Pagine da Luglio-Agosto 2012-4
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Pagine da Luglio-Agosto 2012-4
VANGELO “QUI-ORA” Giàiro e la donna «La tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita» di Carlo Broccardo l racconto evangelico che leggiamo oggi, dalla liturgia di domenica 1 luglio (XIII del tempo ordinario), è uno dei brani piú lunghi del vangelo secondo Marco. Di solito, questo evangelista è piú sintetico degli altri, preferisce racconti brevi che riporta con uno stile molto vivace; questa volta invece è piú lungo di Matteo e Luca, ma non perde la sua abituale vivacità. Utilizzando una tecnica narrativa che gli riesce particolarmente bene, Marco ci racconta la vicenda di Giàiro incasto- I nando al suo interno quella dell’emorroissa. “Emorroissa” è un aggettivo, significa “che ha perdite di sangue”, ed è il nome con cui la tradizione ha ricordato questa donna, di cui nessun evangelista ci fa conoscere il nome. E questo è già un primo confronto tra i due protagonisti del nostro episodio: di Giàiro conosciamo il nome, della donna no. Uno a zero per Giàiro. La “superiorità” di Giàiro però non finisce qui: la donna è una persona qualunque, tra le tante della folla che cir- Essendo Gesú passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto (...), udito parlare di Gesú, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentí nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesú, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male». Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesú, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare. Mc 5,21-43 Foto nellʼaltra pagina: i due miracoli, nelle belle miniature del “Codice De Predis”, 1476, Torino, Biblioteca Reale. condava Gesú. Giunti al capitolo quinto del Vangelo, abbiamo un Gesú che ha fatto molti miracoli e gode di una fama smisurata: dovunque si rechi, c’è una folla enorme ad attenderlo; tra tutti questi, una donna si avvicina e – come molti – spera di essere guarita dalla sua malattia. L’emorroissa è una delle tante; Giàiro invece è uno dei capi della sinagoga, cioè una delle persone piú importanti della comunità. Due a zero per Giàiro. Un altro punto a favore del nostro personaggio va segnato se guardiamo al motivo per cui ha chiesto l’aiuto di Gesú: sua figlia dodicenne sta per morire. La donna invece è “solo” ammalata; certo che la sua malattia non dev’essere stata piacevole, ma da dodici anni ce l’ha ed è ancora viva (e se può avvicinarsi a Gesú con le sue gambe, vuol dire che tanto grave non è), mentre la situazione per la figlia di Giàiro è molto piú drammatica. Tre a zero? Indubbiamente, Giàiro è piú approfondito, come personaggio; la donna non ha volto-nome, non appartiene ad una categoria sociale, non ha neppure un problema cosí grave da poter attirare l’attenzione di Gesú. Ma ha qualcosa che la rende grande: la fede. «Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”. E subito, come ebbe toccato il mantello di Gesú, le si fermò il flusso di sangue e sentí nel suo corpo che era guarita dal male». L’emorroissa fa di tutto per rimanere anonima, perché la sua malattia era “contagiosa”; non nel senso medico, ma da un punto di vista di purità rituale: secondo la legge del Levitico, entrare in contatto con il sangue o con un cadavere (l’idea è la stessa, nel senso che una perdita di sangue è in un certo senso una perdita di vita) rendeva impuri. È un concetto un po’ lontano dalla nostra mentalità, ma ci basti sapere questo: lei fa di tutto per rimanere anonima, e invece Gesú la costringe a venire allo scoperto. Perché? Non per rimproverarla e men che meno per umiliarla pubblicamente. Gesú sa che la sua azione nasce dalla fede e vuole che questa fede sia pubblica, sia nota a tutti. Perché è un esempio. «SU, ÀLZATI» OGNI GIORNO Qual è il miracolo piú grande: risorgere o nascere? Per tornare alla vita bisogna esserci già stati. Venire alla luce, dal nulla, esistere, prendere un nome e un posto nel mondo, essere una persona che prima non c’era. Miracolo e mistero che esce dalle mani di Dio. Attimo irripetibile, unico, definitivo. «Vuol assistere alla nascita di suo figlio?», chiede l’ostetrica gentile. In un reparto maternità sta per ripetersi il miracolo miliardi di volte replicato. La mamma è già in sala parto, il papà resta lí con la faccia tirata dall’attesa. «È un’esperienza bellissima», incalza l’ostetrica. Lui lo sa, ma non se la sente, teme d’esser d’inciampo. «Se ci ripensa lo dica, in qualunque momento», insiste la ragazza. Sorride, è serena. Le sue mani s’apprestano a tirare nella vita un uomo nuovo, e lei vorrebbe che quell’attimo fosse condiviso. Ha poco piú di vent’anni, gli occhi allegri dietro gli occhiali. Chissà quanti piccoli avrà già aiutato a nascere, quante volte avrà dato una mano a Dio. Saprà d’esser complice d’un miracolo? Perché quando la porta si riapre, c’è una persona in piú, è arrivato uno che prima solo Dio conosceva. L’ostetrica affaccendata torna a sorridere, ha fatto la sua parte; papà, mamma e piccolo se ne vanno un po’ piú in là. Col telefono il miracolo viaggia fuori di quelle mura, è notizia condivisa, gioia gustata da tanti cuori. La nascita, l’ostetrica, i medici, quegli attimi, tutto resterà un ricordo. Anche il dolore, anche le attese snervanti. Ma il miracolo c’è stato, grande, potente, misterioso. Come se fosse venuto Gesú in persona e avesse ridetto quelle parole magiche: “Talità kum”, Alzati! Esisti! Nasci! Nessun altro è degno d’esser chiamato miracolo. Finché non risorgeremo. Finché non sarà ripetuto l’ordine: “Talità kum”. Tutto il resto, tecnica, scienza, politica, potenza, è nulla. L’uomo è piú grande quand’è piú piccolo, e non lo sa. In quel reparto maternità c’è un manifesto. Dice: «Un bambino è qualcuno che proseguirà ciò che voi avete intrapreso. Egli siederà nel posto in cui voi siete seduti e, quando ve ne sarete andati, dedicherà le sue cure alle questioni che voi oggi ritenete importanti. Voi potete adottare tutte le linee di condotta che vorrete, ma a lui spetterà il modo di metterle in opera. Egli prenderà la direzione delle vostre città, stati e nazioni. Prenderà il posto nelle vostre chiese, scuole, università, corporazioni e le amministrerà. Tutti i vostri scritti saranno giudicati, lodati o condannati da lui. La sorte dell’umanità è nelle sue mani». Firmato: Abramo Lincoln. L’aveva compreso, Lincoln, che la vita è il solo miracolo, e non va sprecato. Anzi, Dio lo divide con noi e vuol farcene protagonisti, attivi e responsabili. Siamo le sue mani. Come l’ostetrica sorridente, ci chiama a ridire quelle parole: «Talità kum. Alzati, nasci, esisti, sii consapevole d’esser uomo, amato da Dio, chiamato all’esistenza una volta per sempre. Vieni, sollevati, anche quando il fardello ti schiaccia, non sei nato per la morte». Se crediamo al miracolo della vita, quelle parole risuoneranno per noi: «Talità kum. La tua fede ti ha salvato. Vieni nella pace». E sarà di nuovo miracolo. P.M. Subito dopo, infatti, vengono dalla casa di Giàiro – quello importante, ricordate? – a dirgli che non occorre piú disturbare Gesú, tanto sua figlia è morta. Non proprio bello come messaggio, e neanche comunicato con troppo tatto; poco importa: risponde Gesú, che dice al capo della sinagoga parole piene di significato: «Non temere, soltanto abbi fede». Ecco perché era importante rendere pubblica la fede dell’emorroissa: perché diventasse esempio per il capo della sinagoga. Lei ha creduto, e ora Gesú dice a Giàiro: anche tu abbi fede, credi, come lei. Poco dopo la morte di Madre Teresa di Calcutta, su Famiglia Cristiana era apparsa una vignetta molto bella. Erano disegnati due uomini davanti al feretro, alla bara di Madre Teresa; il primo, facendo evidentemente riferimento alla sua statura molto bassa, dice: “…che piccola!”. Il secondo risponde invece dicendo: “che grande!”. Che piccola, l’emorroissa, rispetto a Giàiro; ma cosa importa? La fede non va a quantità e non è solo delle persone importanti; capita, è capitato anche a Gesú, che una donna cosí semplice, una persona qualunque, sia diventata maestra di fede. l 5