l`osservatore romano
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLVI n. 78 (47.213) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano mercoledì 6 aprile 2016 . Oltre sessanta morti in una serie di attentati Aumenta la spesa militare globale Iraq nel mirino dell’Is Armi senza confini Mentre le truppe di Baghdad avanzano verso Mosul BAGHDAD, 5. Non si placa in Iraq la strategia del terrore dei jihadisti del cosiddetto Stato islamico (Is). A fronte dei successi militari che l’esercito di Baghdad sta riportando nella provincia di Al Anbar e nella regione di Mosul, roccaforti dell’Is, gli uomini di Al Baghdadi hanno lanciato ieri una serie di attentati suicidi contro militari e civili. Stando agli ultimi bilanci, 63 persone hanno perso la vita e 83 sono state ferite. Esattamente come in Siria, dove le forze di Assad guadagnano terreno: l’unica forma di resistenza per i miliziani diventano gli attacchi suicidi, isolati e contro la popolazione civile. Nel peggiore degli attentati — tutti sono stati rivendicati dall’Is — sono morti almeno 26 militari. Un’autobomba è esplosa nella città di Al Baghdadi, nella zona occidentale della provincia di Al Anbar e vicino alla base aerea di Ain Al Asad. Nella provincia di Salahuddin, a nord di Baghdad, almeno sei soldati governativi sono stati uccisi e altri 18 feriti in altri due attentati. Sono invece tredici gli uomini delle forze della sicurezza morti in un attentato sferrato dai jihadisti a est di Falluja. Terrore anche a Baghdad: tre soldati hanno perso la vita e altri dieci sono stati feriti in seguito a un’esplosione che ha colpito il convoglio del primo ministro iracheno, Haider Al Abadi, mentre attraversava la zona di Meshahda. E sempre a Baghdad, nella zona settentrionale, tre persone sono state uccise e dodici ferite dopo che un attentatore suicida si è fatto saltare in aria a un posto di blocco vicino al ponte di Al Muthana che collega la capitale alle città del nord dell’Iraq come Samarra e Tikrit. Nella città meridionale di Nassiriya, invece, fonti della polizia riferiscono che almeno cinque civili sono morti in seguito all’esplosione di una bomba in un ristorante della città di Tel Al Laham. Ventitré le persone ferite. Nel centro di Bassora, poi, un’esplosione ha ucciso cinque civili e ne ha ferito altri undici. A deflagrare è stata un’auto parcheggiata in prossimità di un incrocio. Infine due civili sono stati uccisi e sette feriti dopo che due colpi di mortaio han- Iracheni in fuga dai combattimenti tra l’esercito e l’Is a ovest di Baghdad (Ap) no colpito la zona residenziale del quartiere di Al Nassar nella cittadina di Abu Ghraib a ovest di Baghdad. L’ultimo grave attacco firmato Is in Iraq era stato registrato alla fine di marzo. Una bomba esplosa durante una partita di calcio a Iskanderiyah, a cinquanta chilometri da Baghdad, aveva ucciso oltre quaranta persone. Come detto, questi attacchi avvengono mentre l’esercito di Baghdad avanza verso Mosul, supportato dal Pentagono. Di recente il segretario di Stato americano, John Kerry, ha confermato l’intenzione della Casa Bianca di aumentare gli sforzi per la liberazione di Mosul e di alcune aree in cui la sopravvivenza di alcune minoranze è particolarmente a rischio. E intanto, mentre in Iraq si registra una nuova fiammata del terrorismo, in Siria proseguono i raid della coalizione internazionale a guida statunitense e quelli russi nelle aree del Paese sotto il controllo dell’Is. Ma chiede che prima cessino le aggressioni palestinesi y(7HA3J1*QSSKKM( +.!z!&!"!]! Netanyahu pronto a negoziati diretti con Abbas TEL AVIV, 5. Israele è pronto ad avviare negoziati diretti con i palestinesi. Il premier Benjamin Netanyahu ha rivolto ieri un invito pubblico al presidente palestinese Mahmoud Abbas per incontrarsi a Gerusalemme il prima possibile e affrontare tutti i principali nodi del contenzioso. «La settimana scorsa — ha detto il leader del Likud — il presidente Abbas ha detto alla televisione israeliana che se lo invitassi, lui verrebbe. Ecco, lo invito. Sarò qui tutti i giorni. La mia porta resta aperta per chi vuole la pace con Israele». Netanyahu ha aggiunto che sulla sua agenda il primo punto è «la fine della incitazione alla violenza» contro gli israeliani. All’appello di Netanyahu si è unito anche il presidente israeliano, Reuven Rivlin. «Se Abbas è veramente orientato a lavorare per far cessare il terrore e mostra di voler riprendere negoziati diretti dobbiamo trovare un modo» si legge in una nota dell’ufficio di Rivlin. I negoziati tra israeliani e palestinesi sono fermi da almeno due anni. A poco sono valsi gli sforzi dell’Amministrazione statunitense nel cercare di far tornare al tavolo del dialogo le due parti. In un recente viaggio in Giordania, il segretario di Stato americano, John Kerry, aveva ri- badito con forza «l’impegno degli Stati Uniti nel sostenere la soluzione dei due Stati», quella che prevede la costituzione di uno Stato palestinese autonomo e sovrano accanto a uno Stato israeliano, in pace e sicurezza reciproca. Washington è pronta — aveva dichiarato Kerry — «a lavorare con tutte le parti» per la fine del conflitto, ribadendo «l’illegittimità degli insediamenti israeliani» in Cisgiordania. I palestinesi pongono quale condizione imprescindibile per la ripresa delle trattative l’immediato blocco di tutte le attività edilizie israeliane negli insediamenti in Cisgiordania. Per gli israeliani è invece prioritaria la questione della sicurezza: senza un impegno preciso dei palestinesi a deporre le armi e a far cessare gli attacchi, è inutile — dice Israele — dialogare. Dallo scorso settembre c’è stata infatti un’escalation di aggressioni e attacchi palestinesi contro militari e civili israeliani in Cisgiordania. Anche per questo le autorità israeliane hanno annunciato la costruzione di una nuova barriera di separazione: la struttura dovrà isolare Hebron, città epicentro degli scontri delle ultime settimane. La misura è stata illustrata nei giorni scorsi dal ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon. Le truppe di Assad stanno guadagnando terreno nell’area centroorientale, puntando verso Raqqa e Deir Ezzor, le ultime vere roccaforti dell’Is nella regione. Ed è di ieri la notizia che la polizia turca ha arrestato due presunti attentatori suicidi dell’Is nella provincia sudorientale di Gaziantep, al confine con la Siria. Entrambi erano conosciuti dall’intelligence e facevano parte della stessa cellula terroristica. Questo mentre cresce l’attesa per la ripresa dei negoziati a Ginevra tra Governo e opposizione, sotto l’egida delle Nazioni Unite. STO CCOLMA, 5. Cresce la spesa militare globale, un mercato che non conosce mai crisi. Il dato è aumentato dell’un per cento nel 2015 rispetto all’anno prima. Nel complesso, si parla di un giro di affari pari a circa 1700 miliardi di dollari. È quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’International Peace Research (Sipri) di Stoccolma, pubblicato ieri, secondo cui tra le cause dell’incremento delle spese militari c’è soprattutto la guerra in Siria e in Iraq e al rafforzamento internazionale dell’antiterrorismo. La lista dei Paesi con il maggior budget militare vede gli Stati Uniti al primo posto con 596 miliardi di dollari, seguiti dall’India, dalla Cina e dall’Arabia Saudita (87,2 miliardi). Anche se non include dati sul traffico illegale, il rapporto resta in ogni caso un’importante cartina tornasole per tracciare una mappa delle maggiori zone di conflitto e tensioni nel mondo. Le spese militari aumentano soprattutto in Asia e in Oceania, dove si trovano i sei principali Paesi importatori di armi nel periodo 2011-2015. C’è soprattutto l’India, che da sola copre addirittura il 14 per cento del mercato, seguita dalla Cina (4,7 per cento) e dall’Australia (3,6). Le complesse dinamiche geopolitiche che stanno dietro queste cifre sono note: da una parte, c’è la tensione nella penisola coreana, dove Pyongyang ha lanciato nuove minacce nucleari in seguito alle sanzioni internazionali, dall’altra, c’è lo scenario del Mar cinese, con le rivendicazioni incrociate di Pechino e Tokyo. Non è un caso se due anni fa, nel 2014, fu proprio il Giappone ad aumentare il budget militare di un netto due per cento: investimenti per circa 42 miliardi di dollari: un record nella storia recente del Paese asiatico, complice anche la nuova legge sulla sicurezza nazionale. L’altro grande centro del mercato mondiale delle armi è il Medio e Vicino oriente, dove negli ultimi cinque anni volume degli affari è cresciuto addirittura del 61 per cento. È l’Arabia Saudita a fare da padrone, con un aumento degli investimenti pari al 275 per cento. E nello stesso periodo gli Emirati Arabi Uniti hanno conosciuto un’espansione degli investimenti del 35 per cento, seguiti dal Qatar, che ha fatto segnare un più 279 per cento. L’Iraq ha speso 13,1 miliardi di dollari in armamenti nel 2015. Si tratta di Stati a prevalenza sunnita, che godono stretti legami con gli Stati Uniti. Ed è ovvio che, in questo caso, ad alimentare la corsa agli armamenti sia soprattutto il confronto con il mondo sciita, e soprattutto con l’Iran. Una contrapposizione, quella tra sunniti e sciiti, che segna in profondità tutti i principali conflitti della regione: dallo Yemen, dove Riad è direttamente implicata, alla Siria e all’Iraq contro il cosiddetto Stato islamico (Is). Oltre a queste dinamiche dominanti, un altro dato importante che emerge dal rapporto del Sipri riguarda l’Africa. Nel periodo 20112015 le importazioni di armi verso i Paesi africani sono aumentate di circa il venti per cento. Qui è la lotta al terrorismo dilagante in Libia a spiegare il dato. Organizzazioni umanitarie tornano a criticare l’accordo Ue-Turchia dopo l’entrata in vigore Quali diritti per i migranti BRUXELLES, 5. «Questo è il primo giorno di tempi molto duri per i diritti dei rifugiati». Questo il primo commento dell’organizzazione internazionale Amnesty International sull’entrata in vigore del piano UeTurchia per la gestione dell’emergenza immigrazione. Parole chiare, che mettono in risalto il nodo cruciale attorno al quale si continua a discutere in queste ore: la salvaguardia dei diritti dei migranti e il rispetto delle norme internazionali sul diritto di asilo. Proprio questi aspetti non sarebbero adeguatamen- te protetti dall’intesa. E ad Amnesty International si è unita ieri anche Save the Children, che ha denunciato «la mancanza di tutele per i migranti respinti» e ha chiesto ai leader europei «di sospendere il piano e ripensarlo urgentemente». Sotto accusa ci sono anche le condizioni di accoglienza nel centro di detenzione di Moria a Lesbo, dove si trovano più di mille minori. Qui «famiglie e bambini stanno dormendo all’aperto» denuncia l’organizzazione. Un appello in questa direzione è giunto ieri anche dalla Caritas e dalla Comece (Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea). «Sta avvenendo nei fatti quello che non volevamo» ha dichiarato Oliviero Forti, responsabile dell’area immigrazione della Caritas italiana. «Abbiamo criticato l’accordo, adesso si stanno vedendo i primi effetti di un’Europa che vuole solo allontanare i profughi dai propri confini» ha aggiunto. «Il fatto che i rimpatri non riguardino i siriani non diminuisce la gravità di far tornare i migranti in un Paese che non dà nessun tipo di garanzia per il rispetto dei diritti umani». La Caritas «avrà la possibilità diretta di verificare le condizioni in cui queste persone verranno accolte». Sul mensile della Comece, «Europeinfos», in un approfondimento si sottolinea l’inadeguatezza dell’accordo, mettendo in rilievo soprattutto la “voragine” dei diecimila bambini migranti non accompagnati che sono letteralmente scomparsi nel vuoto. «Per i minori — si legge nel testo — si dovrebbero seguire i parametri internazionali della protezione dei bambini». E intanto, dopo l’avvio ieri del piano con il rinvio di 202 migranti in Turchia, nella giornata di oggi non ci saranno nuovi respingimenti. Lo confermano le autorità greche, spiegando che la maggior parte dei profughi attualmente trattenuti nelle isole ha presentato domanda di asilo e che queste dovranno essere valutate individualmente prima di eventuali rinvii. Secondo Atene, tra i migranti respinti non c’era nessun richiedente asilo. E sempre ieri, si sono registrati disordini nel campo di Idomeni, al confine tra Grecia ed ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Da giorni il campo è bloccato per la chiusura delle frontiere. I volti della misericordia PAGINA 5 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Kuwait e Delegato Apostolico nella Penisola Arabica Sua Eccellenza Monsignor Francisco Montecillo Padilla, Arcivescovo titolare di Nebbio, finora Nunzio Apostolico in Tanzania. Migranti nel campo greco di Moria sull’isola di Lesbo (Ap) Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Bar (Montenegro), presentata da Sua Eccellenza Monsignor Zef Gashi, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo di Bar (Montenegro) il Reverendo Sacerdote Rrok Gjonlleshaj, del clero dell’Amministrazione Apostolica di Prizren, finora parroco della parrocchia di Sant’Antonio in Prishtina ed economo dell’Amministrazione Apostolica di Prizren. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 mercoledì 6 aprile 2016 Circa il quaranta per cento delle colture rischia di scomparire a causa di parassiti Raccolti malati Una minaccia soprattutto per le popolazioni più povere ROMA, 5. Il commercio internazionale di prodotti agricoli vale oltre mille miliardi di dollari all’anno e il settore alimentare copre oltre l’ottanta per cento del totale. Un mercato imponente minacciato però da parassiti e malattie: secondo la Fao (l’O rganizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), circa il quaranta per cento dei raccolti nel mondo rischia di scomparire. Una spada di Damocle che incombe soprattutto sulle parti più povere del mondo. Per cercare una soluzione efficace all’emergenza, è riunita da ieri alla Fao la Commissione sulle misure fitosanitarie (l’organo governativo della Convenzione internazionale per la protezione fitosanitaria). L’obiettivo è appunto discutere i metodi più efficaci per prevenire la contaminazione da parte di batteri, virus e piante infestanti, di frutta, verdura e altro cibo commercializzato ogni giorno nel mondo. Questa Commissione vede la partecipazione di analisti ed esperti di malattie vegetali provenienti dai 182 Paesi membri e da numerosi altre organizzazioni internazionali. Il tema scelto quest’anno è «La salute delle piante per la sicurezza alimentare». «Recentemente abbiamo riscontrato un’attenzione maggiore alle malattie delle piante, ma c’è ancora molto da fare rispetto alla consapevolezza su come sostenere o migliorare la salute vegetale» sottolinea il vice direttore generale della Fao, Daniel Gustafson. Compito della Commissione sulle misure fitosanitarie sarà anche quello di rivedere e stabilire gli standard internazionali fitosanitari che determinano come piante e prodotti vegetali debbano essere trattati durante il movimento e il trasporto. L’obiettivo è inoltre quello di minimizzare il rischio che i parassiti delle piante superino i confini e si diffondano in altre regioni, nel contesto sempre più ampio del commercio internazionale. Come i moscerini della frutta che depongono le uova nella buccia delle arance da esportazione o gli scarafaggi nascosti Ingente quantità di munizioni sequestrata a Rotterdam BRUXELLES, 5. Ben 45 chilogrammi di munizioni, tra cui molte pallottole calibro 7.62 usate per i kalashnikov. È quanto la polizia ha ritrovato, riferiscono i media olandesi, nell’appartamento a Rotterdam di Anis B., il francese sospettato di essere il complice di Reda Kriket arrestato ad Argenteuil e pronto a compiere un attentato terroristico in Francia. Anis è stato catturato dalla polizia lo scorso 27 marzo, mentre era ricercato sin da dicembre dalla giustizia francese. È sospettato di essere stato in Siria insieme a Kriket a fine 2014 e inizio 2015. Kriket guidava un’auto intestata ad Anis ed è stato ritrovato il numero di telefono di quest’ultimo in una delle sue carte Sim. Lo stesso Anis, nato a Montreuil, era già noto alla giustizia francese che lo aveva condannato due volte, nel 2006 per furto e nel 2008 per attacco a mano armata. Intanto, a 14 giorni dagli attentati del 22 marzo scorso a Bruxelles, su circa 340 feriti ne rimangono ricoverati 66, di cui 33 di nazionalità belga e altrettanti originari di diciotto Paesi stranieri diversi. Ben 37 le persone ancora in terapia intensiva per traumi multipli e ustioni diffuse: lo ha reso noto un portavoce del servizio sanitario federale, Sven Heyndrickx. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va nel legno dei pallet per le spedizioni e ancora il batterio Xylella Fastidiosa che colpisce gli ulivi. Quest’anno la Commissione, riunita alla Fao fino all’8 aprile, dovrà anche occuparsi dei crescenti rischi associati ai container marittimi e valutare la necessità di sviluppare standard anche per affrontare tali rischi. I partecipanti discuteranno poi dello sviluppo della certificazione fitosanitaria elettronica, utile per velocizzare le pratiche dei controlli. La creazione di un unico hub online è stata approvata dalla Commissione lo scorso anno per facilitare lo scambio di milioni di dati. L’Assemblea generale dell’Onu ha proclamato quest’anno l’inizio di un decennio di azione a favore della nutrizione. Si tratta di «uno scatto in avanti nel dare vigore alla lotta contro la fame nel mondo e a favore di una migliore alimentazione» hanno reso noto i vertici della Fao. A oggi circa 800 milioni di persone nel mondo rimangono cronicamente denutrite e oltre due miliardi soffrono di gravi carenze alimentari. Una foglia di ulivo colpita da Xylella Fastidiosa Dopo la pubblicazione dei Panama Papers Governi avviano indagini sui conti offshore WASHINGTON, 5. I Governi di diversi Paesi hanno avviato indagini in merito a possibili violazioni finanziarie dopo la pubblicazione dei cosiddetti Panama Papers, i file diffusi da un consorzio di giornalisti investigativi e da Wikileaks. Questi documenti hanno svelato una vasta rete di società offshore dove politici, capi di Stato e di Governo, imprenditori, attori, sportivi, faccendieri e criminali avrebbero dirottato il proprio denaro. Si riunisce il Gruppo di Minsk dell’O sce Kerry e Lavrov sollecitano una tregua nel Nagorno Karabakh MOSCA, 5. Il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, e il segretario di Stato americano, John Kerry, «hanno condannato i tentativi di alcuni attori esterni di aumentare le tensioni» nel Nagorno Karabakh: lo ha reso noto ieri sera il ministero degli Esteri di Mosca riferendo di un colloquio tra i due. Lavrov e Kerry hanno inoltre espresso «seria preoccupazione» per il riaccendersi del conflitto e «hanno confermato l’invito a porre fine immediatamente alle azioni belliche». La situazione nel Nagorno Karabakh «suscita seria preoccupazione al Cremlino», ha inoltre dichiarato il portavoce Dmitri Peskov, citato dall’agenzia Itar-Tass, spiegando allo stesso tempo che al momento però non vi è in programma di organizzare un incontro tra il presidente armeno, Serzh Sargsyan, e quello azero, Ilham Aliyev, come fu fatto nel 2014 durante la precedente escalation del conflitto. I co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) per il Nagorno Karabakh si incontreranno oggi a Vienna per discutere dell’escalation del conflitto nel Caucaso: lo riferisce il co-presidente statunitense James Warlick. Gli altri due co-presidente del Gruppo di Minsk per il Nagorno Karabakh sono il russo Igor Po- pov e il francese Pierre Andrieu. Alla riunione, secondo l’agenzia Iatr-Tass, parteciperà anche un rappresentante della Germania, che ha la presidenza dell’Osce nel 2016. Almeno 20 persone sono morte, 72 sono rimaste ferite e 26 risultano disperse da quando, tra venerdì e sabato scorso, sono ripresi i combattimenti tra forze azere e armene lungo la linea di contatto appunto nella regione contesa del Nagorno Karabakh. Il bilancio è stato fornito dal capo delle operazioni dell’Esercito del ministero della Difesa armeno, Il segretario della Nato alla Casa Bianca Soldati armeni lungo la linea del fronte con l’Azerbaigian (Afp) Sterlina sotto pressione a causa del rischio Brexit LONDRA, 5. Sterlina sotto pressione a causa del rischio Brexit. Lo scrive il quotidiano «The Financial Times», rilanciando l’allarme della City per le incognite legate al referendum del 23 giugno e all’ipotetica uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Il giornale nota che il costo delle garanzie per assicurarsi dal rischio di una caduta della sterlina continua ad aumentare, mentre il pericolo Brexit viene ormai considerato il principale fattore d’instabilità dei mercati dagli analisti di Londra. A GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Gaetano Vallini Ripresi i colloqui tra Grecia e troika confermarlo — fa eco un’altra testata, «The Times» — è il significativo rallentamento degli investimenti nella Gran Bretagna, registrato fin d’ora da un rapporto della società di consulenza Deloitte. Il fenomeno, stando a questo documento, dipende direttamente dalle «paure» delle aziende di un potenziale terremoto causato dal risultato del referendum: terremoto che potrebbe tradursi in un’ulteriore contrazione della crescita dell’economia britannica e in un aumento dei tassi d’interesse. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore segretario di redazione colonnello Viktor Arstamian, secondo cui tra le vittime si contano anche un bambino e tre civili. Il ministro della Difesa di Baku ha fornito un bilancio più ridimensionato, dando conto oggi della morte di 16 militari nei combattimenti degli ultimi due giorni. Anche se detenere denaro in società offshore non è illegale di per sé, i giornalisti che hanno ricevuto i documenti affermano di poter fornire le prove che in molti casi si configura il reato di evasione fiscale, quando non si tratta dei proventi di attività illegali quali il riciclaggio e persino lo spaccio di droga. Lo studio cui i documenti sono stati sottratti, Mossack Fonseca, ha affermato di aver creato più di 240.000 società offshore per clienti di tutto il mondo, ma ha negato qualsiasi condotta fraudolenta e si è detta vittima di una campagna contro la privacy. L’inchiesta, portata avanti da 37 giornalisti che hanno studiato oltre undici milioni di file, ha coinvolto finora almeno 140 personaggi famosi o persone a loro vicine. Sono dodici i capi di Stato e di Governo il cui nome compare nelle carte. Ci sarebbero inoltre 33 persone e società incluse nella “black list” statunitense per legami con attività terroristiche. Ovviamente, dopo la pubblicazione dei Papers c’è stata una cascata di reazioni. Il Cremlino ha dichiarato che i documenti non contengono nulla di concreto né di nuovo. «Conosciamo bene questa cosiddetta comunità giornalistica» ha detto il portavoce russo, Dmitri Peskov. «Sono ex funzionari del Dipartimento di Stato americano, della Cia e di altri servizi speciali». Stessa reazione da Pechino, dove la stampa ufficiale parla di «obiettivi politici». Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va ATENE, 5. Il Governo della Grecia ha ripreso a trattare con i suoi creditori, dopo che due giorni fa il direttore generale del Fondo monetario internazionale (Fmi), Christine Lagarde, aveva scritto al premier ellenico, Alexis Tsipras sostenendo che «siamo ancora lontani» nei negoziati sul debito di Atene. La stessa Lagarde aveva definito senza senso le voci, diffuse da Wikileaks, secondo le quali lo stesso Fondo sarebbe stato pronto a dichiarare il default della Grecia per costringere le parti a trovare un accordo. In- Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale tanto, in un colloquio telefonico tra Tsipras e Joe Biden, il vice presidente degli Stati Uniti ha affermato come sia importante che la Grecia, l’Fmi e le istituzioni europee lavorino in modo «costruttivo per chiudere la prima revisione del programma di riforme economiche di Atene in modo tempestivo». Lo riporta una nota della Casa Bianca, sottolineando che Biden ha messo in evidenza la necessità per l’Europa di far seguito al proprio impegno di ristrutturare il debito della Grecia. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 WASHINGTON, 5. La stato della lotta al cosiddetto Stato islamico (Is), ma anche i potenziali sviluppi in Libia, così come la crisi dei migranti in Europa e l’Ucraina. Questi i temi al centro del colloquio ieri sera alla Casa Bianca tra il presidente statunitense, Barack Obama, e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Obama ha sottolineato la centralità dell’Alleanza atlantica che ha definito una «pietra miliare per la difesa di Stati Uniti ed Europa» e ha messo in evidenza come i recenti attacchi terroristici a Bruxelles riaffermino l’impegno dell’Amministrazione di Washington e della Nato nel «rimanere concentrati sull’Is» e sulla sicurezza dell’Europa e del mondo, parlando inoltre del potenziale ruolo in Libia. La crisi dei migranti è stato poi argomento centrale, con Obama che ha rimarcato come la Nato sia impegnata insieme con l’Unione europea per «prevenire le stesse tragedie viste la scorsa estate». Quindi per quanto riguarda il conflitto in Ucraina, i due leader hanno ribadito l’impegno a risolvere la situazione nella convinzione che in questo senso sia importante mantenere il dialogo con la Russia. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 6 aprile 2016 pagina 3 Un’immagine del disastro petrolifero del 2010 nel Golfo del Messico (Epa) WASHINGTON, 5. Si conclude con un risarcimento record di 20 miliardi di dollari a carico del colosso petrolifero Bp la vicenda della “marea nera”, ovvero l’incidente su una piattaforma nel Golfo del Messico (marzo del 2010) che, esplodendo, provocò la morte di undici operai e l’inquinamento delle coste di cinque Stati americani. L’esplosione sulla piattaforma Deepwater Horizon causò il più grave disastro ambientale nella storia degli Stati Uniti, avendo superato di oltre dieci volte per entità — indicano gli esperti — quello della petroliera Exxon Valdez, nel 1989. Dopo avere stabilito in precedenza che la società petrolifera era stata «grossolanamente negligente», il giudice federale, Carl Barbier, ha approvato ieri — in via definitiva — un accordo risarcitorio, il più grande del genere. La decisione mette la parola fine a sei anni di controversie legali tra l’Amministrazione statunitense e la Bp. La causa intentata contro il colosso petrolifero è stata definita «il processo ambientalista del secolo». Il giudice federale ha sentenziato che il pagamento verrà dilazionato nel corso di sedici anni e coprirà i danni provocati dagli oltre cinque milioni di ettolitri di greggio spersi Wisconsin banco di prova per repubblicani e democratici Per i danni causati dalla marea nera del 2010 nel Golfo del Messico Bp dovrà risarcire 20 miliardi di dollari nel mare di cinque Stati che si affacciano sul Golfo del Messico (Alabama, Florida, Louisiana, Mississippi e Texas). Lo sversamento ebbe inizio il 20 aprile di sei anni e si concluse ben 106 giorni dopo, il 4 agosto del 2010. Per mesi enormi chiazze di petrolio hanno galleggiato in superficie, mentre la frazione più pesante del greggio ha formato ammassi chilometrici sul fondale marino. Tra i punti dell’accordo finale, è previsto, inoltre, che la compagnia Elezioni regionali indiane Prima donna governatrice nel Kashmir SRINAGAR, 5. Mehbooba Mufti, leader del Partito popolare democratico (Pdp), ha prestato giuramento ieri, diventando la prima donna governatrice del Jammu e Kashmir, l’unico Stato indiano a maggioranza musulmana. Mufti è subentrata al padre, Mufti Mohammed Sayeed, governatore dello Stato fino alla sua morte, lo scorso gennaio. Prima di prestare giuramento — come riporta la stampa locale — Mehbooba Mufti ha formato una coalizione di Governo con l’ala più a destra degli hindu nazionalisti del Bharatiya Janata Party (Bjp), legati al primo ministro Narendra Modi. Il Partito popolare democratico dispone di 28 seggi e il Bharatiya Janata 25. La leader del Pdp (filo-indiano) ha dovuto aspettare tre mesi dopo la morte del padre prima di potere prendere il suo posto. Ciò ha ritardato la formazione del Governo, perché Mufti ha voluto che il leader del Bjp locale accogliesse le sue richieste. Nelle ultime elezioni nello Stato, nel dicembre del 2014, nessun partito ha ottenuto la maggioranza assoluta nell’Assemblea del Jammu e Kashmir, composta da 70 rappresentanti. Via twitter, il premier Modi si è felicitato con la nuova governatrice. della regione del Golfo del Messico», aveva dichiarato in quell’occasione il segretario alla Giustizia, Loretta Lynch. Gli esperti hanno accertato che, al momento del grave incidente, la Deepwater Horizon stava cercando il greggio alla maggiore profondità mai raggiunta: a 1.259 metri dal fondo del mare spingendosi per altri 1.500 metri nelle rocce, oltre il limite per cui era stata costruita. Il Nobel Suu Kyi rinuncia alla guida di due ministeri Bomba nell’Assam NEW DELHI, 5. Almeno una persona è stata uccisa e altre venti sono state ferite ieri nell’esplosione di una bomba nello Stato nord orientale indiano dell’Assam, dove si è votato per il rinnovo dell’Assemblea legislativa regionale. Lo riferisce l’emittente televisiva Times Now. L’attentato dinamitardo ha avuto luogo a Dudhnoi, nel distretto di Goalpara, ed è stato causato da un ordigno esplosivo rudimentale scoppiato vicino a un commissariato di polizia e alla sede del partito nazionalista indù del Bharatiya Janata Party (Bjp). La vittima, secondo le prime informazioni raccolte sul posto, sarebbe un agente delle forze di sicurezza. Alcuni dei feriti sono stati trasportati in ospedale in gravi condizioni. Per impedire ulteriori atti di petrolifera versi 5,5 miliardi di dollari di sanzioni all’Amministrazione statunitense. Bp, che gestiva la piattaforma e che ha già raggiunto un accordo anche per risarcire imprenditori e residenti, stima che i costi complessivi che dovrà sostenere in seguito al disastro supereranno i 53 miliardi di dollari. L’accordo per il risarcimento era stato annunciato nel luglio scorso. «Bp sta ricevendo la punizione che merita per i danni causati all’ambiente e all’economia violenza, in tutto lo Stato nordorientale le autorità hanno rafforzato la sicurezza. L’attacco è coinciso con la prima fase elettorale in Assam, il piccolo Stato famoso per le piantagioni di tè, e nel confinante West Bengala, dove sorge la metropoli di Calcutta. Fino al 16 maggio prossimo, circa 170 milioni di elettori saranno chiamati alle urne in Assam, West Bengala, Kerala e nell’ex colonia francese di Pondicherry per il rinnovo degli organi legislativi locali. In Assam — dove si è votato in 65 dei 126 collegi elettorali — si è recato ai seggi oltre il 78 per cento degli aventi diritto. Nel West Bengala, 18 su 294 collegi elettorali sono andati alle urne nella prima fase del voto. La seconda si terrà l’11 aprile Le elezioni — indicano gli analisti politici — sono considerate un importante banco di prova per il Bjp, il partito del primo ministro indiano, Narendra Modi, salito al potere due anni fa, e per la tenuta del partito del Congresso I, all’opposizione, di Sonia Gandhi e del figlio Rahul. Secondo gli osservatori, un’eventuale affermazione nell’Assam potrebbe aprire ai nazionalisti una porta di accesso al nord-est del Paese asiatico, dove il Bjp è politicamente abbastanza debole. NAYPYIDAW, 5. Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace, ha deciso di rinunciare a due dei quattro ministeri che le erano stati assegnati nel nuovo Governo del Myanmar, entrato in carica la scorsa settimana. Lo riporta il sito di informazione Irrawaddy. Il premio Nobel, per anni all’opposizione, ha deciso di rinunciare all’incarico di ministro dell’Istruzione e dell’Energia. Rimarrà invece a capo del dicastero degli Esteri e dell’Ufficio del presidente, una sorta di capo di gabinetto del nuovo capo dello Stato, Htin Kyaw, uno dei suoi più stretti collaboratori. La decisione è stata resa pubblica oggi in Parlamento, dove la lista dei nomi dei ministri presentata ieri conteneva altri due funzionari per i dicasteri che inizialmente erano stati attribuiti a Suu Kyi. La Lega nazionale per la democrazia (Nld), di Suu Kyi, che controlla una solida maggioranza parlamentare dopo le elezioni dello scorso novembre, le prima democratiche dopo trent’anni, ha anche proposto di elevare il premio Nobel per la Pace a consigliere di Stato, una mossa che è stata aspramente criticata dall’esercito e dal principale partito a esso collegato. La Deepwater Horizon era una piattaforma petrolifera dal valore di circa 560 milioni di dollari, di proprietà dell’azienda svizzera Transocean, la più grande compagnia del mondo nel settore delle perforazioni off-shore; affittata alla multinazionale British Petroleum per 496.000 dollari al giorno. Grande come due campi di calcio, si trovava a circa ottanta chilometri dalla Louisiana, ed estraeva circa 9.000 barili di petrolio al giorno. Nei pressi di un istituto liceale Attentato suicida in Afghanistan WASHINGTON, 5. Le primarie in Wisconsin, Stato del Midwest nella regione dei Grandi Laghi, potrebbero ridisegnare la corsa alla nomination repubblicana, sul piano matematico ma soprattutto psicologico. E prolungare il duello in casa democratica. I fari sono puntati su Donald Trump, reduce da una settimana difficile, segnata da gaffe e polemiche, con un calo nei sondaggi. «Il Wisconsin sarà una grande sorpresa» ha dichiarato il magnate newyorkese, confidando nella possibilità di superare l’impasse. I sondaggi locali danno comunque in testa il senatore ultraconservatore Ted Cruz, sul quale ormai si stanno concentrando le preferenze della leadership del Grand Old Party. In ogni caso, i delegati in palio sono solo 42, assegnati con metodo maggioritario (una parte collegio per collegio, una parte sul totale statale): numeri che non consentirebbero a Cruz di effettuare l’eventuale sorpasso. I democratici mettono in palio 86 delegati con metodo proporzionale: i sondaggi danno Bernie Sanders avanti di poco rispetto a Clinton. Dopo aver strappato due Stati vicini (Michigan e Minnesota), il senatore del Vermont la scorsa settimana si è aggiudicato i caucus nello Stato di Washington, alle Hawaii e in Alaska. Va detto che il Wisconsin è un banco di prova particolare: popolato in gran parte da bianchi, working e middle class messi in difficoltà dalla crisi, è uno Stato dove la sinistra e la destra radicali hanno molti seguaci. Governo brasiliano contro l’impeachment Miliziani talebani nella provincia di Nangarhar (Afp) KABUL, 5. È di almeno sei morti e 22 feriti il bilancio di un attentato suicida sferrato oggi con un’autobomba vicino a un istituto liceale nel distretto di Seya Gerd a Parwan, nell’Afghanistan settentrionale. Tra le vittime ci sono anche studenti, donne e bambini. Sono state oltre 700 le scuole chiuse in Afghanistan lo scorso anno per questioni legate alla sicurezza e alla minaccia terroristica. Oltre cento sono gli attacchi contro il settore dell’istruzio- ne nel Paese nel 2015, secondo la Missione Onu di assistenza all’Afghanistan. E in un’altra imboscata degli insorti talebani ieri a Jawzjan, sempre nel nord del Paese, sono stati uccisi sei poliziotti. Infine, un comandante del cosiddetto Stato islamico (Is) è morto oggi insieme ad altri cinque militanti a seguito del raid di un drone statunitense nella provincia orientale afghana di Nangarhar. BRASILIA, 5. L’avvocato generale dello Stato brasiliano, José Eduardo Cardozo, ha chiesto ieri l’archiviazione della procedura di impeachment contro la presidente Dilma Rousseff alla commissione speciale della Camera dei deputati di Brasilia, che dovrà decidere entro l’11 aprile se dare o meno continuità al procedimento. Cardozo ha dichiarato che la messa in stato di accusa di Dilma sarebbe un «errore storico imperdonabile», poiché non sussiste alcun crimine di responsabilità, atto illecito o doloso attribuibile al presidente, affermando inoltre che l’impeachment «senza base nella Costituzione è golpe». E ieri — come riferiscono fonti della stampa locale — la polizia ha effettuato nuovi arresti in relazione all’inchiesta sullo scandalo di tangenti legato all’azienda Petrobras. L’Ue conferma il sostegno al premier libico Al Sarraj Operazione contro Boko Haram Riapre l’ambasciata tunisina a Tripoli Liberati centinaia di ostaggi TRIPOLI, 5. Il ministero degli Esteri tunisino ha annunciato la riapertura della propria ambasciata e del consolato a Tripoli a dimostrazione del sostegno al Governo di unità nazionale del premier Fayez Al Sarraj, recentemente insediatosi nella capitale libica. Tunisi aveva chiuso la missione diplomatica nella confinante Libia nel luglio del 2014 quando la coalizione di milizie islamiste Fajr Libia aveva preso il controllo di Tripoli, rendendo di fatto la situazione della sicurezza molto precaria nella regione. E anche l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini, ha telefonato ieri al premier Al Sarraj, riconfermando «il pieno impegno europeo per sostenere la transizione sulla base delle priorità definite dal Governo di unità nazionale libico». Sostenitori del Governo di unità nazionale libico a Tripoli (Reuters) ABUJA, 5. Un altro duro colpo ai terroristi di Boko Haram. Sono state liberate ieri in Nigeria 275 persone che erano state prese in ostaggio dal gruppo. La liberazione è avvenuta in seguito a un blitz effettuato da forze di sicurezza ed esercito. Tra le persone liberate, una anche una donna che ha dato alla luce un bambino subito dopo essere stata messa in salvo dall’esercito; secondo quanto riferisce il colonnello Sani Usman, che ha condotto l’operazione, mamma e bambino sono ora in buone condizioni di salute. Nell’operazione, che ha inoltre permesso la liberazione di molti villaggi del nord est del Paese, i militari hanno ingaggiato pesanti scontri con i terroristi. Almeno quindici membri di Boko Haram sono stati uccisi. È stata poi scoperta e distrutta dalle forze di sicurezza anche una fabbrica di armi. L’orga- nizzazione jihadista, nata formalmente nel 2002 allo scopo di imporre la legge islamica in Nigeria, ha condotto in questi anni feroci attacchi nel nord del Paese, provocando la morte di migliaia di persone. Dal 2009, a seguito della repressione dell’esercito locale, Boko Haram ha intensificato la sua azione, compiendo attentati contro edifici delle forze di polizia, scuole, chiese, moschee e uccidendo civili. Tra i sopravvissuti agli attacchi o alla prigionia, molte persone hanno sviluppato disturbi fisici e psicologici. Nel 2011 in seguito alla elezione del presidente Goodluck Jonathan, del People’s Democratic Party, e nonostante l'impegno dell’Esecutivo, l’attività di Boko Haram è aumentata ulteriormente. In più occasioni il gruppo si è servito di donne, anche bambine, per condurre attentati suicidi. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 mercoledì 6 aprile 2016 Il sumo in Giappone tra disciplina ferrea e valori etici Manciate di sale sul ring da Tokyo CRISTIAN MARTINI GRIMALDI grandi lottatori rivolgono lo sguardo verso l’altare e sorseggiano il sake in onore della divinità. Questa è forse la parte più importante di tutta la preparazione del lottatore di sumo: ossia una performance di ringraziamento al dio che in questo caso è simbolicamente rappresentato da tre ramoscelli di I Cresce il numero di giovani di altri Paesi che praticano tale sport Combattono una battaglia privata di riscatto sociale Una battaglia parallela a quella ingaggiata allo stadio sakaki (l’albero sacro) posti in alto sopra una delle tre pareti che delimitano il dohyo, l’arena del combattimento. I pochi spettatori siedono silenziosi alle loro spalle sopra dei comodi za- Statua in legno di san Francesco di Paola (XVII secolo) buton, i tradizionali cuscini quadrati da meditazione. Ci troviamo in una delle più importanti scuole di sumo (heya) di tutto il Giappone. Qui i lottatori convivono insieme come in una grande casa famiglia. In questa, che si trova nel quartiere Koto a Tokyo, ci sono 22 lottatori, il più piccolo ha 16 anni, il più vecchio 36. Anni fa sarebbe stato superfluo specificare la nazionalità, oggi non più. Sono infatti sempre più numerose le persone originarie di altri Paesi che negli ultimi anni hanno deciso di praticare lo sport giapponese per eccellenza: 16 dei 42 lottatori della massima divisione sono di varie nazionalità, undici provengono dalla Mongolia. Sempre meno giapponesi entrano a far parte delle scuole di sumo. Se una volta la recluta tipica era un giovane proveniente da una famiglia disagiata di una zona rurale, oggi nelle cittadine della provincia giapponese restano solo gli anziani. I giovani si spostano nelle grandi città alla prima occasione, per studio o per lavoro, non certo per arruolarsi nel più anacronistico degli eserciti dove imperano la disciplina più ferrea e l’assoluta devozione verso i propri superiori. Non è un caso se ora — davanti alla platea degli spettatori — una delle reclute più giovani venga presa a bastonate da uno dei lottatori più anziani perché era tornato tardi la sera prima. Così ha infranto una regola del gruppo che vuole che tutti vadano a letto alla stessa ora: una regola sulla quale i superiori non transigono. Se il calcio, si dice, non è un mestiere per femminucce: nel sumo forse non basta neppure essere uomini, bisogna essere super, e non solo nel fisico, ma anche nell’indole. Se si vuole competere ai massimi livelli occorrono davvero delle motivazioni fuori dal comune. Motivazioni che spesso hanno a che fare non tanto con la fame di vittoria quanto piuttosto con la fame vera e propria. «Sono nati in famiglie umili e numerose questi ragazzi per i quali conquistare il rango più alto nel sumo è motivo di doppia soddisfazione perché significa anche potersi prendere cura delle famiglie nel Paese d’origine» spiega un oyakata (allenatore) che segue la preparazione di molti lottatori provenienti dalla Mongolia. Un yokozuna — lottatore di massima divisione — può anche arrivare a guadagnare 2 milioni di euro l’anno. Insomma i giovani di altri Paesi vengono in Giappone a combattere una loro lotta priva- ta, di riscatto sociale, parallelamente a quella ingaggiata negli stadi, davanti a un pubblico pagante. E sembra già annunciare la battaglia proprio una delle gestualità tipiche dei rikishi — così si chiamano i lottatori di sumo — che consiste nel sollevare le ginocchia in aria da seduti, a gambe divaricate, e poi nello sbattere i piedi sul pavimento con violenza: anticamente questa ritualità aveva lo scopo di tenere alla larga gli spiriti cattivi. Un’altra pratica comune ai lottatori è quella di gettare diverse manciate di sale sul ring, per purificarlo. Il sumo è intrinsecamente legato alla religione nativa del Giappone, lo shintoismo, ossia «via degli dei». Esso fu infatti originariamente concepito come rito per intrattenere i kami (dei) durante i matsuri (feste). La stessa veste indossata dall’arbitro somiglia a quella tradizionale di un sacerdote shintoista. Che sia uno sport di antica tradizione lo si evince a prima vista dal look di questi wrestler d’altri tempi: i lunghi capelli terminano con un bozzolo di chignon. Un tempo questo stile di capigliatura era la norma: basta guardare un film giapponese ambientato nel XVI secolo per rendersene conto. È un mo- do insomma per onorare la tradizione, che viene rispettata anche quando si tratta di formalizzare il valore degli atleti: non basta aggiudicarsi i combattimenti per raggiungere il ranking più elevato, quello del yokozuna. Bisogna anche dimostrare di possedere le giuste qualità morali, che saranno valutate da un apposito comitato. Verso le undici i lottatori possono finalmente sedersi a tavola per il pasto. Ma sono i rikishi di più alto grado in classi- fica a mangiare per primi: gli altri devono rimanere composti e sull’attenti intorno al tavolo pronti a servirli. E deve provare davvero una particolare soddisfazione quel lottatore arrivato qui quando era adolescente da una remota e poco popolata provincia centroasiatica, lasciando dietro di sé povertà e indigenza, mentre ora viene riverito con tutti gli onori. E a fine carriera potrà godere per di più di un ricco vitalizio. Francesco di Paola taumaturgo e diplomatico Un asceta alla corte dei re monaco, ma anche di ricostruire con grande atten- mente rigido che esclude il consumo di carne, uova zione il contesto politico, culturale e religioso in cui e latticini. I seguaci di Francesco, attratti dalle sue operò. Dallo studio di Caridi emerge come France- virtù taumaturgiche, aumentano a vista d’occhio e i sco sia riuscito a conciliare ascetismo eremitico e romitori prendono piede nel cosentino, nel crotoneazione apostolica a largo raggio, vicinanza agli indi- se e in Sicilia. Nel 1474 arriva il primo riconoscimenfesi e indubbie capacità diplomatiche, che gli hanno to papale della congregazione eremitica, quando Sipermesso di ottenere il favore delle più importanti sto IV con la bolla Sedes apostolica concede a Francesco la possibilità di redigere statuti e costituzioni corti europee. Il destino di Francesco, come quello di molti altri per disciplinare la condotta dei suoi seguaci. Un aspetto lungamente dibattuto dalla storiograsanti, è legato fin dalla nascita a un episodio emblematico. Quando nel 1416 viene alla luce a Paola, in fia, al quale Caridi dedica la parte centrale del suo volume, è il rapporto di Calabria, il piccolo è affetFrancesco con il potere e to da un malattia agli ocin particolare con i rechi, che gli impedisce parLa parte centrale del volume gnanti europei. Il primo zialmente di vedere. I geincontro di Francesco con nitori decidono allora di è dedicata al suo rapporto l’autorità è quello con la fare un voto: se il piccolo con i regnanti europei dinastia aragonese, che nel guarirà, dovrà indossare 1442 con Alfonso il Maper almeno un anno l’abie al suo ruolo di promotore gnanimo si impadronisce to francescano, dal modi un’opera di pacificazione universale del Regno di Napoli. mento che i due sono parQualche anno dopo l’inseticolarmente devoti al Podiamento, Francesco deverello d’Assisi. Le preghiere hanno l’esito sperato e a tredici anni France- nuncia il comportamento arrogante degli agenti regi sco entra nel convento di San Marco, compiendo lì impegnati nella riscossione dei tributi, facendosi i primi miracoli e svolgendo gli uffici più modesti, portavoce del malessere della popolazione. Ma è socome fare legna o chiedere l’elemosina. Adempiuto prattutto con il successore di Alfonso, Ferrante, che il voto, Francesco realizza che quella non è la sua il monaco inizia a essere avvertito come un pericolo: strada. Abbandona quindi i frati e parte con i geni- la sua crescente popolarità e il suo attivismo nelle di GIOVANNI CERRO tori per un pellegrinaggio verso Assisi, che lo porte- fondazioni eremitiche destano sempre maggiori son occasione del sesto centenario della nascita rà a visitare il romitorio francescano di Monteluco, spetti, al punto che Ferrante ne ordina addirittura di Francesco di Paola, Giuseppe Caridi, pro- l’abbazia benedettina di Montecassino e i luoghi l’arresto. Solo il timore di una sollevazione popolare fessore di storia moderna all’Università di santi di Roma. Di ritorno in Calabria, matura la riesce a farlo desistere dal suo intento. Il giudizio di Messina, pubblica una documentata biogra- scelta di ritirarsi in un eremo presso Paola, dove Ferrante cambia radicalmente quando nel 1483 Franfia del santo (Francesco di Paola. Un santo eu- fonda prima una chiesa, poi un piccolo convento, cesco viene chiamato alla corte di Francia, dove Luiropeo degli umili e dei potenti, Roma, Salerno editrice, grazie all’aiuto dell’arcivescovo e alle offerte in degi XI, gravemente malato, spera di poter essere gua2016, 343 pagine, euro 19,90). Il volume ha il merito naro delle famiglie notabili della città. La vita del rito. Sarà un viaggio destinato a cambiare per semnon solo di discutere criticamente le fonti archivisti- santo è caratterizzata da continue penitenze, compre la sua vita — Francesco rimarrà oltralpe per 24 che e le ricche tradizioni agiografiche sulla vita del preso il rispetto di un regime alimentare particolaranni — e le sorti del suo movimento. Tuttavia, l’accoglienza non è affatto favorevole. Il sovrano, temendo che Francesco sia un ciarlatano e che desideri soltanto arricchirsi alle sue spalle, ne mette alla prova la correttezza, blandendolo con vassoi ricolmi d’oro e d’argento e con ingenti somme di denaro. Francesco non solo respinge i doni del re ma, infrangendo il protocollo, decide di soggiornare in un’angusta grotta fuori dalla reggia. Di fronte a questa condotta integerrima, Luigi XI è costretto a Nella notte tra il 4 e il 5 aprile, all’età di 92 Assunta) dopo esserne stato, nel 1989 e fino ricredersi. Francesco non lo guarirà, ma diventerà il anni, è morto nel sonno nella sua casa al 1991, il primo rettore. Studioso dai vasti suo rispettato consigliere, preparandolo con serenità romana di Borgo Pio, il filosofo Armando interessi filosofici — dalla metafisica, all’accettazione della morte. Francesco saprà manteRigobello, per molti anni collaboratore all’etica e alla filosofia politica — ha avuto nere buoni rapporti anche con i suoi successori, dell’Osservatore Romano: il primo articolo una nutrita schiera di allievi tra i quali Carlo VIII e Luigi XII, che gli accorderanno aiuto e porta la data dell’11 ottobre 1975, mentre vanno ricordati Luigi Alici, Enrico Berti, protezione nella propagazione del movimento in l’ultimo è del gennaio 2008. Allievo a Paolo Nepi. Maestro di pensiero e di vita, Francia e peroreranno la sua causa presso la Santa Padova di Luigi Stefanini, dal 1963 al 1974 educatore di generazioni di giovani e di Sede. Da parte sua, Francesco eserciterà su di essi ha insegnato Storia della filosofia e studiosi, uomo di fede e di ricerca, un’influenza di natura sia spirituale sia politica, faFilosofia morale all’università di Perugia, Rigobello ha saputo coniugare rigore e cendosi promotore di un’opera di pacificazione unipoi, fino al 1982 Storia della filosofia passione, umiltà e tenacia, cordialità e versale. La sua azione pastorale si estende ben prenell’università la Sapienza; dal 1983 al 1996 speranza. Un rito funebre sarà celebrato il sto anche alla Spagna, dove è accolta con favore dai Filosofia morale nell’università degli Studi 6 aprile a Santa Maria in Traspontina; re cattolici Ferdinando d’Aragona e Isabella di Cadi Roma Tor Vergata. Ha continuato a l’ultimo saluto il 7 aprile alle 16 a Badia stiglia che assegnano ai suoi discepoli il compito di insegnare fino al 2009 presso la Lumsa (Libera università Maria santissima evangelizzare le colonie americane, e all’impero gerPolesine, dove era nato il 3 febbraio 1924. I La scomparsa del filosofo Armando Rigobello manico, grazie al sostegno di Massimiliano I d’Asburgo. Sul finire del XV secolo, intanto, il movimento di Francesco si trasforma nell’ordine religioso dei minimi, grazie all’approvazione nel giro di poco più di un decennio di quattro Regole, la prima nel 1493 e l’ultima nel 1506. Le Regole sono accomunate dall’insistenza sull’umiltà e sulla carità e sul rigore delle pratiche penitenziali: in particolare, viene introdotto, accanto ai tre voti tradizionali di povertà, obbedienza e castità, un quarto voto di vita quaresimale, che impone ai minimi il rispetto del regime alimentare vegetariano del loro fondatore. Nel 1507 Francesco muore nei pressi di Tours. Jean Bourdichon, il pittore e incisore della corte di Luigi XII a cui è commissionata la maschera funeraria, ricorda che durante le esequie del monaco di Paola la folla dei fedeli si accostava alla sua bara «come se quel corpo fosse appartenuto a una persona santa». In effetti già nel 1519, al termine del processo di canonizzazione, Francesco sarà dichiarato santo. Un santo capace, tra medioevo e prima età moderna, di parlare ai cuori tanto degli umili quanto dei potenti di tutta Europa. È morto lo storico francescano Marino Bigaroni Nel primo pomeriggio del 4 aprile è morto ad Assisi il francescano Marino Bigaroni. Aveva compiuto 97 anni pochi giorni fa, proprio nella solennità di Pasqua, collezionando una serie di primati ormai difficilmente raggiungibili dalle nuove generazioni: oltre ottant’anni di professione religiosa, quasi settantatré di vita sacerdotale. Padre Marino era conosciuto nel mondo scientifico internazionale per i suoi studi di storia francescana, soprattutto per l’edizione (data una prima volta nel 1975, poi ancora nel 1992) di una delle fonti agiografiche più importanti su san Francesco d’Assisi, quella che lui stesso propose di denominare Compilatio Assisiensis. Il Delorme, scopritore e primo editore del testo nel 1922, l’aveva denominata Legenda antiqua sancti Francisci, ma nel tempo, visto che il suo unico manoscritto è conservato nella Biblioteca civica di Perugia, su quello iniziale aveva finito per prevalere il nome di Legenda Perusina. In seguito, non sono tuttavia mancate altre proposte, fino all’ultima, appunto quella di Bigaroni che, curandone la prima edizione integrale, l’intitolò appunto Compilatio Assisiensis. In effetti, meglio di ogni altro, questo titolo rende ragione tanto dei contenuti quanto dell’origine dell’opera. Tenace e volitivo, padre Marino è rimasto sulla breccia fino all’ultimo, come testimoniano i suoi studi sulla cassa mortuaria che avrebbe accolto le spoglie sia di san Francesco che di santa Chiara allorché furono temporaneamente custodite nella chiesa di San Giorgio in Assisi. (felice accrocca) L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 6 aprile 2016 pagina 5 I volti della misericordia nell’arte Tra immagini e teologia Rembrandt «Il ritorno del figliol prodigo» (1668, Museo dell’Ermitage San Pietroburgo, particolare) di LUCETTA SCARAFFIA Subito dopo l’indizione da parte di Francesco del giubileo della misericordia si sono moltiplicate le pubblicazioni dedicate a questa dimensione fondativa della tradizione cristiana, e fra queste spicca il bel libro di Giovanni Santambrogio I volti della misericordia nell’arte (Milano, Ancora, 2016, pagine 159, euro 29,50). Con il risultato di mettere in evidenza un fatto, segnalato di recente dal cardinale Kasper, e cioè che era stato imperdonabilmente trascurato fino ad ora «un tema tanto centrale e fondamentale» anche nella teologia, «ridotto a un piccolo sottolemma della giustizia, su cui, inoltre, gli autori spesso si mostrano in difficoltà». Al punto che — come ha scritto nella bella introduzione Ferruccio de Bortoli pubblicata per intero in questa pagina — il termine sembrava prerogativa quasi solo di Allah, «potente e misericordioso», magari così invocato dai fondamentalisti. Il libro di Santambrogio è senza dubbio uno degli esempi più riusciti di questo filone di indagine, grazie al fatto che sa mescolare riflessioni teologiche e un’ottima conoscenza della storia dell’arte, insieme alle più recenti omelie di Papa Francesco. Un libro colto, vivace e originale, a cominciare dalla scelta delle immagini considerate significative per comprendere la misericordia. Prima opera d’arte evocata è infatti la Vocazione di san Matteo di Caravaggio, strettamente collegata alla vocazione sacerdotale di Francesco, come lo stesso Pontefice ha più volte raccontato, capolavoro che è anche una perfetta rappresentazione del suo motto episcopale miserando atque eligendo (“ebbe misericordia di lui e lo scelse”). Misericordia è quindi — ce lo insegna Gesù — perdonare e scegliere un peccatore, perché, come scrive Santambrogio, in questo quadro Caravaggio «racconta in maniera esemplare che cos’è l’incontro e cos’è l’orizzonte infinito e drammaticamente concreto della misericordia». E il fatto che, Masaccio, «Trinità» (1425-1427, Santa Maria Novella, Firenze, particolare) mentre Gesù e Pietro sono vestiti con tuniche antiche, Matteo e i suoi compagni abbiano vestiti cinquecenteschi ci fa capire che «la chiamata dell’apostolo si ripete nella storia attraverso altrettante chiamate che raggiungono ciascun uomo». Alla domanda di cosa sia misericordia, Rembrandt ha risposto con il meraviglioso quadro del Ritorno del figliol prodigo, dipinto in tarda età, nel quale il prolungato abbraccio con cui il padre stringe il figlio che temeva perduto è carico dell’amore profondo di chi sa che cosa è la vera accoglienza. La terza intensa raffigurazione della misericordia Santambrogio la trova nella Trinità di Masaccio, e in particolare nel corpo e nel volto del Figlio. Qui la raffigurazione ortodossa del mistero trinitario si fonde con una rappresentazione più umana, in cui la presenza ai piedi di Cristo di Maria e di Giovanni evocano l’amore familiare. Qui «l’amore si presenta realisticamente» e diventa più comprensibile a tutti. Ma anche Maria, soprattutto nella sua immagine più misericordiosa, quella in cui accoglie e protegge i figli sotto il suo mantello, è scelta dall’autore come icona della misericordia. Nel trittico di Piero della Francesca il mistero della misericordia divina trova in Maria il punto più alto di raffigurazione: è proprio l’impassibilità delle figure del grande artista, indifferenti alle emozioni, che «conduce chi guarda nelle profondità del mistero svelandone i tratti per gradi e lasciando sempre aperto il desiderio di conoscenza». L’autore conclude il suo percorso di meditazione passando infine a immagini che hanno raffigurato le opere di misericordia corporale e quelle di misericordia spirituale. Naturalmente le prime si prestano maggiormente alla dimensione figurativa, come dimostra la serie dipinta dal Caravaggio, che comprende anche un’immagine che oggi percepiamo come inquietante: una giovane donna che allatta un prigioniero anziano. Questa immagine, che riprende un racconto dello storico romano Valerio Massimo, in cui una figlia garantiva la sopravvivenza al padre prigioniero con il suo latte, sintetizza due opere di misericordia: visitare i carcerati e dar da mangiare agli affamati. Si tratta di una raffigurazione sintetica di grande forza, tanto che successivamente sarebbe divenuta l’icona della Pietà romana per i giubilei secenteschi, quando la Chiesa, dimostrando la sua misericordia anche tramite la propaganda artistica, intendeva rispondere alle accuse dei riformati. Tornare a queste immagini antiche suggerisce dunque uno sguardo profondo e coinvolgente, costituendo un esercizio prezioso per questo giubileo. Nessuno è perduto di FERRUCCIO DE BORTOLI a misericordia è rimasta a lungo nel ripostiglio polveroso della dottrina cattolica. Eppure, come scrive nel suo bel libro Misericordia il cardinale Walter Kasper, è un concetto fondamentale del Vangelo. Perché questa parola chiave dell’insegnamento e della pratica pastorale è stata sottovalutata o dimenticata? Una spiegazione ce la fornisce lo stesso Kasper quando s’interroga sui complessi contemporanei della Chiesa, sempre in bilico tra aperture moderniste e rigidità dottrinali. La misericordia è stata a lungo scambiata per debolezza teologica, quasi rappresentasse una visione dolciastra o melodrammatica della fede. «Una morbidezza esangue ed estenuata». Ciò ha comportato una definizione algida e metafisica del divino. Distante, freddo. Non in grado di soffrire con noi, di partecipare alle nostre miserie, di condividere le nostre povertà. Un Dio così descritto può incutere timore, rispetto, ma difficilmente può apparire simpatico, nota Kasper. La misericordia è stata poi confusa con la giustizia divina, che è un’altra cosa. I peccati vengono puniti anche se Gesù accoglie il pubblicano e lo perdona. Ma lo perdona perché si è umiliato e si è pentito. Così è accaduto — per questa prolungata assenza della parola nel nostro linguaggio pubblico — che l’invocazione al Dio misericordioso l’abbiamo ascoltata quasi soltanto da parte islamica, come se appartenesse unicamente alla sfera religiosa dei musulmani. E non di rado pronunciata da estremisti a sigillo di azioni terroristiche, mossi da un odio cieco e da un fanatismo religioso che non hanno nulla di misericordioso. Ma, riflettendo, anche nel nostro lessico familiare la misericordia era scomparsa. Un termine desueto, ingiallito, come una cartolina d’altri tempi. Un’espressione arcaica. «Non ha avuto misericordia». Un modo di dire. Ma non più in uso. Il Novecento dei totalitarismi e dei massacri, delle inutili sofferenze, aveva contribuito a depotenziare il concetto di misericordia, a svilirlo nella sua dimensione di arrendevole rassegnazione al destino di violenza di troppe guerre ravvicinate e dittature sanguinose. Era difficile trovarla tra massacri e genocidi. Dov’era finita la misericordia di Dio? E dov’era finito lo stesso Dio davanti ai cancelli di Auschwitz (Jonas)? Dove si era eclissato (Buber)? O era addirittura morto (Nietzsche)? Il pontificato di Francesco ha eletto la misericordia a tema guida della propria predicazione quotidiana. Accompagnata da un’altra parola chiave: tenerezza. Il giubileo straordinario corona questa intuizione del Papa gesuita che si dichiara peccatore e dice: «Chi sono io per poter giudicare?». E si batte per una Chiesa povera e con cuore, cioè misericordiosa. Partecipe dei destini di ognuno di noi. La misericordia è raccontata nei Vangeli da molte parabole. La particolarità di questo libro, ideato e scritto da Giovanni Santambrogio, è quella di arricchire le parabole e i testi evangelici sulla misericordia con alcuni dipinti celebri che ne sono, se vogliamo, la migliore delle illustrazioni. La vocazione di Matteo del Caravaggio ci racconta che la misericordia è esperienza casuale, improvvisa. È sorpresa di vita. Un momento illuminante che affascinò anche lo sconosciuto ve- L scovo argentino Bergoglio tutte le volte che a Roma gli capitava di entrare in San Luigi dei Francesi. Il dito di Gesù che indica Matteo. Il futuro Papa si sentì come lui. Matteo era un pubblicano, un pubblico peccatore. «I pubblicani e le prostitute vi passano davanti, vi precedono nel Regno di Dio» (Matteo, 21, 31). L’abbraccio che Gesù riserva ai peccatori desta scandalo anche tra i suoi seguaci. Ma come? Noi abbiamo fatto tanti sacrifici, applichiamo le regole e tu banchetti con gli altri? Spiega Enzo Bianchi nel suo splendido libro Raccontare l’Amore che la buona notizia del Vangelo è per chi si riconosce peccatore e bisognoso della misericordia di Dio. Come Matteo. Francesco dice di essersi sentito, al momento dell’elezione in conclave, come «un peccatore al quale il Signore ha guardato». S’identifica nel quadro di Caravaggio e nella parabola del fariseo e del pubblicano, descritta da Luca. E quel brusio di incomprensione che accompagna nei Vangeli le scelte scandalose di Gesù è forse paragonabile alle resistenze della Curia, alle incomprensioni dei porporati? Alle insofferenze di una nomenclatura della Chiesa che a volte appare solo aggrappata, come il ricco delle Scritture, al vestito di porpora e di bisso? Il ricco che si contrappone a Lazzaro e il cui destino è l’Inferno? Ma la ricchezza non è una colpa. Zaccheo si salva. Lo è quando non la si condivide o la si costruisce sfruttando e impoverendo gli altri. Dante non mette i ricchi all’Inferno, riserva il ribelle. Lo riconosce «quando era an- re. Una sintesi perfetta tra mistero delcora lontano» e gli corre incontro get- la fede e vita quotidiana. tandogli le braccia al collo. È la granSalve, Regina, mater misericordiae. dezza della misericordia divina. L’amo- L’antifona è conosciuta. Nel capitolo re verso chi si è perduto. È il pastore dedicato alla madre di Gesù, Santamche va in cerca della sua pecora smarri- brogio spiega quanto sia stata tormenta pur avendone altre novantanove e tata, a livello di dottrina, la definizione correndo il rischio di lasciarle incusto- della sua figura. E il riconoscimento di dite. Nessuno è perduto. Il riscatto è quel mater misericordiae è arrivato solo possibile. La misericordia è lo strumen- nel 1980 con l’enciclica Dives in miserito che disegna il cammino della reden- cordia di Giovanni Paolo II. Al di fuori zione. Una riabilitazione che può ap- di queste sfumature dottrinali che laparire ingiusta al figlio più disciplina- sciamo agli esperti, non si può non rito. E non è compresa dalle persone che conoscere che nel vissuto popolare e nella penombra assistono, nel quadro familiare di ciascuno di noi, credente o di Rembrandt, all’abbraccio fra il pa- no, la figura di Maria è stata sempre dre ben vestito e in lacrime e il figlio che, perduta la sua eredità, ha condiviso il La miseria non è una colpa giaciglio con i porci senza potersi cibare delle loro carcome purtroppo siamo portati a pensare rube. in un mondo dominato E la rappresentazione di Dio, del volto del Padre, dall’economia di mercato della Trinità, che trasmettono in molte opere d’arte una immagine distaccata e austera, irraggiungibile nella severità quella più accessibile, perché madre indei tratti, possono esprimere i senti- dulgente e comprensiva. Proverbi, detmenti della misericordia o no? L’affre- ti, modi di dire ne sono una costante sco della Trinità, conservato in Santa testimonianza. Una figura rispettata Maria Novella a Firenze, è scelto da anche dai non credenti e persino dagli Santambrogio per la semplice ragione anticlericali. Il Polittico della Misericorche, nell’affrontare il grande mistero di dia di Piero della Francesca è scelto Dio uno e trino, Masaccio si avvicina il come il dipinto che esprime nel conpiù possibile ai fedeli che lo contem- tempo la regalità e la semplicità di Maplano. Ne suscita lo stupore, ne com- ria. Ed è significativa la riproposizione prende il disagio nell’interpretazione dell’inno alla Vergine dal Canto XXXIII del dogma. Non è un quadro di culto, del Paradiso dantesco. «Donna, se’ tanto grande e tanto vali». Nella Commedia, san Bernardo prega la Vergine per consentire a Dante di elevarsi alla vista di Dio. E quel raggio di luce divina, «l’amor che move il Sole e l’altre stelle», è forse racchiuso nella luminosità dello sguardo che Maria ha nel Polittico. L’ultima parte del libro di Santambrogio è una piccola ma significativa storia delle opere di misericordia: l’importanza delle confraternite, il dovere di assistere gli ammalati, soccorrere i bisognosi. A partire dall’epoca medievale. E soprattutto dopo la Riforma. Uno degli esempi che l’autore ci propone è quello dell’ospedale Maggiore Ca’ Granda di Milano. Se ci pensiamo, tutti i ritratti dei benefattori che sono ancora conservati negli archivi, a figura intera o a mezza (se il contributo era minore), sono tante immagini di ordinaria misericordia, testimonianze del dovere cristiano della carità, della restituzione. Le Sette opere di misericordia del Caravaggio, commissionato per documentare l’opera dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli, nel quale vi è tutta la veridicità del dolore, raffigura magnificamente i volti della malattia e della speranza. Un ciclo di affreschi attribuiti al Ghirlandaio e alla sua scuola testimoniano invece della misericordia dei «Buonomini» a Firenze, che si presero cura anche dei cosiddetti poveri vergognosi. Ci insegnano che la persona va rispetta nel suo insieme, che va assistita senza umiliarla e offenderla, senza colpevolizzarla per la sua condiCaravaggio, «Sette opere di misericordia» (1606-1607, Pio Monte della misericordia, Napoli) zione, elevandola nello spirito evangelico, ma molto più laicamente trattandola con la dignità che spetta a un cittacontrappasso agli avari (i massi da di sola e irraggiungibile bellezza, ma è dino. spingere) e agli scialacquatori (insegui- un racconto umano, quasi didascalico, La miseria non è una colpa. Come ti da cagne nere). nella rappresentazione della famiglia purtroppo siamo portati a pensare Il ritorno del figliol prodigo, dipinto divina. Anche questo un segno della nell’economia di mercato. Ma anche se da Rembrandt in età matura, svela lo lo fosse, la misericordia è condivisione, misericordia, a giudizio dell’autore. La stato d’animo dell’autore, forse accoè sentire con il cuore, immedesimarsi glie i segni dei suoi lutti, ritrae il senso sofferenza, le passioni, il dolore di Dio nella condizione dell’altro. Un prossidell’attesa, la speranza di una svolta. sono quelli di ognuno di noi. Forse il mo che troppo spesso non vediamo. O, Lo sguardo all’orizzonte di un padre in segno artistico — ha ragione Santam- peggio, ci appare soltanto come il riansia per il destino del suo figlio più brogio — si fa vicino al sentire popola- flesso vanitoso di noi stessi. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 mercoledì 6 aprile 2016 Campagna di Caritas Corea in favore dei profughi siriani Andiamo ad asciugare le lacrime La preghiera dell’episcopato filippino per le vittime degli scontri a Kidapawan Le violenze sui poveri sono ancor più inaccettabili MANILA, 5. La morte di una persona «è sempre un evento tragico, ma lo diviene ancora di più quando colpisce gli innocenti e i poveri, cari agli occhi di Dio. Preghiamo per i nostri contadini di Kidapawan, che possano trovare pace, e ci appelliamo alle loro famiglie: non cercate vendetta, ma lavorate per il dialogo». È quanto ha affermato l’arcivescovo di Lingayen-Dagupan, Socrates B. Villegasil, presidente della Conferenza episcopale filippina, dopo gli scontri violenti fra agricoltori e poliziotti nella zona di Davao, nel sud del Paese, che hanno provocato due vittime e decine di feriti gravi. Le violenze sono esplose lo scorso 1 aprile dopo giorni di proteste e manifestazioni promosse da diverse migliaia di contadini. Questi, per la maggior parte di etnia lumad, chiedevano al Governo un interven- to più deciso contro la siccità provocata da El Niño — il fenomeno climatico che provoca inondazioni ma anche periodi di forte aridità — e accusavano le autorità di aver deviato i fondi destinati all’agricoltura. In risposta sono stati impiegati diversi reparti della Polizia in tenuta antisommossa. Un missionario del Pontificio istituto missioni estere, padre Peter Geremiah, ha confermato all’agenzia AsiaNews che diverse decine di agricoltori sono stati arrestati. Secondo un altro missionario, padre Giovanni Vettoretto, le ragioni della protesta sono evidenti: «Sono quasi quattro mesi che non piove e la gente non ha denaro messo da parte per i tempi in cui non può né seminare né raccogliere. Le popolazioni tribali sono le più esposte: possono solo pregare che piova, nient’altro. La gente ha fame e chiede del riso». Per risolvere questa situazione, suggerisce il sacerdote, «bisogna lavorare tutti insieme, tra politica, organizzazioni sociali ed ecclesiali, non solo cattoliche». Oltre a condannare le violenze, il presidente dell’episcopato filippino chiede alle forze dell’ordine e all’esercito «di tornare al proprio mandato, che è quello di preservare la pace nella nostra nazione ma anche proteggere i deboli e servire la giustizia». Molto ferma anche la reazione dei missionari redentoristi di Manila, che in una nota scrivono: «Questi atti criminali sono inaccettabili. Non si può accettare che a chi ha fame si offra soltanto un’alternativa: smettere di protestare e tornare a casa. È indifendibile una Polizia che risponde con un omicidio alle richieste di chi difende i propri diritti». SEOUL, 5. «Cinque anni di guerra civile in Siria. Andiamo ad asciugare le lacrime»: è il titolo della nuova campagna di raccolta fondi e solidarietà lanciata a beneficio della Siria da parte di Caritas Corea. I fondi raccolti, riferisce una nota dell’organizzazione, saranno utilizzati per garantire l’opera di assistenza ai rifugiati siriani, tramite la rete delle Caritas impegnate nei Paesi del Medio oriente. La campagna beneficia anche del supporto del settimanale cattolico coreano «The Catholic Times», che provvederà a informare e sensibilizzare i lettori con storie e reportage sulla drammatica condizione dei profughi siriani costretti a fuggire, come è noto, non solo nei vicini Paesi mediorientali ma anche nel continente europeo. Iniziato il 15 aprile 2015, il conflitto siriano è ancora una delle principali emergenze mondiali. Secondo stime ufficiali, i morti sono stati finora oltre 470.000 e 1,8 milioni i feriti. Su 23 milioni di siriani, secondo dati delle Nazioni Unite, circa 6,5 milioni sono divenuti sfollati interni e 4,8 milioni hanno abbandonato il Paese in rovina. Una situazione, per molti versi, resa ancora più complicata dal recente accordo tra l’Unione europea e la Turchia teso a bloccare il flusso di profughi siriani verso la Grecia, chiudendo ai siriani il percorso verso l’Europa occidentale. Per aiutare i rifugiati siriani, la rete di Caritas Internationalis da tempo ha messo in campo attività e progetti per fronteggiare l’emergenza. Ma le Caritas, specialmente nei Paesi confinanti con la Siria, sono in continua difficoltà per mancanza di fondi e, soprattutto, per l’alto numero della persone da assistere. A partire dal 2012, Caritas Corea ha donato oltre un milione di dollari, sostenendo sei progetti per i rifugiati siriani. «Tuttavia — evidenzia il Catholic Times – non è abbastanza per asciugare le loro lacrime». Il tema scottante della pace, non solo nella penisola coreana, ma anche in tutti quei Paesi colpiti e devastati dai conflitti è stato al centro anche di un recente messaggio del cardinale arcivescovo di Seoul, Andrew Yeom Soo-jung. «La nostra società oggi è piena di tenebre. La gente vive nella paura, sotto l’incubo della guerra, del terrori- dell’amore e della speranza nel mondo», ha affermato il porporato. Di qui il convinto auspicio che «la luce del Signore risorto risplenda su tutti». Dalla penisola coreana al mondo intero, dunque. «Preghiamo per i nostri fratelli e sorelle in Corea del Nord: possano essere abbondanti le benedizioni su di loro. Preghiamo perché Dio doni saggezza per risolvere la questione delle armi nucleari nella Corea del Nord. Preghiamo per la pace nella penisola coreana e per la pace nel mondo. Che Dio ci guidi nelle vie della pace». smo e di gravi problemi economici. Viviamo in un tempo in cui è urgente il bisogno di pace. Noi fedeli che abbiamo ricevuto la luce della risurrezione, siamo chiamati a portare la luce Nel messaggio del porporato si sottolinea inoltre la novità del messaggio cristiano e la rilevanza del suo impatto anche sulla vita sociale. «Gesù — ha affermato — è diventato la luce del mondo che illumina i nostri peccati e le tenebre». In questo senso, dunque, «l’annuncio della Chiesa è che Cristo è la luce del mondo che nessuna tenebra può vincere». Infatti, «dopo la risurrezione, Gesù apparve ai discepoli e ha inviato loro il messaggio di pace, ha aperto i loro cuori chiusi, ha dato loro coraggio e ha mostrato loro la via della vita». Sulla stessa lunghezza d’onda, pochi giorni fa, si è anche svolta una marcia per la pace promossa dal Dipartimento per la gioventù dell’arcidiocesi di Seoul. Per la prima volta un corteo di giovani cristiani ha percorso le vie di Hongdae, uno dei quartieri più eleganti e rinomati della capitale. Una testimonianza di fede e insieme l’appello per i dono della pace. Cristiani e musulmani dopo l’attentato a Lahore Rimossa dal calendario delle celebrazioni nazionali Saldi nella fede A Natale niente festa in Nepal LAHORE, 5. «Colpisce osservare che, nonostante sia vittima di diversi attacchi mortali, la comunità cristiana resta salda nella sua fede. Nonostante le persecuzioni, la sofferenza, le discriminazioni, il numero di coloro che seguono la Chiesa in Pakistan è in continua crescita. La nostra fede è come una roccia che niente e nessuno può scalfire». Sono parole di grande speranza quelle affidate al Sir e ad AsiaNews dal padre domenicano James Channan, direttore del Peace Center di Lahore, capoluogo della provincia pakistana di Punjab, teatro la domenica di Pasqua del peggiore attentato nella storia di questa città. La maggior parte dei morti (74) e dei feriti (350) sono musulmani (tanti i bambini e le donne) sebbene l’obiettivo principale dei terroristi fossero i cristiani. «Nel nostro Paese è in corso una lotta tra il bene e il male», osserva, e c’è bisogno del sostegno spirituale e morale di tutti. Per questo Channan ha organizzato sabato scorso una preghiera interconfessionale presso il Peace Center alla quale hanno partecipato leader religiosi musulmani, cristiani e indù, attivisti dei diritti umani e promotori del dialogo interreligioso, della pace e dell’armonia. «I cristiani in Pakistan — sottolinea il religioso — appartengono alle classi più povere e sono i più vulnerabili, il bersaglio più attaccabile e facile degli estremisti. Nel corso degli ultimi due anni ci sono stati diversi attacchi mortali contro i cristiani, e la mag- gior parte sono stati compiuti di domenica». Ciò che più conforta è che «molti musulmani in Pakistan ci hanno consolato. Sono in lutto con noi e pregano per noi. Hanno condannato questo attacco efferato nei termini più forti possibili. Si sono uniti a noi nelle veglie a lume di candela, nei servizi di preghiera e hanno diffuso comunicati stampa. La maggior parte dei musulmani in Pakistan sono amanti della pace e condannano ogni tipo di violenza e discriminazione». KATHMANDU, 5. Il Governo del Nepal ha deciso di rimuovere la festività del Natale dal calendario delle celebrazioni nazionali, suscitando preoccupazione e proteste dei cristiani che ne chiedono l’immediato ripristino. «Siamo stati costretti ad eliminare il Natale dalle feste pubbliche — ha spiegato ad AsiaNews il ministro dell’Interno Shakti Basnet — per controllare l’aumento delle festività nazionali. Ad ogni modo, garantiremo ai dipendenti pubblici di fare vacanza». Per il pastore C.B. Gahatraj, segretario generale della Federazione nazionale dei cristiani, «se il Natale non sarà festa nazionale, i lavoratori del settore privato non potranno celebrarlo. Il Governo accorda l’esistenza di 83 feste per gli indù e le altre comunità, ma nessuna per i cristiani, i quali non lavorano solo per il Governo». Il Natale era stato inserito tra le feste nazionali otto anni fa, quando il Nepal è diventato un Paese laico. Da allora, la festa della nascita di Gesù ha attirato anche i fedeli di altre comunità religiose. Quest’anno la celebrazione ha assunto un significato particolare, portando speranza alla popolazione afflitta dall’embargo dell’India. Il pastore Gahatraj teme che le autorità di Kathmandu siano state «influenzate da tendenze anticristiane»: «Il Governo sta tentando di ignorarci e sopprimere i nostri diritti». Nei giorni scorsi, un gruppo di leader cristiani si è riunito per contestare la decisione e ha redatto una petizione che consegnerà al primo ministro KP Sharma Oli e a quello dell’interno. L’Inter-religious Council Nepal, altri gruppi interreligiosi e organizzazioni di attivisti si sono schierati al fianco dei cristiani. «Siamo pronti — ha sottolineato Gahatraj — a sacrificare noi stessi per la nostra fede e per proteggere la libertà di culto. Domandiamo con forza di ripristinare la festa e di ritirare la decisione entro una settimana. Se il Governo non accoglierà la nostra richiesta, faremo proteste in tutto il Paese». I leader religiosi chiedono, inoltre, che si fermino i tentativi di soffocare le minoranze in Nepal e vogliono che siano applicati gli accordi raggiunti negli anni scorsi con il Governo sui luoghi di sepoltura dei cristiani. Infine, i responsabili religiosi criticano il nuovo articolo 156 del Codice civile, che vieta ogni conversione e le attività correlate. «L’articolo 156 — ha concluso Gahatraj — colpisce in particolare i sacerdoti cristiani. Implica che in futuro il Governo potrà imprigionare i preti attraverso questa legge anticonversione». Secondo il censimento ufficiale del 2011, cattolici e protestanti costituiscono circa l’1,5 per cento della popolazione. Nel 2006 erano solo lo 0,5 per cento. In sei anni i cattolici sono passati da quattromila a diecimila unità. † «L’Osservatore Romano» in tutte le sue componenti partecipa al profondo dolore che ha colpito Rosa de Pinho per la morte del padre JOSÉ DE PINHO BRANDÃO ed è vicino con affetto a tutti i familiari, ai quali assicura il ricordo nella preghiera. Città del Vaticano, 5 aprile 2016 L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 6 aprile 2016 pagina 7 Corsi di formazione per giovani leader religiosi organizzati dal Kaiciid La convivenza passa dai social media Vertice intercristiano a Bkerké condanna i conflitti in Medio oriente Fronte comune a favore del Libano BEIRUT, 5. Definire una posizione comune delle comunità cristiane, in particolare cattoliche e ortodosse, di fronte alle grandi questioni nazionali, a cominciare dalla mancata nomina del presidente della Repubblica libanese. Questo l’obiettivo principale di un summit intercristiano che si è svolto ieri, lunedì, a Bkerké, sede del patriarcato maronita. All’incontro, che ha avuto inizio con la celebrazione di una messa in rito maronita, hanno preso parte i patriarchi cattolici e ortodossi e i leader delle comunità ecclesiali protestanti locali. Ma l’incontro non poteva non affrontare anche il dramma dell’esodo dei cristiani del Vicino oriente — un comunicato diffuso al termine della riunione esprime al riguardo una dura condanna — a causa dei conflitti in Siria e in Iraq. In particolare il patriarca di Antiochia dei Maroniti, cardinale Béchara Boutros Raï, ha osservato che «le sfide nella regione aumentano, le guerre non trovano soluzione e le popolazioni, specialmente quella cristiana, emigrano lasciandola deserta. Insistiamo sull’importanza del vivere insieme, cristiani e musulmani, perché lo vuole la nostra cultura, che è quella della moderazione». All’ordine del giorno dei lavori una serie di problematiche cruciali che investono il Paese e l’intera area regionale: la violenza in Medio oriente; la necessità di lottare contro estremismo religioso e terrorismo; la necessità di instaurare buoni rapporti con tutti i Paesi arabi; la questione della Palestina; l’accoglienza e la presenza di rifugiati; il rafforzamento dell’unità nazionale. In particolare, largo spazio è stato dato allo studio della delicata situazione di stallo istituzionale, che ormai dal maggio 2014 impedisce la nomina di un nuovo capo dello Stato. Una questione, quest’ultima, la cui soluzione è giudicata essenziale per garantire un futuro di pace e di sicurezza al Paese, sulla quale da tempo è impegnato personalmente il cardinale Raï, che anche domenica scorsa, nell’omelia pronunciata in occasione della festa della Divina misericordia, è tornato ad appellarsi ai leader politici della nazione. «È vano sperare di salvare il Libano — ha affermato — se la misericordia non vive nel cuore dei nostri leader. Il Libano sarà salvato dalla crisi della vacanza presidenziale e di tutte le sue pesanti conseguenze istituzionali, economiche e commerciali dalla misericordia che verrà suscitata nel cuore dei suoi governanti». Anche il sinodo maronita nella sua ultima riunione, denunciando la paralisi istituzionale che da quasi due anni impedisce l’elezione di un nuovo presidente, era tornato a lanciato l’allarme sul rischio di un «crollo» dell’intero sistema libanese, richiamando i blocchi politici e parlamentari ad assumersi le proprie responsabilità nazionali, senza sottomettere il destino del Libano «agli interessi stranieri». La preoccupazione principale, come è noto, è che il Paese dei cedri senza una salda guida istituzionale, possa venire coinvolto, e perfino travolto, nell’infuocata crisi siriana. Tra le questioni al centro del vertice di Bkerké anche quella relativa alla presenza dei cristiani nelle istituzioni e sulla scena pubblica del Paese. Un argomento sul quale, nel febbraio scorso sempre il sinodo maronita, associandosi alle preoccupazioni espresse precedentemente dalla Chiesa greco-melchita, aveva parlato di discriminazioni silenziose che vedono penalizzati i cristiani. In particolare, i vescovi maroniti hanno espresso la loro inquietudine per lo squilibrio che, a loro giudizio, si sta producendo nell’accesso alle cariche pubbliche e alle risorse finanziarie statali. Secondo quanto documentato da recenti inchieste giornalistiche, solo il 27 per cento dei progetti realizzati dal ministero per le Opere pubbliche hanno interessato aree abitate dalla popolazione cristiana. I presuli maroniti vedono in tale fenomeno una grave insidia per la convivenza nazionale. A un anno dal massacro degli studenti cristiani in Kenya Speranza di una conversione GARISSA, 5. «Crediamo che per Dio nulla sia impossibile. Preghiamo affinché questi nostri fratelli terroristi, un giorno, si pentano delle loro azioni e cerchino di costruire un mondo migliore basato sulla fraternità, sulla pace, sulla misericordia e sul rispetto verso le persone di fedi differenti. Nella domenica della Divina misericordia siamo certi che Dio ci ascolterà». Ha invitato a pregare per le vittime, per i loro familiari, ma anche per la conversione degli assassini il vescovo di Garissa, Joseph Alessandro, che domenica scorsa, nell’omelia della messa, ha ricordato la strage compiuta in Kenya dai terroristi di al-Sha- baab (gruppo fondamentalista islamico attivo in Somalia) il 2 aprile di un anno fa: centoquarantotto persone, quasi tutti studenti cristiani, vennero uccisi nel campus universitario di Garissa dagli estremisti islamici. Il presule — che in cattedrale ha chiesto la misericordia di Dio per coloro che perseguitano i cristiani in Kenya e in altri Paesi del mondo — ha parlato della paura che ancora attanaglia la comunità ma anche di una speranza mai venuta meno: «Le misure di sicurezza sono state aumentate, soprattutto in questi giorni di festività pasquale. Grazie a Dio, quest’anno non è accaduto nulla e fino a oggi la si- A garanzia del processo elettorale in Zambia LUSAKA, 5. Convocazione di un incontro con i leader politici per fermare le violenze e costituzione di un gruppo di sorveglianza per vigilare sul processo elettorale: sono le due iniziative attraverso le quali, in Zambia, i vescovi intendono rispondere al clima di violenza nel Paese, in crescita con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali dell’11 agosto. Scontri e incidenti avrebbero coinvolto militanti del partito al potere e formazioni dell’opposizione. Per fermare questa spirale, su invito del presidente della Repubblica e capo del Governo, Edgar Lungu, la Conferenza episcopale ha organizzato in questi giorni un incontro con i dirigenti dei diversi partiti. I partecipanti sono pervenuti a un accordo sulla necessità di modificare la normativa sull’ordine pubblico, con riferimento all’azione delle forze di polizia, spesso accusate dall’opposizione e dalla società civile di parzialità e di reprimere la libertà di espressione e riunione. Un gruppo di sorveglianza, formato dalle Chiese cristiane, controllerà il corretto svolgimento del processo elettorale: «Ogni volta che i politici faranno una cosa contraria al loro impegno, convocheremo una riunione per chiedere chiarimenti». tuazione è calma e sotto controllo. La gente, però, specialmente i cristiani, ha ancora timore che possa accadere qualcosa all’improvviso. Sono forti nella loro fede e questo dà coraggio anche a me. Durante la Quaresima e il triduo pasquale le chiese e la cattedrale erano piene». In un’intervista ad Aiuto alla Chiesa che soffre, l’arcivescovo di Mombasa, Martin Musonde Kivuva, ricorda il dolore patito quel giorno e le cerimonie in memoria delle vittime, in particolare un incontro recente in cui i leader di tutte le religioni hanno ribadito «insieme, a voce alta, il no al terrorismo e che fatti come quello avvenuto all’University College non debbano più accadere». Il presule sottolinea come a causa della mancanza di lavoro, educazione e prospettive, i giovani keniani siano facilmente reclutati previo compenso da al-Shabaab: «Una delle migliori strade per permettere ai ragazzi di rimanere sulla retta via è quella di offrire loro formazione e opportunità lavorative. E poi istruzione. È la prima cosa di cui il nostro Paese ha bisogno per andare avanti», ha concluso monsignor Musonde Kivuva. In una dichiarazione in vista delle elezioni generali del 2017, l’Inter-Religious Council of Kenya fa appello «a tutti i politici, con i loro interessi consolidati, affinché smettano di trasformare le elezioni in una questione di vita e di morte per i keniani». I leader religiosi denunciano la creazione di milizie in previsione delle elezioni e invitano a «praticare la pace piuttosto che creare strutture di violenza». AMMAN, 5. Formazione sull’uso dei social media come strumento di promozione di un dialogo rispettoso tra i fedeli di religioni diverse: questo il tema al centro del primo di cinque laboratori organizzati dal King Abdullah bin Abdulaziz International Centre for Interreligious and Intercultural Dialogue (Kaiciid), l’organismo fondato a Vienna nell’ottobre 2011 su iniziativa dell’allora re saudita Abdullah. Il primo di questi incontri si è svolto ad Amman, in Giordania, dal 3 al 5 aprile, e ha visto la partecipazione di trecento giovani leader religiosi e rappresentanti della società civile che lavorano nell’ambito del dialogo interreligioso nel Vicino oriente, specialmente in Libano, Palestina, Siria e Giordania. I media sociali vengono spesso utilizzati come piattaforma di disinformazione, diffusione di stereotipi e reclutamento di estremisti, ma, allo stesso tempo, possono servire per raggiungere milioni di giovani in modo che dialoghino sul ruolo della convivenza nelle loro vite e società. Una delle sfide di questo processo è legata al fatto che i difensori della convivenza e i leader religiosi moderati non sono a volte in grado di usare i social media con efficacia per promuovere i loro valori. Per questo il Kaiciid ha lanciato un programma di formazione dedicata a giovani responsabili religiosi e a esperti in dialogo sull’utilizzazione di tali stru- menti come luogo di convivenza. «Nel Vicino oriente — spiega il direttore generale Fahad Abualnasr — otto persone su dieci usano i media sociali tutti i giorni, creandosi opinioni, atteggiamenti. Gli estremisti li utilizzano per favorire stereotipi e percezioni errate. Con questi corsi desideriamo servirci degli stessi canali per promuovere la convivenza e il dialogo. L’esperienza dimostra che i giovani non vogliono che gli insegnanti o le autorità parlino loro con tono condiscendente o a mo’ di sermone. Ci rivolgiamo quindi a ragazzi e a ragazze della regione che già usano i social media e che sono interessati a promuovere la pace e la convivenza. Vogliamo dare a questi giovani gli strumenti per co- municare con i loro coetanei e far scaturire sani dibattiti sulla coesione sociale», ha concluso Abualnasr. Durante l’incontro di Amman i partecipanti sono stati incoraggiati ad attuare iniziative e campagne sui media sociali nelle rispettive società e istituzioni. Gli studenti maggiormente interessati e promettenti verranno invitati a trasformarsi a loro volta in formatori. I restanti quattro laboratori si terranno quest’anno in Egitto, Iraq, Tunisia ed Emirati Arabi Uniti. Nel novembre 2014 il Kaiciid organizzò un’importante conferenza per mobilitare i leader religiosi di tutto il Vicino oriente e rispondere in maniera congiunta alla minaccia estremista che affligge la regione. Offrirà programmi di studio e di approfondimento Apre a Roma il Centro ecumenico metodista ROMA, 5. Si inaugurerà domani a Roma, con una funzione celebrata presso la chiesa di Ponte sant’Angelo il nuovo Centro ecumenico metodista (Meor-Methodist Ecumenical Office Rome). Avrà sede presso la stessa chiesa metodista di lingua inglese, a piazza Sant’Angelo 1, e sarà sostenuto congiuntamente dalla Chiesa metodista di Gran Bretagna, dall’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (Opcemi), dal Consiglio metodista mondiale (Wmc) e dal Consiglio metodista europeo (Emc) con lo scopo di costituire «un canale di dialogo con altre Chiese nella ricerca di una più profonda unità». Si tratta infatti — si legge in un comunicato diffuso dall’agenzia Nev — di un «ulteriore passo ecumenico che rafforza la presenza metodista nella città eterna. Da sempre il pastore della chiesa di Ponte Sant’Angelo — appartenente all’ordinamento dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi — è inviato dalla Conferenza metodista britannica e svolge il ruolo di rappresentante dei metodisti d’Oltremanica presso il Vaticano. Ora, questa presenza si amplia a livello europeo e mondiale, attraverso il coinvolgimento del Wmc e dell’Emc». Il nuovo centro «intende offrire ai metodisti di tutto il mondo l’opportunità di contribuire all’attuale dialogo ecumenico e di promuovere una più profonda conoscenza ecumenica reciproca attraverso programmi di studio e d’incontro», ha spiegato Tim MacQuiban, pastore della chiesa di Ponte Sant’Angelo, che ricoprirà il ruolo di direttore dell’organismo. Com’è precisato nella dichiarazione d’intenti, il Meor vuole inoltre essere «uno spazio di preghiera e riflessione, un luogo di ospitalità per i metodisti di tutto il mondo e altri visitatori». Alla celebrazione inaugurale parteciperanno rappresentanti della Comunione anglicana e della Santa Sede. Il culto sarà preceduto, oggi e domani, dalle riunioni dei compartecipanti al progetto, tra i quali il presidente e la vicepresidente del Wmc, rispettivamente il vescovo Paolo Lockmann e la signora Gillian Kingston; il segretario della Conferenza britannica, pastore Gareth Powell, la presidente dell’O pcemi, diacona Alessandra Trotta. Per l’Emc è presente il pastore Knut Refsdal, mentre la United Methodist Church degli Stati Uniti ha inviato il presidente della propria Commissione per l’unità dei cristiani e il dialogo interreligioso, il vescovo Mike Watson. La mattina di giovedì 7 è invece prevista un’udienza con Papa Francesco e un incontro con i rappresentanti del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Uno spazio on line per la Chiesa Condividere gli insegnamenti, i messaggi e i valori della Chiesa cattolica con i fedeli e con la più vasta comunità globale che quotidianamente frequenta la rete. È questo l’obiettivo a cui mira il lavoro di DotCatholic, l’ufficio costituito dalla Segreteria per la comunicazione su mandato della Segreteria di Stato per l’utilizzo di un dominio (.catholic) generico di primo livello. Si tratta di uno spazio in rete autorevole e dedicato, a uso esclusivo della Chiesa cattolica e delle sue diverse istituzioni, in primo luogo diocesi, istituti di vita consacrata e altri organismi. Si avvia così un lungo processo che nel corso del 2017 sarà pienamente operativo. Consegnata alla presenza del Pontefice Onorificenza ad Alberto Gasbarri «Un riconoscimento alla lealtà e alla professionalità dimostrate in questi decenni», ma anche un ulteriore stimolo all’impegno di «vivere ogni aspetto della vita secondo criteri evangelici ed ecclesiali»: con questa motivazione letta dall’arcivescovo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, è stata conferita ad Alberto Gasbarri l’onorificenza di cavaliere di gran croce dell’ordine piano. Alla presenza di Papa Francesco, che ha voluto ringraziare personalmente il suo stretto collaboratore improvvisando un breve discorso, la semplice cerimonia si è svolta nel pomeriggio del 4 aprile a Santa Marta. In pensione dal 1° marzo scorso e al servizio della Santa Sede per 47 anni, Gasbarri è divenuto progressivamente noto per essersi occupato dell’organizzazione dei viaggi papali internazionali: dal 1982 al 2005 come assistente del gesuita Roberto Tucci (1921-2015, creato cardinale da Giovanni Paolo II nel 2001) e nell’ultimo decennio come responsabile diretto, ricoprendo al contempo l’incarico di direttore amministrativo della Radio Vaticana. «Con questa alta onorificenza — ha spiegato il sostituto — il Santo Padre le manifesta il suo personale ringraziamento per il servizio e la dedizione da lei prestati alla persona del Papa e alla Santa Sede». Erano presenti, tra gli altri, i cardinali Parolin, segretario di Stato, Re, Filoni, Bertello e Stella, gli arcivescovi Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, Piero Marini, e monsignor Mauricio Rueda Beltz, organizzatore dei viaggi papali. Ad accompagnare Gasbarri, familiari, amici e molti colleghi. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 mercoledì 6 aprile 2016 Nikolinka Nikolova «Armonia nel silenzio» Messa a Santa Marta Per vivere in armonia e nel sostegno reciproco la comunità cristiana deve rinascere dallo Spirito Santo. E ci sono due segni per capire di essere sulla strada giusta: il disinteresse verso il denaro e il coraggio di testimoniare Cristo risorto. Lo ha affermato Papa Francesco nella messa celebrata martedì mattina, 5 aprile, nella cappella della Casa Santa Marta. Un’indicazione accompagnata dall’avvertenza di non confondere la vera armonia con una tranquillità negoziata o ipocrita. «Gesù dice a Nicodemo che si deve rinascere, ma rinascere dallo Spirito: è proprio lo Spirito che ci dà una nuova identità, ci dà una forza, un modo di agire nuovi»: ecco la chiave di lettura proposta dal Pontefice, alla luce del passo evangelico di Giovanni (3, 7-15) proposto dalla liturgia del giorno. E questa linea — ha fatto notare — si vede già «nella prima lettura, uno dei tre o quattro riassunti contenuto negli Atti degli apostoli» (4, 32-37): un passo che racconta «come viveva la prima comunità, i “rinati” dallo Spirito». Francesco ha fatto notare che essi «vivevano in armonia e l’armonia soltanto la può dare lo Spirito Santo». Infatti «noi possiamo fare accordi, una certa pace, ma l’armonia è una grazia interiore che soltanto può farla lo Spirito Santo». Dunque queste prime «comunità vivevano in armonia»: e lo si capisce da due segni che contraddistinguono l’armonia, ha spiegato il Papa. Il primo segno è che «nessuno vive nel bisogno, cioè tutto è in comune». Il senso autentico lo Come si crea l’armonia spiega proprio il passo tratto dagli Atti degli apostoli: «Avevano un solo cuore, una sola anima e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Nessuno infatti tra loro era bisognoso». Del resto, ha affermato Francesco, «la vera armonia dello Spirito Santo ha un rapporto molto forte con il denaro: il denaro è nemico dell’armonia, il denaro è egoista». E «per questo il segno che dà è che tutti davano il loro, perché non ci fossero i bisognosi». In particolare negli Atti si «fa l’esempio di Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Bàrnaba, che significa “figlio dell’esortazione”, un levìta originario di Cipro, padrone di un campo». Ebbene, Giuseppe vendette il suo campo «e consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli». In una parola, questa è la vera «armonia» che, dunque, «ha un rapporto con lo spirito di povertà, che è la prima delle beatitudini». Ben diverso, invece, è «il caso di quella coppia, Anania e Saffira: vendono il campo e danno tutto, dicono di dare tutto agli apostoli, ma sottraggono di nascosto per farsi un conto a parte, per loro». Una storia che viene narrata sempre negli Atti degli apostoli (5, 1-11). Ma — ha ricordato Francesco — «il Signore punisce con la morte questi due, perché Gesù chiaramente ha det- to che non si può servire Dio e il denaro: sono due padroni, il cui servizio è irriconciliabile». Però, ha messo in guardia il Pontefice, «l’armonia, che solo lo Spirito Santo può creare, non va confusa con la tranquillità». Tanto che «una comunità può essere molto tranquilla, andare bene» ma non essere in armonia. «Una volta — ha confidato il Papa — ho sentito dire da un vescovo una cosa saggia: “Nella diocesi c’è tranquillità. Ma se tu tocchi questo problema o questo problema o questo problema, subito scoppia la guerra”». Ma questa — ha osservato — è piuttosto «una armonia negoziata e non è quella dello Spirito: è un’armonia, diciamo, ipocrita, come quella di Anania e Saffira con quello che hanno fatto». Invece «l’armonia dello Spirito Santo ci dà questa generosità di non avere niente di proprio, fin quando ci sia un bisognoso». C’è poi un secondo atteggiamento suscitato dall’armonia dello Spirito Santo. E Francesco lo ha presentato rilanciando le parole degli Atti: «Con grande forza, gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù, e tutti godevano di grande favore». In sintesi, il secondo segno dell’armonia vera è «il coraggio». E così «quando c’è armonia nella Chiesa, nella comunità, c’è il coraggio: il coraggio di dare testimonianza del Signore risorto». In questa prospettiva il Pontefice ha suggerito di «leggere e rileggere questo passo degli Atti degli apostoli: il capitolo quarto, dal versetto 32 in avanti». E la ragione è presto detta: «Perché è quello che Gesù aveva chiesto al Scorci quotidiani «La vita di una guardia svizzera: uno scorcio privato». A raccontarla è la mostra fotografica — con ottantasei scatti in bianco e nero e a colori di Fabio Mantegna — inaugurata nei giorni scorsi ai Musei vaticani. «Un titolo che — ha spiegato il comandante del corpo Christoph Graf durante la cerimonia di apertura dell’esposizione, che chiuderà i battenti il 12 giugno — non lascia intendere aspettative particolari», né suscita «l’interesse su chissà quali curiosità, ma che indica normali aspetti di vita». Infatti, ha sottolineato, è la vita normale di una guardia che «vogliamo far vedere al visitatore, proprio come una guardia vive nel suo quotidiano». Abituati alla classica immagine della guardia in alta uniforme, i fedeli e i pellegrini che giungono in Vaticano hanno «l’impressione che quella sia la normalità». Ma, ha avvertito Graf, «non è così». Anche nella vita del corpo, infatti, esistono giorni «scanditi da ordinarie attività giornaliere e da servizi interni; servizi che, peraltro, sono sempre una sfida e un impegno per le guardie che li svolgono». Come esempio il comandante ha indicato l’esperienza del servizio notturno svolto dalle guardie dalla mezzanotte alle sei del mattino: un servizio che — ha evidenziato — molti di loro affrontano organizzando un programma di attività che «consiste nello studio della lingua italiana, nella lettura di giornali e di libri, nella preparazione per esami e nelle preghiere». Ma qual è l’identikit della guardia pontificia? «Sono giovani svizzeri — ha spiegato il comandante — intorno ai venti, ventitré anni, che dopo un apprendistato o la maturità e il servizio militare cercano per un minimo di due anni un’altra attività». I motivi che spingono alla scelta di Nei mesi di aprile e maggio Aprile D OMENICA DI PASQUA IV Basilica Vaticana, ore 9.15, Ordinazioni presbiterali, Santa Messa 24 V DI D OMENICA PASQUA Piazza San Pietro, ore 10.30, Santa Messa, Giubileo dei Ragazzi e delle Ragazze Maggio 5 GIOVEDÌ SOLENNITÀ DELL’ASCENSIONE DEL SIGNORE 15 D OMENICA DI PENTECOSTE Basilica Vaticana, ore 10, Cappella Papale, Santa Messa 26 GIOVEDÌ SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO Piazza San Giovanni in Laterano, ore 19, Cappella Papale, Santa Messa, Processione a Santa Maria Maggiore e Benedizione Eucaristica 29 IX D OMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Piazza San Pietro, ore 10.30, Santa Messa, Giubileo dei Diaconi Città del Vaticano, 2 aprile 2016 Mons. GUID O MARINI Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie Basilica Vaticana, ore 18, Veglia di preghiera per “Asciugare le lacrime” Inizio della missione del nunzio apostolico nella Repubblica di Moldova Il 1° marzo scorso, monsignor Miguel Maury Buendía, arcivescovo titolare di Italica, è arrivato all’aeroporto internazionale di Chişinău proveniente da Bucarest. Ad accoglierlo c’erano la signora Liliana Verlan, consigliere del protocollo di Stato, monsignor Anton Coşa, vescovo di Chişinău, e alcuni ecclesiastici che lo hanno accompagnato in corteo alla residenza vescovile, dove ha sostato durante il suo soggiorno nella Repubblica di Moldova. Una nutrita delegazione della comunità cattolica ha ricevuto il rappresentante pontificio, il quale, dopo aver ricevuto la tradizionale offerta del pane con il sale, si è trattenuto con essa in amichevole colloquio. Il giorno seguente, dopo un incontro con il capo del protocollo diplomatico di Stato Alexei Cracan, il nunzio apostolico ha consegnato la copia delle lettere credenziali al viceministro degli affari esteri e dell’integra- zione europea Daniela Cujbă, la quale gli ha offerto un caldo benvenuto e ha reso noto il desiderio del Paese di intensificare i rapporti bilaterali con la Santa Sede. Giovedì 3 marzo, monsignor Maury è stato accompagnato al Palazzo presidenziale in compagnia del vescovo Coşa e di alcuni funzionari statali per la solenne cerimonia di presentazione delle lettere credenziali al presidente della Repubblica, Sua Eccellenza il signor Nicolae Timofti, presenziata dal signor Alexandru Codreanu, capo della direzione generale per la cooperazione bilaterale, e dalla signora Diana Gadja, capo della divisione per l’Europa occidentale del ministero degli Affari esteri e dell’integrazione europea. Il capo dello Stato ha chiesto all’arcivescovo Maury Buendía di far pervenire al Papa i sentimenti di sincera ammira- che si dicono e come ciascuno di noi possa aiutare la sua famiglia, il suo quartiere, la sua città, i compagni di lavoro, di scuola, tutti quelli che gli sono vicini, per creare questa armonia che si fa nel nome del Signore Gesù risorto e che è una grazia dello Spirito Santo». Inaugurata la mostra fotografica sulla Guardia svizzera pontificia Calendario delle celebrazioni presiedute dal Papa 17 Padre nell’ultima cena: che siano “uno”, che ci fosse l’armonia tra loro». E «quando arriva il dono del Padre, che è lo Spirito Santo, lui è capace di stabilire questa armonia». Ecco perché, ha concluso il Papa, «ci farà bene leggere questo brano, oggi, e vedere le cose zione che, tanto egli personalmente quanto il popolo moldavo, nutrono per la sua persona e per la sua opera nel mondo. Il rappresentante pontificio, da parte sua, ha portato il saluto benedicente del Papa a tutti gli abitanti della Repubblica di Moldova, indipendentemente dalla loro appartenenza etnica o religiosa, esprimendo riconoscenza a coloro che si impegnano per la costruzione del futuro del Paese nella concordia e nel rispetto delle legittime differenze di tutti. Durante la sua permanenza in Moldova, il nunzio apostolico, sempre in compagnia del vescovo di Chişinău, ha reso visita al Metropolita di Chişinău e di Moldova Vladimir, del Patriarcato di Mosca, e al Metropolita di Bessarabia ed esarca delle Regioni Petru, del Patriarcato di Bucarest, prospettando con loro campi di collaborazione per favorire la concordia ecumenica nel Paese. Il nun- zio apostolico Maury Buendía è stato anche ricevuto dal sindaco di Chişinău, signor Dorin Chirtoacă, e dal decano del corpo diplomatico in Moldova, Sua Eccellenza Marius Lazurca, ambasciatore di Romania. Domenica 6 marzo, il rappresentante pontificio, che il giorno precedente aveva visitato alcune comunità ed opere sociali della diocesi, ha presieduto l’Eucaristia in lingua russa nella cattedrale di Chişinău, gremita di fedeli. All’inizio della celebrazione, monsignor Maury Buendía ha consegnato la lettera commendatizia del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, a monsignor Coşa e, nel clima festivo della domenica laetare, ha rammentato la celebrazione del giubileo straordinario della misericordia, portando ai fedeli l’affettuosa vicinanza del Papa e impartendo loro l’apostolica benedizione. servire il corpo possono essere diversi: tra questi Graf ha enumerato «la tradizione, il privilegio, servire in un’organizzazione militare, studiare la lingua o conoscere la cultura italiana, scoprire il Vaticano e la Chiesa cattolica, servire il Papa». Ma, ha aggiunto, ci sono motivi di fede. «Tante guardie — ha rivelato — hanno il desiderio di crescere spiritualmente e addirittura nella Guardia abbiamo anche delle vocazioni. Quasi ogni anno abbiamo una guardia che decide di entrare in un seminario o in un ordine religioso». Il comandante ha poi messo in luce la dimensione “familiare” del corpo della guardia svizzera: «una famiglia — ha detto — che ha bisogno di cura e sostegno». E ha poi aggiunto che l’obiettivo principale è quello «di far sì che questi giovani si sentano bene, si sentano a casa». Solo in questa maniera, ha spiegato, «si può eseguire la nostra missione. Non vogliamo essere dei supereroi o essere chiamati gli angeli custodi del Santo Padre». Piuttosto va rimarcata la volontà di lavorare «in silenzio, con dedizione e umiltà» e in spirito di servizio. «Sono intimamente convinto — ha assicurato in conclusione — che non esista un compito più nobile e bello di quello della guardia svizzera». Tra i presenti all’inaugurazione della mostra — ideata da Romina Cometti e realizzata anche grazie ai Patrons of the Arts in the Vatican Museums — il cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, l’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, l’ambasciatore di Svizzera presso la Santa Sede, Pierre-Yves Fux, il cappellano del corpo, don Thomas Widmer, Antonio Paolucci, direttore dei Musei vaticani. Nomina episcopale in Montenegro La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Montenegro. Rrok Gjonlleshaj arcivescovo di Bar Nato il 10 febbraio 1961 a Velezh, nell’amministrazione apostolica di Prizren, ha concluso la formazione scolastica primaria a Velezh e ha svolto gli studi filosofici e teologici nel seminario di Rijeka. Ordinato sacerdote nel 1987 per l’amministrazione apostolica di Prizren, ha svolto il ministero in diverse parrocchie, prima come vicario e in seguito come parroco. È stato anche direttore di Radio Maria, emittente cattolica locale, e collaboratore della rivista religioso-culturale «Drita». Attualmente era parroco di Sant’Antonio in Prishtina ed economo dell’amministrazione apostolica di Prizren.