omar Oujda

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omar Oujda
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IL CAFFÈ
7 febbraio 2016
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Il reportage
L’“Europa promessa”per poter uscire da un incubo
Dal Marocco alla Libia e l’approdo in Sicilia,negli accampamenti di fortuna il racconto di chi fugge da fame e violenze
GIULIA BERTOLUZZI, da Rabat
Melilla
Lampedusa
Tripoli
L I B I A
M
AR
OC
CO
Ceuta
Rabat
In molti dopo aver
tentato di varcare
il confine
spagnolo,
hanno deciso
di affrontare
la via di Tripoli
per arrivare
in Italia
U
na corsa in macchina di 30 minuti
tra le montagne boscose del Rif marocchino non basta. Servono altri 20
minuti di camminata per arrivare ad
uno degli accampamenti “sicuri” di
migranti nei dintorni di Nador. Mentre le donne
portano l’acqua raccolta da un pozzo scavato a
fondo valle, gli uomini si riuniscono in assemblea. I militanti della Amdh (associazione marocchina per i diritti umani) distribuiscono il numero d’emergenza da chiamare in caso di problemi in mare durante la traversata, mentre
controllano quello che rimane dall’ultima retata
della polizia.
Intorno alle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla, i migranti subsahariani si rifugiano in accampamenti di tende di plastica, aspettando il
loro turno per tentare la traversata. Nei campi
meno organizzati, come quello di Gourugu, non
ci sono nemmeno le tende. “È il campo per chi
non ha i soldi per pagare il ‘biglietto’ per una
barca, e allora tentano a nuoto o scavalcando le
barriere” spiega Omar Naji, della sezione Nador
di Amdh. Ma negli ultimi 6 mesi, nessuno è riuscito a passare la frontiera via terra, salvo in
qualche sporadica occasione.
Nel campo, le tracce dei passaggi della polizia sono evidenti. “Bruciano tutto, anche il cibo”
spiega un migrante nigeriano, “quando la polizia arriva, gli uomini si nascondono per non esser deportati, mentre le donne non sono toccate”. Una ragazza di 20 anni vive nel campo da
più di un anno, “non sono mai uscita da qui, la
polizia viene ogni due settimane per bruciare
tutto” racconta. L’Amdh teme che la maggioranza delle ragazze che sono nel campo siano
vittime della tratta di esseri umani per fini di
prostituzione “ma nessuna di loro ha mai testimoniato, e senza prove noi non possiamo fare
nulla per loro”, spiega Omar.
Il tema della tratta è inoltre largamente usato come deterrente per smantellare tutti gli accampamenti di migranti e allontanarli dal confine. “In Libia, l’Europa ha dichiarato guerra ai
trafficanti mascherando ‘de facto’ una guerra
contro migranti”, spiega Elsa Tysler ricercatrice
e volontaria per Gadem (group antiraciste de
défence d’étrangers et migrants). “In Marocco
la strategia è la stessa, una guerra contro i trafficanti di donne. Se si pensa che nell’ultima retata a Gourugu tra i 1000 uomini deportati
nemmeno una donna è stata identificata, si capisce che il senso delle operazioni marocchine è
semplicemente quello di bloccare il passaggio ai
migranti e controllare le frontiere europee”.
In una continua logica di do ut des, il Marocco ha abilmente giocato tutte le sue carte per
negoziare con l’ingombrante vicino europeo.
Nel 2013, alla dichiarazione del re di regolarizzare i migranti irregolari in Marocco è derivato
il patto di mobilità tra Marocco e 9 stati europei,
che permette maggiore libertà di circolazione
per cittadini marocchini e studenti nonché l’alleggerimento dei dazi. Alle continue espulsioni
collettive della guardia civile spagnola fino alla
ratificazione della legge sull’“espulsione a caldo” di migranti senza documenti in aprile 2015,
sono derivati nuovi flussi di finanziamenti per le
politiche migratorie e d’integrazione in Marocco
che si è quindi visto le casse rimpinguate per fare da guardiacaccia all’Europa.
Così, nel 2014, 18.000 persone hanno ricevuto una carta di soggiorno. “Ma di queste
18.000, più di 5000 erano siriani, presi momentaneamente a carico dal governo per fare numero, 6000 erano donne, e 7000 uomini subsahariani che in realtà sono la gran parte dei 22.900
totali che avevano fatto domanda” contesta Stéphane Julinet giurista e legale per Gadem.
Come puntualizza Khadija Ainani, vice-presidente della commissione Amdh per i migranti,
“i criteri per ottenere la carta di soggiorno - 2
anni di lavoro regolare, o 5 anni di permanenza
in Marocco - sono restrittivi per la maggioranza
dei subsahariani, e anche se ottenuta la carta, i
diritti che ne dovrebbero discendere non sono
né chiari né rispettati” riferendosi agli allontanamenti forzati dai confini che ledono il più basilare dei diritti, quello della libera circolazione.
In questo clima d’instabilità sociale, economica e giuridica, sono tanti i subsahariani che
decidono di rimettersi in marcia e riattraversare
il confine con l’Algeria per tentare la traversata
in Libia verso l’Italia. Il confine tra Algeria e Marocco, oltre che storicamente chiuso dal 1994, è
anche fisicamente blindato con un nuovo muro
alto 3 metri costruito dal Marocco a inizio 2015:
100 km sono già stati terminati, e altri 500 sono
in cantiere. Nonostante la barriera e i fossati costruiti dalla parte algerina, le due città sorelle
Maghnia in Algeria e Oujda in Marocco restano
più salde che mai per il passaggio di persone e
beni di contrabbando tra i due Paesi.
“Giusto ieri” racconta Jawad Tlimsani di
Amdh Oujda, “tre guineani camminavano sperduti per il centro di Oujda, li ho avvicinati chiedendo se avevano bisogno di aiuto e loro mi
hanno chiesto come potevano andare verso il
confine, se c’erano autobus o dovevano proseguire a piedi. Volevano raggiugere la Libia e
tentare la traversata a Lampedusa”.
Ma il viaggio a ritroso è ancora complicato,
“dopo essere tornati allo snodo centrale di Maghnia in Algeria, infatti” spiega Stéphane Julinet, “devono riprendere la strada del deserto,
passare per Mali, Niger e rientrare in Libia”. È il
passaggio più duro. Se cadi dai pick-up, stipati
fino a 30 persone, sei destinato a morire nel deserto.
Quando chiediamo loro “cosa mai pensano
di trovare in Europa?”, Theo, un giovane camerunense di 26 anni sorride pensando all’inferno
in cui sta vivendo e la risposta è una sola “uscire
dall’incubo”.
L’Onu
“L’atteggiamento
verso i migranti
è un po’ambiguo”
N
La tendopoli
Alla frontiera
L’accoglienza
I bambini
Migranti davanti alle tende dell’accampamento a sud di Nadors,
nella regione berbera del Rif sulla costa del Mar Mediterraneo
La zona di frontiera con l’Algeria, nei pressi di Oujda, nel corridoio
che unisce a Maghnia; in alto, bambini tra le tende dell’accampamento
Siriani di fronte all’unico Hotel di Nador che ha accettato di accoglierli;
in alto, migranti tra le tende dell’accampamento a sud di Nador
Un giovane migrante con un bambino nel campo di accoglienza a sud di
Nador. I bambini sono accettati e considerati a pieno titolo dalla comunità
Il racconto La storia di Theo partito dal Camerun per entrare nell’enclave di Ceuta
I dati
“Stavamo nuotando e una barca...
era la Guardia civil coi manganelli”
L’unica rotta possibile ora è illegale
dopo l’obbligo del visto per i siriani
“È
da tre anni che sono in Marocco. Quando me ne sono andato
dal Camerun, ho lasciato mia
madre e le mie due sorelline là. Sono partito perché dopo la morte di mio padre,
volevo che le mie sorelle potessero studiare. Il viaggio è stato lungo e difficile, a
più riprese ho dovuto chiedere alla mia
famiglia di inviarmi dei soldi per pagare
un passaggio. Da quando sono arrivato in
Marocco ho tentato tre volte di entrare a
Ceuta. L’ultima volta era il 6 febbraio
2014. Io e due amici abbiamo chiamato le
nostre madri per annunciare loro che ci
saremmo sentiti dalla Spagna. Al mattino
presto, siamo andati sulla costa, e ci siamo messi a nuotare, e una barca si è avvicinata. Quando i primi erano vicini abbastanza da toccare la barca, abbiamo capito che era la Guardia Civile spagnola,
che subito ha iniziato a picchiare sulle
braccia con i manganelli. Poi hanno sparato pallottole di gomma a noi che eravamo più lontani. Ma quando hanno sparato
i lacrimogeni in acqua, lì è stato il vero
caos. Non riuscivo più a trovare i miei
amici, vicino alla costa una guardia marocchina mi ha aiutato a uscire dall’acqua. Sulla spiaggia c’erano molti corpi
inermi.”
Erano gli eventi del Tarajal, per cui 16
agenti della guardia civile furono messi sotto
inchiesta per l’omicidio
di 15 migranti. Appena
prima dell’inizio del
processo ad aprile
2015, le così dette
“espulsioni a caldo”,
che prevedono il rinvio
immediato e collettivo
di migranti in condizione irregolare, sono diventate legge. “Nulla
cambia nella pratica”
spiega Elsa Tysler di
Gadem, “è solo un modo per proteggere
la guardia civile e permetterle di agire in
tutta impunità”. A conferma, tutti i 16
agenti della guardia civile sono stato assolti recentemente da tutti i capi d’accusa
per gli eventi del Tarajal.
Sono a migliaia in fuga da Damasco e vengono registrati come rifugiati
S
VITE DA
PROFUGHI
Le montagne
del Rif intorno
alla città di
Nador; sopra,
migranti
davanti alle
tende; a
sinistra, in
grande un
piccolo
migrante, e
un profugo a
lume di
candela. In
alto a destra
migranti nella
tendopoli
econdo i dati dell’Unhcr, sono 1761
i siriani registrati come rifugiati e
5200 quelli rientrati nella maxicampagna di regolarizzazioni promossa
dal Marocco nel 2014. Ma queste cifre dicono poco, dato che nella sola Melilla,
l’Unhcr ha ricevuto più di 4000 richieste
d’asilo nel 2015, di cui la stragrande
maggioranza sono siriani. In effetti, i siriani che entrano in Marocco, stanchi di
molte procedure e zero efficacia, si dirigono direttamente alle frontiere, bypassando le istituzioni e tentando l’ultima
chance in Europa. A gennaio ed agosto
2015, Algeria e Marocco rispettivamente
hanno introdotto il visto obbligatorio per
i siriani, rendendo l’unica rotta possibile
quella illegale.
“I nuovi arrivati vengono dal Libano o
dalla Turchia” spiega Abderazak Ouiam
segretario di Omdh, Ong partner di
Unhcr per la registrazione dei rifugiati,
“prendono un volo per il Sudan, uno per
la Mauritania e da lì si mettono in marcia
per Mali e Algeria via terra e clandestinamente”. Lilia è una giovane diciottenne
damascena. Tutta la sua famiglia, compresa la figlia di due mesi, è in Europa,
mentre lei da sola lotta per la liberazione
del marito, in prigione per aver tentato
d'immolarsi davanti a Melilla. “Prima del
Marocco abbiamo provato in Libano, Turchia, Egitto, Tunisia e Algeria. Da nessuna parte abbiamo trovato un rifugio, un
posto in cui poter vivere senza minacce o
soprusi, è per questo che vogliamo entrare in Europa” racconta.
Per fare domanda d’asilo nel nuovo
ufficio Unhcr installato tra le barriere di
separazione a Beni-Enzar, i siriani devono
pagare sia i passeurs che, come denunciato ripetutamente dai militanti dell’Amdh di Nador, le autorità marocchine
e spagnole che li obbligano a pagare fino
a 1200 Euro.
La “difficoltà più grande è far passare
i bambini”, spiega Omar Naji, Amdh,
“perché se gli adulti riescono a nascondersi tra i lavoratori transfrontalieri marocchini, non è così per i bambini” e in
tanti casi si traduce in una mazzetta più
grande sia ai passeurs che alle autorità.
ella regione del Medio Oriente e dell’Africa
del nord, l’atteggiamento dei governi nei
confronti dei rifugiati è piuttosto ambiguo spiega al Caffè il rappresentante di Unhcr Marocco, Jean Paul Cavalieri -. Spesso i governi si rifiutano di occuparsi o di gestire la situazione per ragioni politiche o di vicinato”. Il Marocco è il primo
Paese della regione che ha deciso di prendersi a
carico la questione, stabilendo un sistema nazionale d’asilo, anche se questo non risulta ancora efficace. “Siamo ancora in un primo processo di
transizione - dice Cavalieri -, in cui le autorità si
stanno gradualmente implicando nella determinazione dello statuto dei rifugiati”. Fino ad ora, comunque, è l’Unhcr che si è occupata della gran
parte del lavoro: la registrazione, la determinazione, chi ha diritto ad una protezione internazionale,
l’assistenza e le soluzioni socio-economiche a lungo termine. Delle 3.200 domande ricevute nel
2015, la maggioranza sono siriani, seguiti da yemeniti, ivoriani, iracheni, palestinesi, congolesi,
camerunensi e maliani. Ma lo staJean Paul Cavalieri
tuto di un rifugiato è ancora lungi
esser ben definito. Basti pensa“Finora è l’Uhncr che si da
re che durante il maxi-processo di
è occupata della gran regolarizzazione del 2014, in cui
migranti sono stati messi
parte del lavoro; siamo 18.000
in regola, 5.000 di questi erano riancora in una fase
fugiati siriani. “Durante il 2014,
Unhcr riferiva i richiedenti asilo ad
di transizione”
una commissione interministeriale che li ha riconosciuti non come rifugiati, ma come migranti - ammette il rappresentante -. Ora
che questa procedura è conclusa, il governo sta riconsiderando la possibilità di registrarli come rifugiati, in mancanza di alternative per regolarizzarli”. E senza regolarizzazione, ovviamente, non
hanno accesso al mercato del lavoro legale o a un
soggiorno regolare.
Il progetto di legge sul diritto d’asilo fa parte di
un pacchetto di tre leggi, (una contro la tratta degli
esseri umani, una sul diritto dei migranti e una diritto d’asilo) redatte dal governo e che devono essere presentate in parlamento. “Da questa legge
dipende tutto - aggiunge Cavalieri -. Da lì, il Marocco stabilirà un ufficio per i rifugiati, e inizierà
una sorta di nazionalizzazione del processo di registrazione e determinazione che a lungo termine
deve appartenere alle autorità marocchine”. Fino a
quel momento i rifugiati rimangono a carico delle
Nazioni Unite. Nei paesi del Medio Oriente come
Libano, Turchia, Giordania e Iraq, che ospitano la
maggioranza dei rifugiati (4 milioni), si instaura
un meccanismo di solidarietà volto a facilitare i
ricollocamenti e le evacuazioni umanitarie dalle
zone di crisi verso paesi dell’Europa o del Canada
(che ha recentemente annunciato che è disposto
ad accogliere 25mila rifugiati siriani da Libano e
Giordania). “Per l’Africa del Nord, la situazione è
diversa - conclude Cavaliere, che è stato rappresentante Onu in Libano per quattro anni -. Il Marocco, per esempio, prende a carico la sua parte
di rifugiati che raggiungono il territorio nazionale. Da una parte sorveglia severamente le frontiere, ma dall’altra c’è un sistema di accoglienza,
protezione e integrazione dei rifugiati e richiedenti asilo”.