L`autonomia collettiva nel nuovo diritto del lavoro

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L`autonomia collettiva nel nuovo diritto del lavoro
L’autonomia collettiva nel nuovo diritto del lavoro
Alberto Pizzoferrato, Università di Bologna
SOMMARIO
1) L’Europa e l’Italia: storia breve di un lungo itinerario; 2) L’aggiornamento delle procedure di
sorveglianza per squilibri macroeconomici e di bilancio e la strategia di Europa 2020; 3) Gli orientamenti
integrati: le risposte del nostro legislatore interno; 4) Successi politici del nostro Governo; 5) I sacrifici
assunti sul versante delle tutele del lavoro. Jobs Act e autonomia collettiva; 6) Nuovi assetti della
contrattazione collettiva: verso un «decentramento disorganizzato»?; 7) Dalle regole alle prassi, traiettorie
di sviluppo della dimensione collettiva; 8) Protezione e flessibilizzazione nell’attuale fase di
globalizzazione dei mercati si possono tenere insieme?
1) L’Europa e l’Italia: storia breve di un lungo itinerario
Non si può approcciare il tema degli effetti degli orientamenti integrati europei sullo sviluppo del diritto
sociale interno, con le relative ricadute sul ruolo e competenze dell’autonomia collettiva, senza aver prima
fornito una sintetica descrizione, dapprima, delle tappe evolutive e funzionali fondamentali dell’ordinamento
europeo, quindi del contesto normativo entro cui si muovono le attuali dinamiche relazionali fra Istituzioni
europee e Governo nazionale (procedure di sorveglianza sugli squilibri economici e di bilancio e strategia
Europa 2020). L’intento è quello di verificare il grado di pervasività dell’azione europea sulle scelte interne
di politica sociale per poter valutare il grado di autonomia dell’ordinamento nazionale, e successivamente
come è stato utilizzato tale spazio di agibilità da parte del nostro legislatore e quali riflessi si sono già
determinati e quali potrebbero determinarsi nell’immediato futuro a carico delle relazioni collettive e del
sistema di rappresentanza sindacale1.
Seguendo tali obiettivi, il presente contributo si articolerà in una prima parte dedicata alla sintetica
rappresentazione del modello europeo, come determinatosi all’indomani della crisi finanziaria e produttiva
mondiale, in costante oscillazione fra dimensione intergovernativa e rivendicazione di una propria identità
federale; una seconda parte dedicata all’analisi delle principali misure sociali adottate dal nostro Governo
all’insegna di una riforma strutturale del mercato del lavoro, con particolare focus sulle norme che
coinvolgono la contrattazione collettiva; la terza parte riguarderà l’uso che l’autonomia collettiva ha fatto dei
nuovi spazi di liberalizzazione e flessibilizzazione gestionale messi a disposizione dal legislatore; la parte
finale del lavoro si farà carico non solo di verificare le conseguenze prodotte dal new deal de-regolativo ma
anche di ipotizzare nuovi scenari operazionali entro cui il contratto collettivo sarà chiamato a muoversi nel
prossimo futuro, nella convinzione, radicata nell’esperienza maturata, che ogni riforma, per avere successo e
dare i frutti sperati, dovrebbe essere graduale, socialmente accettabile e proporzionata allo scopo che si
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Sulla ingravescente ingerenza della dimensione sovranazionale europea nella definizione ed esecuzione delle politiche
sociali nazionali quali ambiti regolativi direttamente incidenti sulla competitività dei sistemi economici di ciascun paese
membro e quindi sullo stato di salute dei rispettivi conti pubblici interni, cfr., da subito, F. SANTONI, La revisione
della disciplina dei rapporti di lavoro, in F. CARINCI (a cura di), La politica del lavoro del Governo Renzi Atto II,
Adapt Labour Studies e-book series n. 32, p. 117; sia consentito il rinvio anche al mio scritto Il percorso di riforme del
diritto del lavoro nell’attuale contesto economico, in Arg. Dir. Lav., 2015, p. 53 ss.
1
prefigge; diversamente verrà vissuta ed attuata in maniera iniqua e con possibili «crisi di rigetto» da parte
dello stesso sistema che intende plasmare.
La genesi dell’ordinamento europeo è stata assai complessa ed articolata e si colloca all’interno di una
peculiare fase storica, come emergente all’esito della seconda guerra mondiale, caratterizzata dalla divisione
nei due blocchi, occidentale e orientale2. Peraltro l’avvio istituzionale dell’esperienza sovranazionale nasce
da un obiettivo economico ben preciso, che costituirà il faro illuminante dell’iniziativa comunitaria dei primi
decenni: la creazione del mercato comune europeo per il tramite delle tre Comunità CECA, Euratom e CEE.
Il progetto non era particolarmente invasivo sul versante della sovranità degli Stati aderenti in quanto
circoscritto nell’azione e legato nelle competenze al principio di attribuzione; si fondava sui quattro pilastri
della libertà delle merci, dei capitali, dei servizi e delle persone, e riteneva la questione sociale come effetto
conseguenziale della prosperità o meno del sistema economico, che andava sostenuto in una dimensione
ultranazionale, anche al fine di favorire istanze solidaristiche e protettive dei lavoratori. L’assunto era
semplice: spingere la crescita e l’integrazione economica per determinare, quale effetto indiretto,
l’incremento della produttività e dell’occupazione ed innalzare la domanda interna. D’altronde che il
progresso sociale e delle condizioni di lavoro dovesse discendere automaticamente dallo sviluppo economico
su base europea trovava il proprio riconoscimento formale nell’art. 100 del Trattato CEE che funzionalizzava
ogni direttiva comunitaria, al di fuori dei predetti ambiti (libertà di circolazione e parità di trattamento), alla
realizzazione di un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato comune.
Per il vero una siffatta «frigidità sociale» della Comunità europea si è gradatamente affievolita nel corso
degli anni ’703, che hanno visto maturare una serie di importanti iniziative armonizzatorie sul versante
sociale, volte a gettare le basi di un significativo miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, almeno
dei cittadini degli Stati membri (all’epoca nove, dopo l’ingresso di Danimarca, Irlanda e Regno Unito nel
1973). Si è così intervenuto su materie sensibili e ad alto valore simbolico (licenziamenti collettivi,
trasferimenti d’azienda, tutela dei crediti di lavoro in caso di insolvenza del datore di lavoro), con
l’introduzione di standard minimi di trattamento da assicurare comunque ai lavoratori interessati da fenomeni
di riorganizzazione o disgregazione d’impresa. Tale processo di espansione della dimensione sociale è stato
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La più suggestiva ricostruzione delle vicende politiche, culturali e legislative che hanno portato alla nascita ed alla
evoluzione dell’Europa comunitaria si trova, a mio avviso, in F. CARINCI, Piano, piano, dolce Carlotta: cronaca di
un’”Europa” in cammino, in F. CARINCI, A. PIZZOFERRATO (a cura di), Diritto del lavoro. Commentario, UTET,
Torino, 2010, p. 1 ss., ed ivi per ampi e mirati rinvii bibliografici. Si segnalano, altresì, oltre alle opere citate nelle note
che seguono, anche L. GALANTINO, Diritto del lavoro dell'Unione europea, Giappichelli, Torino, 2014; P.
MENGOZZI, C. MORVIDUCCI, Istituzioni di diritto dell'Unione europea, Cedam, Padova, 2014; C. BARNARD, S.
PEERS, European union law, Oxford University Press, Oxford - New York, 2014; B. BERCUSSON, European labour
law, Cambridge University Press, Cambridge, 2009; P. GROSSI, L’Europa del diritto, Laterza, Roma - Bari, 2009; S.
GIUBBONI, Diritti sociali e mercato: la dimensione sociale dell’integrazione europea, Il Mulino, Bologna, 2003; M.
BARBERA, Dopo Amsterdam. I nuovi confini del diritto sociale comunitario, Promodis Italia Editrice, Brescia, 2000;
P. DAVIES, A. LYON-CAEN, S. SCIARRA, S. SIMITIS, European Community Labour Law: Principles and
Perspectives. Liber Amicorum Lord Wedderburn of Charlton, Clarendon Press, Oxford, 1996; A. LO FARO,
Maastricht ed oltre. Le prospettive sociali dell’Europa comunitaria tra resistenze politiche, limiti giuridici ed incertezze
istituzionali, in Dir. Rel. Ind., 1993, p. 125 ss.
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Come noto, la famosa espressione fu coniata da F. MANCINI, L’incidenza del diritto comunitario sul diritto del
lavoro degli Stati membri, in Riv. Dir. Eur., 1989, p. 9 ss.
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sostenuto dalla Corte di Giustizia che, attraverso una giurisprudenza spesso «creativa», ha affermato principi
di portata generale quali: il primato del diritto comunitario su quello nazionale, la diretta applicabilità negli
ordinamenti interni delle norme del Trattato e segnatamente dell’art. 119 sulla parità salariale fra uomini e
donne, l’efficacia verticale delle direttive chiare, precise ed incondizionate, il principio di effettività,
proporzionalità e dissuasività delle sanzioni, il risarcimento del danno da parte dello Stato per tardiva
attuazione di direttive comunitarie. E’ vero che l’assunto di fondo era quello per cui le eccessive
sperequazioni di trattamento economico-normativo dei lavoratori producevano dumping sociale a carico
delle imprese di quei paesi a maggiori tutele sociali e quindi le stesse misure erano giustificate ed
implementate con prevalente riguardo al loro effetto protezionistico sul versante economico-imprenditoriale,
ma è anche vero che esse hanno giocato un ruolo significativo nel processo di innalzamento dei diritti sociali
fondamentali e di democratizzazione dei luoghi di lavoro, tanto da dar vita alla straordinaria stagione della
formazione di una politica sociale europea.
Il favorevole trend4 è stato raccolto e sostenuto dall’Atto unico europeo del 1986 che ha promosso una
legislazione comunitaria per la sicurezza sui luoghi di lavoro attraverso l’abbassamento del relativo quorum
deliberativo del Consiglio (dall’unanimità alla maggioranza qualificata); ha introdotto i concetti di «dialogo
sociale», di «coesione economica e sociale» e di riduzione del divario fra le diverse regioni europee
attraverso il ricorso ai fondi strutturali; ha innescato un processo di autonoma valorizzazione della
dimensione sociale e solidaristica europea che ha portato all’adozione, nel 1989, della Carta comunitaria dei
diritti sociali fondamentali dei lavoratori nel Consiglio europeo di Strasburgo. La Carta, il cui passaggio dalla
mera dichiarazione d’intenti alla valenza normativa tarderà a lungo, avvenendo solo con il Trattato di
Amsterdam del 19975, rappresenta peraltro un importante step evolutivo poiché identifica dapprima il punto
di riferimento dell’azione e della politica sociale comunitaria nel decennio a cavallo del secolo, quindi il
parametro interpretativo di tutta la legislazione sociale.
Ma è con il Trattato di Maastricht e l’annesso Protocollo sociale che viene data la massima accelerazione al
processo di emersione della sfera sociale comunitaria. Sul versante delle procedure legislative si tenta di
colmare il deficit democratico e di trasparenza sino a quel momento registrato con il diretto coinvolgimento
del Parlamento europeo nell’iter decisionale; si allarga espressamente l’ambito di competenza normativa
concorrente della Comunità (ora solo “europea”, non più “economica”), abbracciando, in tali ambiti con la
salvaguardia della regola dell’unanimità, la sicurezza sociale, la protezione in caso di risoluzione del
contratto di lavoro, la rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori, spostando
le condizioni di lavoro nell’alveo della maggioranza qualificata ed escludendo dal contesto di intervento le
retribuzioni, il diritto di associazione, il diritto di sciopero, custoditi gelosamente all’interno delle prerogative
Confermato, oltre che dalle direttive in materia prevenzionistica sui rischi da lavoro, dalle normative sull’obbligo di
informativa sulle condizioni applicabili al contratto di lavoro, sul rapporto di agenzia, sulla formazione professionale,
sulla libera circolazione dei professionisti.
5
Cfr. F. CARINCI, A. PIZZOFERRATO, «Costituzione» europea e diritti sociali fondamentali, in Lav. Dir., 2000, n.
2, p. 281 ss.
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dei singoli ordinamenti nazionali6; si consolidano i principi di sussidiarietà verticale nel rapporto fra
Comunità e Stato membro, con una manifesta accondiscendenza per l’espansione del campo di intervento
della prima (attraverso la previsione per cui spetta alla Comunità tutto ciò che non può essere realizzato in
misura sufficiente dagli Stati membri e può dunque, a causa delle dimensioni o degli effetti dell’azione
prevista, essere realizzato meglio a livello comunitario tramite l’introduzione di prescrizioni minime
applicabili all’intera Comunità), e di sussidiarietà orizzontale nel rapporto fra le fonti e fra gli attori del
sistema, con il coinvolgimento preventivo delle parti sociali in sede di iniziativa legislativa nelle materie di
pertinenza del lavoro e delle relazioni sindacali; si argina il dissenso britannico nella formula dell’opting out
sul Protocollo sociale, che non ha poi impedito al Regno Unito di adeguarsi alle principali direttive
armonizzatorie.
Intanto l’Europa cresce e diventa a 15 a metà del 1995, ampliando i propri confini geografici e irrobustendo
il corpo istituzionale con il Trattato di Amsterdam del 1997 che ha intestato alla Comunità le politiche per
l’occupazione, e ha dato la stura all’elaborazione, nel Consiglio europeo di Lisbona del 2000, del Metodo
aperto di coordinamento (MAC)7. Si affaccia così la fase «dell’oro» dell’agenda sociale europea, in cui si
sperimentano contestualmente pratiche di armonizzazione istituzionali, pratiche di armonizzazione dal basso
tramite l’iniziativa legislativa delle parti sociali, pratiche di soft law attuate attraverso il coordinamento per
obiettivi promosso dal MAC. In sostanza nel decennio fra la fine del ‘900 e l’inizio degli anni duemila,
vengono emanati rilevanti esempi di hard law, in materia di orario di lavoro, comitati aziendali europei,
informazione e consultazione, congedi parentali, distacco dei lavoratori in prestazione di servizi, lavoro a
tempo parziale, lavoro a tempo determinato, principio di non discriminazione, riconoscimento delle
qualifiche professionali, previdenza complementare, che determinano un processo di uniformazione
normativa fra la legislazione degli Stati membri; cui si affiancano strumenti regolativi non vincolanti
variamente articolati secondo guidelines, benchmarks e best practices, tutti protési a favorire nel contempo la
coesione sociale e la governance economica.
In tale contesto, parallelamente, viene adottato il Patto di stabilità e di crescita tramite risoluzione del
Consiglio europeo del 17 giugno 1997 (97/C 236/01), e regolamenti attuativi CE n. 1466/97 e 1467/97, in cui
si prende atto che per rimanere all’interno dell’Unione economica e monetaria europea gli Stati membri
devono evitare disavanzi pubblici eccessivi, poiché l’equilibrio delle finanze pubbliche rappresenta uno
strumento ineludibile per la stabilità dei prezzi e per una crescita vigorosa e sostenibile che promuova la
creazione di posti di lavoro. L’obiettivo del disavanzo pubblico viene indicato nella soglia massima del 3%
del PIL. Il patto prevede l’impegno degli Stati membri ad adottare le misure correttive di bilancio necessarie
“I rapporti collettivi si riconfermano particolarmente legati alle condizioni nazionali e quindi più resistenti a
interventi comunitari. Si ha infatti cura di precisare che l’intero articolo non si applica ai temi del diritto di
associazione sindacale, del diritto di sciopero e della serrata (oltre che della retribuzione), che sono del tutto esclusi
dalla competenza comunitaria”: così M. ROCCELLA, T. TREU, Diritto del lavoro dell’Unione Europea, Cedam
Padova, 2012, p. 20.
7
Cfr. B. CARUSO, Il diritto del lavoro tra hard law e soft law: nuove funzioni e nuove tecniche normative, in M.
BARBERA (a cura di), Nuove forme di regolazione: il metodo aperto di coordinamento delle politiche sociali, Giuffré,
Milano, 2006, p. 77 ss.
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per scongiurare il rischio di un disavanzo eccessivo e, corrispondentemente, l’impegno di Commissione e
Consiglio ad approntare ogni più opportuna attività di analisi, monitoraggio e raccomandazione nell’ambito
della procedura di sorveglianza economica delle situazioni di bilancio, in vista dell’eventuale dichiarazione
di disavanzo eccessivo. Viene così instaurato un intenso legame comunicativo, espresso dall’obbligo di
presentare programmi nazionali di stabilità e convergenza, volto a consentire alle istituzioni comunitarie di
svolgere l’attività di sorveglianza e di coordinamento delle politiche economiche, necessaria a prevenire o
tentare di prevenire il rischio default o di grave dissesto dei conti pubblici di uno Stato membro con nefaste
conseguenze anche sugli altri partecipanti all’Unione. Da tale valutazione dei programmi nazionali possono
discendere raccomandazioni del Consiglio a carico dello Stato membro inadempiente per l’adozione di
misure correttive che, se non ottemperate, possono portare all’apertura di una procedura di disavanzo
eccessivo, salvo che il superamento dell’obiettivo derivi da evento eccezionale o temporaneo, ivi inclusa la
grave recessione economica (identificata nel declino annuo del PIL in termini reali pari almeno al 2%). Tale
procedura, foriera di sanzioni pecuniarie anche molto consistenti, può essere sospesa in caso di ottemperanza
alle raccomandazioni e di leale collaborazione in sede attuativa da parte dello Stato membro interessato.
Il sistema di sorveglianza economica sullo stato dei bilanci dei paesi membri UE è stato implementato,
pertanto, già nel 1997, come misura complementare rispetto all’introduzione della moneta unica, il cui iter
attuativo inizia in quegli anni ed arriverà a compimento il 1° gennaio 2002. Come mai allora si sente parlare
di esso solo nel 2010? Senza voler anticipare quanto si scriverà più oltre, la risposta è evidente: in una fase di
relativa tranquillità economica come quella registrata nei primi anni del nuovo millennio, i controlli sono
stati meno stringenti e le tolleranze più diffuse, e comunque il processo, andando ad incidere su aspetti molto
delicati della sovranità dei singoli stati membri (decisione in ordine alle politiche pubbliche e di bilancio), ha
necessitato di una prudente fase di sperimentazione. La crisi economica globale ha spazzato via la prudenza,
ha messo a nudo le difficoltà oggettive e ha reso impellente giungere ad un approdo operativo più efficace e
penetrante (v. infra quanto alle normative di modifica del patto di stabilità del periodo 2011-2013),
imponendosi all’attenzione primaria dell’agenda politica dei vari Governi e delle relative opinioni pubbliche.
Ma soprattutto, a noi giuslavoristi, il fenomeno è emerso in tutta la sua crudezza nello stringente link adottato
dalla strategia Europea 2020 fra politiche per l’occupazione e vincoli di bilancio rispetto non solo al
disavanzo ma anche al debito pubblico (60% del PIL). Ciò ha spinto a ragionare ad una riforma del mercato
del lavoro non solo senza o con limitati costi aggiuntivi per lo Stato e per le Regioni, ma con una forte
compressione delle tutele e quindi dei costi normativi per le imprese, sì da ampliare le convenienze di queste
ultime nella gestione dei rapporti di lavoro, sostenendo la ripresa industriale ed economica tramite un
ridimensionamento dei contenuti protettivi del diritto del lavoro; insomma creando un circolo virtuoso fra
minori tutele, maggiori investimenti in attività imprenditoriali, maggiore occupazione, maggiori consumi ed
incremento del PIL. In sostanza è solo nell’ultimo biennio che la pressione sulla sorveglianza economica di
bilancio attuata a livello europeo sfocia in una chiara «invasione di campo» o comunque in un’esplicita
determinazione delle linee di intervento correttive sulle politiche del lavoro nazionali, ancorandone
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l’assunzione ad un giudizio favorevole sulle dinamiche di bilancio, anche per il tramite della valorizzazione
del parametro della “riforma strutturale”.
Ritornando sul nostro cammino, possiamo ricordare che il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000
lancia la Strategia europea per l’occupazione con l’obiettivo di giungere ad un tasso di occupazione medio
europeo pari al 70% nel 2010, a corollario del principale obiettivo per l’Europa di “diventare l’economia
basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo in grado di realizzare una crescita
economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”, adottando la
metodologia della «convergenza» su tutte le principali aree della politica sociale. A stretto giro la
Convenzione, costituita l’anno precedente, vara una Carta dei diritti fondamentali che verrà proclamata a
Nizza nel dicembre dello stesso anno8, ma senza essere incorporata nel relativo Trattato, e pertanto per la sua
efficacia giuridica vincolante si dovrà attendere sino al Consiglio europeo di Lisbona del 2007, che darà vita
al nuovo Trattato sul funzionamento della UE. La nuova carta, che racchiude in sé la solenne affermazione
dei diritti fondamentali civili, politici e sociali dei cittadini europei opera a largo raggio riconoscendo valori
cardine dell’individuo quale la dignità, la libertà, l’uguaglianza, la giustizia, la solidarietà. Su tale ultimo
versante, oltre alle classiche previsioni in ordine al diritto alla sicurezza ed assistenza sociale, alla protezione
della salute, alla tutela dell’ambiente, alla protezione dei consumatori, alla protezione della famiglia anche
nella conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, al divieto di lavoro minorile, al diritto a condizioni di lavoro
giuste ed eque, compaiono anche previsioni più avanzate come l’enunciazione del diritto di negoziazione e di
azioni collettive (art. 28: “I lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno,
conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e di
concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni
collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero”), nonché il diritto di tutela in caso di
licenziamento ingiustificato (art. 30: “Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento
ingiustificato, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali”).
Nel frattempo si coprono alcune lacune ancora scoperte (es. direttiva sul lavoro tramite agenzia interinale e
sullo statuto della società europea) e si consolida l’acquis communitaire sul versante sociale attraverso una
miriade di provvedimenti che recano testi consolidati, rifusioni, addendum, cioè che realizzano forme di
stabilizzazione e generalizzazione della disciplina europea preesistente (es. orario, trasferimenti d’impresa,
libertà di circolazione) a tutti gli stati membri (27, a partire dal 1° gennaio 2007, con l’ingresso di Romania e
Bulgaria). Si innesta così una fase di consolidamento dell’esistente, che durerà fino all’avvento degli
orientamenti integrati della strategia Europa 2020, quando si assisterà ad un deciso reflusso, contrastato solo
dall’azione della Corte di Giustizia. Dalla prospettiva dell’armonizzazione nel progresso o della diffusione di
buone pratiche si passa ad una fase di liberalizzazioni e flessibilità attuata nel quadro degli orientamenti
integrati e delle raccomandazioni specifiche agli Stati membri, rinforzati dal dichiarato riferimento alle
procedure di sorveglianza economica e quindi all’intimo collegamento esistente fra programmi nazionali
8
Cfr. G. GHEZZI, G. NACCARI, A. TORRICE, Il libro bianco e la carta di Nizza, Ediesse, Roma, 2002.
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economici e di riforma (spesso trasfusi all’interno di un medesimo documento)9. Il nuovo corso, di certo
rinfocolato dal peggioramento degli indicatori di bilancio connessi ad una contrazione del PIL europeo, è in
verità espressione di spinte nazionalistiche, già presenti nei paesi dell’Est di più recente adesione, orientate
alla realizzazione di un modello sociale europeo competitivo e non distributivo, deregolato e imperniato sul
risultato dell’occupazione tout court, piuttosto che su quello della «buona» occupazione. Ciò non significa
che sia stata annullata la dimensione sociale europea e nemmeno che abbia perso i punti di riferimento
acquisiti, semplicemente ciò significa che la dimensione sociale ha interrotto la propria forza propulsiva ed
ora tende a consolidare i confini raggiunti, riduce i propri obiettivi ed orizzonti e si piega nuovamente al
mercato. Con l’aggravante, rispetto al passato, che ora subisce un pesante condizionamento anche dalle sorti
del bilancio pubblico e dal livello del debito10.
La nuova revisione istituzionale realizzata a Lisbona nel 2007, ma entrata in vigore solo alla fine del 2009
all’esito di un secondo referendum irlandese e di una finale adesione della Repubblica Ceca, si basa sul
mantenimento del Trattato UE, cui si affianca il Trattato sul funzionamento UE. Nonostante le numerose
modifiche in ordine agli aspetti legati al funzionamento degli organi, alla loro configurazione e competenze,
ai criteri di voto, alle procedure legislative, con riguardo agli aspetti sociali, oltre alla richiamata
costituzionalizzazione dei diritti fondamentali che diventano documento portante, al pari dei due Trattati,
dell’architrave istituzionale dell’Unione11, vi è una sostanziale conferma del modello a due vie adottato dal
Trattato di Amsterdam (politiche occupazionali e politiche sociali, scambio di informazioni e di migliori
prassi e prescrizioni minime applicabili progressivamente12). Viene mantenuto il riferimento al fatto che
l’evoluzione sociale “risulterà sia dal funzionamento del mercato interno, che favorirà l'armonizzarsi dei
V. Relazione in premessa alla Raccomandazione del Consiglio del 27/4/2010, COM(2010) 193 def.: “Su queste basi,
gli Stati membri elaboreranno programmi nazionali di riforma in cui saranno illustrate dettagliatamente le azioni che
intendono intraprendere nell’ambito della nuova strategia, in particolare gli sforzi diretti a conseguire i traguardi
nazionali e le misure volte a eliminare gli ostacoli che frenano la crescita sostenibile a livello nazionale. Basandosi sul
monitoraggio della Commissione e sul lavoro del Consiglio, il Consiglio europeo valuterà ogni anno i progressi globali
registrati a livello nazionale e dell’UE nell’attuazione della strategia, analizzando simultaneamente gli sviluppi in
termini macroeconomici, strutturali e di competitività e la stabilità finanziaria generale”.
10
Purtroppo l’auspicio formulato nel nostro scritto Le fonti comunitarie (in Le fonti. Il diritto sindacale a cura di C.
ZOLI, in Diritto del lavoro. Commentario a cura di F. CARINCI, Utet, Torino, 2007, p. 38) di una “visione integrata
tra sviluppo economico e coesione sociale, che non solo colloca i due target sullo stesso piano ... ma li rende entrambi
imprescindibili e complementari per la costruzione di un modello di crescita europeo in grado di preservare e
rafforzare le quote di mercato delle imprese comunitarie ma nel contempo diffondere benessere, inclusione e giustizia
sociale”, si rivela, oggi, tristemente inattuale. Peraltro il diritto sociale europeo non è estinto e neppure è in via di
smantellamento, solo è entrato in una fase di retroguardia, nell’attesa che, ci auguriamo, si ripristinino le condizioni
politiche e di competitività favorevoli ad una rinnovata e piena agibilità.
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L’incipit della Carta è eloquente: “Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione proclamano solennemente
quale Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea il testo riportato in appresso”. Approfonditamente sul punto
v. la relazione di Pasquale Chieco.
12
Art. 153, c. 2, TFU: “A tal fine il Parlamento europeo e il Consiglio: a) possono adottare misure destinate a
incoraggiare la cooperazione tra Stati membri attraverso iniziative volte a migliorare la conoscenza, a sviluppare gli
scambi di informazioni e di migliori prassi, a promuovere approcci innovativi e a valutare le esperienze fatte, ad
esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri; b) possono
adottare nei settori di cui al paragrafo 1, lettere da a) a i), mediante direttive, le prescrizioni minime applicabili
progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro. Tali
direttive evitano di imporre vincoli amministrativi, finanziari e giuridici di natura tale da ostacolare la creazione e lo
sviluppo di piccole e medie imprese”.
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sistemi sociali, sia dalle procedure previste dai trattati e dal ravvicinamento delle disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative” seppur temperato dalla preesistente precisazione per cui “l'Unione e gli
Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della diversità delle prassi nazionali, in particolare
nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la competitività dell'economia dell'Unione”; così
come viene ribadita la prima via delle raccomandazioni di policy (in autonomo art. 156), cui viene attribuita
ulteriore enfasi dal nuovo inciso che prevede che la Commissione operi a stretto contatto con gli Stati
membri “in particolare mediante iniziative finalizzate alla definizione di orientamenti e indicatori,
all'organizzazione di scambi di migliori pratiche e alla preparazione di elementi necessari per il controllo e
la valutazione periodici”. L’inciso rappresenta il preludio alla successiva stagione degli orientamenti
integrati della Strategia Europa 2020 (v. infra, sub parr. 2 e 3).
Tale stagione subirà una brusca accelerazione dall’avvento della crisi, in Europa ed anche nel mondo
industriale e produttivo, che indurrà le istituzioni europee ad intensificare l’azione di coordinamento,
controllo ed ingerenza sui conti pubblici e sulle riforme strutturali di ciascuno Stato membro, ivi comprese
quelle in ambito sociale.
2) L’aggiornamento delle procedure di sorveglianza per squilibri macroeconomici e di bilancio e
la strategia di Europa 2020
Il processo di aggiornamento delle regole fissate nel 1997 dal patto di stabilità e crescita prende le mosse dal
regolamento CE n. 1055/2005, mediante il quale il Consiglio integra uno dei due regolamenti attuativi del
patto, e precisamente il regolamento CE n. 1466/97 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di
bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche, alla luce della relazione
adottata il 20 marzo 2005 dal Consiglio Ecofin13. Viene in primo luogo introdotto il concetto chiave di "saldo
strutturale", inteso come il saldo di bilancio pubblico al netto degli effetti del ciclo economico e delle misure
una tantum: il patto di stabilità indirizza così gli Stati membri al miglioramento in termini strutturali delle
finanze pubbliche. Inoltre, viene introdotto l'ulteriore parametro dell'obiettivo di medio termine (OMT) di un
risultato di bilancio prossimo al pareggio o in attivo, tale da garantire un margine di sicurezza rispetto alla
soglia del 3% del PIL fissata per il disavanzo pubblico. Gli Stati membri sono chiamati a raggiungere un
saldo di bilancio strutturale pari all'obiettivo a medio termine o in convergenza verso questo al ritmo di una
correzione annuale del saldo strutturale di almeno lo 0,5% del PIL (o al più intenso ritmo fissato per i Paesi
con un debito superiore al 60% del PIL). Tuttavia, con l'intento di tenere conto dell'eterogeneità economica e
finanziaria dell'Unione, l'obiettivo di medio termine viene differenziato e specificato per ciascuno Stato della
zona euro, con la possibilità di divergere dal requisito del saldo al pareggio o in attivo all'interno di una
13
Relazione del Consiglio Ecofin del 20 marzo 2005 "Migliorare l'attuazione del patto di stabilità e crescita", che mira a
rafforzare la governance e la responsabilizzazione nazionale del quadro di bilancio tramite il rafforzamento dei
fondamenti economici e dell'efficacia del patto, a garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche a lungo termine, a
promuovere la crescita e ad evitare di imporre oneri eccessivi alle generazioni future, approvata quale Allegato II delle
Conclusioni del Consiglio europeo del 22-23 marzo 2005.
8
forcella tra il - 1% del PIL e il pareggio o l'attivo. Contestualmente vengono aggiornate le funzioni di
sorveglianza multilaterale del Consiglio14.
La crisi finanziaria e la recessione economica che dalla fine del 2008 colpiscono progressivamente i Paesi
europei determinano una virata in senso cautelativo delle politiche economiche.
La riduzione della crescita, l'aumento del deficit di bilancio, l'indebitamento degli Stati membri e la
destabilizzazione dei mercati finanziari inducono dapprima l'Unione europea ad istituire, con il regolamento
UE n. 407/2010, un meccanismo di stabilizzazione finanziaria diretto a fornire un'assistenza mirata al singolo
Stato in difficoltà, a garanzia della stabilità finanziaria dell'Unione nel suo complesso. Il meccanismo opera
sotto forma di prestito o linea di credito a favore dello Stato che sia vittima o a serio rischio di gravi
perturbazioni finanziarie le cui cause sfuggono al controllo dello Stato interessato. La concessione del credito
è condizionata alla valutazione da parte della Commissione (in collegamento con la Banca centrale europea)
del fabbisogno effettivo e di un programma di aggiustamento economico e finanziario presentato dallo Stato,
nonché all'approvazione del Consiglio. Le modalità dell'assistenza finanziaria, le condizioni generali di
politica economica da applicare nello Stato per ripristinare una condizione di equilibrio e il definitivo
programma di aggiustamento sono dettati dall'Unione e sottoposti a verifiche periodiche di conformità.
Nel 2011, in risposta all'intensificarsi della crisi, l'Unione interviene rendendo più rigorosa l'applicazione del
patto di stabilità attraverso l'approvazione del pacchetto di sei atti legislativi noto come "Six pack". Oltre ai
tre regolamenti che riformano direttamente il patto di stabilità15, il pacchetto comprende due regolamenti che
introducono procedure per la sorveglianza sugli squilibri macroeconomici16 e una direttiva sui quadri
nazionali di bilancio17.
Le normative mirano innanzitutto a vincolare il controllo delle finanze pubbliche al concetto di "politica di
bilancio prudente", che è funzionale a favorire la convergenza verso gli obiettivi a medio termine. Pertanto
viene introdotta una "regola della spesa" che agevola il rispetto dell'obiettivo in quanto pone un limite
massimo all'evoluzione temporale della spesa pubblica. La nuova regola indirizza alla riduzione del
Sulla base delle nuove regole, il Consiglio: valuta l’obiettivo di bilancio a medio termine presentato dallo Stato
membro interessato; valuta se le ipotesi economiche sulle quali il programma è fondato siano realistiche, se il percorso
di aggiustamento proposto dal programma sia adeguato e se le misure adottate e/o proposte per la realizzazione di tale
percorso di avvicinamento siano sufficienti per conseguire l’obiettivo di bilancio a medio termine nel corso del ciclo;
esamina se lo Stato membro interessato persegua il miglioramento annuo del suo saldo di bilancio corretto per il ciclo,
al netto delle misure una tantum e di altre misure temporanee, richiesto per conseguire l’obiettivo di bilancio a medio
termine con lo 0,5 % del PIL come parametro di riferimento; tiene conto se un maggiore sforzo di aggiustamento è stato
compiuto in periodi di congiuntura favorevole o sfavorevole; tiene conto dell’attuazione di riforme strutturali sostanziali
che producano effetti diretti di contenimento dei costi a lungo termine.
15
Regolamento UE n. 1175/2011 che modifica il regolamento CE n. 1466/97 per il rafforzamento della sorveglianza
delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche; regolamento UE
n. 1177/2011 che modifica il regolamento CE n. 1467/97 per l'accelerazione e il chiarimento delle modalità di
attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi; regolamento UE n. 1173/2011 relativo all'effettiva esecuzione della
sorveglianza di bilancio nella zona euro.
16
Regolamento UE n. 1176/2011 sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici; regolamento UE n.
1174/2011 sulle misure esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nella zona euro.
17
Direttiva 2011/85/UE relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri.
14
9
disavanzo le entrate temporanee e, per i Paesi che non hanno raggiunto l'obiettivo di medio termine, anche
parte delle risorse ordinarie. Il controllo dei flussi di bilancio si affianca al vincolo di contenimento del
debito pubblico entro il 60% del PIL, secondo la regola che individua il ritmo di convergenza del debito
verso la soglia del 60% in un ventesimo all'anno come media calcolata con riferimento agli ultimi tre
esercizi.
I regolamenti intervengono poi sul "braccio preventivo" del patto di stabilità, ossia sull'insieme delle
procedure e degli strumenti di sorveglianza ex ante sulle politiche di bilancio degli Stati. Essi vengono
inquadrati nell'ambito del Semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche18, che si
concretizza in un ciclo di procedure programmate, volte ad assicurare il coordinamento e la sorveglianza
delle politiche economiche e di bilancio mediante step di confronto e discussione: adozione dell'Analisi
annuale della crescita, nella quale la Commissione definisce le priorità per l'anno successivo in materia di
politiche macroeconomiche (mese di novembre); definizione da parte del Consiglio, sulla base dell'Analisi,
degli orientamenti dell'Unione per le politiche nazionali (mese di marzo); presentazione dei programmi di
stabilità e dei piani nazionali di riforma da parte degli Stati membri (mese di aprile); conseguente
elaborazione da parte della Commissione, e adozione da parte del Consiglio, delle raccomandazioni
specifiche per ciascun Paese in tema di politica economica e di bilancio (mesi di maggio - giugno). I
regolamenti del 2011 hanno incrementato le informazioni da fornire nel programma di stabilità,
annoverando, fra l’altro, il percorso previsto con riferimento all'evoluzione del rapporto debito/PIL, il
percorso programmato di crescita della spesa pubblica, il percorso programmato di crescita delle entrate
pubbliche a politiche invariate e la quantificazione delle misure discrezionali programmate in materia di
entrate.
Nel valutare il percorso di avvicinamento all'obiettivo a medio termine il Consiglio e la Commissione sono
chiamati a verificare, facendo riferimento al saldo strutturale e analizzando la spesa al netto delle misure
discrezionali in materia di entrate, che lo Stato persegua un adeguato miglioramento annuo del suo saldo di
bilancio corretto per il ciclo, al netto delle misure una tantum e di altre misure temporanee, necessario a
conseguire l'obiettivo di bilancio a medio termine, con lo 0,5% del PIL come parametro di riferimento, e che
il miglioramento annuo del saldo di bilancio sia, per gli Stati membri con un livello di indebitamento
superiore al 60% del PIL o che presentano rischi considerevoli in termini di sostenibilità complessiva del
debito, superiore allo 0,5% del PIL. I regolamenti ridefiniscono una procedura composta da un avvertimento
della Commissione e da una successiva specifica raccomandazione del Consiglio contenente le misure da
adottare da parte dello Stato, che trova applicazione nel caso di scostamenti sensibili, in atto o prevedibili,
dal saldo di bilancio rispetto all'obiettivo a medio termine e che contempla la possibilità di somministrare
allo Stato che persista nell'inottemperanza una sanzione pecuniaria costituita da un deposito fruttifero pari ad
18
Il Semestre europeo è stato istituito sulla base della delibera del Consiglio Ecofin del 7 settembre 2010 con
decorrenza dal 1° gennaio 2011 ed è stato normato dal regolamento CE n. 1466/97, come modificato dal regolamento
UE n. 1175/2011.
10
almeno lo 0,2% del PIL (ma non superiore allo 0,5% del PIL) destinato ad essere restituito una volta sanata
la deviazione.
Nel 2013 l'Unione europea ha approvato due regolamenti conosciuti come "Two pack" destinati ad
implementare ulteriormente le norme del patto di stabilità19 con particolare riferimento al coordinamento e
alla sorveglianza rinforzata. Essi introducono una tempistica comune per la presentazione e l'esame dei
documenti di bilancio da parte degli Stati della zona euro e stabiliscono che la Commissione esprima il
proprio parere su ciascun progetto di bilancio mettendo in rilievo se questo ottemperi o meno ai requisiti del
patto di stabilità e alle raccomandazioni ricevute. Si è inoltre mirato ad intensificare la trasparenza e la
sostenibilità delle finanze pubbliche nazionali chiedendo agli Stati membri di attivare istituzioni indipendenti
con il compito di svolgere analisi di bilancio fondate su previsioni macroeconomiche indipendenti20.
Quanto invece alla componente correttiva del patto di stabilità (costituita dagli strumenti per la correzione
dei disavanzi eccessivi), gli interventi del 2011 hanno rafforzato la procedura per i disavanzi eccessivi già in
vigore in forza delle normative precedenti, ora attivabile anche in caso di superamento della soglia del 60%
per il rapporto debito/PIL, e non soltanto nelle ipotesi di superamento del rapporto disavanzo/PIL del 3%,
tenuto conto di tutti i fattori rilevanti e dell'impatto sul ciclo economico, e altresì se il divario tra il livello del
debito e il riferimento del 60% non si sia ridotto negli ultimi tre anni al ritmo medio di un ventesimo
all'anno. Il Paese che viene sottoposto a procedura per disavanzo eccessivo è tenuto a costituire un deposito
infruttifero pari allo 0,2% del PIL, che si converte in ammenda nell'eventualità di inottemperanza alle
raccomandazioni ricevute dall'Unione per la correzione del disavanzo.
L'intervento del Two pack sul "braccio correttivo", nel perdurare della crisi, ha accresciuto la sorveglianza
sugli Stati della zona euro colpiti dal dissesto finanziario mediante la previsione di una sorveglianza
automatica sui Paesi percettori di aiuti finanziari provenienti da fondi "salvastati" creati a livello
sovranazionale e la richiesta di adottare misure particolarmente stringenti per la ripresa.
L'attenzione dell'Unione europea si è focalizzata anche sulla sorveglianza macroeconomica, quale strumento
per il riequilibrio delle finanze. Il "Six pack" ha così introdotto una procedura per gli squilibri
macroeconomici, che si attiva con un meccanismo di allerta diretto ad individuare tramite undici indicatori, e
di conseguenza a monitorare, i Paesi che presentano squilibri, anche potenziali. Sono definite soglie di allerta
in relazione a ciascun indicatore ed il quadro complessivo è oggetto di un report annuale in cui si indicano i
Paesi a rischio, da sottoporre ad analisi più approfondite da parte della Commissione con l'intento di
prevenire lo sviluppo o l'intensificazione degli squilibri. In presenza di squilibri rilevanti la Commissione ha
la facoltà di proporre al Consiglio l'apertura di una procedura di squilibrio eccessivo, che implica
19
Regolamento UE n. 472/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013 sul rafforzamento della
sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri nella zona euro che si trovano o rischiano di trovarsi in gravi
difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria; regolamento CE n. 473/2013 del Consiglio del 21 maggio
2013 sulle disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio e per la
correzione dei disavanzi eccessivi negli Stati membri della zona euro.
20
La legge n. 243/2012 ha istituito per l'Italia l'Ufficio parlamentare di bilancio.
11
l'emanazione di raccomandazioni specifiche da parte del Consiglio per la correzione dello squilibrio e
l'attuazione di un piano di azione correttiva sino al riassorbimento dello squilibrio.
Un ulteriore passaggio di rilievo nelle evoluzioni delle politiche europee è stato segnato nel 2012 dal "Fiscal
compact", destinato a "rinsaldare la disciplina di bilancio (...), a potenziare il coordinamento delle politiche
economiche e a migliorare la governance della zona euro"21. Mediante questo accordo22 gli Stati membri si
sono impegnati ad introdurre nei propri ordinamenti, con norme di rango costituzionale o di rango ordinario,
l'obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio, che si considera rispettato se il saldo strutturale annuo
della pubblica amministrazione è pari all'obiettivo di medio termine con il limite inferiore di un disavanzo
strutturale dello 0,5% del PIL. E' concesso tuttavia agli Stati di deviare temporaneamente dall'obiettivo di
medio termine o dal percorso di avvicinamento all'obiettivo in circostanze eccezionali, identificate in eventi
inconsueti che sfuggono al controllo del Paese interessato e che determinano rilevanti ripercussioni sulla
situazione finanziaria della pubblica amministrazione, oppure in periodi di grave recessione economica ai
sensi del patto di stabilità, a condizione che la deviazione temporanea non sia tale da compromettere la
sostenibilità del bilancio a medio termine. Qualora il rapporto debito pubblico/PIL risulti significativamente
al di sotto della soglia del 60%, e qualora i rischi per la sostenibilità a medio termine delle finanze pubbliche
siano bassi, il valore di riferimento del deficit può essere superiore allo 0,5%, ma in ogni caso non può
eccedere il limite dell’1% del PIL. Nell'eventualità di deviazioni significative dall'obiettivo di medio termine
o dal percorso di aggiustamento verso di esso, è attivato un meccanismo di correzione automatica, che
impone allo Stato di attuare le misure di correzione entro un determinato arco temporale.
L'Italia ha risposto alle richieste del Fiscal compact con la legge costituzionale n. 1/2012, che ha novellato gli
artt. 81, 97, 117 e 119 Cost. introducendo nel nostro ordinamento il principio di equilibrio di bilancio23, ossia
l'obbligo costituzionale gravante non solo sullo Stato, ma su tutte le pubbliche amministrazioni, di garantire
l'equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio (dunque in realtà non il pareggio di cui al Fiscal compact),
che viene correlato a un vincolo di sostenibilità del debito che allo stesso modo riguarda tutte le pubbliche
amministrazioni, nel rispetto delle regole europee24. Si dispone di tenere in debita considerazione le fasi
favorevoli e quelle sfavorevoli del ciclo economico e si ammette l'indebitamento dello Stato solo in presenza
di eventi eccezionali e previa autorizzazione delle Camere approvata a maggioranza assoluta dei componenti.
21
Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria del 2 marzo 2012,
art. 1.
22
V. art. 3.
23
Ai sensi dell'art. 81 Cost. "Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto
delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di
considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei
rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai
mezzi per farvi fronte. Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal
Governo. L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori
complessivamente a quattro mesi. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad
assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche
amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel
rispetto dei principi definiti con legge costituzionale".
24
Ai sensi dell'art. 97, c. 1, Cost., "Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea,
assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico".
12
Deroghe per spese di investimento sono concesse esclusivamente, entro determinati limiti, alle autonomie 25.
Il principio di equilibrio di bilancio e di sostenibilità del debito delle amministrazioni è stato trasfuso nella
legge n. 243/2012, ma l'effettiva entrata in vigore del principio è stata ripetutamente rinviata, da ultimo dal
2015 al 201726.
Il sistema di vincoli di bilancio e meccanismi di sorveglianza che si è cercato di sintetizzare non rappresenta
l'unico strumento messo in campo dall'Unione europea per affrontare la crisi27. Al restringimento dei
parametri economici e finanziari si è correlata la strategia Europa 202028, un programma decennale per la
crescita e l'occupazione che l'Unione europea ha varato nel 201029, basato su un intenso coordinamento delle
politiche interne economiche e del lavoro. La strategia, che riprende alcuni elementi della precedente
strategia di Lisbona30, persegue cinque obiettivi quantitativi per l'Unione: innalzamento al 75% del tasso di
occupazione (per la fascia di età compresa fra i venti e i sessantaquattro anni); aumento degli investimenti
nel settore della ricerca e sviluppo in misura pari al 3% del PIL dell'Unione; riduzione dei tassi di abbandono
scolastico precoce al di sotto del 10% e aumento al 40% dei soggetti fra i trenta e i trentaquattro anni con
un'istruzione universitaria; riduzione di venti milioni di unità del numero delle persone a rischio o in
situazione di povertà ed emarginazione; riduzione delle emissioni di gas serra del 20% rispetto ai livelli del
1990, produzione del 20% dell'energia attraverso fonti rinnovabili e accrescimento del 20% dell'efficienza
energetica.
La strategia è attuata e sottoposta a verifiche periodiche nell'ambito del Semestre europeo sulla base
dell'Analisi annuale della crescita, e prevede annualmente: l'adozione da parte del Consiglio, su proposta
della Commissione, di orientamenti per l'occupazione e per le politiche economiche (v. infra par. 3); la
presentazione di programmi nazionali di riforma da parte dei Paesi membri, la cui congruenza con gli
obiettivi della strategia viene valutata dalla Commissione; la conseguente eventuale formulazione di
25
Sul principio costituzionale di equilibrio di bilancio, v. in dottrina: F. GALLO, Il principio costituzionale di
equilibrio di bilancio e il tramonto dell'autonomia finanziaria degli enti territoriali, in Rass. Trib., 2014, 6, p. 1199 ss.;
G. LO CONTE, Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali: prime indicazioni della Corte costituzionale, in
Giorn. Dir. Amm., 2014, 11, p. 1068 ss.; D. MONE, La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio ed il potenziale
vulnus alla teoria dei controlimiti, in Rivista AIC, 2014, 3; M. PASSALACQUA, "Pareggio" di bilancio contro
intervento pubblico nel nuovo art. 81 della Costituzione, e G. DI GASPARE, L'art. 81 della Costituzione, abdicazione
della sovranità finanziaria dello Stato?, entrambi reperibili sul sito www. amministrazioneincammino.luiss.it.
26
Il differimento è stato disposto con la risoluzione alla nota di variazione del Documento di Economia e Finanza
(DEF) 2014 adottata dal Parlamento il 15 ottobre 2014.
27
Sul tema dei vincoli di bilancio, v. in dottrina: C. CARUSO, M. MORVILLO, Economic governance and budgetary
rules in the european context: a call for a new european constitutionalism, in Dir. Un. Eur., 2014, 4, p. 699 ss.
28
Per un'analisi approfondita in dottrina della strategia Europa 2020, v. P. WATSON, EU social and employment law,
Oxford University Press, Oxford, 2014; S. CIVITARESE MATTEUCCI, F. GUERRIELLO, P. PUOTI (a cura di),
Diritti fondamentali e politiche dell'Unione europea dopo Lisbona, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2013; C.
BARNARD, EU employment law, Oxford University Press, Oxford, 2012; M. NOGUEIRA GUASTAVINO, O.
FOTINOPOULOU, J. MARIA MIRAN, Lecciones de derecho social de la Unión Europea, Tirant lo Blanch, Valencia,
2012; M. SCHMITT, Droit du travail de l'Union europeenne, Larcier, Bruxelles, 2012.
29
Comunicazione della Commissione del 3 marzo 2010, COM(2010) 2020 def. "Europa 2020. Una strategia per una
crescita intelligente, sostenibile e inclusiva"; Conclusioni del Consiglio europeo del 25-26 marzo 2010. La Strategia è
stata adottata in occasione del Consiglio europeo del 17 giugno 2010.
30
La strategia europea per l'occupazione adottata nel Consiglio europeo di Lisbona nel marzo 2000 poneva come
obiettivo per il 2010 il raggiungimento di un tasso generale di occupazione del 70% (tasso del 60% per le donne). Tale
obiettivo non è stato, come ben noto, raggiunto.
13
raccomandazioni specifiche per Paese da parte della Commissione, con l'indicazione di misure da adottare
per il migliore raggiungimento degli obiettivi; infine, l'elaborazione da parte del Consiglio di un documento
di analisi denominato Relazione comune sull'occupazione. Nell'ambito dei programmi nazionali gli obiettivi
comuni sono stati tradotti in obiettivi nazionali, che facilitano agli Stati membri il monitoraggio dei progressi
raggiunti: per l'Italia gli obiettivi sono stati delineati in un tasso di occupazione del 67-69%,
nell'investimento dell'1,53% del PIL in ricerca e sviluppo, nella riduzione del 16% del tasso di abbandono
scolastico, nell'aumento al 26-27% dei giovani laureati, nella riduzione di due milioni e duecentomila unità
dei soggetti a rischio di povertà ed esclusione sociale, nella diminuzione del 13% delle emissioni, con
aumento del 17% delle energie rinnovabili31.
Ulteriori e diversificati sono peraltro i programmi che la Commissione ha intrapreso allo specifico scopo di
contrastare la disoccupazione giovanile in Europa32, i quali si affiancano all'implementazione del Fondo
sociale europeo33 nel quadro della strategia per l'occupazione 2014-2020.
3) Gli orientamenti integrati: le risposte del nostro legislatore interno
Anche per la realizzazione degli obiettivi di Europa 2020 l'Unione ha fatto ricorso allo strumento degli
orientamenti previsto dal Trattato34, confermando così l'opzione per interventi di soft law che impongono agli
Stati membri vincoli di natura politica più che giuridica35. Il carattere integrato di questi dieci orientamenti,
che sostituiscono i ventiquattro orientamenti della strategia di Lisbona, li rende maggiormente incisivi,
poiché essi si presentano come una serie integrata di politiche economiche e per l'occupazione, che gli Stati
membri devono attuare integralmente e allo stesso ritmo, così da assicurare la realizzazione degli effetti
positivi delle riforme strutturali.
Il 27 aprile 2010 il Consiglio ha individuato la prima parte degli orientamenti (resa definitiva nel luglio
2010)36, che è costituita da sei indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e
31
"Overview of the Europa 2020 targets", aprile 2014, in www.ec.europa.eu/aurope2020/.
La Commissione gestisce il programma per l'occupazione e l'innovazione sociale (EaSI) in forza del regolamento UE
del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1296/2013. Tale programma oggi comprende Progress (programma per
l'occupazione e la solidarietà sociale istituito con la decisione del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1672/2006/CE
e successivamente modificato mediante la decisione del Parlamento europeo e del Consiglio n. 284/2010/UE), EURES
(rete di cooperazione che collega la Commissione europea e i servizi pubblici per l'impiego degli Stati membri e di
ulteriori Paesi) e Microfinance (strumento di microfinanza per l'occupazione e l'inclusione sociale istituito con la
decisione del Parlamento europeo e del Consiglio n. 283/2010/UE).
33
Regolamento UE del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1304/2013 relativo al Fondo sociale europeo;
regolamento di esecuzione UE della Commissione n. 288/2014 recante modalità di applicazione del regolamento UE n.
1304/2013.
34
Ai sensi dell'art. 148 TFUE sul coordinamento delle politiche del lavoro, in materia di occupazione il Consiglio
emana orientamenti, i quali devono essere coerenti con gli indirizzi di massima per le politiche economiche da adottarsi
da parte del Consiglio ai sensi dell'art. 121 TFUE.
35
In dottrina, cfr. G. BALANDI, F. BANO, Chi ha paura del soft law?, in Lav. Dir., 2003, I, p. 3 ss.
36
Raccomandazione del Consiglio del 27 aprile 2010 relativa agli indirizzi di massima per le politiche economiche
degli Stati membri e dell'Unione. Parte I degli orientamenti integrati di Europa 2020, poi confluita nella
raccomandazione del Consiglio del 13 luglio 2010 sugli orientamenti di massima per le politiche economiche degli Stati
membri e dell'Unione, 2010/410/UE.
32
14
dell'Unione, a cui è richiesto di: 1) garantire la qualità e la sostenibilità delle finanze pubbliche; 2) ovviare
agli squilibri macroeconomici; 3) ridurre gli squilibri nella zona euro; 4) sfruttare al meglio il sostegno a
ricerca e sviluppo e all'innovazione, rafforzare il triangolo della conoscenza (composto da istruzione, ricerca
e attività economiche) e liberare il potenziale dell'economia digitale; 5) migliorare l'efficienza sotto il profilo
delle risorse e ridurre le emissioni di gas a effetto serra; 6) migliorare il clima per le imprese e i consumatori
e ammodernare e sviluppare la base industriale per garantire il pieno funzionamento del mercato interno.
Nella medesima data il Consiglio ha proposto i quattro orientamenti per le politiche degli Stati membri a
favore dell'occupazione (adottati nell'ottobre 2010)37. Essi rappresentano la seconda parte degli orientamenti
integrati e chiedono di: 7) incrementare la partecipazione al mercato del lavoro di donne e uomini, riducendo
la disoccupazione strutturale e promuovendo la qualità del lavoro; 8) sviluppare una forza lavoro qualificata
rispondente alle esigenze del mercato occupazionale e promuovere l'apprendimento permanente; 9)
migliorare la qualità e l'efficacia dei sistemi di istruzione e formazione a tutti i livelli e aumentare la
partecipazione all'istruzione terziaria o equipollente; 10) promuovere l'inclusione sociale e la lotta contro la
povertà.
Gli orientamenti per le politiche occupazionali sono stati mantenuti per il 2011, 2012, 2013 e 201438, al
preciso scopo di garantirne la stabilità e mantenere la centralità della loro attuazione coordinata.
Il 5 marzo 2014 la Commissione ha reso pubblici gli esiti dell'esame realizzato sull'Italia39 ai sensi dell'art. 5
del regolamento UE n. 1176/2011, mettendo in evidenza la presenza di squilibri macroeconomici eccessivi e
la conseguente necessità di sottoporre il nostro Paese ad un monitoraggio specifico, in particolar modo a
causa del persistere di un debito pubblico elevato, di una debole competitività esterna e di un ridotto margine
di crescita. Preso atto di questa valutazione, nell'ambito delle prescrizioni di Europa 2020 e del Semestre
europeo, il 22 aprile 2014 il Governo italiano ha presentato all'Unione per il 2014 il suo programma
nazionale di riforma40 ed il programma nazionale di stabilità41. Lo scenario economico illustrato in questi
documenti dà conto per il 2013 di una riduzione dell'1,9% del PIL, di una riduzione del 2,6% della crescita di
prodotto, di una contrazione delle esportazioni nette, di un mercato del lavoro debole e di un tasso di
disoccupazione salito al 12,2%. L'Italia si è pertanto impegnata a conseguire l'obiettivo a medio termine di
una posizione di bilancio in pareggio in termini strutturali entro il 2016, rispettando la regola del debito nel
periodo di transizione 2013-2015. L'aggiustamento strutturale è previsto in misura modesta, pari allo 0,1%
del PIL nel 2014, in considerazione delle gravi condizioni economiche e della necessità di attuare un pesante
37
Proposta di decisione del Consiglio del 27 aprile 2010 sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore
dell'occupazione. Parte II degli orientamenti integrati di Europa 2020, COM(2010) 193 def., poi confluita nella
decisione del Consiglio del 21 ottobre 2010 sugli orientamenti per le politiche a favore degli Stati membri a favore
dell'occupazione, 2010/707/UE.
38
Decisione del Consiglio del 6 maggio 2014, n. 2014/322/UE.
39
SWD(2014) 83 final; Comunicazione della Commissione del 5 marzo 2014 "Bilancio della strategia Europa 2020 per
una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva", COM(2014) 130 final.
40
Documento di economia e finanza 2014, sezione III, programma nazionale di riforma, parte I - La strategia nazionale
e le principali iniziative, e parte II - Gli squilibri nazionali e le riforme in dettaglio.
41
Documento di economia e finanza 2014, sezione I, programma di stabilità dell'Italia.
15
programma di riforme strutturali (legge elettorale, riforme costituzionali, taglio del cuneo fiscale e dell'IRAP,
riforme del mercato del lavoro e del welfare, ecc.). La misura dell'aggiustamento strutturale è comunque
ritenuta utile alla riduzione del debito, a cui è preordinato anche un programma di privatizzazioni da
effettuare entro il 2017 a cui si connette un aumento annuale del PIL di 0,7 punti percentuali.
La valutazione dei programmi italiani è contenuta nella raccomandazione specifica elaborata dal Consiglio42,
dove si segnala che nel 2014 l'Italia registrerà una deviazione dal percorso di aggiustamento dell'obiettivo a
medio termine che, se si ripetesse anche nel 2015, potrebbe essere valutata come significativa, e dove si
mette in evidenza che il raggiungimento degli obiettivi di bilancio non è totalmente suffragato da misure
sufficientemente dettagliate, soprattutto a partire dal 2015; le previsioni della Commissione per la primavera
del 2014 segnalano la non conformità dei programmi italiani rispetto al parametro di riferimento per la
riduzione del debito poiché l'aggiustamento strutturale prospettato (0,1% del PIL) è inferiore
all'aggiustamento strutturale richiesto (0,7% del PIL). Pertanto il Consiglio ha chiesto nella
raccomandazione, per il biennio 2014-2015, sforzi aggiuntivi all'Italia, indispensabili a garantire la
conformità ai requisiti del patto di stabilità e crescita (in particolare alla regola della riduzione del debito), fra
i quali provvedimenti idonei a rafforzare le misure di bilancio, ad attuare le privatizzazioni in programma, ad
attuare un aggiustamento di bilancio favorevole alla crescita basato sui significativi risparmi annunciati come
provenienti da un miglioramento duraturo dell'efficienza e della qualità della spesa pubblica e a ridurre il
carico fiscale gravante sui fattori produttivi.
Il 10 aprile 2015 il Consiglio dei Ministri ha approvato il Documento di economia e finanza 2015, che
comprende il nuovo programma nazionale di riforma ed il nuovo programma di stabilità, i quali saranno
sottoposti alla valutazione del Consiglio e della Commissione europea. Gli obiettivi della politica economica
del Governo rappresentati nel documento di programmazione triennale sono: il sostegno alla ripresa
economica, evitando aumenti del prelievo fiscale e allo stesso tempo rilanciando gli investimenti; la
progressiva riduzione del debito pubblico; l'aumento degli investimenti e delle iniziative per il recupero
dell’occupazione. Le principali misure di risparmio previste dal Documento consistono nell'adeguamento del
sistema dei fabbisogni e dei costi standard per gli enti locali e nella pubblicazione dei dati di performance e
dei costi delle singole amministrazioni; nella razionalizzazione delle aziende partecipate; nella tracciabilità
telematica delle transazioni commerciali; nella revisione degli incentivi alle imprese. E' prevista una
riduzione della pressione fiscale sotto il 43% nel 2015, destinata a scendere di un punto percentuale
aggiuntivo al termine del triennio.
Il Documento delinea un cambiamento di marcia nella situazione economica e finanziaria del Paese, con la
previsione di un +0,7% per il PIL nel 2015 ed una percentuale di ripresa stabilizzata attorno all'1,4-1,5% nei
42
Raccomandazione del Consiglio del 2 giugno 2014 sul programma nazionale di riforma 2014 dell'Italia e che formula
un parere del Consiglio sul programma di stabilità 2014 dell'Italia, COM(2014) 413 final, confluita nella
raccomandazione del Consiglio dell'8 luglio 2014, 2014/C 247/11).
16
prossimi anni. La previsione per il rapporto debito/PIL è al 132,5% nel 2015 e al 130,9% nel 201643.
L’obiettivo di bilancio dovrebbe essere raggiunto attraverso il miglioramento del quadro macroeconomico
(tenuto conto di un risparmio "da spread" pari allo 0,4% del PIL) e soprattutto attraverso misure di spending
review (per lo 0,6% del PIL) come il riordino delle deduzioni e detrazioni fiscali mediante l'esercizio della
delega fiscale, che dovrebbe produrre 2,4 miliardi di euro. Sulla base delle previsioni di crescita il rapporto
deficit/PIL si ridurrebbe a 1,4% nel 2016, dunque l'Italia potrebbe raggiungere il pareggio strutturale di
bilancio con un anno di anticipo rispetto alla scadenza concordata con l'Unione europea (2017). Tuttavia, il
Governo intende formulare all'Europa la richiesta di accesso alla clausola dei patti che consente la discesa
del deficit strutturale fino alla soglia dello 0,5% del PIL nell'eventualità in cui siano state programmate
misure idonee ad incrementare la crescita potenziale. Il Documento individua queste misure in una serie di
dodici provvedimenti che spaziano dal Jobs act alla "Buona scuola", passando per la riforma del fisco, della
pubblica amministrazione e della giustizia. Per poterli realizzare, il Governo chiederà all'Europa di
mantenere al 2017 la scadenza per il raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio e di consentire un
deficit all'1,8% del PIL per il 201644. Vi corrisponderebbe una disponibilità di sei miliardi di euro che
permetterebbe di evitare l'aumento dell'IVA e l'applicazione delle altre clausole di salvaguardia (quantificate
in un punto di PIL, pari a circa sedici miliardi di euro), creando un circolo virtuoso che, secondo le
proiezioni del Governo, farebbe risalire la crescita, riavviare gli investimenti pubblici e ridurre le tasse.
4) Successi politici del nostro Governo
La Relazione 2015 sul meccanismo di allerta45, la quale costituisce il punto di partenza del ciclo annuale
della procedura per la riduzione degli squilibri macroeconomici, pubblicata nel novembre 2014, ha passato al
vaglio la situazione degli Stati membri per verificare se gli squilibri segnalati nella precedente valutazione
siano stati corretti. Quanto all'Italia, che assieme alla Croazia e alla Slovenia era stata collocata fra i Paesi in
condizione di "squilibrio eccessivo", all'esito del monitoraggio specifico condotto sul 2013 la Commissione
riferisce che nel quadro di valutazione aggiornato alcuni dati superano la soglia indicativa: quote del mercato
delle esportazioni -18,4% (5 anni), debito pubblico 127,9% del PIL, tasso di disoccupazione 10,4% (come
media su tre anni). La Commissione ha pertanto ritenuto di sottoporre ad ulteriore esame e monitoraggio la
persistenza dei rischi macroeconomici per il nostro Paese, le cui conclusioni sono state rese note nella
Relazione sull'Italia del 18 marzo 201546. Viene qui evidenziato come il persistere di bassi livelli di crescita
della produttività (contrazione del PIL dello 0,5% nel 2014) determini il mantenimento dei segnalati squilibri
43
Secondo il World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale, pubblicato nell'aprile 2015, il debito
pubblico raggiungerebbe invece 133,8% del PIL nel 2015 e il 132,9% del PIL nel 2016.
44
Secondo il Fondo monetario internazionale, il rapporto deficit/PIL dell'Italia si attesterebbe nel 2016 sull'1,7%.
45
Relazione della Commissione sul meccanismo di allerta (preparata conformemente agli articoli 3 e 4 del regolamento
UE n. 1176/2011 sulla prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici) del 28 novembre 2014,
COM(2014)904 final.
46
Documento di lavoro dei servizi della Commissione. Relazione per Paese relativa all'Italia 2015 comprensiva
dell'esame approfondito sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici, del 18 marzo 2015,
COM(2015) 85 final.
17
macroeconomici, ossia una misura molto elevata del debito pubblico (rapporto debito/PIL salito al 132% nel
2014) e la debolezza della competitività esterna; come il protrarsi della crisi abbia messo in luce i rischi insiti
nello stretto rapporto del settore bancario italiano con le imprese nazionali e l'emittente sovrano; come la
qualità degli investimenti abbia subìto un deterioramento a lungo termine. La Commissione osserva poi che
le carenze della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario compromettono la qualità del contesto
imprenditoriale e riducono la capacità di attuare efficacemente le riforme; che la partecipazione al mercato
del lavoro rimane bassa e le politiche attive sono deboli (tasso di disoccupazione al 13,3% nel quarto
trimestre del 2014); che il sistema fiscale ostacola l'efficienza economica del Paese. Si osserva come, nel
complesso, l'Italia abbia compiuto qualche progresso a seguito della raccomandazione del 2014, in particolar
modo con la significativa riduzione dell'onere fiscale sul lavoro e la riforma del mercato del lavoro in corso,
ma tali progressi sono comunque ritenuti insufficienti alla riduzione degli squilibri economici. La Relazione
si chiude individuando le sfide principali che l'Italia, nella complessa situazione economica delineata, è
chiamata ad affrontare nel risanamento di bilancio per la ripresa della crescita e nell'attuazione delle riforme
strutturali per l'aumento della produttività.
Nonostante i dati incontrovertibili dello scenario economico registrato dalla Commissione occorre tuttavia
dare conto del fatto che il nostro Governo ha raggiunto l'obiettivo della fuoriuscita del Paese dalla situazione
di criticità procedurale per aumento progressivo degli squilibri macroeconomici. La Comunicazione della
Commissione del 26 febbraio 2015 sul Semestre europeo 201547 mantiene infatti l'Italia fra i Paesi a
squilibrio eccessivo ma non la colloca fra quei Paesi, tra cui invece la Francia, per i quali i rischi di squilibrio
sono notevolmente aumentati con il conseguente passaggio della procedura ad uno stadio superiore. La
Relazione del 27 febbraio 2015 elaborata per l'Italia nell'ambito della procedura per i disavanzi eccessivi 48,
pur ribadendo i dati sull'eccesso di debito pubblico (destinato, secondo le stime dell'Unione, a raggiungere il
133% del 2015), dà conto del fatto che le attuali condizioni economiche sfavorevoli (e soprattutto i bassi
tassi di inflazione) rendono il rispetto della rapporto fra debito e PIL particolarmente difficile ed apprezza il
sistema di riforme strutturali che il Governo si è impegnato a realizzare per conseguire gli obiettivi europei,
giudicandole come riforme ambiziose, orientate alla crescita, idonee a contribuire alla riduzione del debito a
medio/lungo termine e che hanno imposto una battuta di arresto all'aumento degli squilibri. Si tratta pertanto
di un risultato politico di rilievo per il nostro Governo che, grazie alle riforme strutturali, sta consentendo al
Paese il riallineamento ai parametri europei, con una particolare menzione da parte della Commissione al
ruolo giocato nella valutazione della portata delle riforme dal Jobs Act e dalla riduzione del cuneo fiscale sul
lavoro determinata dalla legge di stabilità 2015.
47
Comunicazione della Commissione del 26 febbraio 2015, Semestre europeo 2015: valutazione delle sfide per la
crescita, prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici e risultati degli esami approfonditi a norma del
regolamento UE n. 1176/2011, COM(2015) 85 final.
48
Relazione della Commissione del 27 febbraio 2015, Italia. Relazione elaborata a norma del'articolo 126, paragrafo 3
del Trattato, COM(2015) 113 final.
18
5) I sacrifici assunti sul versante delle tutele del lavoro. Jobs Act e autonomia collettiva
Un siffatto esito ha avuto un prezzo, quello di iniettare dosi massicce di flexibility sia in entrata sia in
uscita dal mercato del lavoro, allentando fortemente i vincoli ed i costi delle tutele. La via seguita dal nostro
Governo è stata quella di puntare sulla riforma strutturale del lavoro, non potendo incidere, per i descritti
effetti di bilancio, né sulla spesa pubblica né sulla riduzione fiscale, e non trovando altre sponde utilmente
perseguibili o perseguibili a breve termine (riforma costituzionale, riforma della giustizia civile, riforma
degli appalti, misure anticorruzione, ecc.). La scelta, frutto del pressing europeo, ma deliberatamente assunta
in funzione degli obiettivi di crescita, di attrazione degli investimenti e di incremento occupazionale, è stata
portata avanti con coerenza e con grande impatto mediatico, potendosi riassumere in un breve slogan: meno
tutele, meno interferenze gestionali (dei sindacati, dei giudici), più libertà alle parti, più posti di lavoro e più
fiducia dei mercati49. Complesso è valutare l’esistenza del suddetto nesso a così breve distanza dalla riforma,
intanto interessa capire il livello di sacrifici e di arretramenti imposti ed i loro effetti sulle pratiche
contrattuali collettive del nostro Paese.
Il Jobs Act si compone di due atti: il primo rappresentato dal d.l. n. 34/2014 sul contratto a termine, sul
contratto di apprendistato e su altre questioni minori, il secondo rappresentato dalla legge delega n. 183/2014
e successivi decreti legislativi attuativi (allo stato nn. 22 e 23/2015 sulle indennità da disoccupazione
involontaria e sul contratto di lavoro a tutele crescenti, ma con in dirittura d’arrivo anche i decreti sulle
tipologie contrattuali e sulla maternità e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro). Si tratta di un rilevante
intervento normativo che va a toccare il cuore della disciplina dei rapporti di lavoro privati (contratti a
termine, somministrazione, co.co.pro., licenziamenti, ius variandi, controllo a distanza dei lavoratori,
copertura contro la crisi d’impresa e la disoccupazione involontaria), con qualche limitata incursione al
settore pubblico (ad esempio nel lavoro accessorio tramite voucher), e che, a differenza dell’ultimo quarto di
secolo, è stato formato senza alcun coinvolgimento né diretto né indiretto del sindacato50. Gli obiettivi
perseguiti sono chiari, anche se la valutazione di idoneità allo scopo degli strumenti apprestati è tutt’altro che
univoca: promuovere la semplificazione normativa e la razionalizzazione delle procedure e degli atti di
gestione del rapporto di lavoro, ridurre le protezioni e le rigidità per consentire una riduzione dei costi di
impiego del lavoro e una flessibilizzazione delle modalità di utilizzo, ridurre il dualismo nel mercato del
lavoro e fra insider e outsider e fra protetti e non protetti, ridurre il contenzioso anche tramite la previsione di
costi di separazione certi e prevedibili, contrastare il lavoro sommerso per incentivare la regolarizzazione e
aumentare i tassi di occupazione formale.
In tale prospettiva le principali misure adottate sono ormai ben note.
Sull’idea di fondo del Governo per cui la produzione di nuovi posti di lavoro è ancorata alla modifica della disciplina
giuridica del rapporto e del mercato del lavoro, cfr. F. CARINCI, Jobs Act, atto II: la legge delega sul mercato del
lavoro, in F. CARINCI e M. TIRABOSCHI (a cura di), I decreti attuativi del Jobs Act: prima lettura e interpretazioni,
ADAPT Labour Studies e-book series n. 37, 2015, p. 1 s.
50
Sul progressivo declino delle pratiche concertative cfr. M. RUSCIANO, Contrattazione e sindacato nel diritto del
lavoro dopo la l. 28 giugno 2012, n. 92, in Arg. Dir. Lav., 2013, p. 1283 s.
49
19
Con riguardo al termine51 è stato eliminato ogni riferimento alle ragioni giustificatrici del ricorso al
contratto a tempo determinato, il cui impiego è ora vincolato esclusivamente a requisiti di natura
quantitativo-temporale, con il superamento anche degli interventi di modifica del predetto art. 1 apportati
dalla riforma Fornero per l'introduzione delle ipotesi di "acausalità" del contratto a termine 52. Il primo
requisito risiede nella durata del rapporto di lavoro (concluso per l'esecuzione di qualunque tipo di
mansione), che non può sconfinare oltre il tetto massimo di trentasei mesi, comprensivo di eventuali
proroghe. Il secondo consiste nel limite percentuale entro il quale deve attenersi il numero complessivo dei
rapporti di lavoro a tempo determinato in azienda, pari al 20% del numero dei lavoratori a tempo
indeterminato in forza al primo gennaio dell’anno di riferimento. La conseguenza dell'inosservanza del limite
percentuale consiste nel versamento, per ciascun lavoratore, di una sanzione amministrativa pari al 20% della
retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro,
se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non sia superiore a 1, e pari al 50%
della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di
lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a uno (ed
espressa esclusione, ad opera del decreto in approvazione, della sanzione della conversione del rapporto a
tempo indeterminato). Peraltro alla contrattazione collettiva posta in essere da organizzazioni sindacali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale viene assegnata la facoltà di caducare o restringere
tali limiti, essendo abilitata ad innalzare ad libitum, fino al completo annullamento, la percentuale del 20% di
contratti a termine sul totale del personale a tempo indeterminato, ad incrementare la durata massima del
rapporto anche oltre la soglia dei trentasei mesi in caso di successione di una pluralità di contratti aventi ad
oggetto le stesse mansioni, a ridurre e/o annullare il regime degli intervalli e delle proroghe previste dalla
legge; in sostanza ad eliminare ogni vincolo o presupposto giuridico alla stipulazione di contratti a termine, il
cui utilizzo diventa potenzialmente fungibile rispetto al contratto a tempo indeterminato. D’altro canto tale
facoltà di deroga, che è sulla carta bilaterale, ma nei fatti è unilaterale ossia opera solo in senso estensivo e
flessibilizzante (v. infra), viene rimessa dapprima, con il d.l. n. 34/2014, al solo contratto nazionale per la
percentuale cardine del 20% e a tutti i livelli per gli altri profili53, quindi dallo schema di decreto legislativo
Cfr. M. BROLLO, La nuova flessibilità “semplificata” del lavoro a termine, in Arg. Dir. Lav., 2014, 3, p. 566 ss.; P.
CAMPANELLA, Vincoli e sanzioni nel ricorso al contratto a termine: forma e tetti agli organici, in F. CARINCI (a
cura di), La politica del lavoro del Governo Renzi, cit., p. 174 ss.; A. PIZZOFERRATO, Il contratto a termine dopo il
Jobs Act atto I: l’insostenibile ruolo derogatorio libero della contrattazione collettiva, ivi, p. 209 ss.
52
G. ZILIO GRANDI, M. SFERRAZZA, Il lavoro a termine verso la liberalizzazione?, in Arg. Dir. Lav., 2014, 4-5, p.
919 e ss.
53
Quanto agli intervalli e proroghe il disposto recita: “contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni
sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” (art. 5, c. 3,
d.lgs. n. 368/2001); quanto al superamento della durata massima di 36 mesi in caso di successione di più contratti a
termine, “contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” (art. 5, c. 4-bis, d.lgs. n. 368/2001); quanto alla
caducazione del limite del 20%, “contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più
rappresentativi” (art. 10, c. 7, d.lgs. n. 368/2001).
51
20
sulle tipologie contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni54, indifferentemente a tutti i livelli
contrattuali per qualsivoglia profilo e limite di utilizzo della fattispecie negoziale.
Con riguardo ai licenziamenti, è stato introdotto un nuovo regime degli effetti (d.lgs. n. 23/2015), valido
anche per i licenziamenti collettivi relativamente al personale assunto a partire dal 7 marzo 2015, che
marginalizza la reintegrazione ai casi di discriminatorietà, motivo illecito e intimazione orale, sottraendo il
sindacato giudiziale sia in relazione alla manifesta insussistenza delle ragioni economiche addotte sia in
relazione alla riconduzione dei fatti addebitati alle previsioni sanzionatorie conservative del codice
disciplinare, uniformando la disciplina intorno a parametri economici estremamente contenuti (due mensilità
di retribuzione per ogni anno di anzianità di servizio, con il minimo di quattro ed il massimo di ventiquattro),
ulteriormente comprimibili del 50% in caso di offerta conciliativa e di eventuale accertamento di esclusivo
vizio procedurale e/o formale55. Si è poi ulteriormente contenuta la tutela nelle imprese di piccole dimensioni
(sino a quindici dipendenti nell’unità produttiva interessata) nella forbice vincolata dall’anzianità di servizio
di due - sei mensilità, e sono state cassate le due principali esperienze procedurali della legge Fornero, ossia
il tentativo obbligatorio di conciliazione nei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo nell’ambito di
applicazione dell’art. 18 st. lav. ed il rito sommario dei licenziamenti individuali di cui all’art. 1, cc. 48-68, l.
n. 92/2012 (c.d. rito Fornero)56. Le organizzazioni di tendenza (“datori di lavoro non imprenditori che
svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione
o di culto”) sono state parificate a qualsivoglia altra impresa, in piena discontinuità con il passato e
nonostante le perplessità sollevate anche dalle Commissioni parlamentari competenti in sede di esame
obbligatorio ma non vincolante dello schema di decreto. Nessuna apertura, di nessun tipo, alla contrattazione
collettiva o alle organizzazioni sindacali, compare nel decreto, per cui nessuna funzione in subiecta materia
viene chiamata a svolgere l’autonomia collettiva che viene privata del compito di determinare il principio di
proporzionalità con riguardo al licenziamento disciplinare57.
Con riguardo al mutamento delle mansioni, si è ammessa la variabilità in peius e dunque l’assegnazione
a mansioni appartenenti al livello classificatorio inferiore in ogni caso di “modifica degli assetti organizzativi
aziendali”, pur con il mantenimento formale del medesimo inquadramento e relativa retribuzione. La
revisione operata sul testo dell’art. 2103 c.c. dallo schema di decreto legislativo, seppur chiara negli intenti
flessibilizzanti, è tuttavia estremamente carente sul versante tecnico, tanto da rischiare un effetto boomerang
sul versante pratico-operativo. Innanzitutto poiché esce dalle direttive della legge delega (che tipizzava,
all’art. 1, c. 7, lett. e, l. n. 183/2014, le causali di ammissibilità dei mutamenti nei “processi di
V. art. 21, c. 1, che prevede come il divieto di assunzione di lavoratori a termine oltre la soglia del 20% opera “salvo
diversa disposizione dei contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente
più rappresentative sul piano nazionale”.
55
Cfr. M. DE LUCA, Contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti e nuovo sistema sanzionatorio
contro i licenziamenti illegittimi: tra legge delega e legge delegata, in WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona" .IT –
251/2015.
56
Si stenta a comprendere la ragione di tale abolizione, anche considerata la buona prova di sé che hanno fornito, dopo
un’inevitabile prima fase di assestamento dovuta principalmente all’imperfezione tecnico-giuridica delle norme, e che
ha determinato apprezzabili riscontri in termini di deflazione e accelerazione del contenzioso esistente.
57
Rimane peraltro ferma la facoltà derogatoria del contratto aziendale ex art. 8 d.l. 138 (v. infra).
54
21
riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi”), ed
àncora ex lege la liceità di conciliazioni, anche rese in sede protetta, sulla modifica delle mansioni al rispetto
“dell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa
professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita”58; sicché potrebbe ricavarsi che ogni modifica
per essere valida deve essere resa nelle sedi di cui all’art. 2113, ult. c., c.c. o davanti alle commissioni di
certificazione di cui all’art. 76, d.lgs. n. 276/201359 e comunque debba intervenire solo in ipotesi obiettive
predefinite nelle quali si ravvisi la necessarietà dello spostamento ai fini della salvaguardia del posto di
lavoro o della professionalità acquista dal dipendente60. Di tal ché l’effetto innovativo del disposto non si
scorge sul versante della disciplina positiva recata (basti pensare alla giurisprudenza che da tanti anni
ammette la derogabilità del divieto anche in ipotesi, non specificamente autorizzate dal legislatore61,
connesse alla tutela del bene preminente del posto di lavoro ovvero per periodi transitori in presenza di
esigenze organizzative o produttive improrogabili); bensì sul versante delle fonti, poiché abilita l’autonomia
collettiva di tutti i livelli ad introdurre deroghe in maniera integrativa e/o sostitutiva della legge (“Ulteriori
ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore possono essere
previste da contratti collettivi, anche aziendali, stipulati da associazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale”, cui è affidato altresì il compito di fissare la durata oltre la quale
l’assegnazione a mansioni superiori diventa definitiva, anche in via derogatoria rispetto alla legge – che
comunque estende il periodo a sei mesi per tutte le categorie – art. 55, schema d.lgs.). E qui la delega al
contratto collettivo in materia di variazioni peggiorative non è neutra o bilaterale, poiché può operare solo in
malam partem nei confronti dei lavoratori, introducendo nuove e più comprensive ipotesi di disattivazione
del divieto e di determinazione dei contenuti concreti dell’assegnazione lecita (per quanti livelli inferiori, su
quali inquadramenti e profili professionali, per quale durata, ecc.). La cedevolezza del divieto, se non si
ricava, almeno in via univoca, dalle prescrizioni legislative, sarà in ogni caso realizzata dal contratto
collettivo, quanto meno di livello aziendale.
Quanto poi alle altre tipologie contrattuali non standard, si assiste, da un lato alla sostanziale conferma
della disciplina del lavoro part-time, intermittente, in apprendistato e accessorio62, dall’altro alla forte
E che la “diversa professionalità” debba essere intesa sì in senso dinamico e non con anacronistiche ed astratte
pesature di rilevanza di funzioni ma comunque in una logica di sviluppo professionale e di salvaguardia del proprio
standard professionale emerge anche dal raffronto con la legge delega che si esprime nei termini di “tutela del posto di
lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche”; e quindi non può attribuirsi all’aggettivo
“diversa” un significato di rottura, pena la contrarietà con i criteri direttivi della delega.
59
Così rendendo illecita ex se la nota prassi del c.d. recesso modificativo, su cui, per tutti , cfr. F. SANTONI, op. cit.,
139.
60
Di diverso avviso il DEF 2015 (pp. 69-70), in cui si dichiara: “In presenza di processi di ristrutturazione o
riorganizzazione aziendale l’impresa potrà, in via unilaterale, modificare le mansioni di un lavoratore fino ad un
livello, senza modificare il suo trattamento economico (salvo trattamenti accessori legati alla specifica modalità di
svolgimento del lavoro)”, senza peraltro tener conto della lettura sistematica complessiva del disposto.
61
Lavoratrice madre, sopravvenuta inidoneità al lavoro, necessità di allontanamento per motivi sanitari, accordi di
mobilità ex art. 4, c. 11, l. n. 223/1991, accordi di prossimità ex art. 8 d.l. n. 138/2011.
62
Anche se non mancano regressi di tutele anche su tale versante: fra gli altri, si segnalano la nuova previsione dell’art.
8, c. 3, schema d.lgs. sulle tipologie flessibili che in caso di violazione delle condizioni, modalità e limiti, previsti dalla
legge e dal contratto collettivo, di utilizzo delle prestazioni elastiche o flessibili introduce, quale sanzione di riferimento,
58
22
accelerazione, almeno sul versante della disponibilità disciplinare, impressa al contratto di somministrazione,
cui è stata dapprima sottratta, nella versione a tempo determinato, la causale generale delle “ragioni di
carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all'ordinaria attività
dell'utilizzatore” per il tramite del d.l. n. 34/201463, quindi sono state eliminate le causali specifiche della
somministrazione a tempo indeterminato, lasciandosi esclusivamente un limite percentuale di utilizzo (10%
sulla forza lavoro a tempo indeterminato), liberamente derogabile dalla contrattazione collettiva in questo
caso solo nazionale svolta dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative, in analogia al
primo step realizzato dall’atto I per il termine. D’altro canto, per la somministrazione a tempo determinato è
stata confermata l’assenza di qualsivoglia limite quantitativo o di durata di origine legislativa, che potrà,
eventualmente, essere introdotto dalla contrattazione collettiva nazionale. Così come si è affermato che nel
rapporto interno di lavoro a termine fra prestatore e agenzia di somministrazione, non si applica la disciplina
generale sul contratto a tempo determinato in relazione ai vincoli di legge esistenti (durata massima,
percentuale sul personale a tempo indeterminato, regime degli intervalli e delle proroghe), potendo peraltro il
“contratto collettivo applicato al somministratore” (parrebbe pertanto anche quello di livello aziendale)
definire eventuali limiti alla prorogabilità ed alla durata massima del contratto. In assenza di un tale
intervento contrattuale integrativo o in assenza di adesione del datore di lavoro al contratto collettivo
applicabile, il contratto a termine presso le agenzie di lavoro somministrato è totalmente privo di
qualsivoglia limite applicativo e pienamente fungibile con il contratto a tempo indeterminato. A ciò si
aggiunge l’abolizione dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro, fatti salvi i rapporti in essere
fino alla loro cessazione, e la riconduzione al passato del lavoro a progetto. Su quest’ultimo versante,
nonostante la demagogia del messaggio politico riformista, si è in verità consumata la cancellazione del
regime protettivo di cui al d.lgs. n. 276/2003, senza peraltro una reale messa al bando delle collaborazioni
coordinate e continuative. L’assetto proposto dallo schema di d.lgs. del Governo, in maniera non
immediatamente intellegibile, è il seguente: conservazione in vita delle norme di cui agli artt. 61-69-bis del
d.lgs. n. 276/2003 solo per la “regolazione dei contratti già in atto alla data di entrata in vigore del
decreto”64 e rinvio, per i rapporti instaurati successivamente, alla disciplina di cui all’art. 409 c.p.c.;
“un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno”; nonché l’abbassamento del limite di conferma degli
apprendisti al termine del periodo formativo per poter proseguire nelle assunzioni con tale tipologia contrattuale ex art.
2, c. 1, lett. a), n. 2), dl n. 34/2014 (“Ferma restando la possibilità per i contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati
dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, di individuare limiti diversi da quelli previsti
dal presente comma, esclusivamente per i datori di lavoro che occupano almeno cinquanta dipendenti l'assunzione di
nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione, a tempo indeterminato, del rapporto di lavoro al termine del
periodo di apprendistato, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 20 per cento degli apprendisti
dipendenti dallo stesso datore di lavoro”).
Quanto al ruolo del contratto collettivo viene mantenuto inalterato per tutte e quattro le fattispecie, con abilitazione di
tutti i livelli per il part-time, circoscrizione al nazionale o territoriale per l’individuazione dei casi di ricorso al lavoro
intermittente, riserva al nazionale (o all’interconfederale) per la disciplina dell’apprendistato senza più il limite di durata
di 6 mesi e con accentuazione del rilievo contrattuale nella determinazione dei percorsi e piani formativi, assenza di
qualsiasi riferimento nell’ambito del lavoro accessorio tramite voucher.
63
Cfr. C. ZOLI, La somministrazione di lavoro dal pacchetto Treu al decreto Poletti: un lungo percorso sulla via della
liberalizzazione, in F. CARINCI (a cura di), La politica del lavoro del Governo Renzi, cit., p. 242 ss.
64
Tale singolare disposto configurerebbe una sorta di «abrogazione ad orologeria», in quanto rinvia la caducazione
finale delle norme di cui agli artt. 61-69-bis d.lgs. n. 276/2003, alla cessazione dell’ultimo co.co.pro. già in atto alla data
23
individuazione di un periodo transitorio operante fino al 31 dicembre 2015 in cui il datore di lavoro può
stabilizzare i propri collaboratori a progetto (ma anche i propri collaboratori con partita IVA), lucrando
l’estinzione di tutte le eventuali violazioni commesse nella gestione precedente del rapporto in materia di
obblighi contributivi, assicurativi e fiscali a patto di mantenere in essere il rapporto una volta convertito per
almeno dodici mesi (salvo recesso per giusta causa o giustificato motivo soggettivo); riconduzione, a far data
dal 1° gennaio 2016, al lavoro subordinato dei contratti di collaborazione che si concretino in “prestazioni di
lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano
organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”. Non tutte le co.co.pro.
scompaiono, ma solo quelle che hanno tali caratteristiche, peraltro già anche prima espressive di una fittizia
collaborazione e della ricorrenza di un rapporto di lavoro subordinato65. Alla contrattazione collettiva, cui
viene negato ogni ruolo disciplinare sulle stabilizzazioni della fase transitoria, viene invece concesso di
derogare al divieto di co.co.co. con le suddette caratteristiche di prestazioni personali, continuative, a
contenuto ripetitivo ed eterodiretto, ammettendo la sopravvivenza tipologica e fornendo una disciplina
specifica “in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore”. La sede
deputata non può che essere quella nazionale, anche se la formulazione letterale, che si dissocia dalle altre
analoghe impiegate nel testo legislativo, non è univoca, almeno con riguardo al livello territoriale (“accordi
collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale”).
Con riguardo infine alla determinazione dei minimi salariali viene affermato un principio innovativo per
cui, “nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e
dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”, verrà applicato un
compenso orario minimo fissato per legge (e per decreto ministeriale), che avrà valore convenzionale di
retribuzione minima sia nei rapporti interni fra le parti sia nei rapporti con gli enti previdenziali. Il
meccanismo, formalmente di tutela e di intervento residuale solo in assenza di contrattazione collettiva
nazionale svolta da sindacati comparativamente più rappresentativi, sembra celare un effetto depressivo della
contrattazione collettiva e comunque una sottrazione alle organizzazioni sindacali del ruolo classico di
autorità salariale66. Da un lato, infatti, non esiste settore merceologico sprovvisto di un contratto nazionale
(come noto, i contratti nazionali in Italia navigano intorno a quota quattrocentocinquanta) o comunque in cui
non possa applicarsi in via analogica altro CCNL di settore affine sottoscritto da organizzazioni
comparativamente più rappresentative da cui trarre, per il tramite del combinato disposto degli artt. 36 Cost.
di entrata in vigore del decreto e rimasto a seguito del vaglio di insussistenza delle condizioni di trapasso al lavoro
subordinato (v. infra nel testo).
65
Anche qui di diverso avviso è il DEF 2015 che, nel programma nazionale di riforma (p. 37 ss.), afferma: “A partire
dall’entrata in vigore del decreto non potranno essere attivati nuovi contratti di collaborazione a progetto e,
comunque, dal 2016 non potranno più essere attivati rapporti di collaborazione caratterizzati da mono-committenza”.
66
Cfr. P. TOSI, Le nuove regole su rappresentatività e rappresentanza sindacale tra autonomia collettiva e legge, in F.
CARINCI (a cura di), Legge o contrattazione? Una risposta sulla rappresentanza sindacale a Corte costituzionale n.
231/2013, Adapt Labour studies e-book series n. 20/2014, p. 15.
24
e 2099 c.c.67, il parametro retributivo minimale; dall’altro lato, l’esistenza di un parametro legale, che
necessariamente in quanto comune e trasversale dovrà essere di importo contenuto, allenterà l’interesse per
la contrattazione nazionale e metterà pressione in senso riduttivo alle parti contraenti, indotte ad ammettere
passi indietro, diversificazioni territoriali, deroghe per aree e ambiti, pur di non consegnare la materia alla
fonte statuale68. Così i minimi rimarranno di competenza contrattuale, ma con la spada di Damocle del valore
di riferimento legale69. L’effetto di depotenziamento della contrattazione collettiva, di alterazione del sistema
di relazioni industriali, di abbassamento dei salari si genererà comunque anche laddove si optasse per
un’interpretazione letterale e restrittiva del disposto che limita l’area di applicazione del minimo legale ai
settori in cui non sia intervenuto alcun accordo tra le organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative70. L’esistenza infatti di “un sistema «duale», caratterizzato in via prevalente dalla presenza
67
Da ultimo cfr. Corte cost. 11 marzo 2015, n. 51, relatore Prof. Silvana Sciarra, che conferma la legittimità del
disposto soggetto a scrutinio di costituzionalità (art. 7, comma 4, del d.l. n. 248/2007: ”fino alla completa attuazione
della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di un pluralità di contratti collettivi
della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei
contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001,
n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle
organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria”), sul
presupposto che esso non realizzi l’efficacia erga omnes di alcuni contratti a scapito di altri in violazione dell’art. 39
Cost., ma si limiti ad identificare quali minimi retributivi, rispettosi dei principi dell’art. 36 Cost., quelli posti dalla
contrattazione collettiva leader, siglata dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative e da
prendersi a riferimento per la quantificazione giudiziale, anche allo scopo, non dichiarato ma sicuramente condivisibile,
di arginare il fenomeno della contrattazione collettiva c.d. pirata (“Il censurato art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007,
… richiama i predetti contratti, e più precisamente i trattamenti economici complessivi minimi ivi previsti, quale
parametro esterno di commisurazione, da parte del giudice, nel definire la proporzionalità e la sufficienza del
trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore, ai sensi dell’art. 36 Cost. Tale parametro è richiamato – e
dunque deve essere osservato – indipendentemente dal carattere provvisorio del medesimo art. 7, che fa riferimento
«alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative». Nell’effettuare un
rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l’andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui
operano le società cooperative, l’articolo censurato si propone di contrastare forme di competizione salariale al
ribasso, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e
della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni
comparativamente più rappresentative (fra le tante, la sentenza già citata della Corte di cassazione n. 17583 del
2014)”.
68
Nello stesso senso cfr. F. SANTONI, op. cit., p. 137, che in maniera assolutamente condivisibile osserva: “Tanto più
che in linea teorica una legge che stabilisca un salario minimo non sarebbe in contraddizione con un contratto di
categoria, anche se di fatto, in una fase di transizione come quella attuale del sistema industriale, la soluzione legale
finirebbe per rappresentare un’utile alternativa al contratto in quei settori più fortemente polarizzati, limitando
fortemente il livello nazionale di contrattazione, a tutto vantaggio della contrattazione decentrata”.
69
Quanto al rilevante profilo, contenuto nella delega, della revisione della disciplina dei controlli a distanza, è
prematuro svolgere qualsiasi osservazione posto che la delega è pressoché in bianco e non se ne riesce pertanto a
cogliere alcuna direzione di marcia, neppure sul versante del ruolo del contratto collettivo e dei sindacati (art. 1, c. 7,
lett. f): “tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative
dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore”). Sul punto, nemmeno la blanda
giurisprudenza della Corte costituzionale potrebbe, a nostro avviso, sopperire, posto che, in tal caso, non si tratta di
revocare in dubbio la discrezionalità tecnica attuativa del Governo ma di immaginare criteri direttivi in verità assenti:
cfr. da ultimo R. RUSSO, La delega in bianco nella giurisprudenza costituzionale, in Osservatorio costituzionale AIC,
Gennaio 2015, www.osservatorioaic.it/
70
Minimi contrattuali che, fra l’altro, sono fra i più bassi d’Europa. Cfr. E. GRAGNOLI, La parabola del contratto
collettivo nella società economica italiana, in Lav. Giur., 2013, 7, p. 653 ss.: “Per ora, l’esito è l’impoverimento
estremo delle risorse messe a disposizione del negoziato di categoria, in cui si discute di aumenti retributivi minimi. Né
si possono prevedere svolte nel breve periodo, per le discrasie insite nello stesso modello, di fronte alla disarticolazione
delle prospettive e delle risorse delle aziende e al venir meno di una realistica possibilità di governo di una
competizione nazionale”.
25
dei contratti collettivi applicati in via diretta e parametrica in base alla norma costituzionale, ed un altro
settore, minoritario, garantito dal salario minimo legale”71, non è indifferente né rispetto alle dinamiche
della negoziazione collettiva né rispetto alle valutazioni equitative condotte dai giudici in sede di
identificazione della giusta retribuzione. Certo rallenterebbe il descritto impatto ed eviterebbe, a breve, una
fuga dal contratto e dalle associazioni stipulanti, ma gli effetti destrutturanti si manifesterebbero comunque
nel tempo, a partire dai rinnovi contrattuali successivi all’introduzione del parametro legale, tanto più se
venisse associato un criterio di commisurazione per aree geografiche legato al costo della vita ovvero all’età
o alla categoria di lavoratori. La previsione di salari differenziati su base territoriale e/o sulla base di altri
indicatori obiettivi o soggettivi non è in sé in contrasto con l’art. 36 Cost., ma nell’attuale assetto
ordinamentale deve passare attraverso il contratto nazionale, che eventualmente attribuisca alla sede
decentrata facoltà di deroga e di differenziazione72. L’adozione di un criterio selettivo per via legislativa
bypasserebbe il CCNL e annullerebbe il ruolo di mediazione confederale, sottraendo un grande spazio alla
contrattazione collettiva, anche se determinerebbe un’indubbia moderazione salariale tanto più accentuata
nelle aree depresse del nostro paese73. D’altro canto se sono chiari la finalità e gli effetti del disposto della
legge delega74, è altrettanto chiaro che il legislatore nazionale si muove nel solco tracciato dall’Unione
europea che, forte di una prassi diffusa fra gli stati membri di previsione legale del minimo salariale75, a più
riprese ha raccomandato all’Italia di superare il centralismo contrattuale retributivo, di consentire la
variabilità dei minimi in funzione delle condizioni dei mercati locali e di ancorare più efficacemente i livelli
retributivi alla produttività di settore e d’azienda, ciò al fine di evitare squilibri macroeconomici interni e
rafforzare gli indicatori occupazionali delle aree geografiche più esposte alla crisi76. Qui la sintonia fra UE e
71
Così V. SPEZIALE, Le politiche del lavoro del Governo Renzi: il Jobs Act e la riforma dei contratti e di altre
discipline del rapporto di lavoro, in F. CARINCI (a cura di), La politica del lavoro del Governo Renzi, Adapt Labour
studies e-book series, n. 40, 2015, p. 54, che peraltro rileva criticamente in relazione alla normativa sul salario minimo,
pur ritenendone scongiurati gli effetti nel caso di specie: “L’ampia utilizzazione dei CCNL – che riguardano, come si è
visto, l’80% dei lavoratori – è conseguenza della estensione generalizzata dei minimi salariali da parte della
giurisprudenza. Oggi, infatti, le imprese applicano spontaneamente il contratto collettivo , anche se non sono iscritte
alle associazioni sindacali stipulanti in quanto la mancata adesione ai sindacati non incide sulla possibile estensione
dei minimi salariali ai sensi dell’art. 36 Cost. Tra l’altro, in molti casi (anche se non tutti), questa situazione spinge le
imprese ad applicare l’intero contratto collettivo e non soltanto le retribuzioni. E questo spiega perché il grado di
applicazione dei contratti è ben superiore alla quota di imprese e di lavoratori iscritti alle rispettive associazioni
sindacali stipulanti i CCNL”.
72
Cfr. S. BELLOMO, Retribuzione sufficiente e autonomia collettiva, Giappichelli, Torino, 2002.
73
Cfr. V. BAVARO, Reddito di cittadinanza, salario minimo legale e diritto sindacale, in Riv. Dir. Sic. Soc., 2014, 2,
p. 169 ss.
74
Cfr. P. ICHINO, Minimum Wage: perché non piace ai sindacati?, in www.pietroichino.it, intervento del 3 novembre
2014: “Se il Governo è convinto che i minimi tabellari dei contratti nazionali si collocano a un livello troppo alto per
poter essere assunto come standard minimo universale, è suo dovere disattendere la pretesa delle organizzazioni
sindacali di avere l’esclusiva della determinazione di questo standard minimo”.
75
Cfr. M. MAGNANI, Salario minimo, in F. CARINCI (a cura di), La politica del lavoro del Governo Renzi, cit., p.
538.
76
“L’inquadramento salariale, comprese le retribuzioni minime, deve consentire processi di formazione delle
retribuzioni che tengano conto delle differenze in termini di competenze e condizioni dei mercati occupazionali locali e
si adattino alle forti divergenze in termini di prestazioni economiche tra le regioni di uno stesso paese. In questo
contesto, le parti sociali hanno un importante compito da svolgere. Gli Stati membri con elevate eccedenze nelle partite
correnti dovrebbero prendere misure per varare riforme strutturali volte a rafforzare il potenziale di crescita e quindi
anche a sostenere la domanda interna. Ovviare agli squilibri macroeconomici, incluso tra gli Stati membri, contribuirà
anche a conseguire coesione economica”, raccomandazione del Consiglio del 13 luglio 2010 (parte I degli orientamenti
26
Governo è piena e gli eventuali margini per una soluzione compromissoria paiono angusti, anche se
probabilmente ricavabile nel carattere sperimentale e reversibile dell’intervento e nella salvaguardia
dell’attuale assetto contrattuale.
Dunque, se la flexibility in entrata ed in uscita è stata significativamente rafforzata, secondo le linee guida
delle istituzioni UE ma attraverso scelte e strumenti determinati dal Governo, probabilmente non potrà dirsi
altrettanto della security nel mercato del lavoro, per il momento oggetto di misure solo sperimentali e non
ancora strutturali77. Non dimentichiamo infatti che negli orientamenti integrati (n. 7: incrementare la
partecipazione al mercato del lavoro di donne e uomini, riducendo la disoccupazione strutturale e
promuovendo la qualità del lavoro), si prevede che: “I provvedimenti volti a migliorare flessibilità e
sicurezza dovrebbero risultare equilibrati e rafforzarsi a vicenda. Gli Stati membri dovrebbero pertanto
introdurre una combinazione di forme contrattuali flessibili ed affidabili, politiche attive del mercato del
lavoro, apprendimento permanente efficace, politiche a favore della mobilità dei lavoratori e sistemi di
previdenza sociale adeguati volti ad assicurare transizioni nel mercato del lavoro accompagnate da una
definizione chiara dei diritti e delle responsabilità affinché i disoccupati possano cercare attivamente un
impiego. Insieme alle parti sociali, si dovrebbe prestare particolare attenzione alla flessicurezza interna sul
posto di lavoro”. Ora, non vi è dubbio che gli strumenti messi in campo siano articolati e multipli (riforma
ammortizzatori sociali in costanza di rapporto, riforma indennità di disoccupazione78, incentivi alle
assunzioni, creazione di due nuove Agenzie di supervisione, indirizzo e controllo per il lavoro e per le
ispezioni, lancio operativo della Youth Guarantee79), ma è altrettanto vero che la riforma della cassa
integrazione guadagni e dei contratti di solidarietà deve essere ancora varata, anche se si preannuncia di
minore copertura rispetto al passato sia per la versione ordinaria sia per quella in deroga; la riforma dell’Aspi
incrementa le durate e gli importi, ma sul primo versante dal 1° gennaio 2017 si tornerà ai diciotto mesi, sul
secondo la soglia massima subisce, già a partire dal quarto mese, tagli mensili dell’ordine del 3%, andando
integrati), allegato, orientamento n. 2; “gli Stati membri dovrebbero creare condizioni che favoriscano sistemi di
contrattazione salariale e sviluppi del costo del lavoro coerenti con la stabilità dei prezzi e le tendenze della
produttività”, decisione del Consiglio del 21 ottobre 2010 (parte II degli orientamenti integrati), allegato, orientamento
n. 7; ed ancora “prove empiriche indicano che in un contesto di contrattazione salariale centralizzata e salari
determinati prevalentemente dalle Regioni principali gli shock economici negativi, quali la crisi attuale, hanno
maggiore incidenza sulle Regioni arretrate. Infatti dalla fine degli anni '70 il Centro-Nord in Italia è stato più resiliente
durante gli shock”, Report della Commissione sull'Italia del 18 marzo 2015, p. 82.
Sui rischi del passaggio nel nostro ordinamento da un modello di “job property” ad uno di sicurezza nel mercato, cfr.
E ALES, Il modello sociale europeo ai tempi della flexicurity: considerazioni critiche sul “Patto leonino di
modernizzazione”, in Scritti in onore di Edoardo Ghera, Cacucci, Bari, 2008, vol. I, p. 38; in senso favorevole invece
all’abbandono del modello di “job property” per approdare ad un modello di liability rule combinata con misure di
protezione del lavoratore nel mercato, cioè al passaggio “da un regime che considera come un valore l’inamovibilità del
lavoratore e la non contendibilità della sua funzione produttiva a un regime che, invece, promuove e tutela la mobilità
del lavoratore, necessaria per la migliore allocazione e valorizzazione del suo lavoro”, P. ICHINO, La fine della job
property e la cattiva coscienza della vecchia sinistra, in www.pietroichino.it, 2 marzo 2015.
78
Cfr. E. BALLETTI, Gli ammortizzatori sociali nel Jobs Act del Governo Renzi, in F. CARINCI (a cura di), La
politica del lavoro del Governo Renzi, cit., p. 277 ss.
79
Come noto, la Garanzia Giovani è un programma dell’Unione europea volto a contrastare il fenomeno dei giovani che
non lavorano e non studiano (c.d. NEET) offrendo loro occasioni di tirocinio, formazione professionale o avanzata,
occupazione temporanea, apprendistato, servizi di accoglienza e presa in carico da parte di organismi specializzati nella
mediazione tra domanda e offerta di lavoro.
77
27
quindi fortemente a comprimersi per le ultime mensilità dell’eventuale biennio, d’altro canto la Dis-coll e
l’Asdi, oltre ad essere di durata assai contenuta (sei mesi), sono introdotte solo in via sperimentale per l’anno
2015 e dovranno pertanto eventualmente essere rifinanziate nei prossimi anni; le incentivazioni
all’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tutele crescenti, in attesa di una revisione complessiva
degli incentivi disposta dalla legge delega, sono limitate al 2015 e valgono entro il tetto massimo di
stanziamento fissato; mentre la conformazione ed i poteri della due Agenzie non sono stati ancora divulgati e
non se ne conosce, almeno da parte di chi scrive, il progetto, anche se visti i non brillanti risultati raccolti da
precedenti esperienze istituzionali, si può ragionevolmente nutrire qualche perplessità in ordine al buon esito
dell’iniziativa, anche in conseguenza dell’inevitabile accavallarsi di competenze e ruoli.
Il saldo della riforma in termini protettivi è quindi negativo80, ma date le descritte premesse economiche e
politiche, difficilmente ci si poteva attendere un diverso esito. Piuttosto si può ragionare se l’effetto
regressivo non si sarebbe potuto più utilmente determinare non solo attraverso una maggiore gradualità di
sacrifici ma anche evitando di destrutturare il sistema dell’autonomia collettiva che esce profondamente
intaccato dalla riforma, come dimostra l’ultima sua esperienza applicativa che risente di un robusto trend di
decentramento regolativo, già avviato dall’art. 8, d.l. n. 138/201181.
6) Nuovi assetti della contrattazione collettiva: verso un «decentramento disorganizzato»?
L’avvento del Jobs act dischiude inediti orizzonti sul versante delle relazioni contrattuali collettive, che
entrano in una nuova stagione fortemente derogatoria e decentrata, in cui il modello di prossimità diventa la
regola sia nella formalizzazione normativa sia nella nuova prassi operativa e viene definitivamente superata
ogni residua remora alla devoluzione verso il basso della regolamentazione dei rapporti di lavoro, preludio
alla probabile e finale sottrazione al livello nazionale della determinazione degli standard minimali anche
con riguardo all’aspetto economico.
L’erosione della sede regolatoria nazionale a vantaggio di quella aziendale è peraltro fenomeno in essere già
da diversi anni, sulla scia di convergenti indicazioni in tal senso formulate dalle istituzioni europee, dal
legislatore nazionale, dalla contrattazione interconfederale e non ultimo dalla giurisprudenza 82, tutti protesi,
In tal senso, cfr. V. SPEZIALE, op. cit., p. 65: “In una dimensione diacronica, si può osservare come la riduzione
costante dei diritti in tema di licenziamenti – già operata nel 2012 ed ulteriormente accentuata con il contratto a tutele
crescenti – non trovi un significativo riequilibrio nelle protezioni di cui il lavoratore potrà godere per affrontare la
disoccupazione”.
81
Quanto al passaggio dalla fase della c.d. deregolazione “controllata” a quella della c.d. deregolazione “secca”
all’epoca della legislazione flessibile, cfr. P. CAMPANELLA, Clausole generali e obblighi del prestatore di lavoro, in
Giorn. Dir. lav. Rel. Ind., 2015, p. 91 s.
82
L’unica eccezione al criterio dell’efficacia erga omnes del contratto aziendale è rappresentata dai lavoratori che,
aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, abbiano espresso esplicito dissenso rispetto all'accordo aziendale,
sempre che l’accordo non intervenga in ambiti rinviati e/o riservati dalla legge: cfr. Cass. 23 maggio 2013, n. 12722: «Si
è, infatti, affermato (Cass. sez. lav. n. 6044 del 18/4/2012) che "i contratti collettivi aziendali sono applicabili a tutti i
lavoratori dell'azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l'unica eccezione di quei
lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l'esplicito dissenso dall'accordo e
potrebbero addirittura essere vincolati da un accordo sindacale separato. (Nella specie, la S.C., affermando il
80
28
per finalità e in contesti differenti, a salvaguardare l’efficacia erga omnes derogatoria e flessibilizzante del
contratto decentrato. Tuttavia tale processo è stato realizzato sul principio della permanenza della struttura
tradizionale della contrattazione collettiva, in cui l’asse portante è rappresentato dal livello nazionale e
confederale, con deroghe limitate e settoriali da parte del livello aziendale, specificamente ammesse dal
centro (legge o CCNL) o comunque effettuate “nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti
collettivi nazionali di lavoro”, in una logica di intervento eccezionale e/o sperimentale della periferia83 (“La
principio, ha ritenuto applicabile l'accordo aziendale ad un lavoratore che, senza essere iscritto all'organizzazione
stipulante, non risultava tuttavia affiliato ad un sindacato dissenziente e aveva anzi invocato l'accordo medesimo a
fondamento delle sue istanze)" (conforme a Cass. sez. lav. n. 10353 del 28/5/2004). Invero, la tutela di interessi
collettivi della comunità di lavoro aziendale e, talora, la inscindibilità della disciplina, che ne risulta, concorrono a
giustificare - secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte, le sentenze n. 17674/2002 e n.5953/99) –
l’efficacia soggettiva "erga omnes" dei contratti collettivi aziendali, cioè nei confronti di tutti i lavoratori dell'azienda,
ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti». Quanto alla libera derogabilità, con la sola salvaguardia
dei diritti già definitivamente acquisiti nel patrimonio dei lavoratori, del contratto nazionale ad opera del contratto
aziendale, v., da ultimo, Cass. 15 settembre 2014, n. 19396: “La concorrenza delle due discipline, nazionale e
aziendale, non rientrando nella disposizione recata dall'art. 2077 cod. civ., va risolta tenuto conto dei limiti di efficacia
connessi alla natura dei contratti stipulati, atteso che il contratto collettivo nazionale di diritto comune estende la sua
efficacia nei confronti di tutti gli iscritti, nell'ambito del territorio nazionale, alle organizzazioni stipulanti e il contratto
collettivo aziendale estende, invece, la sua efficacia, a tutti gli iscritti o non iscritti alle organizzazioni stipulanti,
purché svolgenti l'attività lavorativa nell'ambito dell'azienda. I lavoratori ai quali si applicano i contratti collettivi
aziendali possono, pertanto, giovarsi delle clausole dei contratti collettivi nazionali se risultano iscritti alle
organizzazioni sindacali che hanno stipulato i relativi contratti collettivi (cfr. in tali senso: Cass. 26 giugno 2004 n.
11939 cui adde ex plurimis: Cass. 7 giugno 2004 n 10762). E sempre con riguardo al concorso tra i diversi livelli
contrattuali è stato anche precisato che detto concorso va risolto non secondo i principi della gerarchia e della
specialità propria della fonte legislative, bensì accertando quale sia l'effettiva volontà delle parti, da desumersi
attraverso il coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutti pari dignità e forza
vincolante, sicché anche i contratti aziendali possono derogare in peius ai contratti nazionali, senza che osti il disposto
dell'art. 2077 c.c., con la sola salvaguardia dei diritti già definitivamente acquisiti nel patrimonio dei lavoratori, che
non possono pertanto ricevere un trattamento deteriore in ragione della posteriore normativa contrattuale, di eguale o
di diverso livello (cfr. tra le tante: Cass. 2 aprile 2001 n. 4839, cui adde, Cass. 7 febbraio 2004 n. 2362 e Cass. 18
settembre 2007 n. 19351)”. In dottrina, cfr. M. PERSIANI, Diritto sindacale, Cedam, Padova, 2012, p. 126 ss.; V.
LECCESE, Il diritto sindacale al tempo della crisi. Intervento eteronomo e profili di legittimità costituzionale, in
Giorn. Dir. Lav. Rel Ind., 2012, p. 6 ss.
Ricordiamo che per il CCNL vale allo stato, in attesa dell’attuazione del TU interconfederale sulla rappresentatività e,
all’esito di tale attuazione comunque negli ambiti non coperti da tale disciplina, il principio dell’efficacia limitata agli
iscritti alle associazioni sindacali stipulanti ovvero agli aderenti, anche in via implicita, all’accordo (v. la massima
tralaticia: “I contratti collettivi di lavoro non dichiarati efficaci erga omnes ai sensi della l. 14 luglio 1959 n. 741,
costituendo atti di natura negoziale e privatistica, si applicano esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra
soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti, ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano
fatto espressa adesione ai patti collettivi e li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente,
desumibile da una costante e prolungata applicazione delle relative clausole ai singoli rapporti, fermo restando, in
detta ultima ipotesi, che non è sufficiente a concretizzare un'adesione implicita, idonea a rendere applicabile il
contratto collettivo nell'intero suo contenuto, il semplice richiamo alle tabelle salariali del contratto stesso, né la
circostanza che il datore di lavoro, non iscritto ad alcuna delle associazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo,
abbia proceduto all'applicazione di alcune clausole di tale contratto, contestandone invece esplicitamente altre” - così,
fra le altre, Cass. 8 maggio 2009, n. 10632; Cass. 29 ottobre 2013, n. 24336; Cass. 10 novembre 2014, n. 23925).
83
Significativa in tal senso è la clausola di derogabilità prevista dagli accordi interconfederali (28 giugno 2011 e 10
gennaio 2014) secondo cui “I contratti collettivi aziendali possono attivare strumenti di articolazione contrattuale
mirati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi. I contratti collettivi aziendali
possono pertanto definire, anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative delle
regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro nei limiti e con le procedure previste dagli stessi
contratti collettivi nazionali di lavoro. Ove non previste ed in attesa che i rinnovi definiscano la materia nel contratto
collettivo nazionale di lavoro applicato nell’azienda, i contratti collettivi aziendali conclusi con le rappresentanze
sindacali operanti in azienda d’intesa con le relative organizzazioni sindacali territoriali di categoria espressione delle
Confederazioni sindacali firmatarie del presente accordo interconfederale o che comunque tali accordi abbiano
formalmente accettato, al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo
29
contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate e con le modalità previste dal contratto
collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge”)84. In tale ambito trovano collocazione le
disposizioni sul contratto di prossimità (art. 8, d.l. n. 138/201185), sulle agevolazioni fiscali e contributive per
la quota di retribuzione contrattata a livello aziendale (art. 1, cc. 481 ss., l. n. 228/201286, art. 1, cc. 67 s., l. n.
247/200787), sulle deroghe al termine della legge Fornero, così come il Testo unico sulla rappresentanza di
cui all’accordo 10 gennaio 2014 che riprende i precedenti accordi del 28 giugno 2011 e del 31 maggio
201388.
E’ vero che lo scenario fattuale si è trasformato in senso multipolare a causa dei vistosi arretramenti di
rappresentanza del sistema confederale, che hanno prestato il fianco non solo all’affermarsi di una
contrattazione esclusiva di gruppo / aziendale89, ma anche alla fine dell’era della concertazione sociale90,
all’innervarsi di modelli contrattuali nazionali competitivi e conflittuali condotti dall’esterno e all’interno
delle stesse organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative91, nonché dal rinvio regolatorio a
sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa, possono definire intese modificative con riferimento agli istituti del
contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro. Le
intese modificative così definite esplicano l’efficacia generale come disciplinata nel presente accordo”.
84
Cfr. F. CARINCI, Il diritto del lavoro che verrà (in occasione del congedo accademico di un amico), in Arg. Dir.
Lav., 2014, 3, p. 669.
85
Cfr. A. PERULLI, V. SPEZIALE, L’articolo 8 della l. 14 settembre 2011, n. 148 e la “rivoluzione di agosto” del
Diritto del lavoro, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, n. 132/2011; A. VALLEBONA, L’efficacia derogatoria dei
contratti aziendali o territoriali: si sgretola l’idolo della uniformità oppressiva, in Bollettino Adapt 3 ottobre 2011, n.
32; U. CARABELLI, I profili di incostituzionalità dell’art. 8 con riferimento alla sancita efficacia erga omnes dei
contratti collettivi da esso previsti, in Riv. Giur. Lav., 2012, I, p. 549 s.; F. SCARPELLI, Il rapporto tra la legge e la
contrattazione di prossimità nell’art. 8 del d.l. n. 138/2011, ivi, p. 495 ss.; R. DE LUCA TAMAJO, Prime valutazioni e
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8 della l. n. 148 del 2011, in Arg. Dir. Lav., 2012, 1, p. 19 ss.
86
Su cui peraltro non è ancora intervenuta l’estensione al 2015: da ultimo v. quindi circolare Min. lavoro n. 14/2014,
Dpcm 19 febbraio 2014 e infra sub nt. 102.
87
Il meccanismo agevolativo, un tempo strutturale, è stato reso transitorio a partire dal 2008, ma sino ad ora sempre
reiterato, anche se in misura e con capacità di copertura differenti. Allo stato manca, però, per il 2015, il decreto
attuativo ed il meccanismo è dunque in stand by: v. infra sub nt. 102.
88
Cfr., in particolare, M. RICCI, L’accordo interconfederale 28 giugno 2011: un’inversione di tendenza nel sistema di
relazioni industriali, in Arg. Dir. Lav., 2012, p. 43 ss.; P. TOSI, L’accordo interconfederale 28 giugno 2011: verso una
(nuova) autoricomposizione del sistema contrattuale, in Arg. Dir. Lav., 2011, p. 1212 ss.; T. TREU, Modifiche in
materia di contrattazione collettiva. L’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, in Treccani, Libro dell’anno del
diritto, Roma, Istituto della enciclopedia italiana; A. MARESCA, Il contratto collettivo nazionale di categoria dopo il
protocollo d’intesa 31 maggio 2013, in Riv. It. Dir. Lav., 2013, I, p. 707 ss.; A. ZOPPOLI, Il protocollo del maggio
2013, una svolta sospesa tra prassi (assenti) e norme (inadeguate), in Dir. Lav. Merc., 2013, 2, p. 249 ss.; A.
VISCOMI, Prime note sul Protocollo 31 maggio 2013, in Riv. It. Dir. Lav., 2013, I, 749 ss.; F. CARINCI (a cura di), Il
Testo Unico sulla Rappresentanza 10 gennaio 2014, ADAPT Labour Studies e-Book series, n. 26/2014; R. DEL
PUNTA, Note sparse sul Testo Unico sulla rappresentanza, in Dir. Rel. Ind., 2014, p. 673 ss.; P. LAMBERTUCCI, La
rappresentanza sindacale e gli assetti della contrattazione collettiva dopo il testo unico sulla rappresentanza del 2014:
spunti di riflessione, in Riv. It. Dir. Lav., 2014, I, p. 237 ss.
89
Il riferimento d’obbligo è al gruppo Fiat, sulla cui vicenda si rinvia a M. BROLLO, Lo shock di Pomigliano sul
diritto del lavoro: il rapporto individuale, in Arg. Dir. Lav., 2010, 6, p. 1095 ss.; B. CARUSO, La rappresentanza
negoziale irrisolta. Il caso Fiat tra teoria, ideologia, tecnica e … cronaca, in Riv. It. Dir. Lav., 2011, I, p. 265 ss.; S.
LIEBMAN, Sistema sindacale “di fatto”, crisi dell’unità sindacale e rinnovi contrattuali separati: prime verifiche
giudiziali, in Arg. Dir. Lav., 2011, p. 484 ss.
90
Cfr. M. TIRABOSCHI, La contrattazione collettiva ai tempi del Jobs Act, in Contratti & Contrattazione collettiva,
2015, n. 3, p. 4 s.
91
Caso emblematico della competizione interna fra le stesse organizzazioni comparativamente più rappresentative è
costituito dal settore degli agenti di assicurazione in gestione libera, dove in sede di rinnovo si è determinata una
frattura fra le tre principali sigle sindacali datoriali che ha comportato l’attivazione di un nuovo distinto tavolo fra la
30
contratti nazionali relativi a diversi settori merceologici per l’intervenuta dismissione dell’affiliazione
sindacale imprenditoriale. Ma è altrettanto vero che tali deviazioni hanno portato fuori dal sistema
confederale pezzi del mondo del lavoro intaccando solo marginalmente il modello di riferimento92, che si è
ridimensionato nel grado di copertura, ma ha complessivamente retto l’urto, anche per l’azione sinergica
svolta dalle contrapposte organizzazioni imprenditoriali e dei lavoratori.
Ora invece cambia la qualità dell’intervento legislativo, poiché viene concesso all’autonomia contrattuale di
incidere sulle tutele fondamentali del lavoro, di superare lo schema legislativo su materie core, qualificanti la
situazione di dipendenza economica di una parte del rapporto93, senza richiami a forme di contemperamento
di interessi o a situazioni eccezionali di salvaguardia della continuità d’impresa ed occupazionale. Ciò altresì
senza rispetto del principio maggioritario, né di quello finalistico propri del modello dell’art. 894.
La contrattazione collettiva aziendale, potendo essere sganciata da ogni rapporto funzionale con il livello
nazionale rispetto al quale si pone in condizione di piena fungibilità, e rinforzata nelle capacità regolative
derogatorie, si muove priva di puntelli e di sostegni esterni, risultando così fortemente condizionata dai
maggiore associazione imprenditoriale (SNA) e nuove organizzazioni sindacali prima totalmente estranee al settore
(Fesica Confsal e Confsal Fisals), che ha portato alla sigla di due contratti antagonisti, quello SNA del 10/11/2014 in
piena discontinuità, anche nelle decorrenze di efficacia, con i precedenti, e quello ANAPA-UNAPASS del 20/11/2014
che si è mosso in continuità disciplinare e di interlocutori sindacali (Fiba Cisl, Fisac Cgil, Fna, Uilca Uil). Il Ministero
del lavoro, con interessante nota del 24 marzo 2015, pur riconoscendo la legittimità di entrambi gli accordi, ha
assegnato solo al secondo la patente di accordo sottoscritto da organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative a livello nazionale della categoria, con ciò richiedendo la verifica di rappresentatività su entrambe le
parti contraenti, ed espungendo pertanto il primo contratto dal raggio di applicazione delle disposizioni legislative
premiali o selettive in base al criterio della significativa rappresentatività (es. in materia di agevolazioni e benefici
normativi e contributivi - art. 1, c. 1175, l. n. 296/2006; di retribuzione parametro per il calcolo dei contributi – art. 1, c.
1, d.l. n. 338/1989; di trattamenti economici riconosciuti ai soci lavoratori di cooperative – art. 7, c. 4, d.l. n. 248/2007;
di deroga al limite percentuale del 20% dei contratti a termine – art. 1, d.lgs. n. 368/2001; di disciplina del contratto di
apprendistato - art. 2, d.lgs. n. 167/2011).
92
Imperniato su due livelli contrattuali, con facoltà di deroga del livello inferiore anche al di fuori delle clausole di non
ripetibilità purché all’interno di un percorso di supervisione da parte delle sedi territoriali, con adozione di un criterio
maggioritario specificato nel riferimento al consenso elettorale – adesione della maggioranza dei componenti delle
rappresentanze sindacali unitarie elette secondo le regole pattuite in sede interconfederale –, e alla delega associativa –
adesione di RSA appartenenti alle associazioni sindacali che risultino destinatarie della maggioranza delle deleghe
relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori dell’azienda (i.e. adesione della maggioranza dei lavoratori iscritti
al sindacato) (e possibilità di sottoposizione a referendum confermativo in caso di richiesta di organizzazione sindacale
firmataria accordo ovvero di richiesta da parte del 30% dei lavoratori dell’impresa), e con il sostegno
all’implementazione delle nuove RSU definite dall’accordo 10 gennaio 2014 per le unità produttive con più di 15
dipendenti (“Le parti contraenti il presente accordo concordano che in ogni singola unità produttiva con più di
quindici dipendenti dovrà essere adottata una sola forma di rappresentanza”, così Protocollo sociale 10 gennaio 2014).
Nell’accordo del 10 gennaio 2014 dunque, si adotta un criterio maggioritario per la sottoscrizione e di contratti
nazionali e di contratti aziendali, ma tale criterio nel primo caso rappresentata la media ponderata in via egualitaria fra
dato associativo e dato elettorale, nel secondo caso invece viene assunto l’uno o l’altro parametro in via alternativa
(maggioranza dei componenti RSU ovvero delle RSA che detengano complessivamente il maggior numero di deleghe
in azienda). Cfr., oltre agli Autori citati supra, anche F. SANTONI, Decentramento contrattuale e potere di
rappresentanza nella disciplina interconfederale sui contratti collettivi, in Mass. Giur. Lav., 2014, 6, p. 363 ss.
93
Come visto, ad esempio, contratti a termine, inquadramento, controllo dei lavoratori, orari di lavoro.
Sulla nullità degli accordi aziendali derogatori in violazione, anche formale, dei limiti scopo di cui all’art. 8 d.l. n.
138, cfr. A. PERULLI, La contrattazione collettiva «di prossimità»: teoria, comparazione e prassi, in Riv. It. Dir. Lav.,
2013, I, pp. 941-944. In senso opposto, per una lettura “di continuità in senso evolutivo del sistema sindacale italiano”
dell’art. 8, M. DEL CONTE, La riforma della contrattazione decentrata: dissoluzione o evoluzione del diritto del
lavoro?, in Dir. Rel. Ind., 2012, 1, pp. 37-39.
94
31
rapporti di forza esistenti, sempre più sbilanciati dalla crisi economica e produttiva in atto 95. Non è pertanto
più una contrattazione che scambia (occupazione per flessibilità oraria, retribuzione variabile per aumento di
produttività, innovazione di processo per flessibilità tipologica), ma è una contrattazione principalmente
ablativa che, anche nelle situazioni di ordinarietà o addirittura di espansione organizzativo-finanziaria,
abbassa le soglie di tutela, riduce i costi normativi ed economici delle imprese senza aprire ad alcuna
contropartita96, poiché la spinta interna sindacale non riesce a realizzarsi o comunque si realizza con
insufficiente presa dissuasiva. Ciò naturalmente non è dovuto solo alle norme, ma anche alla globalizzazione
dell’economia e dei mercati che rende le imprese sempre più dipendenti dall’export e dalla capacità di
penetrazione internazionale dei propri prodotti e, in ultima analisi, dalla comparabilità di costo dei fattori
della produzione, non potendosi più scaricare eventuali differenze sui prezzi finali di vendita. Sicché
l’alternativa della delocalizzazione della produzione e dei servizi interni, della chiusura di rami aziendali e
conseguente esternazionalizzazione, della finanziarizzazione dell’attività d’impresa, non lasciano margini di
manovra alle rappresentanze sindacali in azienda, costrette ad avallare le scelte aziendali, che assumono la
veste negoziale pur in presenza di una sostanza largamente unilaterale. D’altro canto se la competitività non
riesce a giocarsi solo sull’innovazione, sulla produttività, sulla rete, non può che tradursi in un abbassamento
delle soglie di tutela minimale del lavoro, con un’inevitabile compressione dei costi di utilizzo e gestione
delle risorse umane. Ciò riduce gli spazi di agibilità del contratto nazionale e amplia in funzione derogatoria
quelli del contratto aziendale, inducendo moderazione salariale e deterioramento degli standard quale
contraltare dell’integrazione dei mercati e dell’esposizione alla concorrenza internazionale delle imprese.
La contrattazione aziendale rischia di diventare un simulacro negoziale costruito per giustificare la
permanenza in vita del principio di inderogabilità della legge ma di fatto cavallo di Troia per una forte
compressione dei livelli di tutela esigibili. Ecco così che paradossalmente, in una versione inedita rispetto al
passato, supera i preesistenti ostacoli alla sua diffusione perché diventa attraente anche per le medie imprese
dato che i costi di transazione sono significativamente compensati dai benefici ottenuti e non vi è più la
necessità di attivare l’incentivazione di risultato, che rimane confinata in una soglia media relativamente
contenuta del 10%, mentre ne viene incentivato il ricorso97 ai fini dell’applicazione del beneficio della
detassazione e della decontribuzione in presenza di indicatori quantitativi di produttività, efficienza e qualità,
nonché di flessibilità degli orari e delle ferie e di fungibilità delle mansioni, oltre che di introduzione di
95
In tal senso cfr. G. SANTORO PASSARELLI, Autonomia privata individuale e collettiva e norma inderogabile, in
Riv. It. Dir. Lav., 2015, I, p. 80: “Il potenziamento del contratto aziendale in deroga, soprattutto se svincolato dal
controllo a monte da parte del contratto nazionale, rischia inevitabilmente di far saltare il primo livello di
contrattazione e le relative logiche solidaristiche, a tutto vantaggio di discipline aziendali in cui il sindacato può essere
più condizionato dalla controparte”.
96
Rectius, con l’unica contropartita di garantire la continuità dell’occupazione. In tal senso cfr. C. ROMEO, Il processo
di “aziendalizzazione” della contrattazione collettiva: tra prossimità e crisi di rappresentatività sindacale”, in Arg.
Dir. Lav., 2014, 4-5, p. 882, che rileva: “ciò in ragione di una logica pervasiva, oggi sempre di più ispirata ad una vera
e propria apertura nei riguardi dell’azienda, nella volontà di perseguire, a qualunque costo, la salvaguardia
dell’occupazione, come ampiamente si manifesta dalla definitiva entrata in vigore del Jobs Act del 2014”.
97
Sarebbe in verità più appropriato usare il tempo passato poiché le misure non sono state, almeno al momento,
reiterate per il 2015 (v. infra sub nt. 102). La percentuale di imprese che hanno fruito del regime di detassazione sul
salario di produttività si è attestata intorno al 50% (pari a circa il 60% dei lavoratori), segno che in alcune imprese
l’unica contrattazione esistente è quella volta all’applicazione del suddetto regime agevolato.
32
sistemi di controllo a distanza sull’attività dei lavoratori. Indicatori peraltro spesso solo nominali, privi di
reale riscontro effettuale incrementale sull’attività organizzativa d’impresa98.
In tale contesto appare un semplice flatus vocis, sicuramente un buon auspicio ma difficilmente realizzabile,
quello di chi preconizza99 un nuovo contratto aziendale, non più “classico” perché più orientato al
cambiamento organizzativo, ma nemmeno “derogatorio” ex art. 8, d.l. n. 138/2011 perché eccessivamente
liberalizzante, all’interno di una disciplina legislativa di cornice che individui un modello unico di
rappresentanza sui luoghi di lavoro e fissi criteri univoci di legittimazione negoziale e di attribuzione di
efficacia al contratto. Un siffatto scenario non tiene conto né dell’assoluta promiscuità di funzioni registrata
nella prassi dal contratto di secondo livello, corroborata dalla stessa giurisprudenza che ha ritenuto irrilevante
l’esplicita spendita del richiamo all’art. 8 ai fini della realizzazione degli effetti tipici previsti dalla norma, né
dell’avversione dimostrata dalla politica e dalle stesse organizzazioni sindacali rispetto all’ipotesi di una
legge sulla rappresentanza che conferisca patenti di legittimazione e subordini l’efficacia degli accordi a
condizioni maggioritarie verificate di sottoscrizione. Nonostante l’inattualità di una tale posizione contraria
da parte di organizzazioni sindacali confederali dei lavoratori che avrebbero tutto l’interesse ad imporre il
rispetto di un criterio maggioritario misurato ed effettivo per scongiurare il rischio di una fuga incontrollata
dal contratto nazionale e dal sistema confederale, in verità non si manifesta alcuna iniziativa a favore
dell’intervento legislativo secondo una datata linea di pensiero che valorizza tout court l’autonomia
contrattuale e teorizza un self restraint da parte del legislatore nelle vicende interne al sindacato e nelle
modalità di estrinsecazione della libertà contrattuale.
Si assiste così ad una mutazione funzionale del contratto aziendale che lascia gli spazi tradizionali della
retribuzione variabile e della flessibilità controllata (la prima a causa della mancanza di risorse o della
presunzione strumentale di tale mancanza e dell’effetto disincentivante rappresentato dall’elemento di
garanzia o perequativo nazionale per le imprese che non hanno contrattazione decentrata, la seconda a causa
dello sgretolamento della struttura articolata), per transitare sul terreno dell’autonoma determinazione della
misura e forme di flessibilità e di welfare aziendale, definendo gli standard effettivi di tutele sul lavoro (c.d.
decentramento disorganizzato)100. In tal modo si avvia un processo di ritorno alla radici dell’ordinamento
sociale, lasciato in misura prevalente ai rapporti di forza tra le parti per fronteggiare l’urto della competizione
globale in relazione alle condizioni date del nostro paese (v. supra sub par. 3), con un PIL in stagnazione, il
98
In senso contrario, ma in relazione agli assetti consolidati nel quadriennio passato non con valenza proiettiva,
riportano indagine statistica del CNEL che evidenzia come la presenza di contrattazione integrativa sia espressiva in
azienda di una maggiore diffusione di pratiche di gestione del personale ad alta performance (lavoro in team,
retribuzione variabile per dirigenti, coinvolgimento dei livelli gerarchici inferiori nelle decisioni aziendali), F.
D’AMURI, C. GIORGIANTONIO, Stato dell’arte e prospettive della contrattazione aziendale in Italia, in WP CSDLE
“Massimo D’Antona”, n. 242/2015, p. 11.
99
Cfr. F. D’AMURI, C. GIORGIANTONIO, op. cit., p. 29 s.
100
Certo, vi sono anche i contesti in cui il sindacato in azienda ha la forza di imporre regimi di protezione ulteriori
contro i licenziamenti, in via surrogatoria e/o sostitutiva rispetto al d.lgs. n. 23/2015. In tal caso la contrattazione
aziendale gioca un ruolo autonomo e polivalente, potendo nel contempo presentarsi quale veicolo di liberalizzazione
nella gestione delle risorse umane ma anche di supplenza alla legge e al CCNL in funzione di salvaguardia di specifici
beni fondamentali della persona. Ma si tratta di situazioni circoscritte sul territorio ed in determinati ambiti
merceologici, che non intaccano, anzi confermano, il trend all’autosufficienza o alla esclusività del contratto aziendale.
33
debito pubblico in costante ascesa che non consente alcun allentamento della morsa fiscale e contributiva, la
disoccupazione incalzante e l’export che cede progressive quote di mercato mondiale.
Il contratto di secondo livello perde pertanto la funzione di distributore di ricchezza in azienda o sul
territorio, di volàno per l’innovazione e l’incremento di produttività101, proponendosi quale sede regolatoria
alternativa e di smantellamento delle principali rigidità gestionali, in una logica di risparmio dei costi e di
comparazione rispetto alle condizioni di lavoro garantite all’estero. In tal senso, non sarà come prima per cui
il contratto aziendale era appannaggio solo del 25% delle aziende italiane, quelle aperte al mercato102, mentre
le altre rimanevano ancorate esclusivamente al contratto nazionale; ora la contrattazione aziendale si
estenderà ulteriormente sul versante normativo a prescindere dall’attitudine competitiva dell’azienda e dalla
sua proiezione internazionale, anche se per queste ultime i contenuti non saranno solo derogatori ma
potranno muoversi in una pluralità di direzioni in linea con le maggiori possibilità organizzative d’impresa.
Con il solo limite delle dimensioni aziendali, poiché, come noto, prima di una certa soglia minimale (dieci venti dipendenti), la negoziazione è in larga parte individuale e non vi sono vantaggi né oneri che inducano
al ricorso alla contrattazione collettiva.
E d’altro canto non dovrebbero formarsi resistenze o remore derivanti dall’incertezza applicativa legata agli
spazi di agibilità della contrattazione collettiva, anche aziendale. Tali incertezze, un tempo legate ai criteri di
legittimazione sindacale e di efficacia generale dell’accordo, sono in via di stemperamento all’interno del
mondo confederale industriale per il tramite dei menzionati accordi interconfederali che hanno introdotto uno
sbarramento all’accesso al tavolo negoziale nazionale del 5% quale media ponderata di voti e deleghe ed una
soglia maggioritaria del 50% + 1 per la sottoscrizione degli accordi nazionali ed hanno chiarito la piena
esigibilità ed efficacia dell’accordo di secondo livello nei confronti di tutto il personale in forza e di tutte le
associazioni sindacali espressione delle Confederazioni sindacali firmatarie se adottato nelle previste forme
maggioritarie; nonché per il tramite della ricorrente formula derogatoria del Jobs Act rappresentata dal
“contratto collettivo, anche aziendale, stipulato da associazione sindacale comparativamente più
rappresentativa sul piano nazionale”, che mantiene il filtro selettivo su base nazionale comparativa e non si
esprime in ordine al criterio maggioritario. Il modello che ne scaturisce è composito, poiché all’interno del
mondo confederale industriale o di altri settori che aderiscano al TU sulla rappresentanza del 2014103, vige
101
In maniera del tutto imprevista il Governo non ha peraltro, allo stato, reiterato le misure, certo formalmente cicliche
e non strutturali ma indispensabili per dare maggiore fiato ai valori reali dei salari medio-bassi, della detassazione, per
cui nulla ha disposto la legge di stabilità per il 2015 (a fronte delle disponibilità da ultimo espresse relativamente al
2013 e 2014 dall’art. 1, c. 481, l. n. 228/2012), e della decontribuzione, per cui ha disposto nella legge di stabilità per il
2015 (art. 1, c. 313, l. n. 190/2014) un sostanzioso ridimensionamento (circa un terzo) della dotazione del relativo
fondo, senza peraltro aver ancora adottato il relativo DM attuativo concernente le forme e modalità di distribuzione.
102
Con evidente incremento della percentuale di diffusione del contratto collettivo aziendale al crescere delle
dimensioni, in termini di numero di dipendenti, dell’impresa.
103
Che, peraltro, non è ancora operativo, almeno sul versante dell’efficacia del CCNL, stante la presenza della sola
convenzione con Inps (16 marzo 2015) riguardante la raccolta, elaborazione, comunicazione dei dati relativi alla
rappresentanza delle organizzazioni sindacali stipulanti il TU attraverso le dichiarazioni mensili dei datori di lavoro
(UNIEMENS) e la creazione di una banca dati dedicata contenente in forma anonima i dati di affiliazione sindacale per
azienda, territorio e categoria, nonché, con riferimento alle unità con più di quindici dipendenti, per contesto produttivo
34
sia il doppio canale rappresentativo (elettivo ed associativo), sia il criterio maggioritario (ponderato fra i due
dati a livello nazionale, e alternativo – maggioranza componenti rsu o rsa – a livello aziendale), al di fuori da
tale circuito vige il solo canale associativo di significativa rappresentatività sul versante nazionale e non
opera invece il criterio maggioritario. Ma le regole sono comunque identificate.
Per altro verso, l’affermazione di uno schema derogatorio del contratto collettivo aziendale rispetto alla
legge104 e rispetto al contratto collettivo nazionale non influenza la natura inderogabile delle norme
lavoristiche, che rimane presente e continua a costituire l’architrave della materia, anche se ridimensionata
drasticamente negli ambiti applicativi dalla descritta riduzione dei contenuti protettivi. In altre parole, il venir
meno della funzione ordinate del CCNL e delle clausole di non ripetitività, l’affacciarsi di numerose ipotesi
derogatorie ex lege, l’ampliamento dei casi di contrattazione aziendale esclusiva, non hanno sottratto alla
legge la funzione regolatoria primaria dei rapporti di lavoro, piuttosto hanno ristretto il novero delle
posizioni soggettive invalicabili, hanno ridisegnato il nocciolo duro di tutele intangibili. Infatti, anche
l’attuale legislatore ha confermato il tradizionale meccanismo del rinvio derogatorio al contratto collettivo e
dunque, da un lato, ha inibito all’autonomia individuale qualunque forma dispositiva a priori, dall’altro ha
segnato i confini entro cui la contrattazione collettiva può cimentarsi senza incorrere nel classico
meccanismo sanzionatorio della nullità con sostituzione automatica delle clausole contrattuali difformi 105. E’
chiaro che più si ampliano gli oggetti delle deroghe e più l’impianto di base vacilla, poiché la norma di legge
da inderogabile si trasforma in di default, di intervento residuale in caso di mancato intervento
dell’autonomia collettiva; ciò può portare a rilevanti problemi se vengono compromessi valori fondanti
dell’ordinamento quali la libertà, la dignità, l’uguaglianza, la buona occupazione106, ma tali problemi vanno
analizzati singolarmente in sede di bilanciamento di principi e interessi, non potendosi ritenere che la tecnica
legislativa adottata abbia di per sé dissolto la natura inderogabile dei diritti del lavoro. Tale tecnica si è infatti
imperniata intorno al tradizionale strumento della delega derogatoria, seppur esteso nel suo raggio d’azione
qualitativo e quantitativo, che chiama in causa sempre le organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale; non si tratta quindi di uno strumento di rottura sul piano formale rispetto
al sistema di relazioni industriali sperimentato nel passato, ma di una forte sollecitazione sul versante
sostanziale alle confederazioni sindacali chiamate a dover governare il sistema contrattuale senza punti
dotato o meno di rsa; mentre non risulta ancora sottoscritta analoga convenzione con Cnel, chiamato a raccogliere i dati
elettorali e a fare la ponderazione.
104
Le funzioni derogatorie del contratto collettivo nazionale per rinvio legislativo mostrano invece un’esperienza ormai
ultratrentennale: cfr. G. PROIA, Il contratto collettivo fonte e le "funzioni" della contrattazione collettiva, in Il sistema
delle fonti nel diritto del lavoro, Atti del Convegno AIDLASS, Foggia - Baia delle Zagare, 25-26 maggio 2001, Giuffré,
Milano, 2002, p. 113 ss.; A. PIZZOFERRATO, I rapporti tra legge e contratto collettivo, in C. ZOLI (a cura di), La
fonti. Il diritto sindacale, cit., p. 419 ss.
105
Cfr. G. SANTORO PASSARELLI, Autonomia privata individuale e collettiva e norma inderogabile, cit., p. 78, che,
in maniera ineccepibile, fa notare peraltro come l’eccessivo assottigliamento della regolamentazione legale, in uno con
l’ampliamento dei contenuti delle deroghe, riduce fatalmente lo spazio di intervento del suddetto meccanismo
sostitutivo nei confronti della contrattazione collettiva. Sulle tecniche legislative di ibridazione tra inderogabilità e
indisponibilità condotte nel corso del primo lustro del nuovo millennio, cfr. P. TULLINI, Indisponibilità dei diritti dei
lavoratori: dalla tecnica al principio e ritorno, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2008, p. 443 ss.
106
Sul punto v. infra sub par. 8, in relazione alla compatibilità delle deroghe al contratto a termine con il divieto
europeo di abuso dei contratti temporanei.
35
fermi, con ampia fungibilità di competenze regolatorie fra i diversi livelli107. Ma la sfida è ardua considerata
la spinta del particolare produttivo e la facoltà comunque di scelta fra una serie di interlocutori possibili, non
indistinti, selezionati dal criterio di significativa rappresentatività su base nazionale, ma in ogni caso non
tassativamente indicati nelle principali confederazioni e non necessitanti, per legge, di un consenso
maggioritario in azienda e neppure a livello nazionale108.
Come è noto, i criteri misuratori della rappresentatività non ricevono, nel settore privato, un’esplicita
configurazione legislativa quanto all’ammissione alla negoziazione collettiva, sicché la capacità di esprimere
gli interessi del gruppo sociale di riferimento è lasciata all’interprete che dovrà valutare il grado di
radicamento associativo e organizzativo dell’associazione in esame. Il richiamo alla circostanza di essere
associazioni “firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell'unità produttiva” oppure di aver
“partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori
dell'azienda”109, funziona per l’ambito aziendale in relazione alla costituzione di rsa ed alla titolarità dei
conseguenti diritti sindacali ma non è criterio dirimente per valutare l’associazione ai fini del superamento
della soglia di sbarramento a negoziare in deroga. Se si tratta di associazioni firmatarie o aderenti al TU del
2014, vigono le regole assunte consensualmente per cui nulla quaestio; ma se si tratta di associazioni
estranee all’accordo interconfederale, quid iuris? Si può applicare comunque, eventualmente attingendo in
107
Ciò in via di principio; la prima realtà contrattuale attuativa della riforma è stata di segno talmente negativo sul
versante della tenuta dei vincoli legali da far sorgere forti preoccupazioni sulla sopravvivenza fattuale del principio di
inderogabilità e dell’attuale assetto fra le fonti del diritto del lavoro. V. infra nel testo, sub par. 9. In tal senso anche
l’esperienza di altri paesi europei (es. Germania, Francia, Ungheria, Paesi Bassi): sul punto cfr. A. JACOBS,
Decentralisation of Labour Law Standard Setting and the Financial Crisis, in N. BRUUN, K. LÖRCHER, I.
SCHÖMANN (a cura di), The Economic and Financial Crisis and Collective Labour Law in Europe, Hart Publishing,
Oxford and Portland, Oregon, 2014, p. 174: “All these examples in theory should not lead to the conclusion that
statutory labour law is weakened by the expansion of provisions allowing derogations by collective agreements. This
technique was not originally intended to be used in this way. It was assumed that the parties are of equal strength at the
level of collective bargaining. However, this is often not the case today. Many trade unions have seen their strength
weakened by lower membership and the rise of yellow unions. This being the case the expansion of statutory labour law
subject to derogation by collective agreement is certainly a way of weakening labour law”; A. SEIFERT, European
economic governance and the labour laws of the EU member states, in Comp. Lab. Law & Policy Jour., 2015, vol. 35,
p. 3 ss.
108
Sul persistente favore per l’autonomia dell’ordinamento intersindacale, “sino ad oggi è stata sicuro presidio di un
sistema di relazioni industriali dinamico e creativo, idoneo ad imporre anche esperienze concertative. La sua
istituzionalizzazione ne verrebbe a comprime l’essere genetico ed a favorire fenomeni di stanca burocratizzazione”, cfr.
R. PESSI, Ordinamento statuale e ordinamento intersindacale: promozione o regolazione?, in Riv. It. Dir. Lav., 2014,
I, p. 15. Il problema di fondo è, a mio avviso, che, non essendo più stagione, né sul versante politico né su quello
finanziario pubblico, di legislazione promozionale al sindacato confederale, l’attuale laissez faire in materia di selezione
dei soggetti sindacali, di efficacia del contratto collettivo e di definizione dei rapporti fra diversi livelli, ampiamente
condiviso e in dottrina e presso i sindacati, rischia di provocare brusche accelerazioni nel processo di “picconatura” del
modello esistente, con dilatati vuoti di tutela collettiva o con trascinamento sostitutivo verso il basso della
contrattazione collettiva, sia in senso di sede regolativa sia in senso di peggioramento delle condizioni lavorative.
109
Corte cost. 3 luglio 2013, n. 231, su cui cfr. F. CARINCI, Il buio oltre la siepe: Corte costituzionale 23 luglio 2013,
n. 231, in Dir. Rel. Ind., 2013, p. 899 ss.; R. DEL PUNTA, L'art. 19 Statuto dei Lavoratori davanti alla Consulta: una
pronuncia condivisibile ma interlocutoria, in Lav. Dir., 2013, p. 527 ss.; R. DE LUCA TAMAJO, La sentenza n.
231/2013 della Corte costituzionale sullo sfondo della crisi del sistema sindacale anomico, in Riv. Giur. Lav., 2014, p.
45 ss.; A. MARESCA, Costituzione delle Rsa e sindacati legittimati, in Arg. Dir. Lav., 2013, p. 1298 ss.; M. RICCI, La
rappresentatività sindacale dopo gli interventi della Corte costituzionale e della contrattazione collettiva: problemi e
prospettive, in Le rappresentanze sindacali in azienda: contrattazione collettiva e giustizia costituzionale, Atti del
convegno AIDLASS (Roma, 16 settembre 2013), Jovene, Napoli, 2014, p. 155 ss.
36
via analogica dalla norma sul pubblico impiego110, la soglia del 5% o si deve svolgere un’analisi empirica di
tutti gli aspetti connotativi della vita, delle finalità e degli assetti organizzativi interni dell’associazione ai fini
dello svolgimento del suddetto scrutinio (magari da effettuarsi a posteriori, su istanza del lavoratore che
rivendichi l’inapplicabilità nei suoi confronti di una norma recessiva assunta da un contratto aziendale
stipulato da rappresentanza sindacale aderente a circuito nazionale reputato dall’istante non
comparativamente più rappresentativo)?111
Il terreno in cui ci muoviamo è sicuramente instabile e difficilmente prevedibile nelle evoluzioni, ma quello
che interessa rilevare al fine del ragionamento che ci occupa è che comunque la rappresentatività nazionale
richiesta per la firma dell’accordo, indipendentemente da come si risolva il quesito sopra posto, è sì effettiva
e non presunta, è sì su base nazionale e non meramente aziendale, ma può ben essere minoritaria e anche
solo categoriale, l’importante è che non sia simbolica e che si traduca in un ancoraggio certo strutturale,
organizzativo, funzionale e di adesioni all’ambito merceologico o professionale in cui si collocano l’azienda
ed i lavoratori coinvolti112. Va da sé pertanto che il richiamo nella deroga ai sindacati comparativamente più
rappresentativi a livello nazionale se è sufficiente a filtrare i contratti collettivi «pirata» o quelli stipulati da
organizzazioni sindacali più rappresentative solo da un lato (vuoi imprenditoriale vuoi dei lavoratori)113, non
è invece in grado di scremare né gli accordi separati114, né gli accordi che siano intestati ad associazioni
sindacali dotate di una certa legittimazione rappresentativa nazionale, anche se non maggioritaria, che
saranno fuori dal sistema confederale, ma dentro le deroghe legislative; così come non è in grado di scremare
accordi che, pur muovendosi al livello negoziale aziendale esclusivo, e quindi al di fuori della struttura
articolata confederale115, siano stipulati da rappresentanze aziendali affiliate a confederazioni o
organizzazioni di rilievo nazionale.
7) Dalle regole alle prassi, traiettorie di sviluppo della dimensione collettiva
110
Cfr. S. MAINARDI, Legge n. 15/2009 e decreti di attuazione: il rapporto tra fonte legislativa e contrattazione
collettiva nazionale e integrativa, in G. ZILIO GRANDI (a cura di), Il lavoro negli enti locali: verso la riforma
Brunetta, Giappichelli, Torino, 2009, p. 1 ss.
111
Favorevole al primo esito, A. GARILLI, Crisi e prospettive della rappresentatività sindacale: il dialogo tra Corte
costituzionale e accordi sindacali, in Arg. Dir. Lav., 2015, p. 52; G. FERRARO, Sul rinnovato “sistema” di relazioni
industriali, in Arg. Dir. Lav., 2014, p. 562; contrario V. BAVARO, Azienda, contratto e sindacato, cit., p. 190 ss., per
cui l’espressione «comparativamente più rappresentativa» sottende una misurazione del consenso maggioritario.
112
In tal senso cfr. G. FERRARO, op. loc. cit.: “E’ quasi superfluo poi aggiungere che in tal modo si registra uno
scivolamento del senso letterale della formula utilizzata, e anche della sua portata normativa, che prima assumeva una
valenza prevalentemente selettiva escludendo i sindacati meno rappresentativi nella comparazione, ora ne assume una
prevalentemente inclusiva con un tendenziale apertura anche a quei sindacati che abbiano superato la fatidica soglia
del 5%”.
113
V. supra sub nt. 92.
114
Su cui cfr. A. LASSANDARI, Problemi e ricadute della contrattazione separata, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2010,
p. 323 ss.; A. BELLAVISTA, Contrattazione separata, in F. CARINCI (a cura di), Da Pomigliano a Mirafiori: la
cronaca si fa storia, Ipsoa, Assago, 2011, p. 57 ss.
115
Sulla rilevanza giuridica della dimensione territoriale nel diritto sindacale italiano, cfr. L ZOPPOLI, Istituzioni e
negoziazioni territoriali: un’analisi della strumentazione giuridica, in Riv. Giur. Lav., 2015, p. 29 ss.; D. GAROFALO,
Gli accordi territoriali, in Mass. Giur. Lav., 2012, 3, p. 171 ss.
37
Il descritto scenario, inevitabilmente destinato a realizzarsi nel prossimo futuro, per le irresistibili spinte
concentriche alla semplificazione, razionalizzazione e riduzione dei costi del lavoro, con robusto
arretramento delle logiche solidaristiche ed egualitarie, messe fortemente in discussione dall’attuale stato
dell’economia e del bilancio pubblico, è peraltro tendenziale ed in via di maturazione ed espansione.
D’altronde il processo è in progress e presuppone tempi di metabolizzazione operativa non irrilevanti, non
solo per il peso conformativo di una tradizione sindacale ultracinquantennale, ma anche per la naturale spinta
inerziale dell’assetto esistente, che gioca in via di conservazione anche in virtù delle limitate dimensioni del
nostro tessuto imprenditoriale116. Prima infatti che i principi contenuti nelle norme di apertura alla
contrattazione collettiva derogatoria sopra richiamati si traducano in prassi contrattuali diffuse e consolidate,
sono inevitabili tappe progressive di avvicinamento, molto influenzate dalla capacità di tenuta del sistema
confederale, dall’unità d’azione dei suoi protagonisti e dalla effettività rappresentativa che dimostrerà tra i
lavoratori, nei diversi ambiti produttivi e professionali.
Ciò spiega come, nelle indagini condotte su campioni contrattuali aziendali relativi a periodi non successivi
al 2013, si rilevi una complementarietà funzionale fra contratto aziendale e relativo contratto nazionale, e
quindi una sostanziale tenuta del modello di governance multilivello proprio della contrattazione articolata,
con limitato uso delle deroghe117. A parte l’ovvia osservazione che l’esito dipende molto dai settori analizzati
e dalla loro storia sindacale, non sfugge che la vera svolta è stata realizzata a partire dal concepimento e
implementazione del Jobs Act, poiché è da lì che si è presa consapevolezza da parte degli addetti ai lavori del
mutato clima operativo, del disfavore verso la sede contrattuale nazionale, dell’ampliamento delle
competenze derogatorie del contratto aziendale anche non maggioritario purché indirettamente agganciato a
realtà organizzative nazionali, della possibilità concreta di poter incidere sugli assi portanti del diritto del
lavoro (quali termine, somministrazione, ius variandi, controllo a distanza, orario di lavoro), senza
consistenti rischi di giudizi ex post di nullità di clausole collettive che propongano rilevanti arretramenti di
tutela. E’ la svolta flessibilizzante e di assottigliamento dei diritti invalicabili impressa dal Governo che ha
mutato e sta mutando da un lato la percezione dei rapporti di forza delle relazioni industriali, dall’altro le
convinzioni imprenditoriali in ordine alla fattibilità di curvature dell’attività lavorativa sulle esigenze di
adattabilità, ricomposizione permanente e liquidità dell’impresa, già presenti da anni nei nuovi modelli
organizzativi (struttura a matrice, struttura di rete, management by objectives o by results, ecc.) ma ritenute
finora incompatibili con l’assetto di interessi costituzionale del lavoro. In questo ambito crescono
Pensiamo solo, a mo' di esempio, cosa significhi per un’impresa di piccole dimensioni, che abbia scelto di gestire in
proprio gli adempimenti lavoristici, fiscali e previdenziali, sganciarsi dagli applicativi esistenti e creare un proprio
gestionale lavoro, contenente la disciplina risultante dall’accordo esclusivo aziendale, che potrebbe essere autonoma e
sostitutiva dell’intero contratto nazionale, ovvero di una sua parte, ed ancora derogatoria, anche in parte, della legge,
con la necessità di operare gli opportuni raccordi e sistemazioni vuoi al CCNL vuoi alla legge. Il rischio dell’ignoto,
tende, almeno prima facie, a prevalere sul vantaggio dell’assetto derogatorio.
117
Da ultimo cfr. la ricerca empirica condotta su un campione di trecentocinquanta contratti integrativi aziendali
sottoscritti tra il 2008 ed il 2013 nell’industria metalmeccanica lombarda da P. TOMASSETTI, Il decentramento
contrattuale in Italia: primi profili ricostruttivi di una ricerca empirica, in Arg. Dir. Lav., 2014, p. 1321 ss. che, pur
rilevando la complementarietà fra livello aziendale e livello nazionale, tuttavia stigmatizza l’assenza di “conseguenze
tangibili sul piano endoassociativo e su quello della responsabilità contrattuale” in caso di violazione da parte dei
livelli organizzativi inferiori delle norme contrattuali obbligatorie assunte in ambito nazionale (p. 1340).
116
38
contestualmente, e in alcuni casi anche in maniera strumentale, l’opzione o la minaccia di opzione di exit nei
confronti delle associazioni sindacali, e le spinte derogatorie sui diversi tavoli negoziali, ormai largamente e
liberamente alternativi fra loro, fondate su vere o presunte situazioni di crisi e/o ristrutturazione e/o
salvataggio aziendale.
Si sono così registrati fenomeni contrattuali nuovi rispetto al passato. Abbiamo assistito nel corso dell’ultimo
anno ad un’esplosione dei contratti nazionali derogatori per quanto concerne il ricorso al termine, che hanno
ampiamente superato, congiuntamente o singolarmente, le già deboli soglie minimali previste dal legislatore
sia sul versante della percentuale complessiva del 20%118, sia sugli intervalli minimi119 e sul numero
118
Sul superamento del limite quantitativo del 20%, v. Accordo nazionale di recepimento nel CCNL Industria
Alimentare del decreto legge 20 marzo 2014, n. 34, convertito in legge 16 maggio 2014, n. 78, in materia di contratto a
tempo determinato, del 7 novembre 2014, che alza la soglia al 25%; Accordo di rinnovo del contratto collettivo
nazionale di lavoro per gli addetti delle piccole e medie industrie di cemento, fibrocemento, calce e gesso CONFAPI del
14 luglio 2014, che consente di modificare la soglia percentuale mediante accordo sindacale, anche aziendale, qualora
se ne ravvisi la necessità ed in funzione delle specifiche esigenze aziendali; Verbale di accordo per il rinnovo del CCNL
19 aprile 2010 per i lavoratori dipendenti delle imprese edili e affini e del CCNL Cooperative del 26 aprile 2010, del 1°
luglio 2014, che alza la soglia al 25% e consente un ulteriore 15% di assunzioni a tempo determinato con riferimento ai
lavoratori iscritti in BLEN.IT. (Borsa lavoro edile nazionale); Protocollo d'intesa sull'art. 4, Sezione Quarta - Titolo I
del CCNL 5 dicembre 2012 Metalmeccanici Industria del 25 settembre 2014, che rinvia alla contrattazione aziendale
l'individuazione di limiti quantitativi diversi quando si ravvisi la necessità, per l'esecuzione di un'opera, di un servizio,
di una commessa o di un appalto definiti o predeterminati nel tempo, di assumere lavoratori con contratto a tempo
determinato oltre il limite legale del 20%; Contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti delle agenzie di
assicurazione in gestione libera del 10 novembre 2014, che eleva la soglia al 30%; Accordo di rinnovo del CCNL 22
gennaio 2013 Energia e Petrolio del 28 novembre 2014, che eleva la soglia al 25%, consentendo l'ulteriore
innalzamento al 40% con riferimento all'esecuzione delle attività di cantiere e di quelle di commessa, nei settori di
ingegneria, servizi, montaggio e perforazione; Accordo sul contratto a tempo determinato per gli Studi Professionali o
Società che amministrano condomini e patrimoni immobiliari o erogano servizi integrati agli edifici del 21 agosto 2014,
che ammette le assunzioni a termine senza limiti quantitativi a fronte delle elencate ragioni oggettive, soggettive e di
rioccupazione; Accordo di prossimità sui contratti a tempo determinato nelle aziende del settore terziario distribuzione e
servizi nella Provincia Autonoma di Bolzano del 17 giugno 2014, che non sottopone a limiti quantitativi i contratti a
termine stipulati per prestazioni da svolgersi nei periodi: connessi a festività, religiose e civili, nazionali ed estere;
connessi allo svolgimento di manifestazioni; interessati da iniziative promozionali e/o commerciali; in cui si svolgono le
svendite di fine stagione; di intensificazione stagionale e/o ciclica dell'attività in seno ad aziende ad apertura annuale;
Accordo 20 giugno 2014 per la Provincia Autonoma di Bolzano relativa agli Studi professionali che esclude
dall’applicazione del 20% le assunzioni a termine in caso di avvio di nuove attività o nuova apertura di studi
professionali per un periodo massimo di 18 mesi; Accordo per il rinnovo del CCNL Area Tessile - Moda del 3
dicembre 2010 per i dipendenti delle imprese artigiane dei settori Tessile, Abbigliamento, Calzaturiero,
Pulitintolavanderia, Occhialeria del 25 luglio 2014, che consente, nelle imprese che occupano da 0 a 5 dipendenti
(comprendendo tra questi sia i lavoratori a tempo indeterminato, sia gli apprendisti) l'assunzione di 2 lavoratori a
termine, e nelle imprese che occupano più di 5 dipendenti, l'assunzione di un lavoratore a tempo determinato ogni 2
dipendenti in forza, inoltre sottrae dal computo dei limiti quantitativi i lavoratori assunti con contratto a tempo
determinato per sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto ed esenta in ogni caso da
limitazioni quantitative i contratti a tempo determinato conclusi nei primi 18 mesi dalla fase di avvio di nuove attività
d’impresa, nuovo reparto, nuovo appalto o nuova linea di produzione, ovvero per quelle aree geografiche e per le
esigenze la cui individuazione è rimessa alla contrattazione collettiva regionale; Accordo integrativo CCNL Energia e
Petrolio del 28 novembre 2014 che, nelle attività di cantiere ed in quelle di commessa, nei settori di ingegneria, servizi,
montaggio e perforazione, statuisce che la percentuale dei lavoratori assunti con contratto a termine, come media annua,
non potrà superare complessivamente il 40% dei lavoratori a tempo indeterminato in ruolo nell'azienda; Accordo 22
dicembre 2014 di rinnovo del CCNL per i dipendenti degli istituti investigativi privati e Agenzie sicurezza sussidiaria;
CCNL del 3 dicembre 2014 relativo al personale dipendente da Imprese esercenti l'Attività Funebre in base a cui è
ammessa l’assunzione di due lavoratori a termine nelle imprese fino a 5 dipendenti, cinque lavoratori a termine nelle
imprese fra 6 e 10 dipendenti, sette lavoratori a termine nelle imprese fra 11 e 25 dipendenti, dieci lavoratori a termine
nelle imprese fra 26 e 50 dipendenti, 20% nelle imprese oltre i 50 dipendenti.
119
Sulla successione dei contratti, v. Accordo nazionale di recepimento nel CCNL Industria Alimentare del decreto
legge 20 marzo 2014, n. 34, convertito in legge 16 maggio 2014, n. 78, in materia di contratto a tempo determinato, del
39
massimo di proroghe120, sia perfino sul versante della durata massima dei trentasei mesi121. Quindi,
nonostante la forte iniezione di flessibilità pratica dal Jobs Act atto I, e nonostante il fatto che la possibilità di
deroga sia stata prevista in via bilaterale dal legislatore anche in senso migliorativo per i lavoratori, la
contrattazione nazionale e territoriale hanno fatto saltare totalmente o parzialmente i vincoli legali residui,
consegnando in molte realtà imprenditoriali ampia libertà nella gestione del termine, reso largamente
fungibile rispetto al contratto di riferimento a tempo indeterminato. Ciò è accaduto non solo in settori minori
o a ridotta intensità di lavoro, ma anche in settori trainanti, dove è presente un sindacato storico
rappresentativo e reattivo122, a dimostrazione che il trend è inarrestabile ed è divampato proprio in costanza
delle riforme del lavoro in itinere, che hanno lasciato le briglia sciolte al contratto collettivo, riducendo o
annullando l’area di incomprimibilità dei diritti soggettivi. In forza di rinvii espliciti derogatori del contratto
nazionale al contratto aziendale, ovvero in via direttamente derogatoria da parte del contratto aziendale,
anche senza richiamo formale esplicito all’art. 8, d.l. n. 138/2011, la contrattazione di secondo livello si è a
sua volta spesa in funzione estensiva del modello legale di risulta, con previsioni che hanno talvolta
comportato anche la soppressione, temporanea e/o legata ad evenienze produttive, di qualsivoglia limite di
utilizzo123.
L’esempio è sintomatico della ridotta capacità sindacale, addirittura a livello nazionale, di contrastare
fenomeni di smantellamento di limiti protettivi alla precarizzazione dei rapporti di lavoro quando promossi e
7 novembre 2014; Accordo sulla Sezione specifica Gestori aeroportuali del CCNL del Trasporto aereo del 1° ottobre
2014; Verbale di accordo per il rinnovo del CCNL 19 aprile 2010 per i lavoratori dipendenti delle imprese edili e affini
e del CCNL Cooperative del 26 aprile 2010, del 1° luglio 2014; Accordo ponte per il rinnovo del CCNL per i
dipendenti delle aziende grafiche ed affini e delle aziende editoriali anche multimediali (Grafici Editoriali Industria) del
16 ottobre 2014; Accordo per il rinnovo del CCNL Area Tessile - Moda del 3 dicembre 2010 per i dipendenti delle
imprese artigiane dei settori Tessile, Abbigliamento, Calzaturiero, Pulitintolavanderia, Occhialeria del 25 luglio 2014.
120
Cfr. Accordo nazionale di recepimento nel CCNL Industria Alimentare del decreto legge 20 marzo 2014, n. 34,
convertito in legge 16 maggio 2014, n. 78, in materia di contratto a tempo determinato, del 7 novembre 2014.
121
Sul superamento del tetto dei 36 mesi da parte della contrattazione collettiva, v. Accordo ponte per il rinnovo del
CCNL per i dipendenti delle aziende grafiche ed affini e delle aziende editoriali anche multimediali (Grafici Editoriali
Industria) del 16 ottobre 2014, che eleva di 24 mesi (per totali, dunque, 60 mesi) la durata massima del rapporto
nell'ipotesi di assunzione a termine di lavoratori che abbiano prestato per l'azienda, entro i 12 mesi antecedenti
l'assunzione, attività lavorativa con contratti a progetto, di lavoro autonomo con partite IVA o in somministrazione;
Accordo di prossimità sui contratti a tempo determinato nelle aziende del settore terziario distribuzione e servizi nella
Provincia Autonoma di Bolzano del 17 giugno 2014, che non sottopone al limite dei 36 mesi i contratti a termine
stipulati per prestazioni da svolgersi nei periodi: connessi a festività, religiose e civili, nazionali ed estere; connessi allo
svolgimento di manifestazioni; interessati da iniziative promozionali e/o commerciali; in cui si svolgono le svendite di
fine stagione; di intensificazione stagionale e/o ciclica dell'attività in seno ad aziende ad apertura annuale; inoltre
l'esenzione è estesa alle imprese che stipulano contratti a tempo determinato per prestazioni di lavoro nell'ambito di
appalti conclusi con le scuole, fatto salvo il diritto di precedenza.
122
Cfr., per tutti, Accordo di Rinnovo del CCNL per i dipendenti da aziende del terziario della distribuzione e dei
servizi del 30 marzo 2015, che ammette il travalicamento del limite del 20%, nei casi di contratti conclusi per la fase di
avvio di nuove attività e per sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto nonché per la
stipula di contratti a tempo determinato di sostegno all'occupazione (in questo caso nel limite massimo complessivo del
28%), riservato a lavoratori disoccupati da almeno 6 mesi o occupati in attività di lavoro autonomo o parasubordinato
da cui scaturisca un reddito inferiore al reddito annuale minimo personale escluso da imposizione e caratterizzato da
una durata massima di 24 mesi e da un inquadramento in due livelli inferiori per il primo semestre ed in un livello
inferiore per la durata residua a fronte di una formazione iniziale di 16 ore.
123
Cfr. l’accordo aziendale Easyjet Airline Ltd del 4 marzo 2015 che prevede l’esclusione del conteggio delle
percentuali di legge delle “assunzioni a termine legate alla fase di start up per le nuovi basi per un periodo di 18 mesi
dall’apertura”.
40
autorizzati dalla sede legislativa, con tenuta solo minimale o di facciata dello strumento negoziale, in verità
principalmente plasmato sulle esigenze organizzative e produttive del settore o dell’impresa interessata.
Peraltro, a tale contrattazione derogatoria sul termine ha fatto da pendant una contrattazione aziendale
derogatoria che si è cimentata non solo nella gestione della crisi, con accordi di mobilità, di trasferimento di
rami d’azienda, di confluenza, di utilizzo in maniera variamente articolata degli ammortizzatori sociali, ma
anche una contrattazione aziendale derogatoria “in prevenzione” della crisi, ossia effettuata proprio per
mantenere gli esistenti livelli occupazionali e garantire le opportune flessibilità organizzative. Quindi, anche
in sede di accordi sulla produttività, sullo sviluppo delle professionalità, sulla stabilizzazione degli organici,
trovano spazio e vanno consolidandosi previsioni derogatorie all’art. 2103 c.c., sia sotto forma
dell’ampliamento, oltre al livello di inquadramento, del concetto di equivalenza delle mansioni, con
revisione ed adattamento della disciplina nazionale delle classificazioni e dell’ammissibilità di una
promiscuità delle mansioni assegnate che prescinde dal criterio della prevalenza, sia sotto forma di stabile o
provvisorio declassamento, funzionale ad una ancor più incisiva fungibilità nell’utilizzo della forza lavoro124;
previsioni derogatorie agli artt. 4 e 6 St. lav.125; previsioni derogatorie alla disciplina dell’orario di lavoro126.
124
Cfr. Accordo integrativo aziendale Benetton del 22 gennaio 2015, che consente la permanenza in mansioni di livello
inferiore per un periodo massimo di sei mesi; Accordo CIA Carrefour Italia del 30 gennaio 2013, che, in relazione alle
mansioni, richiama la promiscuità, fungibilità e polivalenza da applicare all’interno delle singole unità produttive e tra i
rispettivi settori e reparti; CIA Coca-Cola HBC Italia srl del 25 luglio 2014 che promuove percorsi di sviluppo
professionale volti ad accrescere il livello di polivalenza (capacità di ricoprire più posizioni di lavoro) e di
polifunzionalità (capacità di svolgere più attività di diverso contenuto) per aumentare la capacità di ricollocazione
all’interno del gruppo e favorire la copertura dei posti vacanti del “mercato interno”; CIA Coin spa del 30 aprile 2013
che ammette la possibilità di ricoprire l’orario settimanale di personale addetto ai servizi (ufficio/ricevimento merci)
anche in attività di vendita; CIA Lavazza del 9 dicembre 2014 che autorizza l’azienda a procedere ad una fungibilità
trasversale ai diversi reparti dello stabilimento, sulla base delle esigenze organizzative e produttive dell’impresa;
Accordo aziendale Luxottica del 19 dicembre 2012 che ammette in ipotesi di mobilità territoriale infra gruppo, la
possibilità di assegnare i lavoratori coinvolti a mansioni diverse anche in deroga all’art. 2103 c.c.; Accordo aziendale
RAI del 7 febbraio 2013 che, in conseguenza dell’evoluzione delle tecnologie che caratterizza la produzione
radiotelevisiva, ammette che il tecnico della produzione svolga anche attività di montaggio e precisa ulteriori
sistemazioni e promiscuità rispetto ai profili professionali previsti in CCNL.
125
Ad esempio, Accordo aziendale Ferrari del 30 maggio 2012; Accordo separato Banca Carim del 24 giugno 2013.
126
Cfr. Accordo integrativo Generali Assicurazioni del 27 febbraio 2015, che dispone che al personale addetto al Call
Center Sinistri e addetti al Back Office (sinistri e vendite) potrà essere assegnata una distribuzione dell'orario di lavoro
settimanale che comprenda anche il pomeriggio del sabato (dalle ore 14.00 alle ore 20.00); Accordo Autostrade per
l’Italia del 18 luglio 2013, che, pur rimanendo nell’arco della derogabilità consentita ex lege (ai sensi dell’art. 3, d.lgs.
n. 66/2013), statuisce: “qualora dall'andamento delle prestazioni giornaliere assegnate derivi che in una settimana venga
superato l'orario di trentasette ore e che in altra esso non venga raggiunto, non si dà luogo a compensi aggiuntivi o
detrazioni, compensandosi tra di loro le misure delle prestazioni settimanali e realizzandosi le trentasette ore nell'arco di
un periodo di sei mesi”; CIA Coin spa del 30 aprile 2013 che prevede “In funzione del processo di liberalizzazione
degli orari di lavoro commerciali è intenzione dell'Azienda massimizzare le aperture domenicali. Le Organizzazioni
Sindacali considerano non condivisibile il modello di liberalizzazione degli orari commerciali…. A tal fine si concorda
che le prestazioni dei dipendenti con contratto individuale che preveda l'obbligo delle prestazioni domenicali, dovranno
essere programmate dal 1° giugno 2013 non superando 40 domeniche lavorative su base annuale (anno di calendario)
per ciascun lavoratore, salvo il caso in cui il dipendente si dichiari disponibile a lavorare per un numero di domeniche
superiori a tale limite…”; Contratto integrativo per lo stabilimento di Settimo Torinese della LAVAZZA del 9 dicembre
2014, che ammette la flessibilità nella giornata di sabato, “che sarà effettuata nel modo seguente: a) due turni diurni di
otto ore ciascuno (6.30 - 14.30 e 14.30 - 22.30); b) a fronte di specifiche e urgenti esigenze produttive, che saranno
oggetto di verifica con le RSU, potrà essere effettuato un ulteriore turno di recupero con inizio alle ore 22.30 della
domenica e termine alle ore 6.30 del lunedì”.
41
E’ filtrata e si sta diffondendo l’idea che la flessibilità del lavoro dipende dalle forme di produzione
dell’impresa e che la dinamicità della professionalità poggia sulla duttilità, polivalenza e polifunzionalità, e
dunque sulle capacità di adattamento continuo del lavoro alle mutevoli esigenze aziendali; e da ciò prendono
corpo, e ancor più prenderanno corpo nell’immediato futuro con esponenziale diffusione, prassi contrattuali
aziendali che smantellano diritti e prerogative,
con l’obiettivo di rendere la prestazione lavorativa
perfettamente aderente agli input organizzativi, con massima ottimizzazione ed efficientamento, in vista
della crescita di competitività dell’impresa, a prescindere dal suo stato di salute economico-finanziario. Il
processo di «aziendalizzazione» della disciplina dei rapporti di lavoro, già preconizzato in dottrina a seguito
dell’avvento della legge Sacconi127, si colora di nuove e pregnanti esperienze e si incanala su un binario
tracciato dalla legge, sempre più lungo e solido, poiché interviene non solo a posteriori, per salvaguardare il
salvabile e per attenuare gli effetti sociali negativi della disgregazione o della cessazione di attività, ma anche
a monte, in via regolatoria generale, per conformare gli ordinari assetti normativi e organizzativi del
lavoro128. L’accordo aziendale allarga così i suoi confini operativi, oltre a configurarsi quale strumento
negoziale di scambio in caso di difficoltà dell’impresa (riduzione dell’orario di lavoro o azzeramento della
pregressa anzianità o abbassamento del livello di inquadramento versus mantenimento, anche parziale,
dell’occupazione)129, ovvero quale strumento di distribuzione della ricchezza generata dall’impresa e di
propulsione all’aumento della produttività tramite l’incentivazione individuale e collettiva, acquisisce la
veste di sede regolatoria primaria della flessibilità e dell’adattabilità della prestazione al processo produttivo
aziendale, con conseguente curvatura e personalizzazione di gran parte dei profili del lavoro che hanno
incidenza sulla gestione dei rapporti130.
8) Protezione e flessibilizzazione nell’attuale fase di globalizzazione dei mercati si possono tenere
insieme?
Verificata la significativa spinta europea nei confronti del nostro paese ad introdurre maggiore flexibility
nella gestione e in uscita dal rapporto di lavoro subordinato, anche tramite il decentramento contrattuale e
l’aziendalizzazione dei rapporti di lavoro, verificata la necessità del Governo di puntare sulla riforma del
mercato del lavoro per giustificare lo sforamento temporaneo dai parametri del Fiscal Compact e per
Cfr. V. BAVARO, Azienda, contratto e sindacato, Cacucci editore, Bari, 2012, p. 11 s.: “Il termine
«aziendalizzazione», comincia ormai ad essere utilizzato nel discorso giuslavoristico per evocare quella specifica
tendenza a rompere l’unità della tradizionale «comunità di riferimento» della regolazione giuridica del lavoro,
costituita dallo Stato-nazione ovvero dalla categoria merceologica di ambito nazionale, e sostituirla con un nuovo
perimetro entro cui esercitare la funzione normativa: la sostituta comunità di riferimento è la singola azienda”; E.
ALES, Dal “caso Fiat” al “caso Italia”. Il diritto del lavoro “di prossimità”, le sue scaturigini e i suoi limiti
costituzionali, in Dir. Rel. Ind., 2011, p. 1061.
128
La balcanizzazione del diritto del lavoro, tanto temuta all’epoca della legge costituzionale n. 3/2001 di riforma
dell’art. 117 Cost., si avvia a realizzarsi ora, non più per il tramite della legislazione regionale ma attraverso il contratto
collettivo aziendale.
129
Cfr. A. ALLAMPRESE, Sindacato e potere dispositivo, Cacucci Bari, 2015, p. 107 ss.
130
E con sostanziale superamento dei profili inerenti all’efficacia (l’erga omnes discende implicitamente dal rinvio
derogatorio legislativo e dalla sottoscrizione da parte di sindacati effettivamente rappresentativi) e quindi alla
(ir)rilevanza del dissenso individuale, fagocitato all’interno della nuova funzione normativa contrattuale.
127
42
realizzare una riforma «strutturale» ad un costo molto limitato per il bilancio dello Stato, e verificato altresì
che il Jobs Act ha raggiunto pienamente i due target prefissati, dobbiamo interrogarci se una riforma così
liberista e di cesura rispetto all’esperienza pregressa fosse davvero necessaria e non si potessero raggiungere
i medesimi effetti con una migliore e più accettabile gradualità degli interventi.
Lo scenario di contesto, abbiamo visto, è indiscutibile sia sul versante della globalizzazione dei mercati, che
induce inevitabilmente forte dumping sociale, sia sul versante della situazione di bilancio del nostro paese,
che impedisce l’adozione di serie politiche di sviluppo e di sostegno all’impiego a causa dell’esiguità di
risorse destinate allo scopo. Analogamente dovrebbe essere indiscutibile la circostanza per cui le normative
sul lavoro non generano occupazione, che dipende solo dalla crescita dell’economia, il mercato del lavoro
dipende infatti dal mercato dei beni e solo l’aumento della domanda aggregata innesta il circolo virtuoso che
conduce alla crescita dell’occupazione. Ciononostante l’esistenza di vincoli o costi normativi assai
consistenti può rappresentare un deterrente all’assunzione in contesti economici di mercato del compratoredatore di lavoro, ossia quando vi è un forte sbilanciamento a favore della seconda fra domanda e offerta di
lavoro. “C’è un classico risultato della teoria economica che identifica l’informazione asimmetrica come
una delle cause di fallimento del mercato (market failure): la sua presenza ha l’effetto di ridurre il numero
delle transazioni rispetto a quelle che sarebbero possibili e convenienti in sua assenza. Questo risultato si
applica anche al mercato del lavoro ed è tanto più rilevante quanto maggiore è il livello dei firing costs che
- come abbiamo visto - hanno l’effetto di rendere meno reversibile la scelta dell’impresa di assumere un
nuovo lavoratore e quindi più costoso l’effetto dell’informazione asimmetrica al momento dell’assunzione.
La conseguenza è che un regime di regolazione come quello basato sull’articolo 18 ha l’effetto di
scoraggiare le assunzioni. Questo effetto è trascurabile in situazioni di crescita economica sostenuta e di
pieno impiego, in cui l’offerta di lavoro è scarsa rispetto alla domanda; ma diventa rilevante quando la
crescita rallenta. Le imprese, cioè, tendono a considerare il lavoro come un input fisso con tempi di
sostituzione (turnover) relativamente lenti e - come abbiamo visto - incerti. Questo fatto le induce, a parità di
condizioni (prezzi relativi) a privilegiare tecniche più capital intensive”131. Tuttavia non va dimenticato che,
almeno sul versante UE, esistono principi giuridici comuni che valorizzano non solo l’occupazione ma anche
l’occupazione stabile, buona e di qualità, ossia innanzitutto rispettosa dei diritti della persona fondamentali
inclusi quella alla libertà, dignità, privacy, autodeterminazione, espressione, retribuzione equa e sufficiente. I
fenomeni occupazionali non possono pertanto essere lasciati esclusivamente alla mano invisibile del mercato
ma devono ricevere correttivi legislativi volti a sostenere la parte debole del rapporto, soprattutto in casi di
contrazione della domanda a causa di crisi economiche di scala internazionale.
Dunque non vi è dubbio che vanno lasciati a terra diritti faticosamente conquistati in decenni passati di lotte
sindacali per evitare disincentivi troppo forti all’investimento in risorse umane, anche in una logica
comparata con altri modelli sociali europei ed extra-europei, ma rimane che una risposta da parte
131
Così G. RODANO, Il mercato del lavoro italiano prima e dopo il jobs act, in www.pietroichino.it, 11 maggio 2015,
p. 18.
43
dell’ordinamento va data e deve essere coerente ed efficace. Nel Jobs Act tale risposta è chiaramente fornita
con una riduzione di tutela del posto a fronte dell’incremento della tutela nel mercato, quindi secondo il
modello nord-europeo fatto proprio dall’Unione. Forse non si è trattato di una vera compensazione fra i due
elementi, dato che, come visto più sopra, la compressione della prima è stata assai più accentuata
dell’ampliamento della seconda e soprattutto mentre la prima ha avuto connotati di definitività la seconda è
stata solo sperimentale e di durata annuale o, al massimo, biennale, ma soprattutto a tale revisione legislativa
verso il basso delle soglie minimali si è affiancata la conferma ed estensione del descritto fenomeno di
aziendalizzazione dei rapporti di lavoro, che ha assegnato anche alla sede contrattuale aziendale ampie
funzioni derogatorie a standard di legge, che prima erano invalicabili e che ora non lo sono più 132. Sicché al
di là delle possibili critiche minute sulle singole scelte effettuate, la forzatura di sistema indotta dalla riforma
è stata a nostro avviso eccessiva, poiché ha determinato, in via concomitante e convergente, un
abbassamento dei livelli di protezione dei lavoratori ed un affievolimento del loro carattere inderogabile a
tutto beneficio della contrattazione collettiva, anche di livello aziendale, che peraltro, per le ragioni già
menzionate, non è stata in grado di reggere l’urto e si è prodigata in una rincorsa alle deroghe e a far
prevalere le esigenze particolari dell’ambito produttivo di riferimento rispetto a quelle del lavoro.
Così si può discutere se le quattro – due mensilità di retribuzione riconosciute in caso di licenziamento
illegittimo di lavoratore con anzianità sino a due anni di servizio siano congrue e sufficienti a far ritenere il
contratto a tutele crescenti un contratto stabile di lavoro; così come si può criticare la scelta di adottare un
range indennitario assai esteso fra il minimo di due ed il massimo di ventiquattro mensilità, con ciò tendendo
alla polarizzazione dei licenziamenti sul segmento minimale e massimale della curva e la scelta di non
rendere certo e predefinito l’importo ma sottoporlo comunque allo scrutinio giudiziale secondo le tradizionali
categorie della giusta causa e del giustificato motivo; ancora si può enfatizzare il fortissimo squilibrio a
favore della precarizzazione derivante dal combinato disposto delle norme sui licenziamenti e sul termine,
che ammettono liberamente una sorta di test permanente sul lavoratore, che può essere scaricato dall’impresa
senza alcun costo aggiuntivo o con un costo assai modesto dopo aver avuto esperienze plurime temporanee
in azienda (stage, apprendistato, somministrazione, termine), persino sulle stesse mansioni, che potrebbero
essere durate tanti anni, magari culminate in un’esperienza di lavoro a tempo indeterminato, che tuttavia
rimane insensibile ai pregressi rapporti, a meno che non vi sia un’espressa previsione di tutela a livello
individuale.
Tuttavia più preoccupante delle pur numerose fragilità contenutistiche e delle incertezze applicative delle
singole disposizioni in cui si articola il nuovo corpus normativo, è la deriva dell’assetto delle fonti che
scaturisce dalla riforma, che mina nella sostanza, anche se non lo fa nella forma, il tradizionale connotato
dell’inderogabilità. Esempio illuminante in tal senso è rappresentato dal d.lg. n. 34/2014 che, a fronte
dell’abolizione del requisito della causalità dei contratti a termine, introduce alcune restrizioni al suo ricorso,
132
Si segnala che si sta ora affacciando anche la contrattazione di sito produttivo derogatoria, dietro rinvio disciplinare
da parte dell’aziendale di gruppo o di holding: cfr., ad esempio in materia di organizzazione degli orari di lavoro,
Accordo di rinnovo dell'integrativo aziendale del gruppo Granarolo del 8 luglio 2014.
44
per mantenere la regola della specialità ed evitarne un uso totalmente libero e abusivo. Tutte le restrizioni
poste (soglia percentuale del 20%, durata massima di trentasei mesi, intervalli minimi, numero massimo di
proroghe), sono però derogabili dalla contrattazione collettiva, anche aziendale, che può, in un’unica sede o a
più riprese e in più sedi, eliminarle totalmente o parzialmente a suo piacimento (ad esempio, escludere
l’applicazione dei vincoli in certe condizioni di contesto o in certe situazioni aziendali o ancora graduarne
l’operatività sino a renderli esistenti solo in apparenza). Ora, una tale soluzione non assicura il nostro
ordinamento dal rischio di un massiccio utilizzo abusivo dello strumento, eppure formalmente conforme alla
vigente disciplina come risultante dall’attuale assetto delle fonti, con un forte sospetto di incompatibilità con
la
normativa
di
riferimento
dell’Unione
europea
rappresentata
dalla
direttiva
1999/70/CE,
nell’interpretazione fornitane dalla Corte di Giustizia. Se infatti la direttiva non indica specificamente quale
sia la misura da preferirsi per evitare una successione abusiva di contratti a termine che vanifichi l’obiettivo
primario di “migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non
discriminazione” e di “creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di
una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”, né quale apparato sanzionatorio
mettere a presidio dell’eventuale violazione di tale misura; comunque la direttiva impone agli Stati membri
l’adozione di “ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti”, ovvero
“durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi”, ovvero “numero
di rinnovi dei suddetti contratti o rapporti”, dunque di una misura che sia “effettiva”, “vincolante” e
“adeguata” (quanto all’aspetto prevenzionistico) per l’impresa133, nonché l’adozione di rimedi proporzionati
ed effettivamente dissuasivi in caso di violazione. La Corte di Giustizia, da ultimo in Mascolo, ha in maniera
trasparente e coerente sempre affermato che le disposizioni attuative interne devono essere ispirate alla
realizzazione dello scopo e dell’effetto utile della direttiva (prevenzione del ricorso abusivo ai contratti a
termine), e che “il rinnovo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato al fine di soddisfare
esigenze che, di fatto, hanno un carattere non già provvisorio, ma, al contrario, permanente e durevole, non
è giustificato ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro. Infatti, un utilizzo siffatto dei
contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato è direttamente in contrasto con la premessa sulla
quale si fonda tale accordo quadro, vale a dire il fatto che i contratti di lavoro a tempo indeterminato
costituiscono la forma comune dei rapporti di lavoro, anche se i contratti di lavoro a tempo determinato
rappresentano una caratteristica dell’impiego in alcuni settori o per determinate occupazioni e attività
(sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punti 36 e 37 nonché giurisprudenza ivi citata)134”. Dunque,
l’abbassamento dei requisiti obbligatori di accesso alla tipologia contrattuale non è solo passibile di censura
in sé poiché probabilmente eccessivamente permissivo e poco funzionale allo scopo antiabusivo, ma
abbinato alla tecnica legislativa devolutiva alla contrattazione con poteri derogatori costituisce una miscela
Per l’esplicazione concettuale di tali caratteri, v. Corte di Giustizia 3 luglio 2014, cause riunite C-362/13, C-63/13 e
C-407/13, Fiamingo, punto 56.
133
134
Così Corte di Giustizia 26 novembre 2014, cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo, punto
100.
45
dirompente per l’alterazione dell’assetto regolatorio tradizionale, con ulteriori effetti non solo di
incompatibilità con specifici principi superiori di rango europeo o costituzionale ma anche di natura
destabilizzante l’intero complesso garantistico. Il venir meno infatti, in via diretta o indiretta, tramite
meccanismi di rinvio derogatorio quale quello esaminato, dei capisaldi della tutela (garanzia, anche solo
economica ma di una minima consistenza, di conservazione del posto, garanzia della professionalità
acquisita, garanzia di trasferimento solo in caso di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive,
garanzia di rispetto delle proprie opinioni e delle proprie azioni), rischia di rendere gli altri diritti sempre
meno fruibili e di fatto non rivendicabili e tanto meno giustiziabili, pena la perdita del posto di lavoro o
comunque l’emarginazione e la “ricollocazione” organizzativa.
E’ indubbio che la difesa dei diritti e quella del lavoro non sempre sono conciliabili135 e che in situazioni di
difficoltà tutti devono fare la loro parte per evitare la disgregazione della realtà produttiva e l’impoverimento
del corrispondente tessuto sociale ed economico, senza aperture di credito alle ideologie o alle soluzioni di
principio impraticabili nel caso concreto. Ma arretramenti molto consistenti devono avere uno scopo
contingente ed essere funzionalizzati all’obiettivo specifico di dare una risposta positiva ai diversi attori in
campo in fase di irreparabile reflusso produttivo o commerciale; non costituire il substrato regolatorio
comune della nuova disciplina dei rapporti di lavoro, che rischia altrimenti di interiorizzare, nell’ordinarietà,
un tasso di flessibilizzazione incompatibile con la tutela minimale dei valori della persona che lavora.
D’altronde non è solo il tasso di crescita che conta136, non è solo la diminuzione del tasso di disoccupazione a
rappresentare la cartina al tornasole dello stato di benessere sociale del paese, ciò che rileva maggiormente è
che si tratti di una crescita duratura ed equamente distribuita, che produca posti di lavoro stabili e di elevata
qualificazione, che rafforzi il livello di internazionalizzazione delle nostre imprese consentendo loro di
espandere il proprio business e le proprie capacità di export sulla base di efficienze organizzative ed
innovazioni di prodotto e di processo, ma rimanendo fedeli ad un modello sociale evoluto, di sicuro
alleggerito e più modulabile, ma non depotenziato nei fondamentali e nelle strutture portanti minimali.
Si condivide pertanto il giudizio favorevole sull’opportunità dell’intervento promosso dal Governo che non
solo ci ha consentito di superare, almeno provvisoriamente, il vaglio delle procedure di sorveglianza macroeconomica UE, ma ci ha riportato in una dimensione globale dei mercati, dalla quale nemmeno il diritto del
lavoro italiano può prescindere. Ma in nome di tali finalità, il legislatore si è spinto oltre rispetto alla stretta
funzionalizzazione delle misure agli scopi assunti, liberalizzando in maniera massiccia anche tramite il
135
Cfr. M. MASCINI, Se per avere di più si perde tutto, in Il Diario del lavoro, 29 aprile 2015,
http://www.ildiariodellavoro.it/, che osserva: “Per questo la vertenza della Franco Tosi è lo specchio del nostro paese,
che forse non ha capito fino in fondo che non siamo più ricchi come una volta, che un posto di lavoro va salvaguardato
perché rappresenta un tesoro, anche se c’è da fare qualche sacrificio. Lottare fino in fondo, fino all’olocausto, forse
non serve, forse non è la scelta migliore, almeno per chi deve sopportare il peso di questa scelta”.
In tal senso si può senz’altro fare riferimento all’esempio della Spagna in cui è previsto per il 2015 il tasso di
incremento del PIL più alto d’Europa (2,4%), ma tale crescita pare portare ulteriore precarizzazione e disparità sociali,
creando occupazione principalmente in ambiti a basso livello di specializzazione professionale (braccianti agricoli,
camerieri, dipendenti di imprese di pulizia, operai non qualificati dell’industria manifatturiera, ecc.), con ciò
aumentando le schiere dei c.d. working poors.
136
46
ricorso al contratto collettivo aziendale derogatorio. Anche qui, il trend a favore dell’aziendalizzazione e del
decentramento più o meno organizzato e consequenziale differenziazione disciplinare su base di prossimità
non può essere arrestato, ma possono essere meglio indicati i vincoli minimi di sistema, in grado di evitare,
per interi settori o per gruppi aziendali di rilievo, la prematura dipartita di una disciplina giuridica di
salvaguardia e riequilibrio dei poteri negoziali delle parti. In tal senso il necessario step backword dovrebbe
essere governato, entro un quadro multivello europeo, all’interno di soglie e standard minimali che pongano
comunque prescrizioni di base, un minimo comune denominatore di limiti gestionali, che ancorino la crescita
economica al raggiungimento di valori di solidarietà sociale inalienabili137.
Dunque, non ci sembra tramontato il valore assiologico-garantistico del diritto del lavoro, da valorizzare
sicuramente in chiave di sostenibilità e di compatibilità con le esigenze di liquidità e di trasformazione
organizzativa permanente dell’azienda, ma anche di giustizia economica e di più equa allocazione delle
risorse, pur nella consapevolezza della comparazione su scala globale del costo economico e normativo del
lavoro, della regressione - e dello spostamento sul versante aziendale - della dimensione collettiva di
regolazione del lavoro con una più intensa autonomia negoziale individuale, della restrizione dello spazio di
azione delle politiche pubbliche per l’impiego e, più in generale, dello Stato sociale. Tali fenomeni, che
segnano irreversibilmente lo statuto del lavoro nel nostro Paese, richiederebbero una gradualità di impatto,
una progressione di interventi, socialmente accettabile e sostenibile nella logica di medio periodo. La
polverizzazione tout court delle tutele o comunque strappi troppo laceranti rispetto ai modelli dati non
giovano a nessuno, e rischiano crisi di rigetto che si scaricano poi in letture o applicazioni del nuovo sistema
in linea di continuità con il pregresso ambiente regolativo e quindi con evidenti forzature della ratio legis.
Basti richiamare a tal fine la nozione di licenziamento discriminatorio o di licenziamento per motivo illecito
ex art. 1345 c.c. Dinanzi ad una così drastica riduzione degli indennizzi, inidonei, almeno allo stato attuale, a
rendere giustizia nel caso concreto è molto probabile che si assisterà ad una escalation dell’utilizzo delle
suddette figure, in via surrogatoria rispetto alle inadeguatezze del regime ordinario, che comporterà lo
svolgimento di processi lunghi ed articolati (oltre tutto non più bifasici in primo grado poiché è stato abolito
per i nuovi contratti il c.d. rito Fornero) in quanto la ricostruzione di un intento discriminatorio o fraudolento
o illecito, dovendosi fondare su elementi sintomatici del fatto, necessita di un’istruttoria molto approfondita,
dall’esito incerto e con il rischio per l’impresa di dover assumere un costo finale imprevisto e assai
consistente, rappresentato dal combinato ricorrere della reintegrazione e del risarcimento del danno.
L’adozione di una maggiore gradualità, con una riduzione di importi tollerabile dalle prassi e dalla sensibilità
sociale attuale, avrebbe, come peraltro già accaduto per la revisione dell’art. 18 st. lav. da parte della legge
Fornero, introiettato nel sistema la riforma, dandole piena agibilità e consolidandola nella finalità primaria
rappresentata dallo spostamento del regime degli effetti verso forme di tutela indennitaria. Purtroppo così
137
N. COUNTOURIS, M. FREEDLAND, Resocialising Europe in a time of crisis, Cambridge, 2013; G. FONTANA,
Crisi economica ed effettività dei diritti sociali in Europa, WP CSDLE "Massimo D'Antona".INT, n. 104/2014; M.
FREEDLAND, The segmentation of workers' rights and the legal analysis of personal work relations: redefining a
problem, in Comp. Lab. Law & Policy Jour., 2015, vol. 36, 2; J. LOPEZ, Formalizing the segmentation of workers'
rights: tensions among regulatory levels, in Comp. Lab. Law & Policy Jour., 2015, vol. 36, 2.
47
non è stato e questo alimenta grande sconcerto tra gli operatori, potendo determinare esiti altamente
sperequativi poiché legati alle contingenze di contesto in cui si muovono i singoli casi o gruppi di casi, alle
prossime evoluzioni della giurisprudenza, anche costituzionale, che sarà senz’altro chiamata a valutare la
compatibilità di una pluralità di regimi differenti applicabili a situazione sostanzialmente analoghe, nonché
all’eventuale capacità della contrattazione collettiva nazionale o, più probabilmente, aziendale, di arginare le
differenziazioni e di sperimentare modelli di tutela ultra-legislativi, come consentito, ma sinora mai
praticato, ai sensi dell’art. 8, d.l. n. 138/2011. Insomma non appena si poteva affermare che la riforma
Fornero aveva raggiunto un buon grado di stabilizzazione e di univocità negli orientamenti applicativi 138,
ecco affacciarsi la nuova riforma che, invece di muoversi sul solco precedente, migliorandone ulteriormente
gli aspetti critici eventualmente con una ridefinizione verso il basso delle tutele, ha imposto profonde
revisioni di sistema, che necessiteranno di lunghi tempi di assuefazione e consolidamento, non
necessariamente orientati nella direzione assunta dall’Esecutivo.
In tale scenario si realizza, come sopra riportato, il definitivo “sdoganamento” delle funzioni derogatorie del
contratto collettivo, che, oltre ad avere un contraccolpo sulle capacità di tenuta del sistema confederale già
interessato da un’evidente crisi di rappresentatività, inaugura una stagione nuova delle relazioni collettive in
cui diventa necessario l’esercizio di responsabilità ed equilibrio da ambo le parti onde evitare strappi e cesure
che possano tradursi in laceranti ed insostenibili tensioni sociali, nella consapevolezza che, al centro del
sistema, nel prossimo futuro, potrebbe non esserci più il contratto collettivo nazionale139. Avanti tutta,
dunque, con il contratto aziendale, ma che sia espressione di un consenso maggioritario effettivo e sia in
grado di evitare la “de-costruzione del diritto sindacale, rimpiazzato da un meccanismo di governo
unilaterale dell’azienda”140. E’ vero infatti che l’azienda deve avere grande flessibilità di impiego per
138
Da ultimo, anche sul piano processuale, tramite la pronuncia della Corte costituzionale 29 aprile 2015, n. 78, che ha
dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 51, primo comma, numero 4), del codice di
procedura civile, e 1, comma 51, della legge 28 giugno 2012, n. 92, sul presupposto che il giudizio di opposizione non
innesca una vera e propria impugnazione, una seconda fase risolventesi in una «revisio prioris instantiae», bensì
rappresenta una componente dello stesso giudizio articolato in via bifasica; esso non verte, infatti, sullo stesso oggetto
dell’ordinanza opposta (pronunciata su un ricorso semplificato, e sulla base dei soli atti di istruzione ritenuti, allo stato,
indispensabili), né è tantomeno circoscritto alla cognizione di errores in procedendo o in iudicando eventualmente
commessi dal giudice della prima fase, può investire anche diversi profili soggettivi (stante anche il possibile intervento
di terzi), oggettivi (in ragione dell’ammissibilità di domande nuove, anche in via riconvenzionale, purché fondate sugli
stessi fatti costitutivi) e procedimentali, essendo previsto che in detto giudizio possano essere dedotte circostanze di
fatto ed allegati argomenti giuridici anche differenti da quelli già addotti e che si dia corso a prove ulteriori. “Pertanto,
il fatto che entrambe le fasi di detto unico grado del giudizio possano essere svolte dal medesimo magistrato non
confligge con il principio di terzietà del giudice e si rivela, invece, funzionale all’attuazione del principio del giusto
processo, per il profilo della sua ragionevole durata”.
139
Pur valorizzando il ruolo del contratto aziendale nella logica della crescita produttiva e dello sviluppo aziendale, si
pone in senso critico rispetto ad un siffatto esito, G. FERRARO, La riforma del sistema contrattuale, in Riv. It. Dir.
Lav., 2008, I, 48: “La forte spinta a una maggiore rilevanza della contrattazione a livello di imprese, riscontrabile in
numerose realtà nazionali europee …, sinanche nella versione derogatoria, non trova ostacoli di principio nel nostro
Paese, se la funzione peculiare della contrattazione aziendale rimane impregiudicata e non costituisce invece il veicolo
per adulterare il sistema di relazioni industriali, che in Italia rimane incentrato sul contratto di settore”. L’Autore
peraltro scrive il contributo prima dello tsunami Fiat, prima del diffondersi di pratiche nazionali di dumping
contrattuale, prima del definitivo declino delle pratiche concertative e soprattutto prima della riforma del lavoro allestita
dal Governo Renzi.
140
Così la presentazione del convegno in onore del Prof. Giorgio Ghezzi L’idea del diritto del lavoro, oggi, in
programma a Venezia nei giorni 25-26 settembre 2015.
48
affrontare le sfide globali, deve essere in grado di potersi scomporre e ricomporre rapidamente, non solo sul
versante societario e delle aggregazioni temporanee e di rete, ma anche su quello della destinazione
geografica e funzionale delle proprie risorse umane141; per questo non si può prescindere dalla dimensione
collettiva aziendale (anche perché l’alternativa sarebbe appunto il governo unilaterale, temperato solo in
relazione a precise, strategiche, professionalità, dotate di elevato potere contrattuale individuale), inserita
però in un quadro di riferimento certo e minimale, e quindi secondo schemi di decentramento controllato,
anche se a maglie più larghe e permissive rispetto al passato142.
Il trend di differenziazione disciplinare, che non è solo su base aziendale, ma che diventerà inevitabilmente
anche su base geografica interna, risulta pertanto inarrestabile, e la disciplina legislativa dovrebbe ricalibrarsi
in funzione di protezione ed emancipazione minimale, identificando i contenuti effettivamente esigibili dei
diritti fondamentali143. D’altronde, nella stessa Relazione programmatica 2015 della Presidenza del Consiglio
dei Ministri si legge che “l’Italia ritiene che tra le priorità dell'Unione debbano rimanere la creazione di
posti di lavoro, soprattutto per i giovani, la lotta alla povertà e all'esclusione sociale. l’Italia seguiterà ad
impegnarsi sulle misure che favoriscono la mobilità, il dialogo sociale, la creazione di posti di lavoro di
qualità e gli investimenti in capitale umano”144. Ma a tali promesse dovrebbe darsi seguito attraverso una
rimodulazione degli interventi che meglio orienti l’avviata race to the bottom nelle relazioni collettive, sì da
evitare che “The decline in statutory protective labour law and collective bargaining coverage is mirrored by
the growth in inequality”145 o quanto meno che tale ineguaglianza possa dilatarsi senza argini e che, dopo
l’aziendalizzazione, si assista alla piena individualizzazione della disciplina dei rapporti di lavoro.
Non si possono, infatti, tanto meno nel contesto attuale che privilegia l’autonomia all’eteronomia, revocare
in dubbio i principi volontaristico e pluralistico che da sempre governano le nostre relazioni sindacali, ma
forse un intervento legislativo che delinei lo scenario di agibilità del contratto aziendale sul versante della
rappresentatività dell’organismo collettivo stipulante e dei presupposti di efficacia, oltre a incentivarne il
141
Deve cioè saper creare capabilities, ossia capacità di mescolare ed organizzare le risorse umane per creare nuove
competenze, migliori team, migliori interazioni e maggiori efficienze nei processi produttivi con indubbio vantaggio
competitivo durevole per le imprese interessate (aumento performance).
142
Sull’inconciliabilità, come valori assoluti, di libertà ed eguaglianza, e sulla variabilità storica delle relative formule
compromissorie e relativo impatto applicativo (“I diritti del lavoro, infatti, non possono essere puramente declamati:
nella misura in cui impongono restrizioni e vincoli all’organizzazione imprenditoriale, comportano un innalzamento
dei costi dell’impresa, cioè qualcosa che l’imprenditore può accettare solo a patto che i margini di profitto - che a loro
volta risultano fissati dall’altezza dei tassi di interesse – vengano garantiti…”), cfr. L. CAVALLARO, Servitore di due
padroni, ovvero il paradosso del giudice del lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., 2014, I, p.137 ss., cit. a p. 155).
143
Cfr. C. CESTER, La norma inderogabile: fondamento e problema del diritto del lavoro, in Giorn. Dir. Lav. rel. Ind.,
2008, p. 412, che condivisibilmente osserva: “Non si tratta di fare l’elogio a tutti i costi dell’inderogabilità, né di
arroccarsi in una sua difesa ad oltranza, difesa che, alla luce della complessa evoluzione sopra segnalata (e tanto più
nella prospettiva da ultimo riferita), sarebbe probabilmente perdente. Si tratta, piuttosto, di governarla, nella
consapevolezza che essa, per una parte, può convivere con il suo contrario e dunque si perde e si ritrova più volte, a
seconda della combinazione di tanti fattori, economici, sociali, culturali”. Diversamente A. TROJSI, Ragioni
dell'economia e tutela della dignità e dei diritti fondamentali della “persona” del lavoratore, in Scritti in memoria di
M.G. GAROFALO, in corso di pubblicazione, p. 876 (provv.), che rileva il possibile contrasto dell’art. 8, d.l. n.
138/2011 anche con riguardo al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. poiché la norma produrrebbe “mediante
la realizzazione di regimi contrattuali differenziati, ingiustificate disparità di trattamento fra lavoratori rispetto al
godimento dei diritti fondamentali della persona, a seconda dell’azienda o del territorio in cui operano”.
144
Dipartimento per le Politiche europee, http://www.politicheeuropee.it/attivita/19259/relazione-programmatica-2015.
145
Così A. JACOBS, op. cit., p. 192.
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ricorso tramite rinnovati meccanismi di alleggerimento degli oneri indiretti del lavoro, potrebbe giovare allo
scopo di garantire un decentramento organizzato, di favorire comunque prassi concertate effettive a livello
aziendale, di delimitare in maniera più equilibrata i confini fra quanto intangibile per via legislativa e quanto
consentito dalle pressanti esigenze di diversificazione territoriale e produttiva. In sostanza, se sta
ineluttabilmente volgendo al tramonto la stagione delle contrattazione collettiva articolata e centralizzata,
parallelamente, da un lato, andrebbe salvaguardato un nocciolo duro e inderogabile di diritti espressione dei
valori fondanti della nostra carta costituzionale e di quella europea, dall’altro andrebbero definite in via
legislativa le condizioni di operatività del contratto aziendale per sostenere maggiormente l’avvio del nuovo
corso, incrementando il grado di consenso sulle scelte organizzative aziendali146.
La crisi non ci deve spaventare, così come la globalizzazione dei mercati ed il raffronto di costo dei fattori
produttivi operato su scala internazionale: bisogna comprendere i fenomeni in atto, apportare le dovute
regressioni giuslavoristiche, sia di contenuti sia di assetti, per proteggere le nostre imprese o le imprese
localizzate sul nostro territorio, poi però va definita una nuova linea del Piave su cui arrestarsi, e sui cui
chiedere la convergenza di tutti gli attori del sistema. Essere più realisti del re, non solo è inutile se non
addirittura dannoso sul versante degli effetti economici prodotti, ma rischia di spazzare via decenni di
conquiste sociali e del lavoro, trapiantando un modello liberista avanzato che non ci appartiene e che,
peraltro, rischia di essere rigettato dalla stessa comunità di riferimento, proprio per il suo eccesso di
discontinuità.
In senso analogo, cfr. S. SCIARRA, Social law in the wake of the crisis, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.int –
108/2014, p. 17: “The shift from legislation to contract’ clearly underlined with references to present institutional
circumstances, shows the many risks inherent in negotiations undertaken in a state of emergency. Hence, there is an
urgent need to regain space for legislation inspired by the fundamental values of the EU. We should recall that
solidarity is a source of social integration, besides money and administrative power. In this perspective EU legislation
should re-assign entitlements to individuals and to groups representing collective interests and should do so with full
respect for democracy and the rule of law”.
146
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