XXVII Convegno SISP - Società Italiana di Scienza Politica

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XXVII Convegno SISP - Società Italiana di Scienza Politica
XXVII Convegno SISP
Università di Firenze
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Centro Interuniversitario di Ricerca sul Sud Europa 12 - 14 settembre 2013
“Mujeres luchando, el mundo transformando”. Donne e partecipazione politica dal
basso in Messico.
Alice Poma, <[email protected]>
Tommaso Gravante, <[email protected]>
1. Introduzione. Oaxaca: una rivolta dal basso.
Da metà del 2006, la città di Oaxaca, situata nel Messico meridionale, iniziò a occupare uno
spazio sempre maggiore nei media nazionali e internazionali, a causa delle proteste della
sezione statale (dello stato di Oaxaca) del sindacato dei maestri (SNTE, Sezione 22) contro
le politiche del Governatore Ulises Ruíz, che si trasformarono in poco tempo in una vera e
propria insurrezione popolare con una forte connotazione anti-autoritaria. Come mette in
evidenza Thompson (1989), dalla protesta si sviluppa non solo una solidarietà con, ma
anche una solidarietà contro, infatti, indipendentemente dallo scarso appoggio popolare di
cui godeva il sindacato accusato di difendere privilegi di settore, la risposta alla violenta
repressione subita dai maestri il 14 di giugno fu massiccia. La gente inondò le strade e le
piazze della città per manifestare, più che a sostegno del sindacato, contro le politiche
repressive che Ulises Ruíz imponeva dall’inizio del suo mandato, iniziato nel 2004,
politiche che rappresentavano una linea di continuità con quelle che il suo partito, il PRI1,
imponeva in tutto il Messico interrottamente da circa ottanta anni.
Alla fine di giugno del 2006 e per i successivi cento giorni, la gente ordinaria, composta
soprattutto da persone provenienti dalle classi sociali più povere della città, si autoorganizzò per protestare contra tutta la classe politica e imprenditoriale locale,
riappropriandosi delle strade, delle piazze e dei quartieri periferici e realizzando esperienze
politiche e sociali basate sulla solidarietà e lo spirito comunitario. Ben presto, le richieste
del movimento popolare, che chiedevano la dimissione di Ulises Ruíz, furono sostituite da
pratiche ed esperienze alimentate dall’immaginario sociale che voleva veder realizzarsi il
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Partido Revolucionario Institucional.
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lemma “otro mundo es posible”.
Il primo di agosto del 2006, essenzialmente attraverso il bocca a bocca, le donne presenti
nel movimento organizzarono la marcha de las cacerolas, il corteo delle pentole. Per la
prima volta a Oaxaca, e in Messico, donne provenienti da diverse estrazioni sociali,
casalinghe, studentesse, maestre, professioniste, etc. decisero di vivere questa rivoluzione
popolare in prima linea e, occupando autobus, taxi o andando a piedi, si concentrarono
presso la periferica Fontana delle Sette Regioni per marciare rumorosamente su centro di
Oaxaca. Ognuna portava una pentola, un tegame, una scatola di latta su cui picchiare e far
sentire non solo il proprio dissenso verso il Governatore, ma soprattutto il rifiuto verso tutta
una serie d’ingiustizie subite nella vita e verso una società, quella messicana, in cui la
donna è tuttora sottomessa al dominio maschilista e patriarcale.
Da questa marcia sorse una delle esperienze di autogestione ed emancipazione, non solo di
genere, più importanti sia per Oaxaca come per tutto il Messico: l’occupazione del Canale
Statale di Radio e Televisione, CORTV, da parte di centinaia di donne. Per più di un mese
una stazione radio e un canale televisivo furono gestiti da decine di donne. L’esperienza di
CORTV, terminò alla fine agosto, quando il Governatore inviò i suoi mercenari a sparare
sulle antenne, rendendo inservibili i ripetitori. Ma per quelle donne che si barricarono
dentro la TV, e che impararono a usare la tecnologia, a organizzare il palinsesto radiotelevisivo, a parlare attraversi quei mezzi a tutta la città e lo stato, la vita cambiò per sempre.
L’insurrezione continuò fino a fine ottobre quando la polizia militare, la PFP2, entrò nella
città per reprimere la ribellione, lasciando, a fine gennaio del 2007, un saldo temporaneo di
23 morti, 600 detenuti e più di 200 desaparecidos (CCIODH, 2007).
Anche se le proteste continuarono per tutto il 2007, il movimento perse la sua base popolare
a causa della politica del terrore promossa dalla classe politica e dalla repressione esercitata
dalle autorità poliziesche. Nonostante questo, molte donne che parteciparono nel
movimento non poterono tornare alle loro vite precedenti. Durante l’esperienza di protesta
si crearono forti legami di solidarietà, aumentò l’autostima, nacquero nuove amicizie, e la
condivisione delle ingiustizie e delle violenze subite nella propria vita le portò alla
necessità di creare nuovi collettivi attraverso i quali continuare il percorso verso
l’emancipazione iniziato con la partecipazione nella lotta popolare.
L’obiettivo della presente comunicazione sarà presentare un’analisi dal basso di due
esperienze di collettivi nati dal movimento popolare del 2006 descritto in precedenza. La
prima esperienza considerata è il collettivo Mujeres Nuevas (Donne Nuove) nato da alcune
delle protagoniste dell’occupazione di CORTV che sentirono la necessità di trovare un
proprio spazio da cui rivendicare l’emancipazione della donna al di fuori del circuito
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Policía Federal Preventiva.
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ufficiale promosso dal governo e dalle ONG. La seconda esperienza è un workshop
permanente di autodifesa, Lucha Chula (Lotta Ganza), il quale è promosso da giovani
donne che provengono dall’area libertaria e che parteciparono nell’insurrezione di Oaxaca.
Prima di esporre l’analisi del lavoro, dedicheremo i paragrafi successivi alla metodologia di
ricerca utilizzata e ai casi di studio, e in seguito esporremo gli strumenti teorici su cui
abbiamo basato l’analisi.
2. Metodologia della ricerca e casi di studio.
La scelta di concentrarci sul processo di cambio ed emancipazione delle donne che si sono
organizzate nei collettivi studiati, ha richiesto l’applicazione di una metodologia
esclusivamente qualitativa, che permettesse di analizzare la dimensione emotiva e
biografica della protesta. Le tecniche di ricerca utilizzate, interviste in profondità, storie di
vita e gruppi di discussione, sono state analizzate attraverso il metodo narrativo. La scelta
del metodo narrativo si è rivelata particolarmente utile nello studio del cambiamento,
perché permette di descrivere il prima e il dopo rispetta a un punto di rottura, così come è
stato il conflitto di Oaxaca, oltre che per essere vincolato direttamente con l’aspetto
emotivo (Poggio, 2004, p. 103). In accordo con la ricercatrice Barbara Poggio, il valore
epistemologico della narrazione risiede nell’essere una metafora utile per la comprensione
del mondo, mentre il valore ontologico risiede nella dimensione attraverso la quale le
persone presentano se stessi e gli altri (2004, p. 20).
Nell’insieme, nei due casi di studio, abbiamo realizzato quindici interviste in profondità e
cinque storie di vita. Indipendentemente dall’importanza data all’esperienza biografica,
abbiamo ritenuto opportuno realizzare anche due gruppi di discussione, uno per ogni
collettivo considerato. Questa scelta è nata dalla volontà di voler discutere con le
protagoniste riunite collettivamente il cambio e il processo di empowerment emerso nelle
sessioni individuali, favorendo la comprensione delle motivazioni e l’approfondimento di
forma collettiva di aspetti ritenuti rilevanti.
I collettivi che hanno partecipato nella nostra ricerca, come già accennato in precedenza,
sorgono dall’esperienza del 2006, e se pur motivati da necessità diverse hanno delle
rivendicazioni in comune: prima fra tutte la lotta alla violenza sulle donne3. Il collettivo
Mujeres Nuevas –MN-, nasce nel cuore della protesta popolare del 2006 ed è costituito per
la maggior parte da donne over 50. Il collettivo sorge dall’esperienza comune
dell’occupazione di CORTV e dalle relazioni che si crearono durante il conflitto. Il
collettivo nasce dall’esigenza di riaffermare l’essere donna in tutta la sua completezza e
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Lo Stato di Oaxaca presenta uno degli indici di femminicidio più alti del Messico. Dall’inizio del 2013 sono
state assassinate 23 donne, il cui omicidio è stato catalogato dagli inquirenti come “feminicidio”, mentre le
assassinate sono 197 da inizio del 2011. Come in tutto il Messico, a Oaxaca il numero di femminicidi è in
aumento, a differenza della risposta sociale e politica che rimane volutamente debole e scarsamente incisiva.
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non come un soggetto categorizzato, così come succede agli indigeni. Le donne di MN
appartengono a una classe sociale bassa o media-bassa, alcune di loro sono maestre nelle
comunità indigene (o lo sono state), altre sono venditrici ambulanti, poche sono
professioniste o autonome. Tutte sono accomunate da un passato caratterizzato da violenze,
soprusi e ingiustizie. Il collettivo MN si struttura di forma orizzontale e assembleare, non vi
sono leader e le decisioni sono prese per consenso e non per votazione. Non accettano
finanziamenti da parte dello stato o delle ONG, per non dover sottomettersi alle loro
direttive, e autogestiscono sia le iniziative che le risorse. Da più di sette anni lavorano con
donne che vivono nei quartieri periferici della città, poveri e degradati così come con donne
delle comunità indigene4. Attraverso laboratori di saponi, erbe officinali, corsi di teatro
dell’oppresso in cui affrontano il tema della violenza o dell’aborto5, queste donne cercano
di avvicinarsi a quell’universo femminile volutamente dimenticato dallo Stato e dalle
Istituzioni e continuamente violentato. Oltre al lavoro verso l’esterno, il loro percorso
educativo si caratterizza per essere rivolto a loro stesse, attraverso l’organizzazione di
laboratori, seminari e incontri con esperte o donne di altre esperienze, dalle quali cercano di
apprendere tutto quanto le permetta di sviluppare una visione critica della realtà per poi
trasmettere questo bagaglio di conoscenze ad altre donne.
Il secondo collettivo, Lucha Chula –LC- nasce nel 2010, a circa quattro anni
dall’insurrezione popolare da parte di ragazze under 30, appartenenti alle classi basse o
medio-basse e con un alto livello di istruzione. Ognuna delle intervistate, partecipò nel
movimento di protesta, sia facendo parte de un collettivo che a livello individuale, e molte
di loro provengono da esperienze libertarie. Anche le ragazze di LC si organizzano in
forma orizzontale e assemblearia, autogestiscono le proprie iniziative e non si relazionano
con nessuna organizzazione istituzionale, politica o sociale. Il collettivo organizza ogni
sabato, di forma continuata dal 2010, un workshop di autodifesa femminile. Il laboratorio è
gratuito, e anche gli esperti e professionisti vi partecipano volontariamente. Oltre ad avere
una sede in uno spazio sociale libertario, il laboratorio è itinerante e si “muove” nei
quartieri periferici della città e nelle comunità indigene. Indipendentemente dalle
partecipanti, che possono variare di sessione in sessione, e dalla continuità che molte di loro
non riescono a dare, il workshop Lucha Chula è diventato un punto di riferimento a Oaxaca
per ragazze e donne che vogliono reagire alla violenza. L’obiettivo delle ragazze di LC,
oltre a dotare le donne di alcuni strumenti di autodifesa fisica, è quello di combattere
l’isolamento, la paura, la rassegnazione e la depressione che colpiscono le donne che
finiscono per abituarsi alla violenza quotidiana.
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Lo Stato di Oaxaca, oltre a essere uno tra gli stati più poveri del Messico (insieme a Chiapas e Guerrero) è
uno degli stati con maggiore presenza indigena non solo in Messico ma in tutta la regione latinoamericana.
Inoltre, è l’unico stato della Repubblica in cui è riconosciuta l’autonomia politica delle comunità indigene, le
quali costituiscono circa il novanta per cento di tutti i municipi dello stato.
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In Messico é ancora illegale, tranne che a Città del Messico.
4
I collettivi analizzati, MN e LC, non sono le uniche esperienze “al femminile” sorte dal
movimento del 2006, infatti si potrebbero mappare decine di collettivi e organizzazioni di
genere che parteciparono nelle proteste. La scelta di una lettura dal basso ci ha portato a
escludere tutte quelle esperienze che per un motivo o per un altro sono state vincolate a
partiti politici, ONG e altre istituzioni pubbliche. L’analisi from below che descriveremo
nel prossimo paragrafo, ci ha direzionati verso quelle attività costituite da gente normale
che generalmente sono state minimizzate, o addirittura accusate di essere azioni interessate
e individualiste (Krauss, 1993); mentre, in accordo con l’autrice, rivelano un mondo più
ampio di intendere le relazioni di potere, la lotta e la resistenza (1993).
3. Vivere e sentire la protesta: “otra” proposta d’analisi dei movimenti sociali.
Studiare la protesta e le esperienze di partecipazione dal basso significa centrare l’analisi in
quelle esperienze di lotta meno visibili e nella dimensione individuale e quotidiana delle
persone. Come scrive Raul Zibechi la categoria de los de abajo è formata “da tutti, e
soprattutto tutte, coloro che soffrono oppressione, umiliazione, sfruttamento, violenza ed
emarginazione” (2008, p. 6). Questa lettura, che caratterizza la nostra proposta di analisi,
permette non solo di apprezzare aspetti delle esperienze analizzate che altre letture più
strutturali non considerano, ma ha anche messo in risalto il ruolo delle donne nella
partecipazione politica. Difatti, lavorando desde abajo, spostando cioè l’attenzione dai
leader e attivisti professionali alle persone comuni, ci siamo trovati a conoscere molti
gruppi di donne che si organizzano e costruiscono progetti alternativi di vita e politici, ma
che spesso rimangono nell’ombra essendo i leader e portavoce per la maggioranza uomini.
La lettura del basso, considerando l’esperienza quotidiana della gente comune, mette anche
in risalto l’importanza delle dimensioni emotiva e biografica della partecipazione politica.
Attraverso l’analisi di alcuni processi emotivi-cognitivi abbiamo infatti dimostrato che la
componente emotiva della protesta è indispensabile per comprendere sia perché la gente
partecipa e si organizza, sia come arriva a coinvolgersi nelle lotte e battaglie più o meno
quotidiane, arrivando infine a dimostrare il cambio che deriva dalla partecipazione politica.
La lettura dal basso implica considerare la partecipazione politica non solo al di fuori
dell’ambito istituzionale, ma anche nella quotidianità, arrivando a comprendere “che è
intensamente politico quello che i soggetti collettivi e individuali fanno giorno dopo giorno,
di forma quotidiana” (Regalado, 2012, p. 176).
Partendo da una frase pronunciata da un partecipante all’insurrezione di Oaxaca, che disse,
“non saremo mai più gli stessi si prima”, abbiamo iniziato ad analizzare il cambio che la
partecipazione nell’insurrezione ha provocato nelle donne che abbiamo intervistato e come
le emozioni hanno influito in questo cambio. Presenteremo, nelle prossime pagine, i primi
risultati della nostra ricerca, che partendo dall’analisi della dimensione emotiva della
protesta ci ha permesso dimostrare come dalla rabbia e dal sentimento d’ingiustizia si arrivi
5
all’empowerment.
Lo studio delle emozioni nella protesta si avvale di una letteratura scientifica proveniente
principalmente dal mondo anglosassone che negli ultimi venti anni ha offerto utili
strumenti di ricerca e analisi. Durante decenni il ruolo delle emozioni nella protesta e nella
partecipazione politica è stato eluso, sia per le difficoltà metodologiche che implica
includere le emozioni nelle analisi politiche (Hidalgo, 1998), sia per la diffidenza verso la
dimensione emotiva contrapposta alle razionale (Gould, 2004). Nelle ultime due decadi
l’interesse e i pregiudizi verso la dimensione emotiva sono iniziati a cambiare non solo per
un maggior interesse verso la dimensione culturale nello studio dei movimenti sociali, ma
soprattutto per l’alta partecipazione nell’accademia tanto di donne come di ricercatori che
hanno partecipato attivamente in movimenti di protesta, riconoscendo così in prima persona
il limite delle analisi classiche che si concentrano nella dimensione strutturale. Nonostante
la protesta sia caratterizzata per essere un’esperienza molto emotiva, come sottolinea
Jaqueline Adams, “i sentimenti che la gente sente come risultato di un movimento sono
stati esaminati raramente” (2003, p. 84). Partendo da queste premesse, nelle prossime
pagine presenteremo un’analisi dei collettivi descritti in precedenza, concentrandoci
nell’esperienza individuale delle protagoniste, nella dimensione emotiva così come nelle
conseguenze relazionali, cognitive ed emotive della protesta (Della Porta, 2008).
Incorporare le emozioni allo studio della protesta e della partecipazione richiede uno sforzo
metodologico per determinare quali sono le emozioni da analizzare. Basandoci sul lavoro di
James Jasper (2011) abbiamo identificato diverse categorie di emozioni, dalle reazioni
immediate come la rabbia, la paura, ecc., alle emozioni che richiedono un’elaborazione
cognitiva, come l’indignazione o l’oltraggio, fino ad arrivare alle emozioni collettive.
La paura, nei casi di studio analizzati, ricopre un ruolo centrale. Infatti, sia le donne di MN
che le ragazze di LC hanno dovuto “superare la paura alla paura”. Per reagire alle violenze,
sessuali e non, subite in casa, a scuola, sul posto di lavoro o dalla polizia durante
l’insurrezione, le donne hanno dovuto perdere la paura di subire nuove violenze a causa
della loro non sottomissione, o della denuncia, così come la paura verso la risposta sociale
alla loro reazione. Nei talleres di autodifesa e del teatro dell’oppresso, uno degli obiettivi è
che le donne che partecipano riescano, lentamente, a perdere la paura che in molte
occasioni è stata la causa della loro sottomissione. Una volta perduta la paura, verso l’uomo,
la polizia o la morale sociale, le donne si sentono più libere e forti, iniziando un percorso di
emancipazione che le porta ad aumentare la propria autostima e, con le parole di
un’intervistata, a “recuperare quello che erano”. Come disse una delle integranti di MN
“superammo la paura, una paura che ti da forza”. Rompere il sentimento d’impotenza
appresa (Seligman e Maier, 1976), quel sentimento che fa si che si pensi che qualsiasi cosa
si faccia non porterà a nessun cambiamento, è il primo passo verso l’empowerment delle
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donne che partecipano all’attività dei collettivi, così come lo è stato per le attuali integranti
dei gruppi, che hanno vissuto questo cambio in precedenza. Nell’insurrezione di Oaxaca,
per esempio, l’occupazione del Canale televisivo e la sua autogestione da parte delle donne,
dimostrò a loro stesse e a tutte coloro che collaboravano o seguivano i programmi in casa,
nei piccoli negozi, sul posto di lavoro, ecc., che un cambiamento era in atto ed era possibile.
Lo slogan dei taller di autodifesa del collettivo LC è: “Tiriamo fuori la rabbia e perdiamo la
paura”. La rabbia è un'altra emozione che può essere una risposta spontanea ad un
avvenimento, ma anche un’elaborazione cognitiva dell’esperienza personale. La necessità
di lavorare per riuscire a esprimere la propria rabbia, nasce dal sentimento di frustrazione e
impotenza che sentono la maggioranza delle donne oaxaqueñas nei confronti delle violenze
che subiscono quotidianamente, e della cultura maschilista e cattolica che vede la reazione
della donna come un’esagerazione. Le ragazze di LC, per organizzare i corsi di autodifesa,
sono state chiamate dispregiativamente mata-hombres (ammazza-uomini) e ricevono
minacce e intimidazione per il lavoro che portano avanti. Allo stesso modo le donne più
anziane di MN hanno storie di violenze, separazioni e divorzi alle spalle, che superano
grazie alla solidarietà e alla complicità che si è creata nel gruppo nel corso degli anni.
Le emozioni collettive, in questo scenario, sono fondamentali per superare le difficoltà
personali e collettive. Le emozioni reciproche sono quelle che le donne sentono tra di loro.
Come ci dissero più di una volta, “La lotta hermana” affratella, unisce, fa che si creino
nuove relazioni umane, sociali. La solidarietà, il mutuo appoggio, la consapevolezza di
avere persone che le appoggiano incondizionatamente nelle lotte che quotidianamente
queste donne intraprendono solo per mantenere la propria dignità ed essere se stesse, è una
forza che permette loro di andare avanti nonostante le avversità. L’impotenza, la
depressione e la frustrazione sono stati d’animo –un’altra categoria di emozioni che gioca
un ruolo importante nella protesta- che sono sempre presenti nella vita di queste donne che
molta volte sentono che ci sono troppe cose da cambiare e che non sono in grado di farlo da
sole, ma questi stati d’animo possono essere superati dalla presenza delle altre compagne.
Tra le emozioni collettive incontriamo poi anche le emozioni condivise, quelle cioè che le
persone condividono nei momenti collettivi, che si contagiano e alimentano reciprocamente.
Un esempio che ci è stato raccontato è la felicità provata quando una donna che ha
partecipato alle sessioni dei due gruppi trova la forza per reagire alle violenze e inizia un
percorso di liberazione ed emancipazione. A questa si aggiungono emozioni come
l’orgoglio che si sente per aver partecipato a una mobilitazione o la soddisfazione di aver
reagito e di non essere rimaste in silenzio di fronte alle ingiustizie. Queste emozioni
costituiscono l’“energia emotiva” (Collins, 2001 e 2012; Jasper, 2011) della protesta, che fa
sì che queste donne continuino con i loro progetti, nonostante le difficoltà, e che è
considerata uno dei “benefici emotivi” della protesta (Wood, 2001) perché trasforma la
protesta e la partecipazione politica in esperienze positive e arricchenti.
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Terminiamo questo paragrafo, nel quale speriamo essere riusciti a trasmettere, anche se
brevemente, il ruolo delle emozioni nelle esperienze analizzate. Presentiamo di seguito i
cambiamenti vissuti dalle protagoniste dei collettivi analizzati e il loro ruolo come agenti di
cambio sociale e culturale.
4. Empowerment e nuove pratiche di partecipazione politica.
Se i motivi e le modalità con cui le donne e ragazze intervistate parteciparono
all’insurrezione del 2006 nella città di Oaxaca possono essere molto diversi tra di loro:
dalla presenza di vicini e conoscenti, a un sentimento antico di ingiustizia, al bisogno di
“fare qualcosa” o “non rimanere ferme”, i risultati di questa esperienza sono straordinari e
molto simili. L’esperienza dell’insurrezione ha rappresentato un punto di rottura nelle vite
delle donne intervistate, che da quel momento hanno iniziato il proprio percorso di
emancipazione. Come scrissero Piven e Cloward (1977), la protesta produce una
trasformazione di coscienza e condotta che si manifesta con la perdita di legittimità nel
sistema, con la richiesta di cambiamenti e per finire con un nuovo sentimento di efficacia,
per cui le persone si sentono in grado di cambiare lo status quo. E questa trasformazione
non si può comprendere senza analizzare la dimensione emotiva, considerato che come
scrissero Goodwin, Jasper e Polletta, “ogni cambio cognitivo è accompagnato da uno
emotivo” (2001, p. 19). L’intensità emotiva della esperienza di protesta produce così
cambiamenti nelle persone trasformandole in soggetti politici che iniziano a lottare nella
quotidianità.
Tra i cambiamenti che le donne hanno detto di aver vissuto, è comune la sensazione di
essersi svegliate da un lungo letargo. Il risveglio, prodotto dall’esperienza dell’insurrezione,
ha provocato un cambiamento d’idee e valori che prima d’allora non avevano mai messo in
discussione: dal ruolo dello Stato, che nell’insurrezione represse brutalmente i cittadini, ai
mezzi di comunicazione mainstream che tergiversarono e mentirono riguardo a ciò che
stava accadendo in città, alla Polizia che picchiò, sequestrò e assassinò, fino ad arrivare al
ruolo della chiesa o di altre organizzazioni governative e non che si schierarono sempre
apertamente a favore delle lobby politiche ed economiche. La messa in discussione di
questi soggetti politici e sociali ha contribuito a sviluppare, nelle donne intervistate, una
visione critica della società e del mondo che continuano a nutrire attraverso le sessioni di
autoapprendimento.
Un altro cambiamento che abbiamo potuto osservare, riguarda il governatore Ulises Ruíz
che iniziò a rappresentare, per molte donne, gli uomini che le avevano violentate, i padri o i
mariti che le picchiavano, contribuendo a mettere in risalto la complessa relazione tra la
vita quotidiana e la più ampia struttura di potere pubblico che rivela le potenzialità
dell'individuo, qualcosa che è spesso nascosto nelle letture sociologiche tradizionali
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(Krauss, 1993, p. 250). Questa capacità delle donne di associare la vita privata e quella
pubblica deriva dal fatto che “le interazioni tra oppressori e oppressi sono particolarmente
intime nel caso del genere” (Jasper, 2012, p. 32) e permette superare la separazione che
l'ideologia politica e sociale dominante fanno tra il mondo ‘pubblico’ della politica e del
potere e il mondo ‘privato’ e personale dell’esperienza quotidiana (Krauss, 1993, p. 249).
Continuando con i cambiamenti derivati dall’esperienza di protesta, le donne intervistate
hanno sottolineato l’importanza dell’unione. Difatti, il sentimento di learned helplessnes d’impotenza appresa- si sconfigge anche attraverso il superamento del sentimento di
solitudine e l’isolamento. Le stesse intervistate ci raccontavano, ridendo, che pur
sembrando una frase banale, l’idea che “l’unione fa la forza”, la mettono in pratica tutti i
giorni.
Alcune poi sottolineavano la ricchezza umana che hanno acquisito, sia in fatto di
conoscenza, attraverso letture, talleres, discussioni, ecc., sia a livello di relazioni e vincoli
umani. Molte volte la solitudine e gli stati d’animo negativi portano a pensare che le
persone non partecipano perché non gli importi e non perché non credano di non poter
cambiar le cose. Così le donne dicevano di aver riscoperto umanità e solidarietà. Citando
una delle intervistate, “la coscienza solidale c’era anche prima, ma si partecipava meno”
perché non si sapeva cosa fare. La partecipazione attiva nelle barricate e nelle occupazioni
di piazze e locali pubblici durante l’insurrezione, che per alcune donne iniziò anche solo
portando del cibo, ha risvegliato in loro la necessità di organizzarsi.
Una delle ragazze più giovani che partecipò nel gruppo di discussione di MN, figlia di
un’integrante del gruppo deceduta anzitempo, ha anche condiviso con noi la sua esperienza
di crescita personale, dicendoci che la partecipazione di sua madre, nella protesta prima e
nel gruppo poi, ha influito nella sua identità come donna giovane che non vuole abbassare
la testa di fronte ai soprusi, come fanno la maggioranza delle sue coetanee. Alcune donne
più mature hanno testimoniato anche che ora si sentono più libere: più libere di essere loro
stesse, più libere di poter dire quello che pensano, più libere di reagire di fronte a quello
con cui non sono d’accordo.
L’empowerment si manifesta così con la creazione di collettivi attraverso i quali portare
avanti le proprie idee collettivamente, ma anche mantenendo relazioni, di amicizia e
complicità con altre donne prima impensabili, potendo decidere come vivere, potendosi
arrabbiare liberamente dopo che per tutta la vita si sono sentite dire “estate quieta”, stai
tranquilla. In una società, dove la donna che alza la voce, che reagisce, che decide di
esistere e bastarsi a se stessa non è accettata, lo stesso fatto di rifiutare lo status quo è una
forma di resistenza quotidiana. Donne che decidono di non sposarsi, di non avere figli, di
dedicarsi all’arte, alla pittura, studiare, viaggiare, stanno di per sé rompendo con le
impostazioni culturali e sociali che le limitavano. Organizzarsi con altre donne, in maniera
autonoma e autogestita, rifiutando anche le etichette e la condizione di vulnerabilità a cui
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l’essere donna a volte è accompagnata, e cercare con i propri mezzi di trasmettere forza,
coraggio, autostima, e anche solo affetto o speranza a chi li ha persi, è una lotta quotidiana
che sta già dando i suo frutti e che dal nostro punto di vista è un’azione politica del
quotidiano in grado, nel lungo periodo, di provocare cambiamenti profondi nella società.
5. Conclusioni.
L’attività che le donne di Mujeres Nuveas y Lucha Chula conducono quotidianamente, il
loro impegno sociale attraverso i talleres e gli altri progetti, il processo di autoformazione
che continuano a portare avanti, l’autogestione delle proprie risorse ed energie sono, a
nostro avviso, un esempio di partecipazione politica dal basso che sta contribuendo a
cambiare la società che le circonda. Questo cambiamento avviene non attraverso la
creazione di leggi o con l’elezione di una qualche deputata, ma opponendosi alla vita che
era stata disegnata per loro e organizzandosi affinché altre donne possano prendere in mano
le redini della propria vita. Il processo di emancipazione, infatti, inizia con il dire “No!”, in
quanto è attraverso questo processo che le persone, iniziano a sviluppare forme di
autodeterminazione o iniziano ad articolare concetti alternativi su come dovrebbe essere il
mondo e la realtà quotidiana che vivono (Holloway, 2009, p. 17).
La capacità delle donne di “combinare elementi che erano stati separati, poiché gli uni
dominano gli altri: pubblico e privato, il particolare con l’universale, la vita privata e
professionale, il corpo e lo spirito, il progresso e la stabilità” (Pleyers, 2006, p. 745), fa sì
che le donne diventino centrali nel processo di “ri-concettualizzazione della politica stessa,
criticando l'ideologia dominante e la costruzione di una nuova definizione di ciò che è
politico, che si trova nel mondo quotidiano delle donne comuni, piuttosto che nel mondo
della politica pubblica” (Krauss, 1993, p. 249). Così, per esempio, la rabbia che si dirige
verso soggetti ritenuti colpevoli delle tante ingiustizie e violenze sociali e individuali,
politici in prima fila, è alimentata anche dall’esperienza quotidiana, rompendo quella linea
sottile tra vita pubblica e privata che unisce il livello micro della società al livello macro.
Per terminare, attraverso una lettura dal basso di queste esperienze, e grazie
all’incorporazione delle emozioni nell’analisi, abbiamo potuto comprendere non solo cosa
abbia spinto queste donne a organizzarsi nei rispettivi collettivi, ma anche la trasformazione
di queste donne in soggetti politici che sviluppano pratiche politiche radicali fondate su
valori quali l’autonomia e l’emancipazione. Come ci raccontavano le donne intervistate,
prima del 2006 nessuna s’immaginava il livello di violenza e repressione a cui potesse
arrivare lo Stato. Ora si conosce, si teme, ma questa paura non impedisce di organizzarsi,
perché come loro stesse hanno compreso, solo unita la gente può cambiare la realtà che
vive.
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Il cambiamento avvenuto nelle donne che abbiamo intervistato, e i progetti che portano
avanti con i loro collettivi, sono esperienze di lotta ed emancipazione che dal quotidiano,
dall’esperienza individuale e personale, come gocce d’acqua che lentamente erodono una
montagna, stanno cambiando la cultura e il mondo che le circonda; in quanto, come scrive
Zibechi (2007), la gente cambia, e cambiando, cambia il mondo.
6. Bibliografia.
Adams, J. (2003). “The Bitter end: Emotions at a Movement’s Conclusion”. In Sociological
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Collins, R. (2001). “Social Movement and Focus of Emotional Attention”. In Goodwin, J.,
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