Hera N° 1 - gianobifronte

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Hera N° 1 - gianobifronte
Miti
•
civiltà
•
scomparse
•
misteri
•
archeologici
Hera
N° 1 - gennaio 2000
Parla Robert Temple • Le mummie radioattive • Alessandro Magno • I miti da impatti cometari
EDITORIALE
Buon 2000 e benvenuti su Hera, una capsula
spazio-temporale creata per un viaggio nel
tempo, tra le pieghe della storia, per
osservare, capire e meravigliarsi
dell’incredibile e sconosciuto passato
dell’Uomo. Un viaggio che ha lo scopo di
svelare quanto questo passato, sebbene
patrimonio di tutti, sia stato spesso
insabbiato per secoli dal mondo accademico,
che ha ignorato audaci ma non inverosimili
ipotesi disconoscendo prove e testimonianze
di una storia oltre il mito, per evitare che il
paradigma ufficiale venisse messo in
discussione.
Con questa rivista intendiamo aprire un
dibattito costruttivo sulle ultime ricerche
archeologiche e soprattutto sulle più recenti
e coraggiose teorie di cui alcuni egittologi e
ricercatori si sono fatti portavoce: esistono
vestigia sul pianeta Terra che risalgono ad
una civiltà evoluta di oltre 10.000 anni fa. Il
tutto basato su una solida ricerca scientifica
interdisciplinare, di cui la mitologia è parte
integrante. È da qui che nasce il nome della
rivista, Hera, figlia di Crono e moglie di
Zeus, a simboleggiare la possibilità di
viaggiare nel passato per riesaminare e
rimettere in discussione, mediante un
processo cognitivo e scientifico, la nostra
concezione dello svolgersi degli eventi
umani. Hera come Nuova Era, per
immaginare il futuro, ascoltando il monito
che civiltà scomparse hanno lasciato
all’umanità di oggi.
La rivalutazione che Atlantide ha ricevuto
negli ultimi anni ne è un segnale importante.
Il leggendario continente sta riemergendo
dal mito per divenire una realtà storica e
imponendo un riesame, non solo
all’archeologia, ma alla cultura tutta. Le
ricerche di egittologi, geologi, oceanografi e
storici, hanno riportato alla luce della
discussione culturale, quel continente
rimasto relegato nell’oscurità del mito dal
diluvio che lo sommerse. Non porremo limiti
alla conoscenza, né alle ipotesi che molti
potrebbero definire più ardite.
Un’affascinante spedizione intellettuale per
conoscere i personaggi che hanno fatto la
storia, osservandoli in una luce nuova,
basata su dati concreti e ricerche storiche
approfondite. Un processo di rinascita
culturale che vuole creare un ponte ideale,
una connessione tra passato, presente e
futuro.
È questo il nostro scopo, che tenteremo di
realizzare numero dopo numero, attraverso
la collaborazione delle più importanti firme
nazionali ed internazionali del settore.
Benvenuti a bordo...
SOMMARIO
News:
il mistero dele sferette da calcolo
il ritorno del condottiero
rimpatriate le sfere del Costarica
prova del diluvio universale?
alla ricerca dell'Argo
morti Ron Wyatt, e Johannes Fiebag
il pianeta X: un ex pianeta?
l'alfabeto, stenografia egiziana
le palafitte dei Taìno
il coccodrillo di Gortyn
addio Madame Dieterlen
virus da Mu?
Zoom, Qumran
la scoperta del "Rotolo dell'Angelo"
Zoom, Teotihuacan
le rivelazioni della Piramide della Luna a Teotihuacan
ADORATORI DEL CIELO
di DINO VITAGLIANO
Libri: la sala degli archivi
YONAGUNE: testimonianza Mu?
di ROBERT SCHOCH
Suoni della Terra
IL DODICESIMO PIANETA
di ADRIANO FORGIONE
GLI DEI DI FUOCO
di VITTORIO DI CESARE
La porta di Aztlan
LE MUMMIE DI RA
di ADRIANO FORGIONE
ALESSANDRO MAGNO: L'ULTIMO INIZIATO
di JOSÈ LEON CANO
REX DUES: il linguaggio degli Esseni
di ROBERT GOODMAN
TERRA: QUARANTENA COSMICA
di PAUL ROLAND
Posta
Dedicata a Peter Kolosimo (1922 - 1984)
perché Hera possa essere ancora l’espressione della tua voce.
“Tutti gli eventi storici sono immortali. Tutte le culture d’un tempo vivono in noi e noi
viviamo sorprendentemente radicati nel profondo di remote enigmatiche civiltà”.
Peter Kolosimo
da “Terra Senza Tempo”
Il mistero delle sferette da calcolo
Archaeology News
Novembre 1999
Venti sfere sumere d’argilla cotta con iscrizioni cuneiformi potrebbero rappresentare un
sistema di registrazione sino ad ora sconosciuto dell’antica Mesopotamia. Le sfere, che
misurano circa due centimetri e mezzo di diametro, sono state scoperte da una spedizione
francese a Tell Mohammed Diyab nel nord-est della Siria. Recano incisi simboli quali
“uccello”, “schiavo” e indicazioni temporali come “il terzo giorno” e “mese”, scritti tutti
nello stile cuneiforme mesopotamico meridionale della seconda metà del terzo millennio
a.C.. Jean-Marie Durand del Collège de France di Parigi asserisce che alcuni dei simboli
erano colorati con ocra rossa, mentre altre sfere presentavano segni di unghie, forse
notazioni numeriche. La studiosa aggiunge che i primi ricercatori della regione
probabilmente scambiarono le sfere per pietre da fionda. Altre registrazioni numeriche su
dischi d’argilla e mezzelune sono state portate alla luce nella regione, ma niente di
altrettanto remoto è paragonabile alle sfere di Tell Mohammed Diyab.
Il ritorno del
condottiero
Wire - Novembre 1999
Archeologi italiani hanno portato alla luce la tomba di un condottiero militare indios, vissuto
mille anni prima di Cristo nelle Ande settentrionali del Perù. Lo studioso Mario Polia ha
scoperto la tomba dell’indiano Huayakuntur, nella provincia di Ayabaca, accanto al confine
con l’Ecuador, 500 chilometri a nord-est di Lima. I resti ossei del condottiero, che
stringeva una conchiglia, erano disposti su un altare di pietra con a fianco un’ascia, ha
riferito Polia al quotidiano locale El Commercio. Con il corpo sono state sepolte due donne e
cinque guardie, oltre a due vittime sacrificali, tutti in posizione fetale. Il giornale ha
pubblicato le fotografie dei resti, circondati da vasellame cerimoniale. La cultura
Huayakuntur si spostò dalla giungla dell’Amazzonia agli attuali Perù ed Ecuador, e giunse a
dominare una regione nota come la Sierra di Piura, sino alla conquista Inca nel tardo XV°
secolo.
Rimpatriate le fere del Costarica
da Christie Pashby - Ottobre 1999
Le opere archeologiche più importanti del Costarica hanno fatto recentemente ritorno nel
loro sito d’origine, I funzionari del National Museum hanno spostato otto antiche sfere di
pietra dall’area di San José alla penisola di Osa, molto vicina al luogo in cui furono scoperte
nel 1940. Durante la creazione di una piantagione di banane nell‘area del delta del Diquis gli
operai si imbatterono in una serie di perfette sfere granitiche disposte con cura. Altre
ancora sono state scoperte sull’Isola del Cao. Vengono considerate i reperti pre-colombiani
più significativi del Costarica. Le misteriose sfere, le cui dimensioni variano da quelle di
un’arancia ad oltre due metri di diametro, si ritiene ufficialmente siano state realizzate da
gruppi indigeni nel 800 d.C. Il loro peso è di oltre 16 tonnellate. Almeno 500 sfere di
dimensioni varie sono state sinora ritrovate. Gli archeologi non sono ancora giunti a dare
una valida spiegazione all‘accurata sfericità dei manufatti o del loro possibile impiego.
Alcuni geologi ritengono che un vulcano abbia eruttato globi di magma raffreddatisi in
forma di sfera in seguito al contatto con l’aria. Altri ancora pensano che vennero realizzati
con utensili di pietra. Il ricercatore Ivan Zapp. nel suo libro Atlantis in Costa Rica afferma
che le sfere siano state indicatori di navigazione impiegati da una cultura marinara
altamente sviluppata nel passato. Gli artefatti sono stati accolti dagli abitanti di Osa con
una cerimonia al Central Park nella città di Palmar Sur. Venti anni fa gli indigeni bloccarono
le strade della loro comunità per evitare la rimozione delle sfere e ora ne festeggiano il
ritorno. Per anni sono state utilizzate come decorazione per molte istituzioni pubbliche e in
abitazioni private. La ricollocazione è parte del progetto Community Archaeology and
Environment in Osa, dedicato al la promozione turistica del sud del Costa Rica.
Prova del Diluvio Universale?
BBC News - Ottobre 1999
Lo stesso oceanografo che rintracciò i resti del Titanic, Robert Ballard, assicura di aver
trovato le tracce del Diluvio Universale. Si tratta di un’antica linea costiera che scomparve
in seguito ad una grande inondazione, circa 7.600 anni fa, e che sarebbe ubicata tra il Mar
Mediterraneo e il Mar Nero. L’esame dei fossili di molluschi d’acqua dolce, effettuata con
la tecnologia al radiocarbonio, ha consentito di datare la spiaggia ad un periodo compreso
tra 6.900 e 7.600 anni prima di Cristo. “È la prova che una formidabile inondazione può
essere avvenuta in quel lasso di tempo. Quello che ci interessava era provare la plausibilità
della leggenda del Diluvio Universale“. Nella Genesi il diluvio di Noé viene fatto risalire a
2400 anni prima di Cristo. Gli studiosi americani ritengono però che l’evento catastrofico
verificatosi 5000 anni prima, fu di tale entità “ da venire tramandato nella letteratura
amanuense del tempo”. Ballard ha dichiarato averla scoperta seguendo il mito di Giasone e
degli Argonauti, aiutato anche dalle ricerche dei geofisici William Ryan e Brian Pittman,
della Columbia University di New York, il cui saggio “Il Diluvio” è stato pubblicato in Italia
nel 1999 da Piemme. Nota della redazione: la scoperta di Ballard conferma che alla base dei
miti e delle cronache religiose, vi sono fatti storici reali. A nostro avviso questa è però solo
metà della storia, in quanto un diluvio nel Mar Nero non avrebbe dovuto lasciare tracce nei
miti delle popolazioni dell‘America pre-colombiana. Eppure anche tra le popolazioni nativoamericane si parla di un diluvio che distrusse la loro patria d’origine, in modo molto più
esplicito di quanto narrato dalle religioni semitiche del medio-oriente.
Alla ricerca dell’Argo
Archaeological Institute of America Novembre 1999
Una spedizione congiunta georgiana-americana ha ritrovato artefatti che si ritiene possano
stabilire l’ubicazione di Phasis, la leggendaria destinazione di Giasone e gli Argonauti nella
loro ricerca del Vello d’Oro. Gli archeologi subacquei hanno scoperto parte di un
insediamento abitato da almeno il IV° secolo a.C. sino all’VIII° d.C., al di sotto delle acque
del Lago Paliostomi (in foto), sulla costa centrale della Repubblica di Georgia. Numerosi
autori antichi, compreso Strabone, Arriano ed Aristotele, hanno fornito descrizioni della
città che hanno permesso agli studiosi di determinare che Phasis era localizzata nelle
vicinanze di Poti, un grande porto commerciale-militare dell’ex URSS. I ritrovamenti della
spedizione di ricerca, che consiste di membri del Institute of Nautical Archaeology (INA)
presso la Texas A&M University e il Center for Archaeological studies (CAS) della
Georgian Accademy of Science, coordinate dall’organizzazione no-profit Pipeline
Archaeology for the Recovery of Knowledge (PARK) Inc., comprendono monete e ceramiche
importate e del luogo.
I greci stabilirono una colonia a Phasis tra la fine del XVII° secolo e l’inizio del XVI° secolo
a.C. e convissero con la nativa popolazione della Colchide, che venne assimilata durante il
Periodo Ellenistico. Costruita al livello del mare, Phasis poteva ricordare un’antica Venezia
con i suoi numerosi fossati e canali. Gli archeologi ritengono che la combinazione del
graduale insediamento della città nel limo alluvionale, insieme ad un innalzamento del livello
marino di svariati metri nei trascorsi 2000 anni, hanno contribuito alla sparizione di Phasis
dalle cronache storiche intorno alla fine del Periodo Bizantino (IX° sec. d.C. circa). La
spedizione ha in animo di tornare al lago Paleostomi la prossima estate, alla ricerca di
strutture menzionate dalle antiche fonti, compresi il Tempio di Apollo e di Artemide, una
miniera, e quello che è stato descritto come un museo dell’antichità che, secondo il Periplo
del Ponto Eusino di Arriano, esponeva l’ancora originale della nave di Giasone, Argo.
Morti Ron Wyatt, e Johannes Fiebag
Mas Allà - AA-S - Novembre 1999
Lo scorso 4 agosto è morto Ron Wyatt (nella foto in alto a destra), vittima di un male
incurabile. Wyatt, archeologo, rivendicava di aver individuato alcune delle più preziose
reliquie bibliche, tra cui l’Arca dell’Alleanza e l’Arca di Noé. La sua attività era sempre
stata sospinta dalle sue credenze religiose e più volte dichiarò apertamente che la Bibbia
era un libro di storia e non un testo esclusivamente dogmatico e religioso. Questo contribuì
a guadagnarsi l’avversione di molti colleghi e l’ammirazione degli studiosi di archeologia di
frontiera. Tra le voci circolanti sul suo lavoro, la supposta prova in video della scoperta
dell’Arca dell’Alleanza, la cui diffusione, secondo quanto si conosce sin’ora, può essere
autorizzata dal solo governo di Israele.
Il dottor Johannes Fiebag (a sinistra), ricercatore austriaco, impegnato in prima linea nel
campo della Paleoastronautica, l'11 Ottobre scorso ha abbandonato questo livello di
esistenza per passare ad uno superiore e certamente migliore. Fiebag era Capo Redattore
dell’edizione tedesca di Legendary Times, membro della Ancient Astronaut Society, nonché
autore di alcuni notevoli saggi sulle antiche civiltà. In Italia lo si ricorda soprattutto per la
pubblicazione del libro Gli Alieni, edito dalle Edizioni Mediterranee, e per la partecipazione
ad alcuni simposi di ufologia e metascienza.
Il Pianeta X: un EX pianeta?
Meta Research Bullettin - Ottobre 1999
Nell’edizione del settembre 1999 di Meta Research Bullettin, Tom Van Flandern, scienziato
che ha fatto parte dello US Naval Observatory, fautore dell’ipotesi del Pianeta X (un
pianeta del sistema solare oltre Plutone, forse appena scoperto. Cfr. articolo di questo
numero su Nibiru) rilascia la seguente dichiarazione: “La scoperta di più di tre oggetti
transnettuniani conferma la presenza di una seconda fascia di asteroidi oltre Nettuno.
Questo probabilmente indica che l‘ipotetico pianeta X è ora una fascia di asteroidi
piuttosto che un pianeta intatto". Secondo l’ipotesi di Van Flandern, il Pianeta X può essere
esploso dieci milioni di anni fa, scagliando un’onda di frammenti meteoritici all’interno del
sistema solare. La sua ricerca coincide con l’ultima scoperta di Alan Alford nel mondo degli
antichi miti, la quale suggerisce che “gli Dei che caddero dal cielo sulla Terra” erano quindi
considerati come “meteoriti generati da un pianeta esploso”.
Alford, attualmente uno dei più noti ricercatori britannici che idealmente segue il filone di
Zecharia Sitchin, suggerisce che l’umanità non ne sia stata necessariamente testimone.
Nota della redazione: recenti scoperte, pubblicate in questa rivista, potrebbero confutare
questa tesi.
L’alfabeto, stenografia egiziana
dalla Redazione - Novembre 1999
La scoperta in Egitto di due iscrizioni su roccia ha rivoluzionato la datazione dell’invenzione
dell’alfabeto. Si pensava che il sistema di scrittura alfabetico fosse stato creato nel 1600
a.C. da popolazioni stanziate nel Sinai. Le iscrizioni sono incise su rocce calcaree, insieme a
classici geroglifici, nella zona di Wadi el-Hol, tra Abydo e la Valle dei Re. L’accostamento ha
permesso all’egittologo John Coleman Darnell della Yale University di stabilirne la
datazione al Medio Regno, durante i primi due secoli a.C. (1800-1900 a.C. circa). La
scrittura è una semplificazione di alcuni geroglifici e quindi può considerarsi una
derivazione di questi ultimi, quasi un sistema stenografico impiegabile da chi doveva
comunicare con classi sociali più basse, come mercenari, prigionieri etc.
Il ritrovamento chiude un periodo intenso per la storia della scrittura. Nel maggio 1999
venne data notizia che antichissimi esempi di scrittura erano venuti alla luce in uno scavo
archeologico nel Pakistan (foto sopra). Incisioni cosiddette “a forma di pianta” e “a
tridente” furono ritrovate su frammenti di vasellame datati a 5.500 anni fa (3.500 a.C.) Il
luogo della scoperta fu Harappa, nella regione in cui fiorì la grande civilizzazione dell’Indo,
nel 6.500 a.C.. Secondo Richard Meadow della Harward University, direttore dell’Harappa
Archaeological Research Project, queste primitive iscrizioni pre-daterebbero tutte le altre
scritture conosciute. Nel 1998 venne invece dichiarato che la più antica scrittura potesse
provenire dall’Egitto meridionale, in quanto tavolette d’argilla contenenti termini primitivi
furono rinvenuti nella tomba del primo faraone chiamato Scorpione (foto a destra). La
datazione al carbonio le assegnava al 3.300 -3.200 a.C.. Più o meno la medesima epoca della
scrittura sumera, sviluppata nel 3.100 a.C..
Le palafitte del Taìno
Archaeological Institute Novembre 1999
I resti di almeno 40 abitazioni Taìno erette su palafitte, sono state ritrovate in una
remota striscia di spiaggia a Los Buchillones, sulla costa settentrionale di Cuba. Fra i più
ampi e vasti insediamenti nei Caraibi, Los Buchillones può svelare l’evoluzione tecnologica e i
costumi sociali dei Taìno, gli abitanti precolombiani dei Caraibi, durante i 500 anni
precedenti il contatto con gli Spagnoli. Studi passati sulle colonie di Taìno del codirettore
progettuale David Pendergast del Toronto Royal Ontario Museum, avevano sinora portato
alla scoperta di sparpagliati segni di abitazioni costruite sulla terraferma ma poche
evidenze della cultura che le eresse. La squadra congiunta cubano-canadese ha scavato
sinora due abitazioni. La prima, più di 60 piedi di diametro, si suppone abbia funzionato
come una residenza comune o edificio pubblico, mentre la seconda, scoperta agli inizi di
quest’anno, era molto probabilmente un’abitazione singola per famiglia. La seconda casa
sembra fosse costruita su trampoli che affondavano nell’acqua. Le altre abitazioni erano
edificate alla stessa maniera. Il progetto ha identificato anche fondazioni su un’area della
costa che era parte dell’insediamento. “È possibile che i Taìno occuparono prima la terra
asciutta, spostandosi in seguito verso il mare“, dichiara Pendergast, aggiungendo che non é
sicuro sulla motivazione di tale gesto. “Dev'essere esistita una valida motivazione - nota poiché le costruzioni sull‘acqua richiedono uno sforzo maggiore di quello necessario sulla
terraferma". I sedimenti lagunari hanno conservato ampiamente il tetto di paglia
dell’abitazione; la squadra ha scoperto inoltre semi di frutti (alcuni da uva passa) e una
buccia non ancora identificata, probabile rifiuto gettato dalla piattaforma dell’abitazione
nel mare. Pendergast spera che i sedimenti attorno alle case contengano rifiuti in quantità
maggiori. “Le nostre prospettive per un ‘esauriente conoscenza della dieta dei Taìno sono
molto buone”, dichiara.
Il coccodrillo di Gortyn
Archaeology News - Settembre 1999
La scoperta di una grondaia di calcare dalla forma di coccodrillo, che un tempo adornava un
tempio romano a Gortyn, nella Creta centrale, fornisce l’evidenza di stretti contatti tra
l’isola e l’Egitto. Gli scavi condotti da Antonino Di Vitta, direttore dell’ Italian Archeological
School di Atene, hanno rivelato che il tempio è stato costruito durante il regno di Marco
Aurelio (161-180 d.C.), rimodellato nel IV° secolo e alla fine demolito per ricavarne calcare
in una data imprecisata. Dipinto a colori vivaci e forgiato con orbite oculari una volta dotate
di una pasta di vetro brillante, il coccodrillo è stato trovato sepolto da pietrisco in una
fognatura che lo ha nascosto agli antichi scavatori. Di Vitta dichiara che l’animale è uno dei
quattro che una volta adornavano la trabeazione del tempio e rappresenta il primo esempio
dell’impiego di motivi egizi su templi romani a Creta. Da frammenti di iscrizioni trovati sul
tempio, sembra che un certo Tito Pactumeius Magnus, cretese e prefetto dell’Egitto ha
costruito e dedicato il tempio agli imperatori romani. La grondaia, esposta nel passato
autunno alla manifestazione Creta-Egitto, presso il Museo Heraklion a Creta, sarà in visione
permanente al nuovo Museo di Messara nella Creta centromeridionale.
Nota della redazione: sebbene la derivazione egizia sia provata dalle ricerche di Di Vitta,
l'aspetto del coccodrillo è sospettosamente somigliante al volto di Quetzalcoatl, il
serpente piumato. effigiato sulla piramide di Chichén Itzà in Messico. Sarà materia di un
prossimo articolo.
Addio Madame Dieterlen
dalla Redazione - Novembre 1999
Sabato 14 novembre, a 96 anni si è spenta l’antropologa francese Germaine Dieterlen, nota
per aver studiato per oltre venti anni, assieme al collega Marcel Griaule, le conoscenze
iniziatiche della popolazione Dogon del Mali, narrate loro dal sacerdote Ogotemmeli. Nella
cosmogonia di questo popolo africano ricorrevano riferimenti precisi a dati astronomici
millenari, riscoperti dalla nostra civiltà solo di recente. Gli studi che facevano perno sul
sistema di Sirio vennero poi ripresi da Robert Temple che scrisse Il Mistero di Sirio. La
Dieterlen pubblicò il saggio “Le Renard Pale” (The Pale Fox, 1965), scritto con Marcel
Griaule (1898-1956) e “Les Dogon, notion de personne et mythe de la creation“. I loro studi
ricevettero dure critiche dalla scienza ufficiale. L’antropologo belga W.E.A. van Beek
dichiarò, dopo avere trascorso sette anni con i Dogon, di aver individuato l’origine di tali
conoscenze astronomiche: Un gesuita, che visse per alcuni anni con Ogotemmeli, a cui passò
queste informazioni poi mitizzate. Crediamo che la critica alle ricerche della Dieterlen sia
infondata in quanto, le conoscenze Dogon sono molto approfondite e di derivazione egizia
più che “Gesuita”. Da dove avrebbero attinto il mito dell’Uomo pesce, analogo all’Osiride
egizio, all’Oannes sumero o all’Uana Maya? Come potevano i Dogon conoscere Sirio C e
parlarne così precisamente se è stata individuata dai nostri radiotelescopi solo nel 1995 e
nessun gesuita ne era a conoscenza quando vi furono i menzionati contatti?
Wirus da Mu?
BBC News - Novembre 1999
Gli antichi abitanti delle montagne Andine erano portatori dello stesso virus che oggi
possiedono i moderni giapponesi, suggerendo che viaggiatori provenienti dall’Asia
colonizzarono il Sud-America migliaia di anni fa. L’inusuale forma di scoperta archeologica è
stata possibile grazie all’analisi di campioni di DNA, prelevati da ossa di 104 mummie
trovate nel nord del Cile. L’età stimata per le mummie è compresa tra i 1000 e i 1500 anni.
Due campioni di virus, provenienti da San Pedro de Atacama, hanno fornito frammenti di
DNA analizzabile. Kazuo Tajima e colleghi dell’Aichi Cancer Center Research Institute del
Giappone hanno trovato che i frammenti erano simili a campioni di virus prelevati da Cileni e
Giapponesi. Questa prova, pubblicata su Nature Medicine, dà peso alle teorie che popoli
mongoloidi invasero il Sud-America già 20.000 anni fa. È scartato che il virus sia stato
importato dagli europei dal 1492. Infatti si tratta di un ceppo presente esclusivamente nel
sud-ovest del Giappone e Sud-America. I ricercatori sono convinti che le analisi di queste
sequenze di DNA virale potrebbero essere usate per favorire la ricerca antropologica,
storica e archeologica. Nota della redazione: la possibilità di una connessione culturale tra
Giappone e America-precolombiana viene affrontata su questo numero nell‘articolo su
Yonaguni, suggerendo l‘esistenza di una Terra nel Pacifico che collegò i due continenti in un
lontano passato.
(ritorna al SOMMARIO)
La scoperta del “Rotolo dell’Angelo”
Un testo religioso, considerato da alcuni come uno dei Papiri perduti del Mar Morto, è
venuto alla luce in Israele. Stephen Pfann, studioso e presidente della University of the
Holy Land lo sta attualmente esaminando. Pfann afferma che il testo utilizza alcune
locuzioni tipiche dei famosi papiri di 2.000 anni fa. Ulteriori studi saranno necessari prima
che gli esperti possano confermare se il cosiddetto “Papiro dell’Angelo” sia un elaborato
autentico oppure un falso.
Se fosse autentico, getterebbe nuova luce sul misticismo ebraico e le origini del
Cristianesimo.
“Se è contraffatto - dichiara il Dr. Pfann - è stato realizzato da un esperto che ha
studiato i Papiri del Mar Morto a lungo “. La storia del Papiro dell’Angelo è molto strana.
Circolavano voci tra gli studiosi da molti anni sul fatto che uno dei Papiri di Qumran — i
testi religiosi degli Esseni trovati nelle grotte contigue al Mar morto tra il 1947 e il 1954—
fosse finito nelle mani di un antiquario in una delle vicine capitali arabe.
Il Jerusalem Report Magazine ha riferito che ad acquistare la pergamena, composta da
1.000 righe di caratteri ebraici, furono i monaci benedettini nel 1974, che la portarono in
un monastero al confine austro-tedesco per studiarla di nascosto. I religiosi erano votati al
vincolo di segretezza, ma uno di essi — identificato soltanto con lo pseudonimo di Mateus —
ruppe il voto lasciando in eredità, dopo la sua morte nel 1996, la trascrizione e il suo
commento ad un amico in Germania. Lo scritto fu poi consegnato al direttore di un college
israeliano e ad un fisico, con un interesse per la Kabbalah, scrive la rivista. I due hanno
insistito per l’anonimato, permettendo però alla rivista di esaminare il documento. Il
direttore del college ha affidato al Dr. Pfann — uno degli eruditi cristiani che stanno
decifrando i Papiri del Mar Morto — un quarto del documento. In esso, un tale Yeshua ben
Padiah descrive una visione religiosa avuta ad Ein Englatain, un insediamento nel deserto
sulla riva est del Mar Morto.
L’autore viene preso da un angelo di nome Panameia per un viaggio nei cieli, penetrando
attraverso i cancelli di un luogo celestiale. Una seconda fonte non identificata nel
documento fornisce la descrizione di contenitori atti all’imbalsamazione per la resurrezione
del morto e l’uso di erbe e pietre guaritrici, pratiche attribuite agli Esseni dallo storico
ebraico Giuseppe Flavio, loro contemporaneo. Espressioni associate agli Esseni ricorrono nel
nuovo testo, come “Figli della Luce”, “Figli delle Tenebre” e la parola “El” per Dio. La
grammatica e la pronuncia sono simili a quelle dei Papiri del Mar Morto. Il Dr. Pfann
afferma di aver trovato anche una frase completa della storia di Gesù che ha cercato di
ricostruire in uno dei Papiri del Mar Morto. Padre Bargil Pixner, autorità benedettina sui
Papiri, si ritiene scettico riguardo il testo. “Se i benedettini fossero stati in possesso di
una pergamena, lo sarei venuto a sapere” ha commentato”.
Il comunicato di Chamish
Circa questa scoperta, il primo ottobre, il giornalista israeliano Bany Chamish, ha
comunicato: “Gli esperti sono in generale accordo sul fatto che il testo del papiro,
rilasciato dopo tanto tempo, sembri genuino. Quel poco del papiro che è stato divulgato,
rivela un viaggio verso i cieli accompagnato dagli angeli. Secondo Pfann, il testo è pieno
ditemi di troni divini con elaborati dettagli di angeli che ascendono ai molti cancelli celesti.
Questo risulterebbe di grande interesse per i beniamini di Von Daniken che prendono alla
lettera le parole della Bibbia, inserendo i molti riferimenti alle ruote nelle ruote, ai papiri
volanti e colonne di fuoco in un contesto ufologico. Da molto tempo l‘ufologo israeliano, ora
studioso di Kabbalah, Mordechai Spasser ritiene che sia un errore interpretare il nuovo
papiro da un punto di vista ufologico. “Quello che ho letto, mi sembra filosofia su un piano
astrale o, semplicemente, misticismo ebraico”. Con tale possibilità, combinandola con le
famose letture di UFO delle esistenti sacre scritture ebraiche, vi sono due passaggi del
Papiro dell’Angelo cui ho dato la mia interpretazione letterale: ‘E l’Angelo Pnimea (o
Panameia) mi disse: “Figlio dell’uomo, solleva gli occhi e osserva tutti i segreti... che sono nel
quarto cancello che è il cancello della nascita. E io vidi, ed era come l’utero e le camere
dello stomaco, e le acque sgorgavano e rumoreggiavano come i flutti marini sul muro della
grotta, che non poteva contenere la sua furia. V’è qui un seme della vita nell’acqua che
scaturisce dal seme dell’uomo e della donna perché Egli li ha creati maschio e femmina. E il
seme unito dai due semi non appare come ardesia pulita.
È scritto all’interno e all’esterno e possiede allo stesso tempo conoscenza e coscienza prima
della sua creazione nell’utero. E l’inizio del bambino non è nella nascita o nella concezione e
non si esaurisce neanche con la morte”.
Sembra che al narratore venisse mostrata un‘avanzata versione in tempo reale della nostra
toccante tecnologia a ultrasuoni. Egli è fermo di fronte a un cancello o ad un monitor, per
lui sconosciuto, e osserva l‘eiaculazione maschile nell’utero, compreso un primo piano dello
sperma e dell‘ovulo. È testimone della concezione e gli vengono poi riferiti i segreti del
DNA e dei geni. Evidentemente, Dio li ha creati entrambi insieme al genere umano.
“Secondo il piano di quel giorno, la Voce mi arrivò diretta e mi guidò in Spirito. E una visione
mi si rivelò dall’Altissimo, e Panameia, Principe degli Angeli, mi sollevò in Spirito e ascesi
verso il cielo sopra gli alti luoghi delle nuvole e mi mostrò il vasto mondo e le immagini degli
dèi. E ne constatai l’apparenza all’intorno e non v’era tempo e spazio e le loro sembianze
dalle dimore di luce erano come un arcobaleno nelle nuvole. E non avevano corpi né
strutture corporee e la vastità delle tenebre copriva l’intera terra tutt’intorno”.
Ora, questa è un ‘accurata descrizione di un viaggio in Space Shuttle. Dapprima il
viaggiatore penetra attraverso il livello delle nuvole. Osserva gli alti luoghi delle nuvole,
forse quelle increspature invisibili dal suolo. Poi vede la Terra dallo spazio ed è circondata
dalle tenebre. Gli vengono mostrate immagini degli dèi e delle loro dimore sopra un monitor
di controllo e si meraviglia di fronte alla qualità e al fatto bizzarro che non v‘è firmamento
sullo schermo. Dopo tale descrizione e interpretazione, me per primo, sto attendendo per
leggere il testo completo del Papiro dell‘Angelo.
Commento del direttore: a nostro avviso l’interpretazione di Chamish non sta in piedi La descrizione fatta da
Yeshua ben Padiah è una tipica visione associata alla Cabala ebraica di profondo valore simbolico-spirituale,
come ha giustamente osservato Mordechai Spasser. Un articolo nei numeri successivi chiarirà il nostro punto
di vista.
Decifrazione digitale
Sempre per quanto riguarda i Rotoli di Qumran. apprendiamo dalla Newhouse News Service
che gli scienziati stanno impiegando metodi digitali per riportare alla luce il testo mancante
nei rotoli. Un processo di intensificazione del contrasto rivela una scrittura nascosta al di
sotto di uno spazio apparentemente vuoto del Papiro del Tempio, uno dei Papiri esseni del
Mar Morto. Quasi contemporaneo all’epoca di Gesù, conservato in grotte per due millenni e
ritrovato nel 1947, un pezzetto raggrinzito di cuoio tenuto a Teaneck, N. J., nasconde la
chiave di un antico salmo. Il frammento dei Papiri del Mar Morto è stato più un cimelio che
un documento storico, prima che l’archeologo Robert Johnston e i suoi colleghi ricercatori
entrassero in scena. Facendo uso di una videocamera digitale e delle analisi computerizzate,
la squadra di Johnston ha fatto parlare l’antico documento. Da una macchia scura sono
emerse diverse righe, fra cui: “Benedetto è il Signore che ci permette di gioire di nuovo,
poiché è il motivo per cui ci hai creati”.
“Essere capaci di vedere scritture mai viste per oltre 2.000 anni è stato molto eccitante”,
afferma il Rev. John Peter Meno della St. Nark’s Cathedral a Teaneck. Meno è segretario
generale delle Eastern United States Archidioceses della Syrian Orthodox Church, che
custodisce il frammento.
La scoperta alla fine ha completato quello che è stato soprannominato l’inno del raccolto, un
salmo ebraico mai visto prima. Johnston e i suoi colleghi sono stati dei precursori delle
tecnologie di Imaging - una volta riservate per le spie e utilizzate dagli astronomi - per
svelare i segreti di antichi testi oscurati o dimenticati dal tempo. La squadra,
sponsorizzata dalla Eastman Kodak Co. e dalla Xerox Corp., sta sperimentando l’Imaging
multispettro ai Rochester Institute of Technology’s Chester F. Carlson Center for Imaging
Sciences, New York, del quale Johnston è professore. I Papiri del Mar Morto furono
trascritti nel linguaggio semitico dall’aramaico tra il 25 a.C. e il 68 d.C. e nascosti in grotte
vicino Qumran, un insediamento essenico. Gli scritti gettano luce sugli aspetti della
secolare vita primitiva e religiosa essenica durante l’epoca in cui i Romani saccheggiarono
Gerusalemme, intorno al 70 d.C., quando la cristianità stava nascendo.
(ritorna al SOMMARIO)
Le rivelazioni della Piramide
della Luna a Teotihuacan
fonte: Arizona State University, 22/9/99
Una serie inaspettata di nuove scoperte negli scavi in corso sotto la Piramide della Luna, a
Teotihuacan, antica metropoli messicana, potrebbe fornire indizi fondamentali per
ricostruire 2.000 anni di storia ancora avvolta nel mistero delle sue rovine. L’ultima
scoperta nel sito è una tomba edificata, in apparenza, per consacrare la quinta fase della
costruzione della Piramide, contenente quattro scheletri umani, ossa di animali, grandi gusci
di conchiglie, gioielli, lame di ossidiana e un’ampia varietà di altre offerte. Scoperta da un
team di archeologi guidati da Saburo Sugiyama, professore associato alla Aichi Prefectural
University in Giappone, facoltà aggiunta alla Arizona State University, e Ruben Cabrera del
Mexico‘s National Institute of Anthropology and History, la sepoltura contiene
un’importante prova che può aiutare gli archeologi ad esaminare e definire un periodo
particolarmente attivo nella storia di Teotihuacan e forse uno dei momenti determinanti
ditale cultura.
La tomba e le sue offerte sembrano differenziarsi per
molti versi da un’altra tomba trovata nel sito un anno
prima. Tale monumento, associato in maniera chiara alla
quarta fase di sviluppo della piramide, ospitava soltanto
un donna — una vittima sacrificale — così come un lupo, un giaguaro, un puma, un serpente e
scheletri di volatili, oltre a 400 offerte, comprese una grande pietra verde e figurine di
ossidiana, coltelli cerimoniali e punte di lancia.
“Il contenuto di tale nuova sepoltura sembra significativamente differente dalla tomba che
abbiamo scoperto l‘anno scorso“, ha dichiarato Sugiyama. “Ma vi sono molti aspetti, qui,
forse simili a quelli che riscontrammo dieci anni fa nelle tombe sotto la Piramide di
Quetzalcòatl”.
Sugiyama nota la presenza di molte lame di ossidiana verde nella nuova tomba — ossidiana
che manca nella tomba della piramide quattro, ma comune nelle sepolture della Piramide di
Quetzalcòatl — e un pendaglio nasale in pietra verde a forma di farfalla che è
“esattamente dello stesso stile di quelli trovati nella suddetta Piramide
Fasi successive
L‘attuale scoperta sembra collegarsi ad una fase dello sviluppo della piramide, che seguì alla
costruzione della piramide quattro — una fase distinta nella storia della struttura
sconosciuta fino ad ora. Gli abitanti di Teotihuacan edificarono piramidi più grandi sulla
cima di monumenti precedenti, spesso ricostruendo parzialmente i preesistenti.
Da ricerche passate si pensava fossero esistite cinque fasi per la Piramide della Luna, che
durante la fase uno (I secolo a.C.) assurse a monumento più importante di Teotihuacan. Gli
scavi mostrano un salto nelle dimensioni e nelle complessità dell’ingegneria con la
costruzione della piramide quattro. Sugiyama e Cabrera hanno trovato evidenze che
indicano un significativo rimodellamento della piramide quattro — un quinto periodo di
ricostruzione — che avvenne prima dell’aggiunta finale alla piramide.
Questa quinta fase, che comprende la tomba scoperta di recente, sembra essere un
importante modificazione dell’architettura, della posizione e delle dimensioni della quarta
struttura. Parte del rimodellamento coinvolse lo stile architettonico “talud-tablero” della
Piramide della Luna che domina le strutture oggi visibili, compresa la Piramide di
Quetzalcòatl e la Piramide del Sole.
L’evidenza nelle differenze delle offerte cerimoniali tra la piramide quattro e la sua
versione rimodellata, la piramide cinque, suggerisce pertanto un importante mutamento
nella cultura che può essersi riflettuto nella costruzione della Piramide di Quetzalcòatl e
nella Piramide del Sole.
Entrambe furono costruite in gran parte in una volta e sono più recenti rispetto alla prima
fase della Piramide della Luna.
“Non vi sono ancora abbastanza dati per dare una valutazione definitiva, ma la cosa
affascinante è che le immagini mitiche che osserviamo nei murali di guerra dell’ultimo
periodo di Teotihuacan — giaguari, coyotes e aquile con vestimenti e copricapi — sono
composti di elementi presenti nelle sepolture più antiche. Le usanze del periodo in
questione sembrano aver avuto un effetto duraturo“, ha affermato Sugiyama.
Il luogo degli Dei
Sebbene gli archeologi siano rimasti a lungo affascinati dal sito, la cultura di Teotihuacan e
la sua storia sono ancora in gran parte misteriose.
La civiltà ha lasciato enormi rovine, ma non è stata trovata traccia di un sistema di
scrittura e molto poco si conosce dei suoi abitanti, cui succedettero per primi i Toltechi e
poi gli Aztechi. Gli Aztechi non vivevano nella città, ma furono loro a dare i nomi attuali al
posto e alle sue strutture più grandi.
Lo consideravano il “Luogo dove nascono gli Dèi “, dove sarebbe stato creato il mondo
attuale. Al suo apogeo intorno al 500 d.C., Teotihuacan conteneva forse 200.000 persone,
una città superbamente progettata che copriva all’incirca 12 chilometri quadrati, più grande
ed avanzata di ogni altro insediamento europeo del tempo. La sua civiltà era contemporanea
dell’antica Roma, e durò a lungo — più di 500 anni.
Gli scavi attuali sotto la Piramide della Luna potrebbero essere una delle più grandi
opportunità per rispondere a domande ancora irrisolte sulla civiltà di Teotihuacan, poiché la
sua sottostante, antica e primitiva costruzione rocciosa non compatta, può aver protetto
segreti sepolti rendendo difficoltoso lo scavo sotterraneo.
Sugiyama spera di trovare ancora altre tombe. “Quello che abbiamo notato è che questa
tomba si trova a pochi metri ad est dell’asse nord-sud della città. Questa popolazione era
di norma molto precisa e raramente compiva qualcosa asimmetricamente. Con questo dato
di fatto, crediamo di poter scoprire altre sepolture basate su mappe accurate”.
(ritorna al SOMMARIO)
di Dino Vitagliano
Una griglia magnetica di antichissimi monumenti, specchio del Cielo sulla Terra avvolge il
nostro globo, tessuta da una razza sapiente che aveva compreso i segreti del l’universo e
dell’animo umano, chiave dell’immortalità. Questa la scoperta di Graham Hancock, il
giornalista e ricercatore inglese, nel corso dei suoi viaggi intorno al mondo, alla ricerca di
una traccia comune in grado di ricollegare le misteriose civiltà scomparse di cui
conserviamo gli imponenti monumenti.
Un messaggio di indicibile bellezza, scritto nella pietra, si dipana dal Golfo del Messico al
Sud America, dall’Egitto all’Indocina, per giungere infine alle lontane isole del Pacifico.
Una costante cosmologica che scandiva la vita del pianeta in tutte le sue forme ci
accompagnerà in un viaggio affascinante, parte dell’Armonia Ancestrale tramandata nel
corso dei millenni, a lungo nascosta e pronta a schiudere i suoi segreti.
I “Seguaci di Horus”
La città sacra di Heliopolis era chiamata dagli antichi Egizi Innu Mehret, “la colonna
settentrionale”, simbolo di uno dei pilastri della Terra. Rappresenta il luogo originario in cui
si manifestò il dio Atum, dopo la Creazione, dando vita alla Collina Primordiale.
Nacque così il Primo Tempo, un’era mitica di fratellanza e di pace assicurata dagli Shemsu-
Hor, i “Seguaci di Horus”, una mistica congrega appartenente ad una civiltà avanzatissima,
scampata alla distruzione della patria d’origine. Veneravano la stella Sole, Sirio e Orione,
perpetuando in tal modo l’esistenza della triade divina Iside, Osiride e il figlio Horus.
Definendosi anche seguaci della via di Ra, la barca solare — altro aspetto di Horus —
svelano un segnale importante per la piena conoscenza del segreto della precessione,
quando il Sole vivifica ognuna delle dodici costellazioni ogni 2.160 anni. Non a caso Innu
divenne per i Greci Heliopolis, la Città del Sole.
I sacerdoti che presenziavano i culti sacri nel tempio principale scrutavano
incessantemente il cielo, guidati dal Capo degli Astronomi che indossava una veste
trapuntata di stelle.
Il ricercatore londinese John Ivimy, nel suo libro The Sphinx and the Megaliths, dichiara
apertamente: “Il tempio di Eliopoli, anche se veniva presentato ai non iniziati come un luogo
di venerazione religiosa, era in realtà un osservatorio astronomico progettato e attrezzato
dagli studiosi a scopi scientifici“.
Notevole è l’informazione che proviene dal papiro di Leyden: “Quando giunge un nuovo
messaggio dal cielo si ode a Innu “. Un santuario, destinato, secondo il nostro parere, a
un’intensa fusione con ogni forma di vita presente nel cosmo, di cui gli egiziani erano ben
coscienti.
La via del Duat
L’opera degli iniziati prosegue a Edfu, nell’alto Egitto, dove si trovano le vestigia dello
splendido Tempio di Horus.
La sua età è antichissima, difatti l’archeologia ortodossa lo fa risalire al 3.000 a.C., ma i
geroglifici impressi sulle sue mura, meglio noti come i Testi della Costruzione di Edfu, ci
raccontano che l’edificio fu eretto in base a un progetto “caduto dal cielo”, in un’epoca
imprecisata del passato. Il cielo, ancora una volta, è indissolubilmente legato al tempio che
si orienta verso una regione stellare che abbraccia Orione e l’Orsa Maggiore, cioè il Duat-
N-Ba, luogo ove, secondo la tradizione, le anime terrestri si purificavano nel ritorno
all’Energia Primordiale.
Il Cancello del Sole
La conferma più evidente delle conoscenze astronomiche appartenute ai saggi eliopolitani si
ravvisa nel complesso monumentale di Karnak, a pochi chilometri da Luxor.
La sala centrale del tempio di Amon-Ra culmina in un viale lunghissimo che si estende da 26
gradi a sud dell’est a 26 gradi a nord dell’est. Gli studi accurati dell’astronomo britannico
Norman Lockyer, nel secolo scorso, frutto di numerose ed attente osservazioni hanno
stabilito che sin dall’11.700 a.C., ai solstizi d’inverno e d’estate, la luce solare inondava il
tempio, provocando l’effetto di un lampo.
Lo Zodiaco primordiale
Se da Karnak ci spostiamo in direzione nord, appare in tutta la sua magnificenza il tempio
della dea Hathor a Denderah.
Il nome è sicuramente evocativo per i cultori della paleoastronautica, che ricorderanno le
misteriose raffigurazioni, nel buio dei suoi sotterranei, di oggetti affusolati simili alle
odierne lampadine elettriche, citate per la prima volta dallo studioso americano Charles
Berlitz ne Il triangolo delle Bermuda (Sperling e Kupfer-1974). Senza addentrarci in
speculazioni tecniche, possiamo affermare che all’interno delle sale nascoste di questa
maestosa struttura avvenivano studi e cerimonie segrete sulle invisibili energie celesti e
terrestri. La costruzione era consacrata ad Hathor. dea del cielo, rappresentata sotto
forma di vacca, simbolo della volta celeste.
Le 24 colonne, elegantemente istoriate, conducono al cosiddetto Zodiaco Quadrato in cui
domina la costellazione del Leone, e alla cupola sovrastante che ospita una configurazione
circolare, sempre formata dai dodici segni astrologici, che ruotano in coppia. L’astronomo
professor Alexander Gurshtein afferma che il bassorilievo risale al 6.000 a.C.
Come per Edfu, i piani di costruzione di Denderah appartenevano alla Prima Età, e furono
rinvenuti in antiche linee scritte su pelle di animali del tempo dei Seguaci di Horus.
La vita cammino di perfezione
Scopo dell’accurata ricerca astronomica egizia è la perfetta conoscenza del cosmo per la
comprensione del Sé. Un modus vivendi che ritroviamo in tutti i monumenti e raggiunge il
suo acme nel tempio di Deir el Medina, sulla riva occidentale del Nilo, costruito nel III
secolo a.C. in onore di Maat. dea della Verità e della Giustizia, simboleggiante l’anima del dio
Thoth. Edificato per volere di Tolomeo IV Philopator (221-205 a.C.), contiene l’enigmatica e
affascinante rappresentazione della Psicostasia o Pesatura del Cuore. Il faraone, vestito
con una candida tunica di lino, avanza verso il dio della rinascita Osiride, fiancheggiato da
Maat, che riappare davanti mentre stringe l’Ankh, o croce ansata della vita eterna. Oltre,
si giunge alla bilancia del giudizio, sorvegliata da Anubi, conduttore di anime dal volto di
sciacallo, e da Horus, con la testa di falco, i quali pesano il cuore del defunto comparandolo
alla piuma della verità. Thoth, con la maschera di ibis, scrive il verdetto.
Se il cuore pesa più della piuma, il giudizio è negativo e l’anima viene divorata da un terribile
essere di nome Ammit, altrimenti godrà della vita eterna assieme ad Osiride. Un
simbolismo eloquente che mostra il cammino dell’uomo, che spoglio e umile deve affrontare i
propri mostri, con l’aiuto della coscienza, e volare senza paura verso l’immortalità.
L’Orologio dell’Universo
Il quadro cosmologico del popolo egizio riposa nelle piramidi di Giza, le opere più imponenti
e spettacolari in termini architettonici e metafisici, che incarnano il frutto di una scienza
dimenticata. Il sito è contiguo a Heliopolis, tanto da costituire un solo sofisticato
complesso astronomico. Le misure geometriche della Grande Piramide racchiudono
approfondite nozioni di geodesia che, rapportate alle coordinate celesti, rendono questo
monumento un orologio cosmico che scandisce i battiti dell’Universo.
La sua altezza moltiplicata per 43.200 equivale al raggio polare della Terra e il risultato
della base per la stessa cifra si avvicina di molto alla circonferenza del pianeta all’equatore.
Inoltre sembra certo che conoscessero il fenomeno della precessione dell’asse terrestre,
per il quale le stelle ruotano all’orizzonte un grado ogni 72 anni. Seicento volte 72, non a
caso, corrisponde a 43.200 che se accresciuto ancora rivela ciò che gli induisti chiamano il
respiro cosmico di Brahma, che si espande per 4.320.000.000 di anni (un concetto
cosmologico incentrato sull’espansione e contrazione del creato).
La Porta dell’Aldilà
Il numero 72 e le sue molteplici combinazioni di calcolo sono il fulcro della matematica del
cielo. Nella Camera del Re all’interno della Piramide di Cheope riposa un sarcofago di
granito. La camera è un ambiente rettangolare lungo 20 cubiti reali egiziani e largo 10.
Se tracciamo una serie di diagonali dalle pareti e lungo il pavimento scopriremo un triangolo
rettangolo di armoniche proporzioni. Il rapporto dei suoi lati di 15, 20 e 25 cubiti assomma
a 3:4:5, espressione del teorema di Pitagora, in cui la somma dei quadrati dei cateti
equivale al quadrato dell’ipotenusa.
Il matematico islandese Einar Palsson ha avuto una geniale intuizione elevando 3, 4 e 5 al
cubo. Una volta addizionati, il risultato sarà 216, ossia 72 x 3. Un prodotto del caso?
L’attenzione si sposta sul misterioso sarcofago. Numerosi indizi, raccolti in anni di attente
ricerche archeologiche, mostrano come nessun faraone sia mai stato sepolto al suo interno.
Hancock afferma con sicurezza che il sarcofago “facesse parte dell’apparato fisico di un
sofisticato rituale di rinascita — un gioco di realtà virtuale del viaggio dell‘anima dopo la
morte”.
Gli iniziati, una volta adagiatisi, sperimentavano il contatto con altre dimensioni utilizzando
la pratica del viaggio astrale e della meditazione trascendente, imparando a liberarsi
dell’illusorietà della materia. È oramai necessario svestirsi dei dogmi polverosi che
dipingono la storia degli antichi quali esseri primitivi ingenui e sprovveduti. I messaggi, pieni
di comprensione, che tali uomini ci inviano dal passato mostrano, ancora una volta, il loro
amore verso l’umanità. Un messaggio che proviene anche da oltreoceano.
Apparsa dal nulla
La maestosa Cittadella di Teotihuacan, 50 km a nord di Città del Messico, nasconde tra le
sue pietre segreti astronomici di capitale importanza. Nata in un’epoca imprecisata ed
ereditata dagli Aztechi nel XIV secolo d.C., si compone di una serie di piramidi cultuali
unite fra loro da un codice architettonico proprio del numero 72, come a Giza. L’intero
complesso sembra apparso improvvisamente, senza un piano preordinato. Secondo Michael
Coe, della Yale University: “Forse i/fatto più strano rispetto alla pianta di questa grande
città è che non c ‘è assolutamente nessun precedente nel Nuovo Mondo“.
La facciata ovest della Piramide del Sole domina il maestoso Viale dei Morti che attraversa
l’intero complesso. È orientata verso il passaggio dell’astro a 19,5 gradi dall’equatore, il 19
Maggio e il 25 Luglio, elemento che mostra la precisa conoscenza della fisica
iperdimensionale ( che tratteremo in un articolo nei prossimi numeri N.d.R.). Il professore
di astronomia statunitense Anthony F. Aveni ha rilevato che il sito, nel 150 d.C., presentava
un allineamento specifico con le Pleiadi, che sorgevano con un processo eliaco all’alba. Una
visione del ciclo, nel suo insieme, fondata sulla certezza degli iniziati di raggiungere le
stelle.
Teotihuacan, in lingua azteca, significa il luogo dove gli uomini divennero dèi. L’analogia con
gli insegnamenti egizi è notevole. I sacerdoti che custodivano le sacre tradizioni erano i
Seguaci di Quetzalcòatl, il magnanimo dio sceso dalle stelle per diffondere tra le
popolazioni primitive i segreti del Sole, la Luna e le costellazioni. Furono loro ad erigere le
piramidi, ora sepolte sotto le pietre di Teotihuacan, nate dalle colline primordiali in un’era
remota sconosciuta agli uomini.
Il Serpente di Luce
La maestria e la perfezione architettonica degli Anziani raggiunge il culmine nella piramide
maya di Kukulkan, a Chichèn Itzà. Quattro scalinate di novantuno gradini, con il tempio
superiore, formano i giorni dell’anno, mentre agli equinozi di primavera e autunno la luce
solare dà vita a un serpente che striscia per tre ore e ventidue minuti lungo la scalinata
nord. Sotto di essa, negli anni ‘30, gli archeologi penetrarono in una struttura più antica, la
cui sommità ospita la scultura di un giaguaro rosso con 72 pezzi di giada. Il felino
rappresenta, probabilmente, il pianeta Marte, col suo caratteristico colore. Anche in
Egitto, la Sfinge, dipinta di rosso, guardava nel 10.450 a.C. la costellazione del Leone
sorgere all’orizzonte.
Il riflesso della perfezione
Lo scienziato americano Stansbury Hagar, direttore del Department of Ethnology al
Brooklyn Institute ofArt and Sciences, dopo un accurato lavoro sul significato simbolico di
Teotihuacan, estese le sue ricerche ai siti maya di Uxmal, Yaxchilan, Palenque, Copan e
Quirigua.
Nella città di Uxmal, l’insieme degli edifici riproduce diverse costellazioni zodiacali del
cielo.
Il Tempio sud-occidentale è l’Ariete, la Casa dei Piccioni è il Toro, la Casa del Governatore
è i Gemelli, quella della Tartaruga il Cancro.
Il Leone rivive nella Sala da Ballo posta al centro, il Sagittario nella Casa degli Uccelli il
Quadrato delle Suore è la Vergine, la Casa dei Sacerdoti la Bilancia, la fantastica Piramide
del Mago incarna lo Scorpione, infine i templi sud-orientali sono il Capricorno, l’Acquario e i
Pesci. Le sue rivelazioni hanno preso corpo in un libro notevole, The Zodiacal Temple of
Uxmal, nel quale dichiara: “Tutto in questo mondo è l’ombra o il riflesso della realtà
perfetta che esiste nei regni celesti“.
Il luogo della Creazione
La connessione col firmamento si rivela in tutto il suo splendore a Utatlan, la capitale dei
Maya Quichè, gli autori del Popol Vuh, loro testo sacro. I suoi templi erano allineati con il
tramonto delle tre stelle della cintura di Orione, luogo del cielo che per i Maya
rappresentava il punto della creazione, analogamente alle credenze egizie che, secondo
Hancock, vedevano nelle piramidi di Giza la controparte terrestre delle stessa
costellazione. La Tavoletta della Croce Foliata, a Palenque, mostra l’asse cosmico
corrispondente all’enigmatico pilastro di granito Djed istoriato sopra una colonna del
tempio di Seti I ad Abido.
Semplici coincidenze, sostengono molti, che mostrano ancora una volta, però, la stretta
unione di civiltà distanti tra loro migliaia di chilometri che condividevano un patrimonio
astronomico-cosmologico millenario.
(fine prima parte)
Chi è Dino Vitagliano: Studioso di misteri del passato, ha maturato una visione globale dei
fenomeni paranormali e ufologici, collegandoli alle conoscenze di culture scomparse, con
particolare interesse verso quelle amerinde. Scrive per diverse riviste nazionali del
settore.
(ritorna al SOMMARIO)
la sala degli archivi
Zecharia Sitchin
Guerre atomiche al tempo degli Dei
Piemme - 1999 - 385 pag.
“Molto, molto tempo prima che l’uomo cominciasse a far guerra ai suoi simili, furono gli dei
a combattere tra loro. Anzi, fu proprio con le Guerre degli Dei che ebbero inizio le Guerre
dell‘Uomo. E le Guerre degli Dei per il controllo della Terra erano cominciate sul loro
pianeta. Fu così che la prima civiltà dell’uomo cadde sotto i colpi di un vero e proprio
olocausto nucleare. Questo é un fatto, non una fantasia; tutto é stato scritto molto tempo
fa, nelle Cronache della Terra”.
Cosi recita nella prefazione del testo Zecharia Sitchin, sumerologo di fama mondiale,
autore de Le Cronache della Terra, di cui l’opera è parte integrante. Abituato a comprovare
in maniera innegabile le sue affermazioni, Sitchin decifra i bassorilievi e le tavolette
sumeriche, attingendo nel contempo alle fonti di altre culture mediterranee e ai Libri della
Bibbia, e ricostruisce fedelmente una storia incredibile ormai dimenticata. Le pagine del
libro, il terzo de Le Cronache della Terra, narrano di un’era remota dominata dagli esseri di
NIB.IRU., il dodicesimo pianeta del nostro Sistema Solare, che scelsero la Terra come
avamposto, creando dal nulla e annientando intere città, regni e nazioni. L’uomo, dal canto
suo, assisteva impotente alle Guerre degli Dei, destinate a divenire mito nei millenni a
venire. Ancora oggi il pianeta reca le ferite di un catastrofe cosmica, muta testimonianza
di una tecnologia nucleare. Un colpo magistrale all’archeologia e alla religione ortodossa,
che hanno volutamente ignorato un prezioso patrimonio culturale, destinato a sconvolgere
l’assetto della nostra società e a chiarire molti interrogativi.
Splendide illustrazioni impreziosiscono l’opera, completata da una ricca bibliografia e
dall’indice analitico.
Robert Schoch Ph.D. - Robert Aquinas McNally
Voices of the Rocks
Lingua inglese - Harmony - 1999 - 258 pag. - 27 fotografie
È possibile che la Sfinge di Giza sia stata costruita molti secoli prima di quanto non voglia
farci credere la storia ortodossa? I grandi disastri naturali che hanno originato
l’evoluzione della vita sulla Terra, hanno giocato un ruolo determinante anche nella nascita e
nella caduta delle civiltà? Il nostro pianeta é stata la dimora di civiltà molto più numerose e più antiche - di quelle che i ricercatori convenzionali hanno sospettato? In Voices of the
Rocks il Dr. Robert Schoch prende in esame queste ed altre cruciali domande sul nostro
passato e mostra che le risposte possono guidarci verso il futuro. Nel 1990, Robert
Schoch, scienziato e professore universitario si é recato in Egitto conducendo test
geologici per avvalorare la data accettata della costruzione della Grande Sfinge di Giza. La
sua ricerca ha rivelato che la Sfinge è migliaia di anni più antica di quanto supposto in
precedenza, una scoperta che rovescia la storia corrente dell’antico Egitto. Seguendo il
sentiero intellettuale emerso da questa ridatazione, Schoch si è convinto che siamo al
centro di un profondo capovolgimento del paradigma scientifico corrente. La nozione
predominante che la nostra specie abiti un pianeta che muta lentamente sta fallendo. Ci
stiamo rendendo conto che la storia della Terra e delle civiltà umane, comprende una serie
di arresti e di avvii, nei quali l’equilibrio termina improvvisamente con una violenta
catastrofe. Asteroidi, comete, spostamenti dell’asse terrestre, movimenti dei continenti,
eruzioni vulcaniche e terremoti sono fonti di tali cambiamenti. Secondo Schoch, la storia
della Terra ha oscurato l’evidenza di civiltà perdute. Ma permangono le tracce per coloro
che sanno dove e cosa cercare.
(tratto dalla quarta di copertina del libro)
(ritorna al SOMMARIO)
Yonaguni:
testimonianza di Mu?
Scoperta nel 1997 nei pressi di Okinawa,
una struttura sottomarina di aspetto regolare
potrebbe confermare l’esistenza di
un’antica civiltà prediluviana.
di Robert Schoch
Per decadi, scrittori e investigatori hanno cercato quanto di vero ci fosse nella leggenda
platonica di Atlantide. Senza dubbio, oltre Atlantide, altri miti parlano di un secondo
continente che si crede sommerso sotto l’Oceano Indiano o nel Pacifico, e che è stato
denominato Mu o Lemuria.
Secondo l’interpretazione letterale della cronologia platonica, Atlantide fu distrutta da un
cataclisma nel 9600-9500 a.C., e si crede che la civiltà di Mu sia addirittura più antica.
Oggi non sono poche le persone che credono nell’esistenza di prove tangibili di una civiltà
perduta, sofisticata e molto antica, ubicate sotto il livello del mare, nell’area di Okinawa.
Che si tratti di Mu? Fino ad ora tutte le strutture scoperte in detta area si trovano lungo
la costa di Okinawa e in varie isole dell’arcipelago Ryukyu, in Giappone. Ma la più
spettacolare è stata scoperta solo poco tempo fa, e giace a sud dell’isola di Yonaguni, una
piccola isola giapponese (approssimativamente di 10 x 4 chilometri) localizzata ad est di
Taiwan e ad ovest dell’isola di Ishigaki e Iriomote, ad est del Mar della Cina.
L’edificio più antico del mondo
Negli ultimi mesi, la struttura sommersa di Yonaguni è stata considerata come l’edificio più
antico del mondo. Di fatto possiede la forma di uno ziggurat e geologicamente sembra
risalire a circa 8.000 anni a.C., datazione che la rende una delle scoperte archeologiche più
importanti degli ultimi 50 anni. Per studiare il luogo, ho visitato Yonaguni in due occasioni,
nel settembre 1997, grazie all’invito dell’impresario giapponese Yasuo Watanabe, e durante
l’estate del 1998, come membro del progetto archeologico sottomarino Team Atlantis. In
ognuno di questi due viaggi ho effettuato diverse immersioni nella zona per tentare di
risolvere il mistero.
Il denominato Monumento Yonaguni appare al primo sguardo come una struttura piramidale
scalonata, motivo per cui è stata comparata con alcuni templi d’America, come il tempio del
Sole vicino Trujillo, a nord del Perù. Il monumento ha una superficie di 50 metri di
larghezza in direzione est-ovest, e un’ampiezza di 20 in direzione nord-sud.
La parte superiore del monumento si trova a circa cinque metri al di sotto del livello del
mare, mentre la base si trova a 25 metri. Si tratta pertanto di una struttura asimmetrica
formata da giganteschi piani di pietra, la cui dimensione varia da un minimo di mezzo metro
a vari metri d’altezza. Sono molte le persone che vedendo fotografie del Monumento
Yonaguni ricevono l’immediata impressione che si tratti di una costruzione artificiale. Se
ciò corrispondesse alla realtà, sarebbe ragionevole presumere che venne realizzata quando
si trovava fuori dall’acqua. Di fatto questa zona ha sperimentato dall’era glaciale, diverse
variazioni del livello marino.
Ma in quale epoca fu costruita? Secondo i grafici redatti sul livello del mare nella regione,
il monumento risulterebbe essere stato in superficie tra gli 8.000 e i 10.000 anni fa, per
cui se si trattasse di una costruzione umana dovrebbe essere antica di almeno 8.000 anni.
Una struttura artificiale?
Il dottor Masahaki Kimura, professore del Dipartimento di Scienze Fisiche e Terrestri
dell’Università di Ryukyu, ha sviluppato un progetto cartografico sottomarino del
Monumento Yonaguni. Durante i miei viaggi in Giappone ho avuto l’opportunità di
intrattenermi molte volte con lui, visto che la zona di Yonaguni è divenuta il suo laboratorio
di Okinawa.
Basandosi sui risultati ottenuti durante le sue ricerche, Kimura è giunto alla conclusione
che il monumento Yonaguni è, nella sua totalità, una struttura artificiale. Se questo dovesse
corrispondere al vero, Yonaguni costituirà la testimonianza di una civilizzazione fino ad ora
sconosciuta, sviluppata e altamente sofisticata.
Una delle prime cose verificate è che la costruzione è composta interamente - almeno fin
dove si può vedere - di roccia solida viva e che nessuna parte della stessa è costituita da
blocchi collocati lì posteriormente.
Questo è un elemento molto importante, giacché l’esistenza di blocchi di roccia tagliati
indicherebbe la certezza della mano dell’uomo nella sua costruzione. Nessuna di queste
prove è però risultata evidente. In più, durante le mie due immersioni del settembre 1997,
non fui in grado di determinare, neanche in maniera generale, il tipo di pietra che compone
il monumento.
Questo si deve al fatto che la superficie delle rocce è coperta da numerosi microorganismi
(alghe, coralli e spugne) che creando una patina più regolare ed omogenea nascondono la
loro reale natura. Questo, in parte, aumenta l’impressione che si tratti di una struttura
artificiale. In alcune delle mie immersioni posteriori dedicai del tempo a raschiare questi
organismi al fine di ottenere una visione delle superfici originarie e nello stesso tempo
prelevare campioni di roccia.
Il risultato delle analisi confermò che Yonaguni è composto prevalentemente da arenaria e
argilla -che variano da una testura media ad una più fina, appartenenti al gruppo Yaeyama
del Miocene inferiore e depositatesi fino a circa 20 milioni di anni fa.
Queste rocce contengono numerosi piani paralleli di stratificazione, ben definiti che si
separano facilmente l’uno dall’altro. Le rocce di questo gruppo sono attraversate da
numerose giunture e fratture parallele e verticali (rispetto ai piani orizzontali di
stratificazione). Non dobbiamo dimenticare che il Monumento Yonaguni giace in una regione
soggetta ai terremoti e che questi tendono a fratturare le rocce m modo regolare. Dedicai
molto tempo anche a girare l’isola di Yonaguni per esaminare la geologia locale.
Potei così notare che al largo della costa sud-est e nord-est dell’isola abbondano le rocce
arenarie del gruppo Yaeyama, che si trovavano esposte alle intemperie e all’erosione. Fu
allora che mi convinsi che in superficie l’azione naturale delle onde e delle maree è
responsabile dell’ erosione ed eliminazione dell’arenaria. In tale maniera si formarono
strutture a scaloni regolari con l’aspetto di terrazze. Più comparavo le forme naturali con le
caratteristiche strutturali del monumento Yonaguni, più mi convincevo che questo era di
origine naturale.
Sulla superficie si incontrano anche depressioni e cavità, formatesi in modo naturale, che
hanno esattamente la stessa forma di fori per pali, che alcuni ricercatori hanno rilevato sul
monumento.
Migliorare la natura
Il dottor Kimura crede che parte delle forme superficiali che io interpreto come risultato
naturale dell’erosione e del clima, furono create dall’uomo o furono modificate da esseri
umani. Finora non è stata trovata nessuna prova (come tracce di utensili sulle rocce o
blocchi tagliati e poi trasportati) che secondo la mia opinione ratificherebbe la sua
condizione di opera artificiale. Ho avuto a disposizione un periodo di tempo molto breve per
investigare sull’esistenza di una prova e il fatto che io non l’abbia incontrata non vuol dire
che non esista.
La mia attuale ipotesi di lavoro è che il Monumento Yonagumi è fondamentalmente naturale;
la sua struttura globale è il risultato di processi geologici e geomorfologici, motivo per cui
credo che dovrebbe essere considerata tale, fino a che ci saranno più prove a
dimostrazione del contrario. Nonostante ciò, penso si tratti di un caso che resterà aperto
ancora per molto.
Dovremmo anche considerare la possibilità che il Monumento Yonaguni possa essere una
struttura fondamentalmente naturale utilizzata, ingrandita e modificata dagli uomini
nell’antichità. Potrebbe esserci stato un cantiere nel quale si tagliavano blocchi di pietra,
utilizzando i piani naturali di stratificazione, unione e frattura della roccia, che poi
venivano trasportati per edificare altre costruzioni scomparse in epoche successive.
Nell’isola Yonaguni e in tutta l’area di Okinawa sembra esistere un’antica tradizione che
consiste nel modificare e migliorare la natura.
A Yonaguni è possibile incontrare tombe antiche (di età sconosciuta ma apparentemente
millenarie) che possono compararsi al Monumento Yonaguni. Esiste un’altra prova di qualche
tipo di lavoro umano sulla roccia di Yonaguni. In tutta l’isola abbondano vasetti di pietra
molto antichi che sono stati tagliati dall’uomo. Sono stati realizzati con roccia locale e di
conseguenza non risultano trasportati lì in tempi moderni (negli ultimi 500 anni).
Questi vasi continuano ad essere un mistero insieme al monumento Yonaguni e ad altre
strutture sommerse che si trovano nell’area di Okinawa. Sull’antica pietra lavorata di
Yonaguni sono trovati utensili che potrebbero essere stati usati tanto per modellare i vasi
e altri oggetti, quanto per modificare il monumento. Ma quest’ultima è una speculazione.
Il sacro tropico del cancro
Personalmente credo che l’arte e l’architettura della zona potrebbero essere state
influenzate dalla geomorfologia naturale del Monumento Yonaguni e altre strutture simili.
Forse furono tali vestigia ad influenzare l’arte e l’architettura degli uomini sin dall’8.000 10.000 a.C., favorendo così l’inizio di una tradizione stilistica che continua sino ad oggi.
Durante gli ultimi anni il professor Kimura ha modificato la sua posizione. Più recentemente
Kimura si è riferito al monumento e alle strutture relazionate , come terraformed
(terraformate). Ciò implica che può trattarsi di strutture geologiche naturali manipolate e
modificate da mani umane. Anche questa è essenzialmente una mia conclusione, così che, a
volte, le nostre opinioni su questo mistero convergono.
Se è vero che Yonaguni è una struttura naturale modificata dall’uomo, come mai la gente
dell’antichità era tanto interessata a questo particolare sito? Una possibile risposta è che
fino a 10.000 anni fa Yonaguni era ubicata molto vicino al Tropico del Cancro. Oggi, il
tropico del cancro è localizzato a 23° e 27’ di latitudine nord, mentre l’isola si trova un
grado completo più a nord. Senza dubbio la posizione del tropico del cancro è variato nel
corso dei millenni, dai 22° sino ai 24°, secondo un ciclo di 41.000 anni. Intorno all’8000 a.C.
il monumento Yonaguni era molto vicino al Tropico ed era forse l’avamposto di un luogo
sacro allineato astronomicamente.
In conclusione, anche se non sono assolutamente convinto che si tratti di una struttura
artificiale, ammetto la possibilità di un intervento umano.
È comunque necessario essere moderati nelle nostre ipotesi e ammettere che ci troviamo
appena all’inizio dello studio di un’enigmatica struttura, unica al mondo che indubbiamente
merita un esame più dettagliato e senza pregiudizi.
La Pietra del Sol Levante
Nel 1907, il celebre orientalista e archeologo britannico, sir Aurel Stein, attraversava la
frontiera del Tibet, trovandosi nella città di Dunhuang. Lì, alcuni monaci taoisti lo misero al
corrente di una scoperta realizzata sette anni prima. Dietro un muro di mattoni del XI°
secolo, qualcuno aveva nascosto una biblioteca di rotoli e libri scritti in tibetano, cinese,
sanscrito e altre lingue non identificate, che avevano resistito al passare dei secoli grazie
al clima caldo e secco dell’ambiente. L’attenzione di Stein fu richiamata da una strana
mappa che mostrava i dettagli di un continente in pieno Oceano Pacifico. Incapace di capire
chi fosse l’autore di quella mappa, associò il continente alla mitica Lemuria, di cui si parlava
in Europa dal 1887. Il nome non era certamente quello originale, ma fu utilizzato per
indicare le enormi similitudini tra una razza di proscimmie, i Lemuri dell’Africa del sud
(Madagascar in particolare) e quelli dell’India, che secondo il geologo inglese Philip L.
Sclarer potevano spiegarsi solo con l’esistenza di un continente scomparso, un ponte di
terra, che in passato unì i due continenti. In ogni caso, l’esistenza di questo continente si
era basata su curiose connessioni culturali tra le distinte e disperse isole del Pacifico o
poco più. Almeno sino all’apparizione di Yonaguni. Perché se l’esploratore e scrittore
americano Graham Hancock ne è certo, il geologo Robert Schoch e l’egittologo John Antony
West esprimono riserve, ma non negano, questa struttura potrebbe rappresentarne la
prima prova. Nel suo ultimo libro, Hancock (Lo Specchio del Cielo - Corbaccio 1999) è
convinto di aver scoperto sotto le acque di Yonauni un monolito del tutto identico al Inti
Huatana, la pietra del Sole presente in centri cerimoniali quali Macchu Picchu o Pisaq in
Perù.
Javier Sierra
Architettura anomala in Giappone
Il professor Masaaki Kimura si dichiara convinto che la struttura di Yonaguni è opera di un
popolo molto intelligente “con un alto grado di conoscenza tecnologica e di cui finora non
avevamo nessuna traccia“. Anche l’età stimata del sito lascia perplessi; Teruaku Ishi,
docente di geologia all’Università di Tokio, sostiene che potrebbe risalire almeno all’8000
a.C. Risultato forse di una civiltà che in un lontano passato dovette esercitare una grossa
influenza su tutto il globo terracqueo. Non sono altrimenti spiegabili le notevoli analogie tra
le costruzioni peruviane e quelle giapponesi. Non è noto a molti infatti che anche in
Giappone sono state ritrovate piramidi a facce levigate. Il 19 ottobre 1996 una spedizione
archeologica ha scoperto nel nord del Giappone, nell’isola di Honsu, in località Hang sul
monte Kasagi, una piccola piramide monolitica e simmetrica (in basso a destra), versione in
miniatura della piramide di Cheope. Formata da un unico blocco granitico, misura 4,40 metri
di base per 2,20 di altezza e rappresenta un elemento architettonico del tutto sconosciuto
in Giappone. Come le mura di cinta del palazzo imperiale di Tokio, formate da blocchi
perfettamente incastrati l’uno nell’altro (in basso a sinistra), analogamente alle costruzioni
incas e caratterizzate dalla medesima tecnica ingegneristica. Tra i resti del palazzo è stata
inoltre trovata una piccola porta (a destra), simile alla Porta del Sole di Tiahuanaco in
Bolivia, o ai triliti di Stonehenge, sovrastata da un idolo, (il cui originale è stato distrutto
dai bulldozer durante gli scavi), che per stile è assimilabile agli idoli a tutto tondo peruviani
e non alla cultura nipponica. Indizi che danno maggior valore alla scoperta di Hancock di una
formazione rocciosa simile alla Inti Huatana di Macchu Picchu (vedi box in quest’articolo).
Se le recenti scoperte archeologiche hanno rivelato incredibili corrispondenze con
monumenti americani, medioorientali ed egiziani, colpisce che anche elementi bretoni
trovino corrispettivi in Giappone. Abbiamo già legato la porta di Tokio con Stonehenge, ma
nella foresta di Nabeyama sono stati rinvenuti, sempre nel 1996, due Menhir affiancati,
elementi estranei alla cultura giapponese. Incas, Celti, Egiziani, Sumeri attribuivano al sole
il ruolo principale tra le divinità. Evidente legame con il paese del Sol Levante.
Adriano Forgione
Ritrovata la Mu di Churchward?
“Questa scoperta e il fatto più potente che mai si sia acceso sul mistero della formazione
dei continenti, è il ponte multiplo che ci mancava per attaccarci ad Australia, Antartide ed
India, e che può spiegare tutto, forse perfino dirci attraverso flora, fauna, condizioni
climatiche, come poterono generarsi i ceppi primevi delle razze umane di questa parte del
mondo“. È il commento di Mike Koffin, geologo del Texas che, grazie ad una ricerca con
base operativa sulla nave Joides Resolution, finanziata dal US National Sciences
Foundation, ha comunicato nel maggio 1999, la scoperta a due chilometri sott’acqua
nell’Oceano Indiano, di un continente sconosciuto, inabissatosi a partire da venti milioni di
anni fa. Grazie a trivellazioni e carotaggi del plateau oceanico sono stati prelevati
frammenti di legno, spore e pollini. Il sesto continente una volta emergeva distendendosi
dall’Australia sud-occidentale sino al Madagascar. Ora bisognerà capire come sia
sprofondato, se improvvisamente oppure le catene dei suoi vulcani sono andate giù eruzione
dopo eruzione, lasciando a lungo emerse parte delle loro terre verso l’Africa. Sembra certo
che il disastro che ne provocò l’affondamento sia stato causato dalla contrazione della
crosta terrestre e del magma sotterraneo. È plausibile che una frazione di questo
continente sia sprofondata molto tempo dopo il suo nucleo, lasciando nell’Oceano Indiano il
solo Madagascar. “Perché se così fosse, ben altri segreti che felci giganti, dinosauri e
salamandre potrebbe sortire questa ricerca. Il Madagascar è la terra di Sem, Cam e Jafet,
cioè i ceppi umani neri, bianchi e gialli, che in teoria avrebbero culla rispettivamente in
Africa, India ed Estremo Oriente. Il sesto continente morendo adagio potrebbe essere il
papà di tutti noi” scrive il quotidiano Il Giornale del 29 Maggio 1999. Un dato che emerge
dai libri di James Churchward (cfr. Mu: il continente scomparso - Armenia 1999) che già
alla fine del ’8OO considerava Mu, il continente sprofondato nell‘Oceano Pacifico, come la
terra d’origine della cultura umana. Sinora solo leggenda, potrebbe grazie alla scoperta di
questo plateau sommerso e alla struttura di Yonaguni assurgere a dato scientifico e storico
di inestimabile valore.
Chi è Robert Schoch
Geologo dell’Università di Boston, esperto in stratigrafia e paleontologia, specializzatosi in studio sull’
erosione delle rocce tenere. Ha partecipato con l’egittologo John A. West ad alcune campagne di ricerca a
Giza in Egitto, valutando, in base allo studio sulle tracce di erosione del monumento, la sua datazione al 8000
a.C. E autore di un libro di recente pubblicazione dal titolo
“Voices of the Rocks: A Scientist Looks al
Catastrophes and Ancient Civilizations” per i tipi della Harmony Books - 1999.
(ritorna al SOMMARIO)
Suoni della Terra
a cura di Pino Morel
Oceania
(Point Music, distr. Universal)
11 brani, 59 minuti
Qualcuno forse ricorderà le accattivanti note dei due progetti musicali denominati
“Adiemus” oppure quello più celebre dei Deep Forest. Tutti generi, questi, che in un modo o
nell’altro hanno senza dubbio contribuito alla diffusione della musica etnica da “classifica”,
diluita da impasti sonori decisamente commerciali.
I discografici ne hanno ben donde: il successo di “Indiani — Sacred Spirit” è stato
planetario e prolungato nel tempo, come accadde anche con i noti canti gregoriani, nati dalle
fortunate idee di Michael Creta, alias Enigma. Nel frattempo, sono arrivati altri nomi ed
analoghi progetti a completare il panorama, come quello intitolato “ Oceania”, prodotto da
Jaz Coleman. Il CD propone un percorso sonoro nel quale sono stati ingaggiati per
l’occasione, i migliori musicisti del popolo Maori.
Strumenti originali che si districano in delicati campionamenti ritmati; canti che vengono da
lontano, trasformati quel che basta per renderli più appetibili al gusto occidentale.
I sequencers, scandiscono il ritmo, mentre fluiscono le voci enigmatiche di uomini e donne
che attraverso la loro spiritualità, offrono all’ascoltatore una vibrazione d’inebriante
freschezza.
Se poi l’atmosfera diventa più tranquilla, scopriamo che la musica d’ispirazione classica, si
sposa
come d’incanto a quella etnica costruendo
emozionanti momenti di puro
intrattenimento rilassante. Oceania poteva diventare un piccolo capolavoro se avesse
contribuito a spingere il pathos dell’ascoltatore verso itinerari più avvolgenti. In fondo ci
accontentiamo di questo.
La lingua Maori è incantevole, quasi familiare ed assai musicale, gustosa. È come se ci fosse
uno strumento in più assieme alle note del pentagramma. Immagino che fra non molto, sarà
uso frequente scoprire nuovi linguaggi sonori direttamente dallo strumento più antico del
mondo, proprio quello dell’ugola! Oceania ci fa vivere per quasi un’ora, in una foresta dove si
potrà bivaccare ascoltando rumori selvatici, riascoltando l’eco delle gesta di tribù che, non
dimentichiamolo, ci hanno insegnato per prime il senso del ritmo e lo scandire del tempo.
Noi ce ne siamo solo riappropriati. Ecco perché anche i Maori dovrebbero entrare di
rispetto nella nostra più o meno affollata discografia.
P.M.
Kim Robertson
“
The Spiral Gate”
(Narada Productions, 1999)
13 brani, 46 minuti.
C’è aria Antica nella musica dell’affascinante Robertson, ma non certo arcaica. Una storia
che si completa e poi si rinnova nello scorrere del Tempo Sovrano, che modella A scolpisce i
suoi scenari, le tradizioni, i culti e i riti in un caleidoscopico rovescio di umori. Cerchiamo di
entrare così nel meraviglioso mondo celtico, tra megalitiche pietre ricce di misticismo,
magia e spirali: il tema portante di questo grazioso compact.
Qui, si percepisce tutto il bisogno di rinascita e rinnovazione dello spirito umano,
attraverso le opere e l’intelletto del proprio quotidiano vivere.
Un collaudato cliché, accompagna l’ascoltatore tra dolci arpe celtiche, delicate sessioni
sinfoniche e suoni acustici che hanno reso famosa la World Music.
Dopo la grande fama goduta dalla popolarissima Enya, il pubblico ha trovato finalmente una
propria dimensione commerciale, scegliendo prodotti sempre godibili, ma di grande qualità e
prestigio. La diffusione della musica celtica ha perciò preso piede anche nel nostro Paese.
Quale cosa migliore, ritrovarsi in autunno, per concedersi un album come “The spiral gate“!
Un titolo che vale da solo tutta una recensione e che ritroverete come simbologia
ricorrente e forse indispensabile per il collegamento dei vari argomenti trattati in generale
da questa rivista. Tra le note dei brani composti dalla musicista (che presta anche la sua
voce, tanto per gradire!) affiorano sapori squisitamente etnici ispiranti ariose lande
irlandesi, labirinti colorati e arcane, positive presenze... Se credete che “semplice disco”
possa rivelarsi invece di grande aiuto per schiarire una giornata di stress o donare al
nostro animo un dignitoso alito di benessere, questo fa per voi.
P. M.
(ritorna al SOMMARIO)
Il dodicesimo pianeta
Le tesi del sumerologo Zecharia Sitchin sono state
avvalorate da nuovi dati astronomici. L’Uomo fu
creato dagli Anunnaki, abitanti dell’ultimo pianeta
dl sistema solare: Nibiru. oggi forse riscoperto.
di Adriano Forgione
Nel 1976 venne pubblicato un libro dal titolo The l2th Planeth (Il Dodicesimo Pianeta. In
Italia Il Pianeta degli Dei- Piemme). L’autore, il sumerologo e orientalista di origine russa
Zecharia Sitchin, è uno dei pochi studiosi in grado di decifrare la scrittura cuneiforme
sumera. Nel libro, Sitchin, avanza una teoria rivoluzionaria: i testi sumeri non descrivono
leggende e gesta di personaggi mitologici, ma raccontano con linguaggio epico, avvenimenti
reali.
Una delle principali figure del pantheon sumero, il dio Nibiru (in babilonese Marduk) non
sarebbe altro, secondo Sitchin, che un pianeta appartenente al sistema solare i cui abitanti,
gli Anunnaki, furono i creatori dell’uomo. La tesi di Sitchin, per quanto coraggiosa, è
supportata da validi indizi e i suoi studi alquanto difficili da confutare. Le ultime scoperte
in campo astronomico sembrano, inoltre, dare ulteriore credito alle argomentazioni dello
studioso.
Battaglia cosmica
In The l2th Planet, l’autore interpreta un sigillo accadico del III millennio a.C., catalogato
con la sigla VA/243, conservato al Museo di Stato di Berlino, in cui è riprodotto il sistema
solare, costituito dal Sole e altri undici globi o pianeti. È risaputo che i pianeti sono nove,
ma nel sigillo, oltre alla Luna, considerata un pianeta, appare un undicesimo corpo. Dovrebbe
trattarsi di Nibiru/Marduk, un membro sconosciuto della famiglia dei pianeti solari, dotato
di una rivoluzione intorno alla nostra stella di 3600 anni, e catturato dal sistema solare in
un periodo imprecisato. Descriverebbe dunque un’ orbita irregolare, il cui punto più vicino al
Sole si trova, secondo i testi sumeri, tra Marte e Giove. Il suo percorso marcatamente
ellittico, come una cometa, e la sua orbita retrograda ne avrebbero impedito la scoperta
fino ad oggi. La battaglia che coinvolge il dio Nibiru/Marduk nell’epopea babilonese di
Gilgamesh, non sarebbe altro che la versione mitizzata di uno sconvolgimento che interessò
il sistema solare in un’epoca lontana, causato dall’ingresso di questo corpo celeste
all’interno dell’anello di pianeti. Effettivamente la presenza di Nibiru/Marduk e le sue
caratteristiche, rilevabili dalle scritture cuneiformi potrebbero fornire agli scienziati le
risposte alle numerose anomalie che il sistema solare presenta, mai sufficientemente
spiegate. Vediamole.
Durante uno dei suoi passaggi, nei pressi di Nettuno, a causa della gravità, una
protuberanza di Nibiru si sarebbe staccata per divenire la luna Tritone, che infatti ha
un’orbita retrograda rispetto agli altri satelliti.
Il transito vicino Urano, spiegato in modo affascinante nei testi sumeri, avrebbe dato vita
alle quattro lune del pianeta. Oggi infatti gli astronomi accettano il fatto che le sue lune si
formarono durante una collisione. Penetrato ulteriormente all’interno del Sistema Solare,
uno dei satelliti di Nibiru avrebbe impattato contro Tiamat, pianeta posto tra Marte e Giove, con la conseguente parziale frantumazione della sua superficie. Questo scontro cosmico
generò la cintura degli asteroidi, la nascita di alcuni corpi cometari e scaraventò il resto di
Tiamat con il suo vicino Kingu (la Luna), verso un’orbita più vicina al Sole, generando il
sistema Terra-Luna.
L’interpretazione di Sitchin su quest’ultimo punto è stata confermata nel novembre 1997
da un comunicato pubblicato da Televideo che recitava: “Alcune ricerche condotte su
campioni di suolo lunare, realizzate presso l’Università del Michigan, hanno evidenziato la
presenza di minerali di origine terrestre. Questo confermerebbe una delle teorie
accettate sulla formazione lunare:la sua nascita dalla collisione della Terra con un pianeta
grande quanto Marte“.
Genesi rivisitata
Secondo gli studi di Sitchin, Nibiru sarebbe un mondo pallidamente illuminato ma riscaldato
da una fonte di energia forse artificiale, prodotta dai suoi abitanti, il cui livello tecnologico
sarebbe molto avanzato. Chiamati in lingua accadica Anunnaki (coloro che dal Cielo sono
venuti sulla Terra), secondo Sitchin, sarebbero gli stessi Nefilim biblici (dall’ebraico Nafal,
caduti), cioè coloro che sono scesi (o caduti) sulla Terra.
La loro discesa sarebbe stata motivata dal bisogno che questi avevano di minerali in grado
di sostenere la produzione energetica del loro pianeta. Per facilitare l’operazione di
estrazione, gli Anunnaki optarono per la creazione di un essere ibrido, derivato dalla
fusione dei geni di un primitivo terrestre e di un Anunnaki, affinché fungesse da
manovalanza. Sitchin interpreta l’Atra Hasis per fornire la chiave della creazione di Adamo.
Adamo è il nome che gli Anunnaki diedero al primo uomo (va ricordato che la Genesi biblica
è una ricompilazione di scritti più antichi di radice sumera). Questo nome è ricavato dal
termine accadico Adamah che significa terra, pertanto il reale senso di Adamo è venuto
dalla terra o il terrestre. Ma c’è di più in quanto il nome del terrestre Adamo è legato
anche alla radice DAM, che sta per sangue e come scrive Sitchin “ riflette il modo in cui fu
creato“, cioè una unione genetica di sangue anunnaki con un ominide della Terra.
Il termine accadico impiegato nell’Atra Hasis per indicare l’Uomo è infatti LULU che vuol
dire mescolanza, indicando probabilmente quest’operazione di ingegneria genetica. Lo
stesso termine sumero LU che indica l’uomo può essere tradotto come servitore e questo
evidenzia il fine per cui fu creato. Gli Anunnaki diedero all’Uomo un’istruzione e la
possibilità di organizzarsi socialmente, ma a modificare gli eventi in modo drammatico e
inaspettato giunse la catastrofe ricordata in tutte le mitologie come il Diluvio Universale.
Sitchin ipotizza che circa 13.000 anni fa, al termine dell’ultima glaciazione, vi fu uno
slittamento della massa di ghiaccio delle calotte polari, teoria già enunciata da Charles
Hapgood e ratificata da Albert Einstein. Il cataclisma colpì anche la Mesopotamia e tutto
ciò che gli Anunnaki avevano costruito venne distrutto. Ut-Napishtim, il Noé della Bibbia
riuscì a sopravvivere al cataclisma ed a bordo dell’arca protesse il “seme” dell’umanità. Gli
Anunnaki iniziarono a guardare agli esseri umani con occhi diversi, ed Enki, lo stesso Dio
artefice della creazione, decise di istruire l’umanità, dandole la possibilità di creare una
civiltà.
Sìloe, programma segreto
La storia che Zecharia Sitchin ha desunto dagli antichi scritti sumeri è molto più complessa
di quanto descritto. La sua opera è raccolta nelle Cronache della Terra, un insieme di saggi
riproponenti la creazione in chiave scientifico-tecnologica. La descrizione che i Sumeri
facevano del sistema solare, compresi i suoi pianeti più esterni è perfetta e anticipa di
6000 anni le scoperte della scienza, così come la storia della Genesi sembra descrivere
realmente un intervento di alta ingegneria genetica moderna.
Se fino a due mesi fa nessuno era in grado di confermare se Nibiru/Marduk esistesse,
essendo Plutone l’ultimo membro della famiglia solare, i fatti hanno iniziato a dare ragione a
Sitchin nel Marzo del 1999. Il 10 Marzo tornavo dall’aeroporto di Fiumicino con il maggiore
dell’esercito americano in riserva, Robert Dean, il quale mi confessò: “Due settimane fa ho
passato alcuni giorni con il mio amico Sitchin. Mi ha detto che Nibiru sarà visibile ad occhio
nudo entro quattro anni. Gli occhi artificiali delle sonde lo hanno fotografato, ma le
immagini sono rimaste secretate. Qualcuno vuole evitare che la verità venga a galla”.
Dopo alcuni giorni riuscii ad ottenere quelle immagini. Dalla fonte che me le procurò venni a
sapere trattarsi di due fotogrammi scattati con un sistema all’infrarosso da un satellite
chiamato Sìloe, facente parte di un omonimo programma di esplorazione, né militare né
civile. A chi appartiene? Da una ricerca approfondita che ho effettuato sui nomi presenti
nei testi sacri, Sìloe appare una volta sola nella Bibbia, in Giovanni 9,7 ed il suo significato è
Inviato. Questo collegamento biblico fornisce validità alla mia ipotesi circa il fatto che una
sonda è stata inviata, come il suo stesso nome indica, verso le profondità del sistema solare
a studiare un remoto pianeta, Nibiru ovvero il dodicesimo pianeta dei Sumeri, di cui
qualcuno era forse già a conoscenza. Nelle foto, mai ufficialmente divulgate, è chiaramente
visibile un pianeta dall’atmosfera molto densa, proprio come descritto dai Sumeri. In una
delle due è stata immortalata la scia di un oggetto luminoso zigzagante, quindi avente moto
non uniforme, il che fa supporre una possibile attività intelligente.
Pioneer 10, messaggero terrestre
Ma c’é di più. Sette mesi dopo aver ricevuto queste foto, il 28 settembre la BBC News,
pubblicava una notizia che ratificava le intuizioni di Sitchin. In The l2th Planet lo studioso
scriveva: “Nel febbraio 1971 gli USA lanciarono nello spazio una navetta spaziale
automatica che doveva compiere la missione più lunga mai effettuata sino ad allora. (..) Gli
scienziati del Pioneer 10, prevedendo che un giorno la navetta potesse venir attratta dalla
forza gravitazionale di un altro sistema solare e scontrarsi con qualche altro pianeta,
legarono alla navetta una placca di alluminio con un messaggio inciso. Il messaggio è scritto
in una lingua pittografica, fatta di segni e simboli non molto diversi da quelli usati nella
prima forma di scrittura pittografica di Sumer“.
Ancora nel 1990 in Genesis Revisited (in Italia La Genesi) Sitchin scriveva che il dott. John
Anderson del JPL, in una dichiarazione rilasciata dal centro ricerche Ames in California il
17 giugno 1982 dal titolo “I Pioneer potrebbero trovare il 100 pianeta“, aveva asserito che
“persistenti irregolarità nelle orbite di Urano e Nettuno suggeriscono che ci deve essere
un oggetto misterioso in quella zona, molto al di là dei pianeti più esterni. Poiché i Pioneer
viaggiavano in direzioni opposte sarebbero stati in grado di determinare a quale distanza si
trova il corpo celeste: se uno di essi avesse rilevato una maggiore attrazione
gravitazionale, avrebbe significato che il corpo è più vicino e probabilmente si tratta di un
pianeta“. Con queste premesse, il nome di Inviato per il programma Sìloe assume grande
significato, se lo colleghiamo al comunicato della BBC del 27 settembre 1999, dal titolo La
Pioneer 10 scopre un nuovo corpo oltre Plutone, che recita come segue: Gli scienziati hanno
scoperto un nuovo oggetto che orbita attorno al Sole dopo che una sonda spaziale è stata
misteriosamente deviata dal suo tragitto.
I ricercatori non hanno ancora identificato l’oggetto, ma confidano nelle sua esistenza per
il fatto che sembra aver deviato la piccola sonda Pioneer 10 (..). Se le osservazioni
venissero confermate da altri astronomi, sarà solo la seconda volta nella storia che un
oggetto del Sistema Solare è stato individuato per via del suo effetto gravitazionale. Il
primo fu il pianeta Nettuno scoperto nel 1846 (..). Il nuovo corpo è stato localizzato da un
team del Queen Mary and Westfield College a Londra e dal Jet Propulsion Laboratory di
Pasadena, California. Gli astronomi hanno osservato i dati del tracciato della Pioneer 10
ottenuti tramite il NASA Deep Space Network, uno spiegamento di grandi telescopi
progettati per comunicare con le sonde in orbita nello spazio profondo. L’8 Dicembre 1992,
quando la Pioneer 10 si trovava a 5,2 miliardi di km di lontananza dalla Terra, videro che
era stata deviata dal suo corso per circa 25 giorni. Gli scienziati hanno indagato su tale
effetto per anni e stanno tuttora studiando i dati attraverso differenti metodi di analisi,
per confermare le loro scoperte.
In poche settimane, credono di essere in grado di stabilire un limite massimo alla massa
dell’oggetto e compiere previsioni sulla sua posizione. Prime indicazioni suggeriscono possa
trattarsi di un oggetto lanciato dal nostro Sistema Solare dopo l’incontro con un pianeta
più grande. La sonda spaziale Pioneer 10, lanciata nel Marzo del 1972, si è dimostrata
all’altezza del suo nome e al momento si trova a 1,1 miliardo di km e ancora trasmette,
anche se la NASA ha cessato di monitorarne i segnali nel 1997 dopo che aveva trascorso
venticinque anni nello spazio.
Agli inizi di quest’anno, gli scienziati erano confusi da quella che era descritta come una
misteriosa forza gravitazionale che agiva sulla sonda. Alla fine, l’effetto è stato
riscontrato sulla sonda stessa, che inaspettatamente si è spinta in una direzione
particolare“. Proprio quanto previsto da Sitchin anni prima, con tanto di deviazione
gravitazionale inclusa.
Il profetico Sitchin
Nel mese di Ottobre, una inaspettata notizia divulgata da più notiziari, ha confermato le
affermazioni dello studioso e le foto del programma Sìloe che ho ricevuto in Marzo. Ma
riferiamoci ancora una volta a quanto scritto in The 1 2th Planet: “Poiché a Marduk (o
Nibiru) venivano attribuiti gli epiteti di “grande corpo celeste” o “colui che illumina”, fu
avanzata la teoria che si trattasse di un dio del Sole babilonese corrispondente al Dio
egizio Ra.
Ma il testo indica che Marduk “contempla le terre come Shamash” (il Sole appunto). Dunque
se Marduk era simile al Sole, di quale corpo celeste era si trattava? (..) L’Epica della
Creazione afferma a chiare lettere che Marduk era un invasore che proveniva dall‘esterno
del sistema solare. (..) Era una sorta di sorvegliante degli altri pianeti e la sua orbita gli
consentiva di girare attorno a tutti gli altri come infatti viene descritto. ‘Egli tiene strette
le loro fasce (orbite) e traccia un cappio attorno a loro“.
Inoltre afferma: “Un elemento indiscutibilmente a favore di questa tesi è che
Nibiru/Marduk ha un orbita retrograda” (Genesis Revisited - 1990). Dalle ultime scoperte
sembra che Sitchin abbia ragione, conferendo un’eccezionalità particolare alle conoscenze
astronomiche dei Sumeri e una validità indiscutibile al suo lavoro interpretativo. Il
comunicato stampa della BBC News del 7 Ottobre 1999 dal titolo Un pianeta oltre Plutone
recita: “Un astronomo britannico potrebbe aver scoperto un nuovo pianeta che orbita
attorno al Sole (..). Il nuovo corpo, però, sarebbe distante dal Sole 30.000 volte più della
Terra. Sembra che il nuovo pianeta non possa considerarsi un membro reale della nostra
famiglia solare. Forse un pianeta nato altrove, che ha vagabondato nella galassia per poi
essere catturato alla periferia del nostro sistema planetario oppure un gemello della
nostra stella mai accesosi.
La controversa ipotesi è del Dr John Murray, della Open University della Gran Bretagna.
Per diversi anni ha esaminato i peculiari movimenti delle comete di lungo periodo. Le
comete — montagne di roccia e ghiaccio orbitanti — si ritiene provengano dai freddi e bui
confini estremi del Sistema Solare, molto oltre i pianeti, in una regione chiamata Nube di
Oort. (..) Analizzando le orbite di 13 di tali comete, il Dr Murray ha individuato il segno
rivelatore di un unico oggetto gigante che le ha deviate tutte quante nelle loro attuali
orbite. “Sebbene abbia analizzato solamente 13 comete “in dettaglio” ha affermato alla
BBC News, il risultato è quasi definitivo.
Ho calcolato che esiste soltanto una probabilità su 1.700 che questo sia dovuto a un caso”.
In uno studio di ricerca che sarà pubblicato la settimana prossima nel Monthly Notices
della Royal Astronomical Society, suggerisce che il remoto pianeta invisibile è diverse volte
più grande di Giove. Così distante dal Sole — 4.800 miliardi di km — impiegherebbe quasi
sei milioni di anni per orbitargli attorno. “Questo chiarirebbe il motivo per cui non è ancora
stato individuato”, spiega il Dr Murray. “È appena percettibile e con un movimento molto
lento”. (.) Ma il pianeta orbita attorno al Sole nella direzione “contraria” rispetto agli altri
pianeti conosciuti. Questo ha portato alla sorprendente ipotesi che non si sia formato in
questa regione spaziale e sia invece “fuggito” da un‘altra stella. (...) Il professor John
Matese, della Universily of Louisiana a Lafayette, ha portato a termine uno studio analogo
e raggiunto conclusioni simili. La sua ricerca sta per essere pubblicata su Icarus, la rivista
sugli studi del Sistema Solare“.
Da quanto si evince, il comunicato sebbene non menzioni né i sumeri, né Sitchin, conferma
nella sua totalità quanto lo studioso russo aveva desunto dagli antichi scritti sumeri.
Fatti, non parole
L’escalation di scoperte riguardanti Nibiru sembra dar ragione a Sitchin. La NASA aveva
annunciato di aver chiuso i contatti con la sonda Pioneer 10 nel 1997. Come mai il suo
segnale è ancora tracciato dai laboratori? Il posizionamento della targa sulla sonda è stato
intenzionale? Esiste un legame tra il programma Sìloe e la Pioneer 10? Tenendo conto che
ufficialmente il Pioneer 10 è l’unica ad essere giunta a quelle profondità siderali, e la prima
a risentire dell’influenza di questo corpo celeste, il fatto che Sìloe significhi Inviato
contrassegna bene la funzione di messaggero terrestre per questa sonda, confermata dalla
presenza della targa di alluminio con i dati del nostro pianeta e dal programma della NASA
cui Sitchin ha fatto riferimento nei suoi libri. Un progetto segreto assegnatole mai
ufficialmente divulgato ma pianificato già precedentemente al suo lancio, e attualmente in
pieno corso. Questo potrebbe rispondere anche al motivo per il quale il suo segnale è
ancora tenuto sotto controllo dai radiotelescopi della NASA. Nella sua presentazione via
Internet delle Cronache della Terra, Sitchin comunicava: “Io fornisco i fatti così come li
vedo, ognuno è libero di interpretarli come desidera“. Oggi i fatti sono con lui.
John J. Matese (sopra) della Unlverslty of Louisiana, il 19 novembre ha così risposto ad un
nostro messaggio: “l’anomala concentrazione di asteroidi intorno ad un largo cerchio vicino
ai poli galattici della nube di Oort, eccedente dl circa il 25% rispetto al normale, potrebbe
essere causata da un compagno oscuro del Sole che potrebbe aiutare la massa di corpi nella
nube dl Oort a divenire comete osservabili. Il compagno è stimato essere 3 volte Giove e
posizionato ad una distanza di 25.000 Unità Astronomiche (una U.A. è la distanza tra la
Terra e il Sole). La sua posizione attuale non è prevedibile ma il compagno oscuro è
potenzialmente individuabile mediante il Very Large Array o agli infrarossi, impiegando i
telescopi spaziali della prossima generazione”. Interessante la menzione dell’impiego delle
apparecchiature ad infrarossi per individuare il pianeta X con quanto ci è stato comunicato
circa il programma segreto Sìloe e le sue foto agli infrarossi.
(ritorna al SOMMARIO)
GLI DEI DI FUOCO
Nel XXIV secolo avanti Cristo alcune
civiltà dell’età del bronzo furono distrutte da terribili
disastri: un meteorite fu la causa di tutto?
di Vittorio Di Cesare
Di recente, in cinquecento siti archeologici in Iraq e in Siria, risalenti al terzo millennio
a.C., gli archeologi hanno scoperto le prove di una catastrofe ecologica senza precedenti. Fu
una crisi terribile.
Città fiorenti si spopolarono lasciando agli archeologi le testimonianze inconfondibili della
distruzione, come la città di Troia (quella dello strato II d-g), che subì un inspiegabile
abbandono in seguito ad un gigantesco incendio. Persino in Palestina, nel 2300 a.C. la biblica
città di Gerico, in seguito a questi sconvolgimenti, fu incendiata e in parte sommersa, da
una frana fangosa scivolata dai monti vicini. Nei deserti del Sinai e del Neghev si acuì la
siccità mentre a migliaia di chilometri, altre grandi città nel bacino dell’Indo da MohenjioDaro a Harappa si spopolarono nel giro di poco tempo. Il fenomeno interessò anche l’Africa,
con la riduzione del livello del lago Turkana, affluente del Nilo.
Persino nella lontana Finlandia, verso il 2100 a.C., avvenne un calo di un terzo della
popolazione, per cause sconosciute.
In molte stratigrafie degli scavi archeologici, in Medio Oriente e in Siria, Marie-Agnès
Courty, del CNRS-CM Laboratoire del Science des Soils et Hydrologic di Grignon, in
Francia, ha individuato elementi chimici prodotti da un’esplosione, simile a quella che
farebbe seguito all’impatto di un meteorite di grandi dimensioni con la Terra. Le
stratigrafie, distanti tra loro centinaia di chilometri, dimostrano, infatti, che la caduta di
polvere avvenne quasi contemporaneamente su di un’area vastissima. La ricercatrice ha
confermato così le osservazioni fatte fin dal 1948 dal francese Claude Schaeffer il quale,
in più di quaranta centri archeologici del Vicino e Medio Oriente, aveva scoperto strati di
devastazione risalenti tutti ad uno stesso periodo, ipotizzando un disastro su larga scala.
Schaeffer non fu preso seriamente dai colleghi, oggi però la sua teoria è stata rivalutata
dalla scuola di “catastrofisti” nata di recente in Inghilterra, tra le cui fila ci sono eminenti
scienziati da sir Fred Hoyle, a Mark Bailey dell’Armagh Observatoiy e a Duncan Steel dello
Spaceguard Australia.
Una Vela nel cielo
Quale evento modificò allora il clima in Medioriente trasformandolo in un calderone battuto
dal vento, dalle tempeste e dalla siccità? Fu un corpo extraterrestre, un meteorite o una
cometa, caduti da qualche parte in Medioriente, a determinare i mutamenti? Victor Clube e
Bill Napier dell’Oxford University, sostengono che non uno ma addirittura una serie di
impatti con la Terra avvenne al tempo delle antiche civiltà del Bronzo, portando grandi
cambiamenti climatici. Nubi di polvere cariche d’anidride solforosa ed altri composti
chimici, formarono una cappa nera che per mesi oscurò i raggi del sole. L’effetto serra fece
precipitare dense piogge che localmente produssero allagamenti e smottamenti, cui seguì
infine, un periodo di aridità. Alcuni racconti mitologici sumerici sembrano contenere il
resoconto di questo catastrofico avvenimento.
L’archeologo George Michanowsky traducendo una tavoletta del 1000 a.C., scoprì che i
Sumeri, più di mille anni prima, avevano notato l’apparizione nel cielo, di una “Stella
gigantesca del dio Ea nella costellazione di Vela del dio Ea“. Vela è una costellazione
inventata dagli astronomi settecenteschi, ispirandosi alla vela della nave degli Argonauti.
Come poteva un testo di 4000 anni fa citare un nome che ancora non esisteva?
Riferimenti espliciti alla caduta di meteoriti si trovano anche nel poema dell’eroe
Gilgamesh, leggendario personaggio di un’epopea del 2700 a.C., giunta a noi in una versione
del VII secolo a.C., emersa dagli scavi della biblioteca del re assiro Assurbanipal a Ninive.
In uno di questi racconti si narra che mentre l’eroe camminava: “... traverso la notte, sotto
le stelle del firmamento, (..) una meteora tutta della materia di Anu, (forse di ferro) cadde
dal cielo...”. La cometa o il meteorite che provocò il disastro, doveva essere però di
tutt’altra dimensione, poiché i suoi effetti produssero la fuga d’innumerevoli popolazioni,
con conseguenti scontri e guerre che posero fine a molte culture. Da questo ricordo nacque
forse la convinzione che le comete portavano sfortuna, una teoria che oggi ha nuovi
sostenitori.
Annunciatrici di disastri?
Fred Hoyle e Chandra Wikramasinghe, due astrofisici inglesi, hanno formulato l’ipotesi
secondo la quale le comete, conterrebbero materiale organico batteriologicamente attivo.
Lo confermerebbero le fotografie in luce infrarossa riprese alla cometa di Halley dal
telescopio australiano di Siding Spring. Il nucleo cometario è colorato di nero, indice della
presenza di materiale carbonioso, che può favorire forme di vita batteriche e virali.
L’epidemiologo John Watkins, confermò questa tesi sostenendo, che la terribile influenza
detta “Spagnola”, l’epidemia che fece milioni di morti nel mondo, all’inizio del 1900 si
diffuse nello stesso momento. Per Hoyle il morbo non si propagò da un “punto zero”, come
avviene sempre per le epidemie. La Terra, secondo la sua tesi, attraversò la scia della
cometa e l’atmosfera terrestre fu inoculata da un virus extraterrestre che si propagò su
scala mondiale. Nell’antichità meteoriti e comete furono considerate portatrici di diluvi, di
fuoco e di fiamme. Serpenti, draghi, mitici animali con la bocca piena di fiamme, e gas
velenosi, che emettevano terribili ruggiti, divennero sinonimi di questi oggetti ai quali
furono dedicati culti particolari.
La stessa Ishtar, la Venere dei Sumeri, era considerata una divinità capace di portare
morte e disfacimenti. Per questo era rappresentata a volte come una cometa il cui nome
significava “Supremo uno che piove fuoco sulla terra”.
La leggenda dice, infatti, che la dea cercò di distruggere la Terra scatenando un mitico
animale, il “Toro Celeste”, il quale sbuffò per tre volte, creando altrettante buche
gigantesche. Sembra la descrizione di quanto avvenne nel “bush” australiano a Henbury,
cinquemila anni fa, quando un meteorite grande 157 metri, cadde al suolo creando tre
buche, aperte come dal soffio di un dio.
Tauridi, pioggia di fuoco
La costellazione del Toro, per gli antichi Sumeri, era, in effetti, un importante punto di
riferimento astronomico in quanto, tra il 4380 ed il 2200 a.C., indicava l’equinozio
primaverile, che all’epoca cadeva esattamente in questa parte del cielo, dando inizio al
conteggio del nuovo anno. Da questo punto, ogni anno a Novembre, oggi s’irradia una pioggia
di meteoriti dette Tauridi, frammenti lasciati dietro di sé nello spazio dalla cometa
P\Encke, (osservata per la prima volta a Parigi nel 1786 da P. Mèchaim). Questi entrano
nell’atmosfera terrestre quando il nostro pianeta interseca annualmente la scia di questo
bolide cosmico. E dunque da questa costellazione che giunse l’oggetto che sconvolse il
mondo nell’età del Bronzo antico? La Terra è sempre stata minacciata da forze vaganti
nello spazio, che niente e nessuno possono fermare. Presenze inquietanti e spettacolari alle
quali, fin dalla più remota antichità, dall’Europa del Nord, alle regioni desertiche del Sinai al
Nefud, e nel cuore del Sahara, furono innalzati “Menhir”, stele di pietra per ricordare gli
dei che potevano lanciare dal cielo morte e distruzione. Nei vari miti dell’uomo, da allora,
sono sempre stati presenti questi dei di fuoco.
Un cielo di cristallo
Per i popoli primitivi, la volta celeste era fatta di cristallo di rocca. Le “pietre di luce”,
come i Dayaki di Sarawak chiamavano le pietre silicee provenienti dal cielo, erano ritenute
cariche di qualità straordinarie: guarivano, davano risposte sul futuro, erano un attributo
divino. Persino in un pettorale, trovato nella tomba del faraone Tutankhamon, era
incastonato uno scarabeo ricavato da una pietra meteoritica.
I Greci invece, si recavano al santuario di Delfi, dove un grosso meteorite, l’Onfalo, era
venerato attribuendogli proprietà divinatorie. I sacerdoti lo custodivano in una cella
segreta del tempio, avvolto in una corda di lana, un lembo della quale era tenuto in mano
dalla profetessa. Anche a Troia, si diceva, era custodita una statua della dea Pallade Atena
scolpita in un meteorite. Altre statue famose come quella di Artemide, ad Efeso (un altro
importante centro oracolare), o di Cibele, a Pessinote, in Frigia, erano statue ricavate da
pietre cadute dalla volta celeste. E quando la statua non era d’origine uranica, la si
associava ad un meteorite, come nel caso dell’effige di Eros, scolpita dallo scultore
Prassitele e conservata in un tempio in Tepsia, accanto ad un blocco di pietra dura, forse un
aerolite come quello venerato alla Mecca.
A lunghi intervalli sulla Terra
Questi “dei di fuoco”, dicono oggi gli scienziati, se ne stanno ancora nel loro Olimpo
siderale, dove sono stati individuati dagli astronomi che li hanno chiamati con nomi adatti
alla loro antichità: Eros, Amor, Apollo. In realtà sono fasce di asteroidi pericolosi per la
Terra. Milioni dei frammenti pietrosi, stazionano tra Marte e Giove in orbite fisse, ed
urtati da una cometa o attratti dalla gravità di un pianeta, possono precipitare sulla Terra,
proprio come accadde nel luglio del 1994 alla cometa Shoemaker-Levy caduta a pezzi su
Giove. Uno di questi “mostri” causò la fine dei dinosauri 65 milioni di anni fa, come scoprì
insieme con altri tre scienziati, il geologo Walter Alvarez. Meteoriti caddero in epoche più
recenti sulla superficie del nostro pianeta, quando l’umanità era già in una fase avanzata
della sua civiltà.
Raccontando al saggio Solone la storia d’Atlantide un sacerdote egizio con straordinaria
intuizione, sosteneva che uno dei più grossi guai per l’uomo poteva giungere dalla “...
deviazione dei corpi che si muovono attorno alla Terra e nel cielo, (portando) la distruzione
per molto fuoco e a lunghi intervalli di tutto ciò che è sulla Terra“. In effetti, ci chiediamo,
come sarebbe stato possibile descrivere un’Apocalisse se nessuno ne avesse mai conosciuta
una?
Chi è Vittorio Di Cesare. Nato a Bologna nel 1949, curatore della Sezione di Storia moderna del Museo
Archeologico “A. Crespellani” di Bazzano (Bo) e titolare di uno studio specializzato in consulenze tecniche per
l’archeologia. Collaboratore per la Soprintendenza archeologica dell’Emilia Romagna e della Puglia, del CNR e
di varie facoltà univesitarie italiane. Ha contribuito al recupero di numerosi siti archeologici italiani e
partecipa a campagne di scavo all’estero. Collabora con diverse riviste italiane del settore ed è autore di Gli
Aborigeni Australiani pubblicato da Xenia tascabili.
(ritorna al SOMMARIO)
La porta di Aztlan
Nigei Appleby, a capo dell’ Operazione Hermes preposta alla ricerca della favoleggiata Sala
delle Registrazioni sotto le zampe della Sfinge di Giza, che conterrebbe gli artefatti
tecnologici di un’avanzatissima civiltà pre-diluviana, ha rilasciato di recente un comunicato
dettagliato circa l’operato del suo team:
“La mia squadra in Egitto, sta facendo progressi dietro le quinte “, ha asserito, “e il lavoro
sarò compiuto a tempo debito“. L’Operazione Hermes ha inviato recentemente un membro
della squadra in Tibet ed ha terminato un altro complesso addestramento nella giungla della
Nuova Guinea, in modo da poter formare personale specializzato da impiegare nella futura
spedizione nell’America del Centro e del Sud. Stessa metodologia viene applicata
nell’Antartico per una spedizione programmata per il 2002 o 2003.
Appleby, autore del saggio La Sala degli Dei dichiara inoltre che i continui progressi
dell’Operazione Hermes vengono filmati e registrati per un completo documentario
televisivo, da presentare una volta ottenuti gli scopi previsti. La determinazione di Appleby
è giustificata dalla convinzione dell’effettiva esistenza di un territorio sotterraneo
sconosciuto e, forse, inesplorato, nel sottosuolo di Giza.
La tomba di Osiride
Una prova a sostegno è la scoperta nel 1998 della “Tomba di Osiride” anche definita “Pozzo
di Osiride“, situato sotto la strada rialzata di Kephren nella piana di Giza. Zahi Hawass,
direttore dei lavori archeologici a Giza ha soprannominato il luogo “Tomba di Osiride“,
credendo che il terzo livello sotterraneo della struttura rappresenti una tomba simbolica
della principale divinità egizia. Chris Ogilvie Herald, dell’Egyptnews afferma che “il
riferimento ad Osiride si basa sulla scoperta fatta da Hawass di un geroglifico inscritto
sul fondo della tomba, “pr”, che significa “casa”. Collegandolo all‘antico nome della piana di
Giza (Pr Wsir Nb Rastaw, Casa di Osiride, Signore di Rostau), Hawass giunge alla
conclusione che il terzo livello sia una tomba simbolica per Osiride “.
Olgivie Herald continua dicendo che “non ci sono, però, geroglifici o iscrizioni di alcun tipo
in tutti e tre i livelli. Quello a cui fa riferimento Hawass è fondamentalmente un quadrato
con l‘estremità aperta.
Una descrizione che calza vagamente con il fondo di una tomba “.
Al momento sembra in corso un dibattito sull’età del pozzo. Sebbene sia Hawass che Selim
Hassan (che ha scavato in origine il pozzo) siano d’accordo sul fatto che risalga alla
Dinastia Saite (500 d.C. circa), Hawass dichiara che, dagli oggetti recuperati, possa datarsi
al Nuovo Regno (1.550 a.C).
Questo sembra suggerire ch’egli reputi il terzo livello (inferiore) più antico del secondo. Un
affermazione che permette di comprendere lo stato attuale degli studi nel mondo
accademico egizio, che agisce con molta cautela nella conduzione delle ricerche nel sito
principale di Giza.
La sfida di Upuaut
Più di recente Robert Bauval, cui si deve la scoperta della relazione tra le tre piramidi di
Giza e le stelle della cintura di Orione, in una comunicazione con lo stesso Hawass ha
appreso che la porta del pozzo meridionale della Camera della Regina nella Piramide di
Cheope, scoperta dall’ingegnere tedesco Rudolph Gantenbrink nel 1993, non sarà aperta
durante le celebrazioni di fine millennio nella piana di Giza, come previsto inizialmente.
La sua apertura, dichiara Hawass, potrebbe avvenire invece nei primi mesi del 2000 grazie
ad un team del National Geographic. Probabilmente il lavoro svolto da Upuaut, il robot
automatico di Gantenbrink, mandato ad esplorare i pozzi stellari della Grande Piramide, ha
dato buoni frutti, nonostante il reciso insabbiamento iniziale della notizia, rivelando che
forse qualcosa di sconvolgente si nasconde all’interno del monumento più famoso al mondo.
La sua apertura sarà comunque ‘‘virtuale’’, almeno per il momento. Hawass ha dichiarato che
la porta non sarà aperta ma verrà utilizzato un piccolo robot, simile ad Upuaut, che infilerà
un piccolo cavo con telecamera nella fessura posta nella parte inferiore destra del blocco.
Se questo dovesse avvenire senza le censure a cui siamo normalmente abituati, potremmo
essere vicini ad una rivelazione epocale.
I dubbi sono d’obbligo in quanto sebbene vi sia stata una distensione dei rapporti tra i nuovi
ricercatori, capeggiati da Hancock e Bauval, le loro ricerche hanno subito un grave attacco
proprio alla fine dello scorso novembre, quando la BBC inglese ha mandato in onda due
documentari che hanno impropriamente criticato i loro studi. Ritorneremo sull’argomento.
Intanto, John Anthony West, il noto egittologo eretico statunitense, sta approntando un
serio programma di prospezione sismografica radar della piana di Giza, insieme ai geologi
Robert Scoch e David Coxhill, probabilmente sotto l’egida di uno sponsor accademico.
La realizzazione del progetto avverrà solamente se Hawass sarà convinto della validità
delle prove addotte. West, nel momento in cui scriviamo, è in Egitto per preparare la
strada a questa nuova ricerca.
Ci ha garantito aggiornamenti che verranno pubblicati appena disponibili.
(ritorna al SOMMARIO)
LE MUMMIE DI RA
Con la mummificazione gli antichi egizi
anelavano all’immortalità, ricorrendo anche ad
energie inspiegabili per l’epoca.
Un ponte culturale con l’America precolombiana
di Adriano Forgione
La notizia è solo dello scorso mese di Agosto ma la scoperta risale a tre anni fa. Presso
l’oasi di Bahariya, diecimila corpi mummificati e intatti sono stati scoperti per puro caso,
riportando in auge il mito della mummia. Un sito di epoca greco-romana i cui sarcofagi
dorati hanno stupito gli egittologi per il loro fasto.
Zahi Hawass e Ashry Shaker, capo della soprintendenza alle antichità di Bahariya, hanno
preferito tenere sotto silenzio la notizia per tre anni al fine di studiare il sito lontano
dall’attenzione del pubblico.
Una delle prime scoperte di corpi imbalsamati risale al 1881. Presso Deir-el Bahari, il 6
giugno di quell’anno, Emile Brugsch scoprì quaranta corpi mummificati, alcuni appartenenti a
grandi faraoni del Nuovo Regno (1567-1090 a.C.) come Amosis Tuthmosis III, Seti I, suo
figlio Ramses II.
A questa scoperta si aggiunse nel 1898, all’interno della tomba di Amenofi II, il
ritrovamento di altri 16 corpi tra cui il faraone Tuthmosis IV - lo stesso re protagonista
del sogno magico sotto la Sfinge - e di Amenofi III, padre dell’eretico Akhenaton. In
entrambi i casi, le mummie erano state collocate in quel sito dagli stessi sacerdoti egizi,
come prevenzione per le continue profanazioni. In questo modo si manteneva la speranza
che essi sopravvivessero al passare del tempo, ottenendo così l’immortalità, cosa che in
qualche modo conseguirono realmente.
In fin dei conti si è così realizzata una delle speranze più accese degli egizi: che il loro
nome venisse pronunciato, affinché potessero tornare alla vita.
False mummie o esseri mutanti?
La realizzazione di questo rito ancestrale su un corpo umano era quindi dovuta al desiderio
di conservazione del supporto fisico dell’anima per l’eternità. A questa ipotesi logica, si
contrappongono altre congetture più azzardate sebbene scientificamente rifiutabili.
Secondo lo studioso svizzero di paleoSETI (il contatto con razze extraterrestri nel
passato) Erich von Däniken l’imbalsamazione era un tentativo di ibernazione, nella speranza
che gli Dei celesti tornassero a riportare in vita i faraoni in un lontano futuro.
Molto simile la spiegazione di Robert Temple, autore de Il Mistero di Sirio (Piemme, 1999),
che la riconduce al ricordo che avevano gli egizi delle tecniche di animazione sospesa degli
uomini-pesce di Sirio (cfr. articolo in questo numero). Nonostante queste congetture
estreme, il reale motivo della mummificazione sembra oramai chiarito.
Ufficialmente permane comunque il mistero sul perché gli egizi mummificassero esseri
umani e animali fondendoli in un unico essere. In diversi luoghi dell’Egitto sono state
trovate mummie metà bambino e metà coccodrillo la cui spiegazione ufficiale è ancora da
fornire.
Una di queste è esposta al museo Topkapi di Istambul, in Turchia. Crediamo di poter dare
una plausibile risposta rifacendoci alla raffigurazione di Horus bambino (in greco
Arpocrate) in alcuni “cippi” raffigurato camminare sulle testi di coccodrilli, a simboleggiare
la potenza solare di superare le forze negative dell’oscurità. Questo potrebbe valere anche
per le piccole mummie “ibride”.
Non ci sono risposte logiche invece alle scoperte realizzate in diverse necropoli egizie. La
prima sorpresa capitò all’egittologo francese Auguste Manette il 5 settembre 1852, dopo
aver scoperto a Saqqara il Serapeum, luogo dove la tradizione situava la tomba dei buoi
sacri al dio Api. Una volta aperti, i giganteschi sarcofagi scoperti nelle camere sotterranee,
o erano vuoti o contenevano una massa bitumosa maleodorante che si disintegrava al tatto e
alla minima pressione. Le mummie dei buoi non c’erano.
Più tardi, l’archeologo britannico Sir Robert Mond, scoprì ossa di sciacalli e cani nei
sarcofagi dei buoi (si ricorda che sciacalli e cani erano la rappresentazione di Anubi, Dio
della mummificazione, e aspetti mitologici della stella Sirio).
Mummie atomiche
Sebbene la principale leggenda che circonda le mummie, la cosiddetta “maledizione dei
faraoni” sia stata scientificamente spiegata con la presenza di un fungo, l‘Aspergillus
Niger, che provocava la morte di chi ne veniva a contatto, altri esperti si dichiararono
inclini a pensare che la maledizione fosse dovuta al potere radioattivo di alcuni oggetti
conservati insieme ai corpi mummificati che dopo 3000 anni, avevano mantenuto inalterate
le loro mortali emanazioni.
Per lo meno così credono alcuni scienziati della città atomica di Oakridge. L’ipotesi non è
azzardata, in quanto nelle miniere d’oro (metallo molto impiegato nei sarcofagi) è comune
incontrare minerali come Uranio e Torio.
Inoltre, nel 1949, il professor Bulgarini affermò che “gli antichi egizi conoscevano le leggi
della disintegrazione dell’atomo. I suoi saggi e sacerdoti conoscevano l’Uranio. È possibile
che si servissero della radioattività per proteggere i loro santuari “. Anche Peter Kolosimo,
lo scomparso
saggista e studioso
italiano di “anomalie archeologiche”, affronta
quest’argomento. Nel suo Terra Senza Tempo riporta le parole del professor Ghoneim che
dichiarò, riassumendo i risultato delle ricerche compiute da un folto gruppo di studiosi
egiziani “che la pece con cui venivano conservati i cadaveri mediante mummificazione,
proviene dalle rive del Mar Rosso e da alcune regioni dell ‘Asia minore e, contiene sostanze
fortemente radioattive. Non solo, ma la radioattività è propria anche delle bende usate per
fasciare le mummie. E le intere camere mortuarie erano probabilmente piene della stessa
polvere.” Tutto fa pensare che i sacerdoti egiziani abbiano volontariamente richiesto
l’impiego di quella specifica pece, in quanto possedevano conoscenze avanzate lascito di una
civiltà pre-diluviana. Forse gli egizi sapevano che la disintegrazione dell’atomo è associata al
Sole (le stelle si basano sul principio della fusione nucleare), e la consideravano quindi una
manifestazione di Ra per cui richiedevano espressamente in determinati casi l’utilizzo di
materiali radioattivi. La simbologia solare è legata infatti al culto heliopolitano di Ra, il più
antico d’Egitto, che considerava il Sole quale dispensatore di vita. Ricordiamo che il faraone
era assimilato al Sole e la radioattività essendo simbolo dell’energia vitale solare avrebbe
potuto rappresentare simbolicamente la vita del faraone dopo la morte. Nei bassorilievi di
Tell-el-Amarna, che ritraggono Akhenaton in adorazione del disco solare Aton, quest’ultimo
dispensa raggi simili a radiazioni, che offrono l’Ankh, la chiave della vita eterna, al faraone,
benedicendolo in tal modo per l’eternità.
La Mica
La conoscenza dell’infinitamente piccolo e delle sue leggi, da parte degli egiziani, verrebbe
in effetti avvalorata dagli studi esoterici su antichi testi compiuti da più egittologi tra cui
spiccano Schwaller de Lubicz e John Antony West. Secondo quanto tramandano i testi
egizi, il principio creatore del tutto era Atum, il Dio primordiale, dalla cui sostanza ogni
cosa è stata creata. In questa descrizione è insito che Atum è proprio l’atomo o la
protomateria, da cui ogni cosa prende forma. La somiglianza delle parole Atum e Atomo è in
tal senso chiarificatrice.
Tutto questo presenta interessanti analogie con alcune scoperte fatte in Messico.
Nel 1906 venne rilevato tra due livelli della piramide del Sole di Teotihuacan in Messico, un
esteso strato di Mica, minerale del gruppo di silicato di alluminio, presente anche nel
Tempio della Mica, sempre a Teotihuacan. Anche per la Mica, come per la pece egizia,
l’importazione avveniva da lontano, precisamente dal Brasile. La Mica, come Graham
Hancock scrive nel suo Impronte degli Dei (Corbaccio-1996) “non è un ovvio materiale
universale da pavimentazione. (..) Siamo portati a pensare che i due strati di Mica (..)
fossero destinati a svolgere un ruolo preciso. La mica possiede caratteristiche che la
rendono particolarmente adatta ad applicazioni tecnologiche. Nell‘industria moderna viene
impiegata per costruire condensatori ed è un ottimo isolante termico ed elettrico. È anche
opaca ai neutroni veloci e può funzionare da moderatore nelle reazioni nucleari “. Non è un
caso che, secondo quanto scrive Laurence Gardner nel suo libro “Genesis of the Grail Kings:
The Pendragon Legacy of Adam and Eve“(Bantam, 1999), nel sarcofago della camera del Re
sarebbe stata trovata dai primi esploratori, non la mummia di Cheope, ma una polvere
bianca poi identificata come un composto di grani di Feldispato e Mica.
Piramidi, mummie egizie, e alcuni templi Toltechi presentavano quindi caratteristiche che
avevano legami con l’energia atomica, a sottolineare una strana quanto indicativa
coincidenza.
I faraoni biondi
Il parallelismo tra Egitto e America trova ulteriori conferme nella scoperta citata da
Murry Hope nel suo libro Il Segreto di Sirio (Corbaccio 1997). Alle analisi, le mummie regali
della XVIII dinastia presenterebbero gruppo sanguigno A. Considerando che il gruppo
sanguigno più diffuso in Egitto era, ed è ancora oggi, il gruppo 0, la cosa è alquanto insolita.
La stranezza aumenta se consideriamo che il gruppo A di solito si accompagna al tipo dalla
pelle chiara e gli occhi azzurri o comunque caucasico. Cosa ci facevano individui dall’aspetto
nordico tra i faraoni dell’Egitto del Nuovo regno? In più alcune mummie inca, conservate al
British Museum di Londra, hanno dato i medesimi risultati (gruppo A e aspetto caucasico)
del tutto estranei alle popolazioni preispaniche del Nuovo Continente. Individui biondi dalla
pelle chiara tra le caste dominanti dell’Egitto e d’America. Il professor WC. Emery, autore
di Archaic Egypt è convinto che si tratti di un popolo venuto dall’esterno, non indigeno,
tenutosi a distanza dalla gente comune, unitosi solo con le classi aristocratiche.
Una maggiore conoscenza del DNA dei faraoni e dei suoi legami con questo popolo potrebbe
provenire da un’identificazione genetica delle mummie disponibili. Inoltre mummie bionde e
dai tratti caucasici sono state ritrovate anche in Cina. Sembra che in epoca antica, una
popolazione di questo tipo abbia stabilito colonie in tutto il globo, mantenendo piuttosto
circoscritta la sua mescolanza genetica. Chi erano questi popoli biondi del tutto estranei
alle etnie locali? Che legame avevano con gli Shemsu Hor, i semidei Seguaci di Horus e i
biondi Viracocha delle mitologie americane?
Akhenaton
Forse erano Atlantidei, come ipotizza l’egittologo John Antony West. È interessante
notare che lo stesso Emery scrive: “verso la fine del IV millennio a.C. il popolo noto come
“Seguaci di Horus” ci appare come un’aristocrazia altamente dominante che governava
l’intero Egitto.
La teoria dell’esistenza di questa razza è confortata dalla scoperta nelle tombe del periodo
pre-dinastico, nella parte settentrionale dell’Alto Egitto, dei resti anatomici di individui
con un cranio e una corporatura di dimensioni maggiori rispetto agli indigeni, con
differenze talmente marcate da rendere impossibile ogni ipotesi di un comune ceppo
razziale.
La fusione delle due razze dev‘essere avvenuta in tempi tali da essere più o meno compiuta
al momento dell‘Unificazione dei due regni d‘Egitto“.
Anche in Messico sono stati ritrovati teschi allungati o deformi, più grandi del normale, e
ciò incrementa i legami tra l’Egitto e l’America, oltre ad accrescere la possibilità di un
ceppo razziale comune alla base delle due culture.
La scoperta della presenza di tabacco e cocaina tra i capelli e nelle fasce delle mummie
egiziane ne è un indizio notevole, considerando che tabacco e cocaina sono piante originarie
del sud-America e non vi sono segni di loro coltivazioni nell’Egitto antico.
Inoltre proprio nella XVIII dinastia, interessata dal gruppo sanguigno A, ha regnato il
faraone Amenofi IV, noto come Akhenaton, che amava farsi ritrarre in statue e
bassorilievi (e con lui l’intera famiglia reale) con un cranio allungato e una corporatura
tozza, caratteristiche riscontrate nel ceppo pre-dinastico menzionato da Emery. Tracce
riscontrabili proprio nel cranio allungato della mummia del suo successore Tutankhamon,
suo figlio, e nel suo gruppo sanguigno “A”, comune ad altri membri della XVIII dinastia.
Akhenaton è ricordato per la sua riforma religiosa, ispirata al monoteismo del Dio Sole
Aton. Considerando che il culto solare è il più antico che l’umanità ricordi (insieme a quello
della Grande Madre), non è azzardato ipotizzare un legame culturale e forse genetico tra
questo faraone e ceppi razziali non egiziani, la cui linea genealogica è appartenente forse
ad una cultura avanzata pre-esistente a quella Egizia.
Segreti di un’arte millenaria
Con più di mezzo secolo di ricerche e a sue spese, l’antropologo spagnolo José Manuel
Reverte Coma (in foto) è, senza dubbio, una delle massime autorità internazionali nel campo
delle mummie. I suoi lavori sull’imbalsamazione di culture antiche come l’Egitto e il sudAmerica sono stati pubblicati ed apprezzati dovunque. Per 20 anni il professor Reverte ha
retto l’insolito museo che porta il suo nome. Situato nella facoltà di medicina dell’Università
Complutense di Madrid, attorniato da insoliti oggetti della medicina spagnola, il professore
possiede una collezione eccezionale di mummie dei luoghi più disparati del pianeta. Reverte
è un perfetto conoscitore del processo di mummificazione impiegato in Sud-America,
continente nel quale ha lavorato per alcune decadi. Nel suo museo si conservano diverse
mummie peruviane di circa 2.500 anni di età. “Le circostanze religiose, come la credenza in
un aldilà, e naturali, come l‘elevata aridità del paese favorirono l’eccellente tecnica di
mummificazione egizia. Circostanze totalmente diverse propiziarono la mummificazione in
America. Per esempio, a grandi altezze i corpi potevano congelarsi per il freddo, e nei paesi
tropicali si otteneva la perdita dei liquidi collocando i corpi al Sole durante il giorno e vicino
ad un falò durante la notte. In questo modo, i grassi salivano verso l’estremità, seccando il
cadavere “. Esistono però per il professor Reverte Coma, similitudini tra le mummie dei
Guanci (un antico popolo delle isole Canarie N.d.R.) e quelle egizie. “Sebbene i metodi
impiegati siano a grandi linee differenti, vi sono alcuni punti in comune, specialmente se
prendiamo come paragone la mummificazione primitiva egizia che consisteva nell‘avvolgere
semplicemente il cadavere in una pelle di animale. Non è impossibile quindi che le due
culture abbiano avuto qualche sorta di contatto“.
(ritorna al SOMMARIO)
ALESSANDRO MAGNO: L’ULTIMO
INIZIATO
Grazie al velo di magia che lo avvolge,
legato all’antico Egitto
dove fu considerato figlio di un Dio,
il mito del Grande Alessandro
arde ancora nel cuore degli uomini
di José Leon Cano
Il misterioso Alessandro Magno è un diamante dalle multiple facce, alcune delle quali - le
più interessanti - sono ancora nascoste. Mentre prevale ai nostri giorni il mito dell’eroe e
guerriero sfortunato, audace e un tantino incosciente, la sua vera personalità, forgiata da
secoli di storia, è nascosta alla conoscenza dei più.
La sua straordinaria avventura costellata da folgoranti conquiste, dà l’impressione di
obbedire ad un proposito prestabilito, come se l’eroe dallo sguardo bicromatico (dovuto ad
un occhio azzurro ed uno castano) seguisse i dettami di un poderoso daemon, un mediatore
tra gli Dei e gli uomini, attraverso il quale tutte le situazioni si volgevano favorevoli.
La sua lancia di guerriero fu anche una bacchetta magica, poiché Alessandro Magno, fiero
discepolo di maghi-sacerdoti egizi, aveva ottenuto di allineare la realtà ai suoi desideri.
Riuscì a seguire il “cammino del guerriero” riservato agli eroi, come mille anni prima fece
Mosè, discepolo degli stessi maestri, seguendo il “cammino del Verbo” proprio dei profeti.
Un viaggio per l’eroe.
Non c’è iniziato senza viaggio iniziatico. Quello di Alessandro ce lo racconta Plutarco,
autore di Vita di Alessandro, sacerdote di Apollo, iniziato a sua volta ai vari culti mistici.
Con Plutarco accompagnamo l’eroe mentre si incammina verso l’oasi di Siwa, nel Sahara
egiziano, dove si prepara ad incontrare suo padre, il Dio Amon-Ra, in una delle pagine più
esaltanti ed enigmatiche della storia. Terminata la conquista dell’Egitto nel 331 a.C., a 24
anni, Alessandro ha necessità di fondersi con l’anima del popolo che lo ha recepito come un
liberatore.
Il viaggio, che durerà sei interminabili settimane, si rivelerà prodigioso. Da tre secoli prima
di lui, fin dalla XXVI dinastia, altri aspiranti faraoni avevano attraversato la medesima via
nel deserto occidentale, la terra dei morti e degli Dei, vissuta come un rito pesante
destinato a colui che Amon, il Dio con la testa di ariete, avrebbe metafisicamente scelto
perché perfezionatosi con la forza del sangue e delle armi. Ma Alessandro, attento sempre
ai segni che il cielo gli inviava, avanza con veemenza nel deserto capeggiando il suo ridotto
seguito militare. Amon, il Dio nascosto, signore delle regioni d’Egitto, sembra guidarlo con
segnali inequivocabili, e poco importano le difficoltà. Il cammino, appena praticabile per le
truppe poco numerose e leggere, diviene difficoltoso quando il Sole arroventa le sabbie del
deserto trasformandole in braci, soprattutto al terzo giorno, quando l’acqua inizia a
scarseggiare. Il condottiero senza titubanze vede però nel deserto il mare, navigando con
la sicurezza di chi si sente guidato da una forza soprannaturale. E questa sicurezza non lo
abbandonerà mai.
Plutarco lo racconta così “I favori che nelle difficoltà di questo viaggio, ricevette dal Dio
Amon, donarono ad Alessandro più fiducia negli oracoli datigli successivamente. La rugiada
del cielo e le improvvise e abbondanti piogge dissiparono la sete e l‘aridità, in tal modo la
sabbia si inumidì e l‘aria divenne più respirabile e pura. In secondo luogo - continua l’autore
di Vite Parallele - quando egli fu in pericolo di perdersi nel deserto, apparvero alcuni corvi
che fecero da guide, volandogli davanti durante la marcia e attendendolo durante il riposo”.
Interpretare i segnali
Alessandro vede segnali sacri nelle cose che accadono e sa interpretarli per analogia, con
stupefacente esattezza. Mediante Aristotele, il suo mentore, aveva conosciuto le idee
platoniche delle conoscenze egizie e aveva certamente appreso da queste, a tal punto che
possiamo considerarlo più Platonico che Aristotelico. Ricordiamo che per Platone sono le
idee a materializzare la realtà che percepiamo. Le idee sarebbero quindi l’unica realtà.
Questo Platonismo di origine nilotica che tanto piaceva ad Alessandro non è un’eccezione
culturale. L’élite greca prima e macedone dopo, erano state incantate dagli ultimi profumi
della millenaria civiltà egizia, oramai prossima a soccombere. Da parte sua l’élite egizia, con
a capo i suoi maghi-sacerdoti, si attaccava corpo e anima alla potenza greca come ultima
possibilità di salvezza di fronte alla minaccia mortale proveniente dalla Persia. Greci ed
egizi unirono le loro forze contro il nemico comune ed è per questo che Alessandro si
trovava in Egitto come a casa propria.
All’arrivo presso l’oasi di Siwa, i sacerdoti lo salutano come se Alessandro fosse il prescelto
del Dio Amon. Il tempio della divinità è nascosto dalla vegetazione. Se qualcuno chiede di
consultare il Dio, i sacerdoti ne sollevano la statua su una nave dorata e un seguito di donne
inizia ad intonare un inno sacro per mezzo del quale Amon sarà propiziato a pronunciare un
oracolo. Alessandro, davanti al suo esercito, formula la domanda se gli assassini del padre
verranno puniti.
Il sommo sacerdote Psamon gli risponde affermativamente e Alessandro soddisfatto
ripartisce denaro e offerte tra i sacerdoti e il popolo. Così si compie la parte ufficiosa del
suo viaggio. Alessandro però si recherà senza testimoni al tempio di Amon per formulare
una domanda il cui contenuto nessuno conosce e la cui risposta è ancora oggi un mistero.
Probabilmente il vero motivo del viaggio di Alessandro Magno è contenuto in questa
domanda occulta di cui nessuno sa nulla, ma la cui risposta oracolare dovette commuovere
profondamente il futuro conquistatore universale; prova ne sia il fatto che ad uno dei suoi
compagni più fidati Alessandro chiese di essere sepolto a Siwa, nei pressi dell’oracolo. In
una lettera destinata a sua madre Olimpia, Alessandro comunica che durante questo
secondo consulto gli sarebbe stata rivelata una profezia segreta e che ella potrà
conoscerla solo quando si rivedranno.
Purtroppo non si rivedranno mai più. Jean-Luis Bernard, nel suo libro Storia Segreta
dell’Egitto fornisce un ipotesi sulla motivazione segreta del viaggio all’oasi di Amon.
Nell’opinione di questo autore, Alessandro vi avrebbe incontrato un alto iniziato, in
contatto telepatico con la madre Olimpia.
Gli Dei Cabiri
Chi era in realtà Alessandro, che la storia ufficiale ci presenta come un giovane impulsivo
sino all’eccesso? Perché vengono troppo spesso trascurati e messi in secondo piano momenti
della sua vita scomodi al pensiero razionale? Alessandro è l’ultimo anello dell’antica magia
sacerdotale egizia, passata poi alla cultura greca e che, dopo la morte dell’eroe, ha dovuto
operare nella clandestinità per arrivare intatta ai nostri giorni.
Alessandro ottenne questa magia da due poderosi maghi regali, sua madre Olimpia e suo
padre Filippo di Macedonia, e da un terzo mago “virtuale”, l’ultimo faraone egizio,
Nectanebo II. Secondo Plutarco, Filippo di Macedonia fu iniziato in Samotracia ai misteri
degli dei Cabiri, i cui adepti, sembra praticassero metodi di sperimentazione del
paranormale, come la catalepsia provocata per comunicare con gli dei tellurici, o la telepatia
per comunicare con altri iniziati (come oggi fanno i monaci tibetani n.d.r.).
I Cabiri sono entità con ampi poteri sul fuoco e metalli (alchimisti, n.d.r.) per cui officiare
nei loro misteri conveniva a qualcuno che, come Filippo, aveva una spiccata vocazione
militare. Filippo si innamora di sua nipote Olimpia, la sposa e la inizia ai misteri cabiri.
L’iniziazione dionisiaca
Olimpia, di carattere meno forte e più sensuale dello zio-marito, abbandona presto i cabiri
per misteri orfici e dionisiaci, somiglianti nelle cerimonie sacre a quelle egizie delle Dee
feline Sekhmet e Bastet in cui gli emblemi fallici giocano un ruolo importante. Se nei riti
dionisiaci sesso e vino si porgono come esaltazione delle forze primordiali, nei riti di
Sekmet si tratta di offrire canti e libazioni alla dea del male per appacificarla, ingraziarla
e ammaestrarla. Olimpia una incantatrice di serpenti, suole presentarsi con essi in pubblico
scandalizzando la corte e dormire con essi, considerati Dei proprio come accadeva per gli
egizi. Tutto questo, unito all’eccessiva sensualità della consorte non piace a Filippo che se
ne separa. Sarà Olimpia che alleverà il figlio Alessandro e lo educherà.
I misteri Dionisiaci sembrano trarre la loro origine in Egitto. L’adepto era invitato a
liberarsi dei pregiudizi per recuperare l’aspetto dionisiaco, lo stesso che gli storici
attribuiscono ad Alessandro con tanto di dettagli orgiastici cerimoniali. I riti
comprendevano sette atti: la presa di coscienza, la presa di decisione, la partecipazione al
banchetto rituale, la comunione sessuale, la prova, l’identificazione con Dionisio, che
implicava la flagellazione con un frusta fallica, simbolo della potenza fecondatrice del dio, e
la liberazione mediante la danza.
Il faraone ermetico
Nectanebo II è l’ultimo faraone tradizionale nato in Egitto. È un personaggio affascinante
e, se cosi si può dire, il vero occhio trasmettitore dell’ermetismo egizio al mondo moderno.
A lui si deve la costruzione del tempio di Iside nella remota isola di Philae, ultimo bastione
autorizzato ai riti della religione nilotica, e dove i copti cristiani, organizzeranno secoli
dopo i miti isiaci, convertendo la sacra sorella di Osiride, nelle stesse vergini nere; nere
come il limo del Nilo che secoli dopo verranno adorate dai Templari.
Di Nectanebo II la storia narra che affranto per la pressione dell’esercito persiano si
imbarcò sul Nilo per sparire in Etiopia.
La leggenda, quasi sempre espressione trasfigurata della storia occulta, ci dice senza
dubbio, cose molto più interessanti. Per esempio che l’ultimo faraone egizio era un grande
mago che utilizzava formule della magia tradizionale del suo paese che riuscì a conservare
la pace nel suo paese per molti anni, proprio grazie ad essa.
Un’altra leggenda non meno interessante lo pone in Pella, capitale della Macedonia, dove
nascondendo la sua vera identità, vi si stabilì come astrologo divinatore. Mentre Filippo era
in guerra, il nome del mago travestito arrivò sino ad Olimpia.
La regina lo fa chiamare al suo palazzo e lì avvenne tra loro uno strano idillio, durante il
quale, il faraone detronizzato dice alla sacerdotessa dionisiaca di prepararsi ad incontrare
il dio Amon, che la feconderà e la renderà madre di un figlio straordinario.
Una prodigiosa concezione
Nectanebo si copre la testa con corna posticce e una parrucca di capelli dorati come
incarnazione di Amon e abbigliato con una veste confezionata con pelli di serpente, si offrì
ad Olimpia come se fosse Amon.
Il curioso di questa leggenda è che con essa si materializza la teogamia, una credenza
dell’antico Egitto, secondo la quale il dio primordiale Amon si incarnava nel faraone e
prendeva la regina per generare il discendente, legittimando in questo modo la successione.
Questa leggenda era stata utilizzata come propaganda politica dell’epoca per legittimare la
presenza di un macedone al trono d’Egitto, ma riflette una verità incontestabile: che
Alessandro il Grande, l’ultimo iniziato è anche un figlio spirituale dell’ultimo faraone. Altri
prodigi riguardano il concepimento di Alessandro.
La notte precedente l’incontro sessuale con Filippo incorporante il Ka (spirito in egiziano
n.d.r.) di Nectanebo II o con il proprio faraone travestito da dio, secondo le distinte
versioni, Olimpia fa uno strano sogno: un raggio cade sul suo corpo generando un intenso
fuoco. Da parte sua, Filippo, giorni dopo il suo matrimonio sognò di stampare un sigillo con
l’immagine di un leone sopra il corpo di Olimpia.
Il mago Aristando di Telmeso interpretò il sogno come una profezia secondo cui la regina
sarebbe rimasta incinta e avrebbe dato alla luce un erede focoso quanto un leone. Da
queste circostanze e da questi misteriosi personaggi emerge Alessandro, un leone
destinato a convertirsi nel primo faraone non solo d’Egitto, ma di tutti i popoli conosciuti.
Per questo i maghi sacerdoti di Amon predicevano che sarebbe stato il riconciliatore e
governatore della Terra; un faraone destinato ad ottenere la felicità del mondo, ciò che
secondo Platone, in base alla sapienza egizia “non sarà assicurata sino al giorno che il potere
politico e la filosofia si concentreranno nella stessa persona”.
Un ambizioso progetto
Restano tuttavia molte incognite per risolvere l’enigma dell’origine di Alessandro. Colui che
si avventura in questa ricerca dovrà superare pregiudizi di un’epoca come la nostra, guidata
da un élite che crede solo alla magia dei suoi laboratori. Ma il proposito della magia
generatrice dell’eroe per antonomasia è molto chiaro: ottenere il vero progresso del mondo,
che non consiste, come vogliono farci credere, nell’aumentare le nostre capacità
tecnologiche, ma nell’eliminare le differenze tra le razze, paesi e religioni che ci separano
violentemente.
Poco importa che un tale ambizioso progetto durerà molto poco. Alessandro fallì, però
diffuse una delle più valide testimonianze dell’antico Egitto: il proporre agli uomini una
religione ed un’unione realmente universale, idea che porteranno nuovamente in Europa, nel
Medioevo i Templari, e nell’era moderna alcune logge massoniche, legate da un sottile filo
conduttore che, nato nelle viscere magiche e affascinanti del paese dei faraoni, pare
destinato a non spezzarsi mai.
(ritorna al SOMMARIO)
REX DEUS:
IL LINGUAGGIO SEGRETO DEGLI ESSENI
di Robert Goodman
Esistono documenti segreti sulla vita e sulla
natura di Gesù? Alcuni ricercatori assicurano
che questi scritti sono in possesso di una
società segreta chiamata Rex Deus,
perpetuatasi dal tempo di Salomone
sino ai giorni nostri
Potrebbe essere la storia, una successione di eventi previamente studiati e previsti? Se
così fosse, dovremmo concludere che esiste un gruppo occulto di potere che ne maneggia
fili. I più apocalittici attribuiscono l’origine e le oscure motivazioni di questo controllo a
forze maligne che cercano di impedire il progresso dell’umanità. Ma è realmente così? Per
gli autori britannici Cristopher Knight e Robert Lomas, autori de “La Chiave di Hiram” e “Il
Secondo Messia “ (entrambi editi da Mondadori) i “grandi manipolatori” non hanno
intenzioni tanto funeste come molti credono, in quanto la loro missione sarebbe quella di
contenere le “forze del male “.
I citati studiosi alludono ad una società segreta che opererebbe dai tempi della
costruzione del Tempio di Salomone e alta quale si riferiscono con il nome di Rex Deus (I
Re di Dio), una società occulta che sarebbe la detentrice dei segreti egizi portati a
Gerusalemme da Mosè. Questo gruppo, che potrebbe essersi perpetuato sino ad oggi, contò
tra te sue fila - teoricamente - Gesù di Nazaret, e la loro attività sarebbe stata ereditata
dai nuovi Templari che scavarono sotto le rovine del Secondo Tempio tra il 1118 e il 1128.
Tra di loro si trovava Hugo de Payens, futuro fondatore e leader dell’Ordine del Tempio.
Senza dubbio, la condizione segreta dei Re di Dio non dovrebbe restare segreta per molto
tempo ancora, così che, molto presto - spiegano Knight e Lomas - si mostreranno
apertamente. Quando questo accadrà, mostreranno all’umanità intera le ingiustizie
commesse dalla Chiesa Cattolica, considerata la responsabile di aver occultato la verità su
Gesù e la Chiesa.
Rosslyn, uno scrigno per il tesoro
Gli autori si imbatterono nell’esistenza di Rex Deus durante una ricerca storica, finalizzata
a portare luce sui rituali di iniziazione massonica. Nel loro primo libro, La Chiave di Hiram,
affermano di aver provato che Rosslyn, un forno pubblico che divenne uno dei circoli
massonici più importanti del mondo, era stato scelto come nascondiglio, sotto l’inquisizione
francese, di un consiglio dove si occultarono i manoscritti trovati a Gerusalemme nel XII°
secolo. Secondo Tessa Ransford, esperta di linguistica gallese e direttrice della Biblioteca
di Poesia Scozzese di Edimburgo, lo stesso nome della località “Rosslyn” nasconde alcuni
segreti ai quali fare riferimento. La Ransford spiega che “ross” significa “antiche
conoscenze” e “lynn” sta per “generazione”. In tal modo il nome della località può tradursi
come “conoscenze antiche tramandate per generazioni”. Tessa e i suoi colleghi credono che
questo luogo fu eletto proprio per conservare detti manoscritti. Per confermare queste
conclusioni gli autori verificarono da quale momento storico la parola Rosslyn aveva
designato la località e il castello dal medesimo nome. Arrivarono cosi alla storia della
famiglia scozzese St. Clair (ora Sinclair), giacché William Sinclair fu l’ispiratore della
costruzione della cappella di Rosslyn intorno all’anno 1447. L’iniziatore dell’albero
genealogico fu un cavaliere Normanno, tale William de St. Clair, il cui primogenito Enrico,
ricevette il titolo di Barone di Rosslyn, al suo ritorno dalla prima crociata, poco dopo il
1100. Sembra che Enrico entrò a Gerusalemme accompagnato dal fondatore dell’Ordine del
Tempio, Hugo de Payens, responsabile ultimo nello scegliere la parola Rosslyn per il titolo
del rampollo. Se venisse confermato che il barone Enrico scelse questo nome per le sue
connotazioni ermetiche, potremmo essere davanti alla dimostrazione che i primi Templari
cercavano qualcosa di concreto a Gerusalemme.
Sotto il muro del tempio
Ne Il Secondo Messia, Knight e Lomas presentano l’ipotesi che gli attuali massoni si
svilupparono in Scozia dopo lo sterminio dei Templari nel XIV° secolo.
Questo nuovo gruppo di massoni avrebbe basato le sue credenze negli insegnamenti della
Chiesa di Giacomo di Gerusalemme, supposto fratello di Gesù conosciuto come “il Giusto”
(Sadok in ebreo). È probabile, secondo gli autori, che i Templari trovarono i manoscritti
segreti che gli Esseni, avrebbero occultato all’interno delle mura del Secondo Tempio,
prima che questo venisse distrutto nel 70 d.C.. Dopo la conquista della Città Santa, i pochi
sopravvissuti della Chiesa di Gerusalemme (la comunità essenica di Qumran) furono venduti
come schiavi, ma i loro manoscritti rimasero intatti sotto te rovine del Tempio. Alcune
decadi dopo, i cristiani gentili davano forma ad una nuova religione, a quei tempi conosciuta
come “la setta di Paolo”. La sua dottrina sembrava un ibrido sincretistico che pretendeva di
attrarre un gran numero di persone. Durante tre secoli crebbero nella clandestinità, sino al
20 maggio del 325 d.C., quando Costantino, influenzato da una supposta visione, legalizzò il
Cristianesimo. A partire da allora si aprì una tappa sanguinolenta, un periodo oscuro, in cui
le violenze commesse dagli eserciti cristiani erano all’ordine del giorno. Tra queste si
distingue l’incendio della biblioteca di Alessandria, che il Patriarca di Costantinopoli, San
Giovanni Crisostomo descrisse così: “tutte le vestigia dell‘antica filosofia e la letteratura
del mondo antico sono sparite dalla faccia della Terra “. Il buio abbracciò l’Occidente.
L’istruzione, che secondo i gerarchi era terreno fertile per le eresie, venne proibita e il
Vecchio Mondo cadde nelle tenebre. In tal modo la patriarcalizzazione della Chiesa fece un
passo in più nell’assunzione dei modelli imperiali dominanti e le antiche conoscenze vennero
gettate alle ortiche. L’Arte, la filosofia, la letteratura secolare, l’astronomia, la
matematica, la medicina, incluse le relazioni sessuali si convertirono in tabù. Anche quella
che in assoluto era la vera dottrina del leader giudaico Gesù, venne manipolata dai suoi
continuatori.
Nascite iniziatiche
Sei secoli dopo la distruzione del tempio, il profeta Maometto, ispiratore del nuovo culto
che iniziava ad estendersi in Medio-Oriente, salì al cielo - secondo la tradizione - con la
medesima roccia che Abramo aveva consegnato a suo figlio Isacco per completare il
mandato di Yahvè, e che probabilmente giaceva proprio sotto il sancta sanctorum del
Tempio di Salomone. Nell’anno 691 d.C. si edificò il tempio musulmano conosciuto come la
“Cupola della Roccia” al di sopra dell’antico tempio giudaico di Salomone. Trascorsi quattro
secoli, nel 1071 d.C., Gerusalemme fu bruciata dai turchi e non molto dopo nel 1099, gli
eserciti devastatori cristiani di Papa Urbano II conquistarono la città. Una settimana dopo,
i Crociati elessero Goffredo di Buglione come governatore della città, incarico che occupò
fino alla sua morte nel 1100. In questa stessa data mori anche Urbano II e i crociati
tornarono alla loro terra d’origine. Knight e Lomas sospettano che dietro queste morti,
quasi simultanee, potrebbe essere esistita una sotterranea trama machiavellica con lo
scopo di “eliminarli” una volta completata la loro funzione. Man mano che gli investigatori
avanzavano nelle loro ricerche sembrava che il puzzle si ricomponesse da solo. Uno dei
tasselli fu propiziato dallo storico e scrittore Dr. Tim Wallace Murphy, che dopo una
conferenza sui Templari a Londra, incontrò un anziano dall’aspetto distinto che gli si rivolse
in francese e gli assicurò di essere un discendente di Hugo de Payens. L’uomo gli spiegò che,
al compimento dei suoi 21 anni, il padre gli raccontò una millenaria tradizione orale, secondo
la quale, prima della nascita di Gesù, i sacerdoti del Tempio di Gerusalemme dirigevano due
scuole, una dedicata agli uomini e una alle donne. A quei sacerdoti venivano attribuiti nomi
angelici come, Miguel, Mazaldek o Gabriel ed erano incaricati di trasmettere il linguaggio di
Davide e Levi. Le giovani di quella scuola, quando giungevano alla pubertà, venivano poste in
stato interessante dai sacerdoti e successivamente si sposavano con uomini di provato
onore (altri iniziati N.d.R.) che assicuravano al bambino l’educazione alla tradizione. Al
compimento dei sette anni venivano poi educati nel Tempio. Secondo detta tradizione orale,
una di queste vergini era Maria, che fu resa madre da uno di questi sacerdoti il cui nome
sacerdotale era quello dell’arcangelo Gabriele. Successivamente gli venne proposto come
marito Giuseppe, altro iniziato, che da quel momento diventerà il padre di Gesù. Dopo la
crocifissione, la Chiesa di Gerusalemme, seguendo la tradizione del governo essenico, si
sostenne su tre pilastri: Giovanni, Pietro e Giacomo. Contrariamente a quello che dicono i
vangeli - secondo quanto spiegò a Wallace l’anziano - la morte di Gesù non ebbe grande
ripercussione sul popolo, diversamente da quanto accadde al fratello Giacomo, il cui
assassinio provocò un’autentica rivolta popolare contro i romani. A causa di questi eventi i
sacerdoti esseni fuggirono in Grecia per poi disperdersi per tutta Europa. Nell’anno 600
d.C. ritornarono alla città Santa dove nascondevano ancora alcuni del loro segreti, sotto le
rovine, in un intreccio di passaggi e gallerie, tra i quali le linee genealogiche dei bambini
educati dal sacerdoti del Tempio fin dall’epoca di Davide e Aronne. Quei sacerdoti che
giunsero a Gerusalemme dopo la morte di Giovanni si raggrupparono sotto il nome di Rex
Deus e riuscirono a sopravvivere alla persecuzione giudaica, nel paesi dove si stabilirono
mediante l’adozione di pratiche religiose monoteiste. Tutto con un unico fine: perpetuare il
lignaggio sacerdotale e stabilire il regno di Dio in Terra. Questa fu la storia che il francese
(certamente un iniziate membro della massoneria, diretta erede dell’ordine Templare ed
Esseno) raccontò a Wallace-Murphy. I sacerdoti sarebbero emigrati in Europa per
mantenere intatto l’antico lignaggio, e niente di meglio che farlo nel seno delle famiglie
aristocratiche. Questo sarebbe perfettamente logico in quanto i nuovi Templari che
scavarono nel tempo dal 1118 al 1128 d.C. appartenevano a dette famiglie.
Morte simbolica
Sebbene il racconto di Wallace presentasse risposte ad alcune dette domande di Knight e
Lomas, questi non disponevano di ulteriori fonti di informazione al di là delle parole
dell’anziano, sentendosi in obbligo di verificarle. Poco tempo dopo ricevettero la lettera di
un tale Russell Barnes che afferma di aver conosciuto tempo prima, un musicista jazz,
chiamato Sinclair Trail, e un avvocato, che presentavano una curiosa coincidenza: entrambi
portavano un anello con incisa una colonna.
Per i ricercatori inglesi, la questione era chiarire se questi gioielli erano anelli identificativi
di Rex Deus. Consultarono quindi Robert Brydon, esperto in templari scozzesi, che negò in
termini assoluti la relazione tra questo simbolo e l’Ordine del Tempio. Scartata l’Origine
templare era da appurare se il simbolo appartenesse all’Ordine Segreto di Rex Deus
(sebbene le cose siano collegate n.d.r.). Le piste parevano indicare che Hugo de Payens e i
suoi otto crociati studiarono un piano molto preciso ai tempi dello scavo sotto il tempio. Il
gruppo templare non era costituito da semplici cercatori di tesori ma da depositari di
consistenti segreti che potrebbero aver cambiato la concezione storica del mondo.
I manoscritti della Chiesa di Gerusalemme scoperti da questo primo nucleo templare,
narravano la vita e le opere di Gesù in modo ben diverso da quanto ufficialmente divulgato
dalla Chiesa Romana. Quei documenti presentavano il Nazareno come un leader regio e non
come un Dio. E la cosa più grave era che la resurrezione, secondo queste fonti, fu un errore
interpretativo di Paolo e la sua scuola. In realtà, l’origine del mito avrebbe a che vedere con
un antico rituate durante il quale i nuovi membri del gruppo “resuscitavano vivi”.
Quell’iniziazione consisteva nel fatto che il neofita “soffriva” una morte figurata ed era
avvolto da un lenzuolo bianco da sacrario. La cerimonia continuava con il rito di
resurrezione, una simulazione che li convertiva in nuovi fratelli, membri della comunità.
Questo rituale fu adottato prima dai Templari e poi dal Massoni.
La loggia de “I Perfetti”
L’archivio bibliografico sulla Massoneria del ricercatore bosniaco Dimitrije Mitronovic
sviluppò nuovi dati sui rituali di una società segreta la cui origine risaliva all’epoca della
costruzione del Tempio di Salomone.
Nella documentazione si menzionava un certo Sadok, che secondo una leggenda giudaica fu
il primo sommo sacerdote di Gerusalemme, e colui che incoronò il Re Salomone. Egli
potrebbe essere stato anche uno dei fondatori del Rex Deus. D’altra parte i manoscritti
del Mar Morto e altri documenti antichi ritrovati nel XX° secolo, descrivono la storia di un
gruppo chiamato “Figli di Sadok”, che costituiranno in seguito la comunità di Qumran.
Secondo Knight e Lomas, questo gruppo apparteneva al lignaggio sacerdotale Rex Deus. Nei
libri di Mitronovic, si ricorda la leggenda di come Re Salomone creò la Loggia della
Perfezione, la cui prima riunione ebbe luogo nella cripta del Tempio. La leggenda segue
dicendo che il Tempio di Salomone venne costruito secondo conoscenze antiche trasmesse
ai giudei dai sopravvissuti di una civiltà distrutta durante il Diluvio Universale. Avanzando
nello status, i nuovi fratelli della Loggia ricevevano un anello d’oro.
Per gli autori, questo rituale rappresentava la prova di autenticità dell’Ordine segreto di
Rex Deus, la cui origine risale al Tempio di Salomone.
In più, la cerimonia descritta nei documenti di Mitronovic, spiega come i discendenti della
Loggia della Perfezione accompagnarono i principi cristiani nelle loro crociate in Terra
Santa, e come, poco a poco, i loro segreti furono seminati tra la nobiltà europea grazie alla
Massoneria. E così in avanti fino ai nostri giorni.
Dei e Vergini, amore a prima vista
Quest’articolo è stato gentilmente concesso dalla
rivista spagnola Mas Alla e dallo stesso autore.
Hera ne detiene i diritti per l’Italia
La storia che l'anziano francese raccontò a Tim Wallace non è molto strana se consideriamo le
pratiche di altre culture le quali si riferiscono ai costumi sacri sessuali legati al Tempio e ai suoi
sacerdoti. Nel "Ramo Dorato" di James. G. Frazer leggiamo che in Babilonia, il Santuario del Dio
Baal si elevava sopra la città come una piramide gradinata di otto livelli. L'ultimo di essi era un
grande Tempio (come le piramidi Maya N.d.R.) il cui interno aveva un letto tappezzato e imbottito
con una tavola dorata sul lato. Sembra che in quel luogo portassero una donna scelta di proposito dai
sacerdoti caldei, la cui missione era incontrarsi nottetempo con la deità e giacere con essa nel letto
nuziale. La vergine selezionata fungeva pertanto da consorte del Dio e doveva astenersi dall'avere
relazioni con gli uomini mortali. Anche a Tebe, in Egitto, una donna dormiva nel tempio di Amon con
identiche funzioni e, come la consorte di Baal a Babilonia non poteva avere contatti con nessun
altro. Nei testi egizi è frequente trovare la sposa divina che godeva di una posizione speciale, tanto
importante quanto la regina d'Egitto. I futuri monarchi, secondo la tradizione, venivano generati
dallo stesso re impersonificante il Dio Amon, che si univa sessualmente con l'eletta. La procreazione
divina o teogamia (cfr. articolo su Alessandro Magno in questo numero) è stata rappresentata sui
bassorilievi dei templi egizi a Deir el Bahari e a Luxor. È noto che questa tradizione era molto
diffusa nell'antichità: Secondo il racconto eviscerato a Tim Wallace dall'anziano, una giovane
vergine di nome Maria sarebbe stata scelta da Dio, rappresentato da un sacerdote di nome
Gabriele, per avere un figlio da lei. Il bambino, Gesù, sarebbe entrato al Tempio a sette anni e
sarebbe stato considerato come figlio di Gabriele quale rappresentazione di Dio. In seguito Maria si
sposò con un uomo di ottima reputazione per dare una famiglia a questo bambino ed averne altri.
Senza dubbio. la differenza tra Maria e le elette d'Egitto è che la prima non aveva alcun potere
politico in Israele nel corso della sua vita. Da parte sua Laurence Gardner nel suo libro "La linea di
Sangue del Santo Graal" (Newton Compton - 1997), cita il Vangelo di Filippo come fonte per
affermare che la maternità di Maria era di origine completamente umana e non soprannaturale,
come invece ci è stato insegnato per 2000 anni. In questo vangelo si dice: "qualcuno dice che Maria
generò per opera dello Spirito Santo. Sono in errore, non sanno quello che dicono" in un'altra opera;
nel libro di Giacomo, che si suppone scritto dal fratello di Gesù, si narra come Maria fosse una delle
sette "Almah" o Vergini, consacrate al servizio del Tempio di Gerusalemme. Questa informazione
potrebbe rafforzare l'idea che una di queste vergini concepirà e darà alla luce un figlio, generato
da un sacerdote secondo i modelli dell'antichità; e ciò concorderebbe con la versione data da Tim
Fallace Murphy.
Javier Sierra
(ritorna al SOMMARIO)
TERRA:
QUARANTENA COSMICA
di Paul Roland
Parla Robert Temple, autore de “Il Mistero di Sirio”.
Il contatto con una razza extraterrestre nell’antichità
è come una fiamma accesa nel passato dell’Uomo
per favorire la sua evoluzione
Tra i sostenitori di un contatto dell’uomo con civiltà extraterrestri, in un passato remoto,
Robert Temple occupa un posto d’onore. La sua esaustiva ricerca, pubblicata in origine nel
1976 con il titolo Il Mistero di Sirio (in Italia - Piemme 1999, corposa edizione riveduta e
aggiornata), è stata purtroppo adombrata dallo scarso equilibrio che negli ultimi venti anni
hanno dimostrato molti ricercatori di PaleoSETI.
Il valido studio scientifico di Temple si è rivelato una durevole ispirazione per una schiera
di scrittori quali Robert Bauval, Graham Hancock e Colin Wilson che si sono avventurati
nella ricerca delle origini della civiltà. Temple, eminente studioso classico nonché membro
della Royal Astronomical Society, fu affascinato dalle ricerche degli antropologi francesi
Marcel Griaule e Germaine Dieterlen (cfr. News) su una tribù africana, i Dogon, la quale
sembra conoscesse da secoli che la stella del Cane Sirio fosse un sistema formato da tre
astri, dato poi confermato dagli astronomi solo nel 1995.
La sua compagna principale, Sirio B, era invisibile persino al più potente telescopio, sebbene
si sospettasse la sua esistenza sin dal 1830. La tradizione dogon tramanda che la
conoscenza di Sirio B e di altri dati astronomici (come il fatto che i pianeti ruotano attorno
al Sole, che la Luna è asciutta e senza vita, che Giove possiede dei satelliti e Saturno gli
anelli, che le galassie ruotano a spirate, etc) sono stati rivelati ai
loro antenati da Uomini Pesce provenienti dalla terza stella del sistema di Sirio quasi 5.000
anni fa.
I Dogon chiamavano questi Dèi Nommo e hanno inglobato le storie su di loro nelle cerimonie
e nei rituali
Gli dei d’acqua
L’interesse di Temple in un possibile legame dei Dogon con l’antico Egitto e la terra di
Sumer si intensificò quando comprese che gli antichi Egizi consideravano sacre Sirio, la
stella del Cane, ed Iside, la principale dea dell’ antico Egitto, sorella-moglie di Osiride,
spesso associata a questa stella e rappresentata con due dee minori, suggerendo che gli
Egiziani sapessero che Sirio era un sistema stellare triplo.
Tate conoscenza non era incorporata nei loro geroglifici ma riservata agli iniziati. Temple
rimase anche colpito dal fatto che i Babilonesi, che assorbirono Sumer nel loro impero nel
2.000 a.C., credevano che la civiltà fosse stata fondata da dei in forma di pesce sotto la
guida di un capo chiamato Oannes, un nome sorprendentemente simile al termine maya
"Ooana", che significa "colui che dimora nell‘acqua". Mentre Temple ammette prontamente
che vi sono ancora molte questioni senza risposta sulle quali possiamo solamente speculare,
rimane convinto che un numero di atterraggi simultanei da parte di una razza tecnicamente
avanzata di extraterrestri si verificarono nell’antico Egitto e a Sumer intorno al 3.500 a.C.
Questi visitatori aiutarono i nostri remoti antenati a stabilire la prima civiltà.
Ma com’era in grado Temple di fare differenza tra i resoconti di extraterrestri
nell’antichità e gli elementi puramente mitologici preservati nelle culture delle lontane
terre di Sumer, Egitto e Africa Occidentale?
“Il
consistente ammontare di dati numerici altamente specifici e informazioni
astronomiche che tali culture avevano conservato, mi convinse che non avevo
semplicemente a che fare con mitologia pseudo-religiosa. Ero in grado di dimostrare che la
gran parte di tali asserzioni era astronomicamente corretta. Per esempio. essi avevano
registrato l‘esatta natura di quella che ora chiamiamo la Materia Superdensa. Descrivono
anche accuratamente la superficie della Luna e gli anelli di Saturno. E la loro affermazione
sull‘esistenza di una terza stella nel sistema di Sirio mi portò a profetizzare che gli
astronomi l‘avrebbero alla fine individuata come una nana bianca. La terza stella è stata
scoperta nel 1995, quando gli antichi ne conoscevano l‘esistenza già da millenni senza l‘aiuto
di strumenti“.
Contatti diretti
Temple chiarisce il malinteso che lo vorrebbe assertore di un contatto diretto tra i Dogon
e gli extraterrestri. “Per quanto ne so, gli extraterrestri non scesero nel Mali. I Dogon non
hanno mai rivendicato contatti alieni, né io ho suggerito tale ipotesi. Quello che affermo è
che i loro lontanissimi antenati a Babilonia, Sumer ed Egitto sembrano aver avuto dei
contatti attorno al 3.500 a.C.
La connessione con i Dogon proviene da studi indipendenti di vari antropologi, che hanno
tracciato una comunanza culturale tra queste antiche civiltà. La prova più convincente di un
legame è l‘uso di un vocabolario comune, particolarmente per i nomi sacri. Ad esempio, i
Babilonesi chiamavano le sacre montagne da cui sorgeva il Sole ogni mattina con l‘epiteto di
Mashu.
Ho dimostrato che Mashu è un vocabolo importato dall‘antica parola egizia che sta per
"Scorgere il Sole".
Rimane comunque una domanda cruciale: quanto erano avanzate le idee riguardanti ha
natura dello spazio, la materia e i pianeti, trasmesse dai visitatori ai nostri antenati, a loro
confronto dei primitivi, dando per scontato che non condividevano lo stesso linguaggio?
“Questa è davvero una domanda interessante“, ammette Temple, “Non abbiamo idea di
come comunicassero tali concetti o insegnassero ai nostri antenati quello che reputavano
adatto al loro sviluppo. Sappiamo che le entità che asserivano di provenire da Sirio erano
acquatiche o anfibie.
Ci è ignoto se respirassero l’atmosfera terrestre o se fossero equipaggiati con respiratori
simili a bombole subacquee. Non è possibile ricostruire la loro reale natura a distanza di
cosi tanto tempo, ma conosciamo il loro aspetto fisico poiché è descritto molto
chiaramente negli antichi testi e nelle tradizioni orali. Non ho il minimo dubbio che stiamo
parlando di entità fisiche piuttosto che spirituali osservate in visione, poiché la descrizione
dei dettagli e le loro azioni furono registrate dai nostri antenati. Per riconoscere il valore
di queste tradizioni basta esaminare la profusione di dettagli che riguardano il veicolo
spaziale.
La tradizione dei Dogon distingue chiaramente tra la base orbitante o astronave madre, più
sofisticata e, i veicoli d ‘atterraggio. I Dogon dicono che quando i Nommo apparvero, la
prima cosa che i loro antenati videro fu una nuova stella, che io ritengo sia la base
orbitante. La descrivono mentre si contrae e si espande.
Poi da lì esce un altro velivolo che descrivono come un‘arca che discende con un rumore
potente tra polvere e fuoco — proprio l‘effetto tipico di un veicolo a razzo. La tradizione è
che i Nommo insegnarono all’uomo principi della civiltà come le leggi e la coltivazione del
grano, ma tennero il piede in due staffe stabilendo dei centri sia in Egitto che a Sumer nel
caso che uno dei due fallisse.
Ritengo significativo che entrambi gli avamposti fossero stabiliti nei pressi dell‘acqua
perché sia i Sumeri che gli Egiziani parlano di visitatori con estremità da pesce. “Infatti i
Babilonesi, discendenti dei Sumeri, sottolineano il fatto che i loro “dei” si ritiravano ogni
notte nelle profondità acquatiche“.
Toccata e fuga
Nei vent’anni dalla pubblicazione originate de Il Mistero di Sirio ha convinzione di Temple
di un contatto extraterrestre nell'antichità si è fortificata dopo aver scoperto descrizioni
di deità simili nei miti di altre culture, specialmente Cina e Grecia.
Ma l’autore rifiuta la tentazione di speculare sul problema se i visitatori affidarono o meno
agli antichi una conoscenza tecnica avanzata che è andata poi perduta. “Perché la gente è
cosi bramosa di credere che gli extraterrestri avrebbero affidato un alto know-how
tecnologico ai nostri antenati in confronto primitivi?” si domanda.
“Come mai una specie avanzata consegna dei computer ad una società istruita, ma pur
sempre primitiva? Io considero che loro ci abbiano proposto un grande piano. Hanno creato
presso i nostri antenati la prima civiltà e introdotto i principi dell‘agricoltura e delle leggi,
che a parer mio è un grande dono, più che se avessero lasciato la cura per il cancro. È
puerile e stupido pensare ad un antico contatto extraterrestre come una sorta di missione
intergalattica d‘aiuto. Gli extraterrestri non sono della mentalità di impedire il corso
naturale dell’evoluzione né di comportarsi come entità soprannaturali con la missione
spirituale di portare l‘illuminazione ai selvaggi. Sembra invece che essi ci abbiano lasciato
alla prima fase del nostro sviluppo, permettendoci di continuare da soli il cammino dopo
essere stati introdotti agli alti principi della civiltà“.
Il guardiano cosmico
È piacevole incontrare uno scrittore colto e di ampie vedute che ama la sua materia, senza
essere per questo dogmatico e insistente sul fatto che “la verità è la fuori” e che soltanto
lui la conosce e sappia dove trovarla. “Non pretendo di detenere la verità”, confessa. “Odio
le sette, i culti e i guru e mi tengo a un chilometro di distanza da chi professa di possedere
tutte le risposte. Ma sono certo della mia ricerca.
Non accetto il fatto che i precedenti studiosi e scrittori fossero nel giusto, come molti che
lavorano in questo campo fanno. Non ho mai cominciato con dei preconcetti, né ho
dichiarato di spiegare una teoria preferita e selezionato le prove perché calzassero. Non
ho mai insistito nell‘aver ragione“.
Per enfatizzare il concetto, nella nuova edizione de Il Mistero di Sirio, Temple sfida i
tradizionalisti e i revisionisti sull‘origine e lo scopo del più enigmatico degli antichi
monumenti, la Sfinge. Recenti ricerche dell‘egittologo indipendente John Anthony West e
del geologo Robert Schoch suggeriscono che la Sfinge sia probabilmente un artefatto di
una civilizzazione precedente all‘Egitto dinastico e che fu scolpita con il volto di leone, non
di un faraone come gli egittologi sostengono. La controversia di West sul fatto che la
Sfinge sia più antica della data ufficiale del 2.400 a.C., sembra scaturire dalla scoperta di
Schoch che il monumento mostra tutti i segni di un’erosione da parte dell‘acqua, ridatando
in tal modo la costruzione ad un ‘epoca in cui l‘area era quasi tropicale, più probabilmente
tra il 7.000 e il 5.000 a.C.
“Potrebbe essere esatto, ma nel loro incomprensibile entusiasmo di rigettare la visione
ortodossa hanno accettato l‘elemento speculativo insieme alle prove scientifiche. Sono
affascinato dal fatto che molta gente accetti ciecamente la conclusione che la Sfinge può
aver posseduto in origine il corpo e la testa di un leone, mentre i loro occhi direbbero
sicuramente che non ha affatto caratteristiche leonine! Anche tenendo conto dell‘opera di
restauro del faraone Kephren nel 2.500 a.C., non v‘è traccia alcuna di fattezze feline.
Non esistono una coda di leone col ciuffo, caratteristiche tipiche dell‘animale o traccia di
dove possa esser stata la criniera. Più significativamente ha una schiena perfettamente
dritta che non è propria del leone, ma è compatibile con il corpo di un cane.
Il mio assunto è che la Sfinge fosse in origine Anubi accucciato - Dio dei Morti dalla testa
di sciacallo e figlio di Osiride.
È generalmente accettato che le tre piramidi erano parte del culto di Anubi ed è più
probabile che la Sfinge abbia preso la forma di Anubi come guardiano del sacro sito“.
Una specie psicopatica
Se fosse vero che abbiamo avuto un contatto con un’avanzata razza extraterrestre
nell’antichità, perché la loro influenza è stata cosi debole? Perché l’uomo moderno è cosi
riluttante ad accettare l’esistenza di una realtà più grande? “Questo solleva una questione
seria circa la natura della nostra specie. Dobbiamo solo ricordare a noi stessi che in questi
tempi cosi illuminati abbiamo avuto due guerre mondiali e milioni di morti causati da un
cosiddetto popolo civilizzato.
Forse un contatto extraterrestre su larga scala non è avvenuto perché siamo considerati
da altre razze come una specie psicopatica e ci hanno relegato in una sorta di quarantena
cosmica. Noi potremmo essere un‘aberrazione, non loro.
Non sarebbe sorprendente che altre razze siano caute nello stabilire un contatto più
ampio. Esistono all‘incirca cinque miliardi di persone su questo pianeta, tutti dotati di un
cervello ma che pochi sanno usare.
Questo equivale ad avere nella testa chip di un computer Pentium ma di aver dimenticato
come metterli in funzione. Naturalmente, abbiamo la capacità di elevare la nostra
coscienza, ma la maggior parte di noi sceglie di dormire in piedi nella vita“.
La stella della Decima Luna
Un atterraggio su larga scala è quello di cui abbiamo bisogno per svegliarci? Temple ne è
convinto “Sono molto speranzoso sul ritorno di coloro che ci visitarono nei tempi antichi. Gli
extraterrestri dovevano padroneggiare l‘animazione sospesa come elemento fondamentale
dei viaggi interstellari.
È improbabile che abbiano pianificato la loro visita alla Terra come un viaggio di sola
andata. Li immagino che ancora stiano orbitando là fuori in animazione sospesa. Le mie
speranze sono imperniate sul fatto che i Dogon dicono che la nuova stella ha lasciato il cielo
quando i visitatori sono ripartiti ed essa si trasformò in quella che chiamano la stella della
Decima Luna.
Tutte le culture che ho esaminato ci rivelano che i visitatori si ritirarono verso le regioni
esterne del Sistema Solare. Con questa affermazione ci si può riferire solamente a Phoebe
- una delle lune di Saturno - la quale è l‘unica fra i suoi satelliti ad apparire perfettamente
rotonda e liscia come una struttura artificiale, piuttosto che un corpo planetario. Questo
mi fu confermato da uno scienziato della NASA. Phoebe, inoltre, ha un ‘orbita altamente
retrograda ed è la decima in termini di grandezza. In tal modo Phoebe può assurgere
letteralmente a Stella della Decima Luna.
Non è una coincidenza che la NASA abbia di recente inviato la sonda Cassini per studiare le
anomalie intorno Saturno. Quando giungerà nel 2004, è in apparenza programmata per
compiere ogni genere di manovre contrarie alle procedure standard. Curiosamente, la
natura della sonda Cassini non è stata mai completamente rivelata.
La NASA afferma di non aver deciso ancora come programmarla, cosa ridicola
considerando l‘enorme dispendio di soldi e pianficazione profuso in tale missione. Nel 2004
la NASA saprà la verità ma state pur certi che il pubblico non ne verrà mai a conoscenza.
Dovete solo osservare quanto sta accadendo con Marte e la possibilità che un tempo sia
esistita su di esso una forma di vita“.
Sembrerebbe quindi che l‘unica cosa da temere sia la nostra reazione e non i visitatori
stessi. Dopotutto, la tua ricerca suggerisce che sono i fondatori di civiltà evolute.
“Hanno investito molto sul nostro pianeta -continua Temple - per farci procedere sulla
giusta strada, per cui è inconcepibile che distruggano il loro "esperimento".
(ritorna al SOMMARIO)
Posta
A spada tratta
Vi scrivo per esternare il mio stupore ed imbarazzo per la brutta figura (ed è un pacato
eufemismo) offerta a milioni di spettatori da TMC da Adriano Forgione, in quanto
rappresentante di UFO Network. Mi chiedo come sia potuto accadere.
Sono rimasto deluso (...) non come ufologi in senso stretto, perché ciò non basta per niente
a mettere in dubbio la mole di materiale alla cui raccolta vi dedicate con passione sincera,
ma da voi in quanto ufologi in senso lato, nel senso di investigatori e verificatori, e in un
secondo tempo divulgatori, di quella realtà non facilmente verificabile dalla stragrande
maggioranza delle persone.
Non riesco a capacitarmi su come il caposervizio della redazione di uno dei principali
periodici nazionali di ufologia possa essere caduto in modo così clamoroso in una trappola
del genere (…). Forse è stata una operazione di debunking con manipolazione di materiale
mostrato, ma francamente non arrivo a pensare che sia così. Non rimane che pensare alla
poca serietà, alla superficialità con la quale vi esponete.
(…) Spero che abbiate l’umiltà e la pazienza di dare una risposta alle mie domande.
Roberto De Angelis
Risponde Forgione:
questa è una lettera passatami dagli ex colleghi di UFO Network, successiva alla
trasmissione “Stargate linea di confine” del 24.10.99, alla quale ho partecipato e per la
quale sono stato da più parti criticato. Ho risposto alle prime critiche attraverso il
bollettino telematico del CUN “La Rete “, ma ripropongo la questione in questo contesto
poiché ritengo sia un fatto dovuto.
Per quanto riguarda l‘alieno nella piramide di Saqqara, avevo già prima della trasmissione
comunicato a Roberto Giacobbo che si trattava di una “bufala” nata su Internet. Preciso
che la mia presenza era stata richiesta non per parlare di UFO ma di Atlantide. Infatti, se
qualcuno ha potuto videoregistrarla, non ho fatto minima menzione alla questione ufologica,
limitandomi invece ad esporre argomentazioni circa l‘esistenza di un terra ponte tra
America e Vecchio Mondo, non necessariamente da localizzarsi nell’Atlantico.
Pertanto alle argomentazioni dell’egittologo Francesco Tiradritti contro l’aereo di Saqqara
(oggi non più esposto al museo del Cairo, ma “sparito” misteriosamente, forse occultato
perché scomodo) ho risposto avanzando teorie che fondavano il loro valore su studi
specifici e sui reperti “aerodinamici” della cultura Calima della Colombia del I° secolo d.C.
Ho riaffermato l‘esistenza di Atlantide con queste parole: “questa civiltà fa parte della
nostra storia, e come tale deve essere considerata. Una realtà storica di cui dobbiamo
riappropriarci”.
Questo
non
vuol
dire
vedere
UFO
dappertutto,
sebbene
sia
un
sostenitore
dell‘ESOGENESI dell‘Uomo (l‘intervento di intelligenze esterne alla Terra, nel processo di
creazione umana). Se i geroglifici del tempio di SETI I mostrano veri aerei ed elicotteri, o
sono solo il risultato del caso, generati quindi dalla sovrapposizione di iscrizioni di due
periodi successivi (Seti I e Ramses II), è una questione che non può essere risolta nell‘arco
di una trasmissione, ma deve essere portata avanti con l‘aiuto degli egittologi, in quanto
studiosi in grado di interpretare il geroglifico.
Tiradritti in quell‘occasione presentò uno studio analogo a quello pubblicato in precedenza
da Zaki Hawass, e ripreso anche da diversi siti ufologici italiani ed internazionali.
La mia risposta finale di soddisfazione non era una dimostrazione di sottomissione ma solo
la disponibilità “in quanto giornalista” a prendere seriamente in considerazione lo studio e
presentarlo anche attraverso le riviste che devono occuparsi anche di derimere un mistero
e non solo alimentarlo.
Altrimenti, nella ricerca dell’eccesso si rischi il ridicolo. Lo studio di Tiradritti è solo una
delle spiegazioni per quei bassorilievi, la risposta dell‘egittologia ufficiale, se così si può
dire, che deve essere valutata e considerata.
Questo non vuol dire accettare ciecamente ogni risposta, ma continuare a studiare
attraverso una metodologia interdisciplinare, ogni indizio o reperto che non si accorda con
il paradigma corrente.
Ed è quello che continuerò a fare attraverso questa rivista, sostenendo le opinioni di chi
voglia ricercare in questi campi. Difendo a spada tratta l‘interazione tra uomini di questa
Terra e altre intelligenze provenienti da “Oltre” (lo avrà visto dagli articoli di questo
numero), e sono convinto che questa interazione abbia interessato anche le civiltà che ci
hanno preceduto, ma attenzione, gli UFO non sono dappertutto e soprattutto non in quei
bassorilievi.
Mi dispiace solo che il mio intento, motivato da uno slancio costruttivo, non sia stato capito
appieno.
Sperando che “Hera” possa aiutare nella ricerca della verità, invito tutti a scrivere ed
aprire un costruttivo dibattito sull’affascinante storia umana
Indirizzate te vostre lettere a:
Hera
Via Monte Vettore 10
00012 Guidonia Montecelio
(ROMA)
(ritorna al SOMMARIO)