FAUSTO COPPI - un uomo solo al comando Anteprima

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FAUSTO COPPI - un uomo solo al comando Anteprima
PAOLO ALBERATI
FAUSTO COPPI
un uomo solo al comando
A mio figlio Edoardo,
che ha saputo tenere dolcissima compagnia
a suo padre, tra sorrisi e vagiti, nelle lunghe notti
trascorse a scrivere questo libro.
Perché possa, un giorno, apprendere dalle gesta
dei grandi campioni qui narrate, l’amore per la Vita e per i sogni
e trovare la forza per realizzarli con amore e perseveranza.
Responsabile editoriale
Roberto De Meo
Redazione e coordinamento
David Pacifici
Revisione
Francesco Milo
Impaginazione
Sandro Ruiti
Revisione tecnica delle immagini
Nicola Dini
L'autore ringrazia la famiglia Bartali, Giovanni Corrieri, Ivo Faltoni, Luciano Maggini, Alfredo Martini, Renzo Soldani.
Un ringraziamento speciale va alla famiglia Cimurri, per la disponibilità appassionata con cui ha messo a disposizione le foto
dell'archivio di famiglia, conservate nella Biblioteca Comunale Panizzi di Reggio Emilia dove ci è stata utilissima la collaborazione della sig. Laura Gasparini.
www.giunti.it
© 2009, 2010 Giunti Editore S.p.A.
Via Bolognese, 165 - 50139 Firenze - Italia
Via Dante, 4 - 20121 Milano - Italia
ISBN 9788809765610
Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl
Prima edizione digitale 2010
SOMMARIO
Fausto Coppi, campione del destino
Il mazzaporsei su due ruote. 1919-1938
- Un destino già scritto
- Ciclista per necessità
- Prime corse, prime vittorie
- Bartali, il suo Mito
Nascita di un campione. 1939-1942
- Biagio Cavanna, il «mago cieco»
- Fausto è pronto per il professionismo
- 1940: debutto al Giro d’Italia. Vittoria!
La guerra di Coppi. 1940-1945
- Militare controvoglia
- 1942: il record dell’ora
- Al fronte in Africa: il Coppi senza bici
- Il commilitone Vincenzo Cassini
- Il ritorno alla vita: la ripresa ciclistica dopo la guerra
- Sacrifici da corridore
Coppi-Bartali: gli anni della grande
rivalità. 1945-1948
- 1945: il ritorno alle corse
- 1946: il «vecchio» Bartali è un osso duro
- Alfredo Martini e i fatti di Pieris
- 1947: la famiglia e le corse
- L’inizio della rivalità
La rivalità del secolo in cifre
- 1948: il Tour di Bartali
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Lo splendore del fuoriclasse.
1949-1952
- 1949: l’anno monstre, prima doppietta Giro-Tour
- La Cuneo-Pinerolo, una fuga travolgente
- Il Tour dopo il Giro: prima storica doppietta
- Fausto Coppi, «la bomba» e il doping
- 1950: sulle strade del Nord Europa
- Marina ricorda...
- 1951: la morte di Serse e la voglia di riscossa
- 1952: Seconda doppietta Giro-Tour
- Sandrino Carrea, gregario senza esitazione
Dall’Iride alla Dama Bianca.
1953-1955
- 1953: il Giro dello Stelvio
- Ettore Milano, gregario e confidente
- L’Iride a Lugano prima del tramonto
- La Dama Bianca: una relazione difficile
- 1954: campione del mondo a «gettone»
- 1955: Gino si ritira, Fausto vince ancora
Il viale del tramonto e l’ultima caccia.
1956-1960
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-Lacrime al Giro di Lombardia
-L’ultima battuta di caccia
-Faustino Coppi: mio padre, un uomo gentile
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Palmarès di Fausto Coppi
Indice dei nomi
Referenze bibliografiche e fotografiche
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Fausto Coppi,
campione del destino
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Scrivendo le ultime righe del libro Gino Bartali, mille diavoli in corpo (Giunti 2006), mi sono reso conto,
da «bartaliano» convinto, che era impossibile pensare a Gino Bartali se non in rapporto a Fausto Coppi:
non si può amare Bartali senza rispettare Coppi, non
si può raccontare l’uno senza tifare per l’altro.
Questo libro su Coppi nasce quindi come la naturale prosecuzione del cammino iniziato anni fa, che
mi ha portato ad approfondire gli aspetti noti e meno
noti di questi due grandi personaggi.
Coppi e Bartali, due vite e due carriere sportive legate alla storia del nostro Paese, in particolar modo al
secondo dopoguerra, dove le stupefacenti vittorie dei
due hanno dato speranza e dignità a un’Italia in ginocchio, e hanno portato alto il nome del nostro Paese
fuori dai confini nazionali, diventando i messaggeri di
un Popolo che non si arrende, ma con rabbia e determinazione lotta e vince.
Riscoprire la vita di questi due eroi, con le loro vicende personali che andavano al di là del ciclismo,
significa riscoprire una parte di noi italiani.
Bartali e Coppi, così distanti e così complementari nella loro diversità, non pedalavano soltanto, ma
trascinavano nella loro epopea sportiva l’Italia intera,
l’Italia povera, l’Italia disperata, l’Italia cattolica e progressista, l’Italia dei sogni e delle illusioni, quell’Italia
che «ce la fa» ma che diventa poi vittima del boom
economico.
Bartali e Coppi, con le loro incredibili avventure
sportive e umane raccontano proprio l’Italia divisa ma
unita nel bisogno, come nella storica foto del passaggio della boraccia; come «Coppi e Bartali».
Qui di Fausto non si raccontano solo le vittorie e le
sconfitte sportive (ognuna di queste legate dalla rivalità che lo ha visto contrapporsi per oltre quindici anni a Bartali), ma anche le complesse vicende personali e umane.
Fausto Coppi, il figlio della profonda campagna piemontese, il mazzaporsei, il ragazzo che scappa via da
una realtà soffocante e provinciale rincorrendo i suoi
sogni con la bicicletta; Fausto Coppi, il ciclista «per
necessità» che diventa il Campionissimo; Fausto Cop-
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pi, che rivaleggia senza tregua con l’amico-nemico
Bartali portando il prestigio dell’Italia all’estero.
Fausto Coppi lo schivo, l’introspettivo, il sagace, l’elegante; Coppi, il ciclista precursore che capisce fin da
subito l’importanza delle diete ferree e dell’uso «scientifico» della chimica nello sport. Ma anche un Coppi
grande seduttore, un Coppi che scandalizza l’Italia
perbenista e benpensante con il caso della Dama
Bianca.
Fausto Coppi, un uomo simbolo: nato contadino in
una casa poverissima si ritrova a mangiare a Villa Coppi su tovaglie di fiandra e servizi d’argento. Coppi incarna così metaforicamente la parabola del sogno di
ogni italiano, il miraggio dell’Italia finalmente rinata. E
poi, all’improvviso, la morte: Faustus, l’uomo fortunato
sino al 2 gennaio 1960, muore non per una «sfortunata» battuta di caccia, ma semplicemente perché è destinato a morire giovane, come un vero campione, e a
diventare Mito. Fausto Coppi campione del destino.
Il filo del racconto è qui arricchito dalle testimonianze dirette dei corridori, Renzo Soldani, Giovannino Cor-
rieri, Sandrino Carrea e Ettore Milano, dei figli, Marina
e Faustino, degli ex commilitoni nella guerra d’Africa.
Il materiale iconografico presentato è per la maggior
parte inedito e frutto di anni di ricerche e collezionismo. Sfogliando queste pagine troverete inoltre preziose foto, figurine da collezione, memorabilia, immagini in bianco e nero, legate a filo diretto a un’epoca
fantastica, ancorché tormentata, per la vita del nostro
Paese.
Ma scoprirete soprattutto le tracce di quella passione che ancora scorre e che questo libro ha la pretesa di contribuire a tramandare di padre in figlio, di corridore in corridore, sino ai tempi nostri, per proiettarla alle generazioni future.
Ancora oggi, quando chiedi di Fausto Coppi a quanti lo hanno conosciuto, gregari o avversari, massaggiatori o semplici spettatori, ti guardano dritto negli occhi e, mentre lo sguardo si scioglie in un moto di tenerezza, ti sorridono e dicono: «Coppi, che uomo gentile, e che campione...».
Paolo Alberati
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IL MAZZAPORSEI
SU DUE RUOTE
1919-1938
Fausto (1) e Serse Coppi (2)
frequentano le scuole elementari
a due passi da casa, nel borgo
di Castellania. Una delle maestre
di scuola è proprio la zia.
A destra, Coppi a 23 anni.
FAUSTO COPPI. UN UOMO SOLO AL COMANDO
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UN DESTINO GIÀ SCRITTO
Odore di terra umida e solforosa, galline in discesa che cercano appoggio e fanno gruppo. Rumori
sordi dal fondo della vallata, colpi di mazza sul legno nel bosco, testimonianza invisibile d’uomini
operosi in silenzio nella nebbia umida di un mattino
d’ottobre, qualche giorno dopo la fine delle ultime
corse, passato anche il Giro della Lombardia 2008,
quando il lungo inverno del ciclista comincia a fare
capolino.
Chissà se Fausto Coppi avrebbe immaginato che
novant’anni dopo la sua nascita il suo paese, Castellania, sarebbe rimasto lo stesso di allora: immobile
sulla collina ad attendere il corso delle stagioni, paziente e indolente.
Giù nella piana dello Scrivia ci sono Novi scintillante e Tortona caotica, centri commerciali, luci, rumori d’auto e smog.
Milioni di chilometri e non solo quindici, separano Castellania da tutto il resto. La legnaia in via Goffredo Mameli, dove non sfonda la strada, sulla de-
stra, è sempre la stessa: alte arcate di mattoni e,
poggiata giù in mezzo alla legna, la vecchia macchina trebbiatrice.
«Non basta venire una volta sola a Castellania per
capire», lo aveva detto anche Fausto ai giornalisti
amici, quando era in vita: «In un posto come questo, se non facevo il corridore cosa dovevo fare? Correre, scappare e correre lontano, il più lontano possibile, ecco cosa dovevo fare».
Colori grigi, un po’ di nero nei mattoni, ma silenzio
ovunque, anche di fronte alla piccola cappella dedicata alla Vergine Santissima, costruita da Giuseppe
Coppi nel 1803. I Coppi abitano qui da diverse generazioni, praticamente stanno sulle colline da sempre, un pezzo di terra in salita da sgrossare, coltivare, rendere fiorito e fruttuoso per nutrirsi e sopravvivere, nulla più.
Di sicuro in quel giorno del lontano settembre
1919 Fausto Coppi, nascendo, non immaginava come si sarebbe chiamata a novant’anni di distanza la
via dove sorge ancora la sua casa natale: «Via
Fausto Coppi, Campione del Mondo di ciclismo,
1919-1960».
IL MAZZAPORSEI SU DUE RUOTE
Cinquantadue famiglie, novanta abitanti
circa, Castellania oggi è uno dei comuni
più piccoli d’Italia. Sindaco del paese
è stato per anni Piero Coppi, cugino
di Fausto.
Sotto, foto di gruppo, ritratto dell’Italia
degli anni Trenta, lo striscione è eloquente...
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Le staffette vittoriose della battaglia di Vittorio Veneto sfilano in un Paese in festa, la Prima Guerra
Mondiale ha avuto il suo epilogo, una vittoria, quella
dell’Italia, sudata per quanto foriera di lutti, che sarà
ben presto mortificata anche dal trattato di Versailles.
Facendo leva sull’insoddisfazione generale Benito
Mussolini fonda i Fasci di Combattimento, orde di giovani pronte a innalzare il vessillo del fascismo per la
difesa dei valori della Patria.
In questo contesto politico, papà Domenico Coppi tira un sospiro di sollievo quando gli nasce un maschio,
Angelo Fausto, due chili appena, già magro, ma braccia nuove per coltivare i campi della terra di Castellania.
Sono le 17 del 15 settembre 1919, in paese il passaggio di carri colmi di tini traboccanti d’uva testimonia
l’inizio della vendemmia, a quest’ora i contadini tornano alla cantina per mettere a frutto il raccolto e rincasare prima che l’oscurità li colga ancora nella vigna.
È una bella giornata e Domenico si è concesso
qualche ora di tempo libero per stare accanto alla moglie Angiolina Boveri: sin dal mattino le contrazioni si
sono fatte più frequenti e Angelo Fausto sembra sul
punto di nascere.
Anghelos, che proviene dalla lingua greca, significa «messaggero degli dèi presso gli uomini», mentre
Faustus in latino significa «prosperoso, glorioso, pieno di buone novelle». Angelo Fausto Coppi ancora
FAUSTO COPPI. UN UOMO SOLO AL COMANDO
Castellania oggi, ottantadue abitazioni
in tutto, nella collina che degrada verso
le valli del Curone e del Grue.
La Castellania di Fausto Coppi era
abitata da oltre duecento persone.
Piccola comunità già allora, oggi molti
castellanesi vivono e lavorano
giù nella valle.
Sotto, due figurine anni Trenta di Binda
e Girardengo. Gadget di confezioni
dolciarie della Majestic e della Marziale.
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di nomi e significati non ne sa nulla, per ora pensa
solo a venire alla luce, vagire, mangiare e dormire,
ma poi capirà in futuro che nel suo nome il destino
era già tutto scritto.
Gli stenti e i patimenti di un’Italia in guerra per tre
anni interi non hanno tolto alla gente la voglia di dedicarsi agli svaghi, di riconquistare un barlume di spensieratezza. Ma dal 1919 si torna a vivere: è questa l’epoca delle partenze notturne delle gare ciclistiche,
quando i corridori partono all’alba da Torino per arrivare a Genova, che a quel tempo sembra così lontana. Fausto e il fratello Livio (il maggiore) marinano la
scuola per veder passare quegli eroi che vengono
chiamati «i forzati della strada».
Il ciclismo è lo sport più popolare e i sogni di
Faustino e del fratello corrono veloci sui raggi scintillanti di quelle biciclette.
L’ Aquila dello zio, col manubrio ricurvo verso il basso,
è la prima bici di Fausto Coppi; quella di suo padre invece, una Glorious «da lavoro», è un biroccio da passeggio usato per le commissioni al mercato di Novi.
Il vecchio fucile a due cani del nonno è nascosto in
soffitta. Fausto e Livio lo tirano fuori di nascosto per
le loro scorribande nei fossi e sui pioppeti. Dopo aver
fatto bottino grosso di uccelletti e fringuelli lo puliscono, lo oliano e lo nascondono di nuovo. Fausto ha già
una passione matta per la caccia.
CICLISTA PER NECESSITÀ
Alfredo Binda nel 1927 vince il Giro d’Italia aggiudicandosi 12 tappe. Binda divide lo scettro degli eroi
del pedale con Costante Girardengo e in famiglia
IL MAZZAPORSEI SU DUE RUOTE
Via Fausto Coppi, l’indicazione è affissa
sul muro di casa Coppi, all’inizio della
strada, dove la comunità di Castellania
ha voluto onorare il suo campione.
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Livio e Fausto, che ha otto anni, giocano a fare i corridori contendenti, con il padre Domenico che, consenziente, strizza l’occhiolino.
Finché, a tredici anni, Faustino accenna la sua volontà alla mamma di lasciare la vita dei campi per fare il ciclista. Di mestiere, s’intende.
«Non c’è che dire, una bella proposta…», chiosa il
padre senza aspettare replica. In una civiltà contadina estremamente pragmatica come quella della
campagna piemontese, certe idee per la testa sembrano bestemmie; ma Fausto non ha nessuna intenzione di recedere dal suo proposito.
Col padre Domenico, il quale ha capito soprattutto
che il fisico gracile di Fausto non è fatto per le fatiche
nei campi, trovano un giusto compromesso: lavorare come garzone nella bottega di salumiere del signor Merlano a Novi Ligure e andare in giro per le
strade a far consegne pedalando.
In questo modo, con un ripiego che non sa però di
sconfitta per le ambizioni del giovane, Fausto diventerà mazzaporsei, «ammazza maiali», ma in bicicletta.
Fausto tocca il cielo con un dito, non tanto perché
può lasciare la vita di campagna, per lui troppo statica
e immobile, ma soprattutto perché sa che ogni giorno
dovrà pedalare per le vie della città per le consegne.
A Novi il signor Merlano lo accoglie in casa come
un povero figliolo, lo sistema nella sua stanzetta, lo fa
mangiare bene, ma al mattino presto la sveglia è inflessibile: alle sei iniziano le consegne.
Dota Fausto di una vecchia bicicletta tutta rotta,
con due portapacchi fissati davanti e dietro che sono tanto grandi da contenere un maiale intero. A fine settimana, a consegne ultimate, la domenica
Merlano lo paga con 5 lire di stipendio e gli permette, se lo desidera, di cavalcare la sua bici sino a
Castellania per passare il giorno del Signore in famiglia. Fausto quella bicicletta da lavoro la ribattezza
«Tri fusì», tre fucili, anche se non si saprà mai da dove venga quel nome di fantasia.
Così ogni lunedì mattina a Castellania è ancora
buio quando il ragazzo inforca la sua bici in discesa
in direzione Carezzano, per arrivare a Villalvernia e
poi ancora diritto verso Pozzolo Formigara, dove dalle panetterie comincia a fuoriuscire un profumo di
pane caldo che mette languore al lungagnone ossu-
FAUSTO COPPI. UN UOMO SOLO AL COMANDO
Fausto in sella da bambino sorretto
dal fratello Livio, al suo fianco Serse
in maglietta nera. Il padre Domenico
Coppi appare di lato con il foulard
al collo. Fausto nello sguardo gioca
a fare il duro, anche se è ancora
un ragazzino. Nelle gare con gli amici
è già assolutamente imbattibile.
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to di Castellania: il pane caldo acquistato in panetteria e il salame squisito e fresco del signor Merlano,
che Fausto infila tra le fette non appena arriva a Novi,
sono un privilegio che in quegli anni tocca a pochi.
Fausto è felice, si sente cresciuto, a tredici anni è già
un ometto che si conquista la pagnotta pedalando.
Per avere una sua bici veramente da corridore dovrà
aspettare i quindici anni e il regalo dello zio Fausto,
marinaio giramondo di ritorno dal Golfo Persico.
Lavorare su navi che viaggiano per il mondo, che
attraccano nei mercati dell’Est, che navigano mesi in
mare aperto, deve essere duro, ma anche affascinante, e Faustino sogna spesso a occhi aperti terre
lontane e mondi diversi dalla sua campagna ristretta, chiusa e soffocante.
La bici dei sogni che i soldi dello zio Fausto fanno
materializzare sembra proprio un bastimento verso l’evasione, il vagone di un treno che porta lontano, il volano della sua voglia di scoprire, viaggiare, conoscere,
e dimenticare la miseria che trasuda lassù in collina. Il
colore è grigio perla, sulla canna obliqua del telaio c’è
scritto Maino e costa 520 lire, primizia del negozio di
bici del signor Bovone a Novi Ligure. Così la prima vera bici da corridore entra in casa e prima ancora nel
cuore di Fausto Coppi, e da lì alla prima vittoria in gare non ufficiali il passo è breve: pochi giorni dopo è già
primo nella corsa organizzata nella sagra di paese a
Castellania. In premio tante pacche sulle spalle, 20 lire e un salame, subito divorato in compagnia.
Ma non solo. Quella è la bici con cui si unisce al
gruppo degli allievi di Cavanna, nelle corse verso
Gavi e poi ritorno di gran carriera: la battaglia è sfrenata, l’entusiasmo giovanile porta a strafare, ma a
uscire vincitore da quelle sfide è sempre il giovanotto magrissimo delle colline, il Coppi di cui si comincia a fare un gran parlare.
A Fausto però interessa che quelle voci giungano
all’orecchio di Biagio Cavanna, il massaggiatore cieco di cui ha sentito tanto parlare. Cavanna è un mito
nell’ambiente, carisma da santone e faccia da gangster, si dice che abbia fatto parte anche della banda
di Sante Pollastri, il fuorilegge ammazzaguardie. Ma
ciò che a Fausto fa volare in alto i sogni è il fatto che
Cavanna sia stato anche allenatore di Girardengo e
poi di Guerra. Tutto il resto è leggenda.
IL MAZZAPORSEI SU DUE RUOTE
Due splendide figurine degli anni Trenta
del Giro d’Italia, che ritraggono
Piemontesi (vincitore nel 1929)
e una partenza di tappa.
Sotto, Fausto Coppi, secondo da destra,
alla sua prima corsa: 1° luglio 1937.
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Fatto sta che a forza di pedalare, sognare e distanziare regolarmente sulle salite i suoi compagni di allenamento, arriva a Fausto un invito del Velo Club
Dopolavoro Aziendale Montecatini di Spinetta
Marengo a far parte della loro squadra, nella categoria dei dilettanti.
PRIME CORSE,
PRIME VITTORIE
Fausto decide per il salto nel buio: lasciare la salumeria di Novi per dedicarsi al ciclismo, continuando
a guadagnare come mazzaporsei, non più da garzone, ma su richiesta presso i contadini delle zone circostanti Castellania. Le 20 lire a settimana che riporta come macellaio sono più che sufficienti per permettergli l’abbandono della bottega del signor
Merlano.
La squadra che lo ha cercato gli darà la maglia, ma
lui dovrà acquistare un’altra bici, perché nella Maino
oramai non c’entra più.
Così arriva la sua «Prina», fatta su misura da un ciclista di Asti, che per la verità a dispetto del nome
non è la prima, bensì la quinta bicicletta a passare
sotto le sue natiche.
Costa 600 lire, papà Domenico non batte ciglio:
vede nel figlio il miraggio del riscatto della famiglia e
ripone su Faustino i suoi sogni e le sue speranze.
Non si sbaglierà.
FAUSTO COPPI. UN UOMO SOLO AL COMANDO
Fausto è massaggiato, quasi «sfiorato»
dal massaggiatore cieco Biagio Cavanna.
La cecità aveva sviluppato in Cavanna
qualità sensoriali fuori dal comune.
A destra, una foto inedita di Gino Bartali,
trovata nell’archivio Cimurri presso
la biblioteca Panizzi di Reggio Emilia.
Bartali transita sulle cime alpestri
nel Giro del 1936 tra due muri di neve.
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Al Velo Club lo hanno fornito di un manuale ineffabile: si tratta della bibbia del ciclismo dell’epoca, Come si
diventa corridori ciclisti. È il sillabario su cui Coppi costruirà prima i suoi sogni e poi la sua immensa carriera.
Regola numero uno: andare a dormire con le galline
e levarsi con le allodole, ma questo non è un problema, in casa non c’è di certo la luce elettrica. Così dopo una certa ora lenzuola e sogni d’oro sono una scelta obbligata.
Regola numero due: mangiare poco e bene. E anche
qui non c’è da preoccuparsi, in casa Coppi di cibo non
ve n’è mai stato d’avanzo. Sul mangiar bene… per ora
lasciamo perdere.
Poi v’è scritto, tra le altre regole, che «quando si arriva in volata, bisogna far di tutto per mettere la propria
ruota avanti agli altri ciclisti».
Non v’è scritto se questa regola vale anche se la volata inizia lontanissima dal traguardo, ovvero se va bene lo
stesso piantare in asso gli avversari a metà percorso.
Di fatto Fausto si accorge che i dirigenti della squadra
sono felici anche quando pianta tutti in asso nei primi
chilometri e giunge al traguardo con minuti pesanti di
vantaggio, invece di aspettare la volata.
Questa, che non è una volata lunga ma una «fuga»
vera e propria, sarà il pezzo forte per tutto il resto della
sua carriera.
Si inizia subito. Luglio 1938 a Castelletto d’Orba, prima gara ufficiale con la maglia del Velo Club Spinetta
Marengo: prima vittoria di forza, per distacco.
A Castelletto come premio niente soldi, solo una sveglia da camino che lui ripone nello zainetto.
Intanto il padre se la ride per la sveglia, mentre la madre non è molto contenta di avere questo figlio corridore. Sul giornale del lunedì mattina mettono addirittura la
notizia, ma c’è un refuso che lo offende a morte: «Primo
Cappi».
BARTALI, IL SUO MITO
Binda e Girardengo sono stelle in declino che hanno segnato il loro passo, che hanno vinto tanto ma
l’età li inchioda. Ora il nuovo idolo di Fausto è un giovane fiorentino, sfrontato quanto forte, che cavalca
un’Aquila e vince. Si chiama Gino Bartali. Il fiorentino passa professionista sul finire del 1934 e nel 1935
è subito campione d’Italia.
Sarcofago degli sposi, dalla necropoli
etrusca di Cerveteri, 510 a.C. circa
(Roma, Museo di Villa Giulia).
La cassa destinata a contenere i resti
dei defunti è scolpita a forma di letto
su cui l’uomo e la sua sposa
sono adagiati nella posa
di chi sta banchettando.
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FAUSTO COPPI. UN UOMO SOLO AL COMANDO
Sotto, Gino Bartali in una figurina
francese d’epoca della Sodima, che veniva
acquistata inserendo una moneta
nei distributori automatici.
In basso, patto di ferro tra Coppi,
Bartali e Ronconi.
A destra, Gino Bartali, dopo l’arrivo
in una tappa del Giro d’Italia 1936,
manifesta come sempre la sua vis
polemica.
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Nel 1936 vince il suo
primo Giro d’Italia, nel
1937 lo rivince e nel
1938 trionfa in Francia,
aggiudicandosi da dominatore la corsa più
dura del panorama ciclistico: il mitico Tour
de France.
Già vincitore della
maglia del Gran Premio della Montagna,
Bartali è inviato in
Francia dalle gerarchie sportive del fascismo per dar
lustro allo sport italiano vincendo in terra straniera.
Il ragazzo per la verità è furente perché quelli del
regime gli hanno impedito di prendere parte al Giro
d’Italia per conservare, dicono, le energie intatte per
la corsa francese. Bartali non è d’accordo, ma deve
obbedire.
Alla partenza della corsa francese, Gino è un cavallo di razza che scalpita, attacca in salita, polverizza i rivali con un’andatura insostenibile e scava
l’abisso nei distacchi in discesa, temerario e determinato a riprendersi tutto il maltolto. Lui che da vincitore degli ultimi due Giri d’Italia non ha potuto difendere il titolo nazionale, quando sale sul podio più
alto della corsa francese, al Parco dei Principi, ringrazia pubblicamente non il Duce ma la Madonnina di Santa Teresa, mandando su tutte le furie le gerarchie di Roma e Mussolini primo fra tutti. Ma lui è
Bartali e va dritto per la sua strada.
Intanto Fausto già da un po’ è entrato a far parte
della scuderia del cieco Cavanna, e proprio con lui
piazza il primo colpo di un lungo sodalizio: farlo accasare in una squadra professionistica.
IL MAZZAPORSEI SU DUE RUOTE
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Cavanna lo ha preso sotto le sue cure dopo la vittoria strabiliante di Fausto ad Alessandria. In testa
alla gara lui e Covolo, col vecchio marpione che gli
propone di dividere il premio, arrivare in volata e che
vinca il migliore. Purché Coppi non lo stacchi lungo
il percorso.
Ma Fausto corre per vincere, perché riportare la
vittoria vuol dire vivere, ossia mangiare: ha lasciato
il lavoro di macellaio per la bici, ora il suo unico guadagno viene dalle corse e dai premi vittoria. E anche questa dev’essere vittoria: e vittoria sarà. Ovviamente per distacco.
Il premio sono cinque fogli sfavillanti da 100 lire,
che Fausto, quasi timoroso di tenerle tra le mani,
porta a casa e consegna al padre: «Questi sono per
la bici che mi hai comprato».
Fine dell'anteprima
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