
Viene previsto, infatti, che il ricorso debba contenere:
1) l'indicazione della corte d’appello competente;
2) le generalità dell'impugnante e l'elezione del domicilio nel comune in cui ha sede la corte d’appello;
3) l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui
si basa l’impugnazione, con le relative conclusioni;
4) l'indicazione dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti.
Il reclamo non sospende gli effetti della sentenza impugnata, salvo quanto previsto dall'articolo 19, primo
comma.
I termini non vengono più previsti in relazione alla sentenza, ma al reclamo.
L’udienza di comparizione viene fissata con decreto
dal presidente entro sessanta giorni dal deposito del ricorso, e non più entro 45 giorni.
Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato, a cura del reclamante, al
curatore e alle altre parti entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto.
Tra la data della notificazione e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni.
Le parti resistenti devono costituirsi almeno dieci giorni prima della udienza, eleggendo il domicilio nel comune
in cui ha sede la corte d’appello.
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La costituzione si effettua mediante il deposito in cancelleria di una memoria contenente l’esposizione delle difese in fatto e in diritto, nonché l'indicazione dei mezzi
di prova e dei documenti prodotti.
L’intervento di qualunque interessato non può avere
luogo oltre il termine stabilito per la costituzione delle
parti resistenti, con le modalità per queste previste.
All’udienza il collegio può delegare anche un suo componente.
La corte provvede sul ricorso con sentenza. Viene eliminato il richiamo all’art. 281-sexies del codice di procedura civile, incongruo rispetto alla struttura camerale
del procedimento.
Viene abbreviato, per ragioni di celerità, il termine per
proporre il ricorso per cassazione, che è di trenta giorni
dalla notificazione.
Il comma diciassettesimo prevede la reclamabilità del
decreto che liquida le spese della procedura e il compenso
del curatore in caso di revoca del fallimento, venendo così ad eliminare una disarmonia con il sistema dei reclami di cui all’art. 26.
In seguito alla previsione del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, viene abolito l’articolo
20, che disciplinava alcuni aspetti del giudizio di opposizione.
Modifiche sono state apportate al capo II della legge fallimentare, dedicato agli organi preposti al fallimento.
Rimane fermo il principio della vis actractiva del tribunale fallimentare, che è competente a conoscere tutte
le azioni che derivano dal fallimento, così come previsto
dall’articolo 24, mentre è soppresso il secondo comma
del medesimo articolo, il quale prevedeva l’applicazione alle controversie di cui al primo comma degli articoli da 737 a 742 del codice di procedura civile. Le predette controversie, infatti, sono cause aventi ad oggetto
diritti soggettivi, che si svolgono al di fuori della procedura, nei confronti di terzi estranei al fallimento, i quali verrebbero privati delle garanzie dei due gradi di cognizione piena, di cui possono di regola usufruire tutti i
soggetti dell’ordinamento. La soppressione è imposta,
dunque, dal rispetto dei principi di cui agli artt. 3 e 24
Cost., al fine di garantire la parità di trattamento ed il
diritto di difesa.
L’articolo 25, primo comma, n. 6), del regio decreto
16 marzo 1942, n. 267, prevede la sostituzione delle parole: “agli avvocati” con le seguenti: “ai difensori”.
Tale modifica si giustifica in quanto, nei giudizi dinanzi
alle commissioni tributarie, possono assumere la veste di
difensori anche professionisti diversi dagli avvocati.
Nell’ ultima parte dell’ articolo 26, norma dedicata al
reclamo avverso i decreti non piu’ solo del giudice delegato, ma anche del tribunale, viene disciplinata in maniera meno elusiva la procedura, a cominciare dai termini. E’ infatti previsto che il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito del ricorso, designi il relatore, e
fissi con decreto l’udienza di comparizione entro quaranta giorni dal deposito del ricorso.
Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato, a cura del reclamante, al
curatore ed ai controinteressati entro cinque giorni dalla comunicazione del decreto.
Tra la data della notificazione e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non minore di quindici giorni, e non più di “non meno di dieci giorni liberi e non
più di venti”.
Vengono previsti compiti più specifici per il resistente, il quale, oltre all’obbligo di costituirsi almeno cinque
giorni prima dell’udienza, deve eleggere il domicilio nel
comune in cui ha sede il tribunale o la corte d’appello
competente, e depositando una memoria contenente non
più solo l’indicazione dei documenti prodotti, ma l’esposizione delle difese in fatto e in diritto, nonché l’indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti.
L’intervento di qualunque interessato non può avere
luogo oltre il termine stabilito per la costituzione della
parte resistente, con le modalità per questa previste.
All’udienza il collegio, sentite le parti, assume anche
d’ufficio i mezzi di prova, e non più solo le informazioni ritenute necessarie, eventualmente delegando un suo
componente.
La delega, da parte del curatore, dell’esercizio delle
proprie funzioni non è più autorizzata dal giudice delegato, ma dal comitato dei creditori. Ci sono però delle
esclusioni a tale regola, riguardanti specifici adempimenti, come la compilazione dell’elenco dei creditori,
l’avviso ai creditori e agli altri interessati, il deposito da
parte del curatore del progetto dello stato passivo, la comunicazione dell’esito del procedimento di accertamento del passivo, la redazione del programma di liquidazione in tema di affitto d’azienda, a conferma del fatto
che è pur sempre il curatore a gestire l’impresa.
Per quanto riguarda il deposito delle somme riscosse,
per una maggiore elasticità delle regole di effettuazione
degli investimenti, è previsto che, su proposta del curatore, il comitato dei creditori possa autorizzare che le
somme riscosse vengano in tutto o in parte investite con
strumenti diversi dal deposito in conto corrente, purchè
sia garantita l’integrità del capitale.
A fronte dello spostamento dal giudice delegato al comitato dei creditori del potere di autorizzare gli atti di
straordinaria amministrazione del curatore, previsti dall’articolo 35, è stato introdotto un correttivo: adesso,
nel richiedere l’autorizzazione del comitato dei creditori, il curatore formula le proprie conclusioni anche sulla convenienza della proposta.
Novità sussistono anche per quanto riguarda la sostituzione del curatore e dei componenti del comitato dei
creditori: è, infatti, previsto che ciò potrà avvenire non
piu’ in sede di adunanza per l’esame dello stato passivo,
ma conclusa tale adunanza e comunque prima della dichiarazione di esecutività dello stesso.
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Il tribunale poi provvederà valutate le ragioni della richiesta di sostituzione del curatore.
Con l’intento di rimuovere alcuni dei maggiori ostacoli che finora hanno impedito il pieno funzionamento
del (potenziato) comitato dei creditori, l’eccessivo rigore del richiamo in toto, in quanto compatibile, dell’articolo 2407 cod. civ. in materia di responsabilità dei sindaci, compresa quindi la responsabilità per la c.d. culpa in vigilando - fattore questo che ha fatto registrare
una certa riluttanza nell’accettare la nomina a membro
del comitato dei creditori - ha consigliato di richiamare
soltanto il primo e terzo comma del citato articolo del
codice civile.
Il potere di sostituzione da parte del giudice delegato
si esplica anche in caso di impossibilità di costituzione
del comitato medesimo.
Viene inoltre precisato che la legittimazione a proporre
l'azione di responsabilità nei confronti del comitato dei
creditori durante lo svolgimento della procedura fallimentare spetta soltanto al curatore, previamente autorizzato dal giudice delegato.
In tema di effetti del fallimento nei confronti dei creditori, l’aggiunta di un altro comma all’articolo 52 del
r.d. serve a chiarire che, anche i crediti per i quali non
vige il divieto di azioni esecutive e cautelari ex art. 51
sono soggetti al “concorso formale”: devono essere accertati, come tutti gli altri crediti, dagli organi fallimentari per essere, eventualmente, ammessi al passivo.
In tal modo, viene ad acquistare valore normativo il
principio secondo cui tali crediti possono trovare soddisfazione solo nell'ambito della procedura concorsuale.
Vi è una modifica riguardante i crediti muniti di pegno o privilegio su mobili; infatti l’articolo 53 prevede
che per essere autorizzato alla vendita il creditore fa
istanza al giudice delegato, il quale - sentiti il curatore e
il comitato dei creditori- stabilisce con decreto il tempo
della vendita, non disponendo più che questa debba essere effettuata tramite offerte private o all’incanto, ma
semplicemente determinandone le modalità a norma dell’articolo 107, che appunto prevede una vendita libera.
Vengono previsti correttivi anche per quanto riguarda la revocatoria fallimentare:
l’articolo 67 decreta che il professionista sia lo stesso, tanto nei piani di risanamento quanto negli accordi
di ristrutturazione.
Per professionista oggi si intende fare riferimento solo ai revisori contabili e alle società di revisione che possono tenere la contabilità delle società non quotate in
borsa.
Tra i casi di esenzione dalla revocatoria sono previste le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645 bis del codice civile, i cui effetti non
siano cessati, conclusi a giusto prezzo, ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo destinati a costituire l'abitazione principale dell'acquirente e dei suoi parenti o
affini entro il terzo grado.
Vi è una ulteriore precisazione in tema di revocatoria
delle rimesse in conto corrente.
Nei casi in cui il pagamento avvenga tramite terzi, qualora la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di rapporti
di conto corrente bancario (questa è una aggiunta prevista dal decreto correttivo), o comunque continuativi
o reiterati, il terzo deve restituire una somma pari alla
differenza tra l'ammontare massimo raggiunto dalle sue
pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato di insolvenza, e l'ammontare residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso.
Per quanto concerne gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, l'articolo 72 prevede che, se
un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente
eseguito da entrambe le parti quando nei confronti di una
di esse è dichiarato il fallimento, l'esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente
sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con
l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di
subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo
tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che (ed è questa una novità), nei contratti ad
effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto.
Il contratto traslativo, dunque, si considera ineseguito
sino a quando non si è realizzato l’effetto reale. Su tale
assunto sono pacifiche dottrina e giurisprudenza.
Al quarto comma, è stato aggiunto che non è comunque dovuto al contraente in bonis il risarcimento del
danno per l’intervenuto scioglimento del contratto.
E’ stata aggiunta, infine, all’ottavo comma, la regola
secondo cui le disposizioni dell’articolo 72 non si applicano al contratto preliminare immobiliare trascritto
ai sensi dell’art. 2645 c.c. e che abbia ad oggetto una casa di abitazione. In tal modo, è stata accresciuta, ai sensi dell’art. 47 Cost., la tutela del promissario acquirente di immobile destinato a casa di abitazione.
L’art. 72 bis è stato riformulato sopprimendo la norma sul fallimento del venditore, resa superflua dalla regola generale per la quale il contratto traslativo si intende
eseguito quando si è verificato l’effetto reale, ed inoltre
eliminando la norma sul privilegio del promissorio acquirente, in quanto ripetizione della medesima regola già
contenuta nell’articolo precedente.
Una ulteriore novità riguarda il contratto di leasing,
che oggi è espressamente disciplinato dall'articolo 72
quater.
L’articolo 72 quater, comma 2, del r.d. - come modificato dal comma 9 - precisa infatti che, in caso di scioglimento del contratto, l’impresa di leasing può far valere i suoi diritti nel fallimento, purché abbia disposto
del bene recuperato secondo valori di mercato.
Un’altra novità concerne il contratto di vendita con
riserva di proprietà.
L'articolo 73 stabilisce che, in caso di fallimento del
compratore, se il prezzo deve essere pagato a termine o
a rate, il curatore può subentrare nel contratto con l'au-
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torizzazione sempre del comitato dei creditori, ma il
venditore può chiedere cauzione, a meno che il curatore paghi immediatamente il prezzo, con lo sconto dell’interesse legale.
Più semplice, ma soprattutto identica al passato, se
non per una piccola variazione, è la disciplina del contratto di somministrazione, in cui è previsto un espresso rinvio all'articolo 72, primo e secondo comma.
Ciò comporta che la scelta di continuare o sciogliere
il contratto di somministrazione o il contratto di vendita a consegne ripartite spetti in ogni caso al curatore fallimentare, che però, se decide per la prosecuzione del contratto, dovrà pagare integralmente il prezzo anche delle consegne già effettuate o dei servizi già erogati.
Nuova è la disciplina degli effetti del fallimento sul
contratto di affitto d'azienda.
E’ stato infatti introdotto un nuovo articolo 79, che
sostituirà la norma in tema di possesso del fallito a titolo precario, assorbita completamente dall’articolo 111
della legge fallimentare.
Il nuovo art. 79 prevede che il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto d'azienda. Tuttavia si prevede che entrambe le parti del contratto di
affitto d'azienda possano recedere entro 60 giorni, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo che,
nel silenzio delle parti, viene determinato dal giudice
delegato.
L'equo indennizzo spettante alla controparte viene però espressamente considerato come un credito prededucibile ai sensi dell'articolo 111 della legge fallimentare.
Quindi, anche in questo caso, l'equo indennizzo - dovuto dalla curatela alla controparte del contratto di affitto di azienda - viene considerato come un debito della massa.
Per quanto riguarda il contratto di locazione di immobili, è prevista una disciplina parzialmente diversa se
a fallire sia il locatore; infatti, in caso di fallimento del
locatore, la legge stabilisce che il contratto non si scioglie, ed il curatore subentra nel contratto.
Viene poi previsto che, qualora la durata del contratto
sia complessivamente superiore a quattro anni dalla dichiarazione di fallimento, il curatore ha, entro un anno
dalla dichiarazione di fallimento, la facoltà di recedere
dal contratto corrispondendo al conduttore un equo indennizzo per l’anticipato recesso, che, nel dissenso fra
le parti, è determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati. Il recesso ha effetto decorsi quattro anni dalla
dichiarazione di fallimento.
Vi sono modifiche anche al titolo II, capo V, relativo
all’accertamento del passivo.
L’articolo 93, terzo comma, numero 4, prevede che
il ricorso con cui si propone la domanda di ammissione
al passivo contenga l’eventuale indicazione di un titolo
di prelazione, ma non più anche in relazione alla graduazione del credito.
Viene abrogato il settimo comma del medesimo arti-
colo; non è più previsto, infatti, che i documenti non
presentati con la domanda debbano essere depositati, a
pena di decadenza, almeno 15 giorni prima dell’udienza fissata per l’esame dello stato passivo.
L’articolo 95, secondo comma, non prevede più che
il curatore, depositando il progetto di stato passivo nella cancelleria del tribunale, debba darne comunicazione ai creditori, ai titolari di diritti sui beni e al fallito.
Questi ultimi possono esaminare il progetto e presentare osservazioni scritte e documenti integrativi non più
fino a cinque giorni prima dell’udienza, ma fino all’udienza.
In relazione alla formazione ed esecutività dello stato passivo, il giudice delegato potrà accogliere o respingere la domanda con decreto succintamente motivato.
Sono previste novità anche in tema di procedimento.
Il ricorso con cui si propongono le impugnazioni contro il decreto che rende esecutivo lo stato passivo deve
contenere, a pena di decadenza, anche le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, per la ragione che trattasi di controversie inerenti ai diritti di credito che si fanno valere nel concorso, ed occorre stabilire
un preciso limite di deducibilità dei fatti controversi e dei
mezzi di prova, onde poter pervenire rapidamente alla
decisione. Simmetricamente nel comma settimo analoghi oneri sono imposti alla parte resistente, in ossequio
al principio della “parità delle armi” (art. 111 Cost.).
Il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito
del ricorso, designa il relatore, e fissa con decreto l’udienza di comparizione entro sessanta giorni dal deposito del ricorso.
Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato, a cura del ricorrente, al
curatore, al fallito e all’eventuale controinteressato entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto.
Tra la data della notificazione e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni,
e non più di almeno trenta giorni liberi.
Le parti resistenti dovranno costituirsi almeno dieci
giorni prima dell’udienza, eleggendo il domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale, novità, questa, non prevista nel decreto numero 5/06.
Viene prevista una semplificazione: entro sessanta
giorni dall’udienza di comparizione delle parti, il collegio provvede in via definitiva sull’opposizione, impugnazione o revocazione con decreto motivato. Il decreto è comunicato dalla cancelleria alle parti che, nei successivi trenta giorni, possono proporre ricorso per cassazione.
Qualora il tribunale pronunci in via provvisoria, provvede con decreto motivato non reclamabile entro trenta giorni dall’udienza, e non più entro venti giorni dall’udienza.
In caso di domande tardive di crediti, si prevede che
il giudice delegato fissi per l’esame delle domande tardive un’udienza ogni quattro mesi, salvo che sussistano
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motivi d’urgenza, allo scopo di meglio disciplinare l’esame delle domande tardive.
Il comma 6, modifica il primo comma dell’articolo
102, allo scopo di prevedere l’obbligo di acquisire il previo parere del comitato dei creditori sull’istanza di non
farsi luogo al procedimento di accertamento del passivo, presentata dal curatore, in caso di previsione di insufficiente realizzo.
Vi è un inciso dopo il primo comma dell’articolo 103,
che riguarda i procedimenti relativi a domande di rivendica e restituzione: “sono salve le disposizioni dell’articolo 1706 del codice civile, norma in tema di acquisti del mandatario”.
Sono previste modifiche anche in tema di esercizio
provvisorio e di liquidazione dell’attivo.
Assoluta novità, tesa a semplificare e razionalizzare
la fase di liquidazione dell’attivo, è costituita dalla disposizione di cui all’articolo 104 ter, che impone al curatore di predisporre, entro sessanta giorni dalla redazione dell’inventario, un programma di liquidazione da
sottoporre all’approvazione del comitato dei creditori,
e non più del giudice delegato, acquisito il parere favorevole del comitato dei creditori.
Il programma non deve più indicare le modalità e i
termini previsti per la realizzazione dell’attivo, ma costituisce l’atto di pianificazione e di indirizzo in ordine
alle modalità e ai termini previsti per la realizzazione dell’attivo.
Inoltre, deve specificare non solo le azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie da esercitare, ma anche
il loro possibile esito.
E’ inserito anche un nuovo ottavo comma, in cui si
dispone che il programma approvato è comunicato al
giudice delegato, che autorizza l’esecuzione degli atti a
esso conformi.
Sono previste semplificazioni in ordina alla vendita di
beni: mentre in passato l'attività del curatore era vincolata a una liquidazione che poteva seguire soltanto le regole di dismissione di realizzazione dell'attivo proprie del
codice di procedura civile, oggi questi meccanismi sono
totalmente liberi.
Se il giudice delegato è d'accordo, lo approva, e, se il
comitato dei creditori è d'accordo, la vendita si può realizzare in qualunque modo, compresa l'asta.
Proprio per questa ragione sono soppresse le sezioni
della vendita di beni mobili e di beni immobili.
Non è più previsto l’ordine, da parte del giudice delegato, della cancellazione delle iscrizioni nel pubblico
registro automobilistico una volta eseguita la vendita e
riscosso interamente il prezzo.
E’ abrogato l’articolo 108 bis, relativo alla modalità
della vendita di navi, galleggianti e aeromobili.
Nel progetto di ripartizione dell’attivo sono collocati anche i crediti per i quali non si applica il divieto di
azioni esecutive individuali di cui all’articolo 51. In tal
modo, si opera un soddisfacente raccordo fra l’esecuzione
singolare e la procedura fallimentare: sui beni oggetto
dell’esecuzione singolare, infatti, possono esservi diritti
poziori di altri creditori, sicché il conflitto fra tali crediti e i crediti per cui si è proceduto in sede di esecuzione
singolare non può trovare altra soluzione che nell’ambito dei riparti fallimentari.
Il giudice ordina il deposito del progetto di ripartizione in cancelleria senza più sentire il comitato dei creditori.
I creditori, entro il termine perentorio di 15 giorni dalla ricezione della comunicazione , possono proporre reclamo al tribunale ex art. 26 e contro il decreto del tribunale ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.
Nell’ordine di distribuzione delle somme non si parla più di debiti, ma di crediti.
L’articolo 115, secondo comma, prevede l’aggiunta
di un periodo (“Le stesse disposizioni si applicano in caso di surrogazione del creditore”). L’obiettivo è di estendere la disciplina- dettata per il caso di cessione dei crediti ammessi prima della ripartizione- ai casi di surrogazione previsti dal codice civile (artt. 1201 ss.) o da leggi speciali, non essendovi ragioni per una differenza di
trattamento.
Modifiche vi sono anche per quanto riguarda la cessazione della procedura fallimentare.
Il comma 1, lettera a introduce nell’articolo 118, secondo comma, primo periodo, del r.d. l’inciso “nei casi
di chiusura previsti dai numeri 3 e 4”: esso serve a limitare la cancellazione della società fallita dal registro delle imprese su richiesta del curatore ai soli casi in cui alla cessazione del fallimento non vi siano più beni nel patrimonio sociale, evitandola nei casi di chiusura di cui
ai numeri 1) e 2), nei quali non avrebbe alcuna giustificazione.
Il medesimo comma 1, lettera b), introduce nel secondo comma, secondo periodo, dello stesso art. 118 l’inciso “nei casi previsti dai numeri 1 e 2”: esso serve a limitare l’automatica chiusura dei fallimenti dei soci illimitatamente responsabili in conseguenza della chiusura
del fallimento della società ai soli casi in cui non vi sono debiti sociali, nel qual caso non si giustifica la prosecuzione dei fallimenti dei soci, aperti allo scopo di attuare- secondo le regole del concorso - la loro responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali di cui i soci
debbono rispondere.
Allo scopo di dettare regole chiare e rispettose delle
garanzie di cui agli artt. 24 e 111 Cost. circa la ricorribilità per cassazione del provvedimento emesso in sede
di reclamo avverso il decreto che dichiara la chiusura del
fallimento o ne respinge la richiesta, viene previsto che
il decreto di chiusura acquista efficacia quando è decorso
il termine per il reclamo, senza che questo sia stato proposto, ovvero quando il reclamo è definitivamente rigettato. Questa disposizione non era prevista precedentemente.
Il nuovo primo comma dell’articolo 120 chiarisce che
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con la chiusura della procedura fallimentare cessano
non solo tutti gli effetti del fallimento sul patrimonio del
fallito, ma anche tutte le conseguenti incapacità personali del fallito medesimo, qualunque sia la fonte normativa che le preveda.
Nell’articolo 121, terzo comma, della legge fallimentare la sostituzione della parola “appellata” con la parola “reclamata” è conseguenza della modifica apportata all’art. 18.
Vi sono importanti novità anche per quanto riguarda il concordato fallimentare.
Il primo comma dell’articolo 124 decreta che la proposta di concordato può essere presentata anche dal fallito, e non più solo da uno o più creditori o da un terzo. Per poter presentare la proposta di concordato fallimentare, il debitore fallito deve aver tenuto la contabilità, e i dati risultanti dalla stessa e le altre notizie disponibili devono consentire al curatore di predisporre un
elenco provvisorio dei creditori.
Viene inoltre eliminato l’impedimento temporale di sei
mesi dalla dichiarazione di fallimento, per la presentazione della domanda di concordato da parte del debitore fallito. In tal modo si evita di porre il debitore fallito
in una posizione più sfavorevole rispetto agli altri legittimati; posizione non giustificabile neppure con un presunto incentivo, della disposizione soppressa, all’utilizzazione della procedura alternativa di concordato preventivo.
Al terzo comma si precisa che la relazione giurata sul
valore di mercato attribuibile al cespite o al credito deve essere redatta da un professionista che abbia i requisiti di cui all’articolo 28, lett. a) e b).
La proposta di cessione può essere presentata non
più solo da un terzo, ma anche da uno o più creditori,
non essendovi ragioni per differenziare la posizione del
terzo proponente da quella del creditore proponente.
La proposta di concordato viene presentata con ricorso al giudice delegato, il quale chiede il parere solo del curatore, e non più anche del comitato dei creditori.
La comunicazione ai creditori è stata innovata:
una volta espletato tale adempimento preliminare, il
giudice delegato, acquisito il parere favorevole del comitato dei creditori, valutata la ritualità della proposta,
ordina che la stessa, unitamente al parere del curatore e
del comitato dei creditori, venga comunicata ai creditori, specificando dove possono essere reperiti i dati per la
sua valutazione, ed informandoli che la mancata risposta sarà considerata come voto favorevole.
Dunque è prevista la regola del silenzio-assenso.
Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato, non più se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei
crediti ammessi al voto nelle classi medesime, ma se, nel
maggior numero delle classi, la proposta riporta il voto
favorevole dei creditori che rappresentano , in ciascuna
di esse, la maggioranza dei crediti ammessi al voto.
La variazione del numero dei creditori non avviene più
solo per effetto di una sentenza, ma di un provvedimento emesso successivamente alla scadenza del termine fissato dal giudice delegato per le votazioni. Tale disposizione viene a correggere un difetto di coordinamento, posto che all’esito dei procedimenti ex artt. 98
e 101 è emesso decreto e non sentenza.
Se la proposta di concordato viene approvata, il giudice delegato dispone che il curatore ne dia immediata
comunicazione, tra gli altri, al proponente; la riforma
de qua specifica che ciò avviene affinché costui richieda
l’omologazione del concordato.
Non è più previsto il deposito della relazione conclusiva del curatore e del comitato dei creditori se la proposta di concordato è stata presentata dal curatore, ma
direttamente il deposito da parte del comitato dei creditori di una relazione motivata col suo parere definitivo; se il comitato non provvede nel termine, la relazione è redatta e depositata dal curatore nei sette giorni successivi.
Il nuovo quinto comma dell’articolo 129 stabilisce
una procedura più analitica se vengono proposte opposizioni.
In tal caso, infatti, il tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio.
Se sono previste diverse classi di creditori, non vale
più la regola della maggioranza per l’approvazione, ma
si prevede che, se un creditore appartenente ad una classe dissenziente contesta la convenienza della proposta,
il tribunale può omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.
Il tribunale provvede con decreto motivato pubblicato a norma dell’articolo 17.
Il reclamo proposto contro il decreto del tribunale è
proposto con ricorso da depositarsi presso la cancelleria della corte di appello, nel termine perentorio di trenta giorni dalla notificazione del decreto, che però- ed è
questa una novità- deve essere fatta dalla cancelleria del
tribunale.
Il medesimo deve contenere i requisiti prescritti dall’articolo 18, secondo comma, numeri 1), 2), 3) e 4).
Il presidente designa il relatore in un termine prima
non previsto, cioè nei cinque giorni successivi al deposito del ricorso.
Viene specificato che il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato, a cura del reclamante, entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto, al curatore e alle altre parti, che si identificano, se non sono reclamanti, nel fallito, nel proponente e negli opponenti.
Tra la data di notificazione e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni.
Le parti resistenti devono costituirsi almeno dieci gior-
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ni prima della udienza, eleggendo il domicilio nel comune
in cui ha sede la corte di appello.
La costituzione si effettua mediante il deposito in cancelleria di una memoria contenente l’esposizione delle difese in fatto e in diritto, nonché l’indicazione dei mezzi
di prova e dei documenti prodotti. Il legislatore in effetti
ha regolamentato ciò che prima doveva richiedere il collegio di sua iniziativa, allo scopo di garantire da un lato il diritto di difesa dei soggetti legittimati al reclamo e
dall’altro le esigenze di celerità nella definizione del giudizio.
Viene anche previsto, contrariamente che in passato,
il termine entro il quale può aver luogo l’intervento di
ogni interessato, termine che è simile a quello previsto
per le parti resistenti, con le medesime modalità.
Mentre precedentemente era previsto che all’udienza
il collegio, nel contraddittorio delle parti, assunte anche d’ufficio tutte le informazioni e le prove necessarie,
provvedesse con decreto motivato, con il decreto de quo
vengono accelerati i tempi, con notevole snellimento
della prassi da seguire.
Infatti si prevede che all’udienza il collegio, sentite le
parti, assume, anche d’ufficio, i mezzi di prova, eventualmente delegando un suo componente.
Non è più il collegio, ma la corte a provvedere, con
decreto motivato.
Tale decreto non viene più comunicato al debitore, ma
notificato alle parti a cura della cancelleria. Inoltre, è impugnabile con ricorso per cassazione entro trenta giorni dalla notificazione.
In tema di risoluzione del concordato fallimentare, non
è più previsto l’adempimento, da parte del proponente,
degli obblighi derivanti dal decreto di omologazione,
ma solo di quelli derivanti dal concordato.
Non è inoltre più previsto che, in mancanza di questi
adempimenti formali, il curatore e il comitato dei creditori debbano riferire al tribunale, ma che ciascun creditore possa chiederne la risoluzione.
Il tribunale non deve più procedere a norma dell’articolo 26, ma si applicano direttamente le disposizioni
dell’articolo 15 in quanto compatibili.
La pronuncia con cui si risolve il concordato e si riapre il fallimento ha forma di sentenza, e non più di decreto, ed è provvisoriamente esecutiva. Essa è reclamabile ai sensi dell’art. 18.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano non
più “quando gli obblighi derivanti dal concordato siano
stati assunti da un terzo con liberazione immediata del debitore”, ma quando siano stati assunti dal proponente o
da uno o piu creditori, quindi dalle parti dirette.
L’art. 138, riguardante l’annullamento del concordato, sostituisce la sentenza al decreto. Viene affermato, infatti, che la sentenza che annulla il concordato riapre la
procedura di fallimento ed è provvisoriamente esecutiva. Essa è reclamabile ai sensi dell’articolo 18.
Il comma 1 modifica l’articolo 142, terzo comma,
lettera a), del r.d. allo scopo di individuare più appropriatamente taluni debiti per i quali l’esdebitazione non
è ragionevolmente giustificabile: sono quelli derivanti da
rapporti “estranei all’esercizio dell’impresa”, anziché da
rapporti “non compresi nel fallimento ai sensi dell’articolo 46”.
Nell’ipotesi di esdebitazione per i crediti concorsuali
non concorrenti, è previsto che l’esdebitazione operi per
la sola eccedenza non più rispetto a quanto i creditori
avrebbero avuto diritto di percepire nel concorso, ma alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado.
L’articolo 11 del decreto legislativo reca disposizioni
correttive del Titolo II, Capo X della legge fallimentare.
Nell’articolo 147, sesto comma, della legge fallimentare la sostituzione della parola “appello” con la parola “reclamo” è conseguente alla modifica apportata all’art. 18.
Modifiche vengono apportate anche al titolo III, capo I, relativo al concordato preventivo e agli accordi di
ristrutturazione.
Viene inserito un comma aggiuntivo recante modifiche all’articolo 160, nel quale si sancisce che la proposta di concordato può prevedere che i creditori muniti
di diritto di prelazione non vengano soddisfatti integralmente, purchè il piano ne preveda la soddisfazione
in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione
della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di
vendita, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile al cespite o al reddito oggetto della garanzia indicato
nella relazione giurata di un esperto o di un revisore contabile designati dal tribunale. Il trattamento stabilito per
ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione. Ciò si è, quindi, voluto, al fine di incentivare ulteriormente il ricorso
allo strumento del concordato preventivo, e di eliminare una illogica diversità di disciplina rispetto al concordato fallimentare.
Il piano e la documentazione devono essere presentati da un professionista esperto, identificato non più nella figura del semplice avvocato, ma deve trattarsi di un
revisore contabile o di una società di revisione.
La domanda di concordato viene comunicata anche
al PM, cosa che prima non era prevista.
Viene prevista una ulteriore possibilità di salvezza
prima della dichiarazione di inammissibilità della domanda; il tribunale, infatti, può concedere al debitore
un termine non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti.
Il tribunale, se all’esito del procedimento verifica che
non ricorrono le condizioni, sentito il debitore in camera di consiglio sempre, e non più solo all’occorrenza, e
non più sentito il PM, con decreto non soggetto a reclamo
dichiara inammissibile la proposta di concordato. In tali casi il tribunale, non più direttamente, ma su istanza
del creditore o su richiesta del PM, non dichiara d’uffi-
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cio il fallimento del debitore, come era previsto in precedenza, ma , accertati i presupposti di cui agli articoli
1 e 5, dichiara il fallimento del debitore.
Contro la sentenza è proponibile reclamo a norma dell’articolo 18. Con il reclamo possono farsi valere anche
motivi attinenti all’ammissibilità della proposta di concordato.
Con il decreto- non soggetto a reclamo- di ammissione
alla procedura, il tribunale stabilisce un termine non superiore a quindici giorni entro il quale il ricorrente deve depositare nella cancelleria del tribunale non più la
somma che si presume necessaria per l’intera procedura, ma la somma pari al 50 per cento delle spese che si
presumono necessarie per l’intera procedura, ovvero la
diversa minor somma, non inferiore al 20 per cento di
tali spese, che sia determinata dal giudice. Ciò al fine di
rimuovere un possibile ostacolo all’accesso alla procedura concordataria.
Su proposta del commissario giudiziale, il giudice delegato può disporre che le somme riscosse vengano investite secondo quanto previsto dall’articolo 34, primo
comma, e cioè in strumenti finanziari, purchè sia garantita l’integrità del capitale.
Il decreto è pubblicato, a cura del cancelliere, direttamente a norma dell’articolo 17.
Per quanto riguarda gli effetti dell’ammissione al concordato preventivo, dalla data della presentazione del ricorso, non più “fino al passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato”, ma “fino al
momento in cui il decreto di omologazione diventa definitivo”, i creditori per titolo o causa anteriore al decreto non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore.
Il nuovo articolo 173 è rubricato non più solo “Dichiarazione di fallimento nel corso della procedura”, ma
“Revoca dell’ammissione al concordato e dichiarazione
di fallimento nel corso della procedura”.
Il primo comma non prevede più che il commissario
giudiziale, in seguito ad accertamenti sulla condotta riprovevole del debitore, debba darne immediata notizia al
giudice delegato, il quale, fatte le opportune indagini,
promuova dal tribunale la dichiarazione di fallimento, ma
è previsto invece che il commissario giudiziale debba riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al PM e ai creditori.
All’esito del procedimento, che si svolge nelle forme
di cui all’articolo 15, il tribunale provvede con decreto,
e, su istanza del creditore o su richiesta del PM, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza, reclamabile a norma dell’articolo 18.
Nel momento in cui si discute la proposta di concordato, essa non potrà più essere modificata dopo l’inizio
delle operazioni di voto.
In tema di maggioranza per l’approvazione del con-
cordato, ove siano previste diverse classi di creditori, il
concordato è approvato se riporta il voto favorevole
non più dei creditori che rappresentino la maggioranza
dei crediti ammessi al voto nella classe medesima, ma se,
nel maggior numero delle classi, la proposta riporti il voto favorevole dei creditori che rappresentino, in ciascuna di esse, la maggioranza dei crediti ammessi al voto,
in parallelo con quanto previsto in tema di concordato
fallimentare.
Viene specificato che i creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai creditori
chirografari per la parte residua del credito.
Le adesioni sono considerate ai fini del computo della maggioranza dei crediti, ipotesi, questa, non prevista
in precedenza. Ciò al fine di chiarire in modo espresso,
in linea con gli orientamenti giurisprudenziali prevalenti, che, ai fini del computo delle maggioranze, si debba
tenere conto dei voti pervenuti nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale di adunanza dei creditori.
Vengono previste ulteriori specificazioni nell’ambito
del giudizio di omologazione.
Non è più previsto che il tribunale fissi direttamente
una udienza in camera di consiglio per la comparizione
delle parti, ma il decreto de quo prevede che, se il concordato è stato approvato, il giudice delegato riferisca
al tribunale , il quale fissa un’udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e anche del commissario giudiziale, disponendo che il provvedimento
venga pubblicato a norma dell’articolo 17.
Le parti costituende non devono più depositare memoria difensiva contenente le eccezioni processuali e di
merito non rilevabili d’ufficio, nonché l’indicazione dei
mezzi istruttori e dei documenti prodotti.
Il decreto de quo specifica che cosa accada nel caso
in cui vengano o meno proposte opposizioni.
Se non sono proposte opposizioni, il tribunale, verificata la regolarità della procedura e l'esito della votazione, omologa il concordato con decreto motivato non
soggetto a gravame.
Se sono state proposte opposizioni, il tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio.
Se un creditore appartenente ad una classe dissenziente
contesta la convenienza della proposta, il tribunale può
omologare il concordato qualora ritenga che il credito
possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non
inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.
Il tribunale provvede con decreto motivato comunicato al debitore e al commissario giudiziale, che provvede
a darne notizia ai creditori. Il decreto è pubblicato a norma dell'articolo 17 ed è provvisoriamente esecutivo.
Ulteriore novità: il tribunale, se respinge il concordato, su istanza del creditore o su richiesta del PM, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fal-
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limento del debitore, con separata sentenza, emessa contestualmente al decreto.
Con riferimento ai provvedimenti in caso di cessione
di beni, non si parla più di sentenza di omologazione,
ma di decreto.
Altra nuova aggiunta: “si applicano ai liquidatori gli
articoli 28, 29, 37, 38, 39 e 116 in quanto compatibili”.
“ Si applicano al comitato dei creditori gli articoli 40
e 41 in quanto compatibili. Alla sostituzione dei membri del comitato provvede in ogni caso il tribunale”.
Le vendite di aziende e rami di aziende, beni immobili e altri beni iscritti in pubblici registri, nonché le cessioni di attività e passività della azienda e di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco devono essere autorizzate dal comitato dei creditori.
Si applicano gli articoli da 105 a 108 ter in quanto
compatibili.
Vengono previste novità importanti anche in tema di
accordi di ristrutturazione.
Il primo comma dell’articolo 182 bis ribadisce la necessità di una relazione redatta da un professionista che
abbia i requisiti previsti nell’articolo 28, lettere a) e b)
sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.
Viene previsto un comma aggiuntivo, nel quale, a conferma della natura conservativa di tali accordi, si afferma
che con il ricorso, il debitore può chiedere la protezione
del proprio patrimonio da iniziative cautelari e azioni esecutive di terzi estranei all'accordo. Il tribunale, se ritiene
che l'istanza sia funzionale alla attuazione dell'accordo,
e in particolare alla sua idoneità ad assicurare il regolare
pagamento dei creditori estranei, può stabilire, per un
tempo non superiore a 60 giorni dalla data di deposito di
provvedimento, la sospensione delle azioni esecutive o
cautelari già intraprese, nonché l'inibizione di azioni esecutive o cautelari da intraprendere. Si è voluto in questo
modo ovviare ad una delle questioni che maggiormente
potevano avere reso poco conveniente la presentazione di
un accordo di ristrutturazione, al fine di rendere più agevole l’utilizzazione di un istituto che non ha avuto, ad oggi, la diffusione auspicata.
Il periodo della sospensione ordinata dal tribunale non
può essere computato ai fini di eventuali decadenze. Nel
periodo fissato dal tribunale, nei procedimenti cautelari e in quello di cui all'articolo 15 possono tuttavia essere compiute attività istruttorie.
Non è più previsto che il tribunale, decise le opposizioni, proceda alla omologazione in camera di consiglio
con decreto motivato; si prevede, invece, che il tribunale con decreto motivato omologhi, ovvero respinga o dichiari inammissibile la domanda.
Non è più previsto l'appello contro la sentenza di
omologazione, ma il reclamo.
L'articolo 183, infatti, afferma che contro il decreto
del tribunale può essere proposto reclamo alla corte di
appello, la quale pronuncia in camera di consiglio.
Con lo scopo di chiarire e razionalizzare il regime di
impugnativa dei provvedimenti emessi all’esito del giudizio di omologazione, nel rispetto dei principi del “giusto processo”, viene previsto che con lo stesso reclamo
è impugnabile la sentenza dichiarativa di fallimento,
contestualmente emessa a norma dell’articolo 180, settimo comma.
Vi sono modifiche anche in tema di risoluzione e annullamento del concordato.
Non viene più prevista la mancata risoluzione del
concordato mediante cessione dei beni nel caso in cui nella liquidazione dei beni si sia ricavata una percentuale
inferiore a 40%, ma si prevede semplicemente che il
concordato non si può risolvere se l'inadempimento abbia scarsa importanza. Si recuperano, in questo modo,
tutti i principi sull’importanza dell’inadempimento contrattuale elaborati con riferimento alla norma generale
di cui all’articolo 1455 del cod. civ.
Vi è inoltre un nuovo termine per la proposizione del
ricorso per la risoluzione: entro un anno dalla scadenza
del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto dal
concordato.
Viene inoltre prevista una ulteriore sanatoria: le disposizioni precedenti non si applicano quando gli obblighi derivanti dal concordato sono stati assunti da un terzo, con liberazione immediata del debitore.
Si applicano le disposizioni degli articoli 137 e 138,
in quanto compatibili, intendendosi sostituito al curatore il commissario giudiziale.
Il decreto de quo prevede anche alcuni correttivi anche in tema di liquidazione coatta amministrativa.
In tema di accertamento giudiziario dello stato di insolvenza anteriore alla liquidazione coatta amministrativa, il comma 1 sostituisce, all’articolo 195, quinto
comma, del r.d. la parola “appello” con la parola “reclamo”, quale conseguenza della modifica apportata all’art. 18.
L'articolo 209 descrive una procedura più snella per
quanto riguarda la formazione dello stato passivo; infatti non viene più previsto che le opposizioni e le impugnazioni siano proposte, entro 15 giorni dal deposito, con ricorso al presidente del tribunale, osservate le
disposizioni del secondo comma dell'articolo 93, né che
il presidente del tribunale nomini un giudice per l'istruzione e per i provvedimenti ulteriori, ma viene previsto semplicemente che le impugnazioni, le domande tardive di crediti e le domande di rivendica e di restituzione siano disciplinate dagli articoli 98,99, 101 e 103, sostituiti al giudice delegato il giudice istruttore ed al curatore il commissario liquidatore.
Viene abrogato il vecchio articolo 211, riguardante le
società con responsabilità sussidiaria limitata o illimitata dei soci.
In tema di chiusura della liquidazione, sostanzialmente rimasta immutata, l'unica novità consiste nel fat-
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to che si applicano le norme dell'articolo 117, e se del
caso, degli articoli 2495 2496 del codice civile, al posto dei vecchi articoli 2456 e 2457, per ovvi motivi di
adeguamento numerico con gli articoli previsti sull'argomento dalla riforma delle società di capitali.
Vi è una profonda innovazione per quanto riguarda
la disciplina in tema di concordato.
L'articolo 214, infatti, prevede che l'autorità che vigila sulla liquidazione, su parere del commissario liquidatore, sentito il comitato di sorveglianza, può autorizzare l'impresa in liquidazione, uno o più creditori o un
terzo a proporre al tribunale un concordato, a norma dell'articolo 124, osservate le disposizioni dell'articolo 152,
se si tratta di società.
La proposta di concordato è depositata nella cancelleria del tribunale col parere del commissario liquidatore e del comitato di sorveglianza, comunicata dal commissario a tutti i creditori ammessi al passivo nelle forme previste dall'articolo 26, terzo comma, e pubblicata
mediante inserzione nella Gazzetta Ufficiale e depositata presso l'ufficio del registro delle imprese.
I creditori e gli altri interessati possono presentare nella cancelleria le loro opposizioni nel termine perentorio
di trenta giorni, decorrente dalla comunicazione fatta dal
commissario per i creditori e dalla esecuzione delle formalità pubblicitarie di cui al secondo comma per ogni
altro interessato.
Il tribunale, sentito il parere dell'autorità che vigila sulla liquidazione, decide sulle opposizioni e sulla proposta di concordato con decreto in camera di consiglio. Si
applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 129, 130 e 131.
Gli effetti del concordato sono regolati dall'articolo
135.
Il commissario liquidatore, con l'assistenza del comitato di sorveglianza, sorveglia l'esecuzione del concordato.
L’articolo 19 del decreto legislativo introduce una
norma di interpretazione autentica della disposizione
transitoria contenuta nell’articolo 150 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5.
L’intervento serve a chiarire che la nuova disciplina
va applicata a tutti i fallimenti dichiarati a partire dalla
data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 5 del
2006, in conformità al principio ex art. 3 della Cost.
L’articolo 20 estende retroattivamente l’applicazione del beneficio dell’esdebitazione anche alle procedure
fallimentari pendenti al 16 luglio 2006. In tal modo il
beneficio dell’esdebitazione potrà essere accordato a tutti i falliti, indipendentemente dalla data di apertura della procedura fallimentare. Per le procedure fallimentari
chiuse prima della data di entrata in vigore del presente decreto, la norma prevede che le domande di esdebitazione debbano essere presentate nel termine di un anno dalla medesima data.
L’art. 21 del decreto de quo prevede che sarà possibile iscrivere nel registro delle imprese lo stesso fallito,
quale titolare di un’altra impresa commerciale.
La scelta compiuta è stata quella di rendere applicabili le disposizioni del presente decreto soltanto ai
procedimenti per dichiarazione di fallimento ed alle
procedure fallimentari, rispettivamente, iniziati o aperte successivamente alla data di entrata in vigore dello
stesso. Fanno eccezione a tale disciplina gli articoli 19,
20 e 21 che, atteso il loro particolare contenuto, si applicheranno a tutte le procedure in corso.
Viene auspicato che dall’attuazione del presente decreto legislativo non deriveranno nuovi o maggiori oneri a carico dell’Erario.
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●
Bozza di delega legislativa
al Governo della Repubblica
● Mario Griffo
PER L’EMANAZIONE DEL NUOVO CODICE
DI PROCEDURA PENALE
Articolo 1
1. Il Governo della Repubblica è delegato ad emanare
il nuovo codice di procedura penale, secondo i principi
e i criteri direttivi e con le procedure previsti dalla presente legge.
Articolo 2
1. Il codice di procedura penale deve attuare i principi
della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale. Esso inoltre deve attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio, secondo i principi ed i criteri che seguono:
1.1. partecipazione dell’accusa e della difesa su basi di
parità in ogni stato e grado del procedimento;
1.2. effettività degli istituti della difesa d’ufficio e del patrocinio a spese dello Stato; 1.3. adozione del metodo
orale; 1.4. immediatezza e concentrazione del dibattimento; 1.5. facoltà delle parti, e dei difensori, di indicare elementi di prova e di presentare memorie in ogni
stato e grado del procedimento; obbligo del giudice di
provvedere senza ritardo, e comunque entro termini prestabiliti sulle richieste; 1.6. potere del giudice di disporre la partecipazione a distanza dell’imputato, con specifiche garanzie a tutela del diritto di difesa, alle udienze
dei procedimenti per gravi delitti di criminalità organizzata e per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico e in altri casi predeterminati; 1.7.
determinazione dei tempi e dei modi di deducibilità dei
vizi degli atti; 1.8. divieto di dichiarare nel corso del processo la prescrizione del reato, salvo che, prima dell’esercizio dell’azione penale, non sia già decorso il tempo necessario; previsione di termini di durata massima delle fasi e dei gradi del processo, tenuto conto della particolare
complessità; casi tassativi di sospensione dei suddetti termini; prescrizione del processo per violazione dei termini;
prevalenza, in ogni stato e grado del processo, del proscioglimento nel merito sulla dichiarazione di prescrizione del processo;
2.1. definizione della giurisdizione come esercizio della
funzione cognitiva e decisoria; 2.2. disciplina dei rapporti
tra le diverse giurisdizioni improntata al principio di autonomia; predeterminazione dei rapporti tra sentenze penali e giudizi civili e disciplinari; 2.3. dovere del pubblico
ministero di informare l’amministrazione pubblica dei
fatti relativi alla violazione dei doveri di fedeltà inerenti all’ufficio pubblico; potere del pubblico ministero di
ritardare l’informazione per la salvaguardia delle esigenze investigative; 2.4. individuazione dei presupposti
del ricorso alla mediazione, con l’intervento di un soggetto terzo e imparziale; facoltà delle parti e della persona offesa di proporre il ricorso alla mediazione; pote-
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re della autorità giudiziaria di attribuire la definizione
del caso al mediatore, indicando un termine di conclusione; sospensione del procedimento penale, per un termine massimo predeterminato, fatto salvo il compimento
di atti urgenti; garanzie minime della difesa; inutilizzabilità nel procedimento penale degli atti compiuti in sede di mediazione e divieto di testimonianza su quanto
ivi accaduto o appreso; potere del giudice di dichiarare
con archiviazione la chiusura del procedimento nell’ipotesi di esito positivo della mediazione; in caso di esito negativo, prosecuzione del procedimento penale sospeso;
3.1. determinazione della competenza per materia, in ragione sia della pena edittale, con esclusione degli aumenti
derivanti per recidiva, continuazione e circostanze aggravanti, ad 2 eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa e di quelle ad effetto
speciale, sia della qualità del reato; 3.2. predeterminazione dei reati di competenza della corte d’assise; 3.3. attribuzione alla competenza esclusiva del tribunale per i
minorenni dei reati commessi dai minori degli anni diciotto; 3.4. individuazione dei reati di competenza del
giudice di pace sulla base del criterio della diversità della pena edittale, anche in via alternativa, da quella detentiva o interdittiva; 3.5. competenza del tribunale come organo monocratico, salva la competenza della composizione collegiale in casi determinati, per i reati non
attribuiti alla competenza della corte d’assise o del giudice di pace;
4.1. determinazione della competenza per territorio, per
specifici reati, in relazione al luogo di inizio o, in alternativa, di cessazione dell’azione o dell’omissione; 4.2. determinazione della competenza per territorio, nei procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata e per
finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, sulla base di specifici criteri; 4.3. eccezionalità,
per ragioni di urgenza, del potere del giudice, contestualmente dichiaratosi incompetente, di applicazione
nella fase delle indagini preliminari di misure cautelari;
5.1. determinazione della competenza per connessione;
esclusione della connessione nel caso di imputati minorenni;
6.1. determinazione della competenza per territorio nei
procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di
imputato o di persona offesa o danneggiata dal reato e
per i procedimenti connessi; 6.2. irrilevanza della connessione in caso di archiviazione della notizia di reato
relativa al magistrato;
7.1. rilevabilità, anche d’ufficio, del difetto di giurisdizione in ogni stato e grado del procedimento; fatta eccezione per la competenza di un giudice superiore non
derivante da connessione, previsione della decadenza
dall’eccezione di incompetenza, e preclusione alla rilevabilità anche d’ufficio, subito dopo l’inizio della discussione nell’udienza di conclusione delle indagini o, se
questa manchi, subito dopo il compimento, per la prima volta, dell’accertamento della costituzione delle parti in giudizio; 7.2. dichiarazione dell’incompetenza con
ordinanza, con contestuale trasmissione degli atti al
giudice ritenuto competente; rimessione dell’imputato
in termini, davanti al giudice competente, per l’ammissione al giudizio abbreviato, per la richiesta concordata di applicazione di pena e per la richiesta di condanna con riduzione di pena; efficacia nel processo davanti al giudice competente delle prove già acquisite, salva
la rinnovazione delle prove dichiarative secondo modalità prestabilite; inefficacia dei provvedimenti applicativi di misure cautelari non convalidati, entro un termine determinato, dal giudice competente; 7.3. dovere
del giudice, rigettata l’eccezione di incompetenza, di
proporre immediatamente con ordinanza, su richiesta
di una delle parti, regolamento di competenza davanti
alla corte di cassazione; assenza di effetto sospensivo del
regolamento di competenza sui procedimenti in corso;
decisione della corte di cassazione con ordinanza pronunciata in camera di consiglio; preclusione alla proposizione della questione in caso di omessa richiesta della parte o di inammissibilità o rigetto, salvo il caso della modifica, per fatti nuovi, della competenza in favore di un giudice superiore; 7.4. disciplina dei conflitti di
giurisdizione tra giudici ordinari e giudici speciali e dei
conflitti di competenza tra giudici ordinari; specifica disciplina dei conflitti per la fase delle indagini preliminari; potere delle parti di denuncia del conflitto; dovere del giudice di proporre alla corte di cassazione il conflitto, denunciato o 3 rilevato d’ufficio, con ordinanza
comunicata a tutte le parti; assenza di effetto sospensivo del conflitto sui procedimenti in corso; decisione della corte di cassazione con ordinanza pronunciata in camera di consiglio; efficacia vincolante nel corso del processo della decisione della corte di cassazione, salvo il
caso della modifica, per fatti nuovi, della competenza
in favore di un giudice superiore; efficacia nel processo
davanti al giudice competente delle prove già acquisite,
salva la rinnovazione delle prove dichiarative secondo
modalità prestabilite; inefficacia dei provvedimenti applicativi di misure cautelari non convalidati, entro un
termine determinato decorrente dalla comunicazione
della decisione della corte di cassazione, dal giudice
competente;
8.1. determinazione della capacità del giudice secondo
le norme di ordinamento giudiziario; 8.2. disciplina delle modalità di rilevazione del vizio di capacità;
9.1. determinazione dei criteri per l’individuazione del
giudice in seguito a rinvio per annullamento;
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10.1. disciplina della rimessione, anche su richiesta dell’imputato, in ogni stato e grado del processo di merito,
per gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, che pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza o l’incolumità
pubblica e individuazione del nuovo giudice competente secondo criteri predeterminati; 10.2. previsione della
competenza della corte di cassazione, che decide con ordinanza in camera di consiglio; 10.3. attribuzione all’imputato e al difensore dei diritti e delle facoltà riconosciuti davanti al giudice originariamente competente;
10.4. attribuzione alle parti del diritto alla rinnovazione degli atti compiuti prima dell’accoglimento della richiesta di rimessione, salvi i casi di ripetizione impossibile;
11.1. divieto di esercizio delle funzioni di giudice nel giudizio per il magistrato che abbia svolto nello stesso procedimento funzioni di pubblico ministero o di giudice dell’udienza di conclusione delle indagini, ovvero di giudice per le indagini preliminari, salvo, in questa ipotesi, che
si tratti di attività che non abbiano implicato valutazioni sul merito, o infine che abbia espresso valutazioni sul
merito in sede di procedimento incidentale; 11.2. divieto di esercizio delle funzioni di giudice in altro grado per
il magistrato che abbia preso parte allo stesso procedimento, giudicando nel merito o svolgendo funzioni di
pubblico ministero; 11.3. determinazione tassativa di
ulteriori cause di incompatibilità;
12.1. determinazione delle cause di astensione e ricusazione del giudice, con previsione delle forme e dei termini di proposizione; determinazione dei casi di astensione del pubblico ministero;
13.1. disciplina della riunione e della separazione dei processi, anche in grado di appello;
14.1. legittimazione dell’ufficio del pubblico ministero
presso il giudice competente alle attività di indagine preliminare; 14.2. attribuzione delle funzioni di pubblico ministero, nelle indagini preliminari e nei procedimenti di
primo grado relativi a delitti di criminalità organizzata
e per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, all’ufficio del pubblico ministero presso il
tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha
sede il giudice competente;
15.1. disciplina dei rapporti tra diversi uffici del pubblico
ministero nel corso delle indagini preliminari; predeterminazione dei casi e dei modi del coordinamento;
15.2. attribuzione delle funzioni di coordinamento, nei
procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata
e per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, al procuratore nazionale antimafia e, nei pro-
cedimenti relativi ad altri reati, al procuratore generale
presso la corte d’appello; 15.3. disciplina dei contrasti,
positivi e negativi, tra uffici del pubblico ministero;
16.1. predeterminazione dei casi di avocazione delle indagini da parte del procuratore nazionale antimafia e del
procuratore generale presso la corte d’appello in caso di
inerzia o di ingiustificata e grave violazione dei doveri
inerenti al coordinamento delle indagini previsti dalla legge;
17.1. piena autonomia nell’esercizio delle funzioni di
pubblico ministero in udienza;
18.1. organizzazione degli uffici di polizia giudiziaria in
funzione della diretta disponibilità da parte dell’autorità giudiziaria; 18.2. dovere della polizia giudiziaria di
compiere tutte le attività, di iniziativa o delegate, necessarie all’accertamento dei reati ed alla individuazione degli autori;
19.1. assunzione della qualità di imputato da parte della persona nei cui confronti è formulata l’imputazione
nella richiesta di rinvio a giudizio, nel caso di presentazione diretta al giudice da parte del pubblico ministero
e nel caso di richiesta concordata di applicazione della
pena nel corso delle indagini preliminari; 19.2. estensione
delle garanzie dell’imputato alla persona nei cui confronti
è formulata l’accusa o vengono compiuti atti suscettibili di utilizzazione a fini decisori o è notificata richiesta
di decreto penale; 19.3. predeterminazione dei casi di sospensione del processo o del procedimento per accertata incapacità di partecipazione cosciente dell’accusato;
20.1. garanzie per la libertà del difensore in ogni stato
e grado del procedimento; 20.2. competenza esclusiva del
consiglio dell’ordine per l’abbandono della difesa; autonomia del procedimento disciplinare dal procedimento penale in cui si è verificato l’abbandono della difesa;
21.1. diritto della persona offesa di essere assistita da un
difensore di fiducia, anche mediante accesso al patrocinio a spese dello Stato;
22.1. obbligo del pubblico ministero, qualora sia prevista l’autorizzazione a procedere, di farne richiesta, previo invio della informazione di garanzia;
23.1. determinazione della forma degli atti e delle modalità di documentazione; 23.2. uso di mezzi elettronici e telematici nelle relazioni tra i soggetti del processo;
23.3. predeterminazione di termini perentori per il compimento di specifici atti; 23.4. disciplina della restituzione
nel termine;
24.1. semplificazione del sistema delle notificazioni degli atti; predeterminazione delle forme e dei modi per le
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notificazioni; 24.2. notificazione della citazione dell’imputato mediante consegna a mani della persona; 24.3.
avviso di deposito dell’atto da eseguire mediante forme
predeterminate, in caso di impossibilità della consegna
personale, con invito a presentarsi per il ritiro entro un
termine stabilito; 24.4. emissione di un ordine di 5 notificazione coattiva per mancato ritiro dell’atto entro il
termine; 24.5. dovere della polizia giudiziaria di esecuzione dell’ordine, ricorrendo, se del caso, e al solo fine
della notifica, all’accesso forzoso anche in locali di privata dimora, ove abbia motivo di ritenere che lì si trovi
la persona; 24.6. potere della polizia giudiziaria di accompagnamento nei propri uffici dell’imputato per il
tempo strettamente necessario alla consegna dell’atto;
adozione delle cautele necessarie per la tutela dei diritti
della persona; 24.7. obbligo dell’imputato, all’atto della notifica della citazione, di dichiarare o eleggere domicilio, previo avvertimento che, in mancanza, le successive notificazioni saranno eseguite presso il difensore, con gli stessi effetti della notificazione eseguita personalmente; 24.8. specifiche regole per la notificazione
della citazione della contestazione dell’accusa all’imputato latitante ovvero, nei procedimenti relativi a delitti
di criminalità organizzata e per finalità di terrorismo o
di eversione dell’ordine democratico, all’imputato irreperibile; 24.9. notificazioni al difensore, anche se domiciliatario dell’imputato, per via elettronica con posta
certificata;
25.1. previsione che la sentenza contenga la concisa
esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con riferimento: a) alla indicazione dei
risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova
adottati, con riguardo all’accertamento dei fatti e delle
circostanze oggetto della imputazione e alla loro qualificazione giuridica, alla colpevolezza, alla punibilità, alla determinazione della pena e della misura di sicurezza, alla responsabilità civile derivante dal reato, nonché
all’accertamento dei fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali; b) alla enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie acquisite in ordine a ciascuno dei punti della decisione suindicati; 25.2. predeterminazione dei casi di nullità della sentenza;
26.1. previsione che la condanna sia pronunciata solo se
l’imputato risulta colpevole al di là di ogni ragionevole
dubbio; 26.2. diversità delle formule di assoluzione o di
proscioglimento, anche per particolare tenuità del fatto
o per prescrizione del processo; equivalenza della prova
insufficiente o contraddittoria alla mancanza di prova;
26.3. specificazione, nel dispositivo della sentenza, delle formule di assoluzione o di proscioglimento; 26.4.
obbligo di proscioglimento nel merito, quando ne ricorrano gli estremi, anche in presenza di una causa estintiva del reato; 26.5. rifusione delle spese processuali,
salvo che ricorrano giusti motivi, all’imputato prosciol-
to con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste
o per non aver commesso il fatto;
27.1. obbligo del giudice di pronuncia, se gli elementi acquisiti sono sufficienti ed in caso di condanna, sulla domanda di restituzione o di risarcimento del danno, con
facoltà di concedere la provvisoria esecuzione quando ricorrono giustificati motivi; 27.2. obbligo, fuori dei casi
di provvisoria esecuzione, di assegnazione alla parte civile di una congrua somma in conto della liquidazione
riservata al giudice civile; 27.3. provvisoria esecuzione
del provvedimento di assegnazione e potere del giudice
di appello di sospensione della provvisoria esecuzione in
pendenza di impugnazione;
28.1. potere dell’autorità giudiziaria di interpellare il
presidente del Consiglio dei ministri per la conferma del
segreto di Stato opposto, nei casi consentiti dalla legge,
dai pubblici ufficiali, dai pubblici impiegati e dagli incaricati di pubblico servizio; 28.2. obbligo di dichiarazione di non doversi procedere in caso di conferma del
segreto posto a tutela di informazioni essenziali per la
definizione del processo; 28.3. divieto di segreto per fatti, notizie o documenti concernenti reati diretti all’eversione dell’ordinamento costituzionale; disciplina del segreto professionale; 28.4. previsione del segreto giornalistico limitatamente 6 alle fonti delle notizie, salvo che
le notizie stesse siano indispensabili ai fini della prova
del reato per cui si procede e la loro veridicità possa essere accertata soltanto attraverso l’identificazione della
fonte della notizia; 28.5. prevedere che l’autorità giudiziaria, anche in deroga al segreto d’indagine, possa trasmettere copia di atti del procedimento o informazioni
scritte sul loro contenuto: al presidente del Consiglio dei
ministri per lo svolgimento delle funzioni di tutela della
sicurezza nazionale, al ministro dell’interno e ai prefetti al fine della prevenzione di gravi delitti, all’amministrazione finanziaria per l’espletamento delle attività fiscali previste dalla legge, al procuratore regionale presso la corte dei conti competente per territorio, nonché,
in casi e modi predeterminati, alle autorità indipendenti per l’esercizio delle rispettive attribuzioni; 28.6. prevedere, in caso di richiesta delle autorità sopra indicate,
che l’autorità giudiziaria possa con decreto motivato rifiutare o ritardare la trasmissione degli atti e delle informazioni sino alla conclusione delle indagini preliminari; 28.7. prevedere che comunque la documentazione
trasmessa sia coperta da segreto d’ufficio;
29.1. segreto sugli atti di indagine del pubblico ministero e della polizia giudiziaria fino a quando gli stessi non
possono essere conosciuti dall’imputato; 29.2. disciplina del divieto di divulgazione e di pubblicazione degli atti coperti dal segreto e del loro contenuto; 29.3. potere
del pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, di vietare con decreto motivato, cui è data pubblicità solo successivamente, la pubblicazione di atti non
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più coperti dal segreto o di notizie relative a determinate indagini per il tempo strettamente necessario ad evitare pregiudizio per lo svolgimento delle stesse; 29.4. divieto di pubblicazione degli atti in determinati casi di celebrazione del dibattimento a porte chiuse; 29.5. divieto di pubblicazione delle generalità, di ogni altro dato
identificativo e dell’immagine dei minori parti offese,
danneggiati o testimoni;
30.1. predeterminazione delle cause di invalidità degli atti e delle sanzioni processuali; 30.2. disciplina della deducibilità e della rilevabilità dei vizi e predeterminazione di casi eccezionali di nullità insanabile;
31.1. garanzia del diritto delle parti di ottenere l’ammissione e l’acquisizione dei mezzi di prova richiesti e non
vietati dalla legge, salvo i casi manifesti di superfluità ed
irrilevanza; divieto di utilizzare metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione della
persona o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti; 31.2. potere del giudice, in casi predeterminati e nei procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata e per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, di non ammissione dell’esame dibattimentale di un testimone o di un imputato in procedimento separato, che abbiano già reso dichiarazioni in
contraddittorio con la persona nei cui confronti le stesse saranno utilizzate; dovere del giudice di ammissione
dell’esame richiesto dalle parti, se esso verte su fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni o se risulta necessario sulla base di specifiche esigenze; applicazione di analoga disciplina, per casi predeterminati, se l’esame riguarda un testimone minore degli anni sedici; 31.3. potere del giudice, in casi di
assoluta necessità ai fini della decisione, di disporre anche d’ufficio l’acquisizione di elementi di prova ulteriori rispetto a quelli introdotti dalle parti; facoltà delle
parti, all’esito, di proporre nuove richieste di prova in
rapporto agli elementi di novità emersi;
32.1. inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione
dei divieti stabiliti dalla legge; 32.2. potere del giudice
di ammettere, sentite le parti, prove non disciplinate dalla legge, salvo 7 che si tratti di prove tipiche acquisite o
da acquisire in modo irrituale; divieto di ammissione di
prove che violino la libertà morale della persona;
33.1. obbligo del giudice di valutare soltanto le prove legittimamente acquisite, dando conto nella motivazione
dei risultati conseguiti e dei criteri adottati; 33.2. regole specifiche in tema di valutazione della prova indiziaria e delle dichiarazioni rese dal coimputato nel medesimo reato o da imputato in procedimento connesso o collegato;
34.1. disciplina della prova testimoniale con l’indica-
zione delle cause di incompatibilità e delle deroghe al dovere di testimoniare; 34.2. disciplina della testimonianza indiretta e dei limiti alla sua utilizzazione; 34.3. divieto di testimonianza della polizia giudiziaria sulle dichiarazioni acquisite da testimoni e dai soggetti indagati; 34.4. potere del giudice, nei procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata e per finalità di terrorismo
o di eversione dell’ordine democratico e in altri casi tassativi, di disporre l’esame a distanza dei testimoni e degli imputati di un reato connesso, con mezzi idonei ad
assicurare la regolarità dell’esame e la tutela della persona esaminata;
35.1. disciplina dell’esame delle parti private con previsione della facoltà di non rispondere alle domande; 35.2.
disciplina dei confronti fra persone già esaminate; 35.3.
disciplina delle ricognizioni e delle garanzie idonee ad assicurare l’attendibilità del loro risultato; 35.4. disciplina degli esperimenti giudiziali, da svolgersi sotto la direzione del giudice; 35.5. potere-dovere del giudice di disporre la perizia, ove siano necessarie valutazioni che richiedono una particolare competenza tecnica, scientifica o artistica; disciplina della perizia in modo da assicurare la più idonea competenza dei periti, nonché, in
casi di interdisciplinarietà della ricerca, la collegialità
dell’organo; ammissibilità dei documenti rappresentativi di fatti, persone o cose; divieto di acquisizione dei documenti anonimi, salvo che costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall’imputato; 35.6. idoneità probatoria in ordine al fatto in esse accertato delle sentenze irrevocabili emesse in diverso procedimento
penale o in altri giudizi;
36.1. incompatibilità con l’ufficio di testimone degli imputati in procedimento connesso o collegato, salvo che
nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti; 36.2. disciplina
dell’esame del coimputato in un procedimento separato
su fatti concernenti la responsabilità di altri, con la previsione dell’obbligo di presentarsi al giudice e della facoltà di non rispondere alle domande; 36.3. acquisto,
previo avvertimento da parte del giudice, della qualità
di testimone da parte del coimputato nello stesso procedimento o in procedimento separato, che nell’esame
accetti di rispondere alle domande su fatti concernenti
la responsabilità di altri, salvo che si tratti di coimputato del medesimo reato; 36.4. garanzie contro l’auto-incriminazione per l’imputato che acquista la qualità di testimone;
37.1. predeterminazione dei casi e dei modi in cui l’autorità giudiziaria può disporre ispezioni e perquisizioni;
38.1. potere dell’autorità giudiziaria di disporre il sequestro, con provvedimento motivato, del corpo di rea-
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to e delle cose pertinenti al reato se sussistono esigenze
investigative che lo rendono necessario; 38.2. facoltà
dell’imputato, del suo difensore e dei terzi interessati di
richiedere il riesame del provvedimento di sequestro;
38.3. facoltà dell’imputato, del 8 difensore e dei terzi interessati, nel caso di mancata restituzione da parte del
pubblico ministero, di presentare opposizione al giudice; 38.4. dovere del pubblico ministero, qualora non accolga la richiesta di sequestro probatorio proposta dall’imputato o dalla persona offesa, di rimettere gli atti al
giudice per la decisione;
39.1. disciplina dell’esecuzione coattiva di prelievi di
materiale biologico e di esami medici strumentali, per fini probatori, quando manchi il consenso della persona
interessata, in attuazione dei seguenti princìpi: predeterminazione dei reati per i quali sono ammessi, solo se
indispensabili ai fini dell’accertamento, i prelievi e gli
esami coattivi; attribuzione al giudice del potere di disporre con provvedimento motivato, anche d’ufficio, il
prelievo o l’esame; attribuzione al pubblico ministero del
potere di disporre, con decreto motivato, il prelievo o l’esame nei soli casi d’urgenza, salvo convalida da parte del
giudice nelle quarantotto ore successive al provvedimento; attribuzione al giudice del potere di disporre l’accompagnamento coattivo della persona da sottoporre a
prelievo o esame; attribuzione di analogo potere al pubblico ministero, salvo convalida da parte del giudice nelle quarantotto ore successive; rispetto della dignità e del
pudore della persona nell’esecuzione delle operazioni di
prelievo o esame, che in ogni caso non devono arrecare
pericolo per la vita, l’integrità fisica o la salute della persona o del nascituro; facoltà della persona da sottoporre a prelievo o esame di farsi assistere da una persona di
fiducia; 39.2. previsione delle modalità di redazione del
verbale delle operazioni di prelievo, anche nei casi in cui
sia stato prestato il consenso; 39.3. specifica disciplina
dei prelievi o degli esami su incapaci o su minori degli
anni sedici; 39.4. determinazione dei casi e dei termini
entro i quali i campioni biologici o i risultati degli esami devono essere distrutti, salvo che la loro conservazione
sia assolutamente indispensabile;
40.1. disciplina delle intercettazioni di conversazioni e
di qualsiasi altra forma di comunicazione che, per le
modalità utilizzate, sono destinate a rimanere riservate,
secondo i seguenti princìpi: 40.2. predeterminazione dei
reati per i quali sono ammesse le intercettazioni e di
quelli per i quali sono utilizzabili le intercettazioni effettuate in un diverso procedimento; 40.3. determinazione dei casi eccezionali nei quali è ammessa l’intercettazione di comunicazioni tra persone presenti che si svolgono nel domicilio o in altro luogo di privata dimora;
40.4. ammissibilità delle intercettazioni in presenza di
gravi indizi di reato e quando sia assolutamente indi-
spensabile per la prosecuzione delle indagini; 40.5. attribuzione al giudice, con provvedimento motivato e con
specifico riferimento alle comunicazioni da sottoporre ad
intercettazione, del potere di autorizzare le intercettazioni
richieste dal pubblico ministero; 40.6. attribuzione al
pubblico ministero, nei soli casi di urgenza e di grave pregiudizio alle indagini, del potere di disporre le intercettazioni con decreto motivato, salvo convalida da parte
del giudice entro quarantotto ore dal provvedimento;
40.7. determinazione dei termini di durata e di proroga
delle operazioni di intercettazione, nonché di un termine massimo non prorogabile; 40.8. attribuzione al giudice del potere di autorizzare, su richiesta del pubblico
ministero, con provvedimento motivato, le proroghe
delle intercettazioni; 40.9. previsione della possibilità di
proroga solo in presenza dei presupposti iniziali e dell’attualità delle esigenze investigative, anche tenuto conto degli esiti delle precedenti operazioni; 40.10. determinazione delle modalità delle operazioni di intercettazione; determinazione delle garanzie per l’installazione
degli strumenti di ripresa visiva e sonora; 40.11. individuazione degli impianti presso cui le operazioni di intercettazione sono svolte; 40.12. annotazione, in apposito registro, di tutti i relativi provvedimenti motivati;
40.13. istituzione presso gli uffici della procura della
Repubblica di un archivio riservato per la conservazione dei supporti informatici e della 9 documentazione integrale dei risultati delle intercettazioni riguardanti fatti o circostanze estranei alle indagini; divieto di pubblicazione delle intercettazioni fino alla conclusione delle
indagini preliminari; 40.14. facoltà di pubblicazione,
prima della conclusione delle indagini preliminari, dei soli risultati delle attività di intercettazione utilizzati dal giudice per l’adozione di un provvedimento limitativo della libertà personale e già posti a conoscenza dell’indagato o del suo difensore; 40.15. diritto delle parti di esaminare gli atti depositati e di ascoltare le registrazioni custoditi nell’archivio riservato; trascrizione, a cura del
giudice, soltanto delle intercettazioni rilevanti; 40.16. determinazione dei casi nei quali, a garanzia del diritto alla riservatezza anche della persona offesa o di terzi, nel
rispetto dei diritti della difesa e delle esigenze del processo, tale documentazione deve essere distrutta; 40.17.
limiti alla pubblicazione ed alla divulgazione delle intercettazioni trascritte; 40.18. inutilizzabilità dei risultati
delle intercettazioni compiute in violazione della disciplina di cui alle direttive precedenti; 40.19. disciplina delle attività investigative non costituenti intercettazione che
comportano lesione alla segretezza delle comunicazioni
orali, nel rispetto delle garanzie di cui alle direttive precedenti, in quanto compatibili; 40.20. esecuzione delle
operazioni di ripresa visiva in luoghi di privata dimora,
anche non costituenti intercettazione, nel rispetto delle
garanzie di cui alle direttive precedenti; 40.21. necessità dell’autorizzazione del giudice, con provvedimento
motivato, per le attività continuative di riprese visive dei
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comportamenti tenuti in luogo diverso da quelli di privata dimora; 40.22. predeterminazione di deroghe per i
procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata
e per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico; 40.23. disciplina delle intercettazioni e delle
operazioni di riprese visive in funzione della ricerca di
latitanti, secondo le direttive indicate in precedenza in
quanto compatibili; 40.24. utilizzabilità ai soli fini investigativi delle intercettazioni eseguite al di fuori del procedimento penale; 40.25. divieto di perquisizione personale e domiciliare, di ispezione personale, di ricognizioni e confronti, e di intercettazioni di comunicazioni
o altra captazione, nei confronti della persona per la
quale è necessaria l’autorizzazione a procedere, fino a
quando la stessa non sia stata concessa;
lità organizzata e per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, non disponga, con decreto
motivato, il differimento del colloquio per non più di quarantotto ore per specifiche ed inderogabili esigenze; 44.4.
disciplina delle modalità dell’interrogatorio in funzione
della sua natura di strumento di difesa;
42.1. disciplina di speciali tecniche investigative per le
attività di ricerca della prova relative a reati particolarmente gravi che si svolgano anche in ambito transfrontaliero;
45.1. obbligo del pubblico ministero di ordinare l’immediata liberazione dell’arrestato o del fermato quando
non sussistono le condizioni previste dalla legge per l’arresto o per il fermo o quando reputi di non dover chiedere alcuna misura coercitiva; 45.2. facoltà del pubblico ministero di interrogare l’arrestato o il fermato, con
diritto del difensore di assistere all’interrogatorio; 45.3.
obbligo del pubblico ministero di porre a disposizione
del giudice, per la decisione sulla convalida, l’arrestato
o il fermato entro quarantotto ore dall’arresto o dal fermo; 45.4. obbligo del giudice di decidere nelle successive quarantotto ore; 45.5. obbligo del giudice di sentire
l’arrestato o il fermato prima della convalida dell’arresto o del fermo e dell’applicazione di misure coercitive;
garanzie di assistenza difensiva nel giudizio sulla convalida;
43.1. obbligo della polizia giudiziaria di arrestare colui
che è colto nella flagranza di uno dei seguenti delitti: delitti consumati o tentati punibili con la reclusione non
inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni, senza tener conto nel computo della pena delle
circostanze aggravanti, fatta eccezione per quelle per le
quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e per quelle ad effetto speciale,
esclusa la recidiva, e senza tener conto delle circostanze
attenuanti; altri delitti predeterminati, avuto riguardo a
speciali esigenze di tutela della collettività; 43.2. facoltatività di arresto nei casi predetti nei confronti del minore degli anni diciotto; 43.3. previsione di limiti di pena edittale per i reati per i quali la polizia giudiziaria ha
facoltà di arresto in ragione della gravità del fatto e della pericolosità del soggetto; 43.4. potere-dovere del pubblico ministero e, nei casi di urgenza, della polizia giudiziaria, di disporre il fermo di colui che è gravemente
indiziato di predeterminati delitti particolarmente gravi, quando vi è fondato pericolo di fuga e non vi è possibilità di operare in via ordinaria; 43.5. obbligo della
polizia giudiziaria di informare immediatamente il pubblico ministero e di porre a disposizione, non oltre 10
ventiquattro ore dall’arresto o dal fermo, le persone arrestate o fermate;
44.1. obbligo di avvertire immediatamente la persona
comunque privata della libertà personale del diritto di
nominare un difensore di fiducia; 44.2. obbligo di comunicare immediatamente l’avvenuto fermo o arresto al
difensore; 44.3. diritto dell’arrestato o del fermato di conferire liberamente con il proprio difensore, salvo che il
pubblico ministero, limitatamente ai delitti di crimina-
46.1. disciplina delle misure di coercizione personale
con graduazione delle stesse secondo il criterio dell’afflittività, fino alla custodia in carcere; 46.2. esclusione
di presunzioni legali in tema di misure cautelari coercitive; 46.3. divieto di disporre la custodia in carcere se,
con l’applicazione di altre misure di coercizione personale, possono essere egualmente soddisfatte le esigenze
cautelari o se la persona si trova in uno stato di salute
incompatibile con la detenzione; 46.4. predeterminazione dei casi, dei presupposti e delle esigenze in virtù
dei quali il pubblico ministero può chiedere al giudice misure di coercizione personali; 46.5. obbligo del pubblico ministero di produzione, con la richiesta, degli elementi sui cui fonda la stessa e di quelli favorevoli alla
difesa; obbligo del giudice di motivare, in caso di accoglimento, anche sulle ragioni della scelta della misura;
46.6. specifico obbligo di motivazione in caso di rigetto
della richiesta di misura cautelare per l’insussistenza in
concreto delle esigenze cautelari nei procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata e per finalità di
terrorismo o di eversione dell’ordine democratico; 46.7.
divieto di disporre la custodia cautelare in carcere se il
reato per il quale si procede è punito con pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni, ovvero non superiore a quattro se si tratta di applicare la custodia cautelare; 46.8. predeterminazione dei criteri per il computo delle pene ai fini dell’adozione di misure cautelari;
46.9. obbligo di revoca o di sostituzione delle misure applicate in caso di cessazione o affievolimento delle esigenze cautelari, o di sopravvenuta incompatibilità dello
stato di salute con la detenzione, ovvero se l’ulteriore protrarsi di questa risulti non proporzionata alla entità del
41.1. specifica disciplina per l’accesso a dati personali
conservati presso banche dati pubbliche o private;
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fatto ed alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata; 46.10. divieto di misure di coercizione personale nei
confronti della persona per la quale occorre l’autorizzazione a procedere;
47.1. potere del giudice che procede o, durante le indagini preliminari, del giudice per le indagini preliminari
di applicazione della misura cautelare con ordinanza
motivata; 47.2. predeterminazione dei casi e delle modalità con cui il giudice, se non rigetta o non accoglie allo stato degli atti la richiesta di misura cautelare, dispone l’ascolto della persona nei cui 11 confronti è presentata la richiesta; 47.3. obbligo del giudice di interrogare la persona sottoposta a misura cautelare, che non sia
stata ascoltata prima dell’adozione del provvedimento,
entro un termine predeterminato di breve durata; 47.4.
immediata liberazione dell’imputato che non sia stato interrogato entro detto termine;
48.1. disciplina dei casi di revoca o sostituzione, anche
a richiesta di parte, della misura cautelare applicata;
48.2. inammissibilità della richiesta di misura cautelare,
di revoca o di sostituzione, meramente riproduttiva di
altra già rigettata; 48.3. predeterminazione dei casi, divenuto inefficace il provvedimento cautelare, del divieto di applicazione di altra misura;
49.1. riesame anche nel merito, entro termine predeterminato ed innanzi a giudice collegiale, del provvedimento che ha disposto la misura cautelare personale; 49.2. garanzie di partecipazione all’udienza con previsione della
concessione, a richiesta, di un termine a difesa; 49.3. perdita di efficacia del provvedimento applicativo della misura coercitiva in caso di omessa pronuncia, nel termine
predeterminato, del giudice del riesame, anche a seguito
di annullamento con rinvio da parte della corte di cassazione; 49.4. immediata ricorribilità per cassazione del
provvedimento che dispone la misura coercitiva; 49.5.
predeterminazione dei casi di appello avverso i provvedimenti cautelari; 49.6. previsione di un termine di novanta giorni, dalla ricezione degli atti, per la decisione della
corte di cassazione sui ricorsi avverso i provvedimenti in
materia di libertà personale, con le forme previste per il
procedimento in camera di consiglio, e termine di venti
giorni, dalla pronuncia, per il deposito della motivazione; 49.7. facoltà per il ricorrente di enunciare motivi nuovi e presentare memorie fino a cinque giorni prima dell’udienza; 49.8. rifusione delle spese processuali a favore
e su richiesta documentata dell’imputato, nel caso di pronuncia definitiva di inammissibilità o di rigetto dell’appello
o del ricorso per cassazione proposti dal pubblico ministero contro i provvedimenti sulla libertà personale, salvo che non ricorrano giustificati motivi;
50.1. previsione di termini di durata massima delle misure coercitive; 50.2. diritto di scarcerazione e cessazio-
ne automatica di ogni altra misura coercitiva alla scadenza dei termini sopra previsti; 50.3. previsione che, su
richiesta del pubblico ministero, il giudice, in relazione
a particolari e gravi esigenze, possa prorogare i termini
per periodi predeterminati; 50.4. sospensione dei termini di durata massima delle misure coercitive durante il
dibattimento, in relazione allo svolgimento e alla complessità dello stesso, nonché a differimenti processuali
non imposti da esigenze istruttorie e determinati da fatti riferibili all’imputato o al suo difensore; 50.5. predeterminazione della durata massima della custodia in carcere, tenuto conto di tutte le proroghe; 50.6. previsione
della retrodatazione dei termini di durata della custodia
cautelare in casi predeterminati di emissione, nei confronti di un imputato, di più ordinanze che dispongono
la medesima misura per lo stesso fatto o per fatti diversi in relazione ai quali sussiste connessione ovvero che
siano desumibili dagli atti prima dell’emissione della prima ordinanza; 50.7. ragguaglio dei termini di durata delle misure di coercizione personale diverse dalla custodia
in carcere ai termini di questa;
51.1. previsione che, nei confronti dell’imputato rimesso in libertà per decorrenza dei termini, il giudice possa
disporre una misura meno affittiva o possa imporre prescrizioni; 51.2. possibilità di ripristino della custodia in
carcere nel caso di ingiustificata violazione delle misure
o delle prescrizioni, nonché, per reati di particolare gravità, con la sentenza di condanna in primo o in secondo
grado, quando l’imputato si è dato alla fuga o vi è concreto pericolo di fuga;
52.1. previsione di misure interdittive, in relazione a
specifiche esigenze cautelari, con predeterminazione di
termini di cessazione della loro efficacia;
53.1. potere del giudice di disporre, con ordinanza e su
richiesta della parte interessata, il sequestro preventivo
e conservativo; previsione che, nei casi di urgenza, il
provvedimento di sequestro preventivo possa essere adottato dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria e
che in tale ultimo caso il pubblico ministero lo convalidi entro quarantotto ore; previsione della convalida del
giudice, entro brevi termini predeterminati, in ogni caso di provvedimento d’urgenza; potere-dovere del giudice, per il caso in cui il sequestro abbia ad oggetto beni costituiti in azienda o entità produttive, di prescrivere, ove possibile e conveniente, le misure per evitare la
cessazione della destinazione produttiva; disciplina delle modalità di custodia dei beni; reclamabilità del provvedimento da parte dell’interessato entro un termine
predeterminato innanzi al giudice collegiale;
54.1. potere-dovere della polizia giudiziaria di prendere
notizia e di descrivere i fatti costituenti reato, di assicurare le fonti di prova, anche per mezzo di investigazioni
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scientifiche, e di impedire che i reati vengano portati ad
ulteriori conseguenze; 54.2. potere della polizia giudiziaria
di procedere, per l’identificazione della persona sottoposta alle indagini, previa autorizzazione del pubblico ministero, al prelievo coattivo di capelli o di saliva, nel rispetto della dignità personale del soggetto; 54.3. inutilizzabilità a fini probatori dei campioni così prelevati;
54.4. potere-dovere della polizia giudiziaria, sino a che
il pubblico ministero non abbia impartito le direttive per
lo svolgimento delle indagini, di raccogliere ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole e di assumere sommarie informazioni da chi non si trovi in stato di arresto o di fermo, con
l’assistenza del difensore; 54.5. potere-dovere della polizia giudiziaria di compiere gli atti ad essa delegati dal pubblico ministero e di svolgere, nell’ambito delle direttive
da esso impartite, tutte le attività di indagine per accertare i reati, nonché le attività richieste da elementi successivamente emersi, informando tempestivamente il pubblico ministero; 54.6. potere-dovere della polizia giudiziaria di procedere, in casi predeterminati di necessità e
di urgenza, a perquisizioni e a sequestri; 54.7. potere-dovere della polizia giudiziaria di assumere sul luogo e nell’immediatezza del fatto, anche senza l’assistenza del difensore, notizie ed indicazioni utili ai fini dell’immediata prosecuzione delle indagini, con divieto di ogni documentazione e utilizzazione processuale, anche attraverso
testimonianza della stessa polizia giudiziaria; 54.8. previsione di specifiche garanzie per la difesa; obbligo della
polizia giudiziaria di riferire al pubblico ministero senza
ritardo, anche oralmente, la notizia del reato, con indicazione delle attività compiute e degli elementi acquisiti;
54.9. obbligo della polizia giudiziaria di documentazione dell’attività compiuta, secondo specifiche modalità, anche attraverso mezzi audiovisivi e strumenti elettronici;
54.10. divieto di ogni utilizzazione agli effetti del giudizio e per l’applicazione di una misura cautelare personale, delle dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria, senza l’assistenza del difensore, dalla persona nei
cui confronti vengono svolte le indagini;
55.1. trasmissione, in casi predeterminati, di dati, di informazioni e di copie di atti, anche coperti da segreto,
ad altra autorità giudiziaria penale e, ai fini della prevenzione di determinati delitti, al ministro dell’interno;
55.2. potere di rigetto, per esigenze di segretezza e con
decreto motivato, della richiesta di trasmissione di dati,
informazioni e copie di atti;
56.1. potere-dovere del pubblico ministero di svolgere
investigazioni dirette all’acquisizione 13 della notizia di
reato, nei termini e con le modalità previste dalla legge; 56.2. esclusione di tale potere-dovere in casi predeterminati;
57.1. definizione della notizia di reato come rappre-
sentazione non manifestamente inverosimile di uno specifico accadimento storico, attribuito o meno a soggetti determinati, dalla quale emerga la possibile violazione di una disposizione incriminatrice contenuta nel codice penale o in leggi speciali;
58.1. obbligo del pubblico ministero di iscrizione della
notizia del reato in apposito registro custodito negli uffici della procura della Repubblica, con indicazione della data della sua acquisizione e, appena possibile, del nominativo della persona alla quale il reato è attribuito;
58.2. obbligo del pubblico ministero di aggiornamento
delle iscrizioni alle risultanze delle indagini in corso e
all’eventuale mutamento del titolo del reato;
59.1. potere-dovere del pubblico ministero di svolgere
o dirigere le indagini in funzione dell’esercizio dell’azione
penale e del completo accertamento di fatti specifici,
compresi quelli favorevoli alla persona sottoposta alle
indagini; 59.2. potere del pubblico ministero, ai fini
suddetti, di interrogare la persona sottoposta alle indagini, di assumere informazioni, di procedere a individuazioni di persone e di cose, ad accertamenti tecnici,
a sequestri, ad acquisizione di dati personali e, laddove
non sia prevista l’autorizzazione, a captazioni di immagini, nonché di acquisire elementi di prova nel rispetto
delle forme e dei modi previsti dalle direttive precedenti; 59.3. potere del pubblico ministero di disporre della polizia giudiziaria; 59.4. obbligo del pubblico ministero di documentazione dell’attività compiuta secondo specifiche e differenziate modalità;
60.1. diritto dell’imputato e della persona offesa di nominare un difensore; 60.2. indicazione degli atti del
pubblico ministero ai quali il difensore ha diritto di assistere; 60.3. interrogatorio della persona per la quale
occorre l’autorizzazione a procedere, solo se questa ne
fa richiesta; 60.4. diritto del difensore all’avviso per il
compimento degli atti cui ha diritto di assistere, esclusi gli atti di ispezione, perquisizione e sequestro; 60.5.
disciplina del deposito degli atti del pubblico ministero
e previsione che possa essere ritardato per gravi motivi;
61.1. disciplina dell’incidente probatorio, su richiesta del
pubblico ministero e dell’accusato, in casi predeterminati; 61.2. necessità dell’incidente probatorio per le ricognizioni; 61.3. garanzia di partecipazione in contraddittorio del pubblico ministero e dei difensori delle parti direttamente interessate; 61.4. divieto di documentazione e di utilizzazione delle dichiarazioni concernenti persone diverse da quelle chiamate a partecipare; 61.5. poteredovere del giudice di dichiarare inammissibili le richieste irrilevanti o dilatorie; 61.6. differimento per il tempo strettamente necessario, su richiesta del pubblico ministero, dell’incidente probatorio ri-
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chiesto dall’accusato, se l’espletamento può arrecare
pregiudizio al compimento di determinati atti di indagine, e sempre che il ritardo non sia di impedimento alla formazione della prova; 61.7. deposito, prima dell’udienza dell’incidente probatorio promosso dal pubblico ministero, della richiesta motivata e della documentazione degli atti di indagine compiuti, salvo che il
giudice non disponga diversamente con decreto motivato;
62.1. previsione di un termine per le indagini preliminari, decorrente dall’acquisizione della notizia di reato
soggettivamente qualificata; 62.2. previsione della proroga, per una sola 14 volta, su specifica indicazione, da
parte del pubblico ministero, delle indagini ancora da
svolgere e dei tempi necessari; 62.3. previsione di un termine massimo di durata della proroga; 62.4. inutilizzabilità degli atti compiuti oltre il termine delle indagini preliminari o di quello prorogato; 62.5. potere-dovere del giudice, su istanza dell’interessato, di accertare la data di effettiva acquisizione della notizia di reato, ai fini della valutazione di inutilizzabilità degli atti
di indagine compiuti dopo la scadenza del termine di durata massima delle indagini preliminari; 62.6. dovere del
pubblico ministero di formulare tempestivamente le sue
richieste alla scadenza del termine per le indagini preliminari o immediatamente dopo il rigetto della richiesta
di proroga; 62.7. comunicazione, su richiesta, dell’iscrizione della notizia di reato alla persona sottoposta
alle indagini, al difensore e alla persona offesa; 62.8. potere di segretazione, per esigenze di indagine e per un
tempo limitato, dell’iscrizione della notizia di reato;
62.9. disciplina specifica dei termini delle indagini e
della comunicazione delle iscrizioni, per reati di particolare gravità, specificamente individuati; 62.10. potere del pubblico ministero di compiere atti di indagine
integrativa, dopo l’esercizio dell’azione penale, con obbligo di tempestivo deposito della relativa documentazione in favore della persona sottoposta alle indagini e
del suo difensore; 62.11. previsione dell’obbligo dell’invio dell’informazione di garanzia non oltre un congruo termine dall’acquisizione della notizia di reato;
62.12. previsione che l’informazione di garanzia contenga: le generalità complete della persona sottoposta
alle indagini preliminari e della persona offesa; l’enunciazione sintetica dell’accusa; c) l’indicazione dei diritti difensivi dell’accusato; d) nei casi consentiti, l’avviso
che, a pena di decadenza, la persona sottoposta alle indagini può versare nel termine stabilito, a fini di oblazione, la somma di denaro specificamente ivi indicata;
62.13. previsione che l’invio dell’informazione di garanzia possa essere ritardato, nei procedimenti per reati di particolare gravità, per specifiche esigenze investigative;
63.1. facoltà del difensore di svolgere investigazioni, an-
che con l’ausilio di investigatori privati o consulenti, per
ricercare ed individuare elementi di prova a favore del
proprio assistito, fin dal momento dell’incarico professionale risultante da atto scritto e in ogni stato e grado
del procedimento, nell’esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione, con forme e finalità specificamente stabilite; 63.2. esclusione dell’obbligo di
denuncia da parte del difensore, anche con riguardo ai
reati dei quali abbia avuto notizia nel corso dell’attività investigativa; 63.3. facoltà del difensore della persona sottoposta ad indagini, dopo la notifica dell’accusa,
di richiedere al giudice l’assunzione di un atto d’indagine nei casi in cui se ne riveli impossibile l’esecuzione
diretta per rifiuto dei soggetti richiesti di prestare la necessaria collaborazione; facoltà del difensore di richiedere al giudice l’autorizzazione al compimento di atti
d’indagine, che incidono sui diritti inviolabili di persone diverse dall’assistito; previsione che, in entrambi i casi, la richiesta debba dare conto della rilevanza e della
pertinenza dell’atto; prevedere che il giudice, se non rigetta o dichiara inammissibile la richiesta, provvede, disponendo con decreto l’assunzione ovvero rilasciando
l’autorizzazione al compimento dell’atto di indagine; comunicazione, a cura del richiedente, del decreto al pubblico ministero; inserimento del verbale dell’atto di indagine assunto dal giudice ovvero dell’atto di indagine
autorizzato, unitamente al fascicolo del difensore, nel
fascicolo delle indagini preliminari; 63.4. facoltà del difensore della persona offesa, che ha ricevuto apposito
mandato per l’eventualità che si instauri un procedimento penale, di svolgere attività di investigazione, fatta eccezione per gli atti che richiedono l’autorizzazione
o l’intervento dell’autorità giudiziaria; previsione che il
mandato a svolgere attività investigativa preventiva sia
rilasciato con sottoscrizione autenticata e contenga la
nomina del difensore e l’indicazione sommaria dei fatti ai quali si riferisce; potere del 15 difensore della persona offesa di chiedere al pubblico ministero il compimento degli atti di cui alla direttiva n. 63.3;
64.1. divieto di assumere informazioni dalle persone che
le altre parti processuali abbiano indicato nelle liste testimoniali o il cui esame sia stato richiesto da tali parti
ovvero disposto, anche d’ufficio, dal giudice;
65.1. potere-dovere del giudice di disporre, su richiesta
del pubblico ministero, l’archiviazione per essere ignoti
gli autori del reato o per insostenibilità dell’accusa in giudizio, anche per la particolare tenuità del fatto; 65.2. potere-dovere del giudice di ordinare al pubblico ministero l’iscrizione delle notizie di reato risultanti dagli atti
d’indagine diverse o ulteriori rispetto a quelle oggetto della richiesta del pubblico ministero; 65.3. potere-dovere
del giudice, nel caso in cui non accoglie la richiesta di
archiviazione, di richiedere al pubblico ministero lo svolgimento di ulteriori indagini o la formulazione dell’im-
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putazione; 65.4. adozione del provvedimento di archiviazione con decreto motivato; 65.5. determinazione dei
casi nei quali la decisione del giudice è adottata con ordinanza, sentiti il pubblico ministero e le persone interessate se compaiono; 65.5. determinazione dei casi in
cui il provvedimento di archiviazione può essere sottoposto a impugnazione dalla persona sottoposta a indagine e dall’offeso dal reato;
66.1. facoltà della persona offesa di chiedere di essere avvisata della proposizione della richiesta di archiviazione
e conseguente obbligo del pubblico ministero di comunicazione della richiesta; 66.2. facoltà della persona offesa dal reato di presentare al giudice opposizione motivata alla richiesta di archiviazione;
67.1. riapertura, in casi determinati, delle indagini preliminari in relazione ai fatti oggetto di archiviazione,
con idonee garanzie per la persona sottoposta alle nuove indagini, e previsione di un termine di durata;
68.1. esercizio dell’azione penale, fuori dei casi di citazione diretta e di richiesta di decreto penale, con la notifica all’imputato dell’atto contenente la descrizione in
forma chiara e precisa della imputazione, l’indicazione
delle norme di diritto sostanziale che si intendono violate e delle fonti di prova acquisite; previsione che l’atto di esercizio dell’azione contenga la convocazione davanti al giudice dell’udienza di conclusione delle indagini, nonché l’avviso di deposito degli atti di indagine
compiuti e l’invito a depositare, entro congruo termine,
presso la cancelleria del giudice, gli atti di investigazione difensiva ed i documenti di cui la difesa intenda fare
uso; previsione che tale atto contenga altresì l’avviso
che l’imputato può chiedere fino alla formulazione delle conclusioni in udienza, a pena di decadenza, giudizio
abbreviato o formulare richiesta di applicazione, anche
concordata, della pena, di sanzioni sostitutive, di misure alternative alla detenzione o di sospensione del procedimento con messa alla prova; 68.2. previsione di un
congruo termine, dalla notifica all’imputato e alla persona offesa dell’atto di esercizio dell’azione penale, per
lo svolgimento dell’udienza di conclusione delle indagini; obbligo di deposito, prima dell’inizio dell’udienza, per
il pubblico ministero e i difensori che intendano farne
uso, della documentazione relativa all’attività di indagine eventualmente compiuta dopo il deposito degli atti;
68.3. partecipazione necessaria del pubblico ministero e
del difensore dell’imputato all’udienza, da tenersi in camera di consiglio; dovere del giudice di nominare, anche d’ufficio, il sostituto del difensore assente, salvo il
caso di legittimo impedimento dello stesso; potere dell’imputato, dopo il compimento dell’accertamento della regolare 16 costituzione delle parti, di chiedere di essere interrogato; previsione che l’interrogatorio sia condotto dal giudice, anche sulla base dei temi introdotti dal-
le parti; potere del giudice di acquisire, anche d’ufficio,
le prove decisive ai fini della deliberazione; dovere del
giudice, dopo l’assunzione delle prove, di invitare le parti alle conclusioni; assunzione della prova dichiarativa
sulla base dei temi proposti dalle parti;
68.4. dovere del giudice, nell’invitare le parti alle conclusioni, di avvertire l’imputato che può chiedere il giudizio abbreviato o formulare richiesta di applicazione,
anche concordata, della pena, di sanzioni sostitutive, di
misure alternative alla detenzione o di sospensione del
procedimento con messa alla prova;
68.5. potere del pubblico ministero, nel corso dell’udienza, di qualificare diversamente il fatto e di contestare
una circostanza aggravante o un reato in concorso formale, nonché di modificare l’imputazione per diversità
del fatto; previsione che in tali casi il giudice conceda all’imputato un congruo termine a difesa; previsione che
il termine a difesa non possa essere inferiore a quello di
comparizione dinanzi al giudice, se la diversità del fatto
risulta dagli atti di indagine già acquisiti al momento della formulazione dell’imputazione; potere dell’imputato
di rinunciare ai termini a difesa o di consentire che abbiano una durata inferiore; notificazione al domicilio dichiarato o eletto, in caso di assenza dell’imputato, del verbale contenente la contestazione, con avviso della data
della nuova udienza; contestazione del fatto non enunciato nell’imputazione, su autorizzazione del giudice previa richiesta del pubblico ministero e consenso dell’imputato; 68.6. restituzione degli atti al pubblico ministero se risulta, nel corso dell’udienza, che il fatto non è
enunciato in forma chiara e precisa o risulta diverso da
come contestato; dovere del giudice, prima di ordinare
la restituzione degli atti, di invitare il pubblico ministero alla precisazione o alla modifica dell’imputazione;
concessione di un termine a difesa, nella misura indicata dalle precedenti direttive, rinunciabile da parte dell’imputato, in caso di modifica o precisazione dell’imputazione; notificazione al domicilio dichiarato o eletto, in caso di assenza dell’imputato, del verbale contenente la contestazione come riformulata, con avviso della data della nuova udienza; 68.7. previsione che l’udienza si concluda con decreto che dispone il giudizio o
con sentenza di non luogo a procedere, in casi predeterminati e comunque quando il giudice ritiene che gli elementi acquisiti non siano idonei a sostenere l’accusa in
giudizio; previsione che, a pena di nullità, la sentenza contenga l’imputazione formulata e l’esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione; appellabilità della sentenza; decisione della corte d’appello, salvo che emetta decreto che dispone il giudizio, con
sentenza ricorribile per cassazione solo per violazione di
legge; revocabilità della sentenza in casi predeterminati,
con idonee garanzie per l’imputato; 68.8. dovere del giudice, immediatamente dopo l’emissione del decreto che
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dispone il giudizio, di invitare le parti all’individuazione concordata degli atti di indagine da acquisire al fascicolo per il dibattimento anche su temi non controversi,
e di formare il fascicolo per il dibattimento, in mancanza di accordo tra le parti, con il provvedimento che dispone il giudizio, con gli atti relativi alla procedibilità e
all’esercizio dell’azione civile, con quelli non ripetibili
compiuti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero e dal difensore, con quelli compiuti dal giudice negli
incidenti probatori e con gli atti e i documenti dei quali le parti abbiano concordato l’inserimento; 68.9. trascrizione, sentite le parti e se non è stata già compiuta,
delle conversazioni e dei flussi telematici oggetto di captazione che appaiano rilevanti; partecipazione dei difensori alle operazioni di trascrizione, anche con propri
consulenti; deposito delle trascrizioni prima dell’inizio
del dibattimento; 68.10. potere delle parti, una volta
disposto il rinvio a giudizio, di compiere atti integrativi
di indagine, ad eccezione, per il pubblico ministero e la
persona offesa, di quelli per i quali è prevista la partecipazione dell’imputato o del difensore;
69.1. potere delle parti di chiedere al giudice, fino alla
formulazione delle conclusioni nell’udienza di conclusione delle indagini, l’applicazione delle sanzioni sostitutive nei casi consentiti o di misura alternativa alla detenzione o della pena detentiva irrogabile per i reati contestati quando essa, tenuto conto delle circostanze e diminuita di un terzo, non superi i due anni di reclusione
soli o congiunti ad altra pena; 69.2. potere dell’imputato di proporre la richiesta, invece che personalmente, per
mezzo di procuratore speciale, e di subordinarla alla
concessione della sospensione condizionale; 69.3. previsione che il giudice, se non ricorrono le condizioni per
l’immediata declaratoria di cause di non punibilità, ritenuta corretta la qualificazione giuridica del fatto e congrua la pena, applica la sanzione nella misura richiesta
con sentenza inappellabile; 69.4. applicazione della diminuente all’esito del giudizio, se la pena indicata si rivela congrua; 69.5. equiparazione degli effetti della sentenza di applicazione della pena a quella di condanna,
salve diverse disposizioni di legge; 69.6. previsione che
l’applicazione della pena non comporta la condanna al
pagamento delle spese processuali e l’applicazione di pene accessorie e misure di sicurezza, fatta eccezione per
la confisca obbligatoria, e che la sentenza non ha efficacia nei giudizi civili, amministrativi e disciplinari e
non comporta la decisione del giudice sulla domanda della parte civile; 69.7. previsione che l’applicazione della
pena comporta il pagamento delle spese di costituzione
di parte civile nonché l’estinzione del reato se, nel termine prestabilito, l’imputato non commette un delitto
della stessa indole; 69.8. potere dell’imputato di chiedere, in sede di discussione finale, personalmente o per
mezzo di procuratore speciale, l’immediata pronuncia
della sentenza di condanna a pena specificamente indi-
cata nella quantità, tenuto conto di tutte le circostanze;
previsione che la pena sia diminuita nella misura della
metà o di un terzo, a seconda della gravità della stessa;
predeterminazione di un limite massimo di riduzione di
pena; 69.9. accoglimento, della richiesta, sentito il pubblico ministero, se dagli atti risulti accertata la responsabilità per i fatti contestati e se la pena indicata sia congrua; 69.10. accoglimento della richiesta, se la pena indicata sia incongrua per eccesso, previa determinazione
da parte del giudice della pena, su cui applicare la diminuente; 69.11. reiterabilità della richiesta per una sola
volta, in caso di rigetto per incongruità della pena indicata; 69.12. dovere del giudice, rigettata la richiesta, di
deliberare, se l’imputato non ha chiesto il giudizio abbreviato, sul rinvio a giudizio; 69.13. applicazione della diminuente all’esito del giudizio ordinario, se la pena
indicata si rivela congrua; 69.14. prevedere che la sentenza sia inappellabile per l’imputato ed appellabile per
il pubblico ministero soltanto nel caso di modificazione
del titolo del reato, di esclusione di una circostanza aggravante ad effetto speciale o per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria, di
applicazione di una pena, di una misura di sicurezza o
di una sanzione amministrativa illegali, oppure di omessa applicazione di una pena, di una misura di sicurezza
o di una sanzione amministrativa obbligatorie; 69.15. ricorribilità per cassazione della sentenza di cui alla direttive n. 69.3. e 69.8, limitatamente alle ipotesi di illegittima acquisizione della volontà dell’imputato, di mancata corrispondenza fra la richiesta di pena dell’imputato ed il contenuto della decisione, di illegalità della pena e della misura di sicurezza, anche se conseguente all’errata qualificazione giuridica del fatto;
70.1. immediata trasmissione al giudice del dibattimento del fascicolo contenente il provvedimento che dispone il giudizio con gli atti relativi alla procedibilità e all’esercizio dell’azione civile, con quelli non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero e
dal difensore, con quelli compiuti dal giudice negli incidenti probatori e con gli atti e documenti per i quali le
parti abbiano concordato l’utilizzazione; 70.2. contestuale deposito, nell’ufficio del pubblico ministero, del
fascicolo contenente gli atti compiuti o 18 ricevuti dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero diversi da
quelli indicati nella direttiva precedente e gli atti di investigazione difensiva presentati al giudice o al pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza di conclusione delle indagini;
71.1. giudizio in assenza in caso di mancata comparizione
dell’imputato che abbia ricevuto personalmente la notificazione della citazione o che abbia rifiutato di ricevere l’atto o che abbia espressamente rinunziato a comparire; 71.2. sospensione del procedimento se non è stata
eseguita la notificazione nelle forme prescritte dalla presente delega; 71.3. dovere del giudice in caso di sospen-
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sione del procedimento di fissare periodicamente, entro
un termine predeterminato, una nuova udienza per la
comparizione dell’imputato, rinnovando l’ordine di notificazione coattiva; 71.4. potere di compiere gli atti urgenti e indifferibili durante la sospensione del procedimento; 71.5. separazione dei procedimenti in caso di sospensione, salvo che la trattazione unitaria risulti assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti; sospensione del procedimento anche in caso di latitanza dell’imputato, salvo quanto è disposto nella direttiva seguente; 71.6. diritto dell’imputato condannato in assenza di ottenere un nuovo giudizio qualora risulti non
aver avuto conoscenza effettiva del procedimento;
72.1. giudizio in assenza nei confronti dell’imputato latitante quando risulti la sua volontaria sottrazione alla
conoscenza del procedimento, e comunque nei confronti dell’imputato nei procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata e per finalità di terrorismo o di
eversione dell’ordine democratico; 72.2. diritto dell’imputato condannato in assenza di ottenere un nuovo giudizio qualora risulti non aver avuto volontà di sottrarsi
al procedimento; 72.3. utilizzabilità nel nuovo giudizio
delle prove gia acquisite e di cui sia oggettivamente impossibile la ripetizione;
73.1. prevedere che le questioni relative alla competenza, alla riunione o separazione dei processi e alla composizione del fascicolo per il dibattimento, nonché ogni
questione preliminare, vengano proposte e decise immediatamente dopo la verifica, per la prima volta, della regolare costituzione delle parti, salvo che esse derivino dall’eventuale modifica della imputazione; 73.2.
prevedere che la decisione circa tali questioni resti valida ed efficace anche in ipotesi di successiva modificazione
del collegio giudicante o del giudice monocratico;
74.1. prevedere che le parti, immediatamente dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, illustrino sinteticamente i fatti da provare e formulino le richieste di
ammissione dei mezzi di prova; 74.2. prevedere che i documenti di cui è chiesta l’ammissione, se non previamente depositati, siano esibiti in contraddittorio prima
della decisione di ammissibilità da parte del giudice;
74.3. prevedere l’inammissibilità della prova dichiarativa qualora le parti non siano state poste in condizione
di conoscere, almeno sette giorni prima dell’udienza, l’identità della fonte ed il tema di prova; 74.4. prevedere
che il giudice emetta senza ritardo la decisione sulla ammissibilità delle prove richieste, in osservanza dei canoni stabiliti dalla presente delega;
75.1. possibilità di revoca, sentite le parti, dei provvedimenti di ammissione della prova; 75.2. decadenza dalla
prova della parte che abbia omesso la citazione autorizzata dei testimoni, imputati in procedimento connesso,
periti e consulenti tecnici, in caso di mancata comparizione degli stessi nell’udienza stabilita per la loro assunzione; rilevabilità, anche d’ufficio, della decadenza
nella medesima udienza;
76.1. esame diretto dell’imputato, dei testimoni, dei periti e dei consulenti tecnici da parte del pubblico ministero e dei difensori, con garanzie idonee ad assicurare
la lealtà dell’esame, la genuinità delle risposte, la pertinenza al giudizio e il rispetto della persona, sotto la direzione e la vigilanza del presidente del collegio o del giudice monocratico, che decidono immediatamente sulle eccezioni; 76.2. prevedere, nel rispetto del contraddittorio,
specifiche modalità per determinare la parte che deve
condurre l’esame diretto, anche quando la fonte di prova sia stata indicata sia dall’accusa che dalla difesa; 76.3.
prevedere che l’esame dei testimoni minorenni possa essere effettuato in ogni momento dal giudice, tenute presenti le esigenze di tutela della personalità; 76.4. potere
del presidente, anche su richiesta di altro componente il
collegio, o del giudice monocratico di indicare alle parti temi nuovi od incompleti utili alla ricerca della verità
e di rivolgere domande dirette all’imputato, ai testimoni, ai periti e ai consulenti tecnici, salvo in ogni caso il
diritto delle parti di concludere l’esame; potere del giudice di disporre d’ufficio l’assunzione di ulteriori mezzi
di prova solo al termine dell’istruzione dibattimentale;
77.1. divieto di arresto in udienza del testimone sospettato di testimonianza falsa o reticente; 77.2. potere del
pubblico ministero di procedere con citazione diretta
nel caso di testimonianza reticente e nel caso di falsa testimonianza solo quando sia intervenuto deposito di
sentenza di primo grado;
78.1. potere del pubblico ministero nel dibattimento di
procedere alla modifica dell’imputazione e di contestare una circostanza aggravante o un reato in concorso formale; 78.2. potere del pubblico ministero di contestare
un reato commesso in esecuzione del medesimo disegno
criminoso o un fatto nuovo soltanto con l’espresso consenso dell’imputato e previa autorizzazione del giudice;
78.3. prevedere adeguate garanzie per la difesa; 78.4. prevedere che il giudice, fermo il potere di qualificare il fatto, restituisca gli atti al pubblico ministero se il fatto risulta diverso da quello descritto nell’imputazione;
79.1. applicazione all’ufficio di provenienza, secondo le
norme di ordinamento giudiziario, del giudice del dibattimento trasferito ad altra sede o assegnato ad altra
funzione, fino alla conclusione dei giudizi in cui abbia
avuto inizio l’istruzione dibattimentale; 79.2. utilizzabilità delle dichiarazioni rese precedentemente in dibattimento in caso di mutamento del giudice o della composizione del collegio; prevedere che, in caso di mutamento di un solo componente del collegio giudicante, l’esa-
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me della persona che abbia reso dichiarazioni davanti al
collegio precedente in contraddittorio con la parte interessata sia disposto solo se la parte ne fa richiesta e l’esame riguardi fatti o circostanze diversi; potere del giudice di disporre anche d’ufficio l’esame qualora risulti necessario sulla base di specifiche esigenze; prevedere che,
negli altri casi, l’esame sia disposto su motivata richiesta di parte;
80.1. prevedere il potere del giudice di disporre, anche
d’ufficio, la lettura in dibattimento degli atti indicati
nella direttiva n. 68.8, salvo il diritto delle parti di richiederne a condizioni specificamente determinate la ripetizione, nonché degli atti dei quali, per fatti o circostanze imprevedibili, sia divenuta oggettivamente impossibile la ripetizione; 80.2. potere del giudice, in luogo della suddetta lettura, di indicare in modo espresso e
specifico gli atti utilizzabili ai fini della decisione; possibilità di lettura anche parziale dei medesimi atti solo se
risulti assolutamente necessario; 80.3. inutilizzabilità
degli atti in caso di mancata lettura o indicazione; 80.4.
facoltà delle parti di utilizzare, per le opportune contestazioni, gli atti depositati ai sensi della direttiva n. 70.2;
obbligo del giudice di allegare nel fascicolo di cui 20 alla direttiva n. 70.1, tra gli atti utilizzati per le contestazioni, quelli assunti dal pubblico ministero cui il difensore ha diritto di assistere, quelli assunti dal giudice nel
corso delle indagini preliminari o nell’udienza di conclusione delle indagini, nonché le precedenti dichiarazioni
di chi sia stato indotto a non deporre o a deporre il falso da una provata condotta illecita; 80.5. facoltà delle
parti di concordare l’allegazione al fascicolo di cui alla
direttiva n. 70.1 di altri atti utilizzati per le contestazioni; 80.6. valutazione delle dichiarazioni di cui è stata data lettura per oggettiva impossibilità di ripetizione unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano
l’attendibilità;
81.1. prevedere che, fuori dei casi di particolare complessità, la motivazione della sentenza possa essere redatta contestualmente alla decisione e sia immediatamente letta in udienza; 81.2. predeterminazione dei termini di deposito della sentenza negli altri casi;
82.1. prevedere che l’imputato, nel corso dell’udienza di
conclusione delle indagini, possa chiedere, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, la definizione
del processo mediante rito abbreviato; 82.2. prevedere
che in caso di citazione diretta o giudizio immediato la
richiesta avvenga entro un termine prestabilito; 82.3.
prevedere che il giudice, verificata la regolarità formale
della richiesta, disponga la celebrazione del giudizio abbreviato innanzi al giudice del rito; prevedere che, nelle
ipotesi in cui l’imputazione si riferisca ad un reato di competenza della corte di assise o ad altri gravi delitti di criminalità organizzata e per finalità di terrorismo o di
eversione dell’ordine democratico, trasmetta gli atti al
giudice collegiale del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente; prevedere che, in tal caso, il giudice collegiale conosca anche dei reati connessi di minore gravità contenuti nella
imputazione; 82.4. prevedere che l’udienza si svolga con
le stesse regole di partecipazione previste per l’udienza
di conclusione delle indagini, fatto salvo il potere del giudice di disporre che il rito si svolga in udienza pubblica
qualora ne facciano richiesta tutti gli imputati; in pubblica udienza, quando competente a celebrare il rito abbreviato sia il giudice collegiale, salvo che gli imputati
facciano richiesta che il giudizio si svolga in camera di
consiglio ed il giudice, sentite le parti, ne ritenga l’opportunità; 82.5. prevedere che, in sede di apertura del rito abbreviato, il giudice dichiari l’utilizzabilità degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero e di
quelli eventualmente depositati nei termini previsti; 82.6.
prevedere che il giudice possa ammettere la documentazione presentata da una delle parti nel corso dell’udienza se risulta accertata la impossibilità di produrla tempestivamente; 82.7. prevedere che l’imputato possa formulare richiesta di integrazione probatoria indicando, a
pena di inammissibilità, le specifiche ragioni della non
superfluità della prova ai fini della definizione del giudizio; 82.8. prevedere che il giudice ammetta le prove richieste dall’imputato ove, tenuto conto degli elementi già
acquisiti ed utilizzabili, le ritenga non superflue ai fini
della decisione; 82.9. prevedere che, ove risulti ammessa l’istanza di integrazione probatoria, il pubblico ministero possa chiedere, con le medesime modalità, l’ammissione di prova contraria e il giudice decida sulla stessa alla stregua del parametro indicato alla direttiva n.
82.8; 82.10. prevedere che, in caso di richiesta di integrazione probatoria, la prova sia assunta dal giudice;
82.11. prevedere che il rigetto della richiesta di integrazione probatoria non consenta la revoca della richiesta
di rito abbreviato; 82.12. prevedere che, in ogni caso, il
giudice, quando ritiene di non poter decidere allo stato
degli atti, possa, anche d’ufficio, assumere gli elementi
di prova necessari ai fini della decisione; 82.13. prevedere che, in ogni ipotesi di integrazione probatoria, il
pubblico ministero possa procedere a modifica della imputazione; 82.14. prevedere che, a seguito di modifica
dell’imputazione, l’imputato possa espressamente revocare la richiesta di rito abbreviato; 82.15. prevedere che,
ove sia 21 esercitato il potere di cui alla direttiva n.
82.13, e l’imputato non abbia revocato la sua richiesta,
il giudice verifichi la competenza, con eventuale trasmissione degli atti ad altro giudice; 82.16. prevedere che,
ove l’imputato eserciti la facoltà di cui alla direttiva n.
82.14, il giudice revochi l’ordinanza ammissiva del rito
abbreviato con immediata emissione del decreto che dispone il giudizio dibattimentale, ovvero decida sulla richiesta di condanna o di applicazione di pena concordata; 82.17. prevedere che, se l’imputato chiede che il giu-
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dizio prosegua nelle forme ordinarie, le prove assunte in
sede di giudizio abbreviato siano inserite nel fascicolo del
pubblico ministero con possibilità di acquisizione al fascicolo del dibattimento in caso di contestazioni ovvero
nel fascicolo per il dibattimento su accordo delle parti;
82.18. prevedere che, ove il procedimento prosegua nelle forme del giudizio abbreviato, l’imputato possa avanzare richiesta di integrazione probatoria secondo le modalità di cui alla direttiva n. 82.7; 82.19. prevedere che,
terminata la discussione, il giudice decida con sentenza;
82.20. prevedere che, in caso di condanna, la pena che
il giudice determina tenuto conto di tutte le circostanze
sia diminuita nella misura di un terzo o di un quarto a
seconda della gravità della stessa e che la pena dell’ergastolo sia sostituita con la reclusione di anni trenta e la
pena dell’ergastolo con isolamento diurno sia sostituita
con l’ergastolo;
83.1. potere-dovere del pubblico ministero di esercitare
l’azione penale nelle forme della citazione diretta a giudizio quando l’imputazione riguardi specifiche ipotesi di
reato individuate in riferimento alla entità di pena edittale o alla semplicità di accertamento; 83.2. diritto dell’imputato, entro quindici giorni dalla notifica della citazione, di chiedere la definizione del processo mediante rito abbreviato, richiesta di condanna o applicazione
della pena;
84.1. potere-dovere del pubblico ministero, salva l’ipotesi di assoluta necessità di prosecuzione delle indagini,
di esercitare l’azione penale mediante atto di citazione
diretta a giudizio in relazione alle ipotesi di reato già contestate in una richiesta di misura coercitiva accolta dal
giudice; 84.2. prevedere che tale potere possa essere esercitato entro novanta giorni dalla esecuzione del provvedimento cautelare, a condizione che sia intervenuto interrogatorio della persona; 84.3. prevedere che tale potere non possa essere esercitato prima della conferma del
provvedimento cautelare in sede di sua impugnazione di
merito o del decorso dei termini a ciò finalizzati; 84.4.
prevedere che tale potere non possa essere esercitato ove
il titolo cautelare sia stato revocato per sopravvenuta carenza dei gravi indizi di colpevolezza; 84.5. prevedere che
l’atto di citazione diretta sia emesso anche in relazione
agli eventuali reati connessi con quello contestato nel titolo cautelare, sempre che gli stessi siano attribuiti al medesimo soggetto e siano di minore gravità; 84.6. prevedere che ove venga emesso l’atto di citazione diretta a
giudizio, lo stesso contenga la descrizione in forma chiara e precisa del fatto contestato, l’indicazione delle fonti di prova, l’avviso di deposito di tutti gli atti di indagine con facoltà di prenderne visione ed estrarne copia,
l’invito a depositare entro un termine prestabilito i risultati delle investigazioni difensive di cui si intenda fare uso; 84.7. prevedere che, entro un termine prestabilito, decorrente dalla notifica della citazione, l’imputato
abbia facoltà di chiedere la fissazione dell’udienza di
conclusione delle indagini preliminari per la definizione
del processo mediante rito abbreviato o richiesta di condanna;
85.1. potere del pubblico ministero di presentare l’imputato direttamente in giudizio nel 22 termine di quindici giorni dalla convalida dell’arresto in flagranza;
85.2. obbligo del pubblico ministero, che intende avvalersi della procedura diretta, anche nei casi di reati connessi, di formulare l’imputazione nella stessa udienza di
convalida e di contestarla all’arrestato o fermato, con
l’avvertimento che nei cinque giorni successivi egli può
chiedere di essere presentato all’udienza di conclusione
delle indagini ai fini della richiesta di giudizio abbreviato, di condanna o di applicazione della pena;
86.1. prevedere che il giudice per le indagini preliminari, per i reati per cui può essere irrogata una pena detentiva non superiore a due anni o altra di equipollente
termine, emetta decreto penale di condanna a pena pecuniaria su richiesta del pubblico ministero, se la persona che ha ricevuto l’informazione di garanzia o un suo
rappresentante non abbia provveduto alla oblazione e se
la persona offesa non si opponga; 86.2. prevedere che il
pubblico ministero abbia facoltà di chiedere l’applicazione di una pena diminuita sino alla metà del minimo
edittale; 86.3. prevedere l’obbligo del pubblico ministero di interrogare, a pena di nullità del decreto, la persona sottoposta ad indagini se questa ne fa richiesta; 86.4.
prevedere che il condannato possa presentare opposizione specificamente indicando se chiede di accedere innanzi il giudice dell’udienza di conclusione delle indagini per la definizione anticipata del processo ai sensi delle direttive n. 68 e 69 oppure direttamente innanzi al giudice del dibattimento; 86.5. prevedere che il giudice per
le indagini preliminari, disposta la revoca del decreto, nel
primo caso trasmetta gli atti al giudice dell’udienza di
conclusione delle indagini e, nel secondo caso, emetta decreto di citazione per il giudizio; 86.6. prevedere le garanzie per la difesa nella fase dell’opposizione; 86.7. prevedere un congruo termine per l’opposizione e per l’ipotesi di restituzione nel termine;
87.1. disciplina del processo a carico di minorenni improntata al principio della rapida fuoruscita del medesimo dal circuito penale, onde evitare di interrompere il
processo di formazione del minore, mediante la loro anticipazione già in fase procedimentale; 87.2. prevedere
che le direttive contenute in questa delega valgano anche per il processo innanzi al tribunale per i minorenni
con esclusione del decreto penale di condanna e della citazione diretta a giudizio a seguito di arresto in flagranza o fermo, nonché degli istituti di cui alla direttiva n.
69; 87.3. dovere del giudice di valutare compiutamente
la personalità del minore; prevedere che la difesa del-
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l’imputato possa comprendere esperti anche nelle attività di osservazione della personalità del minore; 87.4.
facoltà del giudice di sospendere il processo per un tempo determinato per il compimento di tali attività; in tal
caso, prevedere la sospensione del corso della prescrizione; 87.5. prevedere che, quando sia necessario per la
tutela della personalità del minore possano essere compiuti, in casi predeterminati, atti processuali in assenza
dello stesso; 87.6. esclusione della connessione tra procedimenti concernenti imputati minorenni ed imputati
maggiorenni e tra procedimenti per reati commessi dallo stesso imputato rispettivamente quando era minore e
quando era maggiore degli anni diciotto; 87.7. esclusione della pubblicità delle udienze penali dinanzi agli organi della magistratura minorile; 87.8. divieto di pubblicazione e di divulgazione con qualsiasi mezzo di notizie o immagini idonee a consentire la identificazione della persona nei cui confronti sono svolte indagini, imputata o condannata; 87.9. prevedere misure cautelari personali applicabili al minore; prevedere che la custodia
cautelare in carcere possa essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata; prevedere la tendenziale applicabilità di sanzioni diverse dalle pene detentive in base alla pena irrogabile in concreto; potere
del giudice collegiale di disporre la custodia in carcere
solo per delitti di maggiore gravità e sempre che sussistano gravi ed inderogabili esigenze istruttorie o di tutela della collettività; prevedere che avverso il provvedimento il minore e il pubblico ministero 23 possano ricorrere in cassazione solo per violazione di legge; 87.10.
riduzione della durata massima delle misure di coercizione personali rispetto alla previsione di cui alla direttiva n. 50; ulteriore riduzione per i minori di anni sedici; 87.11. prevedere che il giudice dell’udienza di conclusione delle indagini possa prosciogliere il minore anche per la non imputabilità e per la concessione del perdono giudiziale, ovvero applicare sanzioni sostitutive;
87.12. prevedere che lo stesso giudice, in casi di urgenza, possa adottare in via provvisoria provvedimenti civili di competenza dell’autorità giudiziaria minorile a protezione dell’imputato minorenne; 87.13. prevedere che
contro i provvedimenti a contenuto decisorio pronunciati
nell’udienza di conclusione delle indagini, il pubblico
ministero, il difensore, l’imputato, il genitore o il tutore
possano proporre opposizione in termini brevissimi davanti al tribunale per i minorenni; 87.14. prevedere che
il tribunale decida in camera di consiglio, sentite le parti, sulla opposizione, confermando il provvedimento o
emettendo decreto di rinvio a giudizio; prevedere che la
sentenza che conferma il provvedimento opposto sia ricorribile per cassazione; 87.15 prevedere che il giudizio
abbreviato venga celebrato dal giudice dell’udienza di
conclusione delle indagini; 87.16. prevedere che l’esame
dell’imputato minorenne sia effettuato direttamente dal
giudice; 87.17. obbligo del giudice di illustrare all’imputato minorenne il contenuto della sentenza; 87.18.
istituzione, presso il tribunale per i minorenni, di uno speciale casellario per l’iscrizione dei provvedimenti penali
nei confronti di imputati minorenni; invio al casellario
giudiziario delle iscrizioni ivi contenute al compimento
del diciottesimo anno di età;
88.1. prevedere che le funzioni di pubblico ministero
presso il giudice di pace siano affidate da apposito ufficio della procura della Repubblica; prevedere che il procuratore della Repubblica possa delegare per le funzioni di pubblico ministero soggetti predeterminati; 88.2.
prevedere che, nel rispetto dei principi stabiliti dall’art.
109 della Costituzione, l’attività di indagine sia di regola svolta ad iniziativa dalla polizia giudiziaria del luogo
di competenza territoriale del giudice di pace e che debba essere autorizzata dal magistrato designato per il
compimento di atti irripetibili entro un termine predeterminato; prevedere l’inutilizzabilità degli atti compiuti oltre tale termine; 88.3. obbligo, quanto ai reati perseguibili a querela, che il querelante dichiari o elegga domicilio per le notificazioni e comunichi ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto; obbligo per la polizia giudiziaria, a conclusione delle indagini, di sentire il
querelante per verificare l’attualità del suo interesse alla prosecuzione del procedimento, prevedendo che la ingiustificata comparizione o la impossibilità di citarlo per
negligenza a lui addebitabile comportino la improcedibilità dell’azione penale con conseguente archiviazione;
88.4. prevedere che l’ufficio del pubblico ministero, salvo che non debba richiedere l’archiviazione, eserciti l’azione penale entro un anno dalla acquisizione della notizia di reato formulando l’imputazione con la emissione del decreto di citazione a giudizio e depositando i verbali degli atti compiuti; 88.5. prevedere che, per i reati
perseguibili a querela, la persona offesa che non l’abbia
già proposta possa rivolgersi direttamente al giudice di
pace, col ministero di un difensore, per l’esercizio dell’azione penale con atto contenente i requisiti della citazione e con contestuale deposito degli atti di investigazione eventualmente compiuti; 88.6. prevedere che contestualmente al deposito dell’atto di citazione la persona offesa lo notifichi all’ufficio del pubblico ministero
per le eventuali iniziative di quest’ultimo; 88.7. prevedere che il giudice emetta decreto di citazione previa trascrizione del capo di imputazione, dandone comunicazione all’ufficio del pubblico ministero; obbligo per il giudice di procedere, alla prima udienza di comparizione,
al tentativo di conciliazione delle parti presenti; equiparazione, nei reati perseguibili a querela, della ingiustificata assenza della 24 persona offesa alla prima udienza
di comparizione e della mancata partecipazione della
stessa alla discussione finale ad ipotesi di rinunzia all’azione; 88.8. obbligo, per il giudice di pace, di emettere
sentenza di non luogo a procedere per prescrizione del
processo quando, a seguito della mancata conciliazione,
siano decorsi dodici mesi senza che egli si sia pronun-
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ciato nel merito; ridefinizione delle ipotesi di connessione dei procedimenti che tenga conto della particolare natura dei reati devoluti alla cognizione del giudice di pace; prevedere che, in quanto compatibili si osservino le
disposizioni del codice di procedura penale con esclusione
di quelle relative alle misure personali coercitive, all’udienza di conclusione delle indagini, al giudizio abbreviato ed all’incidente probatorio; prevedere che l’acquisizione di prova dichiarativa sia condotta dal giudice; prevedere che il patrocinio a spese dello Stato possa essere
esercitato anche da laureati in giurisprudenza abilitati,
da almeno un anno, allo svolgimento della professione
forense davanti al tribunale; predeterminazione dei casi
di inappellabilità delle sentenze del giudice di pace;
89.1. provvisoria esecuzione della sentenza emessa in sede di appello, relativamente alle disposizioni concernenti
l’azione civile; 89.2. facoltà della corte di cassazione, in
pendenza di ricorso, di sospendere la predetta esecuzione se sussiste il pericolo di grave e irreparabile danno;
90.1. prevedere che il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto, decidano sulla impugnazione relativamente alle sole disposizioni delle sentenze impugnate che concernono gli interessi civili;
91.1. prevedere, nel caso di rigetto o di inammissibilità
dell’impugnazione, la condanna della parte che l’ha proposta alle spese del procedimento, salvo che ricorrano
giusti motivi; 91.2. prevedere la rifusione delle spese
processuali, a favore e su richiesta documentata dell’imputato, nel caso di rigetto o di inammissibilità dell’impugnazione proposta dal pubblico ministero, salvo
che ricorrano giusti motivi;
92.1. predeterminazione della decorrenza dei termini
per l’impugnazione ispirata a criteri di massima funzionalità e semplificazione;
93.1. ammissibilità dell’impugnazione indipendentemente dalla qualificazione ad essa data dalla parte impugnante;
94.1. prevedere che l’imputato non possa proporre appello contro le sentenze di proscioglimento, pronunciate perché il fatto non sussiste o per non aver commesso
il fatto, ovvero per essere stato commesso il fatto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, e contro le sentenze di proscioglimento,
quale che sia la formula, relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa, nonché contro le sentenze di proscioglimento emesse nel giudizio abbreviato quando l’appello tende ad ottenere una diversa formula; 94.2. prevedere che l’appello, anche del pubblico ministero, debba enunciare, specificamente ed a pena di inammissibilità, i capi ed i punti della decisione ai
quali si riferisce l’impugnazione, le prove di cui si deduce l’omessa assunzione ovvero l’omessa o erronea valutazione, le richieste, anche istruttorie, e i motivi con l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta;
95.1. potere delle parti di proporre appello incidentale
limitatamente ai punti dedotti nei motivi dell’appello
principale; 95.2. perdita di efficacia dell’appello incidentale in caso di 25 inammissibilità o di rinuncia all’appello principale;
96.1. prevedere che il procuratore della Repubblica
presso il tribunale e il procuratore generale presso la corte di appello possano proporre impugnazione nei casi
stabiliti dalla legge, quali che siano state le conclusioni
del rappresentante del pubblico ministero; prevedere
che il procuratore generale possa altresì proporre impugnazione in caso di acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento;
96.2. prevedere che il pubblico ministero non possa
proporre appello contro le sentenze di condanna per le
quali è stata applicata la sola pena pecuniaria; possa proporre appello contro le altre sentenze di condanna soltanto nei casi di modificazione del titolo del reato, di
esclusione di una circostanza aggravante per la quale la
legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o ad effetto speciale, di applicazione
di una pena, di una misura di sicurezza o di una sanzione amministrativa illegali, di omessa applicazione di
una pena, di una misura di sicurezza o di una sanzione
amministrativa obbligatorie; 96.3. prevedere che il pubblico ministero non possa proporre appello contro le
sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con
la sola pena pecuniaria o con pena alternativa, nonché
contro le sentenze di proscioglimento emesse nel giudizio abbreviato quando l’appello tende ad ottenere una
diversa formula; 96.4. prevedere che, nel caso di appello
del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento, l’imputato possa proporre appello incidentale limitatamente ai punti dedotti nei motivi dell’appello principale; 96.5. prevedere che, anche quando è appellante il pubblico ministero contro una sentenza di
proscioglimento, l’appello attribuisca al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti; 96.6. prevedere che il giudice di appello
possa, anche di ufficio e in via preliminare, dichiarare
l’inammissibilità dell’appello con ordinanza ricorribile
per cassazione;
97.1. prevedere e disciplinare le impugnazioni della parte civile ai fini della tutela dei suoi interessi civili; 97.2.
facoltà per la parte civile e per la persona offesa dal reato di chiedere con istanza motivata al pubblico ministero di proporre impugnazione agli effetti penali;
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98.1. diritto di presentare motivi nuovi a sostegno dell’impugnazione entro termini prestabiliti; 99.1. prevedere
i casi di dichiarazione in camera di consiglio della inammissibilità delle impugnazioni;
100.1. prevedere che il giudice d’appello possa concedere
d’ufficio i benefici di legge e le circostanze attenuanti;
101.1. divieto di reformatio in peius in caso di impugnazione del solo imputato; 102.1. prevedere un procedimento in camera di consiglio nel contraddittorio tra
le parti quando l’impugnazione ha esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, la concessione delle circostanze attenuanti generiche o l’applicabilità di
sanzioni sostitutive, o la concessione di benefici di legge;
103.1. rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel
giudizio di appello su richiesta delle parti o d’ufficio, se
le nuove prove sono sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado; 103.2. rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello su richiesta 26
delle parti o d’ufficio, se il giudice ritiene di non essere
in grado di decidere allo stato degli atti, nel caso di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado; 103.3.
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio
di appello su richiesta delle parti o d’ufficio, se il giudice la ritiene assolutamente necessaria; 103.4. rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di rinvio su richiesta delle parti o d’ufficio, per l’assunzione
delle prove rilevanti per la decisione;
104.1. predeterminazione dei casi di ricorso per cassazione; esclusione della facoltà della parte di provvedere personalmente alla proposizione del ricorso; 104.2.
previsione della inammissibilità del ricorso per cassazione anche per manifesta infondatezza, con adeguate
garanzie per la difesa; previsione che l’inammissibilità
del ricorso per cassazione, per tardività, mancanza di
motivi, difetto di titolarità del diritto di impugnazione, carenza di legittimazione del difensore, oggettiva
non impugnabilità del provvedimento, rinunzia, nonché del ricorso proposto contro le sentenze di applicazione concordata della pena, sia dichiarata senza ritardo
e formalità di procedura, e che, se non viene dichiarata l’inammissibilità, gli atti siano rimessi al presidente
della corte per l’assegnazione del ricorso, salvo che non
debba essere comunque pronunciata sentenza immediata di proscioglimento; 104.3. previsione che la sezione semplice, se ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimetta a
queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del
ricorso;
105.1. diritto delle parti di svolgere le conclusioni davanti
alla corte di cassazione;
106.1. predeterminazione dei casi di ricorso straordinario per cassazione; 106.2. predeterminazione dei casi di
revisione della sentenza di condanna; 106.3. prevedere
che la sentenza di applicazione di pena concordata non
possa essere sottoposta a revisione per inconciliabilità con
i fatti posti a fondamento di una sentenza penale irrevocabile, nonché nel caso di prove conosciute o conoscibili; 106.4. competenza per il giudizio di revisione
della corte di appello individuata secondo criteri tabellari predeterminati; 106.5. garanzia del contraddittorio
e svolgimento del giudizio secondo le regole previste per
il dibattimento; 106.6. ricorribilità per cassazione del
provvedimento che rigetta o dichiara inammissibile la richiesta di revisione; 106.7. rinvio ad altro giudice individuato secondo criteri tabellari predeterminati in caso
di accoglimento dell’istanza di revisione; 106.8. prevedere un apposito rimedio, diverso dalla revisione, quando sia accertato che la condanna è stata pronunciata in
violazione di diritti riconosciuti all’accusato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo; potere del giudice della pena che riceve la richiesta di valutare la congruità della stessa rispetto all’effettiva incidenza della violazione sull’esito del giudizio;
107.1. prevedere l’istituzione, presso ogni distretto di corte di appello, del giudice della pena, diverso da quello
della cognizione ed individuato sulla base di criteri predeterminati; prevedere che il giudice della pena, quando
delibera in composizione collegiale, sia composto, da
giudici togati e da esperti; 107.2. prevedere che il giudice della pena sia competente a conoscere dell’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali divenuti irrevocabili; prevedere, in particolare, che il giudice della pena
sia competente a decidere sulla irrevocabilità della sentenza di condanna, sull’estinzione, sull’interpretazione e
sulla modifica del titolo esecutivo, e che possa applicare la disciplina del concorso formale di reati e della continuazione, sempre che la stessa non sia stata esclusa nel
giudizio di cognizione; 107.3. prevedere che il giudice della pena provveda senza formalità, su richiesta delle parti, al computo delle pene espiate senza titolo e della custodia cautelare sofferta, al 27 cumulo di pene concorrenti e all’emissione dell’ordine di esecuzione della pena; prevedere che, in tal caso, il pubblico ministero, l’interessato e il difensore possano proporre opposizione davanti allo stesso giudice; prevedere che, in casi predeterminati, con riguardo alla durata della pena da eseguire,
fino alla scadenza del termine per proporre opposizione
e, laddove questa sia presentata, sino alla decisione del
giudice della pena, l’esecuzione del provvedimento rimanga sospesa; 107.4. prevedere che il giudice della pena sia competente a conoscere dell’esecuzione delle pene, delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi e
delle misure di sicurezza; prevedere, in particolare, che
il giudice della pena vigili sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena al fine di assicurare che l’e-
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secuzione della custodia delle persone private della libertà
personale sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti; che il giudice della pena sia competente per
l’approvazione, con decreto, del programma di trattamento; che il giudice della pena possa impartire, nel corso del trattamento, disposizioni dirette a eliminare eventuali violazioni dei diritti delle persone private della libertà
personale; che il giudice della pena possa decidere sui reclami proposti dalle persone private della libertà personale; che il giudice della pena sia competente in materia
di trattamento e di regime penitenziario e provveda, anche di ufficio, in ordine all’applicazione, all’esecuzione e
alla revoca delle misure alternative alla detenzione; che
il giudice della pena, previo esame della effettiva pericolosità del condannato o del prosciolto, provveda all’adozione dei provvedimenti conseguenti all’applicazione
delle misure di sicurezza e, se necessario, alla revoca di
tali misure; che il giudice della pena esprima motivato parere sulle proposte e istanze di grazia concernenti i detenuti; 107.5. prevedere la piena attuazione delle garanzie
di giurisdizionalità e del contraddittorio nei procedimenti
di competenza del giudice della pena, salvo casi predeterminati di deliberazione senza formalità di procedura;
prevedere il diritto del condannato di partecipare alle
udienze dinanzi al giudice della pena inerenti al trattamento sanzionatorio o penitenziario; prevedere che il
giudice della pena possa disporre accertamenti peritali,
anche a richiesta di parte, ai fini della determinazione del
trattamento sanzionatorio o penitenziario; 107.6. predeterminazione dei casi e dei mezzi di impugnazione dei
provvedimenti del giudice della pena;
108.1. prevedere che la persona prosciolta o condannata
con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non possa essere nuovamente sottoposta a procedimento penale per
il medesimo fatto; disciplina degli effetti del giudicato penale nei giudizi civili, amministrativi e disciplinari;
109.1. riparazione dell’ingiusta detenzione e dell’errore
giudiziario;
110.1. prevedere che le relazioni a fini di giustizia penale
con le competenti autorità di altri Stati o con organi internazionali siano disciplinate dalle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto
internazionale generale e che le disposizioni contenute
nel codice di procedura penale e in altre leggi dello Stato si applichino soltanto se le norme internazionali anzidette manchino o non dispongano diversamente; 110.2.
prevedere che il consenso dell’interessato al compimento di determinati atti di una procedura a fini di cooperazione giudiziaria non possa essere revocato salvo che
quello provi di avere senza colpa ignorato circostanze determinanti del consenso espresso;
111.1. prevedere il potere del ministro della giustizia, per
motivi di tutela della sovranità, della sicurezza e di altri
interessi essenziali dello Stato, di non dare corso all’esecuzione della domanda di assistenza giudiziaria di altri
Stati; prevedere che i poteri del ministro della 28 giustizia di cui alla direttiva precedente non possano esercitarsi con riguardo alle richieste delle autorità degli Stati membri dell’Unione europea; 111.2. prevedere che le
richieste di assistenza giudiziaria per attività di acquisizione probatoria e sequestro di beni a fini di confisca siano trasmesse dal ministro della giustizia o direttamente,
nei casi previsti da accordi internazionali in vigore per
lo Stato, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto nel quale si deve procedere agli atti richiesti; prevedere criteri predeterminati per la concentrazione delle procedure di esecuzione di
atti che devono compiersi in distretti diversi; prevedere
procedure semplificate per la definizione di eventuali
contrasti e conflitti; 111.3. prevedere che, se la richiesta
ha per oggetto acquisizioni probatorie da compiersi davanti al giudice ovvero attività che secondo la legge dello Stato non possono svolgersi senza l’autorizzazione
del giudice, il procuratore della Repubblica presenti senza ritardo le proprie richieste al giudice per le indagini
preliminari del tribunale del capoluogo del distretto;
111.4. prevedere che, nei casi diversi da quelli sopra indicati, il procuratore della Repubblica dia senza ritardo
esecuzione alla richiesta di assistenza giudiziaria con decreto motivato; 111.5. prevedere il potere dell’autorità
giudiziaria di rifiutare o sospendere in casi predeterminati l’esecuzione della richiesta di assistenza giudiziaria;
111.6. prevedere che per il compimento degli atti richiesti si osservino le leggi dello Stato, salva l’osservanza delle forme espressamente indicate dall’autorità richiedente che non siano contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano; 111.7. prevedere che l’autorità giudiziaria che procede all’esecuzione della richiesta di assistenza giudiziaria possa con
decreto motivato autorizzare la presenza alle attività da
compiersi di rappresentanti ed esperti dell’autorità richiedente, dandone comunicazione al ministro della giustizia se la richiesta proviene da autorità diverse da quelle di Stati membri dell’Unione europea; 111.8. prevedere che, se durante l’esecuzione della richiesta di assistenza giudiziaria emerge l’opportunità di compiere atti non indicati nella richiesta medesima, l’autorità giudiziaria ne informi senza ritardo l’autorità richiedente e
che, quando accordi internazionali prevedono la trasmissione diretta all’autorità giudiziaria delle richieste di
assistenza giudiziaria, l’autorità richiedente che partecipa all’esecuzione possa presentare richieste complementari mentre si trova nel territorio dello Stato ed altresì
che, trattandosi di autorità di Stati membri dell’Unione
europea, la richiesta complementare possa essere comunicata anche verbalmente, con documentazione nelle
successive ventiquattro ore; 111.9. prevedere che le regole sull’esecuzione di domande di assistenza giudizia-
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ria si applichino, in quanto compatibili, alle richieste presentate, ai fini di un procedimento concernente un reato, da autorità amministrative di altri Stati e che, in tali casi, le richieste siano trasmesse al procuratore della
Repubblica del luogo nel quale devono compiersi gli atti richiesti; 111.10. prevedere che le richieste di assistenza dell’autorità giudiziaria italiana, salvo che non sia
prevista la trasmissione diretta alla competente autorità di altro Stato da accordi internazionali in vigore per
lo Stato e comunque nei rapporti con gli altri Stati dell’Unione europea, siano inoltrate per il tramite del ministro della giustizia e il potere del ministro di decidere
entro un congruo termine di non darvi corso se vi è pericolo per la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato, dandone comunicazione all’autorità giudiziaria; 111.11. prevedere che, quando, nei casi
previsti da accordi internazionali in vigore per lo Stato,
la domanda di assistenza giudiziaria può essere eseguita secondo modalità previste dall’ordinamento dello Stato richiedente, l’autorità giudiziaria, nel formulare la
domanda di assistenza, ne specifichi le modalità di esecuzione, tenendo conto degli elementi necessari per l’utilizzazione processuale degli atti richiesti;
112.1. prevedere che, nei rapporti con altri Stati dell’Unione europea e nei casi previsti da convenzioni internazionali in vigore per lo Stato, l’audizione di testimoni e periti possa aver 29 luogo mediante video conferenza
o conferenza telefonica, disciplinandone le modalità e le
condizioni di utilizzabilità; 112.2. prevedere che il procuratore della Repubblica possa in casi predeterminati
concordare con le competenti autorità degli altri Stati dell’Unione europea, ovvero, se previsto da accordi internazionali in vigore per lo Stato, di altri Stati, la costituzione di squadre investigative comuni; 112.3. prevedere che della proposta di costituzione della squadra investigativa comune sia data comunicazione all’organo titolare delle funzioni di coordinamento investigativo;
prevedere, nel caso di indagini collegate di più uffici del
pubblico ministero italiano, la necessità, ai fini della costituzione della squadra investigativa, della preventiva intesa dei medesimi e procedure semplificate di risoluzione di eventuali contrasti; 112.4. prevedere l’utilizzabilità degli atti della squadra investigativa comune compiuti
all’estero che non siano in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano in limiti e
con modalità analoghi a quelle previsti dalla legge per i
corrispondenti atti compiuti secondo la legge processuale italiana; 112.5. prevedere che possa acquisirsi la
documentazione relativa ad atti ed informazioni spontaneamente trasmessi dall’autorità di altri Stati in conformità ad accordi internazionali e che l’autorità giudiziaria sia vincolata al rispetto delle condizioni eventualmente poste dall’autorità di altro Stato all’utilizzabilità
degli atti e delle informazioni spontaneamente trasmessi; 112.6. prevedere che sulle richieste di trasferimento
temporaneo a fini di indagine di persone detenute o internate previste da accordi internazionali in vigore per
lo Stato provveda il ministro della giustizia, sentita l’autorità giudiziaria interessata;
113.1. prevedere che la domanda di estradizione sia trasmessa al ministro della giustizia ed il potere del ministro della giustizia di non darvi corso quando sia richiesta l’estradizione di un cittadino e non sia data condizione di reciprocità con lo Stato richiedente ovvero quando l’estradizione possa compromettere la sovranità, la
sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato, dandone
comunicazione allo Stato richiedente e all’autorità giudiziaria; prevedere il potere del ministro di subordinare
a condizioni la concessione dell’estradizione; 113.2. prevedere che entro un congruo termine dalla sua ricezione il ministro della giustizia trasmetta la domanda di
estradizione che abbia ritenuto poter aver corso al procuratore generale presso la corte d’appello territorialmente competente; 113.3. prevedere il potere del procuratore generale di procedere all’identificazione e all’interrogatorio della persona della quale è chiesta l’estradizione, nonché quello di richiedere direttamente all’autorità di altro Stato la documentazione e le informazioni che ritiene necessarie, dandone comunicazione
al ministro della giustizia; 113.4. prevedere che, entro un
termine predeterminato, il procuratore generale richieda al presidente della corte d’appello la fissazione dell’udienza destinata al vaglio della domanda di estradizione, provvedendo al deposito della documentazione
trasmessa ovvero comunque acquisita; prevedere che il
procedimento dinanzi alla corte d’appello si svolga alla
presenza necessaria del procuratore, del difensore e di
quella eventuale del rappresentante dello Stato richiedente, nel rispetto del principio del contraddittorio;
113.5. prevedere che, su richiesta del procuratore generale, la corte possa disporre la custodia cautelare in carcere dell’estradando che si trovi in libertà al momento
della concessione dell’estradizione e il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato; prevedere che
in caso di diniego dell’estradizione la corte, anche d’ufficio, revochi le misure cautelari già applicate e provveda sulle richieste di restituzione delle cose in sequestro;
113.6. prevedere che la corte d’appello conceda l’estradizione se sussistono gravi indizi di colpevolezza ovvero se sussiste una sentenza irrevocabile di condanna, salvo, in casi predeterminati, quando per lo stesso fatto nei
confronti della persona della quale è stata richiesta l’estradizione non sia in corso procedimento penale ovvero sia stata pronunciata sentenza irrevocabile nello Stato; 113.7. 30 prevedere che in ogni caso la corte d’appello rigetti la domanda di estradizione se per il reato per
il quale l’estradizione è richiesta, la persona è stata o sarà sottoposta a un procedimento che non assicuri il rispetto dei diritti fondamentali della persona, se la sentenza per l’esecuzione della quale è stata richiesta l’e-
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stradizione contiene disposizioni contrarie ai principi
fondamentali dell’ordinamento, se vi è motivo di ritenere che l’imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori ovvero a pene e trattamenti
crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazioni dei diritti fondamentali della persona;
113.8. prevedere che la corte decida con sentenza, ricorribile per cassazione dal difensore, dal patrocinante lo
Stato richiedente e dal procuratore generale; 113.9. prevedere che l’esecuzione dell’estradizione possa essere sospesa per consentire l’esercizio della giurisdizione ovvero
l’esecuzione di una pena nel territorio dello Stato, salvo,
in quest’ultimo caso, che il ministro della giustizia concordi
con lo Stato richiedente che l’esecuzione della pena avvenga
nel territorio di questo; 113.10. prevedere il potere del ministro della giustizia di autorizzare il transito nel territorio dello Stato di persona estradata da uno ad altro Stato, disciplinando forme e limiti della relativa garanzia giurisdizionale; 113.11. prevedere che possano in ogni tempo essere adottate dalla corte d’appello, su richiesta motivata del pubblico ministero, le misure coercitive necessarie ad assicurare che la persona della quale è chiesta l’estradizione non si sottragga all’eventuale consegna, nonché il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al medesimo; prevedere che si osservino, in quanto compatibili, le norme in tema di misure coercitive e di sequestro contenute nel codice; prevedere termini massimi di durata della custodia cautelare, da applicarsi anche in caso
di sospensione dell’esecuzione dell’estradizione; prevedere che le misure anzidette possano essere revocate o modificate anche d’ufficio; 113.12. prevedere il potere della
polizia giudiziaria di procedere in caso di urgenza all’arresto della persona della quale sia stata chiesta l’estradizione, nonché al sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato, salvo convalida del giudice; 113.13.
prevedere il potere del ministro della giustizia di richiedere
l’estradizione dall’estero di persona indagata o imputata
nei confronti della quale debba essere eseguita una misura coercitiva ovvero una condanna a pena detentiva, nonché quello di decidere sulle condizioni eventualmente poste per la consegna dallo Stato richiesto che non contrastino con i principi fondamentali dell’ordinamento; prevedere che l’estradizione possa richiedersi dal ministro
della giustizia su istanza del procuratore generale presso
la corte d’appello in cui si trova l’autorità giudiziaria che
ha emesso il provvedimento da eseguirsi ovvero di propria iniziativa; prevedere che il ministro possa disporre,
ai fini dell’estradizione, le ricerche all’estero della persona indagata o imputata o condannata e richiederne l’arresto provvisorio; 113.14. prevedere che il ministro della
giustizia possa entro un congruo termine decidere di non
presentare la richiesta di estradizione ovvero di differirne
la presentazione quando l’iniziativa possa pregiudicare la
sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato, dandone comunicazione all’autorità giudiziaria procedente; 113.15. prevedere che, in condizioni di recipro-
cità, le competenti autorità dello Stato estero al quale è
stata presentata domanda di estradizione possano richiedere la trasmissione di informazioni e di documentazione
integrativa direttamente al procuratore generale presso la
corte d’appello; 113.16. prevedere che la custodia cautelare sofferta all’estero ai fini dell’estradizione sia computata ad ogni effetto processuale; 113.17. prevedere che nell’estradizione dall’estero il principio di specialità operi come causa di sospensione del procedimento e dell’esecuzione
della pena; prevedere che tale sospensione non precluda
il compimento di atti urgenti e l’assunzione di prove non
rinviabili ovvero comunque idonee a determinare il proscioglimento dell’estradato per fatti anteriori alla consegna; prevedere che, ai fini della richiesta di estensione dell’estradizione, possa essere adottata un’ordinanza che dispone la 31 custodia cautelare, l’esecuzione della quale resti sospesa sino alla concessione dell’estradizione suppletiva e da revocarsi anche d’ufficio nel caso di rifiuto della medesima; 113.18. prevedere che il principio di specialità operi come causa di sospensione del procedimento e dell’esecuzione della pena, secondo i principi di cui
alla direttiva precedente, anche ai fini delle altre procedure
giurisdizionali finalizzate alla consegna di persona imputata o condannata; 113.19. prevedere che alla garanzia della specialità dell’estradizione, salvo che norme convenzionali non lo escludano, la persona estradata possa rinunziare, dopo la consegna, solo mediante dichiarazione
raccolta dal giudice; 113.20. prevedere la riparazione per
l’ingiusta detenzione sofferta all’estero a fini estradizionali;
114.1. prevedere condizioni e forme del riconoscimento di sentenze penali di altri Stati e dell’esecuzione all’estero di sentenze penali italiane; 114.2. prevedere condizioni e forme del trasferimento delle procedure previsto da accordi internazionali in vigore per lo Stato;
115.1. prevedere che le decisioni giudiziarie emesse dalle competenti autorità degli Stati dell’Unione europea
possano essere eseguite nel territorio dello Stato e che
l’autorità giudiziaria italiana possa richiedere alle competenti autorità degli altri Stati dell’Unione europea l’esecuzione di proprie decisioni in conformità al principio
del mutuo riconoscimento; prevedere che altre disposizioni di legge si applichino solo se compatibili con le norme contenute nel codice e che, in ogni caso, l’esecuzione della decisione non pregiudichi l’osservanza degli obblighi internazionali assunti dallo Stato; 115.2. prevedere
che le decisioni giudiziarie da eseguirsi nel territorio dello Stato possano essere trasmesse direttamente all’autorità giudiziaria territorialmente competente per l’esecuzione e che l’autorità giudiziaria italiana possa trasmettere direttamente allo Stato di esecuzione le decisioni delle quali si chiede il riconoscimento, con comunicazione
al ministero della Giustizia nei casi e nei modi previsti
dalla legge; 115.3. prevedere la corrispondenza diretta
dell’autorità giudiziaria italiana con le competenti au-
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torità degli altri Stati dell’Unione europea altresì ai fini
della trasmissione della documentazione e degli accertamenti integrativi e delle ulteriori informazioni che siano eventualmente necessari all’esecuzione delle decisioni delle quali è chiesto il riconoscimento; 115.4. prevedere il potere del ministro della Giustizia di garantire, nei
casi e nei modi previsti dalla legge, l’osservanza delle condizioni eventualmente richieste in casi particolari per
l’esecuzione all’estero o nel territorio dello Stato della decisione della quale è stato chiesto il riconoscimento;
115.5. prevedere che, in casi e nelle forme previsti dalla
legge, il riconoscimento delle decisioni giudiziarie possa
essere richiesto anche ai fini dell’esecuzione delle stesse
all’estero o nel territorio dello Stato nei confronti di persone giuridiche; 115.6. prevedere che la decisione sul riconoscimento della decisione da eseguirsi nel territorio
dello Stato sia adottata con la massima urgenza e comunque in tempi e con modalità idonei ad assicurarne
la tempestività e l’efficacia; prevedere regole speciali per
l’esecuzione di decisioni al riconoscimento delle quali l’interessato abbia prestato consenso; 115.7. prevedere che
l’autorità giudiziaria italiana, nei casi previsti dalla legge, dia esecuzione alle decisioni giudiziarie degli altri
Stati dell’Unione europea anche nel caso in cui il fatto
non sia previsto come reato dalla legge nazionale; 115.8.
prevedere che, ai fini dell’esecuzione nel territorio dello
Stato, non possa essere sindacato il merito della decisione
giudiziaria il riconoscimento della quale sia richiesto
dall’autorità di altri Stati membri dell’Unione europea,
salva l’osservanza delle disposizioni necessarie ad assicurare l’osservanza in ogni caso dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico; 115.9. prevedere che avverso il provvedimento con il quale è disposta l’esecuzione della decisione giudiziaria della quale l’autorità di
altro Stato 32 dell’Unione europea abbia chiesto il riconoscimento siano dati mezzi di impugnazione senza effetto sospensivo, salvo nei casi espressamente previsti dalla legge; 115.10. prevedere idonei rimedi a tutela dei diritti dei terzi di buona fede eventualmente pregiudicati
dall’esecuzione della decisione.
Articolo 3 Omissis
RECENSIONI
Imputazione oggettiva dell'evento.
“Nesso di rischio” e responsabilità per fatto proprio
159
a cura di Massimo Domini
Giappichelli Editore, Torino, 2006
di Mario Griffo
Il condono edilizio e la legislazione regionale
160
a cura di Giuseppe De Marzo, con contributi di C. Di Marco, L. Gallo, G. Le Pera e L. Piochi
Giuffrè Editore, Milano, 2007
di Valeria D’Antò
L’amministrazione di sostegno, in Familia
a cura di Salvatore Patti
Quaderni diretti da Salvatore Patti
Giuffrè Editore, Milano 2005
di Anna Eliseo
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●
Massimo Domini
Imputazione oggettiva
dell'evento.
“Nesso di rischio”
e responsabilità
per fatto proprio
Giappichelli Editore,
Torino, 2006
● Mario Griffo
L’opera in commento esprime
un’innovativa ed accurata rivisitazione della teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento, tema
di diritto penale sostanziale di
estrema complessità ed interesse.
La rielaborazione in chiave critica della categoria dogmatica
dell’imputazione oggettiva dell’evento, quale elemento costitutivo
della tipicità del fatto di reato, è
condotta dall’Autore secondo
una direttiva differente rispetto ai
precedenti lavori dedicati all’argomento.
L’opera è articolata in sei
capitoli, ognuno dei quali affronta e risolve uno specifico aspetto
concernente le problematiche
poste dall’istituto in oggetto.
Specificamente, nel primo
capitolo l’Autore si sofferma sul
rapporto esistente tra l’imputazione oggettiva dell’evento ed il
principio di responsabilità per
fatto proprio, costituzionalizzato
nell’articolo 27 comma 1 Cost.
Ebbene, se nel passato la dottrina
ha rivolto attenzione in maniera
esclusiva alla costruzione ed alla
struttura dell’imputazione oggettiva, Donini preferisce affrontare,
preliminarmente, la quaestio della
collocazione dommatica della
categoria in riferimento al principio della personalità della responsabilità penale.
E l’ossequio dell’articolo 27,
comma 1 Cost. è garantito, secondo l’Autore, dalla categoria
generale del "nesso di rischio,
criterio che si colloca trasversalmente tra l’elemento oggettivo e
quello soggettivo, in grado di
assicurare così la sola responsabilità per fatto proprio". Nel prosieguo, poi, il Donini tratta proprio del nesso di rischio, elevato,
questa volta, a categoria autonoma racchiudente in sé il reale
valore e significato della teoria
dell’imputazione oggettiva dell’evento. La spiegazione che si
fornisce viene costruita su di
un’analisi di ordine generale, che
prescinde e trascende la tradizionale sistematica del reato e che
perviene a dimostrare - in contrasto con gli arresti maggioritari che l’imputazione oggettiva non
si identifica con l’aumento del
rischio bensì con l’idea stessa che
il rischio "richiede un rapporto
diretto tra condotta ed evento da
accertare con giudizio ex post".
Si tratta, in realtà, di una posizione molto diversa da quella espressa dalla lettura tradizionale,
nonché dalle applicazioni giurisprudenziali - avuto specifico
riguardo alle pronunce antecedenti alla sentenza delle Sezioni
Unite della Suprema Corte di
Cassazione nel caso Franzese
(10/7/2002 -11/9/2002 n. 30328)
- in ordine alla teoria dell’imputazione oggettiva.
Nel terzo capitolo, dedicato
interamente al rapporto esistente
tra imputazione oggettiva e causalità, l’Autore, poi, riesce a
fornire precise coordinate metodologiche e sistematiche in ordine
alle differenze sussistenti tra le
categorie dogmatiche in discorso,
sovente oggetto di confusione ed
improprie sovrapposizioni nella
manualistica classica. Il discorso
affrontato si concentra sulla
differenza, sostanziale, tra i concetti in gioco i quali, secondo la
ricostruzione data rappresenterebbero momenti ben distinti, ora
nell’applicazione pratica - in
connessione alle differenti tipologie di reato - ora in ragione del
fatto che causalità ed imputazione oggettiva si scinderebbero in
un dualistico modello astratto di
collegamento condotta-evento in
termini di accertamento della
responsabilità materiale prima
ancora che soggettiva. Riceve
confutazione, di tal che, il filone
dottrinario che ritiene l’imputazione obiettiva dell’evento null’altro che un surrogato della
casualità; questa ultima teoria,
invero, non sempre riuscirebbe a
spiegare il nesso esistente tra
condotta ed evento, necessitando
di una diversa forma di imputazione, il nesso di rischio, il quale,
unitamente alla causalità, al dolo
ed alla colpa, completerebbe i
criteri di imputazione oggettiva e
soggettiva dell’evento all’autore.
Sicché, mentre la causalità atterrebbe esclusivamente alla tipicità
del fatto, il nesso di rischio sarebbe compreso tra il fatto tipico e la
colpevolezza, secondo una logica
trasversale.
Successivamente, l’Autore
affronta il ruolo assunto dall’imputazione oggettiva dell’evento
nelle differenti tipologie di reato
così come ricostruite in base
all’elemento psicologico degli
stessi (dolosi o colposi), nonché
in ragione delle tipizzazioni
espresse dalla dottrina tradizionale sulla classificazione delle
fattispecie incriminatrici (commissive/omissive, dannose/pericolose). Anche in questa ultima
parte, la voce dell’Autore si staglia per la sua originalità sin
dalla scelta di dedicare un intero
capitolo (il V) al nesso di rischio
nei reati dolosi; sforzo inusuale,
attesa la constatazione secondo
la quale ogni analisi approfondita
della teoria dell’imputazione
oggettiva dell’evento è sempre
stata condotta esclusivamente sui
reati colposi. Il discorso è costellato, come del resto tutto il lavoro, di innumerevoli riferimenti
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pratici, sia per i reati colposi che
per quelli dolosi, non certamente
espressivi di casi scolastici bensì
di vere prassi fenomeniche della
realtà forense quotidiana.
L’Autore spiega, così, il
nesso di rischio esistente — sotto
il duplice profilo oggettivo e
soggettivo — all’interno di specifiche tipologie di reato, determinandone una specifica valenza in
termini di accertamento della
responsabilità penale. Procedendo
in tal modo, si giunge alla “soluzione teorica” di un “problema
pratico” utilizzando la nuova
categoria dogmatica del rapporto
di rischio, delineato quale ulteriore criterio di imputazione necessario per l’affermazione di una
responsabilità personale e colpevole in termini di certezza.
L’ultimo capitolo compendia
le conclusioni dell’Autore il quale
redige il bilancio degli esiti della
ricerca condotta nel corso del
lavoro. Il punto d’arrivo a cui
giunge, allora, è che l’imputazione oggettiva dell’evento, nella sua
specificazione tecnico dogmatica
di nesso di rischio, non rappresenta una mera categoria astratta,
così come è stata descritta per
anni nei manuali che ad essa si
sono riferiti, ma assume valore di
canone generale all’interno del
quale trova la sua genesi un
fondamentale e nuovo criterio di
imputazione dell’evento.
●
Il condono edilizio
e la legislazione regionale
a cura di Giuseppe De Marzo,
con contributi di C. Di Marco,
L. Gallo, G. Le Pera
e L. Piochi,
Giuffrè Editore, Milano 2007
● Valeria D’Antò
All’indomani dell’introduzione
normativa relativa al c.d. “terzo
condono” (Decreto Legge 30 settembre 2003 n. 269, convertito in
legge con L. 24 novembre 2003, n.
326) sono nuovamente diventate
attuali problematiche relative agli
abusi edilizi e alla loro condonabilità.
Con l’opera in rassegna, gli
autori offrono al lettore anche
meno esperto uno strumento utile
alla comprensione della ratio del
condono da un punto di vista di
scelte politiche, fiscali e non, oltre
che di interpretazione giurisprudenziale, con particolare attenzione
alla normativa regionale.
Il libro si sviluppa in quattro
capitoli, il primo dei quali è dedicato, in particolare, alla posizione
assunta dalla Corte Costituzionale.
Ai fini di un più puntuale
inquadramento della materia, con
chiarezza e sistematicità, vengono
affrontate le problematiche relative
alle “ragioni giuridiche” che hanno
giustificato il condono nella sua
evoluzione normativa.
Gli autori giungono ad un’analisi critica del “terzo condono”,
che, a differenza degli altri due che
lo hanno preceduto (introdotti con
L. 47/85 e con la legge finanziaria
per l’anno 1995), mirerebbe maggiormente a soddisfare esigenze di
“far cassa” più che di ripristino
della tutela del “controllo sul
territorio”.
Chiariscono tali conclusioni
passando in rassegna le varie pronunce costituzionali sulla disciplina
del condono, il cui sindacato di
ammissibilità si baserebbe su motivazioni prive di reali e convincenti
contenuti sostanziali.
Essi rilevano, in particolare, il
carattere “meramente compilativo
e privo di un reale carattere normativo” del T.U. delle disposizioni in
materia edilizia (approvato con
d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001),
specificamente per quanto concerne la disciplina della vigilanza
sull’attività urbanistica-edilizia
nonché delle relative responsabilità
e sanzioni.
Osservano, altresì, la mancanza di correlazione tra il terzo
condono e la riforma del Titolo V
della seconda Parte della Costituzione, in virtù della quale è stata
allargata la portata delle materie
di competenza legislativa concorrente delle Regioni.
Non mancano rilievi critici
sulla “non affidabilità” e “non
appetibilità” del terzo condono,
“sia per il prezzo richiesto (misura
dell’oblazione, oneri concessori e
quant’altro), sia per la rigidità delle
limitazioni imposte alla sanabilità
delle opere abusive”.
Le problematiche scaturenti
dal comportamento delle Regioni a
seguito dell’introduzione della
disciplina del terzo condono vengono, invece, affrontate nel secondo capitolo.
Alcune Regioni, infatti, “senza neppure aspettare la conversione
in legge del D.L. n. 269/03, si sono
affrettate non solo ad impugnare
quest’ultimo innanzi alla Consulta”, eccependo, sostanzialmente,
una “indebita invadenza dell’impianto normativo statale sul condono nella sfera di competenza
regionale”, ma hanno addirittura
provveduto alla emanazione di c.d.
“leggi anti-condono” con lo scopo
di evitare l’applicazione normativa
statale nel loro territorio.
Viene così ripercorso l’iter che
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ha portato la Corte Costituzionale
ad ammettere la possibilità d’introduzione di un condono con decreto
legge, sussistendone i presupposti
di necessità ed urgenza prescritti
dall’art. 77 Cost., nonché a dichiarare incostituzionali le varie disposizioni dell’art. 32 del d.l. n.
269/2003, nel testo originario,
nella parte in cui non consentivano
alle Regioni di integrare e disciplinare diversamente da quanto
stabilito dallo Stato.
Gli autori passano, poi, in
rassegna, analiticamente, le leggi
regionali in materia di condono,
illustrando, tra l’altro, il contenuto della sentenza del 10 febbraio
2006 n. 49, con la quale la Consulta ha posto fine “all’annosa querelle costituzionale che ha interessato
la normativa nazionale e parte di
quella regionale emanata sul terzo
condono”.
Completa l’opera il terzo
capitolo, interamente dedicato alla
normativa in materia di condono
paesaggistico, dettata dalla c.d.
legge delega ambientale del 15
febbraio 2004 n. 308 che “ha
aperto numerosi fronti di discussione e riflessione sia per la varietà
degli oggetti trattati che per le
innovazioni legislative in essa
contenute”.
L’indicata legge, in particolare, “introduce due forme di sanatoria degli interventi realizzati su
aree vincolate ai sensi del Codice
Urbani”, l’una rivolta al passato e
l’altra rivolta al futuro e detta “a
regime”, in quanto “attiene ad
una sorta d’inserimento “a regime”, nel contesto territoriale
tutelato, di opere abusive ritenute
di entità minore e, dunque, sanabili”.
Il testo è esaustivo nella
trattazione di tali due forme di
sanatoria, risultando particolarmente analitico per quanto concerne la sanatoria “a regime”.
All’uopo vengono, infatti,
affrontate, tra l’altro, le questioni
inerenti l’applicazione delle sanzioni, ivi compresa l’evoluzione normativa che ha interessato il regime
sanzionatorio; viene affrontato il
problema della discrezionalità di
cui gode l’Amministrazione preposta alla tutela del paesaggio nella
scelta applicativa delle sanzioni;
viene analizzato l’indirizzo interpretativo del Consiglio di Stato
sull’ammissibilità di un’autorizzazione postuma e sull’applicabilità
delle sanzioni.
Non mancano l’analisi, in
chiave critica, del dettato normativo in materia di procedimento di
valutazione di compatibilità paesaggistica; l’analisi dei problemi
applicativi della Legge delega,
nonchè il riferimento alla sentenza
n. 183 del 2006, con la quale la
Corte Costituzionale ha operato
un “salvataggio” del condono
paesaggistico.
L’opera si conclude con alcune osservazioni sui problemi di
coordinamento tra la disciplina
ordinaria sul paesaggio e quella
eccezionale sui condoni.
Essa, insomma, fornisce un
utile strumento di “navigazione”
nel variegato panorama normativo
e giurisprudenziale.
●
Salvatore Patti (a cura di),
L’amministrazione
di sostegno, in Familia,
Quaderni diretti
da Salvatore Patti,
Giuffrè Editore, Milano 2005
● Anna Eliseo
La legge 9 gennaio 2004, n. 6 ha
introdotto nel nostro ordinamento
l’istituto dell’amministrazione di
sostegno.
Con questo provvedimento si
realizza finalmente una riforma delle
misure di protezione delle persone
prive in tutto o in parte di autonomia
la cui disciplina è dettata dal codice
civile nel Titolo XII del Libro I.
Si tratta di una riforma auspicata
da più parti, sollecita non solo dalla
dottrina, in primo luogo dal prof.
Paolo Cendon, che per molti anni si
era dedicato al tema in esame, ma
anche da quei professionisti, il cui
intervento in materia era maggiormente sollecitato: avvocati e notai.
Nella redazione del testo normativo, infatti, hanno trovato accoglimento i suggerimenti provenienti,
soprattutto, dal Consiglio del Notariato, il quale negli anni precedenti
l’introduzione della legge n. 6 del
2004, si era fatto portavoce di un’esigenza di riforma di questo settore e, al
tempo stesso, promotore di studi,
ricerche e progetti al fine di una revisione degli istituti dell’interdizione e
della inabilitazione, se non addirittura
della loro abolizione.
Sebbene il legislatore non si sia
spinto fino all’eliminazione di quest’ultime figure, con l’introduzione
dell’amministrazione di sostegno
compie, comunque, un sostanziale
cambiamento nella scelta della ratio
che ha sempre ispirato la normativa di
questa materia.
Se, infatti, la tutela e la curatela
Gazzetta
R E C E N S I O N I
162
F O R E N S E
erano, e sono, principalmente dirette
alla cura del patrimonio dell’interdetto e dell’inabilitato, al fine di
proteggere gli interessi economicopatrimoniali non solo loro, ma
anche della loro famiglia, la nuova
legge pone, al contrario, come concetto fondamentale e prioritario, la
cura della persona e del disabile.
Tale affermazione è confermata dall’art. 1 della legge 9 gennaio
2004, n. 6, il quale dispone che
l’obiettivo della legge è la conciliazione della miglior tutela del soggetto privo in tutto o in parte di autonomia nello svolgimento delle funzioni della vita quotidiana con la
minore limitazione possibile della
sua capacità di agire.
Il nuovo istituto è stato, dunque, introdotto per venire incontro a
chiunque si trovi in difficoltà nell’esercizio dei propri diritti: esso si
rivolge, quindi, alla tutela non solo
di soggetti affetti da disturbi psichici,
ma anche da disabilità intellettiva
(quale l’autismo, la sindrome di
Down, la cerebrolesione, ecc.),
tossicodipendenza, alcolismo, ed in
alcuni casi, anche ad extracomunitari e detenuti.
Costituisce un utile di strumento di conoscenza dell’istituto dell’amministrazione di sostegno il testo
redatto a cura di Salvatore Patti,
L’amministrazione di sostegno, in
Famiglia, Quaderni diretti da Salvatore Patti, Giuffrè Editore, Milano,
2005, nel quale si accoglie l’interpretazione avanzata dalla dottrina
prevalente circa la possibilità di
utilizzare l’istituto anche quando
ricorrono i presupposti per far
ricorso all’interdizione e all’inabilitazione, pervenendo ad una sostanziale
disapplicazione di quest’ultimi,
troppo concentrati sulla tutela degli
interessi patrimoniali rispetto all’attenzione da rivolgere alla dignità
personale del soggetto debole.
Su queste premesse, il testo
sopra citato, assegnando alla giurisprudenza il compito di chiarire
l’esatta portata del nuovo istituto,
tratta in modo esauriente non solo le
problematiche dottrinali nate subito
dopo l’entrata in vigore della legge,
ma anche le questioni di ordine
pratico, allo scopo di fornire un
valido supporto per magistrati ed
avvocati destinati ad essere gli operatori diretti della nuova normativa.
Il testo può essere idealmente
suddiviso in tre grandi aree tematiche.
La prima, in cui gli autori
delineano i rapporti tra l’amministrazione di sostegno e i più collaudati istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, di cui si mettono in
evidenza differenze e punti di contatto. L’autore, in particolare, sottolinea la grande difficoltà nel compiere tale raffronto data la necessità di
delineare con precisione gli ambiti
applicativi degli art. 404 e 414 c.c.
Il testo normativo di queste
due disposizioni, infatti, sembra
prestarsi ad una facile sovrapposizione.
Una volta chiarito, dunque,
l’esatto ruolo dell’amministrazione
di sostegno all’interno del Titolo XII
del Libro I del codice civile, si passa
a sviluppare la seconda tematica
nella quale si persegue lo scopo di
illustrare i poteri, le preclusioni e le
responsabilità delle parti coinvolte
nella fattispecie in oggetto, ed in
particolare le relazioni tra il beneficiario, l’amministratore designato
ed il giudice tutelare.
Il testo si chiude, infine, con la
descrizione della disciplina processuale dell’amministrazione di sostegno, nel tentativo di armonizzare le
nuove disposizione con la precedente
disciplina, individuando le norme
modificate, abrogate, e quelle antecedenti applicabili in via analogica.
Si illustrano, dunque, accanto alla
disciplina del procedimento di apertura nei diversi gradi di giudizio
(dalla proposizione del ricorso
introduttivo fino al ricorso in Cassazione), anche le regole dei procedimenti contrari di revoca e di modifica del decreto di apertura, nonché le
regole per l’impugnazione dei decreti
sull’amministrazione di sostegno.
Il testo è, inoltre, corredato da
numerose indicazioni di ordine
pratico per la presentazione del
ricorso, tra i quali la redazione di
un modello esemplificativo di ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno, che vede protagonista della richiesta lo stesso interessato, alla luce dell’art. 404 c.c., che
prevede la possibilità che sia lo
stesso soggetto che ha bisogno
dell’intervento o dell’assistenza a
compiere la designazione del suo
amministratore, redigendo in prima
persona il ricorso.
In conclusione, il testo di
Salvatore Patti è un testo completo
e di grande utilità, che non nasconde i pregi e i difetti della legge 9
gennaio 2004, n. 6, e che, nel corso
di tutta la trattazione, pone attenzione allo spirito innovatore della
legge, per il quale occorre in materia una particolare sensibilità, non
verso la tutela del patrimonio della
persona in difficoltà, ma per la
persona stessa.
Per questo, l’autore, con
attenzione all’attuale quadro normativo novellato, sottolinea la
necessità di una rivisitazione e
diversa chiave di lettura degli istituti giuridici dell’inabilitazione ed
interdizione, e spera che la finalità
della legge n. 6 del 2004 non sia
stravolta nelle sue applicazioni
pratiche.