Vai al documento completo - Società Italiana di Psicofisiologia

Transcript

Vai al documento completo - Società Italiana di Psicofisiologia
FACOLTÀ DI MEDICINA E PSICOLOGIA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN NEUROSCIENZE
COGNITIVE E RIABILITAZIONE PSICOLOGICA
Tesi di Laurea
Elettrofisiologia corticale del ricordo dei sogni al risveglio
da sonno REM e NREM nell’anziano
Relatore
Prof. Luigi De Gennaro
Laureanda
Chiara Bartolacci
Correlatore
Matr. 1199722
Prof. Gaspare Galati
A.A. 2014/2015
A mia nonna,
ai miei genitori
e ai miei coinquilini
2
INDICE DEI CONTENUTI
INTRODUZIONE
4
CAPITOLO 1
L’APPROCCIO PSICOFISIOLOGICO ALLO STUDIO DEI SOGNI
6
1.1 Introduzione
6
1.2 Lo sviluppo dell’approccio psicofisiologico nella ricerca del sogno
6
1.2.1 I meccanismi neurali del sonno
6
1.2.2 Problemi metodologici
10
1.3 L’evoluzione del paradigma dicotomico tra REM e NREM
14
1.4 L’approccio neuropsicologico nella ricerca sul sogno
23
1.5 Correlati elettroencefalografici del richiamo dell’attività mentale nel sonno
37
1.6 Il sogno nell’anziano
44
CAPITOLO 2
LA RICERCA
48
2.1 Introduzione
48
2.2 Metodo
48
2.2.1 Soggetti
48
2.2.2 Procedura
50
2.2.3 Strumenti
51
2.2.4 Analisi dei dati
51
2.3 Risultati
53
2.3.1 Topografia EEG
53
2.3.2 Topografia EEG che precede il risveglio
55
2.3.3 Topografia EEG dell’intera notte
57
2.4 Discussione
60
2.5 Conclusioni generali
61
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
63
3
INTRODUZIONE
I sogni potrebbero essere definiti come il prodotto finale di una serie di capacità cognitive che
implicano processi attentivi, mnestici, linguistici e immaginativi nel corso della notte. Studiare
l‟attività onirica da un punto di vista scientifico è un‟impresa ardua, fortemente limitata dalle
stesse caratteristiche intrinseche di ciò che deve essere indagato: i resoconti riportati dai soggetti
al momento del risveglio sono gli unici strumenti per mezzo dei quali i ricercatori possono aver
accesso all‟esperienza dell‟attività mentale che si verifica nel sonno. Entra, quindi, in gioco
un‟ampia serie di variabili culturali, sociali e individuali che sfugge inevitabilmente al controllo
dello sperimentatore. Inoltre, spesso, i soggetti manifestano difficoltà nel ricordare i propri sogni,
portando i ricercatori a interrogarsi su quali siano le strutture cerebrali implicate nella
generazione dell‟attività onirica e quale sia l‟origine dei processi di codifica e di recupero della
stessa. Inizialmente, in seguito alla scoperta del sonno REM avvenuta negli anni ‟50, si riteneva
che questo specifico stadio del sonno fosse il correlato neurale dei sogni, data la maggiore
probabilità di riscontrarne il ricordo al risveglio da tale fase. Da questo momento in poi molte
ricerche si sono focalizzate esclusivamente sui risvegli da sonno REM, fino a quando è stata
dimostrata, al contrario, la presenza di attività mentale durante l‟intero episodio di sonno, quindi
anche nel corso dello stadio di sonno NREM. Dopo diversi anni di ricerca passati ad analizzare
le possibili differenze qualitative e quantitative fra i resoconti dei sogni che si ottengono dopo il
risveglio da sonno REM e da sonno NREM, attualmente l‟interesse si è rivolto maggiormente
alla relazione che sussiste tra attività onirica e processi di memoria associati. In particolare,
grazie allo sviluppo di nuove metodologie di ricerca è stato possibile osservare che le attivazioni
di specifiche aree corticali sono associate alla successiva presenza del resoconto del sogno. Fino
a questo momento, gli studi condotti con le tecniche elettroencefalografiche hanno rilevato che
specifici pattern di oscillazione corticale nel sonno siano predittivi del successivo ricordo
dell‟attività onirica e che quelle stesse aree siano anche implicate nella formazione delle
memorie dichiarative durante la veglia. Una delle ipotesi in merito è che i meccanismi
neurofisiologici coinvolti nella formazione delle memorie dichiarative siano, quindi, sempre gli
stessi attraverso differenti stati di coscienza. Tuttavia, le frequenti difficoltà che si riscontrano nel
rievocare i sogni sono state interpretate in termini di incapacità del cervello nel codificare e
consolidare tracce mnestiche durante lo stato di sonno. Alcuni autori hanno, infatti, suggerito che
la codifica e il consolidamento delle informazioni nel sonno si possano verificare solo in
concomitanza di un episodio di attivazione o di un vero e proprio risveglio. In altre parole,
sembrerebbe necessario un certo livello di arousal corticale affinché la traccia mnestica possa
consolidarsi nella memoria a lungo termine ed essere rievocata in un secondo momento.
4
Finora, la maggior parte degli studi sull‟attività cognitiva del sonno è stata condotta su soggetti
giovani, quindi, attualmente sono molto esigue le conoscenze relative all‟attività onirica
dell‟anziano. Pertanto, non è ancora noto se, quanto dimostrato sui rapporti tra sogno e memoria
nei giovani adulti, possa essere esteso anche a questa più avanzata fase della vita. Bisogna,
infatti, tenere presente che il normale invecchiamento fisiologico produce effetti che si
ripercuotono sulla qualità del sonno e indagare se questi coinvolgano anche la produzione dei
sogni, considerando, parallelamente, la presenza di possibili alterazioni cognitive.
Nei capitoli che seguono, dopo aver trattato i problemi legati allo studio dell‟attività onirica e
all‟acceso dibattito circa i meccanismi neurali che ne permettono la formazione, saranno
presentati, in primo luogo, le ricerche neuropsicologiche e gli studi condotti per mezzo delle
tecniche di neuroimaging ed elettroencefalografiche che hanno permesso di ipotizzare quanto
appena accennato riguardo all‟origine dei sogni e ai processi di memoria associati. Nella seconda
parte della trattazione verrà presentato lo studio, condotto presso il Laboratorio di Psicofisiologia
del Sonno, in merito all‟attività onirica nella terza età. La ricerca in questione rappresenta il
primo tentativo di indagare l‟esistenza di una relazione fra specifiche attivazioni corticali nel
sonno e successivo ricordo del sogno, in un campione di soggetti anziani chiamati a trascorrere
un‟intera notte presso il laboratorio.
5
1. L’APPROCCIO PSICOFISIOLOGICO ALLO STUDIO DEI SOGNI
1.1 Introduzione
La seconda metà del XIX secolo ha visto crescere l'interesse per lo studio dei sogni da una
prospettiva scientifica, grazie al concomitante progresso avvenuto nel campo della medicina.
Tuttavia, fino alla metà del XX secolo, il contributo maggiore proveniva dalle teorie
psicoanalitiche di Freud e solamente dagli anni '50 in poi la ricerca sul sogno si è distaccata dal
pensiero freudiano, prendendo una direzione nuova: ora lo scopo era diventato quello di indagare
sperimentalmente la natura della relazione che sussiste tra il racconto del sogno e le attività
fisiologiche che si registravano nei soggetti. La nascita della psicofisiologia del sogno potrebbe
convenzionalmente coincidere con il 1953, anno in cui Aserinsky e Kleitman scoprirono la non
omogeneità della struttura del sonno da un punto di vista fisiologico, riconoscendo l'esistenza di
una particolare fase caratterizzata da movimenti oculari rapidi, che venne chiamata REM.
In ricerche successive si osservava che, quando risvegliati in fase REM, i soggetti tendevano a
riportare il più delle volte dei resoconti onirici a trama complessa che diventavano, al contrario,
sporadici e frammentati se gli stessi soggetti venivano risvegliati in altre fasi del sonno, diverse
da quella REM, indicate, appunto, come Non-REM (NREM). Queste osservazioni hanno
condotto la ricerca psicofisiologica sul sogno verso l'assunzione di una correlazione tra sogno e
sonno REM così marcata, tanto di diventare una sorta di corrispondenza biunivoca.
Nel 1962 Foulkes riscontrò la presenza di attività mentale onirica anche nelle fasi NREM del
sonno, osservando come le differenze tra i resoconti fossero più di natura qualitativa piuttosto
che quantitativa e allargando, in tal modo, la ricerca psicofisiologica sui sogni a tutti gli stadi del
sonno. In tal modo venne dimostrato che non esistono delle fasi del sonno in cui si possa
aprioristicamente escludere la presenza di qualsiasi forma di attività mentale.
1.2 Lo sviluppo dell’approccio psicofisiologico nella ricerca del sogno
1.2.1
I meccanismi neurali del sonno
Per poter esporre in maniera esaustiva i dati provenienti dalla letteratura sulla psicofisiologia del
sogno, non ci si può esimere dal presentare, seppur brevemente, la struttura del sonno.
Il sonno viene considerato un comportamento durante il quale si verifica quella particolare forma
di attività mentale definita dreaming. Le fasi di sonno si susseguono ciclicamente: da un primo
stadio di addormentamento si prosegue verso lo stadio 2, riconoscibile dai tracciati
elettroencefalografici (EEG) per la presenza di particolari onde dette “complessi K” e “fusi del
sonno”, per poi osservare la comparsa degli stadi più profondi del sonno, il 3 e il 4, caratterizzati
6
da attività a lento voltaggio, detta “delta”. L'insieme di questi stadi viene definito sonno NREM,
per distinguerlo dal sonno REM che compare dopo circa 90 minuti dall'addormentamento ed è
caratterizzato, oltre che dalla presenza di movimenti oculari rapidi, anche da paralisi muscolare,
aumento dell'attività genitale, nonché da un'attività EEG desincronizzata, simile a quella
osservabile in veglia, tanto da guadagnarsi la denominazione di “sonno paradosso”. L'alternanza
ciclica delle fasi, che si presenta entro l'intero periodo del riposo notturno, rientra in un
meccanismo superiore che vede il susseguirsi ritmico di periodi di veglia e periodi di sonno,
regolato da precise aree cerebrali. Per comprendere meglio come ciò avvenga, si potrebbe
immaginare il sistema in questione come un circuito elettronico che attiva e inibisce,
periodicamente, l'area preottica ventrolaterale (APVL). Quando tale area è attiva, essa andrebbe
a inibire, per mezzo di proiezioni GABAergiche, le regioni che promuovono la veglia,
conducendo all'addormentamento (flip/flop off); quando, invece, sono queste regioni ad essere
attive, l'APVL subirebbe da parte loro una inibizione, conducendo allo stato di veglia (flip/flop
on). Quindi l'APVL riceve impulsi inibitori dalle stesse regioni che inibisce a sua volta: il nucleo
tuberomammillare dell'ipotalamo (che contiene neuroni istaminergici), le regioni peripeduncolari
del ponte dorsale e il proencefalo basale (contenenti neuroni acetilcolinergici), i nuclei
serotoninergici del rafe e i nuclei noradrenergici del locus coeruleus (Chou et al., 2002). Il
modello “flip/flop” appena descritto in sintesi (Saper et al., 2000) fornisce una base per
teorizzare la presenza di un meccanismo che si occupa di rendere stabili sia lo stato di sonno, sia
quello di veglia, sia l'alternanza tra i due; infatti gli studi sui soggetti affetti da narcolessia, una
patologia caratterizzata da un ciclo veglia-sonno instabile, mostrano una disregolazione del
sistema flip/flop (McGinty e Szymusiak, 2005).
Hobson e McCarley (1975), inoltre, hanno proposto un modello cronobiologico per spiegare
come avviene la regolazione dell'alternanza degli stati di veglia e di sonno. Tale alternanza è
accompagnata da precise manifestazioni psicofisiologiche che sembrano essere orchestrate
dall'attività di popolazioni neuronali situate a livello del tronco encefalico. L'andamento ciclico
che ne scaturisce è permesso dall'attività di reciproche connessioni tra i neuroni inibitori
aminergici (noradrenergici e sorotoninergici) e quelli eccitatori colinergici. L'interazione fra
sonno REM e sonno NREM è di natura competitiva: i neuroni REM-off noradrenergici,
localizzati nel locus coeruleus, e serotoninergici, localizzati nei nuclei del rafe, interagiscono con
i neuroni REM-on colinergici delle regioni peribrachiali del tegmento pontino (McNamara et al.,
2010), regolando periodicamente la comparsa, nel sonno REM, di manifestazioni di natura
tonica, come l'attività EEG desincronizzata o l'atonia muscolare, e di natura fasica, come i
movimenti oculari rapidi (Hobson et al., 1986). I neuroni REM-off si disattivano
progressivamente durante il sonno NREM, permettendo ai neuroni REM-on di aumentare la loro
7
attività e favorire la comparsa della fase REM, che sarà inibita, a sua volta, da una successiva
riattivazione dei neuroni REM-off, dando il via all'inizio di un nuovo ciclo di sonno (McCarley e
Massaquoi, 1986).
Durante il sonno REM, si osserva l'attivazione delle regioni del proencefalo, del cervelletto, del
tronco dell'encefalo e, in particolar modo, delle aree cortico-talamica e limbica, le quali sono
attive anche durante la veglia e sono direttamente correlate alle funzioni cognitive legate
all'esperienza cosciente. Il REM è un comportamento recentemente acquisito da un punto di vista
evolutivo, regolato dall'attività tronco encefalica che, al contrario, è una struttura
filogeneticamente antica: quindi una nuova funzione fisiologica è mediata da antichi meccanismi
cerebrali (Hobson, 2009). Hobson ritiene che la fase REM sia quella più frequentemente
associata alla presenza di attività mentale onirica e, pertanto, il sogno, se considerato come il
prodotto
dell'accoppiamento
tra
attività
psicologica
e
fisiologica,
potrebbe
essere
isomorficamente confrontabile con i processi cerebrali concomitanti (Hobson, 2009).
Il contributo di Hobson e McCarley ha permesso alla ricerca sui sogni di uscire dall'ambito
psicoanalitico, fornendo una nuova prospettiva teorizzata dal “modello di attivazione-sintesi”
(Hobson e McCarley, 1977): gli impulsi provenienti dalle regioni cerebrali più antiche,
responsabili dell'inizio del sonno REM, arrivano in corteccia, dove ha luogo la generazione del
sogno. La corteccia, investita da una grande quantità di informazioni caotiche, cerca di dare un
senso agli input che riceve, liberando i ricordi presenti nel magazzino della memoria a lungo
termine e mettendo in atto un'operazione di sintesi che permette la formazione delle immagini
oniriche. Quindi, al contrario di quanto sostiene la teoria freudiana, le caratteristiche di bizzarria
e vividezza delle immagini visive nel sonno, non sarebbero il risultato della forza di pensieri
rimossi che premono dall'inconscio per riaffiorare in superficie, ma piuttosto possono essere
spiegate come il tentativo da parte della corteccia cerebrale di dare un senso a tali immagini,
generate dall'attivazione casuale delle regioni tronco encefaliche. Inoltre, in queste regioni è stata
dimostrata - ma solo nell'animale - la presenza delle onde ponto-genicolo-occipitali (PGO) che si
propagano dal ponte alla corteccia occipitale, passando per i nuclei genicolati laterali (Datta et
al., 1998). Attraverso l'applicazione di tecniche invasive, che consistono nell'inserire degli
elettrodi in profondità nel cervello animale, è stata rilevata nei gatti la presenza di questo
particolare tipo di onde, le quali sembrano essere strettamente correlate con la presenza dei
movimenti oculari rapidi del sonno REM (REMs). Data la forte associazione tra le onde PGO e
la concomitante presenza di REMs (Arnulf, 2011), una delle ipotesi in merito è che si tratti del
correlato elettrofisiologico delle allucinazioni visive che si manifestano durante l'attività onirica
(Roffwarg, 1975). Tuttavia, la presenza delle PGO non è stata ancora dimostrata nella corteccia
visiva dei primati e degli esseri umani e, dopo alcuni decenni di studi, si può ragionevolmente
8
affermare che non dovrebbero esistere.
Il “modello di attivazione-sintesi” ha però un limite, poiché si tratta di una teoria che tiene conto
solamente delle caratteristiche oniriche rilevate nel sonno REM (come la vividezza e la
bizzarria), senza prendere in considerazione l'attività mentale del sonno NREM. Per far fronte
alle critiche in questione, Hobson (1992) e McCarley (1994) hanno replicato sostenendo l'ipotesi
del doppio generatore di sogni. L'idea di un doppio generatore è nata in seguito alle osservazioni
della presenza di differenze qualitative nei resoconti onirici riportati dai soggetti sperimentali
risvegliati sia da stadio REM che NREM. Tipicamente, dopo i risvegli effettuati in REM, il
sognatore riporta la presenza di contenuti bizzarri, a coloritura emotiva spesso spiacevole,
contestualizzati all'interno di scene in cui si trova ad interagire con altre persone, in ambienti
familiari e non; al contrario, i resoconti ottenuti dai risvegli da sonno NREM riguardano scene
più spesso familiari o banali, con un numero minore di elementi bizzarri ed emozioni sgradevoli.
Osservazioni di questo tipo hanno permesso di ipotizzare che il sogno sia il prodotto di due
differenti meccanismi cerebrali all'interno dei due stadi di sonno principali e che gli aspetti
qualitativamente diversi delle immagini mentali esperite dipendano dalle particolari
caratteristiche fisiologiche legate ad ogni stadio (Mamelak e Hobson, 1989a).
Le critiche all'ipotesi del doppio generatore provengono sia dalle ricerche svolte da Solms (2000)
in ambito neuropsicologico, sia da quanti sostengono l'ipotesi di un unico generatore di sogni.
Solms (2000) ha dimostrato che le lesioni del tronco encefalico, area considerata da Hobson e
McCarley cruciale per la produzione del sogno in REM, in realtà non compromettono la capacità
di generare attività mentale durante il sonno, come invece accade in seguito a lesioni della
giunzione temporo-parieto-occipitale, indipendentemente dallo stadio di sonno.
A conferma di tali risultati, la teoria del generatore unico (Foulkes, 1962) afferma che i sogni
siano prodotti da un singolo generatore, anche in questo caso indipendentemente dallo stadio di
sonno: le differenze dell'esperienza mentale nei due stadi riguarderebbero la maggiore o minore
disponibilità delle fonti di memoria e il livello di capacità di organizzarle in strutture coerenti. La
spiegazione sarebbe di natura elettrofisiologica: poiché il sonno REM è caratterizzato da
maggior attivazione corticale, questo aspetto consentirebbe un accesso più agevole ai magazzini
mnestici e la generazione di immagini risulterebbe caratterizzata da una maggiore coerenza
narrativa. Invece in fase NREM che, al contrario, gode di una minore attivazione corticale, si
assisterebbe alla generazione di immagini mentali con contenuti meno organizzati e coerenti.
Pertanto, alcuni ricercatori sono più inclini a sostenere l'ipotesi del singolo generatore,
identificandolo con il sonno REM, il quale sarebbe in grado di influenzare anche le immagini
oniriche nel NREM. In questo caso le differenze qualitative tra i due resoconti non sarebbero
ritenute delle vere e proprie differenze, ma piuttosto delle variazioni nel grado e nell'intensità sul
9
continuum delle caratteristiche di bizzarria e tono emotivo.
1.2.2
Problemi metodologici
L'indagine scientifica sui sogni è un'impresa complessa, che si scontra inevitabilmente con dei
limiti e dei problemi insiti già nella definizione stessa dell'oggetto di studio. Infatti, il sogno
viene considerato come quella particolare forma di attività mentale, a carattere esclusivamente
involontario, che si verifica durante il sonno e che è possibile, pertanto, misurare solo per mezzo
di tecniche indirette, attraverso i resoconti dei soggetti in stato di veglia (Nir e Tononi, 2010).
I problemi metodologici, che costellano questo ambito di ricerca, spingono a chiedersi se il
ricordo del sogno sia effettivamente un resoconto appropriato dell'attività mentale che si vuole
misurare; se esso rifletta l'attività mentale del sonno o se sia contaminato dai processi di veglia e,
soprattutto, quali elementi del materiale raccolto debbano essere analizzati e in base a quale
criterio (Schredl, 2010).
Come riportato da Fagioli (2002), l'attuale obiettivo della ricerca sui sogni è quello di rilevare la
presenza sia dell'attività mentale (Mental Sleep Activity, MSA) che dell'esperienza della stessa
(Mental Sleep Experience, MSE) durante il sonno. Gli approcci sviluppati per conseguire tale
fine sono classificabili nel seguente modo: approccio fenomenologico (o naturalistico),
approccio psicofisiologico e approccio neuropsicologico. Del primo fanno parte, da un lato, le
tecniche psicoanalitiche che utilizzano il setting terapeutico (come luogo di raccolta e analisi dei
sogni) e il metodo delle libere associazioni; dall'altro, troviamo le tecniche di indagine
dell'attività onirica per mezzo di questionari e le interviste telefoniche.
L'approccio psicofisiologico si fonda sull'analisi dei resoconti relativi alla MSA ottenuti dopo il
risveglio provocato sperimentalmente da una particolare fase del sonno, o dopo il risveglio
spontaneo al mattino, in associazione con la registrazione poligrafica. Lo scopo è quello di
mettere in relazione il ricordo del sogno con le specifiche modificazioni fisiologiche che si
accompagnano ai vari stadi del sonno (Salzarulo, 2004). In tal modo è possibile studiare gli
effetti delle variabili indipendenti, di tipo fisiologico, su quelle dipendenti di natura psicologica,
considerando la MSA come funzione dell'attività fisiologica. I dati vengono raccolti per mezzo di
registrazioni che seguono il corso naturale e indisturbato del sonno (sia in soggetti normali che in
soggetti che soffrono di patologie neurologiche o psichiatriche), oppure manipolando
sperimentalmente le esperienze dell'attività mentale (MSE). Tale manipolazione è una tecnica
utile per osservare l'eventuale presenza di incorporazioni nell'attività mentale (MSA) del
soggetto esposto a stimoli specifici. Gli stimoli possono essere somministrati nelle fasi che
precedono l'addormentamento - come dimostrano gli studi in cui al soggetto era richiesto di
guardare un film contenente elementi emozionanti (Foulkes e Rechtschaffen, 1964) - oppure
10
durante i differenti stadi del sonno utilizzando, in tal caso, stimoli di natura sensoriale. I celebri
studi di Dement e Wolpert (1958), in cui si somministravano vari stimoli sensoriali ai soggetti in
fase REM, avevano dimostrato come lo stimolo più incorporato (pari a un 42%) fosse quello
della spruzzata d'acqua. Quando esso veniva incorporato in modo diretto, i soggetti al risveglio
raccontavano - ad esempio - di immagini relative a qualcuno che li stesse schizzando; quando,
invece, veniva incorporato in modo indiretto, potevano riportare - ad esempio - la presenza di un
tetto che perdesse acqua (Eiser, 2005).
L'approccio neuropsicologico si basa, infine, sull'analisi dei resoconti della MSA ottenuti dopo i
risvegli provocati da particolari stadi del sonno. Le variazioni fisiologiche del sonno sono
monitorate sia per mezzo delle tecniche poligrafiche sia di neuroimaging e, laddove possibile, ci
si avvale anche delle variabili patologiche di tipo neurologico o psichiatrico. Lo scopo è quello
di osservare le relazioni che intercorrono fra le misure fisiologiche dell'attività cerebrale (o le
lesioni cerebrali) e le caratteristiche relative alla MSA (Fagioli, 2002).
Prendendo in considerazione nello specifico l'approccio psicofisiologico, la raccolta dei dati, il
più spesso delle volte, si effettua su soggetti cui è richiesto di trascorrere una o più notti in
laboratorio, collegati alle apparecchiature che consentono di effettuare la registrazione
poligrafica del sonno. L'ambiente artificiale, inospitale e non familiare del laboratorio di ricerca
può alterare il naturale decorso del riposo notturno (Hobson et al., 2000) e avere effetti anche
sulle caratteristiche dell'attività mentale associata, come dimostrato dalle registrazioni di
resoconti onirici che contenevano alcuni elementi incorporati, relativi all'esperienza vissuta in
laboratorio dal soggetto (Cicogna et al., 1998). Il metodo indiretto basato sulla raccolta dei
resoconti è, tra l'altro, fortemente influenzato dalle variabili individuali di tipo cognitivo e socioculturali, nonché da quelle legate agli aspetti della personalità dei soggetti esaminati (Hobson et
al., 2000; Balgrove e Pace-Schott, 2010).
A questi viene richiesto di trasmettere, per mezzo di narrazioni linguistiche, i contenuti di
un'esperienza privata e intima che deve essere, per prima cosa, recuperata dalla memoria. La
difficoltà che si riscontra frequentemente nell'effettuare un'operazione simile al momento del
risveglio è nota: alcuni soggetti sono consapevoli di aver sognato, sebbene non riescano a
ricordare nulla al riguardo e, anche nei casi in cui il sogno sia recuperato, i soggetti possono
talvolta riportare la presenza di elementi ulteriori che, tuttavia, non riescono a individuare
(Hobson et al., 2000). Nonostante sia stato dimostrato che la produzione dell'attività mentale sia
continua durante tutto il corso del sonno, il ricordo che viene prodotto al mattino è generalmente
non elevato (Horne, 1993).
Fagioli e i suoi collaboratori (1989) hanno ipotizzato che il mancato ricordo dell'attività onirica
al risveglio, possa essere il risultato di interferenze intra-seriali, che si verificano fra i contenuti
11
di una stessa attività mentale, escludendo le cause di tipo inter-seriali che, invece, sarebbero
dovute all'interferenza fra contenuti mentali che si susseguono nel corso dello stato di sonno
(Horne, 1993). Inoltre, ricerche ulteriori hanno dimostrato che un certo grado di consolidazione
mnestica dovrebbe verificarsi durante la notte: i soggetti che non ricordavano al mattino i
resoconti che avevano riportato dopo i risvegli sperimentali notturni, erano, tuttavia, in grado di
recuperare interamente le informazioni, quando gli venivano fornite delle facilitazioni, cioè degli
indizi chiamati probes (Salzarulo, 2004). Questi risultati sono coerenti con quelli che sostengono
l‟idea di un‟inferiorità dei processi di consolidazione mnestica durante il sonno rispetto a quelli
che avvengono in veglia (Pace-Schott et al. 1997a; Stickgold et al., 1997a) e con i risultati
relativi alla difficoltà, riscontrata al momento del risveglio, nell'accedere al magazzino di
memoria relativo ai sogni (Stickgold, 1998). Inoltre si tratta di risultati che possono render conto
dei fenomeni di riduzione di autoconsapevolezza, perdita dell'attenzione e dei pensieri diretti a
uno scopo, tipici dello stato di coscienza del sonno (Hobson et al., 2000).
Il resoconto onirico, dopo esser stato recuperato dalla memoria, viene trasmesso al ricercatore
per mezzo del linguaggio: anche questo aspetto rappresenta uno spunto per riflettere sui fattori
che sfuggono al rigoroso controllo sperimentale. L'esposizione narrativa risente almeno
dell'influenza di tre variabili: la capacità di recuperare informazioni mnestiche relative
all'esperienza dell'attività mentale, il modo in cui queste vengono trattate a livello cognitivo
(ossia come vengono rappresentate) e le abilità linguistiche grammaticali, lessicali e
morfosintattiche che ne permettono il racconto. Poiché non si dispone al momento di tecnologie
che permettano di rilevare la presenza del sogno utilizzando metodi non verbali, le tecniche di
analisi dei contenuti onirici tengono conto degli aspetti menzionati (Hobson et al., 2000).
Oltre al ricordo del sogno (dream recall), le altre variabili dipendenti che vengono prese in
considerazione sono il contenuto onirico (dream content) e la frequenza con cui i soggetti
ricordano i propri sogni (dream recall frequency, DRF). Per quanto riguarda il dream content, le
analisi si focalizzano principalmente sul numero di parole prodotte dal soggetto, che determinano
la lunghezza dei resoconti (Antrobus, 1983); sulla presenza o meno di emozioni e dell'eventuale
coloritura positiva o negativa delle stesse e sui possibili elementi che conferiscono caratteristiche
di bizzarria e vividezza alle immagini oniriche (Hall e Van de Castle, 1966; Schredl e Doll,
1998), ma anche sulla presenza di eventuali incorporazioni provenienti dalle situazioni di veglia,
quando viene adottato l'approccio che manipola le situazioni precedenti all'addormentamento
(Foulkes e Rechtschaffen, 1964). Grazie a queste procedure è possibile tener conto sia della
presenza di attività mentale oniro-simile (dream-like) che di quella pensiero-simile (thought-like)
(Foulkes, 1962).
La variabile relativa alla frequenza con cui i soggetti ricordano i sogni è quella che
12
maggiormente risente delle differenze interindividuali dovute a ciò che Pylyshyn (1989) ha
definito “penetrabilità cognitiva” (Hobson et al., 2000). I comportamenti, fra cui anche quelli che
permetto il ricordo e la narrazione dei sogni, sono determinati dal background di componenti
motivazionali, credenze e obiettivi dell'individuo: in questo senso, la frequenza del ricordo dei
sogni è correlata ad alcune caratteristiche proprie della personalità, come ad esempio la tendenza
soggettiva a prestare più attenzione agli aspetti della propria vita interiore e a interessarsi
maggiormente al ricordo dei propri sogni. Alla luce di ciò, i soggetti sperimentali possono essere
classificati in coloro che hanno una maggiore propensione a prestare attenzione alla presenza dei
sogni (high recallers) e in coloro che, al contrario, sono meno propensi (low recallers).
Chiaramente, si tratta di un aspetto che conduce verso questioni secondarie, come ad esempio
l'esigenza di individuare i criteri opportuni al fine di rilevare quelle specifiche caratteristiche di
personalità che effettivamente avrebbero un impatto sulla DRF (per un approfondimento si
consulti Blagrove e Pace-Scott, 2010).
Il metodo che sembra godere di maggior validità per le misure della DRF è quello delle
registrazioni quotidiane del sogno, che possono essere effettuate per mezzo di appositi diari.
Nonostante ciò, si tratta di una tecnica tendenzialmente poco usata nelle ricerche sperimentali, in
favore, invece, delle cosiddette misure retrospettive, le quali sono ottenute ponendo una singola
domanda al soggetto sperimentale, con un notevole risparmio di tempo e maggior agevolezza
nella somministrazione. Tuttavia, è doveroso notare che le misure retrospettive si basano
strettamente sulle capacità relative al recupero dei contenuti dalla memoria a lungo termine e i
risultati possono essere contaminati dai bias e dagli atteggiamenti individuali (Beaulieu-Prévost
e Zadra, 2005a; Schredl, 2002), nonché dalle distorsioni mnestiche (Beaulieu-Prévost, 2005).
Nello specifico, il rischio potrebbe essere quello di incorrere in sovrastime della DRF, nel caso di
soggetti definiti high recallers. Al contrario, l'uso delle tecniche di registrazione quotidiana
potrebbe ovviare questo problema, ma d'altra parte potrebbe indurre un incremento del ricordo
del sogno nei soggetti definiti low recallers (Beaulieu-Prévost e Zadra, 2007).
Tuttavia, le ragioni delle notevoli differenze interindividuali e delle fluttuazioni intraindividuali
che producono effetti sul richiamo del sogno, sono, in realtà, ancora scarsamente comprese.
Inoltre, il materiale onirico raccolto viene analizzato da due giudici diversi che si servono delle
medesime scale di valutazione, le quali permettono, da un lato, di quantificare i parametri
precedentemente esposti e, dall'altro, di rilevare possibili distorsioni dovute al giudizio del
giudice. Considerazioni di questo tipo introducono un'ulteriore questione metodologica, che
riguarda i problemi statistici di affidabilità e validità relativi agli strumenti utilizzati per l'analisi
dei resoconti: tale questione necessita, tuttavia, di specifiche trattazioni che, per la loro
complessa natura, non verranno affrontate in questa sede (per un approfondimento, si veda
13
Schredl et al., 2001). Per il momento basti considerare che il ricordo della MSA è un fattore
esclusivamente soggettivo che richiede l'osservazione indiretta da parte dello sperimentatore e la
capacità di organizzare le informazioni in un racconto coerente. È probabile che entrambe queste
variabili siano influenzate da fattori casuali che sfuggono al controllo sperimentale, come
l'impatto degli eventi fisiologici e la presenza di fenomeni psicologici relativi alle attività
mentali, i quali possono verificarsi nell'arco di tempo che intercorre fra il richiamo della MSA e
la sua verbalizzazione. Anche le procedure utilizzate per analizzare i contenuti onirici riflettono
le controversie legate all'esigenza di definire in modo chiaro le differenze (e le somiglianze) tra
le attività mentali ottenute dai risvegli in REM e quelle ottenute dai risvegli in NREM, nonché le
fluttuazioni interne alle stesse.
La ricerca in questo ambito ha inevitabilmente portato i neuroscienziati a focalizzarsi soprattutto
sulle differenze tra i resoconti onirici in questione, con un particolare focus sull'individuazione di
specifiche caratteristiche che si possano riscontrare unicamente nei resoconti da REM. Come
fanno notare Hobson e i suoi collaboratori (2000), è vero che l'attività mentale si verifica per
l'intero corso del sonno ed è vero anche che l'attività oniro-simile possa, talvolta, dominare le
caratteristiche dei resoconti da NREM. Quindi, sebbene in alcuni casi si possano riscontrare delle
somiglianze fra resoconti da NREM e quelli da REM relativamente ai parametri di lunghezza
(numero di parole utilizzato nel racconto), vividezza e bizzarria, tuttavia è molto più probabile
raccogliere resoconti da NREM che risultino corti, banali e pensiero-simili (Nielsen 1999;
Rechtschaffen et al. 1963a; 1963b).
I problemi metodologici discussi rendono evidente la necessità di comprendere più a fondo le
differenze e le similitudini tra le attività mentali riscontrabili in corrispondenza degli stadi REM
e NREM; inoltre sollevano delle considerazioni sulla natura dei meccanismi di consolidazione
della memoria nel sonno e del suo (frequente) decadimento al momento del risveglio. Quali aree
si attivano maggiormente in corrispondenza dell'attività onirica e quali sono predittive della sua
esperienza da parte del soggetto?
1.3 L’evoluzione del paradigma dicotomico tra REM e NREM
In seguito alla scoperta del sonno REM da parte di Aserinsky e Kleitman (1953), si è osservato
che nel 74% dei risvegli da questa fase era possibile ottenere un resoconto onirico caratterizzato
da componenti visuo-allucinatorie ed elementi bizzarri, mentre la stessa cosa avveniva solo nel
9% dei risvegli effettuati in NREM (Eiser, 2005). L‟entusiasmo per la nuova scoperta portò molti
ricercatori a ritenere che il sonno REM fosse il correlato neurale del sogno (Dement e Kleitman
1957b). Sono stati due studi (Antrobus 1983; Foulkes e Schmidt 1983) a interrompere il flusso di
ricerche volte a dimostrare la corrispondenza biunivoca tra REM e dreaming, avanzando le
14
ipotesi per cui l‟attività mentale sia sempre la stessa per tutto il corso del sonno (Moffitt, 1995) e
che quella del NREM non differisca qualitativamente da quella del REM (Foulkes, 1995). Il
cambio di rotta è iniziato quando Foulkes (1962), modificando i termini della consegna, ha
collocato l‟oggetto di studio in un contesto meno influenzato dalle limitazioni dovute alle
interpretazioni soggettive del sogno. Al contrario di quanto accaduto fino a quel momento, egli
non chiedeva ai partecipanti cosa stessero sognando immediatamente prima di essere svegliati,
ma chiedeva, più genericamente, cosa stesse passando loro per la mente (Horne, 1993). Così,
utilizzando criteri più liberi (Nielsen, 2000), era possibile rilevare la presenza di un certo tipo di
attività mentale anche dopo i risvegli dal sonno NREM. In un primo momento, si è creduto che il
sonno REM producesse un tipo di attività più simile a ciò che si intende tradizionalmente per
sogno (dream-like) e che, al contrario, il sonno NREM producesse un‟attività mentale più simile
ai pensieri che si possono riscontrare in veglia, priva di componenti visuo-allucinatorie (thoughtlike). Dopo vari approfondimenti, Foulkes (1985) ha dimostrato la presenza dei sogni per tutto il
corso del NREM: essi compaiono durante la tipica attività delta del sonno a onde lente, all‟inizio
del sonno durante le fasi di addormentamento e anche durante la veglia rilassata, come nel caso
delle immagini ipnagogiche e ipnopompiche (Cavallero, 2000).
Attualmente l‟equazione “sonno REM = dreaming” non è ancora scomparsa del tutto, ma è stata
eclissata da un acceso dibattito sulle differenze tra sogni in REM e sogni in NREM, volto a
individuare i meccanismi che li generano e le modalità con cui essi operano (Nielsen, 2000).
Poiché talvolta era possibile ottenere resoconti onirici dai risvegli in sonno NREM altrettanto, o
persino più lunghi, di quelli in sonno REM (Foulkes e Schmidt, 1983; Cavallero et al., 1990), i
ricercatori hanno indagato molto dettagliatamente le differenze qualitative e quantitative presenti
nelle narrazioni dei soggetti. Per approfondire l‟argomento, alcuni studi hanno utilizzato dei
metodi per rimuovere le differenze quantitative fra i resoconti registrati, con lo scopo di condurre
degli esperimenti che indagassero esclusivamente le differenze qualitative (Antrobus, 1983;
Foulkes e Schmidt, 1983). È emerso che, controllando statisticamente la lunghezza dei resoconti,
le differenze qualitative tendevano a diminuire, se non addirittura a scomparire (Salzarulo,
2004). Antrobus (1983) ha dimostrato che quando la lunghezza dei resoconti viene tenuta fuori
dalle analisi statistiche, le differenze qualitative del dream recall dopo gli episodi REM e NREM
sono esigue, se non addirittura assenti. Infatti, controllando sperimentalmente la lunghezza dei
resoconti, le apparenti differenze qualitative tra REM e NREM tendono a diminuire, se non a
scomparire, suggerendo che gli stessi meccanismi di produzione onirica operino attraverso ogni
stadio del sonno (Cavallero, 2000). Inoltre, ulteriori ricerche hanno dimostrato che quando sono
tenuti sotto controllo gli effetti temporali dell‟intero arco della notte, la lunghezza dei resoconti
(misurata in base al numero di parole utilizzate) non è proporzionale al totale del tempo passato
15
in REM prima del risveglio; invece, la durata dello specifico stadio di sonno che precede il
risveglio sembra influire molto di più sulla lunghezza narrativa (Rosenlicht et al., 1994). Alcuni
studi, tuttavia, riportano che le differenze esistono (Cavallero et al., 1992), ma che non sarebbero
così grandi come quelle riscontrate nelle prime ricerche. Al contrario, altri dati sperimentali
dimostrerebbero l‟esistenza di evidenti differenze qualitative tra i resoconti in questione e
ipotizzano anche la probabile presenza di differenze quantitative, le quali, però, per motivi di
inadeguatezza metodologica, non possono essere indagate a dovere (Hobson et al., 2000).
In questo paragrafo verranno esposti più nel dettaglio gli aspetti appena presi in considerazione,
illustrando come si è evoluto il dibattito scientifico relativo alla generazione dei sogni, dalla
scoperta del sonno REM fino al momento attuale.
Foulkes (1962; 1966), rifiutando la corrispondenza biunivoca “sonno REM = dreaming”, ha
condotto una serie di studi che hanno permesso di teorizzare il cosiddetto “modello del
generatore singolo” (1-gen). Si tratta di un modello cognitivo che postula l‟esistenza di un
singolo meccanismo responsabile dell‟attività onirica in toto. Il singolo generatore in questione
opera entro tre fasi: dapprima si verifica un‟attivazione mnestica, cui segue un processo di
organizzazione delle informazioni e, infine, l‟interpretazione cosciente di quanto accaduto.
Tralasciando le considerazioni relative all‟influenza delle caratteristiche neurofisiologiche sul
tipo di attività mentale, la teoria propone che le differenze riscontrate tra i resoconti onirici dopo
il risveglio da REM e da NREM, siano dovute alle fluttuazioni del grado di attivazione mnestica.
Si assume, infatti, che questa possa essere in alcuni momenti diffusa ed elevata, mentre in altri
più bassa e, quindi, meno elevata. Nel primo caso - come, ad esempio, avverrebbe nella maggior
parte del REM e in quelle fasi del NREM caratterizzate da maggior attivazione corticale l‟organizzazione delle informazioni sarebbe stimolata più intensamente, aumentando le
probabilità che si verifichi, di conseguenza, l‟interpretazione cognitiva e che essa sia più
coerente da un punto di vista narrativo. Al contrario, in quelle fasi del sonno in cui l‟attivazione
mnestica sarebbe inferiore e meno diffusa - cioè, durante la maggior parte del NREM, ma anche
in alcuni periodi di REM - l‟organizzazione delle informazioni sarebbe stimolata con minore
intensità e la successiva interpretazione cosciente risulterebbe meno coerente o, in alcuni casi,
assente. In sintesi, la presenza o meno di attività mentale resocontata al risveglio, nonché le
caratteristiche qualitative che la contraddistinguono, dipenderebbero dal grado di diffusione e di
disponibilità delle capacità mnestiche e non, al contrario, dallo specifico stadio fisiologico di
sonno (Nielsen, 2000). Quindi, il “modello del singolo generatore” sostiene che la presenza del
ricordo del sogno sia il prodotto risultante dall‟attività eccitatoria e inibitoria di unità mnestiche
(Foulkes, 1982a; 1985; 1990; 1993b; 1997; Foulkes e Cavallero, 1993), comparando i processi
che generano l‟attività onirica a quelli delle funzioni cognitive superiori dello stato di veglia, che
16
guidano e organizzano l‟esperienza cosciente (Hobson et al., 2000).
Antrobus, in accordo con Foulkes (1962; 1966), ritiene che, spesso, i resoconti da NREM
possano risultare più brevi (Antrobus, 1983): il fenomeno in questione è attribuito alla ridotta
abilità nel richiamare e descrivere gli eventi in seguito al risveglio dalle fasi del sonno NREM.
Le discrepanze osservate vengono, così, spiegate in termini di processi di memoria influenzati
dalle differenti attivazioni fisiologiche in REM e in NREM (Nielsen, 2000). In uno studio
condotto con il suo team di ricerca, venivano mostrati dei filmati ai soggetti prima
dell‟addormentamento e al mattino seguente veniva chiesto loro di raccontare il filmato che
avevano visto la sera precedente. I risultati dimostrano che le descrizioni riportate erano più
lunghe e contenevano più informazioni visive quando i soggetti venivano svegliati dallo stadio
REM, piuttosto che quando venivano svegliati dal NREM. I ricercatori hanno, quindi, concluso
che lo specifico stato fisiologico del sonno dovesse esercitare un effetto sulle attività cognitive
osservabili al risveglio e, di conseguenza, anche su quelle che permettono di ricordare e narrare il
sogno (Rosenblatt et al., 1992). Pertanto, almeno una porzione di differenze osservabili tra i
resoconti REM e NREM può essere spiegata in questi termini (Antrobus, 2000). Per rendere
conto dell‟attività onirica, Antrobus propone un modello di attivazione corticale (DREAMIT2
model) che opera attraverso tutti gli stati mentali (Antrobus, 1986; 1990; 1991; 2000; Fookson e
Antrobus, 1992; Reinsel et al., 1992). Nello specifico, si tratta di un processo di reti neurali che
opera in parallelo, determinando le caratteristiche qualitative dell‟attività mentale (Hobson,
2000). L‟interazione tra moduli corticali gestisce le varie informazioni sensoriali, motorie e
associative, che creano la struttura narrativa del sogno, integrando qualsiasi input corticale,
sottocorticale o periferico per mezzo di un processo top-down diretto dalla corteccia (Antrobus e
Bertini, 1992). Subito dopo il risveglio si azionano i moduli verbali e di attribuzione del
significato che dipendono dall‟attività della corteccia frontale e della corteccia temporale
sinistra. Questo comporta, pertanto, un‟accelerazione dei processi interpretativi: durante la
transizione dal sonno alla veglia si identificano oggetti e personaggi e si attribuisce significato
alle scene. Alcuni aspetti del sogno diventano più ragionevoli, mentre altre relazioni che erano
“prese seriamente, per come venivano viste” nel sogno, vengono giudicate bizzarre al risveglio
(Antrobus, 2000). Alla luce di ciò, la presenza degli elementi di bizzarria viene attribuita
all‟attività delle reti corticali che integrano tutte le varie rappresentazioni generate durante il
sonno. Le stesse reti corticali che ricostruiscono in maniera logico-sequenziale la realtà, a partire
dalle informazioni acquisite in stato di veglia, durante il sonno falliscono nello stesso obiettivo
(Antrobus e Bertini, 1992; Fookson e Antrobus, 1992).
A sostegno del “modello del generatore singolo”, poiché la storia del sogno viene elaborata
durante la veglia, è molto probabile che le differenze (qualitative e quantitative) tra i rispettivi
17
resoconti in questione dipendano dal grado di attivazione fisiologica al momento del risveglio
(Feinberg e Evarts, 1969): in tal modo, l‟attività mentale sarebbe il prodotto di una singola fonte
di immaginazione e verrebbe modulata - e influenzata - dai vari livelli di capacità del recupero
mnestico (Feinberg, 2000).
Numerose ricerche dopo la scoperta del sonno REM hanno dimostrato che la probabilità di
rilevare la presenza di resoconti onirici è più elevata dai risvegli effettuati in tale stadio, piuttosto
che in NREM (Aserinsky e Kleitman, 1953 e 1955; Dement, 1955; Dement e Kleitman, 1957b;
Kales et al., 1967; Wolpert e Trosman, 1958). Inoltre, hanno fornito dati per cui la frequenza del
dream recall si mostra maggiore per i risvegli da fase REM (Dement e Kleitman, 1957b;
Goodenough et al., 1965b; Wolpert e Trosman, 1958; Stickgold et al., 1994a); mentre altri
risultati indicherebbero l‟esistenza di una relazione positiva tra la lunghezza dei resoconti
(misurata in numero di parole), la stima soggettiva sulla durata del sogno e la durata del
precedente episodio REM (Dement e Kleitman, 1957b). Ulteriori studi hanno dimostrato che i
resoconti che si registrano dai risvegli da REM sono più lunghi (Antrobus, 1983; Casagrande et
al., 1990), più vividi, più animati da un punto di vista motorio, più carichi emotivamente e meno
collegati con gli aspetti della vita quotidiana (Antrobus et al., 1987; Cavallero et al., 1992;
Foulkes, 1962; Nielsen, 1999), rispetto ai resoconti da NREM che, invece, sono più spesso
pensiero-simili e più legati alle rappresentazioni correnti (Foulkes, 1962; Rechtschaffen et al.,
1963a).
Hobson e i suoi collaboratori (2000), a partire da queste evidenze sperimentali, rifiutano il
“modello del generatore singolo”, poiché ritengono che esso si basi su un costrutto psicologico
che non tenta di collegare i fenomeni cognitivi a quelli fisiologici. Secondo gli autori esistono
prove consistenti in favore dell‟esistenza di differenze fenomenologiche tra sogno del REM e
sogno del NREM. In particolar modo, all‟attività onirica riscontrabile in REM andrebbero
attribuite precise caratteristiche: ad esempio, questi sogni contengono percezioni allucinatorie,
soprattutto visive e motorie, ma anche in altre modalità sensoriali (Hobson, 1988b; Zadra et al.,
1998). Gli scenari in cui si svolgono le azioni possono cambiare rapidamente e le immagini sono
spesso bizzarre (Hobson, 1988b e 1997b; Hobson e Stickgold, 1994a; Mamelak e Hobson,
1989a); i personaggi presenti, i tempi e i posti sono tra loro fusi, dinamici, incongrui e
discontinui (Hobson, 1988b e 1997b; Stickgold et al., 1994b e 1997b) e tutti gli elementi presi in
considerazione vengono organizzati in una trama a carattere confabulatorio (Blagrove, 1992a;
Hobson, 1988b; Foulkes, 1985). Le emozioni, in particolar modo quelle spiacevoli di ansia e
paura, laddove presenti, si manifestano intensamente (Nielsen et al., 1991; Domhoff, 1996;
Merritt, et al. 1994). Essi non negano che, talvolta, si possano riscontrare dei resoconti dai
risvegli NREM contraddistinti dai medesimi aspetti fenomenologici - come nel caso, per citare
18
un esempio, dei terrori notturni che si verificano negli stadi 3 e 4 del sonno (Nielsen, 2000;
Fisher et al., 1970a; 1970b; 1973; Kahn et al., 1991) - ma ritengono che sia molto più probabile
osservare le suddette caratteristiche nell‟attività mentale del REM (Hobson et al., 2000). A
conferma di quanto detto, i ricercatori riportano alcuni studi di analisi della covarianza, in cui
sono state osservate differenze qualitative tra i resoconti onirici, tenendo fermi i parametri
quantitativi relativi alla lunghezza delle narrazioni. Dai risultati emerge che i resoconti da REM
erano giudicati significativamente più visivi e bizzarri rispetto a quelli registrati all‟inizio del
sonno o dallo stadio 2 (Casagrande et al., 1996b) e più visivi rispetto ai resoconti NREM
(Waterman et al., 1993).
Hobson e i suoi collaboratori (2000) ipotizzano che l‟apparato cervello-mente sia un sistema
unificato in cui complesse componenti interagiscono in modo dinamico per produrre continui
cambiamenti di stato. Per spiegare come avvengano tali cambiamenti, è stato sviluppato il
modello AIM (Activation - Information flow - Mode of information processing), a partire dal
precedente “modello di attivazione-sintesi” (Hobson e McCarley, 1977). Il modello si dispiega
entro tre dimensioni spaziali: in un primo momento avverrebbe l‟attivazione del sistema (A),
intesa come la capacità di processare le informazioni; l‟attivazione del sistema permetterebbe,
poi, di elaborare il flusso delle informazioni (I), proveniente dal mondo esterno, secondo
specifiche modalità (M). Gli autori ritengono che gli stati di veglia, sonno e sogno possano
essere definiti, analizzati e misurati, in quanto l‟uno diverso dall‟altro e che vi siano delle
differenze significative fra gli aspetti formali degli stati di coscienza associati ad ogni stadio del
sonno (Hobson et al., 2000). Inoltre non credono che per sogno vero e proprio si debba intendere
una qualsiasi forma attività mentale che si verifichi durante il sonno, ma, al contrario di Foulkes
(1962), ritengono che si dovrebbero restringere i criteri di definizione. Pertanto, sarebbe
preferibile studiare il sogno inteso come quella particolare attività mentale che si verifica nel
sonno, caratterizzata da immagini sensoriali vivide ed esperite come se fossero reali, nonostante
la presenza di alcuni elementi bizzarri (improbabilità di tempo, luogo, persone e azioni); le
emozioni predominanti sono quelle relative a paura, gioia e rabbia, mentre più rara è la presenza
di tristezza, vergogna e colpa (Nielsen, 2000). I sogni, per giunta, risulterebbero da attivazioni
cerebrali random innescate dal tronco encefalico e sarebbero privi di significato e di valore
adattivo per l‟organismo: per tale motivo non è necessario che siano ricordati (Hobson, 1988b;
Hobson e McCarley, 1977). Tuttavia il ricordo del sogno si può riscontrare maggiormente nel
risveglio da sonno REM, il quale, a causa delle specifiche attivazioni fisiologiche che gli sono
proprie, permetterebbe un certo grado di consolidazione mnestica (Stickgold et al., 2000b).
Antrobus (2000) e Foulkes (1962; 1966) hanno spiegato la presenza di tali differenze tra i
resoconti ottenuti dal risveglio da NREM e da REM in termini di fluttuazioni delle capacità
19
cognitive nel recupero mnestico al momento del risveglio, abbracciando l‟ipotesi per cui la
produzione di attività onirica sia la stessa per tutto il corso della notte. Al contrario, Hobson e i
suoi colleghi (Mamelak e Hobson, 1989a) ipotizzano che la produzione dell‟attività onirica
dipenda da distinti meccanismi di generatori di immagini (Nielsen, 2000). Il modello da essi
proposto, quello del “doppio generatore” (2-gen), si fonda sull‟assunzione dell‟isomorfismo
psicofisiologico, per cui le specifiche variabili fisiologiche, legate ai vari stadi del sonno,
sarebbero correlate a specifiche variabili psicologiche relative alle caratteristiche delle attività
mentali prodotte (Nielsen, 2000). Nonostante alcuni resoconti registrati in seguito ai risvegli da
NREM mostrino dei tratti dream-like tipicamente osservabili in REM, in media, i rispettivi
resoconti appaiono più frequentemente diversi l‟uno dall‟altro. Questo farebbe dedurre, di
conseguenza, che i sogni più intensi siano una prerogativa del sonno REM (Hobson et al., 2000).
Di recente, McNamara e i suoi collaboratori (2010) hanno condotto due studi a supporto
dell‟ipotesi del “doppio generatore”. I ricercatori hanno analizzato il contenuto di un centinaio di
resoconti ottenuti da REM e da NREM, alla luce di precedenti ricerche che avevano rilevato una
maggior presenza di emozioni spiacevoli ed elementi bizzarri dai risvegli da REM, rispetto ai
resoconti da NREM che contenevano un minor numero di queste caratteristiche, ma una
maggiore presenza di scene ambientate in contesti familiari (Domhoff, 2003; Foulkes, 1962;
Hobson e Pace-Schott, 2002; Nielsen et al., 2001; Rechtschaffen et al., 1963a; Snyder et al.,
1968; Strauch e Meier, 1996). Focalizzandosi sul parametro della presenza di interazioni sociali
nei resoconti onirici, i risultati hanno dimostrato che esse possono comparire sia nei sogni del
REM che nei sogni NREM ma, nello specifico, il REM sembra essere specializzato nella
generazione di interazioni sociali aggressive, mentre il NREM nella generazione di interazioni
amichevoli. Secondo gli autori la presenza di differenti aspetti emotivi nei due tipi di resoconti
rifletterebbe l‟influenza di specifiche attività cerebrali associate ai rispettivi stadi del sonno.
Infatti in REM, in cui i livelli di attivazione dell‟amigdala sono elevati (Hobson et al., 2000), si
riscontrava la presenza di interazioni sociali aggressive, mentre in NREM, durante il quale il
sistema limbico è pressoché silente, non si registravano interazioni aggressive. I dati, pertanto,
farebbero pensare che vi sia un generatore specializzato per i sogni prodotti in REM e uno
specializzato per i sogni del NREM, concludendo che il contenuto onirico sia fisiologicamente
influenzato dal tono dello stadio del sonno prevalente.
Nielsen (2000), nel tentativo di fare chiarezza all‟interno del complesso dibattito sulla genesi dei
sogni, propone che, per comprendere a fondo le differenze tra il “modello del generatore
singolo” e il “modello del generatore doppio”, sia necessario distinguere il dreaming (lo
specifico oggetto di studio di quanti sostengono il modello 2-gen) dalle attività mentali meno
strutturate. Questi, in accordo con quanto sostenuto da Hobson e coll. (2000), definisce il
20
dreaming in termini di immagini visive caratterizzate da allucinazioni sensoriali, presenza di
emozioni, trame complesse e bizzarre. Fra queste troviamo anche gli “apex dreaming”, ossia
quella categoria di sogni estremamente vividi, intensi e complessi (incubi, sogni lucidi, sogni
erotici) che si verificano più frequentemente in REM (Nielsen, 2000), nonostante si possano
riscontrare, come nel caso dei terrori notturni, anche negli stadi più profondi del NREM (Fisher
et al., 1970a; 1970b; Kahn et al., 1991). Al contrario, la più generica attività onirica, definita
come una qualsiasi forma di attività cognitiva rilevabile durante il sonno, è solitamente
caratterizzata dalla presenza di immagini visive statiche e impressioni vaghe, come pensieri,
riflessioni e sensazioni corporee (Nielsen, 2000). Le considerazioni appena esposte evidenziano
che, probabilmente, le differenze tra dreaming e attività cognitiva possano determinare la
variabilità del dream recall al risveglio. Entrambi i modelli sulla generazione dei sogni non
forniscono, tuttavia, spiegazioni esaustive: infatti ognuno, preso singolarmente, non può
individuare quegli specifici meccanismi che si occupano di produrre l‟attività onirica. Nielsen
(2000) solleva il problema della generalizzabilità dei due modelli, affermando che l‟uno o l‟altro
possono essere validi solo per alcuni tipi di soggetti e solo in alcune circostanze. Il limite del
“modello del generatore singolo” consiste nell‟aver escluso i processi delle attivazioni
fisiologiche; mentre il “modello del doppio generatore” non prende in considerazione il ruolo
della corteccia frontale e della corteccia temporale sinistra (Antrobus, 2000), che permettono di
effettuare le operazione cognitive al risveglio, come la sintesi narrativa del contenuto onirico
(Nielsen, 2000).
Le teorie finora esposte riflettono un lapalissiano paradosso concettuale: da una parte troviamo
che l‟attività cognitiva (tra cui anche il dreaming) si verifica per tutto il corso del sonno (modello
1-gen), dall‟altra, tuttavia, esistono delle evidenze sperimentali per cui le rispettive attività
mentali di REM e NREM sembrano differire qualitativamente e, con esse, anche le attivazioni
fisiologiche che le accompagnano (modello 2-gen). Nel tentativo di risolvere il paradosso in
questione, Nielsen (2000) cerca di riconciliare i due modelli, proponendone un terzo, detto
“modello del REM mascherato” (covert REM): l‟attività mentale presente nel sonno sembra
essere saldamente associata ai processi REM, ma alcuni di questi, talvolta, possono dissociare
dal sonno REM e andare a stimolare l‟attività mentale del NREM, in modo, appunto,
mascherato. Vari risultati sperimentali confermano l‟ipotesi avanzata da Nielsen (2000): infatti il
richiamo del sogno sembra essere più frequente, abbondante e saliente in quegli stati del NREM
che sono in prossimità degli episodi REM (Stickgold et al., 1994a). Anche le serie di risultati
relativi agli studi di deprivazione del sonno - che induce il fenomeno del REM-rebound, cioè la
“pressione” ad entrare precocemente in fase REM e a trascorrervi più tempo del normale (Endo
et al., 1998; Ellman et al., 1991; Eiser, 2005) -, quelli relativi ai fenomeni onirici che compaiono
21
all‟inizio del sonno (Nielsen et al., 1995; Porte, 1997) e quelli che riguardano i fenomeni di
arousal durante l‟addormentamento (Nielsen, 2000), sono tutti stati interpretati in termini di
REM mascherato, che agirebbe sugli eventi NREM elencati (Nielsen, 2000). Inoltre,
sembrerebbe che le caratteristiche neurofisiologiche del NREM in cui si ottiene il dream recall
siano differenti da quelle del NREM privo di dream recall (Germain e Nielsen, 1999) e che le
caratteristiche neurofisiologiche del NREM in cui si ottengono i resoconti onirici più vividi
siano, invece, più simili a quelle del REM (Nielsen et al., 1995). I dati in questione farebbero
supporre che il covert REM sia implicato nella generazione del dreaming nelle fasi di sonno
NREM che presentano delle caratteristiche simili a quelle del sonno REM, le quali, però, non
soddisfano appieno i criteri elettrofisiologici proposti dagli standard internazionali di siglatura
del sonno (Rechtschaffen e Kales, 1968), per l‟attribuzione dello stadio REM vero e proprio
(Nielsen, 2000).
Lo scopo del modello proposto da Nielsen (2000) è quello di mantenere le assunzioni generali
del “modello del singolo generatore” (che in questo caso viene identificato con il sonno REM),
estendendole anche all‟ipotesi dell‟isomorfismo psicofisiologico proposta dal “modello del
doppio generatore”. Le differenze qualitative fra i resoconti REM/NREM vengono spiegate in
termini di attivazione mascherata del REM che agirebbe andando a “colorare” le attività
cognitive che si verificano in NREM.
Vari autori hanno, tuttavia, messo in discussione le argomentazioni del modello del “doppio
generatore” e del “REM mascherato”. Hobson e i suoi collaboratori (Stickgold et al., 2000b),
avevano ipotizzato che le caratteristiche fisiologiche del REM permettessero la consolidazione
mnestica, spiegando, in tal modo, perché sia più probabile riscontrare dai risvegli in REM la
presenza dei resoconti onirici più ricchi di dettagli. Varie evidenze, tuttavia, supportano le teorie
per cui il sistema mnestico si ristorerebbe quando è in stato off-line (Feinberg, 2000). Pertanto,
sembrerebbe più logico affermare, al contrario, che il consolidamento mnestico subisca un
arresto durante il sonno e che tale grado di arresto sia proporzionale all‟attività EEG. Esso
risulterebbe massimo nello stadio 4 di sonno profondo a onde lente e minimo in REM, quando
l‟attività cerebrale si fa desincronizzata (Feinberg, 2000). L‟ipotesi avanzata a tal riguardo
propone che la funzione del REM potrebbe essere, più semplicemente, quella di garantire e
promuovere la riattivazione cerebrale (Ephron e Carrington, 1966). Il cervello, infatti, fortemente
depresso durante il sonno a onde lente (SWS), sarebbe incapace di tollerare lunghi periodi di
soppressione prolungata e avrebbe bisogno di riattivarsi periodicamente, evitando, tuttavia, di
risvegliare l‟intero organismo, ma preparandolo a tornare attivo dopo il risveglio (Feinberg
2000).
Nonostante Hobson e i suoi collaboratori (2000) abbiano portato delle prove in favore delle
22
differenze qualitative tra i resoconti ottenuti dopo i risvegli da REM e da NREM (supportando la
teoria per la quale l‟attività mentale sia più verbale in NREM e più visiva in REM), Antrobus
(2000) fa notare che in entrambi i casi, quando viene chiesto ai soggetti se stessero sognando, la
risposta è affermativa. Alla luce di quanto detto sinora bisogna considerare che, in un primo
momento, la tendenza di quanti sostengono l‟ipotesi del “doppio generatore” dei sogni era quella
di considerare i meccanismi REM/NREM che producono attività mentale in termini di modalità
on/off. Attualmente, invece, grazie alle numerose ricerche di Foulkes (1982a; 1985; 1990; 1993b;
1997) e ai dati neuropsicologici presentati da Solms (2000) - che verranno esposti più avanti essi considerano che i meccanismi in questione operino attraverso vari livelli di attività
(Antrobus, 2000).
Inoltre, il modello di “attivazione-sintesi” (da cui poi si sono successivamente sviluppati il
modello AIM e l‟ipotesi del “doppio generatore”), a detta di Antrobus (2000), è troppo
speculativo e non supportato da dati empirici. Infatti, ricordiamo che il modello in questione
suppone che il correlato neurale del dreaming andrebbe ricercato a livello dei nuclei pontini,
responsabili della generazione del sonno REM. Per di più, esso assume che la relazione tra onde
PGO (la cui esistenza non è mai stata dimostrata sugli esseri umani) e i processi corticali di
sintesi cognitiva nel sonno (che si occupano di organizzare le informazioni caotiche degli input
provenienti dai nuclei pontini) possano spiegare la relazione tra i processi neurobiologici e quelli
psicologici che determinano le attività oniriche. In aggiunta, il tentativo di Nielsen (2000) di
riconciliare i due modelli divergenti e superare il paradosso, in realtà, non sembra conseguire
effettivamente il suo scopo, in quanto non differisce molto dalle ipotesi avanzate da Hobson e i
suoi collaboratori (Hobson et al., 1986). Anche in questo caso, infatti, si assume l‟isomorfismo
tra il background fisiologico e l‟attività mentale, laddove il “regista” dei sogni viene identificato,
ancora una volta, con il sonno REM che andrebbe persino a influenzare i processi cognitivi del
NREM in maniera mascherata (Bosinelli e Cicogna, 2000). Come verrà spiegato a breve, le
ricerche di Solms (2000) confutano le ipotesi del doppio generatore e affermano che il sonno
REM e i sogni siano fenomeni indipendenti.
1.4 L’approccio neuropsicologico nella ricerca sul sogno
Prima di discutere i risultati degli studi neuropsicologici, è opportuno sintetizzare brevemente il
“modello di attivazione-sintesi” (Hobson e McCarley, 1977) e il “modello AIM” (Hobson et al.,
2000), considerandoli da un ulteriore punto di vista. Il primo modello propone che i sogni siano
generati a partire dall‟attività tronco-encefalica e sintetizzati a livello corticale. Alla corteccia è
attribuita, quindi, la funzione di ordinare i numerosi input in arrivo dai nuclei pontini, nel
tentativo di dare un senso al caotico susseguirsi di tali informazioni. In base a ciò il proencefalo
23
avrebbe, quindi, un ruolo passivo nella generazione dei sogni. Nel “modello AIM”, e nelle sue
revisioni successive, gli aspetti fenomenologici dell‟attività onirica (allucinazioni visive,
illusioni, disorientamento, presenza di contenuti emotivi, oblio del sogno al risveglio) continuano
ad essere attribuiti ai meccanismi tronco encefalici e, in particolare, all‟arresto dell‟attività di
modulazione aminergica (noraderenergica e serotoninergica) che permette, di conseguenza, al
sistema colinergico di entrare in azione, generando la comparsa del sonno REM (Hobson 1992b;
1994; Hobson et al., 1998b). Secondo tali premesse, i sogni prodotti durante il REM e quelli
prodotti durante il NREM sarebbero il risultato delle reciproche interazioni tra i neuroni
aminergici e colinergici del tronco dell‟encefalo (Hobson 1992b; 1994), ipotizzando l‟esistenza
di un doppio generatore dell‟attività onirica. Quindi, conservando l‟ipotesi del controllo pontino
sul dreaming, Hobson e i suoi collaboratori, attraverso le varie revisioni dei loro modelli,
avrebbero semplicemente spostato il collegamento fenomenologico tra sonno REM e dreaming
al collegamento anatomico tra i nuclei pontini del tronco dell‟encefalo e produzione onirica
(Solms, 2000). Le loro ipotesi rimangono fermamente ancorate all‟idea dell‟isomorfismo mentecervello, ma l‟aspetto più opinabile risiede, secondo Solms (2000), nel fatto che essi abbiano
proposto un modello di natura meramente speculativa che non considera gli studi di lesioni
neurologiche, fondamentali per verificare la correlazione tra l‟attività cerebrale e le
manifestazioni psichiche.
Il contributo di Solms (1997a) è stato di fondamentale importanza per lo studio del dreaming, in
quanto ha permesso di collegare i dati che provengono dal cervello direttamente alla generazione
dei sogni, senza fare affidamento sulle inferenze di presunte relazioni tra gli aspetti fisiologici e
psicologici. Così facendo è stato tenuto sotto controllo tutto quell‟insieme di problemi
metodologici che consente, altresì, di studiare i sogni solamente attraverso approcci indiretti che
inevitabilmente vengono influenzati dallo specifico stadio del sonno in cui si genera l‟attività
mentale. Il suo lavoro è il prodotto dell‟integrazione di dati raccolti su 332 pazienti con lesioni
cerebrali con quelli provenienti dalla letteratura precedente, allo scopo di creare una
neuropsicologia dei sogni (Eiser, 2010). La revisione dei dati in questione ha portato Solms
(2000) a ritenere fondamentalmente errata la corrispondenza biunivoca “REM = dreaming” e a
individuare nel proencefalo il generatore dell‟attività onirica. Le sue osservazioni partono da
quanto è stato già ampiamente discusso nel paragrafo precedente: non tutto il dreaming è
correlato al sonno REM. Più precisamente, potrebbe sembrare che ci sia una qualche
correlazione, ma tuttavia risulterebbe incompleta, poiché tra il 5 e il 30% dei risvegli da stadio
REM non si registra la presenza di resoconti onirici e almeno nel 5-10% dei casi di risvegli da
stadio NREM si ottengono dei resoconti onirici del tutto identici per complessità e numero di
dettagli a quelli ottenibili in REM (Hobson, 1988b). Solms (2000) invita a riflettere su una serie
24
di considerazioni che confutano i modelli proposti da Hobson e i suoi collaboratori e a rifiutare
le ipotesi secondo cui vi siano distinti generatori per i sogni del REM e per i sogni del NREM.
Infatti, già Jouvet (1962) aveva dimostrato la dissociazione tra i meccanismi proencefalici e i
meccanismi implicati nella generazione del sonno REM e Jones (1979) aveva dimostrato che le
ampie lesioni a carico dei nuclei pontini nel tronco encefalico eliminavano ogni manifestazione
di sonno REM nei gatti. Quest‟ultimo risultato è stato successivamente confermato per mezzo di
26 casi di studi di lesione condotti su esseri umani (Adey et al., 1968; Chase et al., 1968;
Cummings e Greenberg, 1977; Feldman, 1971; Lavie et al., 1984; Markand e Dyken, 1976;
Osorio e Daroff, 1980). Di questi 26 casi, ben 25 non hanno mostrato alcuna correlazione tra
perdita del dreaming e perdita del sonno REM (Adey et al., 1968; Chase et al., 1968; Cummings
e Greenberg, 1977; Lavie et al., 1984; Markand e Dyken, 1976), quindi, anche in assenza di
REM il dreaming continuava a verificarsi, tranne che in un singolo caso riportato da Fedelman
(1971), in cui vi era correlazione tra perdita di REM e perdita di dreaming. Solms (2000), inoltre,
ha riportato 108 casi di lesioni focali del proencefalo che causavano la cessazione totale, o
parziale, del dreaming (Basso et al., 1980; Boyle e Nielsen, 1954; Epstein, 1979; Epstein e
Simmons, 1983; Ettlinger et al., 1957; Farah et al., 1988; Farrell, 1969; Gloning e Sternbach,
1953; Grunstein, 1924; Habib e Sirigu, 1987; Humphrey e Zangwill, 1951; Lyman, et al., 1938;
Michel e Sieroff, 1981; Moss, 1972; Neal, 1988; Nielsen, 1955; Peña-Casanova et al., 1985;
Piehler, 1950; Ritchie, 1959; Solms, 1997a; Wapner et al., 1978). I dati relativi alla correlazione
tra la perdita del dreaming e le lesioni a carico del proencefalo sono stati confermati da ulteriori
ricerche in cui i soggetti venivano risvegliati dal sonno REM (Benson e Greenberg, 1969;
Brown, 1972; Cathala et al., 1983; Efron, 1968; Jus et al., 1973; Kerr et al., 1978; Michel e
Sieroff, 1981; Murri et al., 1985) e da ricerche che si sono servite di questionari sulla presenza o
meno del ricordo del sogno al risveglio del mattino (Arena et al., 1984; Murri et al., 1984; 1985).
Globalmente, Solms ha riportato in tutto 111 casi di lesioni del proencefalo in cui i nuclei pontini
del tronco dell‟encefalo non avevano subìto alcun danno neurologico, eccetto che in uno soltanto
fra questi (Fedelman, 1971). Tra l‟altro, quando venivano anche monitorati i cicli di sonno, si
poteva osservare come lo stadio REM fosse totalmente risparmiato (Benson e Greenberg, 1969;
Efron, 1968; Jus et al., 1973; Kerr et al., 1978; Michel e Sieroff, 1981). L‟insieme dei dati
appena citati ha permesso a Solms (2000) di concludere che “il dreaming può verificarsi anche in
assenza del sonno REM e il sonno REM può verificarsi anche in assenza del dreaming”.
Solms (2000) ha, poi, suddiviso i 110 casi di lesioni proencefaliche in questione in due gruppi
anatomici, osservando che 94 lesioni sono localizzate nella convessità posteriore degli emisferi,
nelle aree di Brodmann 39 e 40, a livello della giunzione temporo-parieto-occipitale (TPO). Di
questi 94 casi, 83 soggetti mostravano lesioni unilaterali (nello specifico 48 a sinistra e 35 a
25
destra), mentre 11 soggetti mostravano lesioni bilaterali (Arena et al., 1984; Cathala et al., 1983;
Murri et al., 1984; 1985; Solms, 1997a). L‟altro gruppo anatomico di lesioni è costituito da 16
casi in cui il danno, sempre bilaterale, riguarda la sostanza bianca adiacente ai corni frontali dei
ventricoli laterali, il quandrante ventromesiale dei lobi frontali, che coincide con le regioni della
corteccia prefrontale orbitofrontale (ventromediale) e mediale (Solms, 2000). Entrambe le lesioni
appena menzionate causano la sindrome definita “anoneria globale”, rispettivamente nelle
varianti posteriore e anteriore, in cui si osserva la totale cessazione del dreaming nei pazienti
che, al contrario, mostrano capacità visive e immaginative nella norma durante la veglia (Hobson
et al., 2000).
Doricchi e Violani (1992) hanno individuato un altro possibile quadro sintomatologico che
colpisce, invece, il grado della generazione delle immagini oniriche: in seguito a lesioni bilaterali
mediali occipito-temporali si assiste a perdita totale o parziale delle immagini che vengono
prodotte nei sogni. Al contrario, le capacità visive risultano essere nella norma durante lo stato di
veglia. Tale decremento di vivacità delle immagini oniriche è stato osservato, nello specifico, in
due pazienti che mostravano lesioni alle aree visive corticali extrastriate V3, V3a e V4 (Doricchi
e Violani, 1992). Questo quadro patologico - successivamente definito da Solms (1997a)
“anoneria visiva” - si accompagna, di solito, ai sintomi dell‟irriminescenza visiva, ossia
l‟incapacità di produrre immagini mentali durante la veglia (Hobson et al., 2000).
La cessazione del dreaming che segue dopo lesioni della giunzione TPO sembra essere
logicamente spiegata dal fatto che tale regione è implicata anche nella generazione delle
immagini visive durante la veglia (Kosslyn, 1994). Si tratta di un‟area associativa che si occupa
di assemblare tra loro, in un‟unica rappresentazione cui viene in seguito attribuito significato, le
informazioni provenienti dai canali uditivi, visivi e somatosensoriali, servendosi dei processi
attentivi e di riconoscimento dello stimolo (Rhawn, 2000; Von Stein et al., 1999). Invece, il ruolo
del quadrante ventromesiale nella generazione dei sogni ha bisogno di una spiegazione più
esaustiva per comprendere in che modo possa essere implicato nella generazione dei sogni. La
regione in questione è provvista di numerose proiezioni dopaminergiche che mettono in
connessione le strutture prefrontali con il sistema limbico (Solms, 2000). Prima di rendere conto
del ruolo di tale area nella produzione onirica, consideriamo brevemente i meccanismi dei
sistemi mesolimbico e mesocorticale. Questi sono implicati nella programmazione dei
comportamenti diretti a un obiettivo, che permettono di interagire con il mondo esterno,
coerentemente con lo specifico quadro motivazionale dell‟individuo (Panksepp, 1985; 1998a). I
neuroni dopaminergici che inviano proiezioni verso il sistema mesolimbico e verso il sistema
mesocorticale originano nell‟area tegmentale ventrale (VTA). Le proiezioni che raggiungono il
sistema limbico si connettono a varie strutture, tra cui il nucleo accumbens, l‟amigdala e
26
l‟ippocampo. In particolare, il nucleo accumbens è l‟area implicata nei processi di gratificazione
e ricerca del piacere e viene attivata da specifici stimoli appetitivi, fra cui anche le sostanze
xenobiotiche che inducono il comportamento d‟abuso. Tali sostanze aumentano, infatti, il rilascio
di dopamina all‟interno del nucleo accumbens, andando a rinforzare i meccanismi implicati nella
ricerca della sostanza gratificante. Invece, le proiezioni dopaminergiche che raggiungono la
corteccia frontale controllano le funzioni relative alla memoria a breve termine e alla
pianificazione dei movimenti diretti a uno scopo. L‟interazione fra i due sistemi per mezzo della
modulazione dopaminergica permette il controllo di funzioni estremamente importanti per la
sopravvivenza dell‟organismo, come l‟attenzione, l‟apprendimento, la pianificazione e
l‟esecuzione dei movimenti volontari, il comportamento emozionale, la motivazione, il
raggiungimento degli obiettivi e la gratificazione. In sintesi, come dimostrato da Panksepp
(1998a), il circuito appena descritto è implicato nel comportamento di ricerca, volto al
raggiungimento gratificante di un obiettivo, originato a partire dalle spinte motivazionali
(sistema seeking). Quindi, in base a quanto descritto, sarebbe più corretto parlare di sistema
mesocorticolimbico, i cui neuroni dopaminergici che originano nella VTA, nello specifico,
inviano proiezioni all‟ipotalamo laterale, facendo numerose sinapsi lungo il tragitto con molte
strutture localizzate nel proencefalo basale (come ad esempio, per citarne alcune, la stria
terminale, i gangli della base e il nucleo accumbens). Dall‟ipotalamo laterale, tali proiezioni
raggiungono, poi, l‟amigdala, il giro cingolato anteriore e terminano nella corteccia frontale
(Solms, 2000). Inoltre, la letteratura riporta che gli stati psicotici (dalle manifestazioni di
depressione agitata fino a quelle maniacali e schizofreniche) sono causati dall‟iperattività
patologica dei sistemi dopaminergici. Varie ricerche hanno, infatti, dimostrato che tale sistema
rappresenta anche il principale sito d‟azione di farmaci (come l-dopa) e droghe (amfetamina e
cocaina) ad azione stimolante (Role e Kelly, 1991), le quali, aumentando il rilascio di dopamina,
possono indurre artificialmente i sintomi positivi della schizofrenia (Bird, 1990; Kandel, 1991;
Panksepp, 1998a). La sintomatologia positiva schizofrenica viene trattata per mezzo dei
cosiddetti farmaci antipsicotici (Role e Kelly, 1991), che agiscono, per l‟appunto, su tale sistema,
andando a bloccare l‟iperattività dopaminergica a livello mesocorticale e mesolimbico. Uno degli
effetti collaterali indotti dalle terapie antipsicotiche consiste nella perdita di interesse per il
mondo (Lehmann e Hanrahan, 1954; Panksepp, 1985); inoltre è stato dimostrato che le lesioni a
carico di tali regioni producono una riduzione di interesse per gli eventi del mondo esterno,
riduzione dell‟iniziativa, perdita di forza e vigore (adinamia), riduzione delle capacità di
immaginazione e di pianificare eventi futuri (Panksepp, 1985; Brown, 1985).
Solms (2000) ritiene che il sistema proencefalico mesocorticolimbico abbia un ruolo cruciale
nella generazione dei sogni, e che tale fenomeno si manifesti in maniera del tutto indipendente
27
dall‟azione fisiologica che caratterizza lo stadio REM. A conferma di ciò, egli riporta dei casi in
cui è stato dimostrato che il dreaming scompare completamente in seguito alle lesioni
proencefaliche che colpiscono i sistemi dopaminergici, mentre le stesse lesioni non hanno effetti
sulla comparsa del REM (Frank, 1946; 1950; Gloning e Sternbach, 1953; Jus et al., 1973;
Partridge, 1950; Piehler, 1950; Schindler, 1953; Solms, 1997a). Inoltre sia le interruzioni
chirurgiche di tale circuito che la sua inattivazione per mezzo di terapie farmacologiche riducono
i sintomi positivi della schizofrenia (Breggin, 1980; Panksepp, 1985). Questi dati sono stati presi
in considerazione da quanti ritengono che le caratteristiche formali della sintomatologia positiva
schizofrenica (come le allucinazioni visive) abbiano dei tratti in comune con le caratteristiche
formali delle immagini oniriche (Freud, 1899; Hobson, 1992; 1988b; Hobson e McCarley, 1977).
Solms (2000) ha anche riportato che, in seguito all‟interruzione chirurgica del sistema
dopaminergico, si assiste, oltre alla cessazione del dreaming, alla comparsa dell‟adinamia,
concludendo che essa sia un tipico correlato della perdita della capacità di sognare. Infatti, le
lesioni frontali bilaterali profonde causano cessazione del dreaming solo nei casi in cui compare
anche l‟adinamia; al contrario, i soggetti che non presentano tale sintomo, mostrano una
preservata capacità di generare immagini oniriche (Solms, 1997a). D‟altra parte, la stimolazione
farmacologica del circuito mesocorticolimbico - somministrando l-dopa - è in grado di indurre
non solo la comparsa della sintomatologia positiva psicotica, ma anche la manifestazione di un
numero considerevolmente maggiore di sogni e incubi, caratterizzati da eccessiva vividezza
(Nausieda et al., 1982; Scharf et al., 1978). È stato osservato, di conseguenza, che i farmaci
bloccanti l‟attività dopaminergica (come nel caso dell‟aloperidolo) sono in grado di inibire, oltre
ai sintomi psicotici, anche l‟eccessiva vividezza e l‟eccessiva frequenza di sogni in questione
(Sacks, 1985; 1990; 1991). Per giunta, le lesioni bilaterali profonde del quadrante ventromesiale
danneggiano le aree della corteccia prefrontale orbitofrontale e mediale (Bradeley et al., 1958):
gli studi di lobotomia prefrontale a carico di tali regioni mostrano una perdita totale o quasi
totale dell‟attività onirica nel 70-90% dei casi (Frank, 1946; 1950; Jus et al., 1973; Partridge,
1950; Piehler, 1950; Schindler, 1953). Infine, le lesioni a carico della corteccia prefrontale
dorsolaterale, area cruciale per le funzioni esecutive, comportamenti diretti a uno scopo e
automonitoraggio, non hanno effetti sul dreaming, indicando che tali funzioni non sono
significativamente coinvolte nei processi onirici (Eiser, 2010). Tutto quanto appena descritto si
manifesta in assenza di qualsiasi effetto concomitante che vada ad alterare l‟intensità, la
frequenza o la durata delle fasi REM (Hartmann et al., 1980).
Per dimostrare ulteriormente la dissociazione tra sonno REM e dreaming, Solms (2000) cita i
casi relativi alla comparsa di crisi epilettiche nel sonno NREM (Janz, 1974; Kellaway e Frost,
1983) che, tipicamente, si accompagnano a incubi e terrori notturni (Boller et al., 1975; Clarke,
28
1915; De Sanctis, 1896; Epstein, 1964; 1967; 1979; Epstein e Ervin, 1956; Epstein e Freeman,
1981; Epstein e Hill, 1966; Kardiner, 1932; Naville e Brantmay, 1935; Ostow, 1954; Penfield,
1938; Penfield e Erickson, 1941; Penfield e Rasmussen, 1955; Rodin et al., 1955; Snyder, 1958;
Solms, 1997a; Thomayer, 1897). La letteratura al riguardo riporta 24 casi di presenza di incubi in
pazienti che mostravano attività epilettiforme a livello del lobo temporale (22 casi) e a livello del
lobo parietale (2 casi), ambedue strutture proencefaliche. La correlazione causale che sussiste tra
l‟attività epilettica e i ricorrenti incubi era stata già precedentemente dimostrata dagli studi di
Penfield e i suoi collaboratori (Penfield, 1938; Penfield e Erikson, 1941; Penfield e Rasmussen,
1955). Essi, allo scopo di simulare in maniera artificiale le manifestazioni epilettiche, hanno
stimolato il lobo temporale di soggetti che venivano indotti sperimentalmente in uno stato di non
completa vigilanza (detto “dreamy”), riproducendo, così, durante la veglia, la generazione di
immagini mentali angoscianti, simili a quelle degli incubi. Solms (2000), inoltre, riporta che il
collegamento tra attività epilettica del lobo temporale e generazione di incubi è corroborato
anche dal fatto che tanto la sintomatologia che si accompagna alle manifestazione epilettiche,
quanto
la
frequenza
degli
incubi
associati
rispondono
positivamente
alla
terapia
anticonvulsivante o agli interventi chirurgici di lobotomia temporale anteriore (Boller et al.,
1975; Epstein, 1964; 1967; 1979; Epstein e Ervin, 1956; Epstein e Freeman, 1981; Epstein e
Hill, 1966; Solms, 1997a).
Le considerazioni di Solms (2000) partono da un approccio di natura neuropsicologica e
finiscono con l‟integrarsi ai dati neurobiologici: si ritiene che i meccanismi colinergici troncoencefalici, responsabili dell‟attivazione del meccanismo “REM-on”, siano in qualche modo
implicati nella generazione degli aspetti psicologici dell‟attività onirica, la quale, tuttavia, è
innescata da meccanismi proencefalici, probabilmente dopaminergici. Lo stesso “meccanismo
onirico” proencefalico agirebbe, infatti, andando a modulare anche le attivazioni cerebrali che si
verificano durante il NREM. Il modello proposto da Solms (2000) è supportato dai dati
precedentemente discussi che dimostrano come il dreaming possa essere manipolato dall‟azione
di agonisti e antagonisti dopaminergici, senza sortire alcun cambiamento concomitante nella
frequenza, durata e intensità del REM. Inoltre l‟attività onirica può anche essere indotta per
mezzo di stimolazioni focali del proencefalo, come dimostrato dagli studi che indagano la
presenza di crisi epilettiche parziali del lobo temporale durante il NREM. D‟altra parte il
dreaming può essere eliminato da lesioni focali che interessano, molto probabilmente, le
connessioni dopaminergiche del proencefalo, senza avere effetti apprezzabili su frequenza,
durata e intensità del sonno REM. Solms (2000), pertanto, conclude che il generatore del
dreaming sia rintracciabile nel proencefalo e che il meccanismi tronco encefalici che controllano
la comparsa dei cicli di sonno REM, aumentando l‟arousal del cervello addormentato, siano più
29
che altro implicati nella modulazione delle caratteristiche psicologiche dei sogni.
Al fine di rendere più chiari i dati appena esposti, andremo ora a schematizzarli, seguendo la
suddivisione riportata da Aquino (2014) e discutendo, nello specifico, le manifestazioni cliniche
cui si accompagnano. Solms (1997a) presenta, sommariamente, 6 condizioni che possono
provocare cessazione (o alterazione) dell‟attività onirica insieme ad altre precise sintomatologie
neuropsicologiche.
-
Lesioni parietali inferiori sinistre. I pazienti mostrano i sintomi del disorientamento
spaziale, come l‟incapacità di distinguere la destra dalla sinistra, e i sintomi dell‟agnosia
digitale. Clinicamente si osserva anche la perdita delle capacità di astrarre le informazioni
sensoriali multimodali in una configurazione rappresentazionale superiore. Il fatto che
lesioni di questo tipo siano fra le cause di cessazione del dreaming, fa dedurre che le
capacità di astrazione, concettualizzazione e simbolizzazione siano delle funzioni
fondamentali nella generazione onirica.
-
Lesioni parietali inferiori destre. Il danneggiamento di tali aree provoca deficit della
memoria visuo-spaziale. Pertanto, il fatto che esso causi anche l‟arresto dei sogni rende
conto del contributo che la memoria di lavoro visuo-spaziale fornisce alla produzione di
immagini oniriche, permettendone una rappresentazione concreta nella mente.
-
Lesioni temporo-occipitali. In seguito a lesioni di questo tipo l‟attività onirica rimane
preservata, ma risulta impoverita, poiché i pazienti mostrano difficoltà nella
rappresentazione
concreta
di
informazioni
percettive
visive.
È
la
sindrome
neuropsicologica che è stata definita “anoneria visiva”, in cui non si perde l‟esperienza
onirica che risulta, al contrario, nella norma sotto ogni punto di vista, eccetto che per gli
aspetti immaginativi. Si assiste a una riduzione significativa delle capacità di
visualizzare, ad esempio, facce, colori e/o movimenti. I deficit immaginativi sono
presenti anche nello stato di veglia, in cui si osserva un‟incapacità di generare immagini
mentali, detta irriminescenza visiva.
-
Lesioni frontali bilaterali profonde. I deficit a questo livello, già ampiamente discussi, si
accompagnano a una moltitudine di sintomi psichici, fra cui l‟adinamia, cioè la perdita
della spinta motivazionale spontanea. Valutare la presenza di adinamia è di fondamentale
importanza, poiché si tratta di un sintomo che correla strettamente con la cessazione del
dreaming.
-
Lesioni frontali limbiche. Questa tipologia di lesioni induce un senso di confusione nella
discriminazione tra esperienze reali ed esperienze oniriche, senza causare, tuttavia, la
perdita del dreaming. I pazienti, inoltre, mostrano deficit delle funzioni che permettono il
giudizio e l‟analisi della realtà, dovuti all‟incapacità di distinguere tra loro i vari eventi
30
psicologici legati alla percezione, al pensiero, alla memoria, all‟immaginazione e ai
sogni. I danni a questi livelli generalmente comportano anche un incremento nella
frequenza e nella vivacità dei sogni, cui si accompagnano ulteriori quadri
sintomatologici, come le amnesie confabulatorie, le paramnesie reduplicative,
l‟eminegligenza spaziale unilaterale e l‟anosognosia. Probabilmente queste regioni sono
preposte all‟esecuzione di funzioni inibitorie che modulano il verificarsi e l‟intensità del
dreaming (Eiser, 2010).
-
Epilessia del lobo temporale. L‟attività epilettiforme a carico delle regioni temporali è in
grado di indurre, nel sonno NREM, attività onirica stereotipata e ricorrente, caratterizzata
da emozioni angoscianti, tipica degli incubi. La visione di immagini simili può
manifestarsi anche in veglia, mentre il paziente è soggetto ad attacchi epilettici o durante
le auree. La stimolazione del lobo temporale va ad attivare le adiacenti regioni limbiche,
responsabili della generazione degli incubi, come dimostrato da studi precedentemente
citati, in cui veniva indotta la produzione di immagini mentali spiacevoli per mezzo di
tecniche artificiali.
Tutto quanto appena descritto suggerisce che le immagini oniriche siano “attivamente costruite
attraverso complessi processi cognitivi” (Solms, 2000) e che, pertanto, il sogno sia un processo
dinamico. Questo è l‟aspetto per cui Solms più si avvicina a Freud (Aquino, 2014) e per cui, allo
stesso tempo, più si allontana dai modelli proposti da Hobson e i suoi collaboratori. Freud,
infatti, riteneva che le strutture psichiche non debbano essere localizzate all‟interno di elementi
organici, ma debbano, piuttosto, essere pensate come il prodotto del rapporto tra le varie strutture
del sistema nervoso (Solms, 2000). Allo stesso modo, Solms ritiene che i processi mentali siano
certamente il risultato di concomitanti processi fisiologici che coinvolgono delle specifiche
strutture cerebrali, ma, tuttavia, si tratta di entità dinamiche che, proprio in virtù di ciò, non
possono essere isomorficamente localizzate entro precise aree anatomiche (Kaplan e Solms,
2000; Solms e Sailing, 1986). I suoi lavori hanno sostanzialmente dimostrato la dissociazione tra
sonno REM e produzione dell‟attività onirica, la quale dipenderebbe dalle attività delle aree
proencefaliche, filogeneticamente più recenti rispetto a quelle tronco encefaliche che regolano la
comparsa e i cicli del sonno REM (Solms, 2000).
Il limite degli studi di lesione consiste nel fatto che non riescano a rendere totalmente conto del
ruolo delle strutture tronco-encefaliche nella generazione dei sogni, poiché i danni a carico di tali
aree molto raramente lasciano la coscienza preservata. Si tratta di un ostacolo, questo, di enorme
impatto al fine di verificare l‟effettiva assenza del dreaming che potrebbe, ipoteticamente,
manifestarsi anche in seguito a lesioni del tronco dell‟encefalo (Hobson et al., 2000). Tra l‟altro,
il metodo clinico-anatomico, da solo, non permette di discriminare gli effetti della distruzione da
31
quelli della disconnessione e, pertanto, non è possibile determinare in maniera selettiva le
conseguenze causate dal danneggiamento di specifici gruppi neuronali, all‟interno di regioni
eterogenee come il tronco encefalico (Hobson et al., 2000). Grazie agli studi di neuroimaging è
stato possibile individuare correlazioni significative tra la presenza del sonno REM e
l‟attivazione di specifiche aree cerebrali che, al contrario, sono inattive durante il NREM. Inoltre
queste tecniche hanno permesso di indagare il ruolo delle aree cerebrali posteriori e frontolimbiche nella generazione dei sogni. Fra la moltitudine di studi in questione, citiamo
innanzitutto quelli condotti dal gruppo di Maquet (Maquet et al., 1996) che, per mezzo della
tomografia a emissione di positroni (PET) con H215O, ha indagato il ruolo del sonno REM nella
fenomenologia dei sogni. I soggetti che prendevano parte all‟esperimento venivano risvegliati
dallo stadio REM, al fine di ottenere un resoconto onirico (nei fatti, un solo soggetto presentò
un‟esperienza onirica). Le ricerche hanno dimostrato attivazioni significative del tegmento
pontino, dei nuclei talamici, delle aree limbiche e paralimbiche (complesso amigdaloideo,
formazione ippocampale e corteccia cingolata anteriore) e delle aree corticali posteriori temporooccipitali. Inoltre hanno evidenziato attivazioni del giro frontale superiore, delle aree prefrontali
mediali, del solco intraparietale e della corteccia parietale superiore simili tra lo stato REM e la
veglia. Tali attivazioni, invece, non sono state osservate nel sonno NREM (Maquet, 2000). Le
aree che, al contrario, sembrano essere meno attivate durante il sonno REM rispetto alla veglia
sono la corteccia prefrontale dorsolaterale, alcune regioni della corteccia parietale, la corteccia
cingolata posteriore e il precuneo (Maquet et al., 1996; Braun et al., 1997). Più nel dettaglio, le
aree che risultano essere significativamente inattive durante il REM, rispetto alla veglia, sono la
regione temporo-parietale insieme con il lobulo parietale inferiore, da una parte, e la regione del
giro frontale mediale e inferiore, dall‟altra. Tale inattivazione non coinvolge né il giro frontale
superiore, né le regioni mediali del lobo frontale, le quali sono consistentemente attive durante il
sonno REM e quiescenti durante il sonno a onde lente (Maquet et al., 2005). Questi risultati sono
stati interpretati in termini di redistribuzione dell‟attività delle cortecce frontale e parietale che,
probabilmente, limita le funzioni dei processi cognitivi durante l‟attività mentale del sonno REM
(Maquet et al., 2005). La corteccia prefrontale laterale in veglia è implicata nel controllo delle
funzioni esecutive e della memoria episodica. Le funzioni esecutive coordinano le informazioni
esterne, i pensieri e le emozioni e organizzano le azioni in relazione agli obiettivi interni.
L‟elaborazione di informazioni relative alle associazioni stimolo-risposta è una funzione che
viene svolta dalla corteccia premotoria dorsale; la corteccia caudale prefrontale, invece, si
occupa del controllo delle azioni in riferimento a un preciso contesto; mentre il controllo
episodico (cioè, quel sistema che seleziona le informazioni salienti secondo gli eventi che si sono
verificati in passato) è deputato all‟azione della corteccia prefrontale rostrale e ventrale (Maquet
32
et al., 2005). Gli studi di neuroimaging hanno dimostrato che, durante il sonno REM, le aree
prefrontali che risultano meno attivate sono le stesse regioni che, durante la veglia, si occupano
di modulare l‟attività dei sistemi di controllo contestuale ed episodico, cioè le aree della
corteccia prefrontale caudale, rostrale e ventrale. Quindi, durante il sonno REM, le funzioni di
controllo contestuale ed episodico sono meno efficienti rispetto alle performance osservabili in
veglia e ciò potrebbe rendere conto della mancanza di “stabilità orientativa” rilevabile nei
resoconti onirici, laddove verrebbe a mancare la capacità di coordinare le informazioni in un
intero episodio. Non sarebbe possibile, pertanto, dirigere le rappresentazioni mentali verso un
obiettivo interno ben definito, per cui i personaggi, i tempi e i luoghi del sogno risulterebbero
incongrui, discontinui e fusi tra loro (Hobson et al., 2003). Un‟altra funzione cognitiva
sensibilmente ridotta durante il sonno REM è quella relativa alla memoria episodica, ossia la
capacità di codificare e ricordare episodi passati caratterizzati da dettagli, luoghi e tempi
specifici, fra loro coerentemente integrati (Tulving, 2004). Alcune ricerche neuropsicologiche
hanno dimostrato la presenza di amnesia retrograda in seguito a lesioni della corteccia
prefrontale ventrale destra (Levine et al., 1998); mentre degli studi di neuroimaging funzionale
hanno riportato la presenza di significative attivazioni della aree prefrontali anteriori bilaterali e
della corteccia prefrontale dorso-laterale destra durante il recupero di memorie episodiche (Rugg
et al., 2002). Le aree in questione non sono direttamente responsabili del controllo dei
meccanismi mnestici di natura episodica, ma sembra, piuttosto, che abbiano un ruolo nel
controllo di accuratezza e completezza delle informazioni richiamate (Maquet et al., 2005). Le
regioni sopracitate risultano significativamente inattive durante il sonno REM e questo dato
potrebbe rendere conto del fatto che nei resoconti onirici gli episodi della vita quotidiana,
caratterizzati da luoghi, personaggi, oggetti e azioni specifici sono raramente riportati (1.7%),
mentre, al contrario, si osserva di frequente (65%) la presenza di frammenti relativi all‟attività di
veglia recente (Fosse et al., 2003). Quindi il soggetto avrebbe, in qualche misura, accesso alle
informazioni che riguardano le esperienze effettuate in veglia, ma, allo stesso tempo,
sembrerebbe che i relativi dettagli non possano essere tra loro legati in eventi coerenti, a causa
della ridotta attività della corteccia prefrontale anteriore durante il sonno REM (Maquet et al.,
2005).
Oltre alle aree del giro frontale inferiore e mediale, le altre regioni sensibilmente inattive durante
il sonno REM sono il locus coeruleus (Steriade e McCarley, 1990) e l‟area che si estende dalla
parte posteriore del lobulo parietale inferiore verso le regioni temporali posteriori della scissura
di Silvio (corteccia temporo-parietale) (Maquet et al., 2005). L‟insieme di tutte queste aree
costituisce il sistema attentivo ventrale parieto-frontale, maggiormente lateralizzato nell‟emisfero
destro (Corbetta e Shulman, 2002). Si tratta di un meccanismo di allerta, innescato dall‟attività
33
del locus coeruleus (Aston-Jones et al., 2000) che permette di spostare l‟attenzione dal compito
che si sta eseguendo verso uno stimolo saliente inaspettato, pertanto è implicato
nell‟elaborazione di informazioni di tipo bottom-up. Osservazioni simili permettono di ipotizzare
che il focus attentivo durante il REM dovrebbe essere meno sensibile agli stimoli esterni salienti,
rispetto alla veglia. Una spiegazione simile potrebbe, di conseguenza, render conto del fatto che
quando si somministrano stimoli esterni ai soggetti addormentati non si andrebbe a interrompere
il flusso del dreaming (provocando lo spostamento dell‟attenzione da quanto sta avvenendo in
quel preciso momento, verso il nuovo stimolo saliente), ma, piuttosto, sembrerebbe che tali
stimoli vengano incorporati nelle trame oniriche (Burton et al., 1988; Foulkes, 1966).
Le aree prefrontali mediali, come accennato, risultano attive durante il sonno REM parimenti alle
attivazioni della veglia. D‟altra parte, esse si mostrano quiescenti durante il NREM. Alcune
ricerche hanno dimostrato che le aree della corteccia prefrontale mediale, della giunzione
temporo-parietale (specialmente dell‟emisfero destro) e dei poli temporali (Fletcher et al., 1995;
Brunet et al., 2000; Frith, 2001) assolvano le funzioni relative all‟abilità di attribuire intenzioni,
pensieri e sentimenti a se stessi e agli altri, descritte dalla teoria della mente (Carruthers and
Smith, 1996). La rappresentazione della mente è una caratteristica chiave del dreaming: il
sognatore stesso attribuisce ai personaggi che compaiono nelle trame pensieri, intenzioni ed
emozioni. In relazione a ciò, la questione su cui si focalizza il gruppo di Maquet (2005) riguarda
il fatto che, in concomitanza dell‟attivazione delle aree prefrontali mediali in REM, si assista
all‟inattivazione delle regioni parietali inferiori. L‟attivazione della corteccia prefrontale mediale,
insieme con l‟attivazione dell‟amigdala, renderebbe conto della presenza di emozioni sociali nei
resoconti onirici, discusse anche nel paragrafo precedente (Adolphs, 1999; McNamara et al.,
2010; Phan et al., 2002; Ruby e Decety, 2004). D‟altra parte, la causa dell‟inattivazione delle
regioni parietali inferiori potrebbe essere ricercata negli studi che hanno dimostrato il
coinvolgimento di tali aree nell‟elaborazione delle differenze tra le prospettive in prima e in terza
persona (Ruby and Decety, 2001; 2003; 2004; Chaminade e Decety, 2002; Farrer et al., 2003).
Questo dato renderebbe conto del fatto che, nei sogni, si perda la capacità di distinguere fra tali
prospettive, cosicché il sognatore partecipa alle azioni sia in prima che in terza persona,
vedendosi agire (Maquet et al., 2005).
Anche il gruppo di Braun (1997), per mezzo di studi PET con (H2O)-O-15, ha replicato i risultati
del gruppo di Maquet (1996), riscontrando attivazioni consistenti del tronco encefalico, delle
strutture limbiche e paralimbiche, in concomitanza con la comparsa del sonno REM. In
particolare, le aree attivate erano a livello del ponte, del mesencefalo, dell‟ipotalamo anteriore,
dell‟ippocampo, del nucleo caudato, della corteccia cingolata anteriore, delle cortecce
paraippocampale e temporale inferiore e delle aree prefrontali mediali e orbitali caudali. Braun e
34
i suoi collaboratori (1997) hanno riportato, oltre a ciò, una correlazione tra l‟attivazione del REM
e quella dei gangli della base, suggerendo che questi possano far parte del sistema cerebrale che
dal tronco encefalico proietta verso le regioni talamocorticali. Essi, infatti, ipotizzano l‟esistenza
di un circuito che si estende dal tronco dell‟encefalo ai nuclei talamici intralaminari, fino ai
gangli della base, da cui partirebbero delle proiezioni verso i nuclei talamici ventrali anteriori e
ventromediali, per raggiungere, infine, la corteccia. Sembrerebbe che questo circuito sia
provvisto anche di numerose connessioni tra le aree del tegmento peduncolopontino e le aree
della corteccia striata, suggerendo, in linea del tutto ipotetica, il possibile ruolo dei gangli della
base nella trasmissione rostrale delle onde PGO e la modulazione dei fenomeni del REM
(Hobson et al., 2000). Altri risultati degni di nota riguardano l‟incremento in REM dell‟attività
della corteccia visiva extrastriata (area di Brodmann 19), della corteccia occipito-temporale (area
di Brodmann 37) e delle regioni temporali uditive (area di Brodmann 22), rispetto alla
concomitante inattivazione delle aree associative frontali e parietali (Braun et al., 1998). Questi
dati farebbero supporre che, durante il sonno REM, le informazioni interne siano processate dalle
cortecce extrastriata e limbica, escludendo, quindi, l‟elaborazione degli input provenienti
dall‟esterno che vengono processati, in primis, a livello dello striato e connessi secondariamente
in un unico percetto, grazie all‟attività delle aree extrastriate (Braun et al., 1998; Doricchi e
Violani, 1992). Dal momento che le informazioni interne elaborate durante il sonno REM non
devono essere proiettate verso il mondo esterno, un dato simile renderebbe conto della
consistente inattivazione delle aree frontali deputate al controllo delle funzioni esecutive
(Hobson et al., 2000; Maquet et al., 2005). Le aree prefrontali mediali attive in REM, invece,
presentano numerose connessioni con le aree limbiche, la cui interruzione provoca la comparsa
delle sindromi confabulatorie, formalmente simili agli elementi di bizzarria riscontrabili nei
contenuti onirici (Braun et al., 1997; Hobson et al., 2000; Solms, 1997a).
Il gruppo di Nofzinger (Nofzinger et al., 1997) ha confermato ulteriormente la presenza di
attivazioni limbiche durante il sonno REM, servendosi della tecnica PET con 18Ffluorodesossiglucosio (FDG). I ricercatori hanno riportato, in particolare, considerevoli
incrementi di glucosio nelle aree ipotalamiche laterali e nel complesso amigdaloideo. Nello
specifico, tutte le aree che risultavano attivate durante lo stadio REM erano l‟area ipotalamica
laterale, l‟area del setto, la sostanza innominata, la corteccia infralimbica, la corteccia prelimbica
e orbitofrontale e la corteccia cingolata anteriore, molte delle quali bilateralmente. A partire da
questi risultati gli autori hanno ipotizzato che una delle funzioni del sonno REM sia quella di
integrare i meccanismi ipotalamici e del proencefalo basale che regolano la motivazione e la
ricerca di ricompensa con le funzioni della neocorteccia (Hobson et al., 2000). In tutti questi
studi, comunque, non vi era alcun controllo della presenza di attività onirica.
35
Anche le ricerche del gruppo di Madsen (Madsen et al., 1991a), condotte per mezzo di studi di
tomografia a emissione di fotone singolo (SPECT), e del gruppo di Lovblad (Lovblad et al.,
1999) che hanno utilizzato la tecnica della risonanza magnetica funzionale (fMRI), replicano i
risultati relativi all‟inattivazione di vaste regioni della corteccia prefrontale durante il sonno
REM (Braun et al., 1997; Maquet et al., 1996). Sorprendentemente, il risultato relativo
all‟inattivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale durante il sonno REM non è stato
replicato, invece, dal gruppo di Nofzinger (1997), ma probabilmente si tratta di una discrepanza
dovuta alle differenti tecniche utilizzate nei rispettivi esperimenti (Hobson et al., 2000).
Riassumendo i dati riportati sinora, i vari studi di neuroimaging dimostrano quanto segue:
1) gli aspetti percettivi dei sogni sono correlati con l‟attivazione delle cortecce posteriori:
infatti, i pazienti con lesioni occipito-temporali mostrano cessazione (totale o parziale) delle
immagini visive oniriche (Doricchi e Violani, 1992; Solms, 1997a).
2) La presenza degli elementi emotivi nei sogni potrebbe essere correlata all‟attivazione del
complesso amigdaloideo, della corteccia orbitofrontale e della corteccia cingolata anteriore
(Maquet et al., 1996; Maquet e Franck, 1997; Hobson et al., 1998a; 2003; Maquet, 2000).
3) L‟attivazione delle aree temporali mesiali potrebbe render conto dei contenuti mnestici
comunemente riscontrati nei sogni (Maquet et al., 2005).
4) La diffusa ipoattivazione di gran parte della corteccia prefrontale durante il sonno REM
spiegherebbe l‟alterazione del pensiero logico, della working memory, della memoria
episodica e delle funzioni esecutive, riscontrabile nei resoconti onirici ottenuti al risveglio
(Maquet et al., 1996; Hobson et al., 1998a; 2003; Maquet, 2000).
L‟insieme dei risultati presentati, secondo alcuni autori, suggerirebbe un ruolo del sonno REM
(coadiuvato dalle interconnessioni limbico-corticali) nell‟elaborazione delle emozioni nei sogni.
La neuromodulazione del REM, infatti, sembra associata ad attivazioni selettive delle strutture
limbiche corticali e sottocorticali (deputate all‟elaborazione delle emozioni) e alla concomitante
inattivazione delle aree della corteccia prefrontale volte all‟elaborazione di pensieri diretti a uno
scopo (Braun et al., 1997; Maquet e Franck, 1997). Tutto ciò è coerente con le teorie che
spiegano il dreaming come quel processo mentale, caratterizzato dalla presenza di aspetti
cognitivi guidati emotivamente, che si accompagna a una concomitante riduzione delle funzioni
mnestiche, delle funzioni di orientamento, di controllo volitivo e di pensiero analitico (Hobson et
al., 2000). La consistente attivazione limbica durante il sonno REM potrebbe spiegare il motivo
per cui i resoconti onirici registrati al risveglio da tale stadio siano più frequentemente ricchi di
elementi emotivi, rispetto ai resoconti ottenibili dai risvegli in NREM (Hobson et al., 2000).
Tenendo in considerazione il modello neuropsicologico di Solms e i dati di neuroimaging,
sembrerebbe plausibile ipotizzare che le differenze fisiologiche tra gli stati del sonno REM e del
36
sonno NREM debbano in qualche modo riflettersi nelle rispettive attività mentali riscontrabili al
risveglio dai due stadi (Hobson et al., 2000).
1.5 Correlati elettroencefalografici del richiamo dell’attività mentale nel sonno
Recentemente, è stato ipotizzato che la capacità di ricordare un sogno (dream recall) al momento
del risveglio possa essere considerata una forma specifica di memoria dichiarativa (Marzano et
al., 2011) che permette di organizzare gli elementi dell‟attività onirica in una trama narrativa
(dream content). La memoria dichiarativa è una forma di memoria esplicita, accessibile alla
consapevolezza, che si distingue in episodica e semantica. La memoria semantica consiste
nell‟insieme di fatti e conoscenze generali, consolidato nel magazzino mnestico, non
necessariamente collegato a un dove e a un quando. La memoria episodica, invece, è una
funzione complessa che permette di codificare e immagazzinare informazioni contestuali,
spaziali e temporali, relative ad eventi individuali che possono essere richiamati in un secondo
momento. Sebbene le due forme di memoria appena descritte siano fra loro distinte, quelle
semantiche possono essere originalmente codificate a partire da processi episodici e, viceversa,
la codifica di memorie episodiche può dipendere dall‟elaborazione semantica (Nyhus e Curran,
2010). L‟acquisizione, la conservazione e il recupero di tracce di memoria dichiarativa a lungo
termine dipendono dalle attività dell‟ippocampo, delle strutture del lobo temporale mediale e
delle aree neocorticali. La rievocazione di un‟informazione dal magazzino di memoria si può
effettuare solo se sia avvenuto in precedenza il consolidamento mnestico, quel meccanismo
tempo-dipendente che consente a una traccia di informazione labile di consolidarsi in maniera
stabile.
Alcuni autori hanno ipotizzato che il dreaming sia il riflesso dell‟attività mentale relativa
all‟elaborazione e all‟immagazzinamento delle esperienze individuali che si verifica nel sonno
(Wamsley, 2014). A sostegno di questa ipotesi, alcuni studi indicherebbero, infatti, che gli
episodi che avvengono in veglia possono essere consolidati durante il riposo notturno. I soggetti
sottoposti a sessioni di apprendimento prima dell‟addormentamento, mostrano, al risveglio,
miglioramenti nelle performance, suggerendo che le recenti esperienze della veglia possono
essere incorporate nei sogni successivi (Wamsley, 2014). La presenza di evidenti incorporazioni
nel dreaming di contenuti della veglia recente è stata dimostrata tramite esperimenti che
impegnavano i soggetti in videogiochi (Stickgold et al., 2000a; Kusse et al. 2012; Wamsley et al.,
2010a) e compiti di navigazione in ambiente virtuale (Wamsley et al., 2010b; Solomonova et al.,
2011) prima dell‟addormentamento. Tali studi hanno dimostrato la presenza di caratteristiche dei
compiti svolti nei resoconti ottenuti dopo i risvegli da sonno NREM nella prima parte della notte.
In seguito, gli stessi risultati sono stati replicati anche per i risvegli da periodi più inoltrati di
37
sonno NREM e per i risvegli da stadio REM (Wamsley et al., 2012), indicando che le esperienze
di apprendimento interessanti e coinvolgenti possono avere un‟influenza particolarmente incisiva
sul successivo contenuto onirico (Wamsley, 2014). Wamsley e collaboratori hanno, inoltre,
dimostrato che il dream content relativo a compiti di navigazione spaziale eseguiti prima
dell‟addormentamento è correlato con il miglioramento della performance sia al risveglio da nap
pomeridiani (Wamsley et al., 2010b) che al risveglio da un intero episodio di sonno notturno
(Wamsley et al., 2012). L‟insieme di questi risultati indicano l‟implicazione del sonno nei
processi di apprendimento (Wamsley, 2014). Gli studi di neuroimaging sugli esseri umani
dimostrano che le stesse regioni cerebrali che si attivano durante le sessioni di apprendimento,
siano attive anche durante il sonno e che tale indice predica il miglioramento della performance
del soggetto al risveglio (Peigneux et al., 2004; Laureys et al., 2001). Va, comunque, chiarito che
i risultati appena esposti non forniscono evidenze dirette del fatto che il dreaming sia il riflesso
dell‟attività mentale relativa all‟elaborazione e all‟immagazzinamento delle esperienze
individuali durante il sonno (Wamsley, 2014). Piuttosto sembrano indicativi della presenza di una
relazione tra attività mnestica e sonno, suggerendo che i processi di apprendimento traggano
beneficio dallo stato fisiologico del sonno. Le ipotesi in merito, pertanto, indicano che la
riattivazione di tracce mnestiche durante il riposo notturno possa migliorare il consolidamento e
la qualità delle performance valutate al risveglio (O‟Neill et al., 2010).
Come accennato all‟inizio del paragrafo, il dreaming, in quanto espressione dell‟attività
cognitiva che si verifica nel sonno, e i processi di memoria presentano comunque una sorta di
relazione, seppur di difficile comprensione. L‟unica via per avere accesso allo studio dell‟attività
onirica è quella relativa al metodo indiretto, che consiste nel registrare i resoconti onirici riportati
dai soggetti al momento del risveglio. Com‟è noto, però, spesso i soggetti manifestano difficoltà
nella rievocazione dei propri sogni al momento del risveglio. L‟origine dei processi di codifica e
di recupero dell‟attività onirica è ancora, in parte, largamente sconosciuta. Koulack e
Goodenough (1976) hanno ipotizzato che il cervello durante il sonno non sia capace di codificare
l‟attività mentale in corso, suggerendo che, in tale stato, non possa verificarsi il passaggio della
traccia mnestica labile verso la memoria a lungo termine. In altre parole, gli autori postulano che
la codifica e il consolidamento delle informazioni relative all‟attività onirica si verifichino
solamente in concomitanza di un episodio di attivazione o di un vero e proprio risveglio durante
il sonno (modello di arousal-retrieval). Pertanto, sembrerebbe necessario un certo livello di
arousal corticale affinché l‟informazione relativa al dream content possa consolidarsi nella
memoria a lungo termine ed essere rievocata in un secondo momento. Alcune ricerche - a
supporto di quanto appena descritto - hanno rilevato che i soggetti che mostravano un‟alta
frequenza di dream recall (DRF) fossero gli stessi che riportavano anche un numero maggiore di
38
risvegli durante la notte, rispetto ai soggetti che mostravano una bassa DRF (Cory e Ormiston,
1975; Schredl et al., 2003). Inoltre, uno studio di Eichenlaub e collaboratori (2013), ha rilevato,
per mezzo dei potenziali evocati, la presenza di differenze nel livello di attivazione corticale sia
in veglia che durante il sonno, fra i soggetti che ricordavano più frequentemente i propri sogni
(high recallers) e quelli che li ricordavano con minor frequenza (low recallers), suggerendo che
la capacità di codificare il sogno possa essere associata a particolari organizzazioni funzionali
cerebrali.
Attualmente, uno degli obiettivi della ricerca sul dreaming è quello di individuare se particolari
ritmi di attività elettroencefalografica registrati in specifiche aree corticali possano predire la
presenza (o l‟assenza) del successivo resoconto onirico. Per mezzo delle registrazioni EEG dello
scalpo è stato dimostrato che specifici pattern di oscillazione corticale nel sonno, associati al
successivo ricordo onirico, siano coinvolti anche nella codifica e nel richiamo di memorie
episodiche durante la veglia. Questi dati farebbero dedurre che i meccanismi neurofisiologici
implicati nella formazione di memorie dichiarative siano sempre gli stessi attraverso differenti
stati di coscienza (De Gennaro et al., 2011).
Il segnale EEG corrisponde alla rappresentazione grafica delle variazioni spaziali e temporali dei
campi elettrici registrati sulla superficie del cranio, pertanto viene generato dall‟attività dei
neuroni corticali e, in particolare, riflette le fluttuazioni spontanee dei potenziali di membrana a
livello delle sinapsi cerebrali. Nel dettaglio, gli spostamenti delle cariche ioniche indotti dai
potenziali post-sinaptici eccitatori e inibitori andrebbero a generare dei potenziali extracellulari, i
cosiddetti “potenziali di campo locale” (Local Field Potentials, LFP). Le componenti oscillatorie
sono definite dalla presenza di un certo tipo di attività ritmica rilevabile nel tracciato EEG che si
manifesta come un “picco” nelle analisi spettrali (Klimesch, 1999). L‟analisi spettrale permette
di rappresentare le componenti in frequenza di un segnale, fornendo maggiori dettagli rispetto
alla sola analisi temporale. Infatti qualunque segnale periodico può essere scomposto nella
somma di un termine costante e di componenti sinusoidali delle quali la prima, avente lo stesso
periodo (e quindi la stessa frequenza) del segnale considerato, è detta “prima armonica” e le
altre, aventi periodi sottomultipli (e quindi frequenze multiple), sono dette “armoniche
superiori”. Attraverso specifiche analisi è possibile sommare le onde semplici per ricostruire
quella originale. La “trasformata di Fourier” consente di approssimare funzioni complesse con
altre più semplici: l‟algoritmo Fast Fourier Transform (FFT) scompone un segnale nelle sue
componenti sinusoidali di diversa frequenza, permettendo, così, di passare dal “dominio dei
tempi” al “dominio delle frequenze”. Grazie a questa tecnica si ottiene uno spettrogramma, ossia
un grafico tempo/frequenza dell‟intensità del segnale. Il limite delle analisi spettrali consiste nel
fatto che rilevano quali frequenze sono presenti nel segnale registrato, ma non sono in grado di
39
indicare il momento in cui si sono verificate.
Come già accennato in precedenza, i processi di recupero di informazioni della memoria
dichiarativa molto probabilmente condividono i medesimi meccanismi neurofisiologici
attraverso ogni stato di coscienza (De Gennaro et al., 2011) e, in tal senso, il dreaming potrebbe
essere il riflesso dell‟attività mentale relativa all‟elaborazione e all‟immagazzinamento delle
memorie che si verificano nel sonno (Wamsley, 2014).
Esposito e collaboratori (2004), per mezzo di registrazioni EEG, hanno dimostrato che il
decremento dell‟attività alpha (7.5-13 Hz) durante gli ultimi 15 minuti di sonno è associato al
successivo ricordo del sogno, dopo i risvegli sia da sonno REM che da sonno NREM. Le analisi
spettrali condotte utilizzando la FFT hanno, infatti, indicato che per entrambi gli stadi di sonno
considerati, il decremento dell‟attività alpha era associato al ricordo del sogno, dimostrando
l‟esistenza di una correlazione tra tale attività oscillatoria e quella mentale nel sonno. Gli autori
concludono che l‟effetto dell‟attività alpha osservato rifletterebbe l‟elaborazione cognitiva in
corso nei minuti che precedono il risveglio.
In seguito, Chellappa e collaboratori (2011) hanno indagato la presenza di specifici pattern di
attivazione corticale associati al ricordo onirico. Nel dettaglio, le analisi hanno permesso di
rilevare, nel sonno NREM precedente al successivo ricordo onirico, una minore attività delta
nelle regioni frontali e una minore presenza di attività sigma (fusi del sonno) nelle regioni
centro-parietali. Questo risultato è coerente con le ricerche che hanno dimostrato che maggiori
attività delta e sigma in prossimità dei risvegli andrebbero a ridurre la responsività sinaptica
(Timofeev et al., 2001), traducendosi nell‟incapacità di ricordare il sogno da parte del soggetto.
D‟altra parte, nei risvegli da sonno REM la quantità di sogni ricordati era maggiore rispetto ai
risvegli da sonno NREM. In particolare, i ricercatori hanno dimostrato che una minore attività
alpha durante il sonno REM può essere associata alla successiva presenza del resoconto onirico.
I decrementi dell‟attività alpha erano localizzati maggiormente a livello frontale e occipitale. Gli
autori hanno ipotizzato che questi risultati rendano conto della maggiore probabilità di
riscontrare la presenza di un sogno dopo i risvegli da sonno REM, piuttosto che in seguito ai
risvegli da sonno NREM. Infatti le attivazioni delle strutture corticali, specialmente a livello
occipito-parietale, nello stadio REM si accompagnano alla presenza di maggior vividezza dei
sogni.
Marzano e i suoi collaboratori (2011) hanno condotto uno studio allo scopo di verificare se le
caratteristiche elettrofisiologiche intrinseche allo stadio 2 di sonno NREM e allo stadio REM
siano predittive della successiva rievocazione del sogno e se siano maggiormente localizzate in
specifici siti corticali. L‟esperimento è stato condotto su un campione di 65 studenti universitari,
tra i 20 e i 25 anni di età, che non presentavano disturbi del sonno e che mostravano abitudini
40
stabili per quanto riguarda gli orari dell‟addormentamento, del risveglio e della durata del sonno.
I soggetti hanno trascorso due notti consecutive in laboratorio (la prima necessaria per
l‟adattamento al nuovo ambiente e la seconda per la vera e propria raccolta dei dati
sperimentali), collegati ad un poligrafo e, dopo il risveglio mattutino dalla seconda notte,
dovevano compilare un “diario del sonno e dei sogni”. Dei 65 soggetti, 35 sono stati risvegliati
dallo stadio 2 del sonno NREM e 30 dal sonno REM, e in entrambi i casi veniva chiesto loro di
riportare l‟eventuale resoconto onirico, secondo le istruzioni fornite la sera precedente. Nello
specifico era richiesto di prestare attenzione alla presenza di qualsiasi forma di attività mentale
che si fosse verificata prima del risveglio e di specificare il numero di sogni effettuati, qualora
fossero stati più di uno. In base ai risultati ottenuti, i soggetti sono stati suddivisi in 2 gruppi:
quelli che erano in grado di ricordare il sogno (REC) e quelli che non lo ricordavano (NREC). I
gruppi sono stati poi confrontati, per ognuna delle seguenti condizioni: soggetti che ricordavano
il sogno (REC) dopo il risveglio da REM e dopo il risveglio da NREM e soggetti che non erano
in grado di ricordare il sogno (NREC) dal risveglio in REM e in NREM. I risultati hanno rilevato
l‟assenza di sostanziali differenze nella struttura del sonno fra i soggetti REC e i soggetti NREC
risvegliati dalla fase REM e dallo stadio 2. Le analisi hanno permesso di creare delle mappe
topografiche della potenza EEG nella fase REM e nello stadio 2 di sonno NREM per entrambi i
gruppi di soggetti (REC e NREC). È stata dimostrata la presenza statisticamente significativa di
attività theta (4-7.5 Hz) durante i 5 minuti di sonno che precedono il risveglio dalla fase REM e
la presenza di attività alpha (7.5-13 Hz) durante i 5 minuti che precedono il risveglio da sonno
NREM. Inoltre è stata rilevata una correlazione tra il tipo di attività EEG nello specifico stadio di
sonno REM e NREM e la frequenza dei sogni ricordati al risveglio. In particolare, al risveglio da
sonno REM, i soggetti che riportavano un resoconto onirico (REC) mostravano un aumento di
attività theta, rispetto al gruppo NREC, sulle aree frontali (in corrispondenza della locazione
corticale Fz). Invece, al risveglio da sonno NREM, i soggetti che non erano in grado di ricordare
il sogno (gruppo NREC) mostravano una maggiore attività alpha, rispetto al gruppo REC, sulle
regioni temporali destre (in corrispondenza della locazione corticale T4).
Poiché l‟analisi spettrale - poc‟anzi descritta - non permette di differenziare l‟attività prettamente
ritmica dalla proporzione non ritmica del segnale EEG, è stato applicato il metodo dell‟analisi
BOSC (Better OSCillation detection). Tale metodo permette di estrapolare la specifica attività
oscillatoria dei segnali EEG tenendo conto sia dell‟attività di fondo, sia della porzione non
ritmica del segnale e sia dei segmenti che si discostano dalle caratteristiche spettrali dell‟attività
di fondo. Effettuando questo tipo di analisi, è stato possibile ottenere una misura (Pepisode) della
percentuale di tempo, relativa ai 5 minuti che precedono il risveglio del soggetto, in cui sono
presenti delle specifiche oscillazioni elettrofisiologiche. Nel dettaglio, è stato, così, dimostrato
41
che l‟attività EEG del sonno REM che precede il successivo dream recall è caratterizzata
dall‟aumento di oscillazioni theta nella locazione corticale Fz e che l‟attività del sonno NREM
cui non segue il dream recall è caratterizzata dall‟aumento di oscillazioni alpha. Quindi,
l‟applicazione del metodo BOSC ha confermato, in maniera univoca, i risultati ottenuti per
mezzo delle precedenti analisi spettrali.
Il complesso dei risultati è a favore dell‟ipotesi di continuità tra veglia e sonno (Hall e Nordby,
1972; Schredl, 2003), secondo cui la codifica dell‟attività onirica utilizza i medesimi meccanismi
neurofisiologici che permettono anche la codifica delle memorie episodiche durante la veglia.
Gli studi relativi alla codifica mnestica in veglia hanno sostanzialmente dimostrato che
l‟incremento di oscillazioni theta frontali durante la fase di apprendimento predice il successivo
ricordo dell‟informazione (Sederberg et al., 2003) e media le interazioni tra la corteccia
prefrontale e il lobo temporale mediale nella codifica mnestica (Anderson et al., 2010). Invece,
quando i soggetti sono impegnati in compiti di rievocazione di materiale precedentemente
appreso, si osserva un aumento dell‟attività theta sulle regioni frontali circa 200 ms prima della
rievocazione (Burgess and Gruzelier, 1997; Klimesch et al., 1997c). I dati della letteratura
riportano
che
i
meccanismi
della
corteccia
prefrontale
dorsolaterale,
implicati
nell‟organizzazione temporale delle memorie episodiche, forniscono un controllo di tipo topdown all‟ippocampo e alle aree corticali posteriori, allo scopo di valutare il contenuto e la
coerenza delle informazioni recuperate (Polyn and Kahana, 2008; Blumenfeld and Ranganath,
2007; Nyhus e Curran, 2010).
Per quanto riguarda il ruolo delle oscillazioni alpha durante la veglia, è stata rilevata la presenza
di una correlazione tra la soppressione dell‟attività alpha e l‟aumento concomitante del carico di
lavoro mentale che si richiede in compiti attentivi o di codifica di memorie semantiche
(Klimesch, 1999). Uno studio di Mӧlle e collaboratori (2000) ha dimostrato che le oscillazioni
alpha e theta rispondono in modi opposti e complementari. Quando l‟attività EEG registrata in
condizioni di elaborazione cognitiva viene confrontata con una condizione di riposo, si può
osservare che l‟attività alpha alle frequenze superiori decresce (cioè desincronizza) mentre, al
contrario, l‟attività theta aumenta (cioè sincronizza). Le ricerche in merito indicherebbero, da
una parte, che la desincronizzazione delle frequenze alpha rifletta l‟attivazione selettiva di
specifiche memorie a lungo termine che risiedono nei circuiti talamo-corticali (Klimesch et al.,
1997a), mentre, dall‟altra, che la sincronizzazione delle oscillazioni theta rifletta l‟attività del
circuito cortico-ippocampale impegnato nei compiti di codifica mnestica (Buzsaki, 1996;
Klimesch et al., 1997a; Kahana et al., 1999; Burgess e Gruzelier, 2000; Gevins e Smith, 2000).
Più in particolare, è stata dimostrata anche una dissociazione nei processi di codifica, per cui la
sincronizzazione delle oscillazioni theta cortico-ippocampali permetterebbe la codifica delle
42
memorie episodiche, mentre la desincronizzazione delle alte frequenze alpha talamo-corticali
permetterebbe la codifica delle memorie semantiche (Klimesch, 1999).
Nello studio di Marzano e collaboratori (2011) l‟aumento delle oscillazioni frontali in REM che
predice il dream recall appare sovrapponibile all‟aumento, in veglia, dell‟attività theta frontale
legato alla capacità di ricordare informazioni della memoria episodica. D‟altra parte, l‟oblio del
sogno che si riscontra in corrispondenza di una maggiore attività oscillatoria alpha nell‟area
temporale destra in NREM è coerente con i risultati dello studio condotto da Esposito e i suoi
collaboratori (2004) che dimostrava come una minore potenza di attività alpha sia, al contrario,
associata al successivo ricordo onirico. I risultati sono coerenti anche con quelli che
attribuiscono alle oscillazioni theta il controllo top-down (dalla corteccia frontale all‟ippocampo)
della codifica e del recupero di memorie episodiche (Klimesch et al., 2001a) e con quelli che
dimostrano che l‟attività alpha è correlata con il recupero delle informazioni immagazzinate
(Khader e Rӧsler, 2010), coinvolgendo il circuito talamo-corticale (Klimesch, 1999; Nyhus e
Curran, 2010). Pertanto, si può concludere che l‟aumento di oscillazioni theta frontali durante il
REM e la diminuzione di oscillazioni alpha temporali destre durante il NREM predirebbero la
presenza del dream recall dopo il risveglio. Sostanzialmente, i ricercatori dimostrano l‟esistenza
di una regolazione interdipendente fra due specifici circuiti neurali coinvolti nel richiamo
dell‟attività onirica: quello cortico-ippocampale, caratterizzato da una maggiore attività theta
frontale durante il sonno REM e quello talamo-corticale, caratterizzato da una maggiore attività
alpha temporale durante il sonno NREM (Marzano et al., 2011).
I risultati appena discussi sono anche coerenti con i riscontri neuropsicologici relativi al
dreaming, i quali indicano che i pazienti con lesioni più spesso unilaterali a livello della
giunzione temporo-parieto-occipitale e con lesioni bilaterali profonde a livello della sostanza
bianca adiacente ai corni frontali dei ventricoli laterali, sono incapaci di riportare un resoconto
onirico al risveglio (Solms, 1997a; 2000). D‟altra parte, gli studi di neuroimaging in soggetti sani
(Maquet, 2000) hanno rilevato che le aree implicate nella generazione dei sogni siano le stesse
che, durante la veglia, si occupano anche della generazione di immagini mentali e
dell‟elaborazione di informazioni visuo-spaziali (giunzione temporo-parieto-occipitale) e che
sono implicate nella codifica e nel recupero di memorie episodiche (aree ventromesiali della
corteccia prefrontale). Si potrebbe, quindi, concludere che esista un parallelismo psicofisiologico
pressoché univoco tra l‟attività mentale e determinate attività oscillatorie di specifiche aree della
corteccia cerebrale e che i meccanismi coinvolti nella formazione di memorie dichiarative siano
gli stessi attraverso i differenti stati di coscienza, cosicché il loro funzionamento può essere
studiato anche durante il sonno (De Gennaro et al., 2011).
43
1.6 Il sogno nell’anziano
L‟avanzamento dell‟età produce effetti che si ripercuotono sugli aspetti quantitativi e qualitativi
del riposo notturno, specialmente per quanto riguarda la continuità dell‟episodio di sonno. Le
ricerche che hanno preso in considerazione il normale invecchiamento fisiologico di soggetti
sani hanno dimostrato un aumento nel numero di risvegli notturni, nonché un aumento nella
durata di veglia intra-sonno durante la notte (Garma et al., 1981). Questi dati indicano che i
soggetti anziani mostrano una maggior difficoltà a consolidare il sonno, suggerendo che
verrebbero meno i meccanismi di stabilizzazione della sua durata, in particolare, e dei fenomeni
fisiologici in generale (Salzarulo e Giganti, 2011). È stato dimostrato che i soggetti anziani
mostrano, tendenzialmente, una diminuzione della durata globale di sonno. Tuttavia tale
diminuzione non sembrerebbe riguardare tutti gli anziani presi in considerazione. Infatti, con
l‟invecchiamento aumenterebbe il numero di soggetti che dormono meno di 6 ore ma, allo stesso
tempo, aumenterebbe anche il numero di soggetti che superano le 9 ore di sonno. Quindi, si
potrebbe concludere che, con l‟età, la tendenza sia quella di diventare o brevi o lunghi dormitori
(Salzarulo e Giganti, 2011). Oltre alle variazioni nella durata dell‟episodio di sonno, con
l‟invecchiamento si assiste anche alle modificazioni della sua architettura. Infatti negli anziani
diminuisce la quantità di sonno REM, insieme alla proporzione di movimenti oculari rapidi
associati. Ficca e collaboratori (2004) hanno dimostrato che la percentuale di sonno REM e di
movimenti oculari rapidi negli over 60 diminuisce di circa il 6% rispetto ai soggetti giovani.
Anche la composizione del sonno NREM cambia: diminuiscono, infatti, il numero di fusi e
l‟ampiezza delle onde delta e aumenta la presenza degli stadi 1 e 2, in proporzione alla quantità
di sonno più profondo. Quindi, nell‟anziano, il sonno diventa più leggero e frammentato
(Salzarulo e Giganti, 2011). I frequenti risvegli non si limiterebbero ad interrompere
semplicemente il corso del sonno, ma andrebbero a impedire anche il normale susseguirsi dei
cicli NREM-REM. Infatti la maggiore incidenza di risvegli durante gli stadi NREM,
impedirebbe la comparsa dei successivi episodi REM, andando, pertanto, a interrompere la
normale sequenza ciclica (Salzarulo et al., 1999). Questo fattore riflette una disorganizzazione a
carico dei meccanismi che permettono di mantenere stabile la comparsa di un determinato stato
fisiologico. È stato dimostrato, al riguardo, che la classica conformazione dell‟episodio di sonno
formato da 4-5 cicli per notte si disgrega con l‟avanzare dell‟età, quindi di norma, invecchiando
si perde l‟aspetto temporale della sua organizzazione. Infatti si osserva, tipicamente, una
maggiore distribuzione di sonno a onde lente durante la prima parte della notte e una maggior
distribuzione di sonno REM nelle ore mattutine (Salzarulo e Giganti, 2011).
A tal proposito, il gruppo di ricerca di Mazzoni (1999) ha indagato l‟esistenza di una possibile
relazione tra l‟interruzione spontanea dei cicli di sonno e le prestazioni in compiti di memoria,
44
valutate al risveglio. Ai soggetti anziani che prendevano parte all‟esperimento era richiesto di
apprendere una lista di coppie di parole prima di coricarsi e di rievocare, al mattino, quante più
parole riuscissero. Per mezzo delle tecniche polisonnografiche venivano monitorati i parametri
fisiologici relativi al numero di cicli e alla proporzione di sonno trascorso in uno specifico ciclo,
rispetto al totale dell‟episodio di sonno. I risultati hanno dimostrato che l‟organizzazione del
sonno influisce sulla prestazione. Infatti, il ricordo del materiale appreso prima di coricarsi era
correlato sia con la durata dei cicli NREM-REM che con la proporzione di tempo trascorso in
ogni ciclo, rispetto al tempo totale del sonno. Questi dati confermano che anche nell‟anziano si
verifichi, durante il riposo notturno, il consolidamento mnestico di materiale appreso nello stato
di veglia e che le prestazioni dipendano dalle caratteristiche strutturali e organizzative del sonno.
Coerentemente, vi sono anche gli studi relativi alla registrazione del contenuto onirico, in favore
dell‟ipotesi di continuità tra veglia e sonno (Cartwright, 1978). Infatti, sembrerebbe che le trame
narrative dei sogni siano legate, anche nei soggetti anziani, agli aspetti della quotidianità (Blick e
Howe, 1984), confutando, parallelamente, le ipotesi che con l‟avanzare dell‟età vi sia la tendenza
a sognare maggiormente gli aspetti legati al passato (Salzarulo e Giganti, 2011). Infatti, alcuni
studi confermano che i contenuti onirici sono legati alle vicende della veglia recente, nella stessa
misura riscontrata nei giovani (Weisz, 1969; Achté et al., 1985; Greiner et al., 1996). D‟altra
parte un solo studio ha finora riportato un risultato di segno opposto e, cioè, che gli anziani,
specialmente di sesso maschile, sognino più frequentemente gli aspetti legati al loro passato,
rispetto ai giovani (Funkhouser et al., 1999).
Inoltre, le ricerche condotte sembrano indicare che, con l‟invecchiamento, diminuisca la
lunghezza dei resoconti onirici, misurata in numero di parole prodotte. Tuttavia, gli
approfondimenti al riguardo hanno dimostrato scarsi effetti dell‟età sul numero di parole dei
resoconti (Waterman, 1991) e che questi effetti, qualora presenti, siano attribuibili a fenomeni
secondari, legati piuttosto alle risorse cognitive. Infatti, Waterman (1991) ha dimostrato nei
soggetti anziani una correlazione significativa fra la lunghezza dei resoconti e le performance di
memoria visuo-spaziale, suggerendo che questo tipo di capacità mnestica sia implicata nella
costruzione delle trame oniriche. Altre ricerche hanno dimostrato che il numero di parole
utilizzate nella narrazione onirica aumentava se venivano forniti suggerimenti (probe) ai soggetti
(De Padova et al., 2005). Questo dato suggerisce che non vi siano sostanziali differenze, rispetto
ai giovani, nei sistemi di produzione del sogno, ma che piuttosto, con l‟avanzare dell‟età, si
indeboliscano i processi di consolidamento e di recupero delle informazioni mnestiche (Salzarulo
e Giganti, 2011). Infatti, tendenzialmente, somministrando diari e questionari sui sogni, è emerso
che l‟invecchiamento incide sulla frequenza del dream recall (Zepelin, 1973; Giambra, 1974;
Waterman, 1991). Tuttavia, una ricerca di Schredl e Low (1994) ha dimostrato che il ricordo del
45
sogno diminuiva solo nel 40 % dei soggetti anziani, indicando che gli effetti dell‟età non siano
necessariamente legati alla diminuzione del ricordo del sogno (Salzarulo e Giganti, 2011). Non
bisogna, infatti, escludere che potrebbe trattarsi di un fenomeno legato alle caratteristiche
individuali di personalità che riguardano la propensione dell‟individuo a prestare attenzione alla
propria attività onirica (Hartmann, 1991). Infatti, la letteratura non riporta l‟esistenza di studi
longitudinali che abbiano controllato le caratteristiche di personalità legate alla capacità di
rievocare i sogni nello stesso individuo nel corso del tempo (Salzarulo e Giganti, 2011). Tuttavia
è stato dimostrato che l‟interesse per i sogni diminuisce in relazione all‟età: la percentuale dei
soggetti anziani che presta attenzione ai propri sogni è inferiore rispetto alla percentuale di
giovani (Strunz, 1993), ma questa differenza tende a scomparire se si chiede ai soggetti anziani
di focalizzarsi sulla presenza di attività onirica (Strunz, 1988). Questi dati renderebbero,
piuttosto, conto del fatto che, con l‟invecchiamento, si modifichi il campo degli interessi e delle
motivazioni dell‟individuo (Salzarulo e Giganti, 2011).
Le ricerche condotte per mezzo dei risvegli programmati da sonno REM e da sonno NREM
hanno indicato che vi siano delle differenze significative nel numero di sogni ricordato fra i
soggetti giovani e i soggetti anziani (Kahn et al., 1969; Fein et al., 1985). In un campione di
donne fra i 65 e i 78 anni è stato osservato che la frequenza del dream recall era ridotta del 26%
rispetto ai soggetti giovani e, in particolare, l‟oblio del sogno era maggiore in seguito ai risvegli
da sonno REM, rispetto ai risvegli da NREM (De Padova et al., 2005).
Chellappa e collaboratori (2012) hanno confrontato l‟attività EEG relativa al sonno REM e al
sonno NREM che precede il dream recall fra un campione di soggetti giovani (tra i 20 e i 31 anni
di età) e un campione di soggetti anziani (tra i 57 e i 74 anni di età), servendosi di risvegli
multipli programmati in un arco di tempo di 40 ore. I risultati di questo studio hanno dimostrato
che vi è un effetto dell‟età sulle differenze riscontrate fra i due gruppi, relativamente al dream
recall, specialmente dopo i risvegli da sonno NREM. Nello specifico, i soggetti anziani
mostravano maggiore attività delta a livello delle regioni frontali e maggiore attività sigma (fusi
del sonno) a livello delle regioni centro-parietali dello scalpo durante gli ultimi 15 minuti di
sonno NREM precedente al successivo ricordo del sogno. Questo dato non è stato confermato
per i soggetti giovani. D‟altra parte, gli anziani mostravano minore attività delta e minore attività
sigma nelle rispettive regioni durante i 15 minuti di sonno NREM che precedeva il fallimento del
richiamo onirico. Nessuna differenza significativa è stata, invece, riscontrata tra gli episodi di
sonno REM e il ricordo o l‟oblio del sogno: in particolare, i soggetti anziani mostrano minore
attività alpha e beta nelle regioni frontali rispetto ai soggetti giovani, indipendentemente dal
ricordo, o meno, del sogno. Questo dato indica che il sonno REM subisce delle modificazioni
elettrofisiologiche nel corso dell‟età, ma tali modificazioni non sembrerebbero legate alla
46
capacità di rievocare il materiale onirico. Gli autori concludono che le differenze legate all‟età
per quanto riguarda il dream recall sembrano essere direttamente associate a specifici pattern di
attività EEG, soprattutto nel sonno NREM. Inoltre, la diminuzione fisiologica del sonno REM
che compare con l‟invecchiamento non sembrerebbe associata alle ridotte capacità di rievocare il
sogno, come era stato ipotizzato in ricerche precedenti (Chellappa et al., 2009; Salzarulo e
Giganti, 2011). Le variazioni della frequenza del dream reacall negli anziani potrebbero,
ipoteticamente, riflettere l‟indebolimento dei processi cognitivi sottostanti. Le ragioni
andrebbero, pertanto, ricercate nei possibili deficit di consolidamento mnestico, nella
disorganizzazione e nella diminuzione dei cicli del sonno e nelle difficoltà di accesso alle
informazioni nel magazzino di memoria. Bisogna, infatti, tenere presente che il sogno è il
prodotto finale di una serie di capacità cognitive che implicano i processi attentivi, mnestici,
linguistici e immaginativi. Quindi si potrebbe ipotizzare che le modificazioni della frequenza del
dream recall legate all‟età riflettano l‟accesso alle risorse cognitive disponibili piuttosto che un
deterioramento dell‟attività onirica vera e propria (Salzarulo et al., 1997). Tuttavia, la quantità di
ricerche in merito è ancora scarsa e sarebbe necessario condurre un numero maggiore di studi
che indaghino ulteriormente il ruolo dell‟organizzazione del sonno e dei processi di recupero
mnestico, al fine di confermare le ipotesi considerate per il dreaming nell‟anziano.
47
2. LA RICERCA
2.1 Introduzione
La capacità di rievocare i sogni al momento del risveglio può essere considerata una specifica
funzione della memoria dichiarativa e, in particolare, della memoria episodica, la quale
permetterebbe di organizzare gli elementi dell‟attività onirica in una trama narrativa strutturata.
Gli studi condotti sui giovani adulti, fino a questo momento, hanno riscontrato la presenza di dati
in supporto dell‟ipotesi di continuità tra veglia e sonno (Schredl, 2003), per cui la codifica
dell‟attività onirica sembrerebbe utilizzare i medesimi meccanismi neurofisiologici che
permettono anche la codifica delle memorie episodiche durante la veglia. In particolare, Marzano
e i suoi collaboratori (2011) hanno verificato che specifiche caratteristiche elettrofisiologiche
intrinseche allo stadio 2 di sonno NREM e allo stadio REM, localizzate in specifici siti corticali,
possano predire la successiva rievocazione del sogno. I risultati della ricerca avevano, pertanto,
individuato che l‟aumento di oscillazioni theta frontali durante il REM e la diminuzione di
oscillazioni alpha temporali destre durante il NREM predirebbero la presenza del dream recall
dopo il risveglio. In tal modo è stata dimostrata, nel giovano adulto, l‟esistenza di una
regolazione interdipendente fra due specifici circuiti neurali che sembrano coinvolti anche nel
richiamo dell‟attività mentale nello stato di veglia: quello caratterizzato da una maggiore attività
theta frontale durante il sonno REM, riconducibile al sistema cortico-ippocampale, e quello
caratterizzato da una maggiore attività alpha temporale durante il sonno NREM, riconducibile al
sistema talamo-corticale.
L‟obiettivo del presente studio, per quanto ancora in fase preliminare, è quello di verificare se la
relazione fra specifiche caratteristiche topografiche dell‟attività EEG del sonno REM e del sonno
NREM e la successiva presenza/assenza di contenuto dei sogni, precedentemente riscontrata in
soggetti giovani, sia rilevabile anche nei soggetti anziani. Lo studio, pertanto, da una parte ha
l‟intento di replicare i risultati rilevati dal precedente lavoro di Marzano et al. (2011) e, d‟altra
parte, affronta un argomento del tutto originale, poiché al momento attuale non esistono ricerche
che abbiano valutato gli aspetti topografici dell‟attività EEG associati al ricordo del sogno
nell‟anziano, con la sola eccezione di uno studio condotto da Chellappa et al. (2012).
2.2 Metodo
2.2.1
Soggetti
Lo studio ha coinvolto un gruppo di 33 soggetti (18 M, 15 F), tra i 60 e 80 anni (età media = 67.4
anni, d.s. = 6.5, e.s.=1.12), contraddistinti da una durata ed orari del sonno regolari (durata media
48
del sonno 7±1 h e orari abituali tra le 24:00 e le 7:00±1), da assenza di disturbi del sonno ed
eccessiva sonnolenza durante il giorno. Tali caratteristiche sono state valutate obiettivamente
attraverso il “Pittsburgh Sleep Quality Index”
1
(PSQI; Curcio et al., 2013) e l‟ “Epworth
Sleepiness Scale” (ESS2; Vignatelli et al., 2003). Inoltre sono stati preliminarmente somministrati
lo “State-Trait Anxiety Inventory – Y” (STAI-Y3; Spielberger et al., 1983), l‟ “Hamilton
Depression Rating Scale” (HDRS4; Hamilton, 1960) al fine di escludere secondarietà
psichiatriche ed il “Mini-Mental State Examination” (MMSE5 ; Folstein et al., 1975) per
verificare l‟assenza di deterioramento cognitivo.
Il reclutamento dei soggetti è avvenuto prevalentemente presso i Centri Sociali Anziani delle
1
Il Pittsburgh Sleep Quality Index (PSQI) è un questionario utilizzato allo scopo di valutare la qualità del
sonno del soggetto relativa all‟ultimo mese ed è impiegata per identificare i “buoni” e “cattivi” dormitori. Il
questionario è costituito da 19 item che generano 7 variabili (qualità soggettiva del sonno, latenza del sonno, durata
del sonno, efficienza abituale del sonno, disturbi del sonno, uso di cure per il sonno, presenza di disfunzioni diurne).
La somma dei punteggi di queste 7 componenti produce un punteggio globale che va da 0 a 21.
2
La scala di Epworth della sonnolenza (ESS) è una misura della sonnolenza diurna. Si riferisce allo stile di
vita abituale in tempi recenti. E‟ un test utile per aiutare nella diagnosi dei disturbi del sonno. Il soggetto attribuisce
un punteggio da 0 (non mi addormento mai) a 3 (ho alta probabilità di addormentarmi) relativo alla probabilità di
addormentarsi in 8 situazioni di vita quotidiana. La somma dei punteggi di queste 8 componenti produce un
punteggio globale che va da 0 a 24.
3
Lo State-Trait Anxiety Inventory – Y (STAI-Y) è un questionario per rilevare e misurare l'ansia. Gli item
sono raggruppati in due scale focalizzate su come i soggetti si sentono generalmente o su quello che invece provano
in momenti particolari. Il questionario è formato da 40 item (20 misurano l‟ansia di stato e 20 misurano l‟ansia di
tratto), ai quali il soggetto deve rispondere in termini di intensità, su una scala Lickert a 4 punti (dove 1 corrisponde
a "quasi mai" e 4 a "quasi sempre").
4
L‟ Hamilton Depression Rating Scale (HDRS) è un questionario che indaga 21 aree relative allo stato
depressivo del soggetto. Ciascuna delle 21 aree rappresenta un singolo item della scala ad ognuno dei quali
l‟esaminatore attribuisce un punteggio che va da 1 (assente) a 5 (grave) o che va da 1 (assente) a 3 (chiaramente
presente). Successivamente si attribuisce un punteggio a ogni area indagata che va da 0 (assente) a 4 (molto grave) e
il punteggio totale che si ottiene varia da 0 a 28 punti.
5
Il Mini-Mental State Examination (MMSE) è un test per la valutazione dei disturbi dell'efficienza
intellettiva e della presenza di deterioramento cognitivo. Il test è costituito da 30 item (domande), che fanno
riferimento a 7 aree cognitive differenti (orientamento nel tempo, orientamento nello spazio, registrazione di parole,
attenzione e calcolo, rievocazione, linguaggio, prassia costruttiva). La somma dei punteggi varia da 0 a 30 e viene
tarata per età e scolarità del soggetto.
49
zone limitrofe alla Facoltà di Medicina e Psicologia.
Il protocollo del presente studio è stato approvato dal Comitato Etico del Dipartimento di
Psicologia ed è stato condotto in accordo con la Dichiarazione di Helsinki. Ogni soggetto è stato
preliminarmente informato riguardo agli obiettivi e alle procedure utilizzate, firmando un
consenso informato per la raccolta e il trattamento dei dati.
2.2.2
Procedura
Per ciascun partecipante è stata programmata una singola sessione sperimentale notturna. Il
protocollo utilizzato prevedeva che ciascuna sessione contenesse le seguenti fasi:
-
una fase preparatoria per il montaggio degli elettrodi EEG e per l‟applicazione di elettrodi
per la registrazione EOG ed EMG;
-
una fase di registrazione EEG del sonno (sonno notturno 6-7 ore);
-
una fase di audio-registrazione dell‟eventuale esperienza onirica e di compilazione di un
breve questionario relativo alle caratteristiche del sonno.
Per la fase NREM il risveglio è programmato dopo almeno 10 minuti consecutivi di stadio 2
consolidato; per quanto riguarda il REM il risveglio è previsto dopo almeno 10 minuti di sonno
REM continuativo.
Al risveglio è stato richiesto ai partecipanti di descrivere oralmente, servendosi di un audioregistratore, l‟eventuale esperienza onirica ricordata.
I soggetti sono stati preliminarmente istruiti a considerare al pari di un sogno qualsiasi tipologia
di attività mentale avvenuta durante il periodo di sonno, a tal fine è stato richiesto a ciascun
partecipante di raccontare e descrivere dettagliatamente “tutto ciò che gli è passato per la mente
nel periodo di sonno” (Foulkes, 1962). Successivamente, i partecipanti sono stati chiamati alla
compilazione di un diario al fine di raccogliere le caratteristiche del sonno valutate
soggettivamente (latenza del sonno, numero di risvegli, tempo totale e qualità del sonno), la
sensazione di aver sognato o meno, il numero di sogni ricordati al momento del risveglio e le
caratteristiche qualitative dell‟eventuale attività onirica ricordata (bizzarria, connotato emotivo,
vividezza e lunghezza) mediante scala visuo-analogica (Figura 1).
50
DIARIO
DEL
SONNO
MONTAGGIO
(19 EEG, EOG, EMG)
PSG
Figura 1. Procedura sperimentale.
2.2.3
Strumenti
Registrazioni polisonnografiche
I dati relativi all‟attività corticale dei soggetti (EEG) sono stati acquisiti sullo scalpo attraverso
19 derivazioni corticali (C3, C4, Cz, Fp1, Fp2, F3, F4, F7, F8, Fz, O1, O2, P3, P4, Pz, T3, T4,
T5, T6) del sistema internazionale 10-20, esteso con riferimento medio sui mastoidi giuntati (A1,
A2).
Il segnale sarà acquisito ad una frequenza di campionamento di 256 Hz e un filtro passabanda da
0.3 a 30 Hz.
Inoltre, per quanto riguarda l'attività oculare e muscolare, i dati sono stati acquisiti attraverso
elettrodi bipolari per la registrazione EMG ed EOG. Per quanto concerne le rilevazioni EOG, è
stato posizionato un elettrodo a circa un centimetro sopra e lateralmente al canto esterno
dell'occhio destro e uno a circa un centimetro sotto e lateralmente al canto interno dello stesso
occhio. Il segnale EMG è stato rilevato attraverso due elettrodi sottomentonieri, predisposti uno
sul lato destro e uno su quello sinistro del muscolo.
L'impedenza degli elettrodi è stata fissata al di sotto dei 5 kOhms.
Il sistema Micromed ha permesso di acquisire i segnali polisonnografici, mentre per la loro
visualizzazione è stato utilizzato il software dedicato System Plus.
2.2.4
Analisi dei dati
Sono stati analizzati i dati relativi ai 33 soggetti, così suddivisi in base alle condizioni ottenute:
16 soggetti sono stati risvegliati da uno stadio 2 NREM (7 REC, 9 NREC), mentre 17 soggetti
sono stati risvegliati dalla fase REM (9 REC, 8 NREC).
I tracciati polisonnografici sono stati siglati secondo i criteri standard (Rechtschaffen e Kales,
1968) per epoche di 20 secondi reiettando gli artefatti dovuti ad attivazioni muscolari e
movimenti oculari. A partire dai dati così ottenuti, sono stati poi ricavati i parametri del sonno:
latenza dello stadio 1, latenza dello stadio 2, latenza dello stadio REM, tempo totale di sonno
51
(somma della durata di tutti gli stadi del sonno), indice di efficienza del sonno (tempo totale di
sonno/tempo totale di letto x 100), numero dei risvegli, numero di arousal e veglia intra-sonno
(Casagrande e De Gennaro, 1998). E' opportuno sottolineare che tali dati macrostrutturali relativi
alle registrazioni PSG delle notti vengono mostrati nella Tabella 1 a scopo descrittivo. Si osserva
una sostanziale sovrapponibilità della macrostruttura del sonno del gruppo dei soggetti REC e
dei NREC, sia per i risvegli da sonno NREM che da sonno REM.
Variabili
Gruppo
Gruppo
Gruppo
Gruppo
NREM SI
NREM NO
REM SI
REM NO
Media
E.S.
Media
E.S.
Media
E.S.
Media
E.S.
Latenza stadio 1 (min)
42.00
11.51
27.44
11.00
10.70
2.35
23.33
7.05
Latenza stadio 2 (min)
24.52
8.83
13.89
3.23
10.22
1.68
16.71
4.72
Latenza stadio 3 (min)
38.13
14.15
41.81
11.68
57.56
16.19
38.75
14.18
Latenza REM (min)
131.86
29.95
89.78
14.12
82.56
9.26
84.67
7.90
Stadio 1 (min)
13.62
4.06
12.41
2.21
13.26
1.73
15.33
3.38
Stadio 2 (min)
209.31
34.47
251.70
11.31
232.07
12.50
207.79
18.36
Stadio 3 (min)
1.19
0.69
3.96
1.98
3.08
1.08
1.00
0.60
REM (min)
49.09
8.07
53.00
5.32
52.15
6.09
50.71
7.98
WASO (min)
59.95
16.45
37.59
7.48
79.40
12.56
93.25
15.95
Risvegli (#)
17.86
2.77
12.00
1.78
23.67
2.19
19.63
2.79
Arousals (#)
26.43
3.43
16.44
3.58
21.89
3.17
22.50
4.57
TTS (min)
311.48
36.67
311.76
9.46
300.56
15.89
274.83
22.19
TTL (min)
396.05
46.63
371.78
11.97
388.44
15.21
383.54
18.40
SEI % (TTS/TTL)
79.00
0.09
84.00
0.02
77.00
0.02
71.00
0.05
Tabella 1. Medie ed errori standard delle variabili polisonnografiche del periodo di sonno. A partire da sinistra sono
riportati i dati relativi al gruppo NREM SI, NREM NO e accanto i corrispondenti dati relativi al gruppo REM SI e
REM NO: SWS (Slow Wave Sleep) = sonno ad onde lente; REM (Rapid Eyes Movement) = sonno REM; WASO
(Wake After Sleep Onset) = veglia intra-sonno; TTS = tempo totale di sonno; TTL = tempo totale di letto; SEI (Sleep
Efficiency Index) = indice di efficienza del sonno .
I segnali polisonnografici relativi agli ultimi 5 minuti di sonno precedenti il risveglio sono stati
ulteriormente sottoposti a siglatura secondo i criteri standard (Rechtschaffen e Kales, 1968) per
epoche di 8 secondi, in modo da eliminare eventuali artefatti.
Successivamente, i dati così trattati per le 19 derivazioni sono stati sottoposti ad analisi spettrale
attraverso il calcolo della FFT-Fast Fourier Transform6 con risoluzione di frequenza a 0.25 Hz.
6
Fast Fourier Transform (FFT): Analisi quantitativa che consente di trasferire i dati EEG dal dominio del
tempo al dominio della frequenza, trasformando il segnale in spettri di potenza. Il sistema utilizzato per effettuare
l‟analisi spettrale è un algoritmo noto come “trasformata di Fourier”. Dalla trasformata di Fourier del segnale si può
52
I dati acquisiti sono stati mediati e suddivisi secondo le bande EEG canoniche (non tenendo in
considerazione frequenze superiori a 25 Hz): delta (0.5-4.75 Hz), theta (5.00-7.75 Hz), alpha
(8.00-11.75 Hz), sigma (12.00-15.75 Hz) e beta (16.00-24.75 Hz). Infine è stata applicata una
trasformazione in logaritmo, in modo da rendere i dati statisticamente confrontabili.
Per effettuare i confronti statistici tra le due condizioni REC e NREC, separatamente per REM e
NREM, sia per l‟intera notte che relativamente agli ultimi 5 minuti prima del risveglio, sono stati
realizzati test t di Student per campioni non appaiati a 2 code, per ciascuna derivazione e per
ogni banda di frequenza.
E‟ stata applicata, inoltre, la correzione di Bonferroni al fine di aggiustare il valore di α critico
per l‟elevato numero di confronti multipli eseguiti. E‟ stato calcolato un indice di
intercorrelazione tra le variabili dipendenti (Perneger, 1998; Sankoh, Huque, Dubey, 1997)
separatamente per le singole condizioni: intera notte NREM (r = 0.772) e REM (r = 0.743),
ultimi 5 minuti di sonno NREM (r = 0.616) e REM (r = 0.734).
Tenendo conto di queste correlazioni e del numero di confronti statistici effettuati, il valore di
alpha critico è stato ponderato in tal modo: α ≤ 0.018 (t ≥ 2.687) per l‟intera notte NREM, α ≤
0.015 (t ≥ 2.729) per l‟intera notte REM, α ≤ 0.008 (t ≥ 3.047) per gli ultimi 5 minuti di sonno
NREM e α ≤ 0.015 (t ≥ 2.750) per gli ultimi 5 minuti di sonno REM.
2.3 Risultati
2.3.1 Topografia EEG
Sonno NREM
Nella Figura 2 è riportata la topografia EEG del sonno NREM relativa sia all‟intera notte di
sonno sia agli ultimi 5 minuti che hanno preceduto il risveglio. Nello specifico, sono raffigurate
le topografie EEG per ciascuno dei gruppi individuati dalla presenza e assenza di ricordo dei
sogni (REC e NREC) nel sonno NREM.
Le mappe in questione rappresentano l‟andamento dell‟attività EEG, limitatamente alla
condizione NREM, indicando, nello specifico, un andamento preferenziale anteriore per tutte le
attività a onde lente (Slow Wave Activity, SWA). Si può osservare principalmente una SWA che
ottenere una stima dello spettro di potenza, che è una misura statistica della potenza media contenuta nel segnale in
corrispondenza di ciascuna delle frequenze contenute nel segnale stesso (Casagrande e De Gennaro, 1998). Ad ogni
frequenza viene assegnata una definita quantità chiamata “potenza”: si ottiene così lo spettro di potenza di ogni
derivazione. In modo più specifico, l‟FFT (Fast Fourier Transform), è un algoritmo veloce; è un metodo di calcolo
della DFT (Trasformata Discreta di Fourier), una funzione che approssima la trasformata di Fourier con un numero
finito di operazioni, consentendo di eseguire l‟analisi spettrale in maniera semplice e veloce.
53
segue un gradiente antero-posteriore, con dei massimi frontali (attività delta) e centro-parietali
(attività sigma). Sostanzialmente, le prime due righe della Figura 2 rappresentano la tipica
distribuzione topografica dell‟EEG di sonno NREM che si riscontra nell‟intero episodio.
Le ultime due righe della Figura 2 mostrano l‟andamento dell‟attività EEG, limitatamente alla
condizione NREM, relativo agli ultimi 5 minuti di sonno che precedono il risveglio,
caratterizzati dalla presenza/assenza del ricordo del sogno. L‟andamento dell‟attività EEG in
questo caso è del tutto paragonabile a quello descritto poc‟anzi per l‟intera notte, con l‟unica
differenza che l‟ammontare complessivo dell‟attività è minore, come si può evincere
dall‟osservazione della relativa gamma cromatica, rispetto a quella delle topografie EEG della
notte intera. Tale dato è coerente con la letteratura che riporta il decremento esponenziale della
SWA in corso della notte di sonno (Borbély, 1982).
Figura 2. Mappe della distribuzione topografica delle potenze spettrali nel sonno NREM, per ciascuna banda di
frequenza. Le prime due righe si riferiscono all‟intera notte, mentre le ultime due righe si riferiscono agli ultimi 5
minuti precedenti il risveglio. La gamma cromatica di colori caldi corrisponde a valori di potenza spettrale più
elevata; la gamma cromatica di colori freddi rappresenta valori di potenza spettrale più bassi.
Sonno REM
Nella Figura 3 sono riportate, con la stessa logica descritta per il sonno NREM, le mappe
topografiche del sonno REM relative sia all‟intera notte di sonno sia agli ultimi 5 minuti che
hanno preceduto il risveglio prima della presenza/assenza del resoconto onirico. Anche in questo
caso le rappresentazioni topografiche risultano essere conformi agli standard della distribuzione
54
topografica dell‟EEG tipica del sonno REM. Le mappe riportate presentano un massimo di
attività a onde lente a livello centrale e centro-frontale e un medesimo andamento centro-frontale
per l‟attività theta.
Anche l‟andamento dell‟attività EEG - relativo agli ultimi 5 minuti di sonno che precedono il
risveglio dalla fase REM - presenta, nel complesso, le medesime caratteristiche appena descritte
per l‟intera notte di sonno.
Figura 3. Mappe della distribuzione topografica delle potenze spettrali nel sonno REM, per ciascuna banda di
frequenza. Le prime due righe si riferiscono all‟intera notte, mentre le ultime due righe si riferiscono agli ultimi 5
minuti precedenti il risveglio. La gamma cromatica di colori caldi corrisponde a valori di potenza spettrale più
elevati; la gamma cromatica di colori freddi rappresenta valori di potenza spettrale più bassi.
2.3.2 Topografia EEG che precede il risveglio
Risvegli da sonno NREM
Nella Figura 4 sono riportate le topografie EEG relative agli ultimi 5 minuti di sonno NREM che
hanno preceduto il risveglio. I confronti statistici effettuati con t di Student per campioni
indipendenti hanno confrontato, separatamente, per ciascuna banda elettroencefalografica e per
ciascun elettrodo, il gruppo di soggetti che hanno ricordato almeno un sogno (REC) con il
gruppo di soggetti che non hanno riportato alcun resoconto onirico (NREC).
La mappa è rappresentata in maniera tale che le differenze delle t di ordine positivo
corrispondono alla gamma cromatica dei colori caldi e indicano una prevalenza di attività EEG
associata alla condizione “ricordo”, rispetto alla condizione “non ricordo”. D‟altra parte, le
55
differenze delle t di ordine negativo corrispondono alla gamma cromatica dei colori freddi e
indicano una relativa prevalenza di attività EEG associata alla condizione “non ricordo”, rispetto
alla condizione “ricordo”.
In accordo con il livello di rigetto dell‟ipotesi nulla (espresso dal valore α dopo la correzione di
Bonferroni), si osserva che nessuna differenza raggiunge la soglia della significatività statistica,
ad eccezione della sola differenza relativa all‟attività beta sull‟emisfero di sinistra. Nello
specifico, per la locazione corticale temporale sinistra T3 si osserva una prevalenza di attività
beta associata al ricordo, piuttosto che all‟assenza del ricordo. Per quanto non statisticamente
significativo, un simile fenomeno si riscontra controlateralmente sulla locazione temporale destra
T4.
Figura 4. Mappe topografiche dei confronti statistici tra le condizioni REC e NREC nel sonno NREM per ciascuna
banda di frequenza relative agli ultimi 5 minuti precedenti il risveglio. La gamma cromatica dei colori caldi
corrisponde a potenze spettrali maggiori nella condizione REC. La gamma cromatica dei colori freddi rappresenta
potenze spettrali maggiori nella condizione NREC.
Risvegli da sonno REM
Con la stessa logica descritta per i risvegli da NREM, nella Figura 5 sono riportati i confronti
statistici delle t di Student per campioni indipendenti, relativi ai confronti tra la condizione dei
soggetti che ricordano il sogno e la condizione dei soggetti che non ricordano, per gli ultimi 5
minuti di sonno REM che hanno preceduto il risveglio. Dalle mappe si osserva una prevalenza di
attività alpha associata al ricordo, piuttosto che all‟assenza del ricordo, ma la prevalenza in
questione non raggiunge, tuttavia, la soglia statistica della significatività.
56
Figura5. Mappe topografiche dei confronti statistici tra le condizioni REC e NREC nel sonno REM per ciascuna
banda di frequenza relative agli ultimi 5 minuti precedenti il risveglio. La gamma cromatica dei colori caldi
corrisponde a potenze spettrali maggiori nella condizione REC. La gamma cromatica dei colori freddi rappresenta
potenze spettrali maggiori nella condizione NREC.
2.3.3 Topografia EEG dell’intera notte
Intera notte del sonno NREM
Nella Figura 6, con la stessa logica descritta per le topografie EEG relative ai 5 minuti di sonno
che precedono il risveglio, sono riportati i confronti con t di Student per campioni indipendenti
associati alla presenza/assenza del ricordo dei sogni, relativi al sonno NREM dell‟intera notte.
Dalle mappe si riscontra il medesimo incremento di attività beta associato alla condizione
“ricordo” sulle due derivazioni temporali riportato anche nelle mappe degli ultimi 5 minuti di
sonno NREM che precedono il risveglio. Tuttavia, a differenza del precedente, in questo caso
l‟incremento riscontrato non raggiunge la significatività statistica, nemmeno sulla locazione
corticale T3.
57
Figura 6. Mappe topografiche dei confronti statistici tra le condizioni REC e NREC nel sonno NREM per ciascuna
banda di frequenza relative all‟intera notte. La gamma cromatica dei colori caldi corrisponde a potenze spettrali
maggiori nella condizione REC. La gamma cromatica dei colori freddi rappresenta potenze spettrali maggiori nella
condizione NREC.
Intera notte del sonno REM
Infine, nella Figura 7 si osservano, con la stessa logica delle precedenti, le mappe statistiche dei
confronti con t di Student per campioni indipendenti che indicano, in primo luogo, una generale
prevalenza di attività lenta associata alla condizione “ricordo” piuttosto che alla condizione “non
ricordo”. Tuttavia, in seguito alla correzione di Bonferroni, nessuna differenza risulta essere
statisticamente significativa, anche se per piccoli valori, molto prossimi alla soglia della
significatività (i valori sono riportati nella Tabella 2).
In generale, dalle mappe riportate in Figura 7 si osserva che le derivazioni temporali e le
derivazioni parietali destre sono associate a una maggiore attività delta nella condizione di
ricordo presente. Al contrario, le derivazioni frontali, prevalentemente sinistre, e le derivazioni
temporo-parietali destre sono associate a una maggiore attività theta, sempre per la condizione di
ricordo presente. Infine, un complesso network di aree corticali è associato alla banda di attività
alpha. In particolare, le aree occipitali e le aree prefrontali bilateralmente risultano associate
all‟incremento dell‟attività alpha, in relazione al ricordo del sogno. Il medesimo incremento è
riscontrabile anche a livello delle regioni fronto-temporali sinistre e parieto-temporali destre,
similmente alla tendenza statistica riscontrata anche per l‟attività theta.
58
ATTIVITA’ DELTA
ATTIVITA’ THETA
ATTIVITA’ ALPHA
P4: t= 2.254 p= 0.040
Fp1: t= 2.264 p= 0.039
C4: t= 2.143 p= 0.049
T3: t= 2.321 p= 0.035
F7: t= 2.542 p= 0.023
Fp1: t= 2.354 p= 0.033
T6: t= 2.130 p= 0.050
P4: t= 2.568 p= 0.021
Fp2: t= 2.157 p= 0.048
T6: t= 2.470 p= 0.026
F7: t= 2.487 p= 0.025
F8: t= 2.160 p= 0.047
O1: t= 2.227 p= 0.042
O2: t= 2.130 p= 0.050
P4: t= 2.303 p= 0.036
T3: t= 2.613 p= 0.020
T6: t= 2.413 p= 0.029
Tabella 2. Valori associati alle derivazioni corticali che si avvicinano alla soglia della significatività statistica, dopo
la correzione di Bonferroni, relative all‟intera notte di sonno REM.
Figura 7. Mappe topografiche dei confronti statistici tra le condizioni REC e NREC nel sonno REM per ciascuna
banda di frequenza relative all‟intera notte. La gamma cromatica dei colori caldi corrisponde a potenze spettrali
maggiori nella condizione REC. La gamma cromatica dei colori freddi rappresenta potenze spettrali maggiori nella
condizione NREC.
59
2.4 Discussione
I risultati dello studio presentati in questa sede sono relativi a una fase ancora preliminare della
ricerca. Nonostante sia stato registrato un numero elevato di soggetti anziani (33), la natura del
disegno sperimentale fa sì che il numero di soggetti confrontati per ogni condizione sia, tuttavia,
relativamente limitato (sono stati confrontati 7 REC e 9 NREC per il sonno NREM e 9 REC e 8
REC per il sonno REM). Questo aspetto, in primo luogo, declina la natura preliminare dello
studio e, in secondo luogo, induce a una cautela per quanto riguarda l‟interpretazione dei risultati
che sono caratterizzati da una relativamente bassa potenza statistica. Infatti, per una dimensione
campionaria così limitata, le tradizionali procedure di correzione del livello α per il rigetto
dell‟ipotesi nulla risultano particolarmente conservative, in quanto nessuna differenza di quelle
precedentemente commentate - tranne l‟incremento di attività beta associato agli ultimi 5 minuti
di sonno NREM - risulta statisticamente significativa in seguito alla correzione di Bonferroni. In
ogni caso, tuttavia, si consideri che le differenze descritte nella sessione dei risultati sono
inferiori alla tradizionale zona di rigetto dell‟ipotesi nulla e molto prossime, invece, al livello α
dopo la correzione di Bonferroni. In sostanza, quindi, il primo fenomeno generale che si osserva
è che il pattern dei risultati evidenziato per i giovani adulti nello studio di Marzano et al. (2011),
il quale mostrava una prevalenza di attività theta frontale associata al sonno REM e una
prevalenza di attività alpha temporale destra associata al sonno NREM, non viene confermato
nel presente studio. Tale aspetto, tuttavia, non deve essere interpretato come una disconferma dei
risultati riportati da Marzano et al. (2011), poiché lo scopo del presente studio è una verifica
indipendente della relazione predittiva tra topografia EEG di sonno e ricordo dei sogni in
soggetti con diverse caratteristiche del sonno e della sua topografia EEG.
Oltre al fatto di non aver confermato i risultati precedentemente riscontrati sui giovani adulti, il
pattern di differenze presentato mostra una relativa sovrapponibilità fra gli ultimi 5 minuti di
sonno e il sonno REM dell‟intera notte, da una parte, e gli ultimi 5 minuti e il sonno NREM
dell‟intera notte, dall‟altra. Questo dato, al contrario, mostra una sostanziale corrispondenza con
i risultati dello studio di Marzano et al. (2011) che avevano dimostrato una generale
corrispondenza tra l‟attività topografica EEG degli ultimi 5 minuti di sonno e quella relativa
all‟intera notte di sonno. Tenendo in considerazione sia la cautela data dalla preliminarità delle
osservazioni, sia quanto riportato in merito alla procedura di correzione dell‟ipotesi nulla, i due
fenomeni generali indicano quanto segue: in primo luogo, si osserva un incremento di attività
rapida dell‟EEG durante il sonno NREM, associato alla presenza del ricordo del sogno e, in
secondo luogo, si osserva la presenza di un più elevato ammontare di attività theta, ma in parte
anche alpha e delta durante il sonno REM, associato alla presenza del ricordo del sogno.
Il primo fenomeno, relativo al sonno NREM, appare spiegabile nei termini dell‟ipotesi di
60
arousal-retrieval (Koulack e Goodenough, 1976), in quanto il ricordo dei sogni sembra favorito
da uno stato di attivazione corticale maggiore, coerentemente con le caratteristiche intrinseche
dell‟attività beta, tipicamente associate agli stati di arousal e di attivazione. Pertanto, la maggiore
attività beta riscontrata a livello delle aree temporali sarebbe associata a un maggior livello di
attivazione corticale e al ricordo dei sogni.
Più complesso è, d‟altra parte, il tentativo di spiegare le differenze riscontrate nella fase REM,
poiché la relativa prevalenza di attività theta associata al ricordo dei sogni, precedentemente
descritta, viene ritrovata, seppur in maniera limitata, all‟interno dell‟intero episodio di sonno.
Tuttavia, più che uno specifico correlato di banda, come era stato invece riportato nel lavoro di
Marzano et al. (2011), tale dato sembra evidenziare una generale presenza di ritmi lenti
nell‟attività EEG associati al successivo ricordo del sogno. Quanto appena descritto, allo stato
attuale, da una parte non è compatibile con l‟interpretazione di arousal-retrieval descritta in
relazione al sonno NREM, mentre è solo parzialmente compatibile, d‟altra parte, con i risultati di
Marzano et al. (2011) secondo l‟ipotesi di continuità tra veglia e sonno (Hall e Nordby, 1972;
Schredl et al., 2003). Le interpretazioni dei risultati discusse nello studio di Marzano et al.
(2011) riconducevano la prevalenza dell‟attività theta associata al successivo ricordo onirico, al
simile correlato riscontrato fra i compiti di memoria episodica e l‟incremento di attività theta
durante la veglia. In tale contesto si può aggiungere che una parte di questi riscontri ha mostrato
correlazione con l‟attività alpha. Tuttavia, una simile spiegazione non sembra completamente
soddisfacente, poiché un certo grado di evidenza, seppur minore, si può osservare anche per
l‟attività delta. Anche lo studio di Chellappa et al. (2012) aveva riportato un incremento di
attività delta associato al ricordo del sogno, ma la correlazione era stata riscontrata per il sonno
NREM, piuttosto che per il sonno REM. Si tratta, quindi, di risultati diversi e ottenuti da
protocolli sperimentali impostati in maniera differente. Pertanto, solo la prosecuzione dello
studio permetterà, probabilmente, di comprendere se il fenomeno legato all‟attività delta sarà
confermato e indicherà, nel complesso, se l‟intrusione delle frequenze più lente nel sonno REM
possa predire maggiormente il ricordo dei sogni nell‟anziano o se, al contrario, il fenomeno sia
limitato all‟attività theta e all‟attività alpha. In questo caso sarebbe preferibile l‟interpretazione in
termini di meccanismi simili a quelli riscontrati per la codifica delle memorie episodiche nello
stato di veglia.
2.5 Conclusioni generali
Lo studio presentato in questa sede è completamente originale, ad eccezione della ricerca
condotta da Chellappa et al. (2012) che, per la prima volta, ha descritto la topografia dell‟EEG
del sonno associato al ricordo dei sogni nell‟anziano. Allo stato attuale, si tratta di uno studio
61
contrassegnato da una non elevata potenza statistica e i riscontri fin qui disponibili non
forniscono un quadro univoco. Per quanto riguarda il sonno NREM, infatti, forniscono un debole
e indiretto supporto all‟ipotesi dell‟arousal-retrieval; invece, per quanto riguarda il sonno REM
aprono piuttosto delle questioni. Da una parte suggeriscono la presenza di un eventuale
meccanismo che interessa tutte le attività lente del sonno REM, ma, attualmente, si tratta di una
completa novità per quanto riguarda il sonno dell‟anziano. D‟altra parte, qualora la prosecuzione
dello studio dovesse ribadire il dato solo per l‟attività theta o per le attività theta e alpha,
ritroverebbe una sua spiegazione coerentemente con quanto dimostrato sul giovane adulto da
Marzano et al. (2011), in relazione ai corrispondenti meccanismi neurali della codifica delle
memorie episodiche durante la veglia. Va, comunque, rilevato, che - a nostra conoscenza - non
esistono ancora studi indipendenti che documentino che la relazione tra attività theta e memoria
episodica valga anche per la popolazione anziana.
62
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Achté K, Malassu PL e Saarenhelmo M, (1985). Sleeping and dreams of 75-year old people living in Helsinki. Psychiatria
finnica (Suppl.), pp. 50-55.
Adey W, Bors E e Porter R, (1968). EEG sleep patterns after high cervical lesions in man. Archives of Neurology, 24:377–383.
Adolphs R, (1999). Social cognition and the human brain. Trends in Cognitive Sciences, 3:460–479.
Anderson KL, Rajagovindan R, Ghacibeh GA, Meador KJ e Ding M, (2010). Theta oscillations mediate interaction between
prefrontal cortex and medial temporal lobe in human memory. Cereb Cortex, 20:1604 –1612.
Antrobus J, (1983). REM and NREM sleep reports: comparison of word frequencies by cognitive classes. Psychophysiology,
20:562-568.
Antrobus J, (1986). Dreaming: Cortical activation and perceptual thresholds. Journal of Mind and Behavior 7:193–212.
Antrobus J, (1990) The neurocognition of sleep mentation: Rapid eye movements, visual imagery and dreaming. In: Sleep and
cognition, ed. R. R. Bootzin, J. F. Kihlstrom & D. L. Schacter. American Psychological Association.
Antrobus J, (1991) Dreaming: Cognitive processes during cortical activation and high afferent thresholds. Psychological Review
98:96–121.
Antrobus J, (2000). How does the dreaming brain explain the dreaming mind? Behavioral and Brain Science, 23:904-907.
Antrobus JS & Bertini M, (1992). Introduction. In: The neuropsychology of sleep and dreaming, ed. J. S. Antrobus & M.
Bertini. Erlbaum.
Antrobus JS, Hartwig P, Rosa D, Reinsel R, Fein G, (1987). Brightness and clarity of REM and NREM imagery: Photo
response scale. Sleep Research, 16:240.
Aquino P, (2014). La Neuropsicoanalisi. Il contributo pionieristico di Solms nell‟integrare psicoanalisi e neuroscienze. Narcissus
editore, cap. 2.
Arena R, Murri L, Piccini R e Muratorio A, (1984). Dream recall and memory in brain lesioned patients. Research
Communications in Psychology, Psychiatry and Behavior, 9:31–42.
Arnulf I, (2011). The “scanning hypothesis” of rapid eye movements during REM sleep: a review of the evidence. Archives
Italiennes de Biologie, 149:1-16.
Aserinsky E & Kleitman N, (1953). Regular occurring periods of eye motility and concomitant phenomena during sleep.
Science, 118, 273-74.
Aserinsky E & Kleitman N, (1955). Two types of ocular motility during sleep. Journal of Applied Physiology, 8:1-10.
Aston-Jones G e Bloom FE, (1981). Activity of norepinephrine-containing locus coeruleus neurons in behaving rats anticipates
fluctuations in the sleep-waking cycle. Journal of Neuroscience, 1:876–86.
Basso A, Bisiach E e Luzzatti C, (1980). Loss of mental imagery: A case study. Neuropsychologia, 18:435–42.
Benson DF e Greenberg J, (1969). Visual form agnosia: A specific defect in visual discrimination. Archives of Neurology,
20:82–89.
Beaulieu-Prévost D, (2005). Le rappel onirique: Fiabilité, malléabilité et relation au contexte sociocognitif. Doctoral Thesis,
Université de Montréal, Montréal.
Beaulieu-Prévost D & Zadra A, (2005a). Dream recall frequency and attitude towards dreams: a reinterpretation of the relation.
Pers. Individ. Diff., 38:919–927.
Beaulieu-Prévost D & Zadra A, (2007). Absorption, psychological boundaries and attitude towards dreams as correlates of
dream recall: two decades of research seen through a meta-analysis. Journal of Sleep Research, 16:51-59.
Bendor D e Wilson MA, (2012). Biasing the content of hippocampal replay during sleep. Nat Neurosci, 15:1439–44.
Bird E, (1990). Schizophrenia. In: An introduction to neurotransmission in health and disease, ed. P. Riederer, N. Kopp & J.
Pearson. Oxford University Press.
Blagrove M, (1992a). Dreams as the reflection of our waking concerns and abilities: A critique of the problem-solving paradigm
in dream research. Dreaming 2:205–220.
Blagrove M & Pace-Schott E, (2010). Trait and neurobiological correlates of individual differences in dream recall and dream
content. International Review of Neurobiology, 92:155-180.
63
Blick KA e Howe JB, (1984). A comparison of the emotional content of dreams recalled by young and elderly women. Journal
of Psychology, 116:143-146.
Blumenfeld RS e Ranganath C, (2007). Prefrontal cortex and long-term memory encoding: an integrative review of findings
from neuropsychology and neuroimaging. The Neuroscientist, 13:280–291.
Boller F, Wright D, Cavelieri R e Mitsumoto H, (1975). Paroxysmal “nightmares”: Sequel of a stroke responsive to
diphenylhydantoin. Neurology, 25:1026–28.
Bosinelli M e Cicogna PC, (2000). REM and NREM mentation: Nielsen‟s model once again supports the supremacy of REM.
Behavioral and Brain Science, 23:913-914.
Boyle J e Nielsen J, (1954). Visual agnosia and loss of recall. Bulletin of the Los Angeles Neurological Society, 19:39–42.
Borbély AA, (1982). A two process model of sleep regulation. Hum Neurobiol, 1(3):195-204.
Bradley K, Dax E e Walshi K, (1958). Modified leucotomy: Report of 100 cases. Medical Journal of Australia, 1:133–38.
Braun AR, Balkin TJ, Wesenten NJ, Carson RE, Varga M, Baldwin P, Selbie S, Belenky G e Herscovitch P, (1997).
Regional cerebral blood flow throughout the sleep-wake cycle – an (H2O)-O-15 PET study. Brain, 120:1173–97.
Braun AR, Balkin TJ, Wesensten NJ, Gwadry F, Carson RE, Varga M, Baldwin P, Belenky G e Herscovitch P, (1998).
Dissociated pattern of activity in visual cortices and their projections during human rapid eye movement sleep. Science, 279:91–
95.
Breggin P, (1980). Brain-disabling therapies. In: The psychosurgery debate, ed. E. Valenstein. Freeman.
Brown J, (1972). Aphasia, apraxia, agnosia: Clinical and theoretical aspects. Springfield, III: Thomas CC, 1972.
Brown J, (1985). Frontal lobe syndrome. In: Handbook of clinical neurology, ed. P. Vinken, G. Bruyn & H. Klawans. Elsevier.
Brunet E, Sarfati Y, Hardy-Bayle MC e Decety J, (2000). A PET investigation of the attribution of intentions with a nonverbal
task. Neuroimage, 11:157–166.
Burgess AP e Gruzelier JH, (1997). Short duration synchronization of human theta rhythm during recognition memory.
Neuroreport, 8:1039–1042.
Burgess AP e Gruzelier JH, (2000). Short duration power changes in the EEG during recognition memory for words and faces.
Psychophysiology, 37:596-606.
Burnham MM and Conte C, (2010). Developmental perspective: dreaming across the lifespan and what this tells us.
International Review of Neurobiology, Dreams and Dreaming, 92:47-68.
Burton SA, Harsh JR e Badia P, (1988). Cognitive activity in sleep and responsiveness to external stimuli. Sleep, 11:61–68.
Buzsaki G, (1996). The hippocampo-neocortical dialogue. Cereb. Cortex, 6:81-92.
Caplan JB, Madsen JR, Raghavachari S e Kahana MJ, (2001). Distinct patterns of brain oscillation underlie two basic
parameters of human maze learning. J Neurophysiol, 86:368-380.
Carlson NR, Fisiologia del comportamento, a cura di De Gennaro L, Padova, Piccin Nuova Libraria, 2008, cap. 9.
Carruthers P e Smith P, (1996). Theories of Theories of Mind. Cambridge University Press, Cambridge.
Cartwright RD, (1978). A primer on sleep and dreaming. Wesley Publishing Company, Addison (MA).
Casagrande M e De Gennaro L, (1998). Psicofisiologia del Sonno – Metodi e tecniche di ricerca. Raffaello Cortina Editore,
Ed. 10.
Casagrande M, Violani C, Lucidi F, Buttinelli E, Bertini M, (1996b). Variations in sleep mentation as a function of time of
night. International Journal of Neuroscience 85:19–30.
Casagrande M, Violani C, Vereni F, Lucidi F, Bertini M, (1990). Differences between SO, Stage 2 and REM reports assessed
by a psycholinguistic scale. Sleep Research 19:133.
Cathala H, Laffont F, Siksou M, Esnault S, Gilbert A, Minz M, Moret-Chalmin C, Buzaré M e Waisbord P, (1983).
Sommeil et rêve chez des patients atteints de lésions pariétales et frontales. Revue Neurologique, 139:497–508.
Cavallero C, (2000). REM sleep = dreaming: The never-ending story. Behavioral and Brain Science, 23:916-917.
Cavallero C, Cicogna P, Natale V, Occhionero M, Zito A, (1992). Slow wave sleep dreaming: Dream research. Sleep,
15(2):562-566.
Cavallero C, Foulkes D, Hollifield M, Terri R, (1990). Memory sources of REM and NREM dreams. Sleep, 13:449-455.
Chaminade T e Decety J, (2002). Leader or follower? Involvement of the inferior parietal lobule in agency. Neuroreport,
64
28:1975–1978.
Chase T, Moretti L e Prensky A, (1968). Clinical and electroencephalographic manifestations of vascular lesions of the pons.
Neurology, 18:357–368.
Chellappa SL, Frey S, Knoblauch V e Cajochen C, (2011). Cortical activation patterns herald successful dream recall after
NREM and REM sleep. Biological Psychology, 87:251-256.
Chellappa SL, Munch M, Blatter K, Knoblauch V e Cajochen C, (2009). Does the circadian modulation modify with age?
Sleep, 32:1201-1209.
Chellappa SL, Munch M, Knoblauch V e Cajochen C, (2012). Age effects on spectral electroencephalogram activity prior to
dream recall. J Sleep Res, 21:247-256.
Chou TC, Bjorkum AA, Gaus SE, Lu J, Scammel TE, Saper CB, (2002). Afferents to the ventrolateral preoptic nucleus,
Journal of Neuroscience, 22:977-990. In Carlson NR, Fisiologia del comportamento, a cura di De Gennaro L, Padova, Piccin
Nuova Libraria, 2008, cap. 9.
Cicogna P, Natale V, Occhionero M, Bosinelli M, (1998). A comparison of mental activity during sleep onset and morning
awakening. Sleep, 21(5):462-70.
Clarke LP, (1915). The nature and pathogenesis of epilepsy. New York Medical Journal, 101:522, 567–573, 623–28.
Corbetta M, Miezin FM, Shulman GL e Peterson SE, (1993). A PET study of visuospatial attention. Journal of Neuroscience,
13:1202–26.
Cory TL, Ormiston DW. (1975). Predicting the frequency of dream recall. J Abnorm Psychol. 84:261–266.
Cummings JL e Greenberg R, (1977). Sleep patterns in the “locked in” syndrome. Electroencephalography and Clinical
Neurophysiology, 43:270–271.
Curcio G, Tempesta D, Scarlata S, Marzano C, Moroni F, Rossini PM e De Gennaro L, (2013). Validity of the Italian version
of the Pittsburgh sleep quality index (PSQI). Neurological Sciences, 34(4):511-519.
Datta S, Siwek DF, Patterson EH, Cipolloni PB, (1998). Localization of pontine PGO wave generation sites and their
anatomical projections in the rat. Synapse, 30:409-423. In Arnulf I, (2011). The “scanning hypothesis” of rapid eye movements
during REM sleep: a review of the evidence. Archives Italiennes de Biologie, 149:1-16.
De Gennaro L, Marzano C, Cipolli C e Ferrara M, (2011).
How we remember the stuff that dreams are made of:
Neurobiological approaches to the brain mechanisms of dream recall. Behavioural Brain Research, 7347:1–5.
De Sanctis S, (1896). Il sogni e il sonno. Alighieri.
Dement WC, (1955). Dream reacall and eye movements during sleep in schizophrenics and normal. Journal of Nervous and
Mental Desease, 122(45):263-269.
Dement WC & Kleitman N, (1957b). The relation of eye movements during sleep to dream activity: An objective method for
the study of dreaming. Journal of Experimental Psychology, 53(3):339-346.
Dement W & Wolpert EA, (1958). The relation of eye movements, body motility, and external stimuli to dream content. J Exp
Psychol, 55: 543-553. In Eiser AS, Physiology and Psychology if Dreams. Seminars in Neurology, 25(1):97-105.
De Padova et al., (2005). Dream recall in elderly subjects after spontaneous awakening in laboratory. Proceedings of the World
Association of Sleep Medicine, 1st Congress, Medimond, Berlin, pp. 35-40.
Domhoff GW, (1996). Finding meaning in dreams: A quantitative approach. Plenum Press.
Domhoff GW, (2003). The Scientific Study of Dreams: Neural Networks, Cognitive Development, and Content Analysis.
American Psychological Association, Washington, DC.
Doricchi F e Violani C, (1992). Dream recall in brain-damaged patients: A contribution to the neuropsychology of dreaming
through a review of the literature. In: The neuropsychology of sleep and dreaming, ed. J. S. Antrobus & M. Bertini. Erlbaum.
Efron R, (1968). What is perception? Boston studies in the philosophy of science. Humanities Press.
Eichenlaub JB, Bertrand O, Morlet D e Ruby P, (2013). Brain Reactivity Differentiates Subjects with High and Low Dream
recall Frequencies during Both Sleep and Wakefulness. Cerebral Cortex, 2:1-10.
Eiser AS, Physiology and Psychology if Dreams. Seminars in Neurology, 25(1):97-105.
Ellman SJ, Spielman AJ, Luck D, Steiner SS, Halperin R, (1978/1991). REM deprivation: A review. In: The mind in sleep, ed.
S. J. Ellman & J. S.Antrobus. Erlbaum edition, 1978; Wiley 1991.
65
Endo T, Roth C, Landolt HP, Werth E, Aeschbach D, Achermann P, Borbely AA, (1998). Selective REM sleep deprivation in
humans: Effects on sleep and sleep EEG. American Journal of Physiology 274:R1186–1194.
Ephron HS & Carrington P, (1966). Rapid eye movement sleep and cortical homeostasis. Psychological Review, 73:500-526.
Epstein AW, (1964). Recurrent dreams: Their relationship to temporal lobe seizures. Archives of General Psychiatry, 10:49–54.
Epstein AW, (1967). Body image alterations during seizures and dreams of epileptics. Archives of Neurology, 16:613–619.
Epstein AW, (1979). Effect of certain cerebral hemispheric diseases on dreaming. Biological Psychiatry, 14:77–93.
Epstein AW e Ervin F, (1956). Psychodynamic significance of seizure content in psycho-motor epilepsy. Psychosomatic
Medicine, 18:43–55.
Epstein AW e Freeman N, (1981). The uncinated focus and dreaming. Epilepsia, 22:603–605.
Epstein AW e Hill W, (1966). Ictal phenomena during REM sleep of a temporal lobe epileptic. Archives of Neurology, 15:367–
375.
Epstein E e Simmons N, (1983). Aphasia with reported loss of dreaming. American Journal of Psychiatry, 140:109.
Esposito MJ, Nielsen TA e Paquette T, (2004). Reduced alpha power associated with the recall of mentation from stage 2 and
stage REM sleep. Psychophysiology, 41:288 –297.
Ettlinger G, Warrington E e Zangwill O, (1957). A further study of visual-spatial agnosia. Brain, 80:335–61.
Euston DR, Tatsuno M e McNaughton BL, (2007). Fast-forward playback of recent memory sequences in prefrontal cortex
during sleep. Science. 318:1147–50.
Fagioli I, (2002). Mental activity during sleep. Sleep Medicine Reviews, 6(4):307-320.
Fagioli I, Cipolli C, Baroncini P, Fumai A, Salzarulo P, (1989b). Interserial and Intraserial Interference processes in morning
recall of Mental Sleep Experience. Am. J. Psychol, 102:307-320.
Farah M, Levine D e Calviano D, (1988). A case study of mental imagery deficit. Brain and Cognition, 8:147–64.
Farrell B, (1969). Pat & Roald. Hutchinson.
Farrer C, Franck N, Georgieff N, Frith CD, Decety J e Jeannerod M, (2003). Modulating the experience of agency: a
positron emission tomography study. Neuroimage, 18:324–333.
Fein et al., (1985). Sleep mentation in the elderly. Psychophysiology, 22:218-225.
Feldman MH, (1971). Physiological observations in a chronic case of “locked-in” syndrome. Neurology, 21:459–78.
Feinberg I, (2000). REM sleep: Desperately seeking isomorphism. Behavioral and Brain Science, 23:931-934.
Feinberg I, Evarts EV, (1969). Changing concepts of the function of sleep: Discovery of intense brain activity during sleep calls
for revision of hypothesis as to its function. Biological Psychiatry, 1:331-348.
Ficca et al., (2004). Rapid eye movement activity before spontaneus awakening in elderly subjects. Journal of Sleep Reasearch,
13:49-53.
Fisher C, Byrne JV, Edwards A, Kahn E, (1970a). A psychophysiological study of nightmares. Journal of the American
Psychoanalitic Association, 18:747-782.
Fisher C, Byrne JV, Edwards A, Kahn E, (1970b). REM and NREM nightmares. International Psychiatry Clinics, 7:183-187.
Fisher C, Kahan E, Edwards A e Davis DM, (1973). A psychophysiological study of nightmares and night terrors: I.
Physiological aspects of the Stage 4 night terror. Journal of Nervous and Mental Desease, 157:75-98.
Fletcher PC, Happe F, Frith U, Baker SC, Dolan RJ, Frackowiak RS e Frith CD, (1995). Other minds in the brain: a
functional imaging study of „„theory of mind‟‟ in story comprehension. Cognition, 57:109–128.
Folstein MF, Folstein SE, McHugh PR, (1975). “Mini-mental state”. A practical method for grading the cognitive state of
patients for the clinician. Jouranl of Psychiatric Reasearch, 12(3):189-198.
Fookson J, Antrobus J, (1992). A connectionist model of bizarre thought. The neuropsychology of sleep and dreaming, ed.
Antrobus JS e Bertini M. Erlbaum.
Fosse MJ, Fosse R, Hobson JA e Stickgold RJ, (2003). Dreaming and episodic memory: a functional dissociation? J. Cogn.
Neurosci., 15:1–9.
Foulkes WD, (1962). Dream reports from different stages of sleep. Journal of Abnormal and Social Psychology, 65:14-25.
Foulkes WD, (1966). The psychology of sleep. Charles Scribner’s.
Foulkes WD, (1982a). A cognitive-psychological model of REM dream production. Sleep 5:169–187.
66
Foulkes WD, (1985). Dreaming: A cognitive-psychological analysis. Erlbaum.
Foulkes WD, (1990). Dreaming and consciousness. European Journal of Cognitive Psychology 70(2):39–55.
Foulkes WD, (1993b). Dreaming and REM sleep. Journal of Sleep Research 2:199–202.
Foulkes WD, (1995). Dreaming: Functions and meanings. Impuls 3:8–16.
Foulkes WD, (1997). A contemporary neurobiology of dreaming? Sleep Research Society Bulletin 3(1):2–4.
Foulkes D, Cavallero C, (1993a). Introduction. In: Dreaming as cognition, ed.C. Cavallero & D. Foulkes. Harvester
Wheatsheaf.
Foulkes D, Cavallero C, eds. (1993b). Dreaming as cognition. Harvester Wheatsheaf.
Foulkes D, Schmidt M, (1983). Temporal sequence and unit composition in dream reports from different stages of sleep. Sleep
6:265–80.
Foulkes D & Rechtschaffen A, (1964). Presleep determinants of dream content: Effects of two films. Perceptual and Motor
Skills, 19: 983-1005.
Frank J, (1946). Clinical survey and results of 200 cases of prefrontal leucotomy. Journal of Mental Science, 92:497–508.
Frank J, (1950). Some aspects of lobotomy (prefrontal leucotomy) under psychoanalytic scrutiny. Psychiatry, 13:35–42.
Freud S (1899). Die Traumdeutung, Franz Deuticke, Leipzig & Vienna.
Frith CD, (2001). Mind blindness and the brain in autism. Neuron, 20:969–979.
Funkhouser et al., (1999). Dreams and Dreaming among the elderly: an overview. Aging and Mental Health, 3:10-20.
Garma L, Bouard G e Benoit O, (1981). Age and Insomnia: The number and length of waking periods. Revue
d’électroencéphalographie et de Neurophysiologie Clinique, 11, pp 96-101.
Germain A & Nielsen TA, (1996). Spectral analysis of global 40Hz EEG rhythm during sleep onset imagery and wakefulness.
Sleep Research, 25:135.
Gevins A e Smith ME, (2000). Neurophysiological measures of working memory and individual differences in cognitive ability
and cognitive style. Cereb. Cortex, 10:829-839.
Giambra LM, (1974). Daydreaming across the Life span: Late adolescent to senior citizen. International Journal of aging and
human Development, 5:115-140.
Gloning K e Sternbach I, (1953). Über das Träumen bei zerebralen Herdläsionen. Wiener Zeitschrift für Nervenheilkunde,
6:302–29.
Goodenough DR, Lewis HB, Shapiro A, Sleser I, (1965b). Some correlates of dream reporting following laboratory
awakenings. Journal of Nervous and Mental Disease 140:365–73.
Grenier et al., (1996). The temporal reference of manifest dream content in the elderly: a pilot study. 13th International congress
of the Association for the Study of dreams, July, Berkeley (CA).
Grünstein A, (1924). Die Erforschung der Träume als eine Methode der topischen Diagnostik bei Grosshirnerkrankungen.
Zeitschrift für die gesamte Neurologie und Psychiatrie, 93:416–20.
Habib M e Sigiru A, (1987). Pure topographical disorientation: A definition and anatomical basis. Cortex, 23:73–85.
Hall CS e Nordby V, (1972). The individual and his dreams. New York: New American Library.
Hall CS e Van de Castle RL, (1966). The Content Analysis of Dreams. Appleton-Century-Croft, New York. In Schredl M,
(2010). Characteristics and contents of dreams. International Review of Neurobiology, 92:135-154.
Hamilton M, (1960). A rating scale for depression. J Neurol Neurosurg Psychiatry, 23:56–62.
Hartmann E, (1991). Boundaries in the Mind: A new psychology of Personality. Basic Books, New York.
Hartmann E, Russ D, Oldfield M, Falke R e Skoff B, (1980). Dream content: Effects of L-DOPA. Sleep Research, 9:153.
Hobson JA, (1988b). The dreaming brain: How the brain creates both the sense and the nonsense of dreams. Basic Books.
Hobson JA, (1992b). Sleep and dreaming: Induction and mediation of REM sleep by cholinergic mechanisms. Current Opinions
in Neurobiology, 2:759–63.
Hobson JA, (1997b). Dreaming as delirium: A mental status analysis of our nightly madness. Seminars in Neurology 17:121–28.
Hobson JA, (2009). REM sleep and dreaming: towards a theory of protoconsciousness. Nature Reviews Neuroscience, 10:803814.
Hobson JA, Lydic R, Baghdoyan HA, (1986). Evolving concepts of sleep cycle generation: from brain centers to neuronal
67
populations. Behavioral and Brain Science, 9:371-448.
Hobson JA & McCarley RW, (1977). The brain as a dream state generator: An activation-synthesis hypothesis of the dream
process. American Journal of Psychiatry, 134:1335–1348.
Hobson JA, McCarley RW, Wyzinski PW, (1975). Sleep cycle oscillation: reciprocal discharge by two brainstem neuronal
groups. Science, 189:55-8.
Hobson JA & Pace-Schott EF, (2002). The cognitive neuroscience of sleep: neuronal system, consciousness and learning. Nat.
Rev. Neurosci. 3(9):679-693.
Hobson JA, Pace-Schott EF, Stickgold R e Kahn D, (1998a). To dream or not to dream? Relevant data from new neuroimaging
and electrophysiological studies. Current Opinion in Neurobiology, 8:239–44.
Hobson J, Pace-Schott E e Stickgold R, (2003). Dreaming and the brain: toward a cognitive neuroscience of conscious states.
In: Pace-Schott E., Solms M., Blagrove M. and Harnad S. (Eds.), Sleep and Dreaming. Cambridge University Press, Cambridge,
pp. 1–50.
Hobson JA, Stickgold R e Pace-Schott EF, (1998b). The neuropsychology of REM sleep dreaming. NeuroReport, 9:R1–14.
Hobson JA, Pace-Schott EF, Stickgold R, (2000). Dreaming and the brain: Toward a cognitive neuroscience of conscious
states. Behavioral and Brain Science, 23:793-1121.
Hobson JA & Stickgold R, (1994a). Dreaming: A neurocognitive approach. Consciousness and Cognition 3:1–15.
Hobson JA, Stickgold, R, Pace-Schott E, (1998b). The neuropsychology of REM sleep dreaming. NeuroReport 9:R1–14.
Horne J, Perché dormiamo. Le funzioni del sonno negli esseri umani e negli altri mammiferi, a cura di Canestrari R e Cipolli C,
Roma, Armando, 1993, pp. 10-16, pp. 12-18, pp. 303-311.
Humphrey M e Zangwill O, (1951). Cessation of dreaming after brain injury. Journal of Neurology, Neurosurgery and
Psychiatry, 14:322–25.
Janz D, (1974). Epilepsy and the sleep-waking cycle. In: Handbook of clinical neurology, ed. P. Vinken & G. Bruyn. Elsevier.
Ji D e Wilson MA, (2006). Coordinated memory replay in the visual cortex and hippocampus during sleep. Nat Neurosci,
10:100–7.
Jones BE, (1979). Elimination of paradoxical sleep by lesions of the pontine gigantocellular tegmental field in the cat.
Neuroscience Letters, 13:285–93.
Jouvet M, (1962). Recherches sur les structures nerveuses et les mécanismes responsables des differentes phases du sommeil
physiologique. Archives Italiennes de Biologie, 100:125–206.
Jus A, Jus K, Villeneuve A, Pires A, Lachane R, Fortier J e Villeneuve R, (1973). Studies on dream recall in chronic
schizophrenic patients after prefrontal lobotomy. Biological Psychiatry, 6:275–93.
Kahana MJ, Seelig D e Madsen JR, (2001). Theta returns. Current Opinion in Neurobiology, 11:739–744.
Kahana MJ, Sekuler R, Caplan JB, Kirschen M e Madsen JR, (1999). Human theta oscillations exhibit task dependence
during virtual maze navigation. Nature, 399:781-784.
Kahn E, Fisher C, Edwards A, (1991). Night terrors and anxiety dreams. In: The mind in sleep: Psychology and
psychophysiology, ed. S. J.Ellman & J. S. Antrobus. Wiley.
Kahn E, Fisher C e Liberman L, (1969). Dream recall in the normal aged. Journal of the American Geriatrics Society,
17:1121-1126.
Kales A, Hoedemaker FS, Jacobson A, Kales JD, Paulson MJ, Wilson TE, (1967). Mentation during sleep: REM and NREM
recall reports. Perceptual and Motor Skills, 24:555-560.
Kandel ER, (1991). Disorders of thought: Schizophrenia. In: Principles of neural science, ed. E. Kandel, J. Schwartz & T. Jessel.
Appleton & Lange.
Kandel ER, (1998). A new intellectual framework for psychiatry. American Journal of Psychiatry, 155(4):457–69.
Kaplan-Solms K e Solms M, (2000). Clinical Studies in Neuro-Psychoanalysis. London: Karnac Books.
Kardiner A, (1932). The bio-analysis of the epileptic reaction. Psychoanalytic Quarterly, 1:375–83.
Kellaway P e Frost J, (1983). Biorhythmic modulation of epileptic events. In: Recent advances in epilepsy I, ed. T. Pedley & B.
Meldrum. Chuchill Livingstone.
Kerr NH, Foulkes D e Jurkovic G, (1978). Reported absence of visual dream imagery in a normally sighted subject with
68
Turner‟s syndrome. Journal of Mental Imagery, 2:247–64.
Khader PH e Rӧsler F, (2010). EEG power changes reflect distinct mechanisms during long-term memory retrieval.
Psychophysiology, 48(3):362–369.
Klimesch W, (1999). EEG alpha and theta oscillations reflect cognitive and memory performance: a review and analysis. Brain
Research Reviews, 29:169–195.
Klimesch W, Doppelmayr T, Pachinger H e Ripper B, (1997a). Brain oscillations and human memory performance: EEG
correlates in the upper alpha and theta bands, Neurosci. Lett, 238:9–12.
Klimesch W, Doppelmayr T, Schimke H e Ripper B, (1997c). Theta synchronization in a memory task. Psychophysiology,
34:169–176.
Klimesch W, Doppelmayr M, Stadler W, Pӧllhuber D, Sauseng P e Rӧhm D, (2001a). Episodic retrieval is reflected by a
process specific increase in human electroencephalographic theta activity. Neuroscience Letters, 302:49–52.
Koulack D e Goodenough DR, (1976). Dream recall and dream recall failure: an arousal-retrieval model. Psychol Bull. 83:975–
984
Kudrimoti HS, Barnes CA e McNaughton BL, (1999). Reactivation of hippocampal cell assemblies: effects of behavioral
state, experience, and EEG dynamics. J Neurosc, 19:4090–101.
Kusse C, Shaffii LE, Bourdiec A, Schrouff J, Matarazzo L e Maquet P, (2012). Experience-dependent induction of
hypnagogic images during daytime naps: a combined behavioural and EEG study. J Sleep Res. 21:10–20.
Laureys S, Peigneux P, Phillips C, Fuchs S, Degueldre C, Aerts J, et al., (2001). Experience-dependent changes in cerebral
functional connectivity during human rapid eye movement sleep. Neuroscience, 105:521–5.
Lavie P, Pratt H, Scharf B, Peled R e Brown J, (1984). Localized pontine lesion: Nearly total absence of REM sleep.
Neurology, 34:118–20.
Lee AK e Wilson MA, (2002). Memory of sequential experience in the hippocampus during slow wave sleep. Neuron, 36:1183–
94.
Levine B, Black SE, Cabeza R, Sinden M, McIntosh AR, Toth JP, Tulving E e Stuss DT, (1998). Episodic memory and the
self in a case of isolated retrograde amnesia. Brain, 121(Pt 10):1951–1973.
Lehmann H e Hanrahan G, (1954). Chlorpromazine, a new inhibiting agent for psychomotor excitement. Archives of Neurology
71:227–37.
Lovblad KO, Thomas R, Jakob PM, Scammell T, Bassetti C, Griswold M, Ives J, Matheson J, Edelman RR e Warach S,
(1999). Silent functional magnetic resonance imaging demonstrates focal activation in rapid eye movement sleep. Neurology
53:2193–95.
Lugaresi E, Universo del Corpo, 2000, in Treccani.it. http://goo.gl/voAdYN
Lyman R, Kwan S e Chao W, (1938). Left occipito-parietal tumour with observations on alexia and agraphia in Chinese and in
English. Chinese Medical Journal, 54:491–516.
Madsen PC, Holm S, Vorstup S, Friberg L, Lassen NA e Wildschiodtz LF, (1991a). Human regional cerebral blood flow
during rapid eye movement sleep. Journal of Cerebral Blood Flow and Metabolism, 11:502–507.
Mamelak AN & Hobson J, (1989a). Dream bizarreness as the cognitive correlate of altered neuronal behavior in REM sleep.
Journal of Cognitive Neuroscience 1:201–22.
Maquet P, (2000). Functional neuroimaging of normal human sleep by positron emission tomography. J. Sleep Res., 9: 207–231.
Maquet P e Franck G, (1997). REM sleep and amygdala. Mol. Psychiatr., 2:195–196.
Maquet P, Peters JM, Aerts J, Delfiore G, Degueldre C, Luxen A e Franck G, (1996). Functional neuroanatomy of human
rapid-eye-movement sleep and dreaming. Nature, 383(6596):163–66.
Maquet P, Ruby P, Maudoux A, Albouy G, Sterpenich V, Dang-Vu T, Desseilles M, Boly M, Perrin F, Peigneux P e
Laureys S, (2005). Human cognition during REM sleep and the activity profile within frontal and parietal cortices: a reappraisal
of functional neuroimaging data. Progress in Brain Research, 150(16):219-227.
Markand O e Dyken M, (1976). Sleep abnormalities in patients with brain stem lesions. Neurology, 26:769–76.
Marzano C, Ferrara M, Mauro F, Moroni F, Gorgoni M, Tempesta D, Cipolli C e De Gennaro L, (2011). Recalling and
Forgetting Dreams: Theta and Alpha Oscillations during Sleep Predict Subsequente Dream Recall. The Journal if Neuroscience,
69
31(18):6674-6683.
Mazzoni G et al., (1999). Word recall correlates with sleep cycles in elderly subjects. Journal of Sleep research, 8:185-188.
Mc Carley RW & Massaquoi SG, (1986). A limit cycle interaction model of the REM sleep oscyllator system. American
Journal of Physiology, 251:1011-29.
McGinty DJ & Szymusiak R. (2004). Sleep-Promoting Mechanism in Mammals. In: Kryger MH, Roth T, Dement WC (eds).
Principles and Practice of Sleep Medicine, Fourth Edition. Elsevier Saunders, Philadelphia, 2004. pp.169-184.
McNamara P, Johnson P, McLaren D, Harris E, Beauharnais C, and Auerbach S, (2010). REM and NREM sleep
mentation. International Review of Neurobiology, Dreams and Dreaming, 92:70-86.
Merritt JM, Stickgold R, Pace-Schott E, Williams J, Hobson JA, (1994). Emotion profiles in the dreams of men and women.
Consciousness and Cognition 3:46–60.
Michel F e Sieroff E, (1981). Une approche anatomo-clinique des deficits de l‟imagerie oreirique, est-elle possible? In: Sleep:
Proceedings of an international colloquium. Carlo Erba Formitala.
Moffitt A, (1995). Dreaming: Functions and meanings. Impuls, 3:18-31.
Mӧlle M, Marshall L, Fehm HL e Born J, (2002). EEG theta synchronization conjoined with alpha desynchronization indicate
intentional encoding. European Journal of Neuroscience,15:923–928.
Moss CS, (1972). Recovery with aphasia: The aftermath of my stroke. Illinois University Press.
Murri L, Arena R, Siciliano G, Mazzotta R e Muratorio A, (1984). Dream recall in patients with focal cerebral lesions.
Archives of Neurology, 41:183– 85.
Murri L, Massetani R, Siciliano G e Arena R, (1985). Dream recall after sleep interruption in brain-injured patients. Sleep,
8:356–62.
Nausieda P, Weiner W, Kaplan L, Weber S e Klawans H, (1982). Sleep disruption in the course of chronic levodopa therapy:
An early feature of the levedopa psychosis. Clinical Neuropharmacology, 5:183–94.
Naville F e Brantmay H, (1935). Contribution à l‟étude des équivalents épileptiques chez les enfant. Archives Suisses de
Neurologie et de Psychiatrie, 35:96–122.
Neal P, (1988). As I am. Century.
Nielsen TA, (1955). Occipital lobes, dreams and psychosis. Journal of Nervous and Mental Diseases, 121:50–52.
Nielsen TA, (1999). Mentation during sleep. The NREM/REM distinction. In: Handbook of behavioral state control. Cellular
and molecular mechanism, ed. R. Lydic & H.A. Bagjdoyan. CRC Press.
Nielsen TA, (2000). A review of mentation in REM and NREM sleep: “Covert” REM sleep as a possible reconciliation of two
opposing models. Behavioral and Brain Science, 23:739-1121.
Nielsen TA, Deslauries D, Baylor GW, (1991). Emotions in dream and waking event reports. Dreaming, 1:287-300.
Nielsen TA, Germain A, Ouellet L, (1995). Atonia-signalled hypnagogic imagery: Comparative EEG mapping of sleep onset
transitions, REM sleep and wakefulness. Sleep Research, 24:133.
Nielsen TA, Kuiken D, Hoffmann R, Moffitt A, (2001). REM and NREM sleep mentation differences: a question of story
structure? Sleep Hypnosis, 3(1):9-17.
Nir Y, Tononi G, (2009). Dreaming and the brain: from phenomenology to neurophysiology. Trends in Cognitive Sciences,
14(2):88-100.
Nofzinger EA, Mintun MA, Wiseman MB, Kupfer DJ e Moore RY, (1997). Forebrain activation in REM sleep: An FDG PET
study. Brain Research, 770:192–201.
Nyhus e Curran, (2010). Functional role of gamma and theta oscillations in episodic memory. Neurosci Biobehav Rev, 34:10231035.
O’Neill J, Pleydell-Bouverie B, Dupret D e Csicsvari J, (2010). Play it again: reactivation of waking experience and memory.
Trends Neurosci, 33:220–229.
Osorio I e Daroff R, (1980). Absence of REM and altered NREM sleep in patients with spinocerebellar degeneration and slow
saccades. Annals of Neurology, 7:277–280.
Ostow M, (1954). Psychodynamic disturbances in patients with temporal lobe disorder. Journal of the Mount Sinai Hospital,
20:293–308.
70
Pace-Schott EF, Stickgold R, Hobson JA, (1997a). Memory processes within dreaming: An affirmative probe for intra-state
dreaming and waking memory events. Sleep Research, 26:276.
Peña-Casanova J, Roig-Rovira T, Bermudez A e Tolosa-Sarro E, (1985). Optic aphasia, optic apraxia, and loss of dreaming.
Brain and Language, 26:63–71.
Panksepp J, (1985). Mood changes. In: Handbook of clinical neurology 45, ed. P. Vinken, G. Bruyn & H. Klawans. Elsevier.
Panksepp J, (1998a/1999). Affective neuroscience: The foundations of human and animal emotions. Oxford University Press,
1998 Academic Press,1999.
Partridge M, (1950). Pre-frontal leucotomy: A survey of 300 cases personally followed for 1– 3 years. Blackwell.
Peigneux P, Laureys S, Fuchs S, Collette F, Perrin F, Reggers J, et al., (2004). Are spatial memories strengthened in the
human hippocampus during slow wave sleep? Neuron, 44:535–45.
Penfield W, (1938). The cerebral cortex in man. I: The cerebral cortex and consciousness. Archives of Neurology and Psychiatry,
40:417–42.
Penfield W e Erickson T, (1941). Epilepsy and cerebral localization. Charles Thomas.
Penfield W e Rasmussen T, (1955). The cerebral cortex of man. Macmillan.
Perneger TV, (1998). What is wrong with Bonferroni adjustments. BMJ, 136:1236 –1238.
Phan K, Wager T, Taylor S e Liberzon I, (2002). Functional neuroanatomy of emotion: A meta-analysis of emotion activation
studies in PET and fMRI. Neuroimage, 16:331–348.
Piehler R, (1950). Über das Traumleben leukotomierter (Vorläufige Mitteilung). Nervenärzt, 21:517–21.
Pivik RT, (1991). Tonic states and phasic events in relation to sleep mentation. In: The Mind in Sleep: Psychology and
Psychophysiology. Ellman SJ, Antrobus JS, eds. 2nd ed. New York: John Wiley & Sons; 1991:214-247.
Polyn SM e Kahana MJ, (2008). Memory search and the neural representation of context. Trends in Cognitive Sciences, 12:24–
30.
Porte HS, (1997). Slower eye movement in sleep. Sleep Research, 26:253.
Pylyshyn ZW, (1989). Computing in cognitive science. In: Foundations of cognitive science, ed. Posner MI. MIT Press.
Rechtschaffen A & Kales A, (1968). A manual of standardized terminology, techniques and scoring system for sleep stages of
human subjects. Brain Information Service/Brain Research Institute, University of California at Los Angeles.
Rechtschaffen A, Verdone P, Wheaton J, (1963a). Reports of mental activity during sleep. Canadian Psychiatric Association
Journal (Canadian Psychiatry), 8:409-414.
Rechtschaffen A, Vogel G, Shaikun G, (1963b). Interrelatedness of mental activity during sleep. Archives of General
Psychiatry, 9:536-547.
Reinsel R, Antrobus JS, Wollman M, (1992). Bizarreness in dreams and waking fantasy. The neuropsychology of sleep and
dreaming, ed. Antrobus JS e Bertini M. Erlbaum.
Rhawn e Joseph, (2000). Chapter 3: The Left Hemisphere. Neuropsychiatry, Neuropsychology, Clinical Neuroscience.
Academic Press, New York http://www.brainmind.com/LeftHemisphere.html
Ritchie D, (1959). Stroke: A diary of recovery. Faber & Faber.
Rodin E, Mulder D, Faucett R e Bickford R, (1955). Psychologic factors in convulsive disorders of focal origin. Archives of
Neurology, 74:365–74.
Role L e Kelly J, (1991). The brain stem: Cranial nerve nuclei and the monoaminergic systems. In: Principles of neural science,
ed. E. Kandel, J. Schwartz & T. Jessel. Appleton & Lange.
Roffwarg H, Bowe-Anders C, Tauber E, and Herman J, (1975). Dream Imagery: the effect of long term perceptual
modification. Sleep Research, 4:164.
Rosenblatt SI, Antrobus JS, Zimler JP, (1992). The effect of postawekening differences in activation on the REM-NREM
report and recall information from films. The neuropsychology of sleep and dreaming, ed. Antrobus JS e Bertini M. Erlbaum.
Rosenlicht N, Maloney T, Feinberg I, (1994). Dream report length is more dependent on arousal level than prior REM duration.
Brain research Bulletin, 34:99-101.
Ruby P e Decety J, (2001). Effect of subjective perspective taking during simulation of action: a PET investigation of agency.
Nat. Neurosci., 4:546–550.
71
Ruby P e Decety J, (2003). What you believe versus what you think they believe: A neuroimaging study of conceptual
perspective-taking. Eur. J. Neurosci., 17(11):2475–2480.
Ruby P e Decety J, (2004). How would you feel versus how do you think she would feel? A neuroimaging study of perspectivetaking with social emotions. J. Cogn. Neurosci., 16:988–999.
Rugg MD, Otten LJ e Henson RN, (2002). The neural basis of episodic memory: evidence from functional neuroimaging. Phil.
Trans. R. Soc. Lond. B Biol. Sciences, 357:1097–1110.
Sacks O, (1985/1987). The man who mistook his wife for a hat. Duckworth. Harper & Row, 1987.
Sacks O, (1990). Awakenings. Harper Collins.
Sacks O, (1991). Neurological dreams. MD February: 29–32.
Salzarulo et al., (1991). Sleep stages preceding spontaneous awakrnings in the elderly. Sleep Research Online, 2:73-77.
Salzarulo et al., (1997). Functional Uncertainty, Aging and Memory Processes during sleep. Acta Neurologica Belgica, 97:118122.
Salzarulo P & Ficca G, La mente nel sonno, Laterza, Roma-Bari, 2004, cap. 3, Il sogno, pp. 30-71.
Salzarulo P e Giganti F, (2011). L‟anziano e il sonno. Carrocci editore, Roma, capp. 2 e 7.
Sankoh AJ, Huque MF, Dubey SD, (1997). Some comments on frequently used multiple endpoint adjustments methods in
clinical trials. Stat Med, 16:2529 –2542.
Saper CB, Chou TC, Scammell TE, (2001). The sleep switch: Hypothalamic control of sleep and wakefulness. Trends in
Neuroscience, 24: 726-731. In Carlson, NR, Fisiologia del comportamento, a cura di De Gennaro L., Padova, Piccin Nuova
Libraria, 2008, cap. 9.
Scharf B, Moskowitz C, Lupton M e Klawans H, (1978). Dream phenomena induced by chronic Levodopa therapy. Journal of
Neural Transmission, 43:143–51.
Schindler R, (1953). Das Traumleben der Leukotomierten. Wiener Zeitschrift fur Nervenheilkunde, 6:330.
Schredl M, (2002-03). Factors influencing the gender difference in dream recall frequency. Imag. Cog. Pers., 22:33–39.
Schredl M, (2003). Continuity between waking and dreaming: a proposal for a mathematical model. Sleep Hypn, 5:26–40.
Schredl M, (2008). Dreams in patients with sleep disorder. Sleep Medicine Reviews, 1-7.
Schredl M, (2010). Characteristics and contents of dreams. International Review of Neurobiology, 92:135-154.
Schredl M & Doll E, (1998b). The stability and variability of dream content. Percept. Mot. Skills, 86:733-734. In Schredl M,
(2010). Characteristics and contents of dreams. International Review of Neurobiology, 92:135-154.
Schredl M & Doll E, (2001). Dream recall, attitude towards dreams and mental health. Sleep Hypn, 3:135–143.
Schredl M, Funkhouser AT, Cornu CM, Hirsbrunner HP, Bahro M, (2001). Reliability in Dream Research: A
Methodological Note. Consciousness and Cognition, 10:496–502.
Schredl M e Low H, (1994). Traumerleben von alteren Menschen – Teil 1: Literaturubersicht und Entwicklung einer
Fragestellung. Zeitsschrift fur Gerontopsychologie und – Psychiatrie, 7:109-116.
Schredl M, Wittmann L, Ciric P, Gotz S, (2003). Factors of home dream recall: a structural equation model. J Sleep Res,
12:133-141.
Sederberg PB, Kahana MJ, Howard MW, Donner EJ e Madsen JR, (2003). Theta and gamma oscillations during encoding
predict subsequent recall. The Journal of Neuroscience, 23:10809–10814.
Snyder H, (1958). Epileptic equivalents in children. Pediatrics, 18:308–318.
Snyder F, Karacan I, Thorp U, Scott J, (1968). Phenomenology of REM dreaming. Psychophysiology 4:375.
Solms M, (1997a). The neuropsychology of dreams: A clinico-anatomical study. Erlbaum
Solms M, (1997b) What is consciousness? Journal of the American PsychoanalyticAssociation, 45:681–778.
Solms M, (2000). Ongoing commentary on J. A. Hobson‟s, “The new neuropsychology of sleep: Implications for
psychoanalysis.” Neuropsychoanalysis 2. (in press). www.neuro–psa.com
Solms M, (2000). Dreaming and REM sleep are controlled by different brain mechanisms. Behavioral and Brain Science,
23:793–1121.
Solms M e Saling M, (1986). On psychoanalysis and neuroscience: Freud's attitude to the localizationist tradition. International
Journal of Psycho-Analysis, 67:397-416.
72
Solomonova E, Paquette T, Stenstrom P e Nielsen T, (2011). Different 10-day temporal patterns of dreams about sleep
laboratory and virtual reality maze experiences: associates with temporally patterned changes in dreamed locus of control. Sleep
Med. 12 Suppl 1:S124.
Spielberger CD, Gorsuch RL, Lushene R, Vagg PR e Jacobs GA, (1983). Manual for the State-Trait Anxiety Inventory. Palo
Alto, CA: Consulting Psychologists Press.
Steriade M e McCarley RW, (1990). Brainstem Control of Wakefulness and Sleep. Plenum Press, New York.
Stickgold R, (1998). Sleep: Off-line memory reprocessing. Trends in Cognitive Science. 2:484-92.
Stickgold R, James L, Hobson JA, (2000a). Visual discrimination learning requires sleep after training. Nat Neurosci. 3:1237–
8.
Stickgold R, Pace-Schott EF, Hobson JA, (1994a). A new paradigm for dream research: Mentation reports following
spontaneous arousal from REM and NREM sleep recorded in a home setting. Consciousness and Cognition.
Stickgold R, Pace-Schott EF, Hobson JA, (1997a). Subjective estimates of dream duration and dream recall process. Sleep
Research, 26:279.
Stickgold R, Rittenhouse C, Hobson JA, (1994b). Dream splicing: A new technique for assessing thematic coherence in
subjective reports of mental activity. Consciousness and Cognition 3:114–28.
Stickgold R, Sangodeyi F, Hobson JA, (1997b). Judges cannot identify thematic coherence in dream reports with
discontinuities. Sleep Research 26:278.
Stickgold R, Whidbee D, Schirmer B, Patel V, Hobson JA, (2000b). Visual discrimination task improvement: A multi-step
process occurring during sleep. Journal of Cognitive Neuroscience 12:246–54.
Strauch I, Meier B, (1996). In search of dreams. Results of experimental dream research. State University of New York Press.
von Stein A, Rappelsberger P, Sarnthein J, Petsche H, (1999). Synchronization between temporal and parietal cortex during
multimodal object processing in man. Cereb Cortex 9:137–150.
Strunz F, (1988). Die kultivierung der traumerinnerung – Ein instrument psychischer hygiene. Pravention, 11:67-70.
Strunz F, (1993). Traumen in Alter: Bestand und Nutzung. Gesundheits-Wesen, 55:595-601.
Thomayer J, (1897). Sur la signification de quelques rêves. Revue Neurologique, 5:98–101.
Timofeev I, Grenier F, Steriade M, (2001). Disfacilitation and active inhibition in the neocortex during the natural sleep-wake
cycle: an intracellular study. Proceeding of the National Academy of Sciences of the United States of America, 98(4):1924-1929),
Tulving E, (2004). Episodic memory: from mind to brain. Rev. Neurol. (Paris), 160:S9–S23.
Vignatelli L, Plazzi G, Barbato A, Ferini-Strambi L, Manni R, Pompei F e D'Alessandro R, (2003). Italian version of the
Epworth sleepiness scale: external validity. Neurological Sciences, 23(6):295-300.
Wamsley EJ, (2014). Dreaming and Offline Memory Consolidation. Curr Neurol Neurosci Rep, 14:433.
Wamsley EJ, Nguyen N, Tucker M, Olsen A e Stickgold R, (2012). EEG correlates of overnight memory consolidation in a
virtual navigation task. Sleep, 35(Abstr Suppl):A86
Wamsley EJ, Perry K, Djonlagic I, Reaven LB e Stickgold R, (2010a). Cognitive replay of visuomotor learning at sleep onset:
temporal dynamics and relationship to task performance. Sleep. 33:59–68.
Wamsley EJ e Stickgold R, (2011). Memory, Sleep and Dreaming: Experiencing Consolidation. Sleep Med Clin, 6:97-108.
Wamsley EJ, Tucker M, Payne JD, Benavides JA e Stickgold R. (2010b). Dreaming of a learning task is associated with
enhanced sleep dependent memory consolidation. Curr Biol. 20:850–855.
Wapner W, Judd T e Gardner H, (1978). Visual agnosia in an artist. Cortex, 14:343–64.
Waterman D (1991). Aging and memory of dreams. Perceptual and Motor Skills, 73:355-365.
Waterman D, Elton M, Kenemans JL, (1993). Methodological issues affecting the collection of dreams. Journal of Sleep
Research 2:8–12.
Weisz R, (1969). Dreams of the Aged: an EEG study. Sleep Study Abstract, 6: 267.
Whitten TA, Hughes AM, Dickson CT e Caplan JB, (2010). A better oscillation detection method robustly extracts EEG
rythms across brain state changes: the human alpha rhythm as a test case. Neuroimage, 54:860-874.
Williams J, Merritt J, Rittenhouse C, Hobson JA, (1992). Bizarreness in dreams and fantasies: Implications for the activationsynthesis hypothesis. Consciousness and Cognition, 1: 172–185. In Salzarulo P, Ficca G, La mente nel sonno, Laterza, Roma-
73
Bari, 2004, cap. 3, Il sogno, pp. 30-71.
Wolpert EA, Trosman H, (1958). Studies in psychophysiology of dreams I. Experimental evocation of sequential dream
episodes. American Association Archives of Neurology and Psychiatry 79:603–606.
Zadra AL, Nielsen TA, Donderi DC, (1998). Prevalence of auditory, olfactory, and gustatory experiences in home dreams.
Perceptual and Motor Skills 87(3):819–826.
Zepelin H, (1973). A Survey of age differences in sleep patterns and dreams recall among well-educated Men and Women.
Journal of Sleep Research, 2:81.
74