CELLE A COMBUSTIBILE
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CELLE A COMBUSTIBILE
CELLE A COMBUSTIBILE 6.1 INTRODUZIONE Le celle a combustibile (Fuel Cells: FC) sono essenzialmente delle pile (celle primarie) nelle quali l'agente riducente (combustibile gassoso) e quello ossidante (aria od ossigeno) sono continuamente immessi, rispettivamente, nel comparto anodico (polo negativo) e in quello catodico (polo positivo) come schematizzato in Fig. VI.1.1. Figura VI.1.1. Rappresentazione schematica di una cella a combustibile. Per ogni singolo tipo di cella sono riportati i reagenti e i prodotti di reazione, lo ione mobile dell'elettrolita e la temperatura ottimale di funzionamento. A differenza delle pile e degli accumulatori la cella a combustibile è quindi un dispositivo di conversione di energia chimica in energia elettrica che, teoricamente, ha la capacità di fornire energia elettrica fino a quando combustibile e comburente vengono forniti al dispositivo, cioè indefinitamente, dato che basta continuare ad alimentare la cella. In realtà la degradazione o il malfunzionamento dei componenti ne limita a volte la durata. In questo senso si tratta di fonti alternative di energia (anche se non rinnovabili), che costituiscono una delle prospettive più promettenti per la sostituzione del petrolio. 99 Il combustibile più largamente utilizzato, come abbiamo visto, è H2, che è in grado di dare una reazione con un G abbastanza negativo ed è il reagente più leggero, per cui può dar luogo a dispositivi ad alta energia specifica. Naturalmente l’impiego di H2 comporta alcuni inconvenienti di non poco conto: il problema dello stoccaggio (H2 gassoso ha una densità di energia molto bassa, pari a 0.42 kWh/kg; se si usasse H2 liquido, aumenterebbe la densità di energia, ma si avrebbe il problema della refrigerazione). Qualche soluzione può venire dall’impiego di metalloidruri (qualche speranza era stata posta nei nanotubi di carbonio, ma pare sia poco attendibile). Naturalmente, è possibile produrre H2 in prossimità della cella, per reforming di composti (idrocarburi o altri), meno problematici da stoccare. Il metanolo come combustibile sembra offrire prospettive migliori, anche se, come vedremo, presenta altri problemi. Vi è una grande varietà di celle a combustibile; la differenza essenziale consiste nel tipo di elettrolita impiegato e nella realizzazione della cella. Esistono celle ad elettrolita polimerico (PEMFC - Proton Exchange Membrane Fuel Cells -, dette anche Solid Polymer Electrolyte Fuel Cells – SPEFC), celle alcaline (AFC - Alkaline Fuel Cells), celle ad acido fosforico (PAFC Phosphoric Acid Fuel Cells), celle a carbonati fusi (MCFC - Molten Carbonates Fuel Cells) e celle a ossido solido (SOFC - Solid Oxide Fuel Cells). Ognuna di queste celle ha un proprio e ben definito intervallo di temperatura entro il quale può operare. Tali intervalli possono differire anche notevolmente. Oltre a queste tipologie di FC, negli ultimi anni si sta prestando notevole interesse alle celle a combustibile e metanolo diretto (DMFC - Direct Methanol Fuel Cells), nelle quali il combustibile è il metanolo che viene ossidato (“bruciato”) direttamente per dare CO2 e H2O. La specificazione di celle a metanolo diretto è legata al fatto che il metanolo era stato già introdotto nella tecnologia delle FC, ma come produttore di idrogeno, cioè come combustibile indiretto. Attualmente si stanno studiando FC che utilizzano anche alcol più pesanti (etanolo e propanolo). Le Fuel Cells appaiono promettenti per diverse applicazioni: innanzi tutto per la produzione stazionaria di energia elettrica, cioè la produzione per l’alimentazione diretta di apparecchiature o dispositivi utilizzatori. Ma si pensa possano servire anche per generazione remota di energia elettrica, cioè per l’affiancamento/sostituzione delle centrali elettriche, in particolare le centrali termoelettriche che utilizzano combustibili fossili. Naturalmente l’impiego più attrattivo, verso il quale c’è la spinta più forte per la ricerca e sviluppo, rimane quello dell’autotrazione, per la realizzazione di auto elettriche o auto ibride. In questo caso va considerata la possibilità di autonomia molto maggiore rispetto alle batterie (anche se con potenza specifica molto più bassa), per cui appaiono promettenti alternative al carburante da petrolio. Non va comunque trascurato il possibile impiego in apparecchiature portatili, per le quali è possibile realizzare FC anche molto piccole, adatte, appunto. all’elettronica di consumo (anche se non possono essere competitive con le batterie nel campo della miniaturizzazione. Le celle a combustibile alcaline sono storicamente importanti per essere state impiegate intorno agli anni settanta nel progetto spaziale Apollo, ma il loro elevato costo non è compatibile con un utilizzo commerciale e sono state sostanzialmente abbandonate per molto tempo, anche se oggi hanno ripreso interesse. Dopo la descrizione dei concetti operativi e di efficienza verranno presentati i dispositivi a elettrolita liquido, quelli a elettrolita solido polimerico, quelle a metanolo diretto e quelli a elettrolita 100 solido ad alta temperatura. L’invenzione della cella a combustibile si deve a Sir William Grove, che conosceva l’elettrolisi dell’acqua, che produce H2 ed O2, e sapeva anche che H2 ed O2 reagiscono tra loro in modo esplosivo (se opportunamente innescati), per cui provò a operare in modo opposto all’elettrolisi. Nel 1839 realizzò una FC con elettrodi di Pt platinato e insufflando H2 in prossimità di uno dei due, mentre l’altro aveva l’ossigeno direttamente dall’aria. Ottenne una cella con una tensione di 0.6 V e con una batteria di 50 celle arrivò a erogare una tensione di 25-30 V. Nel 1932 la stessa idea venne a Francis T. Bacon, un ingegnere che non conosceva l’invenzione di Grove e neanche l’elettrochimica, poiché la FC di Grove non aveva incontrato alcun interesse nel mondo scientifico ed era finita nel dimenticatoio. Lo stesso trattamento, da parte del mondo scientifico, avvenne per Bacon, ma questa volta il nuovo inventore non lasciò cadere l’intuizione e vi dedicò tutta la sua attenzione, finché nel 1952 coinvolse un giovane elettrochimico (Reginald G.H. Watson) e nel 1959 realizzò la prima cella a combustibile con una capacità di 5 kW, in grado di far muovere un muletto con capacità di 2 ton. In quel periodo l’interesse della NASA per nuove sorgenti di energia per i programmi spaziali, consentì alla riscoperta della FC di non finire nuovamente nel dimenticatoio. 6.2 PRINCIPI OPERATIVI Come precedentemente accennato una cella a combustibile consiste essenzialmente di un elettrolita interposto tra due strati porosi (anodo e catodo). Il combustibile e il comburente gassosi sono alimentati rispettivamente all'anodo e al catodo e generano energia elettrica attraverso reazioni di trasferimento elettronico agli elettrodi. Il combustibile e il comburente più utilizzati sono l'idrogeno e l'ossigeno. elettrodo (conduttore elettronico) Poiché i reagenti sono allo stato gassoso, assume notevole importanza la realizzazione di un contatto triplo tra conduttore elettronico, conduttore ionico soluzione e gas, dato che non si può pensare di limitare la reazione al reagente disciolto nel conduttore ionico gas (che potrebbe avere concentrazioni bassissime). elettrolitica Per questo problema le FC utilizzano elettrodi 3D a diffusione di gas, cioè elettrodi porosi tridimensionali, costituiti ad esempio da grafite zona ad alta porosa nei cui pori viene deposto un opportuno densità di corrente catalizzatore per facilitare il processo redox. L’utilizzo di elettrodi 3D consente di avere un'ampia superficie sulla quale poter fare avvenire le reazioni di trasferimento elettronico per cui si realizza un'elevata quantità di corrente e quindi una più elevata quantità di potenza a parità di potenziale. Questi contatti tripli non sono solo essenziali in quanto consentono un elevato numero di siti attivi superficiali, ma rivestono anche elevata importanza in quanto permettono di far giungere e asportare dall'elettrodo le specie elettroattive (combustibile e comburente) e i prodotti di reazione (acqua). In effetti l’intensità di corrente che un elettrodo può realizzare dipende certamente dalla sua superficie reale (per cui un elettrodo poroso ha un’alta superficie reale, a parità di dimensioni geometriche, rispetto ad un elettrodo piano), ma anche dalla densità di corrente, il cui valore è generalmente limitato dalla diffusione. Per poter aumentare la densità di corrente limite è necessario ridurre il più possibile lo spessore dello strato diffusivo adiacente la superficie elettrodica, il che avviene normalmente con una adeguata agitazione (che richiede però consumo di energia e può far scendere lo strato diffusivo al massimo a 102-103 cm). Se consideriamo invece la superficie trifase che si realizza con un elettrodo a diffusione di gas, si arriva ad avere strati diffusivi di spessore anche di 106 cm, con una maggiore corrente limite. Il materiale a conducibilità elettronica deve possedere bassa resistenza elettrica e ottime caratteristiche elettrocatalitiche. Tale proprietà diventa essenziale per i dispositivi che operano alle più basse temperature, dove le velocità di reazione sono relativamente basse. Analogamente agli 101 altri dispositivi energetici elettrochimici, per ottenere sorgenti di apprezzabile potenza anche le singole celle a combustibile devono essere combinate in serie o parallelo. Esse sono quindi assemblate tra loro tramite connettori che assicurano il contatto elettrico tra le singole celle e che spesso servono anche da separatori dei reagenti gassosi (piastre bipolari). Le tipiche reazioni che avvengono nelle diverse celle a combustibile sono di seguito riassunte: Tipo di cella Reazione anodica H2 + O CO + O2CH4 + 4O2- SOFC PEMFC DMFC H2O + 2e CO2 + 2e 2H2O + CO2 + 8e 2H+ + 2e H2 CO2 + 6H+ + 6e CH3OH + H2O AFC H2 + 2OH PAFC 2H2O + 2e 2 H2 + CO3 CO + CO32- H2O + CO2 + 2e 2CO2 + 2e ½O2 + 2e O2 ½O2 + 2H+ + 2e H2O /2O2 + 6H+ + 6e 3H2O 2OH 3 ½O2 + H2O + 2e 2H+ + 2e H2 MCFC Reazione catodica 2- ½O2 + 2H+ + 2e ½O2 + CO2 + 2e- H2O CO32 3.3 EFFICIENZA DI UNA CELLA A COMBUSTIBILE Non tutta l’energia fornita dal combustibile è completamente convertita in energia elettrica; l’energia elettrica prodotta (We), infatti, è: We = T WC (6.1) dove T è l’efficienza totale del sistema considerato e WC l’energia chimica fornita. L’efficienza totale T è data da tre fattori: l’efficienza di utilizzo del combustibile (c), l’efficienza di Gibbs (G) e l’efficienza elettrica o di tensione (V). L’efficienza globale (T) di una cella è, pertanto, il prodotto dei tre termini di efficienza: T = CGV (6.2) L’efficienza totale di una cella può essere anche definita come il rapporto tra l’energia elettrica (We) prodotta e l’energia chimica fornita (WC): T = We/WC (6.3) e quindi l’energia elettrica fornita è: We = WCcGV (6.4) Per efficienza di utilizzo del combustibile s’intende la quantità che è effettivamente consumata, in altre parole la differenza tra la quantità di combustibile entrante ed uscente dalla cella, rispetto a quello entrante. c H 2 ing H 2 usc H 2 ing Questa grandezza dipende essenzialmente dalla cinetica del processo di combustione e quindi da tutti quei parametri che la possono influenzare (temperatura di esercizio, attività catalitica dei materiali che costituiscono gli elettrodi, geometria della cella, velocità di flusso dei gas nei comparti, ecc.). Per efficienza di Gibbs: G = rG/rH = (rH TrS)/rH = 1 (TrS/rH) 102 (6.5) si intende il rapporto tra l’energia libera di Gibbs rG e l’entalpia rH (Fig. VI.3.1) della reazione chimica coinvolta nel processo di cella. Ricordiamo alcune relazioni termodinamiche: rG o r S o T p r H o rCp T p rCp r S o T T p (6.6) per cui le pendenze delle rette del rG/T sono date dal rS, che è una quantità negativa, il che significa che rG aumenta (diventa meno negativo) all’aumentare di T. Il rH, come si vede il Fig. VI.3.1, come pure il rS, dipendono molto poco da T, poiché il rCp è sempre molto piccolo (in prima approssimazione rCp 0), per cui dall’eq. 6.5 G diminuisce linearmente con T (Fig. VI.3.2). Figura VI.3.1. G o e H o per la reazione di ossidazione di H2 (a) e di CO (b). Figura VI.3.2. Efficienza termodinamica per la reazione di ossidazione di H2 (a) e CO (b). L’efficienza di Gibbs è legata al fatto che l’energia chimica sviluppata da una reazione è il rH (se la reazione avviene per via chimica produce effettivamente una quantità di calore pari a rH). Però di questa energia, solo la parte quantificata dal rG può essere trasformata in lavoro utile (cedibile all’ambiente, cioè all’utilizzatore). Pure con questa limitazione, la conversione elettrochimica dell’energia chimica è la più efficiente, dato che non ha, ad esempio, la limitazione di Carnot per la conversione dell’energia termica in lavoro. L’efficienza di Gibbs è funzione della temperatura di esercizio della cella e del tipo di combustibile utilizzato, dato che dipende dal rapporto (TrS/rH) (Fig. VI.3.2). Reazione di cella H2 + ½O2 H2O CH4 + 2O2 CO2 + 2H2O C3H8 + 5O2 3CO2 + 4H2O CH3OH + 3/2 O2 CO2 + 2H2O C + ½O2 CO CO + ½O2 CO2 rG o kJmol1 237.2 817.98 2108.3 706.89 137.28 257.1 103 rH o kJmol1 285.85 890.36 2220.10 764.04 110.54 282.96 Erev G 100 V % 1.229 83 1.060 92 1.093 95 1.222 93 0.712 124 1.333 91 Dal valore dell’energia libera di Gibbs è possibile inoltre calcolare il valore della forza elettromotrice (Erev) della cella elettrochimica, che dipenderà anch’essa da T (Fig. VI.3.3), secondo la ben nota relazione: Erev = rG/nF (6.7) dove n è il numero di elettroni coinvolti nella reazione elementare di cella e F la costante di Faraday. Naturalmente, come vedremo fra poco, questo valore si ha solo a circuito aperto, cioè quando il sistema non lavora. Quando a una cella a combustibile si connette un carico, nel sistema elettrochimico incomincia a fluire corrente elettrica e si ha un'ulteriore riduzione di efficienza dovuta alla presenza di resistenze elettriche interne. Alcune di Figura VI.3.3. Forza elettromotrice della FC queste resistenze interne sono indipendenti dal flusso di alimentata con H2 (a) e con CO (b). cariche elettriche (resistenza ohmica del materiale elettrolitico e dei materiali elettrodici), mentre altre ne sono dipendenti (polarizzazione, trasferimento elettronico, ecc.). La resistenza interna totale (Rtot) di una cella a combustibile può essere descritta come la somma di due termini: Rtot = R0 + R(j) (6.8) dove R0 e R(j) rappresentano, rispettivamente, il termine indipendente e quello dipendente dalla corrente elettrica (cioè dalla densità di corrente j). Si definisce efficienza elettrica, o efficienza di tensione, (V) il rapporto tra il valore effettivo della tensione (V), calcolabile come (Erev RtotI ), e quello termodinamico teorico (Erev): V = V/Erev (6.9) Qualora il valore di R(j) sia trascurabile rispetto a quello di R0 - condizione a volte soddisfatta, in particolare quando la resistenza dell’elettrolita è elevata (SOFC) - l’analisi delle prestazioni di una cella può essere linearizzata, assumendo che il valore di Rtot sia dato solo da R0. In questo caso il valore di tensione effettiva è: V = Erev R0I (6.10) ossia quello termodinamico diminuito del termine di caduta ohmica. L’efficienza elettrica può essere scritta: V = V/Erev = (Erev R0I)/ Erev = 1 (R0I/Erev) (6.11) Quanto precedentemente esposto mette in evidenza che a parità di combustibile e di temperatura di lavoro, per ogni tipo di cella a combustibile il rendimento è determinato dal valore della sua resistenza interna totale. Qualora, poi, la resistenza globale di cella possa essere identificata con il solo termine indipendente dalla corrente elettrica (materiale elettrolitico e quello degli elettrodi), l’analisi delle prestazioni di una cella, che permette di calcolare i rendimenti di conversione di energia chimica in quella elettrica, diventa una procedura abbastanza agevole e di conseguenza risulta semplice la valutazione delle condizioni di lavoro più opportune. In realtà la resistenza interna R(j) non è sempre trascurabile, in particolare se non si opera ad elevate temperature, e molta attenzione viene dedicata alla possibilità di minimizzare il suo 104 valore. Il contributo più rilevante è dovuto alla sovratensione di trasferimento elettronico, cioè alla lentezza dei processi elettrochimici che avvengono nella cella. Questa sovratensione è descrivibile in generale attraverso l’equazione di Tafel (dove è la sovratensione): = a + b ln j b ln o anche (6.12) j (6.13) j0 dalla quale si vede che il valore di , che contribuisce ad abbassare l’efficienza di tensione V, dipende dal coefficiente b e da j0. Il coefficiente b rappresenta la pendenza del tratto lineare della curva di Tafel ed è evidente che, quanto maggiore è il suo valore, tanto più rapidamente cresce all’aumentare di j. Ricordando che b = RT/nF, il suo valore dipende fondamentalmente da (oltre che da T ), che è legato al meccanismo del processo elettrochimico (che può cambiare sensibilmente a seconda del materiale elettrodico, in particolare del catalizzatore, che viene utilizzato). D’altra parte dipende da j0, il che rimanda ancora al materiale elettrodico e alla sua capacità di facilitare il trasferimento elettronico, per cui grande attenzione viene posta alla scelta dei materiali elettrodici, ovviamente in relazione al processo elettrodico che avviene in cella. Ad esempio, per l’ossidazione dell’H2, si hanno i dati riportati nella tabella seguente, dai quali si nota la notevole diversità dei metallo j 0 (Acm2) Pb 2.51013 valori di j0. In effetti i valori reali sono maggiori (fino a 1000 Zn 31011 volte) grazie alla rugosità degli elettrodi, per cui la superficie Ag 4107 reale è molto maggiore di quella geometrica (alla quale viene Ni 6106 riferito il valore di j 0). Il problema più rilevante è posto però dal Pt 5104 processo di riduzione di O2, che presenta una j 0 di alcuni ordini Pd 4103 di grandezza (anche 5) inferiore rispetto a quella del processo anodico, sullo stesso materiale elettrodico. Si capisce perché la ricerca di materiali elettrodici, o meglio, di catalizzatori per favorire la riduzione di O2 sia uno degli aspetti più caldi di questo settore. Allo stato attuale il Pt rimane il migliore catalizzatore, anche se il processo è ancora lento. Lo schema di reazione per la riduzione di O2 su Pt è il seguente: O2 + Pt Pt-O (6.14) 2 Pt-O2 + H+ + e- Pt-HO2 (6.15) Pt-HO2 + Pt Pt-OH +Pt-O (6.16) Pt- OH + Pt-O + 3 H++ 3e- Pt + Pt+ 2 H2O (6.17) dove il rate determining step è lo stadio che coinvolge due siti di platino (6.16). 6.4 CELLA A COMBUSTIBILE A ELETTROLITA POLIMERICO (PEMFC o SPEFC) Il processo che avviene in queste FC è la classica combustione di H2: H2 + ½O2 H O (6.18) 2 All’anodo si ha l’ossidazione di H2 H2 2H+ + 2e (anodo) mentre al catodo si ha la riduzione di O2 105 ½O2 + 2H+ + 2e H2O (catodo) La membrana consente il trasferimento degli ioni H+ dal compartimento anodico a quello catodico (dove si pone anche il problema dello smaltimento di H2O che è il prodotto del processo di combustione). In queste celle a combustibile l'elettrolita è costituito da una membrana polimerica perfluoro-solfonica (Nafion®), a conduzione protonica, dello spessore di un centinaio di m. Su entrambi i lati della membrana polimerica è accostato un elettrodo poroso con catalizzatore disperso. Questa cella (detta MEA: membrane electrode assembly) viene collegata in serie in numero anche molto elevato utilizzando. Per il collegamento tra un MEA e l’altro, viene messa una piastra bipolare di materiale conduttore (spesso si tratta di grafite, anche per la facilità di lavorazione) con apposite scanalature per rifornire i due elettrodi dei rispettivi gas. In questo modo il gas (H2 da una parte e O2 dall’altra) arriva, attraverso le scanalature, alle spalle del rispettivo elettrodo poroso, attraverso il quale arriva a contatto con l’elettrolita dove può avvenire il processo elettrochimico. La piastra bipolare inoltre viene utilizzata anche per il raffreddamento della FC, dato che una parte dell’energia chimica viene dissipata come calore. Per questo motivo ci sono dei canali attraverso i 106 quali si fa fluire un fluido di raffreddamento (che può essere aria o acqua, anche se quest’ultima pone problemi per la corrosione degli elettrodi). Il fluido riscaldato viene riutilizzato per il processo di reforming per produrre H2. La temperatura di lavoro è inferiore 100 °C e pertanto è necessaria la presenza di materiali elettrocatalitici (Pt) al fine di favorire la cinetica delle reazioni elettrochimiche. Gli elettrodi a struttura porosa sono ottenuti depositando il materiale elettrocatalitico, finemente disperso, su uno strato di polvere di grafite (legata con un polimero, spesso teflon, PTFE politetrafluoroetilene) supportato su una fibra di carbonio grafitizzata. Esistono anche altre tecnologie per la deposizione di Pt sugli elettrodi (ad esempio è possibile depositare il Pt direttamente sulle due facce della membrana di elettrolita, sulle quali poi si appoggiano i due elettrodi, che possono essere costituiti da grafite). L’alimentazione di queste Fuel Cells richiede la disponibilità di H2. Uno dei modi più opportuni di produzione dello stesso è il reforming a vapore, che prevede cioè la reazione di H2O con un idrocarburo (molto spesso CH4) CH4 + H2O CnH2n+2 + nH2O CO + 3H2 (rH = 206 kJmol1) nCO + (2n+1)H2 (6.19) (6.20) Si tratta di reazioni endotermiche che richiedono quindi il rifornimento di calore, in parte recuperando quello prodotto dalla stessa FC (nel caso di queste SPEFC, che lavorano a basse temperature, il calore recuperato non è sufficiente per cui è necessario riscaldare ulteriormente il fluido di raffreddamento della FC). Come si vede il processo di reforming produce quantità anche notevoli di CO, ma per evitare l'avvelenamento del catalizzatore si deve utilizzare come combustibile idrogeno puro (la quantità di CO contenuta deve essere inferiore al centinaio di ppm); pertanto si devono prevedere stadi di abbattimento di CO nella sezione di trattamento del combustibile. Per diminuire la concentrazione di CO si può promuovere la cosiddetta reazione shift (water-gas shift): CO + H2O (rH = 41 kJmol1) CO2 + H2 (6.21) Queste reazioni vengono condotte a temperature >500 °C, su catalizzatore a base di Ni, ottenendo una miscela di gas. Attualmente si è in grado di ottenere densità di potenza di 1 kW L1. Queste celle a combustibile sono estremamente versatili e possono essere utilizzate sia come batterie in dispositivi elettronici portatili sia per l'impiego di produzione elettrica; inoltre data l'elevata densità di potenza potrebbero essere tranquillamente utilizzate nel settore dell'autotrazione. Infatti in questi ultimi anni le maggiori case produttrici di autoveicoli hanno messo in atto programmi di ricerca volti allo sviluppo di mezzi di trasporto elettrici nei quali l'energia elettrica è prevista essere generata da celle di questo tipo alle quali sono associati piccoli reattori, istallati a bordo degli autoveicoli, in grado di convertire, per reforming, benzine o metanolo in idrogeno. La commercializzazione di questo tipo di vetture è prevista entro questo decennio. 6.5 CELLA A COMBUSTIBILE AD ACIDO FOSFORICO (PAFC) Le celle ad acido fosforico (H3PO4) hanno un funzionamento ed una struttura molto simile alle PEMFC, salvo che in questo caso l'elettrolita è costituito da acido fosforico al 100% ad una temperatura abbastanza elevata per garantire lo stato liquido (la temperatura di fusione è 42 °C, ma con una bassa tensione di vapore): normalmente 180-200 °C. L’acido liquido è contenuto in 107 una matrice solida di carburo di silicio (SiC) grazie al riempimento dei micropori per capillarità. Gli elettrodi sono anche in questo caso a diffusione di gas, costituiti da polvere di carbone nella quale sono disperse piccole particelle di Pt. La polvere di carbone viene impastata con Teflon in modo da costituire una struttura porosa, ma abbastanza robusta; l’impasto viene depositato su un foglio di carta carbone porosa, che serve da supporto, ma anche da collettore di corrente. Il deposito contenente il Pt viene affacciato all’elettrolita realizzando così un ottimo sistema a tre fasi (gas, PtC, elettrolita) ove avviene il processo elettrochimico. Gli elettrodi sono assemblati in un H2 sistema stack come nelle PEMFC, utilizzando delle lastre bipolari per il contatto elettrico tra una cella e l’altra anodo + e, grazie alla doppia scanalatura, per 2H2 4H + 4e utilizzatore alimentare i due elettrodi in contatto H+ attraversa l’elettrolita con i rispettivi gas. Questo tipo di celle non è adatto catodo all’impiego per autotrazione, ma per la O2 + 4e + 4H+ 2H2O produzione di energia elettrica data l'elevata temperatura di lavoro e O2 l'utilizzo di elettrolita liquido. Questi sistemi sono generalmente alimentati con combustibile ottenuto direttamente da reforming del metano in quanto non richiedono gas di alimentazione estremamente puri (è accettata una concentrazione massima di CO intorno all'1%), grazie all'elevata temperatura di esercizio. Il livello d'inquinamento è fortemente inferiore (da 10 a 100 volte) a quello dei sistemi convenzionali a motori diesel e turbine a gas. Sono stati realizzati numerosi impianti dimostrativi di questo tipo con potenze che vanno da 50 kW a 11 MW. 6.6 CELLA A COMBUSTIBILE A METANOLO DIRETTO (DMFC) Come abbiamo accennato, il metanolo ha cominciato a trovare impiego nelle Fuel Cells a elettrolita polimerico come reagente per la produzione di idrogeno, attraverso il processo di reforming: CH3OH + H2O CO2 + 3H2 (rH = 49.7 kJmol1) (6.22) che è molto meno endotermica delle altre reazioni di reforming di idrocarburi, per cui richiede minore riscaldamento e temperature relativamente più modeste (250 °C) con catalizzatori di attività più modeste, come ad esempio Cu su ZnO. D’altra parte il fatto che si produca CO2 (almeno come prodotto principale, anche se si ha sempre una certa quantità di CO, per cui c’è sempre bisogno della reazione shift), rende questo processo di reforming particolarmente adatto per le PEMFC, prevenendo l’avvelenamento del catalizzatore (Pt). Nelle celle a metanolo diretto però il CH3OH viene utilizzato direttamente come combustibile con il quale si alimenta l’anodo al posto di H2. Il problema che pongono le DMFC è che l’ossidazione del metanolo procede più lentamente di quella di H2, dato che si tratta di un processo più complesso (che coinvolge 6 elettroni per molecola). Ciò comporta una minore potenza specifica. Il secondo problema che si ha con queste celle è la possibilità di crossover del metanolo: attraverso la membrana protonica è possibile che il metanolo, grazie alla sua solubilità in acqua (che è sempre presente nella membrana) riesca a raggiungere il catodo. Ciò comporta una diminuzione dell’Open Circuit Voltage, ma anche ulteriori complicazioni. Il metanolo presenta alcuni importanti vantaggi: ha una discreta reattività elettrochimica; si ossida abbastanza facilmente fino a CO2 (pur passando attraverso composti intermedi); esiste in grande disponibilità (come prodotto di fermentazione di prodotti agricoli e di rifiuti); ha quindi un basso costo; basso impatto ambientale (il combustibile è costituito da una soluzione acquosa al 3%, 108 anche se una certa tossicità il CH3OH ce l’ha, soprattutto i vapori); può essere facilmente trasportato e maneggiato (per cui si può pensare di convertire, almeno parzialmente, la rete di distributori di carburanti petroliferi); può essere prodotto da sorgenti rinnovabili. La reazione di ossidazione del metanolo è la seguente nelle DMFC: CH3OH + 3/2O2 CO2 + 2H2O (rG 690 kJmol1) (6.23) cui corrisponde un Erev 1.2 V. In realtà la tensione erogata è molto più bassa (da 0.6 a 0.3 V), per i motivi già detti, ma che in questo caso sono legati ad un’efficienza più bassa delle PEMFC. In effetti, i processi anodico e catodico dipendono dal tipo di elettrolita. Il metanolo può infatti essere utilizzato come combustibile sia in FC ad elettrolita alcalino che nelle PEMFC. Tuttavia, nelle FC ad elettrolita alcalino, il prodotto del processo anodico CH3OH + 6OH CO2 + 5H2O + 6e (6.24) reagirebbe con l’elettrolita alcalino, consumandolo CO2 + 2OH CO32 + H2O (6.25) Per tale motivo si utilizza un elettrolita acido, per cui i processi sono: CH3OH + H2O 3 CO2 + 6H+ + 6e /2O2 + 6H+ + 6e (6.26) 3H2O (6.27) Il processo anodico, in ogni caso, non è un processo semplice, ma implica il passaggio attraverso una serie di stadi successivi, schematizzabili come indicato nella tabella che segue, dove i passaggi da sinistra a destra corrispondono alla formale rimozione di un atomo di idrogeno (cioè uno stadio di ossidazione monoelettronica, con formazione di H+ ed e), mentre ogni passaggio dall’alto al basso corrisponde ancora alla rimozione di un atomo di idrogeno, ma con il coinvolgimento di un gruppo OH. In linea di principio qualsiasi percorso da CH3OH a CO2 è possibile, anche se il meccanismo preferito prevede il passaggio attraverso i vari composti ossidati: CH3OH CH O 2 HCOOH CO2 Metanolo – metanale – acido metanoico – biossido di carbonio Alcol metilico – aldeide formica – acido formico – CHOH CH3OH CH2OH CH2O CHO HCOOH anidride carbonica COH CO COOH CO2 La reazione anodica richiede in ogni caso l’intervento dell’acqua come reagente, per cui è chiaro che il combustibile, non può essere costituito da metanolo puro, ma deve essere una soluzione acquosa. D’altra parte, se non si vuol diminuire troppo l’energia specifica del sistema, è bene alimentarlo con metanolo puro, fornendo quindi l’acqua direttamente alla cella. 109 Si recupera quindi l’acqua che viene prodotta al catodo (per condensazione, dato che viene strippata via dalla corrente d’aria che alimenta il catodo) pompandola in una riserva dalla quale si invia verso l’anodo dove si mescola con il metanolo prima di entrare in cella. In effetti, il compartimento anodico viene alimentato con una soluzione diluita (3%) di metanolo, il che aiuta a prevenire il crossover da parte dello stesso; inoltre il contatto con la membrana (PEM), la mantiene costantemente idratata, il che contribuisce a garantire un miglior funzionamento della stessa. Il MEA per DMFC è del tutto simile a quello di una PEMFC (riportato nella figura a pag. 104, dove abbiamo a sinistra il carbon paper impastato con teflon per avere i canali idrofobici che facilitino il movimento del gas; in mezzo la membrana con il catalizzatore). Purtroppo i vari stadi del processo di ossidazione del metanolo sono tutti lenti, per cui si ha una notevole sovratensione di reazione, che è la causa principale della bassa efficienza di queste celle. Naturalmente si sta prestando molta attenzione allo sviluppo di 60 nm idonei catalizzatori per tale processo anodico. Allo stato attuale, alcuni catalizzatori bimetallici, in particolare Pt/Ru 50/50, appaiono Carbon supported catalysts abbastanza efficienti. Anche in questo caso è necessario che la Nafion membrana contenga le particelle di catalizzatore a livello micelles nanometrico, in modo che il contatto trifasico: combustibile (in questo caso liquido), membrana (cioè gli ionomeri che devono accogliere i protoni prodotti dal processo anodico) e catalizzatore, sia il più intimo possibile. Il catalizzatore è prodotto con una dispersione di nanoparticelle di Pt (o, meglio, della lega Pt/Ru) in carbone, in modo da aumentare la dispersione, grazie alla elevata porosità del carbone. D’altra parte il carbone funge anche da conduttore elettronico, garantendo il contatto con il collettore di corrente. Come si vede nella figura accanto, il contatto tra le nanoparticelle di carbonio supportante il catalizzatore e le micelle della membrana di nafion è molto intimo e, grazie alla porosità del carbone, il combustibile può agevolmente toccare entrambi. Di fatto si utilizzano materiali che hanno oramai più di quarant’anni, ma la realizzazione di nanocompositi consente una riduzione della quantità di catalizzatore di un ordine di grandezza e, contemporaneamente, l’efficienza è aumentata di un ordine di grandezza. 110 6.7 CELLA A COMBUSTIBILE A CARBONATI FUSI (MCFC) In questa cella a combustibile l'elettrolita è costituito, in generale, da una miscela di carbonati di litio e di potassio (o sodio), contenuta in una matrice ceramica porosa, chimicamente inerte, di -LiAlO2. Essa opera alla temperatura di 6-700 °C, alla quale la miscela di carbonati è fusa, costituendo un buon conduttore ionico, con un elevato numero di trasporto per lo ione CO32 che contribuisce in modo prevalente alla conducibilità dell’elettrolita. Può essere alimentata sia con H2 che con H2 CO; in questo caso la reazione anodica è: CO + CO32 2CO2 + 2e Come si vede nello schema accanto, il processo comporta il consumo di CO2 al utilizzatore catodo, che deve essere quindi rifornito CO32 attraversa l’elettrolita assieme a O2. Peraltro è possibile pensare di catodo trasferire il CO2 prodotto all’anodo ad O2 + 2CO2 + 4e 2CO32 alimentare il catodo, il che può apparire una complicazione, ma in realtà può costituire una opportunità: il gas in uscita dall’anodo O2 viene mandato ad un bruciatore che brucia l’H2 residuo producendo calore ed eventuale ulteriore CO2 se ci sono altre sostanze da bruciare, dopo di che viene mescolato con aria fresca e va ad alimentare il catodo. L'anodo è costituito da una struttura porosa di una lega Ni-Cr (2-10%) e il catodo da una struttura porosa di NiO drogato con 1-2% di litio. Se da una parte l'elevata temperatura di lavoro crea alcuni problemi di stabilità strutturale dall'altra è sorgente di numerosi vantaggi; infatti è possibile utilizzare come catalizzatori metalli meno costosi del platino, realizzare il reforming del combustibile all'interno della cella stessa per cui il sistema si presta ad essere alimentato con gas naturale o distillati leggeri, dato che l’alta temperatura di esercizio consente di ottenere, attraverso il reforming, il combustibile per alimentare il processo di cella. Questa tecnologia presenta problemi di vita media: l'elevata corrosività dell'elettrolita, le alte temperature di esercizio, la dissoluzione dell'ossido di nichel del catodo, con conseguente generazione di cortocircuiti interni alla cella sono i principali fattori che limitano la durata di queste celle nel tempo. anodo 2H2 + 2CO32 2H2O + 2CO2 + 4e 6.8 CELLA A COMBUSTIBILE A OSSIDI SOLIDI (SOFC) Queste celle sono completamente a stato solido; in particolare l’elettrolita è un ossido conduttore ionico, per cui si lavora con solo due fasi: solida e gassosa. Per quanto riguarda questo tipo di celle sono state sviluppate tre differenti configurazioni: Tubolare Monolitica Planare tuttavia i componenti in tutte le versioni sono gli stessi, eccetto i materiali per le connessioni elettriche tra cella e cella. In particolare, il materiale elettrolitico è costituito da ossido di zirconio drogato con 8-10% molare di ossido di ittrio Y2O3 (yttria stabilized zirconia, YSZ), gli anodi sono costituiti da cermet Ni/YSZ (volume di Ni 50% e porosità 40%), i catodi (porosità circa 35%) dall'ossido misto (manganito) La1-xSrxMnO3 (x = 0.16) e le interconnessioni che collegano il catodo di una cella all’anodo dell’altra, sono costituite da LaCrO3 drogato con Mg o Sr o da superleghe metalliche. 111 6.8.1 Configurazione tubolare Questa configurazione, sviluppata dalla Westinghouse, fu utilizzata per la realizzazione delle prime SOFC verso la fine degli anni settanta. Attualmente ogni singola cella è realizzata partendo da un tubo poroso (di lunghezza compresa tra i 30 e i 150 cm), a fondo chiuso, come un grande provettone di spessore 1-2 mm, realizzato in ossido di zirconio stabilizzato ad ossido di calcio e sinterizzato a 1650 °C, in aria. La superficie di questo tubo è successivamente ricoperta con uno strato poroso di manganito di lantanio, drogato stronzio (La1-xSrxMnO3), dello spessore di circa 1 mm, che costituisce il catodo della cella. Su questo strato catodico è depositato un film di YSZ impermeabile ai gas, dello spessore di circa 40 m. L'elettrolita è depositato in modo da lasciare scoperta una striscia di materiale catodico, della larghezza di 9 mm e di lunghezza uguale a quella dello stesso tubo di supporto, che è successivamente ricoperta con il materiale d'interconnessione (LaCrO3 drogato Mg). Tutta la superficie elettrolitica è, in fine, ricoperta con il materiale anodico (cermet poroso Ni-YSZ). Figura VI.8.1. Rappresentazione schematica di una cella a combustibile a configurazione tubolare. Nella più recente realizzazione il tubo poroso è stato completamente eliminato e si è realizzato uno strato catodico più spesso con caratteristiche meccaniche tali da operare anche come supporto; in questa versione sono possibili picchi di densità di potenza di circa 0.250 W cm3 a 1000 °C (Fig. VI.8.2). Figura VI.8.2. Potenza verso corrente per una cella tubolare (50 cm). 112 Per realizzare il dispositivo di potenza, le singole celle sono connesse tra loro utilizzando feltri di nichel, che sono in permanente contatto con l'atmosfera riducente (combustibile, H2) (Fig. VI.8.3). Figura VI.8.3. Sezione, perpendicolare all'asse, di una multicella assemblata con configurazione tubolare. L'alimentazione del comburente (aria) avviene all'interno dei tubi. Con questa configurazione il combustibile non utilizzato si aggira tra il 10 e il 50%; parte di questo flusso di gas è mescolato all'idrogeno e riciclato in cella e parte è bruciato per preriscaldare i gas d'alimentazione. Con questa tecnologia sono stati realizzati impianti con potenza di 25 kW, costituiti da due moduli, che operano in modo indipendente, ognuno dei quali contiene 576 singole celle aventi ognuna 50 cm di zona attiva. Come combustibile è utilizzato gas naturale. L'elevato costo di ogni singola cella impedisce, al momento, la diffusione su larga scala di questi dispositivi. 6.8.2 Configurazione monolitica Figura VI.8.4. Cella a combustibile a configurazione monolitica con flusso incrociato. 113 In questo caso, la cella è costituita da una matrice con struttura ad alveare nella quale vi è un elevato numero di canali entro i quali fluiscono combustibile e comburente. Sono stati studiati sistemi sia con canali con uguale direzione, sia con canali aventi direzioni perpendicolari (Fig. VI.8.4). I canali entro i quali fluiscono i gas sono ottenuti con strati anodici e catodici corrugati. Questi strati corrugati sono separati da multistrati piani in modo da generare alternativamente le sequenze: catodo/elettrolita/anodo e anodo/interconnessione/catodo. Le prestazioni di queste celle sono sicuramente più interessanti di quelle tubolari (Fig. VI.8.5); è stata infatti ottenuta una densità di corrente di 1 Acm-2 a 0.6 V. I risultati ottenuti su sistemi multicelle purtroppo sono inferiori a quelli che ci si aspettava dalle caratteristiche mostrate da celle singole; ciò è dovuto essenzialmente all'interazione tra i differenti materiali durante il processo di sinterizzazione e alla bassa densità del materiale d'interconnessione negli strati planari. Il prossimo obiettivo è quello di sviluppare un'opportuna tecnologia in grado di prevenire questi inconvenienti nella realizzazione di dispositivi multicelle. Figura VI.8.5. Curva tensione/corrente per una singola cella monolitica. 6.8.3 Configurazione planare Figura VI.8.6. Piatto bipolare di una cella a configurazione planare. La cella è un sistema a flussi incrociati in cui la separazione, a tenuta, dei gas è ottenuta con piastrelle metalliche o di materiale ceramico aventi canali per l'alimentazione del combustibile e comburente agli opportuni elettrodi (Fig. VI.8.6). La cella elettrochimica è costituita da un catodo e un anodo porosi, tra i quali è interposto un sottile e denso strato elettrolitico. Con questa tecnologia singole celle di dimensioni 3x5 cm2 hanno mostrato la possibilità di erogare 0.4 W cm-3 a un voltaggio di 0.7 V (Fig. VI.8.7); la temperatura di lavoro è di 1000 °C e l'alimentazione utilizza idrogeno puro. Sicuramente questa configurazione presenta le migliori caratteristiche elettriche e le più semplici soluzioni realizzative, tuttavia ancora molto lavoro deve essere fatto per giungere ad una versione commerciale. Problemi concernenti sia i materiali d'interconnessione sia i materiali elettrolitici sono ancora aperti e la loro soluzione non sembra ancora a portata di mano. Figura VI.8.7. Curva tensione/corrente di una singola cella a configurazione planare (5X5 cm2). 114