Cass. 11/1/12 n. 153 - Rivista critica di diritto del lavoro
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Cass. 11/1/12 n. 153 - Rivista critica di diritto del lavoro
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-01-2012, n. 153 Svolgimento del processo 1. La Corte d'Appello di Cagliari, con la sentenza n. 9 del 2008, accoglieva l'appello proposto, con ricorso dell'11 febbraio 2005, da M.G. nei confronti dell'azienda agricola Sardaflora, società semplice, contro la sentenza 4 novembre 2004 del Tribunale di Cagliari; in riforma della sentenza impugnata dichiarava che la M. aveva diritto all'inquadramento di operaio qualificato, secondo quanto previsto dal C.C.N.L. operai agricoli e florovivaisti, con decorrenza dal 1 novembre 1993 e condannava, per l'effetto, la società appellata al pagamento in favore della M. della complessiva somma di Euro 6.124,02, al lordo delle ritenute di legge, con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali dalla data di maturazione dei singoli crediti. 2. La M. aveva adito il giudice del lavoro di Cagliari esponendo di operare fin dal 1990 alle dipendenze della Azienda agricola Sardaflora, esercente attività florovivaistica con oltre sessanta dipendenti in agro di (OMISSIS), e di essere stata addetta, fin dall'assunzione, allo svolgimento delle seguenti incombenze disimpegnate come da schede tecniche: taglio, scelta e confezione di gerbere, lilium, moufler, fresie, orchidee, anturium, iris, gladioli, felci, calle, garofani, anemoni, tulipani e alstroemerie; confezioni di mazzi di fiori misti (selezione manuale e formazione dei mazzi mediante cellophane, nastro, carta lucida o colorata); segnalazione di malattie parassitarie; potatura e sbocciolatura delle fresie, dei garofani e dei lilium, ossia dell'operazione diretta all'eliminazione dei boccioli gracili intorno al fiore migliore per consentirne il pieno sviluppo; scelta delle piante di orchidee da rinvasare e rinvaso delle stesse in appositi vasi previa valutazione della qualità delle radici e delle piante; lavori vari. Deduceva, altresì, di avere osservato un orario di 40 ore settimanali (superiore di un'ora a quello previsto dal C.C.N.L.) e di avere percepito a fronte di tali prestazioni, corrispondenti alle declaratorie contrattuali dell'operaio qualificato di terzo livello del C.C.N.L. del settore agricolo e florovivaistico, le retribuzioni indicate nei prodotti prospetti paga e pari, da ultimo, alla somma lorda mensile di lire 1.470.624, inferiori ai minimi sanciti dalla contrattazione collettiva e, comunque, non conformi ai criteri di sufficienza e proporzionalità di cui all'art. 36 Cost.. Il datore di lavoro, aggiungeva, non applicava in modo integrale le previsioni del contratto collettivo nazionale e dell'integrativo provinciale, avendo adottato un particolare sistema di determinazione della retribuzione, contravvenendo al combinato disposto dell'art. 2103 c.c. e art. 96 disp. att. c.c., inquadrando la quasi totalità dei dipendenti nell'ambito della categoria operaia senza riconoscimento delle qualifiche (di operaio qualificato e specializzato) previste dalla contrattazione collettiva. Tanto premesso, la M. chiedeva, previo accertamento del diritto ad essere inquadrata, fin dalla data dell'assunzione, nella qualifica di operaio qualificato di 3 livello, attualmente di Area 2^ livello C, la condanna dell'azienda resistente, in persona del titolare Mu.Gi., al pagamento della complessiva somma di Euro 34.512,99 ovvero di quell'altra maggiore o minore che risultasse in corso di causa, liquidando la giusta retribuzione ex art. 36 Cost., con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali dalla data di maturazione dei crediti. 3. Il Tribunale rigettava il ricorso. 4. La Corte d'Appello, nell'accogliere, in parte, l'impugnazione, affermava, in particolare, che anche il datore di lavoro che non intenda applicare ai proprii dipendenti la disciplina prevista dalla contrattazione collettiva di settore, per ciò stesso non può considerarsi libero nella gestione dei rapporti di lavoro con il proprio personale, restando comunque soggetto al rispetto dei principi previsti in materia dalla disciplina legale. E, tra questi, il disposto dell'art. 2103 c.c., che individua il diritto del lavoratore ad essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle successivamente acquisite; diritto che deve essere posto in stretta correlazione con l'obbligo imposto a carico del datore di lavoro dall'art. 96 disp. att. c.c. di far conoscere al lavoratore al momento dell'assunzione, la categoria e la qualifica che gli sono attribuite in relazione alle mansioni per le quali è stato assunto. La Corte d'Appello, quindi, riteneva di non poter condividere le argomentazioni del Tribunale, il quale riconduceva le incombenze della ricorrente nell'ambito della professionalità di operaio comune, ossia del lavoratore capace di eseguire, secondo la declaratoria contrattuale, solo mansioni generiche non richiedenti specifici requisiti professionali. Sussistevano, invece, tratti di specifica capacità, in quanto dipendente con anzianità pluriennale nel settore, addetta ad una pluralità di incombenze, talune inerenti alla produzione di fiori con accertata alternanza su tutte le diverse linee di coltivazione ed altre concernenti più propriamente l'attività di valorizzazione e commercializzazione della produzione. La ricorrente, quindi andava inquadrata nell'ambito della qualifica di operaio qualificato ai fini della indagine circa l'adeguatezza della retribuzione ex art. 36 c.c.. 5. Ricorre per la cassazione della suddetta sentenza la Sardaflora, azienda agricola, società semplice, prospettando sette motivi di impugnazione. 6. Resiste con controricorso M.G.. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 39 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 3). Deduce la ricorrente di non essere iscritta ad associazioni datoriali stipulanti le contrattazioni collettive. La sentenza impugnata, quindi, in contrasto con il citato art. 39 Cost., utilizza la contrattazione collettiva, inquadrando la lavoratrice in una qualifica professionale propria di quest'ultima, benchè la stessa sia inapplicabile al presente rapporto di lavoro. Il quesito di diritto è il seguente: ai sensi dell'art. 39 Cost., non può riconoscersi alla contrattazione collettiva di diritto comune la possibilità di dispiegare efficacia vincolante nei confronti dei datori di lavoro non aderenti ad alcuna associazione di categoria, e ciò neppure in via indiretta, e neppure per istituti accessori di detta contrattazione, quali quelli relativi all'inquadramento dei lavoratori in qualifiche professionali tipizzate dal contratto collettivo inapplicabile al rapporto di lavoro non sottoposto all'applicazione della predetta normativa contrattuale di diritto comune. 2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c. e art. 96 disp. att. c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Prospetta la ricorrente che, per un verso, è stata fatta erronea applicazione dell'art. 2103 c.c., dal momento che, da un lato, la lavoratrice indicava le mansioni svolte dall'inizio del rapporto di lavoro, che non subivano modifiche nel corso dello stesso; per altro verso, in ragione dell'organizzazione aziendale -tenuto conto del numero totale dei dipendenti dell'azienda (60), dei dirigenti (3), degli impiegati (alcuni), degli operai con funzioni direttive (4) e dei responsabili delle singole coltivazioni (almeno 4) -al massimo per ogni 4/5 operai comune, vi era un preposto di grado superiore. Il quesito di diritto ha il seguente tenore: "ai sensi dell'art. 2103 c.c. e dell'art. 96 disp. att. c.c., la qualifica di appartenenza del prestatore di lavoro nell'ambito delle categorie di cui all'art. 2095 c.c., non necessariamente deve essere indicata dall'imprenditore, che legittimamente non applichi gli istituti della contrattazione collettiva, mediante una ripartizione che, come in alcune di tali contrattazioni, utilizzi la denominazione di specializzazioni, qualificazioni o appartenenze professionali, essendo comunque soddisfatta la prescrizione normativa in questione, anche mediante un semplice raggruppamento dei lavoratori per gradi, secondo la loro importanza nell'ordinamento dell'impresa". 3. In ragione della loro connessione il primo, il secondo ed il quinto motivo d'impugnazione, che di seguito si espone in sintesi, devono essere trattati congiuntamente. 4. Con il quinto motivo di ricorso è prospettato, con riferimento ai vizi di violazione di legge di cui ai motivi sub 1 e 2, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). La Corte d'Appello avrebbe omesso di considerare le prospettazioni difensive, alla luce di quanto emerso dalle prove testimoniali rese all'udienza del 10 maggio 2006, secondo le quali la Mu. svolgeva mansioni di carattere elementare prive di qualsivoglia spazio di autonomia, assimilabili a quelle dei cosiddetti operai comuni, secondo le mansioni contemplate per tale qualifica dalla contrattazione collettiva. Né poteva assumere rilievo, come invece ritenuto dal giudice di appello, la pluriennale esperienza o la pluralità di incombenze, non essendosi effettuato alcun riconoscimento da parte di esso datore di lavoro dell'attribuzione del compito di segnalare malattie parassitarie. 5. I suddetti motivi non sono fondati e devono essere rigettati. Occorre ricordare che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. n. 18584 del 2008), in tema di adeguamento della retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost., il giudice del merito, anche se il datore di lavoro non aderisca ad una delle organizzazioni sindacali firmatarie, ben può assumere a parametro il contratto collettivo di settore, che rappresenta il più adeguato strumento per determinare il contenuto del diritto alla retribuzione, anche se limitatamente ai titoli contrattuali che costituiscono espressione, per loro natura, della giusta retribuzione, con esclusione, quindi, dei compensi aggiuntivi e delle mensilità aggiuntive oltre la tredicesima. La giusta retribuzione deve essere adeguata anche in proporzione all'anzianità di servizio acquisita, atteso che la prestazione di lavoro, di norma, migliora qualitativamente per effetto dell'esperienza; ne consegue che il giudice può ben attribuire gli scatti di anzianità non per applicazione automatica, ma subordinatamente all'esito positivo dell'indagine volta a garantire l'adeguatezza della retribuzione ex art. 36 Cost. in considerazione del miglioramento qualitativo nel tempo della prestazione. Ed infatti, il contratto collettivo, in quanto norma formulata, in condizioni che garantiscono la formazione del libero consenso, dalle stesse parti che sono immerse nella realtà da disciplinare, è il più adeguato parametro per determinare il contenuto del diritto alla retribuzione. La Corte d'Appello, con congrua e logica motivazione, ha fatto corretta applicazione di tali principi. Ed infatti, il giudice di secondo grado, dato atto della circostanza dedotta da parte ricorrente della mancata iscrizione ad associazioni datoriali stipulanti le contrattazioni collettive e del conseguente inquadramento dei dipendenti nell'ambito delle categorie legali di cui all'art. 2095 c.c., richiama la contrattazione collettiva, ma tale richiamo, correttamente, è limitato alla individuazione del parametro per la determinazione della giusta retribuzione ex art. 36 Cost., in ragione delle mansioni svolte. Nella sentenza resa in secondo grado assume, dunque, rilievo l'art. 2103 c.c., nonchè l'art. 96 disp. att. c.c., ma non come prospetta parte ricorrente - nel dedurre che la Mu. non aveva mai cambiato mansioni nel corso del tempo -per quanto previsto nella parte finale della suddetta disposizione, quanto, come messo congruamente in luce nella motivazione, con riguardo al diritto del lavoratore ad essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto e a percepire la connessa retribuzione; diritto che ha come presupposto essenziale, per poter essere esercitato, l'obbligo del datore di lavoro di far conoscere al lavoratore, al momento dell'assunzione, categoria e qualifica attribuitagli in relazione alle suddette mansioni. Pertanto accanto alla categoria legale ex art. 2095 c.c., il datore di lavoro deve far conoscere anche la qualifica convenzionale relativa alle mansioni in questione. Come questa Corte, a Sezioni Unite, ha avuto modo di affermare (Cass. S.U., n. 5454 del 2009) l'esercizio del potere direttivo si colloca sul piano dei poteri privati ascrivibili alla categoria dei diritti potestativi. Con l'assegnazione delle mansioni è il contenuto dell'obbligazione di svolgere la prestazione lavorativa che viene determinato sicchè con un atto unilaterale del datore di lavoro si hanno effetti giuridici nella sfera del lavoratore il quale, in tal caso, versa in una situazione di soggezione. Proprio perchè si tratta di un potere privato, tipico della subordinazione, il legislatore circonda il suo esercizio di limitazioni e prescrizioni a garanzia del lavoratore e per bilanciare la sua situazione di soggezione. Sotto più profili l'esercizio di tale potere può appalesarsi illegittimo: perchè le mansioni cosi come conformate non sono corrispondenti alla qualifica; o perchè in tal modo si determina una discriminazione; o perchè c'è un motivo illecito quale quello di indiretto contrasto dell'attività sindacale del dipendente. In tal caso il lavoratore può reagire all'esercizio illegittimo di tale potere allegando circostanze di fatto volte a dare fondamento alla denuncia di illegittimità. In linea con tali principi, quindi, proprio in quanto la Sardaflora si era limitata ad inquadrare la M. nell'ambito della categoria operaio, senza alcuna ulteriore specificazione, nè della qualifica convenzionalmente attribuita, nè delle mansioni in concreto assegnate, la Corte d'Appello riteneva necessaria l'indagine diretta ad accertare la natura delle mansioni di fatto svolte dall'appellante, sempre "in vista dell'individuazione del corretto inquadramento contrattuale, seppure ai soli fini della tutela retributiva di cui all'art. 36 Cost." -e solo a tali fini, come si legge nella motivazione della sentenza d'appello citata, dunque, veniva dichiarato in dispositivo il diritto della Mu. all'inquadramento di operaio qualificato, secondo quanto previsto dal CCNL operai agricoli e florovivaisti, con decorrenza dal 1 novembre 1993. In ordine al quinto motivo di impugnazione, relativo al mancato rilievo attribuito ad alcune risultanze istruttorie occorre ricordare che in tema di valutazione delle prove, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia di efficacia delle prove, per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati probatori, essendo rimessa la valutazione delle prove al prudente apprezzamento del giudice (Cass., n. 9245 del 2007). Sotto altro profilo, detta censura, che non si specifica, peraltro, come richiesto anche in ordine al vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, in un momento di sintesi del motivo stesso ex art. 366-bis c.p.c. (Cass., S.U. n. 20603 del 2007), concernendo la valutazione della prova assunta, involge in realtà la valutazione di specifiche questioni di fatto, non consentita in sede di giudizio di legittimità. Ed invero, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico -formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento e di dare adeguata contezza dell'iter logico -argomentativo seguito per giungere ad una determinata conclusione. Ne consegue che il preteso vizio della motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della stessa, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti "decisivi" della controversia, ovvero quando esista insanabile contrasto fra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico -giuridico posto a base della decisione (ex multis, Cass. n. 1754 del 2007). In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto -consentito al giudice di legittimità -non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità il quale deve limitarsi a verificare se siano stati dal ricorrente denunciati specificamente -ed esistano effettivamente -vizi (quali, nel caso di specie, la carente, insufficiente o contraddittoria motivazione) che, per quanto si è detto, siano deducibili in sede di legittimità. Nella specie, in ragione, alla luce dei principi sopra richiamati, della congrua e coerente motivazione della Corte d'Appello, la censura si traduce nella richiesta di un riesame del merito della controversia, non ammissibile in sede di legittimità. 6. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1997, art. 1, lett. f), (art. 360 c.p.c., n. 3). Ad avviso della ricorrente, la Corte d'Appello si sarebbe fermata ad una lettura parziale della suddetta disposizione, secondo la quale l'obbligo d'informazione del lavoratore può riguardare anche solo le caratteristiche e la descrizione sommaria del lavoro, circostanze di cui la M. era informata. La stessa, sentita liberamente dal giudice del lavoro di Cagliari, aveva, altresì, riconosciuto che gli ordini di servizio venivano affissi ogni giorno per indicare le incombenze affidate ad ogni lavoratore. Il quesito di diritto è stato formulato come segue: "il D.Lgs. n. 152 del 1997, art. 1, lett. f), e segnatamente la seconda preposizione dello stesso, è pienamente soddisfatta da parte del datore di lavoro privato il quale, fin dall'assunzione del lavoratore, lo abbia adibito alle medesime mansioni, non mutando negli anni l'oggetto della prestazione, e specie quando quotidianamente abbia impartito al lavoratore degli ordini di servizio scritti e affissi nei locali aziendali riportanti le incombenze attribuitegli, sempre conformi e tali riconosciute dal lavoratore stesso, si che questi sia stato posto in condizioni di conoscere quotidianamente le attività lavorative assegnategli e così poterne accertare eventuali variazioni". Il motivo non è fondato e pertanto va rigettato. Ed infatti, il richiamo al D.Lgs. n. 152 del 1997, art. 1, la cui finalità è quella di consentire al lavoratore di conoscere i termini della propria posizione lavorativa in modo da poter tutelare i connessi diritti, si aggiunge ad una motivazione che è già di per sè corretta ed esaustiva, tanto da superare il vaglio di questa Corte (vedi esame motivi uno, due e cinque), senza dare luogo ad una autonoma "ratio decidendi". 6. Con il quarto motivo di impugnazione è prospettata omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). La motivazione avrebbe eluso l'esame critico di un fatto controverso, consistente nell'espletamento vantato dalla lavoratrice di incombenze più elevate (segnalazione malattie parassitarie, invasature di piante di orchidee), contestato dall'azienda e rilevante ai fini della controversia, giacchè ha indotto la Corte d'Appello ad un giudizio di qualificazione professionale a vantaggio della lavoratrice senza considerare le effettive risultanze probatorie (testi C., M., L., P.). La suddetta censura nel suo complesso non può essere accolta. Come si è accennato, costituisce principio del tutto pacifico che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione -sotto il profilo della omissione, dell'insufficienza e della contraddittorietà -può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. In aderenza alla suddetta regola di diritto, rileva questa Corte che il giudice del merito ha fatto corretta applicazione della legge e della logica per pervenire all'accertamento dell'espletamento da parte della M. di mansioni richiedenti specifici requisiti di capacità professionale. In particolare la Corte d'Appello ha attribuito rilievo a quanto riferito dai testi escussi circa il fatto che le procedure di confezionamento dei fiori avvenivano a seconda della tipologia dei fiori trattati con sistemazione in apposite pipette sistemate su carrello per gli anturiuym, ovvero con utilizzo di apposite scatole di cartone per quanto riguarda le gerbere, o ancora, con realizzazione di mazzi di fiori misti mediante cellophane, nastro e carta lucida o colorata -previa scelta e separazione dei diversi esemplari in relazione alla loro qualità (di prima scelta, di seconda scelta o di terza) ed alle loro dimensioni. Sotto altro profilo, la Corte d'Appello attribuiva rilievo anche all'ammessa attività di segnalazione di talune malattie parassitarie semplici (cfr. libero interrogatorio del Mu. dinanzi al Tribunale) che postula il possesso in capo alla M. di una specifica capacità professionale, seppure acquisita a seguito di pluriennale pratica di lavoro. Alla luce delle complessive risultanze processuali, quindi, il giudice di appello ha ritenuto, con motivazione congrua, che proprio la natura eterogenea delle mansioni di produzione e di valorizzazione della produzione stessa disimpegnate in via del tutto prevalente dalla M., poichè richiedenti per il loro corretto svolgimento requisiti di specifica capacità professionale, ne comportava l'inquadramento nell'ambito della qualifica di operaio qualificato, almeno ai fini della adeguatezza della retribuzione ex art. 36 Cost.. 7. Con il sesto motivo d'impugnazione è dedotta la violazione degli artt. 3 e 36 Cost., e dell'art. 2099 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Deduce parte ricorrente come, all'esito della CTU, è emerso che lo scostamento esistente tra la retribuzione corrisposta alla M. e quella presa a parametro dalla Corte d'Appello per il lavoratore comune contemplato dalla contrattazione collettiva, nell'ambito della quale devono essere inquadrate le mansioni svolte dalla suddetta lavoratrice, è di appena l'1,81 per cento inferiore. Per la ridotta dimensione di tale differenza, dunque, non può esprimersi un giudizio di insufficienza rispetto alla prescrizione di cui all'art. 36 Cost.. Il quesito di diritto ha il seguente tenore: "qualora la retribuzione corrisposta al lavoratore dall'imprenditore, e quella indicata dalla contrattazione collettiva presa a riferimento dal giudice di merito, sussista una differenza minima, nella specie di appena l'1,81 per cento, tale scostamento di così ridotta dimensione non può censurarsi come violazione dei parametri di proporzionalità e di sufficienza della retribuzione ex art. 36 Cost.". 7.1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato, in quanto Io stesso non coglie la ratio decidenti della pronuncia in esame. Ed infatti, la Corte d'Appello, ha posto a fondamento della decisione di condanna l'accertato scostamento dell'11,001 per cento della retribuzione corrisposta dalla Sardaflora in favore della M., rispetto a quella dovuta per la figura professionale dell'operaio qualificato, sulla base del cd. minimo costituzionale, considerato che tale dato non poteva essere neutralizzato dal fatto che la predetta retribuzione attribuita alla lavoratrice fosse risultata superiore del 6,986 per cento rispetto a quella prevista dal contratto di riallineamento ai salari della contrattazione collettiva nazionale e di quella integrativa provinciale per l'operaio qualificato (in quanto tale contratto era diretto a consentire ai soggetti aderenti il graduale rientro nell'ambito dei parametri salariali, secondo predeterminate quote di maggiorazione e sequenze, nell'arco di un quadriennio). 8. Con il settimo motivo di impugnazione è dedotta la violazione degli artt. 3 e 36 Cost. e dell'art. 2099 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Il quesito di diritto ha il seguente tenore: "qualora le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, maggiormente rappresentative sul piano nazionale, regolino con un accordo collettivo stipulato a livello decentrato che contempli per i dipendenti di una determinata attività produttiva una retribuzione anche inferiore rispetto a quella generale della contrattazione collettiva, può fondatamente ritenersi che essa sia contraria al precetto costituzionale di cui all'art. 36 Cost., mentre non può discriminarsi tale giudizio di compatibilità, con l'anzidetto precetto costituzionale tra imprenditori che aderiscono ad una organizzazione sindacale di categoria che sottoscriva l'anzidetto accordo, e quelli che invece non vengono rappresentati da alcuna associazione datoriale, nel senso che il giudizio di osservanza della norma costituzionale deve essere esteso a tutti i rapporti di lavoro riguardanti l'attività produttiva in argomento". 8.1. Il motivo non è fondato e pertanto deve esser rigettato. Anche la suddetta censura non coglie la rario decidendi della decisione della Corte d'Appello, incentrata, nello specifico, sulla determinazione della retribuzione equa ex art. 36 Cost. e non sulla comparazione tra imprenditori iscritti o non iscritti ad organizzazioni sindacali. Ed infatti, la Corte d'Appello ha affermato come, in ragione dello scostamento positivo tra retribuzione erogata e quella prevista dal contratto di riallineamento, non era lecito operare alcuna riduzione dei minimi salariali previsti dalla contrattazione collettiva di settore in vista della determinazione della retribuzione equa di cui all'art. 36 Cost.. Nè, potevano assumere rilievo la dedotta crisi strutturale, nazionale e locale, del settore agricolo e florovivaistico, nè la pure dedotta, generalizzata evasione dei minimi salariali previsti dalla contrattazione collettiva nazionale e provinciale. Ciò tenuto conto, altresì, della peculiare natura del processo produttivo realizzato dalla Sardaflora (produzione, commercializzazione di fiori), e anche della consistenza dimensionale medio-grande rivestita dalla medesima, che aveva sempre occupato, nel periodo per cui è causa, oltre sessanta dipendenti. Dunque, nel ragionamento motivazionale del giudice d'appello, residuale e non integrante la ratio decidendi del relativo capo della pronuncia, è l'affermazione che i soggetti aderenti al contratto di riallineamento, si impegnano a riconoscere, a differenza della Sardaflora, la vincolatività della contrattazione collettiva nazionale e provinciale. 9. In ragione delle considerazioni svolte, pertanto, il ricorso deve essere rigettato. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro duemilacinquecento per onorario, Euro 40,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2011.