G. CANTINO WATAGHIN, L`edilizia abitativa tardoantica e

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G. CANTINO WATAGHIN, L`edilizia abitativa tardoantica e
Gisella Cantino Wataghin
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L' edilizia abitativa tardoantica e altomedievale
nell' Italia nord - occidentale. Status quaestionis
L’edilizia abitativa tardoantica e altomedievale nell’Italia nord-occidentale è una realtà che
ancora oggi è oltremodo difficile definire: se da
un lato, infatti, scarso aiuto viene dalle fonti
scritte1 dall’altro i dati archeologici disponibili
sono relativamente modesti, ed offrono indicazioni per lo più troppo frammentarie per consentire un’analisi puntuale del fenomeno.
Le informazioni più articolate sono frutto degli scavi stratigrafici condotti a partire dagli anni Settanta in numerosi punti dell’area urbana
di Aosta, nell’ambito di un programma di ricerche sistematiche sulla città antica ed il suo territorio impostato ed attuato dalla Soprintendenza ai Beni Culturali della Regione. L’attenzione portata in corso di scavo ai contesti postclassici fin dagli interventi del 1968 - precoce
esempio di moderna archeologia urbana in Italia - ed ancor più in quelli successivi, non hanno
tuttavia trovato riscontro in pubblicazioni particolareggiate dei risultati, affidati per ora ad
alcune sintesi, peraltro apprezzabili, sulle vicende urbane della città e sulla sua stratificazione archeologica2.
Nuclei abitativi tardoantichi ed altomedievali sono stati individuati nell’ambito di alcune in sulae a sud del decumano principale e più recen-
temente nel settore sud-orientale della platea forense. Nel settore meridionale della città due
isolati ad ovest del cardine massimo (insulae 5152)3 risultano occupati dal periodo della fondazione della città da abitazioni a carattere popolare - coerente a quello di un isolato contiguo, scavato in anni precedenti 4 - che nel corso dell’età
imperiale subiscono numerosi rifacimenti, che
comportano anche la verosimile destinazione di
parte dei vani ad uso commerciale. Gli edifici
sembrano in uso fino al IV-V sec.; sul livello del
loro crollo, evidenziato nell’insula 52 e datato alla fine del IV-prima metà del V sec., si inseriscono strutture a secco attribuite al V-VI sec., dalle
quali, data l’esiguità dei ritrovamenti, non è possibile risalire ad uno schema planimetrico organico né alla destinazione funzionale dell’edificio
cui appartengono. Non è chiaro d’altronde in che
rapporto si pongano queste murature con le
strutture precedenti: se cioè la distruzione di
queste ne comporti abbandono ed obliterazione
totali, oppure ne ammetta un recupero parziale,
limitato al caso a qualche allineamento. È tuttavia da notare la difformità dell’orientamento di
parte delle murature altomedievali rispetto
all’impianto precedente5 nonché la loro sovrapposizione al cardine, che ne risulta occluso.
1 Ci riferiamo ovviamente a fonti specifiche per l’area in esame, che, per il periodo che qui interessa, sono molto ridotte
di numero, a differenza da quanto avviene per altre zone, e
poco significative ai fini del problema in oggetto. Nei principali archivi della regione, pubblicati da tempo a cura della
Società Storica Subalpina nei volumi della sua Biblioteca, le
carte dell’VIII sec. sono eccezionali, ed ancora rare quelle
del IX. In esse si trovano occasionali menzioni di casae, ca sae massaritiae, con il significato generico di struttura abitativa, che il contenuto dei documenti conservati riferisce
all’ambito rurale. È d’altronde tratto comune ai documenti
altomedievali che solo con il X sec. diventino più frequenti i
riferimenti più particolareggiati agli edifici: il problema è in
corso di studio da parte di A. Sereni, nell’ambito di una tesi
di dottorato di ricerca in Archeologia e antichità post-classiche (Università di Roma “La Sapienza”), sul tema “L’edilizia
abitativa privata nelle città dell’Italia tardoantica e altomedievale”. Ad una prima analisi, non sembrano più promet-
tenti le scarse fonti ecclesiastiche e quelle agiografiche, per
le quali sussiste comunque il problema della datazione, sottoposta solo in rari casi ad aggiornate revisioni critiche.
2 MOLLO MEZZENA 1982; 1987; 1992; MOLLO MEZZENA,
BALISTA, PEYROT 1988; cfr. anche CAVALLARO 1989.
3 MOLLO MEZZENA 1982, p. 249 ss. e fig. 36; una prima
notizia in MOLLO 1972-73.
4 BAROCELLI 1948, p. 81 ss.; FINOCCHI 1959, p. 109 ss.:
è l’isolato n. 59, occupato da strutture commerciali, dove peraltro al momento dello scavo non sono state messe in evidenza le fasi tarde.
5 Il testo della pubblicazione (cfr. nota 3), non è esplicito
quanto all’eventuale articolazione delle strutture alto-medievali in momenti successivi, come parrebbe suggerire la
pianta (MOLLO 1972-73, fig. 3, b).
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EDILIZIA RESIDENZIALE TRA V E VIII SECOLO
Il contesto tardoantico e altomedievale appare più complesso nell’insula 356 isolato prospiciente l’area forense, all’incrocio di cardine e decumano massimi, occupato nella prima età imperiale da una domus a peristilio, in parte modificata nell’inoltrato II sec. Nel IV sec. l’edificio
subisce una radicale trasformazione, che senza
mutarne la destinazione d’uso, né variare gli allineamenti esistenti, comporta una ridistribuzione degli spazi ed in particolare l’occupazione
dell’area del peristilio da parte di alcuni vani. In
un momento successivo, genericamente indicato come altomedievale, si innestano nello stesso
settore centrale dell’isolato una serie di cellule
abitative, che sembrano in parte sfruttare le
murature precedenti, senza tuttavia che questo
determini il rispetto dei loro allineamenti. Dalla pianta pubblicata7 si desume trattarsi di vani
di modeste dimensioni, organizzati in termini
che appaiono più complessi di quelli di una semplice giustapposizione, ma che sarebbe imprudente voler definire, in mancanza di un testo
esplicativo della planimetria. Rimangono indefiniti anche i caratteri della muratura; si ha invece notizia del riconoscimento, nel corso di una
seconda fase di scavo, di un pavimento ligneo,
con cui viene rialzato in questa fase il livello
d’uso di un vano, che non è però localizzato8.
Maggiori particolari sono noti per il settore
sud-orientale della platea forense9, dove è stato
accertato che all’abbandono ed al crollo del porticato e delle taberne - sopravvenuto verosimilmente nel corso del V sec, e contestuale
all’asportazione degli elementi architettonici e
pavimentali - ha fatto seguito (VI sec.?: fase III
C) una ridestinazione degli spazi di almeno alcune delle taberne ad uso abitativo, con il parziale reimpiego dei resti murari romani integrati da strutture lignee e palificazioni a sostegno
delle coperture10. In un momento successivo (fase III B: 575-800) si affianca una costruzione definita da pareti lignee su muretti a secco, per la
quale si è ugualmente supposta una funzione
abitativa: i connotati più significativi sono il suo
essere seminterrata, il fatto che occupi una sede
stradale, il suo orientamento divergente rispetto a quello delle unità contigue. Rimane peraltro da precisare se queste ultime vengano abbandonate ed obliterate, oppure se il loro uso
persista in questo periodo - compreso tra la fine
del VI ed il IX sec. - e se dunque la nuova cellula
ne rappresenti in qualche misura un complemento.
In Piemonte le ricerche di archeologia urbana
sono un fatto più recente, risalendo i primi episodi significativi solo agli inizi degli anni Ottanta11; da allora i cantieri si sono moltiplicati, interessando in misura diversa tutti i principali centri della regione12, con risultati peraltro che ai fini del problema dell’edilizia abitativa altomedievale sono solo raramente di qualche rilievo. Almeno in parte ciò è dovuto al fatto che di queste
indagini non sono in genere disponibili se non
notizie preliminari, quando non siano completamente inedite, cosa che non può stupire, trattandosi di lavori spesso recentissimi se non addirittura in corso. È questo il caso, fra gli altri, di alcuni interventi di non piccola estensione nel centro storico di Torino, in aree destinate in età romana ad uso residenziale. Nel 1991 13, in prossimità della porta nord-orientale della città romana (Porta Palatina), sovrapposto alla distruzione e all’abbandono di un edificio residenziale romano è stato individuato un livello di occupazione tardoantica, testimoniato da due edifici a
pianta rettangolare delimitati da murature a
secco in ciottoli di grandi dimensioni, con palificazioni interne a sostegno della copertura e piano di calpestio costituito in un caso da un battuto di argilla, nell’altro forse da un assito14. Sembra possibile che, come ad Aosta, la muratura in
ciottoli privi di legante fosse la base di un elevato ligneo: ma a questo riguardo è necessario attendere la pubblicazione dettagliata dello scavo.
6 MOLLO MEZZENA 1982, p. 255 e fig. 42.
gia urbana nella regione cfr. FILIPPI, CORTELAZZO 1989
e FILIPPI 1991c; cfr. anche MERCANDO 1992.
7 Ibid., fig. 42 a p. 256.
8 MOLLO MEZZENA 1988, p. 93. Interventi simili, non me-
glio precisati, sono segnalati anche nelle insulae 32 e 22:
MOLLO MEZZENA 1992, p. 275.
9 MOLLO MEZZENA 1988.
10 Anche nell’area forense si registrano già nel IV sec. inter-
venti di un certo rilievo, che, come nelle insulae sopra ricordate, modificano la distribuzione degli spazi e quindi le modalità
del loro uso, che rimane però pubblico (MOLLO MEZZENA
1992, p. 274); in questo quadro si inserisce la costruzione di un
grande edificio, forse pubblico, a ridosso del lato orientale del
foro, nel cui ambito viene allestita sullo scorcio del IV sec. la
chiesa episcopale (BONNET, PERINETTI 1986).
11 FILIPPI 1982; per una sintesi dei problemi dell’archeolo-
12 Diamo qui un’indicazione riassuntiva dei contributi più
significativi, rimandando per ulteriore bibliografia alle note
successive: ZANDA, CROSETTO, PEJRANI 1986 (Asti);
BRECCIAROLI TABORELLI 1987 (Ivrea); FINOCCHI (,a
cura di ), 1987, (Libarna); FILIPPI, CORTELAZZO 1989
(Alba); PANTO’ 1991 (Chieri); BRECCIAROLI TABORELLI 1990, MORRA 1990, GALLESIO 1993 (Susa); FILIPPI
1991c (Torino); AA.VV. 1993 (Industria); cfr. inoltre MERCANDO 1992. Di scarso rilievo invece gli interventi nelle
aree urbane di Novara, Libarna e Dertona: cfr. infra nota
20.
13 FILIPPI, PEJRANI, SUBRIZIO 1993.
14 Ibid., p. 292.
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Elementi relativi al periodo tardoantico e altomedievale mancano invece in un’altra insula
della città, a ridosso questa del tratto nordorientale della cinta muraria, occupata anch’essa in età romana da un edificio di abitazione e
apparentemente abbandonata dopo il crollo di
questo15.
Ugualmente negativi i diversi scavi condotti
ad Asti16, Acqui Terme 17, Ivrea18, Industria 19 e
la maggioranza di quelli, pur numerosi, di Alba20 in questi centri il periodo tardoantico sembra aver lasciato solo tracce di frequentazione,
non collegabili a strutture insediative. È emblematica la situazione messa in luce a Ivrea, nel
settore orientale della città21, dove sono state
individuate strutture lignee probabilmente abitative, datate ad età medievale, più recenti
quindi del periodo che qui interessa, nel contesto di magazzini romani; la fase altomedievale
sembra testimoniata solo da interventi di spoliazione, che fanno seguito a qualche modifica
dell’impianto originario, intervenuta in età tardoromana, che non ne modifica la destinazione
funzionale. Questo fatto non può non lasciare
perplessi, dal momento che non mancano indizi
che suggeriscono per quasi tutti questi centri
una consistenza non del tutto trascurabile della
realtà urbana: il primo e il più significativo è il
costituirsi delle rispettive diocesi intorno alla
metà del V sec. o nei decenni immediatamente
successivi22. Nel caso specifico di Asti poi, mate-
riali architettonici testimoniano un’attività significativa nell’alto medioevo, coerente con il
ruolo della città nelle vicende del tempo, quale
emerge dalle fonti 23, né si può ignorare l’entità
dell’opera di recupero di materiali edilizi romani, ampiamente documentata dagli scavi 24; è
proprio in connessione con tali attività che si
colloca l’unica struttura altomedievale sinora
individuata, un piccolo edificio a pali lignei situato all’interno di un isolato romano25. Solo Industria sembra effettivamente interessata da
un precoce fenomeno di decadenza 26, anche se
l’abbandono nel V sec. dell’area finitima all’Iseo
- l’unica indagata in tempi recenti27 - non implica automaticamente una vicenda analoga di
tutto l’impianto urbano; merita d’altronde ricordare che la zona dell’Iseo è comunque interessata tra IV e V sec. da trasformazioni, che vedono
il sovrapporsi agli isolati romani distrutti di
strutture in laterizi di reimpiego e ciottoli messi
in opera a secco28. Negli altri centri invece i materiali, specie ceramici, ritrovati negli strati tardoantichi, a giudicare almeno dalle indicazioni
sommarie contenute nelle notizie preliminari
pubblicate, paiono in netta contraddizione con
un’immagine di abbandono dei siti. È emblematico il caso di un contesto di Acqui Terme, dove
nella fase di distruzione/abbandono di un edificio romano attivo fino al IV sec. un deposito nerastro ricco di carboni è caratterizzato da una
consistente presenza di ceramica, che accanto
15 FILIPPI 1983 e 1991c, p. 14; cfr. anche ibid., p. 25, per
strutture tardoromane, a destinazione prevalentemente artigianale, rinvenute in area suburbana, mentre è del tutto
inedito un altro scavo, condotto sempre dalla dott. Filippi in
questi anni, in un contesto abitativo del centro storico della
città (v. S. Agostino).
passaggio dalla tarda antichità al medioevo; l’assenza di
informazioni sui suoi sviluppi dopo la media età imperiale
(cfr. FINOCCHI (a cura di), 1987, appare però dovuta alle
vicende delle indagini archeologiche (per le quali cfr. MONACO 1936 e FINOCCHI 1959) più che a fatti oggettivi: la
continuità di vita della città in età tardoantica sembra provata da ritrovamenti monetali (FAVA 1987). Sono solo agli
inizi le ricerche nel contesto di Pollentia, altro centro “scomparso” (FILIPPI 1991).
16 ZANDA, CROSETTO, PEJRANI 1986; ZANDA 1988a;
ZANDA, GALLESIO 1988; ZANDA, CROSETTO 1991;
CROSETTO 1993b; ZANDA, CROSETTO 1993.
17 CROSETTO 1988 e 1988a; ZANDA, FILIPPI 1991; CRO-
SETTO 1993 e 1993a; FILIPPI, CROSETTO 1993.
18 BRECCIAROLI TABORELLI 1987, 1988 e 1988a.
19 CERESA MORI 1979; ZANDA 1982, 1983, 1984, 1986,
1988, 1990, 1991, 1992, 1992a e 1993; ZANDA, ALESSIO
MANZONI 1985 e 1988; AA.VV. 1993; CRESCI MARRONE, MENNELLA, ZANDA 1993.
20 FILIPPI 1988, 1989, 1991, 1991a, 1992 e 1993; FILIPPI,
CORTELAZZO 1989. Mancano finora dati sui livelli tardoantichi di Susa, non individuati in alcuni recenti scavi in
area urbana (BRECCIAROLI TABORELLI 1990; MORRA
1990; GALLESIO 1993; per un quadro di sintesi delle attuali conoscenze sulla città cfr. CANTINO WATAGHIN
1987 e MERCANDO 1993) così come di Novara (SCAFILE
1985 e 1987; UGLIETTI 1987; PEJRANI BARICCO 1987),
Dertona, centro peraltro di sicura importanza, come prova
la documentazione epigrafica (MENNELLA 1990) e Libar na. Quest’ultimo centro, come Industria, è abbandonato nel
21 BRECCIAROLI, TABORELLI 1987.
22 SAVIO 1898, passim; LANZONI 1927, passim; CASIRA-
GHI 1979, p. 1 ss.; BOLGIANI 1982; PIETRI 1987.
23 A questo proposito cfr. BORDONE 1980; i materiali più
significativi sono costituiti da capitelli e rilievi di VII-VIII
sec. reimpiegati nelle cripte di S. Anastasio e di S. Giovanni:
cfr. VERZONE 1972; GABRIELLI 1977, pp. 33, 37; CROSETTO 1993, p. 149.
24 Cfr. bibliografia cit. a nota 16, in particolare ZANDA,
CROSETTO, PEJRANI 1986.
25 CROSETTO 1993b, p. 146.
26 Cfr. bibliografia cit. a nota 19.
27 Cfr. bibliografia a nota 19 e inoltre BARRA BAGNASCO,
BONACA BOCCACCIO, MANINO 1967; una sintesi delle
ricerche in ZANDA 1993, p. 32 ss. e un’ipotesi di lettura
dell’impianto urbano ibid., p. 31 ss.
28 ZANDA 1984, 1988, 1988a e 1991.
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EDILIZIA RESIDENZIALE TRA V E VIII SECOLO
alla grezza vede, in proporzione non trascurabile, terra sigillata africana, invetriata e sigillata
tarda di imitazione29. È evidente che una eventuale destinazione a coltivo, quale è stata ipotizzata per quest’area, precedentemente destinata
ad uso abitativo, non solo non escluderebbe, ma
al contrario presupporrebbe un’occupazione
delle aree viciniori, ancorché non individuata.
Anche altri contesti presentano situazioni simili, che rimandano ad una fenomenologia ben
conosciuta per le aree urbane nel passaggio
dall’antichità al medioevo30. La peculiarità del
quadro piemontese sembra essere, al caso, il
precoce avvio del processo di trasformazione,
che almeno in alcuni dei centri meridionali della regione si manifesta già con il IV sec; distruzioni ed abbandoni del III sec. non sono infatti
seguiti da recuperi e ripristini, come si constata
invece altrove in circostanze analoghe a partire
dall’età tetrarchica31; ma ciò non significa necessariamente che la destrutturazione non si
accompagni ad una ristrutturazione secondo
forme nuove, che solo fattori contingenti non
hanno finora consentito di cogliere. In particolare, i limiti e la dislocazione degli interventi, originati dalle esigenze degli sviluppi urbani contemporanei e non da uno specifico programma
di ricerca, possono non aver consentito di localizzare le unità abitative in tessuti urbani che
dobbiamo ragionevolmente ipotizzare a trama
più larga di quelli romani ed eventualmente con
aree di più consistente abbandono, che possono
essere state casualmente privilegiate dagli sca-
vi. Non sembra fuori luogo a questo proposito richiamare le sensibili differenze nella stratificazione di due aree molto prossime nel centro urbano di Aosta: quanto accertato nell’insula 35
sopra ricordata ha scarsi riscontri con i risultati
dei più recenti scavi nella cappella di S. Grato,
situata nell’isolato corrispondente a nord del
decumano massimo32: qui infatti mancano livelli di occupazione intermedi fra la fase romana,
testimoniata dai resti di un muro di fondazione
parallelo al decumano, forse pertinente al limi te meridionale dell’area forense, e la cappella
costruita nel XV sec.33. La cautela, d’altronde, è
necessaria anche nei confronti dei contesti romani, in genere più omogenei: ad Acqui un sito
contiguo all’area termale di età romana si è rivelato del tutto privo di livelli di frequentazione
di quel periodo34.
A questo proposito - e pur con tutte le riserve
in ordine alla legittimità di deduzioni troppo
stringenti - si può aggiungere che dal generale
quadro negativo proposto dagli scavi di Alba si
distaccano i risultati dell’unico intervento finora
condotto nel settore sud-occidentale della città,
mentre gli altri si collocano piuttosto in quello
sud-orientale35. L’intervento in questione36 ha
interessato un’area di 400 mq circa, prossima alla linea delle mura, dove è stata messa in luce
parte di un isolato romano, occupato da un edificio residenziale organizzato intorno ad un peristilio e da ambienti, prospicienti la strada, a possibile destinazione commerciale. Dopo una fase
di abbandono, prodottosi forse già nel III sec.37,
29 ZANDA, FILIPPI 1991; FILIPPI 1992.
32 CAVALLARO, DE GATTIS, SERGI, VANNI DESIDERI
1992; CAVALLARO, DE GATTIS, SERGI 1993.
30 Gli “strati neri” sono una presenza costante nei centri ur-
bani piemontesi, ad eccezione di Vercelli (cfr. VASCHETTI
1983; BRECCIAROLI TABORELLI, PANTO’, GALLO ORSI 1984; BRECCIAROLI TABORELLI, PANTO’ 1984; SPAGNOLO GARZOLI 1991; per una sintesi della bibliografia
sull’argomento cfr. CANTINO WATAGHIN 1992, p. 23.
31 CANTINO WATAGHIN 1992, 1992a e in c.d.s. Sul pro-
blema del precoce degrado delle città del Piemonte meridionale, che si accompagna ad un tasso elevato di abbandoni
nel corso dell’alto medioevo, cfr. il sempre stimolante SCHMIEDT 1974 e più recentemente LA ROCCA 1992 e FILIPPI, ZANDA 1993, con ipotesi di lettura che andrebbero peraltro discusse più a fondo di quanto sia opportuno fare in
questa sede. Ci limitiamo a ribadire come le situazioni di
abbandono messe in luce negli scavi siano contraddette da
altri dati; a quanto già rilevato nel testo, si può aggiungere
il caso di Chieri, dove all’apparente, precoce abbandono dei
contesti abitati (ZANDA 1987; PANTO’1991 e 1991a; PANTO’, ZANDA, CAMPARI 1991; ZANDA, PANTO’, SCIAVOLINO 1993; ZANDA, PANTO’, FOZZATI, BERTONE 1993)
fa riscontro una documentazione epigrafica tardoantica
non trascurabile, per la quale cfr. CRESCI MARRONE
1984 e 1991 e MENNELLA, COCCOLUTO in c.d.s. Non è
forse da escludere che questi strati ammettano anche letture diverse.
33 CAVALLARO, DE GATTIS, SERGI, VANNI DESIDERI
1992 p. 188 ss.
34 CROSETTO 1993.
35 FILIPPI, CORTELAZZO 1989, fig. 15 a p. 44. Gli interventi effettuati nell’area del Duomo (nn. 7 e 9), dove è ipotizzata la cattedrale paleocristiana (CANTINO WATAGHIN 1985, p. 100 ss. e 1989, p. 164 ss.) non sono significativi, poiché si è trattato di semplici accertamenti legati ad
esigenze di cantieri in corso, cui non hanno fatto seguito
campagne di scavi regolari (FILIPPI, CORTELAZZO 1989,
p. 52 ss.). Nel contesto del Duomo in anni passati erano state messe in luce delle sepolture, attribuite al V-VI sec.
(MACCARIO 1982): questa cronologia è però discutibile e
non ha comunque implicazioni dirette sui modi di occupazione delle aree circostanti: al riguardo e sul problema generale delle sepolture urbane, cfr. LAMBERT 1994. Va d’altro canto osservato che anche nel settore sud-orientale non
sono del tutto assenti segni di occupazione altomedievale:
ricordiamo l’intervento al pozzo della casa romana individuata nell’area del Teatro Sociale (FILIPPI, CORTELAZZO
1989, p. 46).
36 Ibid., p. 48.
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in corrispondenza del peristilio si forma un nuovo nucleo abitativo; questo recupera il muro perimetrale del peristilio stesso, usandolo come base di una muratura ad ossatura lignea, dei cui
elementi portanti rimangono gli alloggiamenti
quadrangolari realizzati nel muro romano. La
pianta del nuovo edificio non è definita, ed è del
resto evidente che esso si sviluppa al di fuori dei
limiti dello scavo; è però verosimile uno schema
quadrangolare, più o meno coincidente con
l’area scoperta del peristilio della domus, il cui
lato evidenziato misura m 7,50. Questa struttura si colloca, in termini generali, in età altomedievale 38; il materiale ritrovato in associazione,
costituito da ceramica grezza, depurata, sigillata tarda di imitazione e, in quantità minima, da
invetriata e sigillata grigia decorata a stampigliatura (un frammento), oltre ad anforacei e ceramica romana residua, trova confronti con altri
contesti di Alba e Acqui, per i quali ultimi è stata proposta una datazione al V sec.39.
Un nucleo abitativo altomedievale è stato
messo in luce recentemente a Vercelli 4 0, in
un’area occupata in età romana da almeno due
edifici contigui, di cui uno a carattere forse pubblico, che mostrano più fasi, tra il I sec. d.C. e
l’età tardoantica. All’abbandono di queste strutture fa seguito una nuova occupazione, testimoniata da una serie di buche da palo che definiscono uno spazio rettangolare, entro cui si colloca, apparentemente contestuale, una fossa anch’essa rettangolare, che sembra essere stata
coperta da un assito ligneo. Nella notizia preliminare non sono precisate le dimensioni del vano, né il suo rapporto con i livelli di calpestio e le
murature degli edifici precedenti, che, per
quanto non riutilizzate per la definizione delle
sue strutture perimetrali, non sembrano completamente obliterate. I termini cronologici sono molto ampi: l’attribuzione ad epoca altomedievale si colloca infatti fra due estremi di riferimento costituiti dalle strutture romane da un
lato, e dall’altro da strutture e suoli di XV-XVI
sec.41. Bisogna evidentemente attendere la pubblicazione dello scavo per approfondirne la valutazione.
Lo stesso vale per i ritrovamenti del castrum
di Belmonte, dove gli scavi della Soprintendenza
Archeologica del Piemonte stanno faticosamente
recuperando il contesto insediativo, pressoché
ignorato dai primi scavi, che hanno messo in luce il sito negli anni 1968-197542. Le schede preliminari più recenti43 segnalano strutture, in cui
la delimitazione dei vani è affidata a muri con
basamento in scapoli di pietra legati da malta
povera e verosimile sviluppo in elevato in legno o
strutture leggere; serie di buche da pali all’interno di questi vani, a ridosso dei muri perimetrali,
sembrano testimoniare l’affermarsi dell’uso di
tecniche a struttura portante lignea, dapprima
in associazione alla muratura - a somiglianza
forse di quanto è segnalato a Torino44 - e quindi
autonoma, come indicano le varie buche relative
a piani d’uso successivi45. Frammenti di tegole
ritrovati in quantità rilevante e, sembra, su vasto raggio - in assenza di reimpieghi nella muratura, se non occasionali - attestano l’adozione regolare della copertura laterizia, mentre i suoli
sono normalmente in terra battuta, con l’unica
eccezione di un pavimento a lastre di pietra. I
materiali ritrovati consentono di fissare l’orizzonte cronologico dell’insediamento tra V e VII
sec.46; entro questo arco di tempo si collocano le
fasi edilizie dell’abitato, che accompagnano almeno tre ricostruzioni della cinta muraria, senza peraltro che se ne possano definire le scansioni, né proporre per ora un preciso collegamento
con fatti storici, nonostante la presenza significativa di materiali longobardi di VII sec.47.
Una fase insediativa forse altomedievale unico indicatore cronologico il terminus ante
quem della fine del X sec. - caratterizzata da
strutture lignee, associate a focolari con piano
di cottura in pietra, è stata messa in luce recentemente anche nel sito del castello di Manzano,
presso Cherasco (Cuneo)48. Sono invece datate
37 FILIPPI 1992, p. 128.
44 L’analogia dei due casi è da verificare, poiché per quanto
riguarda Torino si dispone solo di una descrizione; sarebbe
inoltre da controllare se a Belmonte le stratigrafie provino
la contestualità d’uso dei perimetrali in muratura e dei pali
lignei interni, o se non ci si trovi di fronte ad un uso successivo, con esiti, per quanto riguarda le tracce messe in luce
dallo scavo, simili a quelle di Vercelli (cfr. supra, nota 40).
38 FILIPPI, CORTELAZZO 1992.
39 FILIPPI 1992, p. 128.
40 SPAGNOLO GARZOLI 1991; un precedente intervento
in una zona centrale della città antica (p. Cavour) aveva
messo in luce strati con una notevole quantità di ceramica
tardoromana; non è significativo che non fossero state individuate strutture, data l’estensione limitatissima dello scavo: VASCHETTI 1984.
41 SPAGNOLO GARZOLI 1991, p. 233.
42 CARDUCCI 1970 e 1975-76; ZAMBELLI 1978.
43 PEJRANI BARICCO 1984, 1986 e 1991; PEJRANI BARIC-
CO, GALLESIO 1988; PEJRANI BARICCO, PANTO’ 1992.
45 PEJRANI BARICCO 1991, p. 203 e PEJRANI BARICCO,
PANTO’ 1992, p. 158.
46 PEJRANI BARICCO, PANTO’ 1992, p. 159 ss.
47 SCAFILE 1970, 1971, 1972 e 1978; VON HESSEN 1974;
PEJRANI BARICCO 1990.
48 MICHELETTO 1990, 1992, 1994; BEDINI, MICHELETTO 1992; CERRATO, CORTELAZZO, MICHELETTO 1990.
94
EDILIZIA RESIDENZIALE TRA V E VIII SECOLO
Fig. 1 - Aosta, insula 35: planimetria (da Mollo Mezzena 1982).
Fig. 2 - Aosta, platea forense: planimetria generale (da Mollo Mezzena 1988).
Gisella Cantino Wataghin
Fig. 3 - Aosta, platea forense: planimetria della fase III B (da Mollo Mezzena 1988).
Fig. 4 - Aosta, platea forense: planimetria della fase III C (da Mollo Mezzena 1988).
95
96
EDILIZIA RESIDENZIALE TRA V E VIII SECOLO
Fig. 6 - Alba, via Gioberti, particolare: interventi altomedievali sulle strutture romane (da Filippi, Cortelazzo 1989).
Fig. 5 - Alba, via Gioberti: planimetria (da Filippi,
Cortelazzo 1989).
Fig. 7 - Belmonte: vano abitativo (da Pejrani Baricco).
Fig. 8 - Gattico: veduta generale dello scavo (da Spagnolo Garzoli 1988).
Gisella Cantino Wataghin
97
con buona approssimazione al V-VI sec. le unità
abitative individuate in frazione S. Giorgio di
Brignano Frascata (Val Curone, Alessandria)49,
riferite ad un insediamento agricolo succeduto
nella tarda antichità ad una prima occupazione
di età romana. I vani, di planimetria imprecisabile, sono definiti da perimetrali con zoccolo in
ciottoli e sviluppo in elevato con struttura portante lignea tamponata con argilla e paglia e
con copertura in tegole.
Questo insieme di dati suggerisce alcune
considerazioni.
Entro l’arco cronologico considerato sembra
di poter cogliere due ordini di fenomeni distinti
e sostanzialmente successivi. Il primo si colloca
nel IV-V sec. ed è caratterizzato da trasformazioni e adattamenti degli edifici romani, che si
inseriscono entro le linee planimetriche preesistenti50; non è chiaro se queste modifiche, che
interessano l’articolazione interna degli spazi,
intervengano in maniera significativa anche sugli alzati e quindi sulla volumetria degli edifici;
potrebbe essere un indizio in questo senso la
qualità delle murature, poco curate e in genere
di spessore ridotto, che può comportare una diversa organizzazione del sistema di copertura
anche quando non vi siano vistose alterazioni a
livello planimetrico. Purtroppo non si dispone in
nessun caso di planimetrie organiche, che consentano di giudicare la funzione relativa delle
singole murature: non è quindi possibile sviluppare l’argomento, che è tuttavia fondamentale
per valutare l’incidenza di queste trasformazioni sul paesaggio urbano51. All’apparenza questi
interventi non modificano l’uso abitativo complessivo, ma indubbiamente essi incidono e in
misura non trascurabile sulla destinazione funzionale e sui modi d’uso dei singoli vani. Ciò implica dei mutamenti nello stile di vita: rimane
da chiarire se questi siano legati di volta in volta a singole situazioni socio-economiche o non
abbiano piuttosto una valenza più ampia, nel
quadro di trasformazioni strutturali della società tardoantica. La vastità della fenomenologia, che non è solo piemontese52, orienta a favore di questa seconda ipotesi.
In un momento successivo (VI sec.?) intervengono modifiche più radicali, che investono la
tecnica costruttiva, la formulazione degli spazi
e la loro organizzazione, non senza incidere anche sull’articolazione del tessuto urbano. Sul
piano costruttivo, si rileva l’adozione sistematica dell’elemento ligneo in funzione portante; le
formulazioni non sono sempre chiare, ma appaiono comunque diversificate, in particolare in
ragione del suo impiego esclusivo o della sua associazione con parti strutturali in muratura e
delle sue modalità. Ai casi di zoccolo in pietre, a
secco oppure legate con malta povera o argilla, e
sovrastante struttura in traliccio ligneo tamponato da argilla, tecnica di largo impiego in periodo romano53, fa riscontro infatti l’inserimento di pali portanti già nella base in muratura attestato ad Alba 54; qui si è operato un adattamento di strutture preesistenti, probabilmente
degradate, almeno in parte, al momento del loro
recupero; la soluzione corrisponde però puntualmente a quella adottata a S. Stefano Belbo,
in una costruzione che appartiene al periodo più
recente di occupazione del sito da parte di un insediamento fortificato di IV-VI sec.55. Anche la
soluzione adottata a Belmonte, di una struttura
portante lignea collocata all’interno di muri di
chiusura in pietra, sembra frutto di una successione di interventi 56, mentre una integrazione
apparentemente analoga è indicata a Torino come pertinente ad un’unica fase edilizia57.
Pur nell’ampia approssimazione di molte
cronologie, sembra che l’uso esclusivo del legno
sia un fatto in genere più recente rispetto alle
tecniche miste: la sequenza è chiara a Belmonte58. Sugli organismi definiti da queste murature non si può dire molto; i vani individuati sono
in genere di ridotte dimensioni e si presentano
isolati o, nel solo caso dell’insula 35 di Aosta,
raggruppati per giustapposizione in nuclei di
modesta entità; ciò implica una destinazione polifunzionale dei singoli vani, sulla quale non è
però particolarmente illuminante l’occasionale,
e in certa misura scontata, individuazione di focolari.
Si deve rilevare infine che gli interventi tar-
49 PANTO’ 1992: la cronologia è assicurata dai materiali ceramici e dalla loro associazione con una moneta della seconda metà del IV sec., ed è confermata da analisi al C14.
55 MICHELETTO 1992, figg. 3-4; non è invece chiaro il rapporto fra murature romane ed elementi lignei successivi
nell’adattamento tardo delle taberne dell’area forense di Aosta (cfr. supra e nota 10).
50 A quelli già ricordati si possono aggiungere ancora gli in-
terventi individuati a Caraglio, per i quali cfr. PELLEGRINO 1990 e MICHELETTO, MOLLI BOFFA 1991.
51 CANTINO WATAGHIN 1992 e 1992a.
56 PEJRANI BARICCO 1992, p. 159.
57 FILIPPI 1993; da ricordare ancora la tecnica mista mes-
53 CANTINO WATAGHIN 1992a, p. 23 ss.
sa in opera in un contesto nei pressi di Caraglio, dove il trave ligneo è impiegato come orizzontale nello zoccolo di fondazione in muratura di un alzato forse in crudo (PELLEGRINO 1990).
54 Cfr. supra e nota 36.
58 PEJRANI BARICCO 1992.
52 Cfr. bibliografia cit. alla nota precedente.
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EDILIZIA RESIDENZIALE TRA V E VIII SECOLO
doantichi comportano non di rado delle variazioni di allineamento più o meno sensibili rispetto
agli impianti precedenti. Alle testimonianze dei
contesti urbani 59 si affiancano quelle di alcuni
siti rurali. A Gattico l’ultima fase di utilizzo di
un’area occupata tra il II e il IV sec. da due edifici a verosimile destinazione rustica è costituita
da una struttura che si sovrappone alle murature preesistenti, reimpiegandone i materiali di
crollo, con un orientamento del tutto indipendente60. Lo stesso avviene a Lenta61, anche qui
in un momento posteriore al IV sec., ma anteriore alla costruzione della chiesa battesimale, attribuita al V-VI sec., perché le strutture in questione sono sigillate dallo stesso strato alluvionale che precede quest’ultima62. In termini diversi, la rottura degli schemi romani è palesata
ad Alba dall’occupazione per la costruzione medievale dell’area scoperta del peristilio della do mus romana, a preferenza delle parti già edificate63. Le ragioni di queste scelte non sono chiare,
specie considerando che non è verosimile una totale obliterazione delle strutture romane, anche
nel caso in cui siano state soggette a periodi di
abbandono, che rimangono comunque da quantificare quanto a durata, e prima ancora, almeno
in certi casi, da verificare. In termini diversi lo
stesso problema di rapporto con il contesto preesistente si pone, indipendentemente dalla questione degli allineamenti, per l’inserimento di
strutture lignee entro edifici romani, come avviene a Vercelli64: non c’è che da auspicare che la
pubblicazione completa degli scavi e/o il loro proseguimento forniscano ulteriori dati all’analisi.
(Gisella Cantino Wataghin)
59 Cfr. in particolare Aosta: supra e note 5 e 6.
62 GARERI CANIATI 1986.
60 SPAGNOLO GARZOLI 1988.
63 Cfr. supra e nota 36.
61 SARDO 1988 e 1988a.
64 Cfr. supra e nota 40.
Gisella Cantino Wataghin
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