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Il giusto presagio di Francesco Loiacono La bottiglia era al centro del tavolo e Oliviero ne era intimorito. Era vetro, dopotutto. Ma quell’etichetta color panna appiccicata sopra con quelle scritte argentate gli faceva pensare a un abito nuziale. Ne avrebbe mai visto sfilare uno verso di lui? Forse, un giorno. E se quel giorno fosse stato più vicino di quanto pensasse? E se fosse dipeso proprio da quella bottiglia? Gliene aveva parlato, a Mariela, di quel vino rarissimo, regalo inaspettato di un vecchio conte per il quale aveva lavorato molto tempo prima. Mariela, la sua collega al call-center di cui si era perdutamente innamorato. Oliviero l’aveva invitata a cena, con la scusa del vino, e lei aveva accettato. Malombré era il nome di quel vino ricevuto in dono, che illuminato dal sole lanciava lampi rossi sui pochi metri quadrati del soggiorno-cucina di una periferia metropolitana qualsiasi. Nome francese, senza dubbio, anche se Oliviero non conosceva la lingua, non era esperto di vino e, in generale, sapeva ben poche cose. Di una cosa, però, era certo: ogni buon vino andava abbinato a un cibo che ne esaltasse il sapore. Lo dicevano tutti, in tv. Il suo piano era semplice: girare per i ristoranti in cui aveva lavorato, e chiedere una mano agli amici. Lavapiatti, ma anche maître e chef. A questi ultimi avrebbe chiesto consiglio. Sicuro di riuscire a farsi regalare, dagli addetti alla dispensa, tutto il necessario per sfornare un piatto gustoso. Annotò bene tutte le informazioni riportate sull’etichetta e uscì, alla volta del centro. Prima meta: ristorante Ristrutturazioni Alimentari, pieno centro storico. Vi arrivò in fretta, sulla sua bici scalcagnata. Trovò la porta sprangata con un cartello “Cedesi attività” appeso. Non si perse d’animo, inforcò nuovamente la bici e volò verso “Il giusto presagio”, ristorante pluristellato dove serviva il suo amico Juri. Fu accolto con cordialità e introdotto subito al cospetto dello chef Arturo Toscanetti. Dopo i saluti di rito, e saputa la ragione della sua venuta, l’espressione di chef Arturo mutò improvvisamente, caricandosi di mistero: “Possiedi uno dei vini più maudit dell’intera storia enologica, mon cher”, disse chef Arturo. “In tanti hanno perso la vita, nel raccogliere le uve nere da cui è fatto. Vitigni aerei, che si arrampicano sino a tre metri sul suolo, attorno a paletti di ferro arrugginito che danno al vino quel sapore acre, che sa quasi di sangue!”, disse sgranando gli occhi. Oliviero, che non aveva molto tempo, chiese quale cibo potesse abbinare al Malombré. La risposta lo spiazzò: “Mais le courbé, naturalmente… Il corvo!”, ripetè chef Arturo quasi seccato. “Colore e sapore delle carni corvine perpetuano, esaltandolo, il gusto acre del Malombré. Fidati, mon cher, chi lo assaggerà proverà un orgasmo palatale che si diffonderà al resto del corpo in pochissimi attimi”. Sedotto soprattutto dalle ultime parole di chef Arturo, Oliviero lo ringraziò e passò dalla dispensa. Scoprì che il corvo era l’ingrediente principe del menu del ristorante. L’addetto glielo passò volentieri, quasi felice di privarsi di uno di quei tetri volatili appesi a testa in giù. Tornò a casa volando. La preparazione della ricetta richiedeva un paio d’ore e Mariela sarebbe potuta arrivare da un momento all’altro. Riuscì a non perdere la testa. Cucinò e preparò la tavola quasi in contemporanea. Tutto era pronto. Il vino lanciava lampi corvini al mutare delle fiamme delle candele, sistemate sul tavolo e in tutto il soggiorno. Il corvo troneggiava torvo accanto alla bottiglia, con la testa mozzata a guarnire il piatto, come suggerito dallo chef. Oliviero era troppo preso per accorgersi di quanto la scena fosse inquietante. Suonò il campanello. Era Mariela. Non fece nemmeno in tempo a entrare in casa, le bastò lanciare un’occhiata dalla soglia verso l’interno, dove corvo, vino e candele la salutavano luciferini dal tavolo. Svenne lì, tra le braccia di Oliviero, che disperato la portò di peso in casa, proprio come una novella sposa. 1/1