Dopo la parabola degli invitati a nozze che hanno rifiutato l`invito per
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Dopo la parabola degli invitati a nozze che hanno rifiutato l`invito per
LECTIO DIVINA Dopo la parabola degli invitati a nozze che hanno rifiutato l’invito per interesse, l’élite religiosa che è al potere in Israele, non mostra nessun segno di pentimento o conversione. Al contrario, inizia una serie di attacchi contro Gesù che sarà effettuata da gruppi opposti tra di loro: dai farisei, dagli erodiani, dai sadducei e dal un dottore della legge. Vogliono ormai trovare una contraddizione in Gesù, nel suo messaggio, in modo da fargli perdere il grande credito e fascino che ha sulla folla. Iniziano, allora, una serie di trappole ben congegnate che però Gesù smantellerà. Nel testo di oggi incontriamo una strana alleanza tra "farisei" ed "erodiani". I primi ritenevano un’empietà appoggiare l’occupazione romana, i secondi, al contrario, erano sostenitori di Erode Antipa, un fantoccio senza personalità del tutto succube dell’imperatore romano. Perché li troviamo alleati contro Gesù? Perché egli infastidiva entrambi: era leale e rifiutava ogni forma di compromesso e ipocrisia. La trappola che insieme tendono a Gesù è ben studiata: siamo nel tempio di Gerusalemme e chiedono a Gesù se è lecito, cioè secondo la legge, pagare il tributo a Cesare. Cesare è il termine che indica l’imperatore, in questo caso era Tiberio. In qualunque modo Gesù avesse risposto, si sarebbe tagliato le gambe: se è favorevole a pagare il tributo a Cesare va contro la legge ebraica, nella quale bisognava riconoscere Dio come unico Signore, se è contrario può essere accusato dagli erodiani – il braccio armato – di essere un sovversivo. L’imperatore di Roma esigeva da ogni suo suddito al compimento dei quattordici anni, se uomo, i dodici, se donna e fino a sessantacinque anni, il versamento all’erario imperiale di un denaro annuo. Era il tributum capitis o testatico per il quale si facevano gli odiosi censimenti che provocavano spesso rivolte popolari. Le tasse sono sempre pagate ovunque di malavoglia, ma, a rendere odioso il tributo si aggiungeva, in Palestina, un motivo di ordine religioso: il denaro richiesto aveva su un lato la raffigurazione dell’imperatore di Roma e l’iscrizione: “Tiberio Cesare, figlio del divino Augusto” e sul retro il titolo “Sommo Pontefice” con l’immagine di una donna seduta, simbolo della pace, forse Livia, la madre di Tiberio. Nel 1960 è stata rinvenuta, sul monte Carmelo, una trentina di queste monete. È nota la ripugnanza degli israeliti per le immagini umane, proibite dalla loro legge. Usare il denaro di Tiberio significava dare il proprio assenso a una forma di idolatria. Gesù si rende conto dell’insidia che gli hanno teso, ma non elude la domanda; com’è solito fare, conduce abilmente i suoi interlocutori alla radice del problema. Vuole anzitutto che gli mostrino la moneta ed essi, ingenuamente, allungano le mani sotto la tunica dove erano soliti nascondere il denaro (gli abiti in quel tempo non avevano tasche) e gliela presentano. Non si accorgono che Gesù li sta giocando: anzitutto, se chiede la moneta, significa che egli non la possiede, e se essi la tirano fuori, vuol dire che la utilizzano senza problemi, la ricevono per le loro prestazioni e con essa acquistano i vari prodotti al mercato. Ma c’è di più: la disputa avviene nel recinto del tempio, quindi nel luogo santo, ed essi non si preoccupano di profanarlo mostrando quell’immagine "impura". I Farisei proibiscono agli altri di avere quel denaro, ma loro, non hanno nessuno scrupolo a tenerselo in tasca. Questa è l'ipocrisia del falso credente! L’evangelista, in realtà, sta dicendo che, mostrando il denaro, mostrano qual è il loro vero Dio. Il vero Dio dei farisei non è il Padre di Gesù, bensì è mammona, l’interesse. A loro non interessa il Dio del tempio, hanno già in tasca il loro dio! La convenienza, l’interesse è quello che determina il loro agire. Dopo avere osservato la moneta, Gesù chiede: “Di chi è quest’immagine?”. “Di Cesare”, rispondono. “Allora – conclude – date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”. Loro hanno chiesto se devono pagare, ma Gesù non dice di pagare, dice di rendere (ἀποδίδωμι) cioè di restituire a Cesare quello che è di Cesare, disconoscendone, così, la signoria. Ma per disconoscerlo bisogna che gli ridiano ciò che è suo perché, se tengono le sue monete, significa che in qualche maniera sono complici di questa oppressione. Naturalmente, le autorità del tempio, se ne guarderanno bene dal ridare le monete. Poi Gesù invita "a dare a Dio quello che è di Dio”. Perché questa espressione? Perché i farisei hanno usurpato e deturpato il volto e l’immagine di Dio con le loro tradizioni. Come Gesù ha già annunciato, hanno annullato il comandamento di Dio per far posto alle loro tradizioni e, in alcuni casi, alle loro invenzioni fatte passare per "volontà di Dio". Quindi Gesù dice: “Disconoscete la signoria di Cesare, però restituitegli il denaro, e restituite a Dio il popolo di cui voi vi siete impadroniti, vi siete impossessati opprimendolo con le vostre tradizioni. Rivolto ai presenti dice dunque: “Restituite a Cesare ciò che appartiene a Cesare e restituite a Dio ciò che è di Dio”. Essi non solo stanno trattenendo del denaro che va reso all’imperatore, ma si sono anche impossessati, in modo illegale e ingiusto, di una proprietà di Dio e devono ridargliela subito perché egli la esige, è sua. Che cosa? Già Tertulliano nel 200 d.C. aveva intuito che era l’uomo che andava riconsegnato a Dio. Creandolo, infatti, aveva detto: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” (Gn 1,26-27). Se la moneta doveva essere “restituita” a Cesare, perché su di essa c’era impresso il volto del suo padrone, l’uomo andava “restituito” a Dio. L’uomo è l’unica creatura su cui è impresso il volto di Dio, è sacra e nessuno se ne può appropriare. Chi la fa sua (la schiavizza, la opprime, la sfrutta, la domina, la usa come oggetto...) deve immediatamente riconsegnarla al suo Signore. Il versetto finale che non c’è nella parte liturgica ma è importante. “A queste parole rimasero meravigliati e lo lasciarono”, esattamente come il diavolo dopo le tentazioni. I farisei, i più vicini a Dio, l’evangelista li denuncia come strumenti del diavolo perché Dio è amore generoso che si offre agli uomini ponendoli sempre al posto d'onore. di P. Umberto