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la Scienza al servizio dell’Uomo e dell’Ambiente green 26 APRILE 2012 Periodico quadrimestrale on-line d’informazione edito dal Consorzio Interuniversitario Nazionale “La Chimica per l’Ambiente” (INCA) anno VII - N.26 aprile 2012 - distribuzione gratuita www.green.incaweb.org Sfruttamento delle microalghe green tra realtà e prospettive La nutraceutica dell’olio evo I benefici dell’extravergine Storia dell’amianto Tra utilità e letalità nanotecnologie e medicina Dal drug-delivery ai MEMS Olimipiadi della scienza a Conclusa la 6 edizione Editoriale Editoriale di Fulvio Zecchini Green 2.0 Cari lettori, è primavera, tempo di rinascita, ed eccoci qui a presentarvi il primo numero del nostro giornale realizzato con le nuove modalità che vi avevamo già anticipato. Innanzitutto ora viene realizzata la sola versione online in pdf, per questo potremmo parlare di Green 2.0, come fosse una sorta di nuova versione di un software open source, aperto a tutti sia a livello di consultazione che di contribuzione. Negli ultimi tempi abbiamo ricevuto molte proposte di articoli attraverso il nostro sito, alcune delle quali hanno trovato spazio su questo numero. Chi fosse interessato può consultare la sezione “Collabora con noi” al link: http://incaweb.org/green/ autori/index.htm La periodicità è ora quadrimestrale (tre numeri all’anno) e la distribuzione diventa gratuita, tutta la rivista sarà scaricabile da www.green.incaweb.org A breve cominceremo a rendere disponibili online tutti gli articoli dei numeri pubblicati partendo dal 25 del dicembre 2011 per poi arrivare al n. 8 del settembre 2007, mentre per quelli dall’1 al 7 è già disponibile il download libero di tutti i pezzi. Per quanto concerne l’inserto “accademico” di cui si parlava nel n. 25, esso appare già in questo numero, ma è ben mimetizzato. Il segreto è presto svelato: trattasi del pezzo sulle proprietà nutraceutiche dell’olio extravergine d’oliva, il quale rappresenta un adattamento a Green della pubblicazione dei risultati di alcuni studi dell’Unità di Ricerca Palermo 2 (chimica agraria) del Consorzio INCA, il nostro editore. Un altro contributo eccellente arriva dall’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. Si parla dei possibili utilizzi delle microalghe a partire dal loro uso come integratori alimentari, passando per la mangimistica in acquacoltura, per arrivare alla produzione di energia. Quest’ultima potenziale applicazione attualmente è resa impossibile dallo svantaggioso costo tra rese e costi. Completano il numero un’interessante pezz o sull’amianto, molto utilizzato in passato e oggi bandito per la sua pericolosità, e una panoramica sull’intrigante uso delle nanotecnologie in campo medico. Finiamo poi con il resoconto della cerimonia di premiazione della sesta edizione delle Olimpiadi della Scienza - Premio Green Scuola (a.s. 2010/2011), col quale vogliamo anche rendere giusto merito all’impegno di tutti coloro che hanno inviato un progetto per la competizione, a tutti loro va il nostro sentito grazie. Cogliamo l’occasione per invitarvi a partecipare all’edizione in corso, anche se la scadenza per l’invio degli elaborati è molto vicina: il 31 maggio 2012. Buona lettura Partecipate numerosi! È aperto il bando della settima edizione delle Olimpiadi della Scienza - Premio Green Scuola (a.s. 2011/2012): “Prevenire è meglio che curare. La tutela dell’ambiente e della salute attraverso l’analisi del ciclo di vita dei composti chimici e dei processi produttivi”. Tutte le informazioni e la documentazione necessaria su: http://incaweb.org/green/pgsVIIed/index.htm Scadenza invio eleborati: 31 maggio 2012 la Scienza al servizio dell’Uomo e dell’Ambiente green 26 APRILE 2012 green SOMMARIO Periodico quadrimestrale on-line d’informazione edito dal Consorzio Interuniversitario Nazionale “La Chimica per l’Ambiente” (INCA) in collaborazione con la Società Chimica Italiana (SCI) Direttore responsabile Fulvio Zecchini La nutriceutica dell’olio evo g Le proprietà nutrizionali e benefiche dell’olio extravergine d’oliva L’amianto, quando utilità fa rima con letalità 4 13 green 19 • E se il cioccolato ci aiutasse a restare in forma? • Il superlaser che accende la fusione (Università “La Sapienza” di Roma) Past-President della SCI sezione Lazio (Università di Verona) Presidente del Consorzio INCA 29 Giovanni SARTORI (Università di Parma) Consiglio Scientifico del Consorzio INCA Corrado SARZANINI 35 (Università di Torino) Presidente della Divisione di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali della SCI Ferruccio TRIFIRÒ Si è conclusa l’edizione 2010/2011 delle Olimpiadi della Scienza - Premio Green Scuola News - Futuro & Futuribile Armandodoriano BIANCO Franco CECCHI Ecco alcune fra le più promettenti applicazioni nanotech per la tutela della salute Quando i giovani diventano amici della chimica (Università di Pavia) Consiglio Scientifico del Consorzio INCA e Coordinatore del Gruppo Interdivisionale di Green Chemistry della SCI (Scuola Normale di Pisa) Presidente della SCI I possibili usi delle microalghe, in particolare nel settore energetico Nanotecnologie e medicina: dal drug delivery ai MEMS Comitato scientifico Angelo Albini Vincenzo BARONE La storia di un prodotto naturale di vasto impiego che si è rivelato fatale Sfruttamento delle microalghe: tra realtà e prospettive Consorzio INCA (Università di Bologna) Direttore de “La Chimica e l’Industria” edita dalla SCI 44 Quando l’uomo migliora la natura Un bellissimo cultivar di margherita africana del genere Osteospermum, denominato “Pink whirls”, spirali rosa. È un eclatante esempio di come l’uomo modifichi fiori e piante per adeguarli ai propri scopi; una pratica di cui oggi conosciamo non solo i benefici, ma anche i potenziali pericoli per l’ambiente e la salute. [Immagine: Jon Sullivan, Wikipedia Commons, 2003] Luigi CAMPANELLA (Università “La Sapienza” di Roma) Consulente esterno, Coordinatore del Consiglio Scientifico del Consorzio INCA Direzione, redazione e amministrazione Rivista Green c/o Consorzio INCA Via delle Industrie, 21/8 30175 Venezia - Marghera Tel.: (+39) 041 532-1851 int. 101 Fax: (+39) 041 259-7243 Registrazione al Tribunale di Venezia n° 20 del 15 luglio 2006 Progetto grafico e impaginazione Publileo s.r.l. [email protected] Distribuzione gratuita Per informazioni www.green.incaweb.org [email protected] Fax: (+39) 041 259-7243 © Consorzio INCA, 2006 - 2012 Tutti i diritti sono riservati. La presente pubblicazione, tutta o in parte, non può essere riprodotta o trasmessa in nessuna forma e con nessun mezzo, senza l’autorizzazione scritta dell’editore. L’editore, nell’ambito delle leggi sul copyright, è a disposizione degli aventi diritto che non si sono potuti rintracciare. Xxxx Xxx Le proprietà nutrizionali e benefiche dell’olio extravergine d’oliva La nutraceutica dell’olio evo di Gabriella Butera e Anna Micalizzi L’olio extravergine d’oliva, nelle ricette spesso abbreviato come olio evo (o EVO), rappresenta uno degli alimenti più antichi la cui preparazione consiste nella semplice spremitura del frutto della pianta Olea europaea originaria del medio Oriente. A partire dal 5000 a.C. e fino al 1400 a.C. circa, la coltivazione delle olive si è diffusa dal medio Oriente fino a Creta, alla Siria, alla Palestina e a Israele, per poi arrivare in tutti i paesi del Mediterraneo. In questo ultimo secolo all’olio extravergine d’oliva sono state attribuite in numero sempre crescente eccezionali proprietà nutritive che accompagnate dall’alta digeribilità e dalle comprovate proprietà salutistiche lo hanno eletto alimento principe della dieta mediterranea. In questo articolo discuteremo assieme come le nuove tecnologie della chimica analitica ci aiutano a descrivere le sue caratteristiche nutraceutiche in maniera sempre più completa e approfondita. La nutraceutica dell’olio evo I primi studi sulle proprietà nutraceutiche Distribuzione dell’olivo nel bacino del Mar Mediterraneo Frutti in maturazione di Olea europea L. [Immagine: H. Zell, Wikipedia Commons, 2010] Frutti maturi di Olea europea L. [Immagine: H. Zell, Wikipedia Commons, 2011] Le indagini sulle proprietà nutraceutiche (vedi box) dell’olio extravergine d’oliva cominciano alla fine degli anni Cinquanta, quando il biologo e fisiologo statunitense Ancel Benjamin Keys (1904-2004) condusse uno studio comparativo dei regimi alimentari in sette nazioni, intitolata semplicemente “Seven Countries Study” (Stati Uniti, Italia, Olanda, Grecia, Finlandia, Giappone ed ex Iugoslavia). Esso mise in luce che gli abitanti dell’isola di Creta (Grecia) erano quelli con il più basso indice di mortalità per malattie coronariche. Questo fenomeno venne messo in relazione con l’utilizzo - praticamente esclusivo - dell’olio extravergine d’oliva per la cottura e il condimento dei cibi, a discapito degli altri oli di origine vegetale e del burro, ampiamente usati nelle diete di altre popolazioni come per esempio quella anglosassone. Ciò indusse ricercatori di tutto il mondo ad La nutraceutica Il termine nutraceutica, derivato dalla fusione di “nutrizione” e “farmaceutica”, è stato coniato nel 1989 dal Dr. Stephen L. DeFelice, fondatore e presidente della Foundation of Innovation Medicine (New Jersey, Usa) e si riferiva originariamente allo studio di alimenti che hanno una funzione benefica sulla salute umana. Oggi la definizione si riferisce a prodotti isolati e purificati dagli alimenti, solitamente venduti in forma farmaceutica/erboristica, con provati benefici per l’organismo o proprietà protettive contro l’insorgere di patologie croniche. Per estensione sono definiti nutraceutici quei cibi che associano certe caratteristiche nutrizionali a comprovate proprietà terapeutiche di alcuni principi attivi in essi naturalmente contenuti. Esempi di alimenti nutraceutici naturali sono l’olio extravergine d’oliva, grazie alla presenza di grassi insaturi e polifenoli, diversi tipi di frutti rossi, come i gelsi, che contengono antociani e polifenoli, i pomodori per il loro apporto di licopene. I polifenoli e le vitamine di questi vegetali hanno una potente attività antiossidante che protegge le nostre cellule dallo stress ossidativo dovuto ai radicali liberi. Esistono inoltre ortaggi ai quali negli ultimi anni è stato riconosciuto un ruolo chiave nella prevenzione di alcuni tipi di cancro; i più noti sono i membri della famiglia Cruciferae cui appartengono, tra gli altri, cavoli, broccoli e cavoletti di Bruxelles. Tra gli alimenti di origine animale è opportuno citare il salmone e il pesce azzurro ricchi di acidi grassi omega-3 e omega-6. Questi ultimi vengono© definiti essenziali poiché non possono essere sintetizzati dall’organismo e devono necessariamente essere introdotti con la dieta. 5 n.26 | Aprile 2012 I benefici dell’extravergine ampliare le conoscenze per comprendere, in ogni loro aspetto, le eccezionali proprietà nutraceutiche dell’olio evo. Oggi la grande mole di risultati, ottenuta da rigorosi studi scientifici, conferma i suoi importanti benefici per la salute. Diverse proprietà sono riconducibili a specifici componenti dell’olio, ma alcune delle più importanti derivano dal consumo dell’alimento nella sua interezza. L’olio extravergine d’oliva contrasta l’invecchiamento cellulare, esercita una modesta azione preventiva sull’insorgenza della trombosi, inibisce la secrezione acida dello stomaco, stimola la secrezione pancreatica ed esercita un effetto colecistocinetico nel drenaggio della bile. Inoltre è molto importante per la maturazione delle fibre nervose di nuova formazione e nella crescita delle ossa lunghe. Infine gli è stata attribuita una discreta attività antiinfiammatoria, riconducibile a meccanismi che inibiscono la formazione di molecole con un’elevata attività immunologica e infiammatoria. La nutraceutica dell’olio evo Composizione e caratteristiche nutrizionali Schema esemplificativo della struttura di un ipotetico trigliceride. La parte cerchiata in rosso a sinistra è il glicerolo da cui si dipartono tre catene di acidi grassi. Dall’alto in basso troviamo: acido palmitico, oleico e α -linolenico. Oggi per l’importanza commerciale che ha assunto l’olio extravergine d’oliva e per garantire al consumatore la sua qualità e i benefici derivanti dal consumo, una serie di rigorose norme ne regola la produzione e le caratteristiche. Per essere definito tale, l’olio extravergine d’oliva deve essere estratto solo con mezzi meccanici (spremitura) e non deve subire manipolazioni o aggiunte di additivi chimici; in questo processo non deve essere soggetto a riscaldamento e il suo grado di acidità “libera” non deve superare il valore massimo di 0,8 g per 100 g di olio. Inoltre deve possedere alcuni requisiti di sapore e aroma a cui viene assegnato un punteggio ai sensi dell’allegato XII del regolamento (CE) N. 640/2008 che riporta il metodo del consiglio oleicolo internazionale per la valutazione organolettica degli oli d’oliva vergini. L’olio evo è costituito da due componenti: una a concentrazione decisamente più elevata di natura lipidica apolare (circa il Principali acidi grassi dell’olio extravergine d’oliva e loro dige- 99% del contenuto totale), l’altra di natura polare è rappresentata principalmente da ribilità tocoferoli, polifenoli, carotePresenza Digeribilità noidi, clorofilla e alcoli. Nome C:D* (%) (%) La frazione lipidica è costiAcido tuita da trigliceridi e steroli. C18:1 70-83 84 oleico I trigliceridi sono formati dall’unione di un alcool a tre Acido C16:0 5,7-18,6 48 atomi di carbonio, il gliceropalmitico lo, e da acidi grassi in numeAcido C18:0 0,5-4,0 20 ro variabile che differiscono stearico per lunghezza e presenza o Acido meno di doppi legami nella C18:2 3,5-20,0 90 linoleico loro catena, in base alla quale Acido vengono definiti rispettivaC18:3 0,1-0,6 96 linolenico mente insaturi e saturi. Que*: C:D indica il numero di atomi di carbonio seguito da quello dei sti possiedono caratteristiche doppi legami, questi ultimi sono assenti negli acidi grassi saturi Infiorescenza di olivo della specie Olea europea L., Creta, Grecia. [Immagine: H. Zell, Wikipedia Commons, 2010] 6 n.26 | Aprile 2012 I benefici dell’extravergine diverse, tra cui la consistenza e la digeribilità che dipende strettamente dall’incompatibilità della loro natura idrofobica con l’ambiente digestivo. Soltanto gli acidi grassi a catena corta riescono ad essere assimilati, all’allungarsi della catena aumenta l’idrofobia e l’assorbimento intestinale diminuisce. L’acido grasso più abbondante nell’olio extravergine d’oliva è l’acido oleico (monoinsaturo) che rappresenta più del 70% dell’intera frazione lipidica. Esso sembra avere un ruolo importante nel contrastare l’insorgenza dell’ischemia cardiovascolare; studi recenti hanno messo in luce che un basso livello di acido oleico nelle piastrine circolanti è sempre associato a questa patologia. Seguono, in percentuali decrescenti di abbondanza, diversi acidi grassi saturi e polinsaturi: l’acido palmitico, l’acido stearico, l’acido linoleico e l’acido linolenico (vedi tabella qui sotto). Questi due ultimi acidi grassi appartengono rispettivamente alla categoria degli acidi omega-6 e omega-3. Si tratta di composti che devono pertanto essere obbligatoriamente assunti con la dieta, indispensabili per la produzione di energia, la formazione delle membrane cellulari e la sintesi di emoglobina. Inoltre, influenzano l’aggregazione piastrinica, la vasodilatazione, la costrizione delle arterie coronariche e la pressione del sangue. Infine l’acido linoleico e l’acido linolenico hanno un ruolo determinante per la funzione delle prostaglandine, la produzione e il corretto equilibrio ormonale. La carenza di questi acidi produce astenia, pelle secca, deficit immunitario, ritardo della crescita, sterilità. L’alto contenuto in acidi grassi monoinsaturi nell’olio extravergine d’oliva è la principale caratteristica che lo differenzia dagli altri grassi di origine vegetale. Gli steroli rappresentano la seconda componente lipidica dell’olio extravergine d’oliva. Sono sintetizzati in natura a partire dallo squalene. Sono presenti in notevole quantità: da 110 a 265 mg per ogni 100 g di olio. Oltre il 94-97% degli steroli è rappresentato da β-sitosterolo; altri steroli peculiari dell’olio extravergine d’oliva sono campesterolo e stigmasterolo. La loro analisi è fondamentale per l’individuazione di frodi alimentari mediante tagli con oli diversi, la loro composizione permette La nutraceutica dell’olio evo Gli steroli peculiari dell’olio extravergine d’oliva: a) β- sitosterolo, b) stigmasterolo, c) campesterolo. a) b) c) a) c) b) d) I composti fenolici dell’olio extravergine d’oliva più studiati in ambito nutraceutico: a) idrossitirosolo; b) tirosolo; c) oleocantale; d) oleuropeina aglicone. [Da Cicerale et al., Current Opinion in Biotechnology, 2011. 23:1-7] di individuare l’aggiunta di olio di colza o cartamo, mentre valori di β-sitosterolo inferiori a quelli caratteristici sono solitamente indice di miscelazione con oli di semi. Fitosteroli e polifenoli: i paladini del benessere Studi sperimentali ed epidemiologici hanno dimostrato che una dieta ricca di fitosteroli offre una buona protezione verso i tumori del colon, del seno e della prostata. Numerose ipotesi sono state avanzate sul meccanismo d’azione di queste molecole nei confronti della proliferazione delle cellule tumorali. In particolare, l’azione del β-sitosterolo sulle cellule neoplastiche sembra manifestarsi mediante un aumento 7 n.26 | Aprile 2012 I benefici dell’extravergine dell’apoptosi, cioè della morte programmata della cellula. Negli ultimi anni è stato evidenziato anche il ruolo protettivo dei fitosteroli nei confronti delle malattie cardiovascolari, attraverso la riduzione dell’assorbimento intestinale del colesterolo. Infine, recentemente, è stata evidenziata una funzione di stimolo da parte del β-sitosterolo sul sistema immunitario, in particolare sulla proliferazione dei linfociti, anche se ancora non è noto il meccanismo d’azione. L’equilibrata composizione in acidi grassi e la presenza di sostanze antiossidanti consentono all’olio extravergine d’oliva di mantenere una buona stabilità. I componenti minori dell’olio extravergine d’oliva svolgono un ruolo molto importante sia dal punto di vista nutraceutico che organolettico. Inoltre rappresentano un prezioso riferimento analitico per il controllo di eventuali sofisticazioni a carico del prodotto. Il gruppo più importante in tal senso è sicuramente quello dei polifenoli. È stato dimostrato che la componente polifenolica, in cui sono stati individuati almeno 36 composti, possiede importanti proprietà antimicrobiche, antiossidanti e antiinfiammatorie sia in vitro che in vivo, motivo per cui questi composti sono di grande interesse per la salute umana. La struttura e la concentrazione delle singole molecole dipendono da numerosi fattori quali il tipo di cultivar, la regione in cui gli alberi crescono, la tecnica agronomica utilizzata, il livello di maturità delle olive al raccolto e la tecnica di produzione dell’olio. Un altro parametro importante, da prendere in considerazione per valutare gli aspetti salutari dei vari tipi di olio evo, è la biodisponibilità di questi composti, ovvero il loro grado di assorbimento, metabolizzazione, distribuzione a livello dei tessuti ed eliminazione da parte del corpo umano. I due composti fenolici dei quali è stato dimostrato un elevato livello di assorbimento (40-94%) da parte dell’ organismo umano sono l’idrossitirosolo e il tirosolo. La stabilità di queste molecole come d’altra parte - quella degli acidi grassi, è strettamente dipendente dalle condizioni di conservazione dell’olio; quelle ottimali prevedono basse temperature e ridotta esposizione alla luce e all’ossigeno. Il periodo di conservazione, entro il quale la concentrazione dei polifenoli rimane stabile, è stato stimato sui 12-18 mesi. Molti di questi composti possiedono proprietà antimicrobiche, cioè inibiscono la crescita di determinati microorganismi. Tra di essi troviamo la carbossimetil oleuro- La nutraceutica dell’olio evo peina aglicone e l’oleocanthal. L’idrossitirosolo e il tirosolo si sono rivelati potenti agenti in vitro contro numerosi ceppi batterici responsabili di infezioni intestinali e respiratorie, quali E.coli 0157:H7, Listeria monocytogenes, Salmonella enteritidis ed Helicobacter pylori. La presenza di quest’ultimo patogeno è associata all’insorgenza dell’ulcera peptica e allo sviluppo del cancro allo stomaco. Pare che la loro azione sia sinergica, cioè che si abbia una maggiore efficacia antimicrobica del loro insieme rispetto a quella delle singole molecole. I benefici dell’extravergine composti è incrementata da diversi agenti endogeni ed esogeni, quali l’infiammazione, lo stress psicofisico, il fumo di sigaretta, le radiazioni ultraviolette in genere, l’elevato consumo di alcool, l’esposizione ad ambienti inquinati, l’attività fisica intensa, una dieta eccessivamente ricca di proteine e di grassi animali e l’abuso di farmaci. L’organismo è fisiologicamente predisposto per fare fronte all’azione nociva dei radicali liberi, difendendosi con un proprio sistema anti-radicali. Questo prevede sia meccanismi enzimatici che l’intervento di sostanze attive che possono essere intro- ATTIVITÀ FENOLICA DELL’OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA Attività Target Antimicrobica Helicobacter pylori, Escherichia coli, Clostridium perfringens, Bacteroides spp, Streptococcus mutans, Staphylococcus aureus, Listeria monocytogenes, Yersinia spp, Salmonella enterica, Enterococcus faecium, Enterococcus faecalis, Shigella sonnei, Candida albicans Antiossidante Attività antiossidante totale del plasma, GSH, GSH-Px, ossidazione delle cellule intestinali, renali e del sangue, ossidazione dei grassi, OxLDL, ROS, F2- isoprostanes, GSSG Antiinfiammatoria Caspasi-3, p53 (Ser15), NFκB, COX, INOS, TNFα, IL-1β, p90rsk, ERK1/2 Fonte: Cicerale et al., Current Opinion in Biotechnology, 2011. 23:1-7 Da molti anni si studiano la proprietà antiossidanti esercitate dai polifenoli nei confronti dei radicali liberi responsabili dello stress ossidativo a carico di importanti molecole biologiche. Questo è indotto da uno squilibrio fra la produzione di specie chimiche altamente reattive, i radicali liberi, e gli antiossidanti, le armi di difesa della fisiologia umana. Questo processo gioca un ruolo fondamentale nell’invecchiamento ed è correlato all’insorgenza di malattie croniche, quali quelle malattie cardiovascolari e il diabete. Il danno cellulare inizia a livello della membrana lipidica, per poi condurre ad un’alterata formazione dell’adenosintrifosfato (ATP, la molecola di riserva energetica cellulare per eccellenza), fino ad arrivare a modificazioni del Dna. Il danneggiamento ossidativo di quest’ultimo è alla base della cancerogenesi. Le specie reattive dell’ossigeno (HO•, radicale idrossile; O2-, anione superossido; H2O2 , perossido di idrogeno; 1O2, ossigeno singoletto) hanno un ruolo fondamentale nell’insorgenza del danno tissutale. Quello prodotto in maggior concentrazione è l’anione superossido, il quale reagisce con il perossido di idrogeno H2O2 (acqua ossigenata) per formare il potente radicale ossidrile (o idrossile), HO•. La formazione questi 8 n.26 | Aprile 2012 dotte con la dieta. Gli enzimi implicati in questo meccanismo sono la superossidodismutasi, la catalasi e il glutatione ridotto. Tra le sostanze attive vi sono la vitamina E, la vitamina C, i carotenoidi, i polifenoli e le antocianine. Quando la quantità di radicali liberi (indicati genericamente con R•) prodotta è superiore a quella neutralizzabile dal nostro sistema antiossidante, si innesta lo stress ossidativo a carico delle cellule, che inizia con l’attacco da parte dei radicali liberi ai lipidi poliinsaturi presenti nelle membrane biologiche. Ciò determina l’avvio della perossidazione lipidica (vedi box), un processo di deterioramento ossigeno-dipendente che porta alla distruzione delle membrane biologiche e alla formazione di lipoproteine ossidate, con produzione di perossidi lipidici e di sottoprodotti come le aldeidi. Queste ultime molecole sono caratterizzate da elevate stabilità e reattività che le rendono dannose verso altri costituenti presenti nella cellula, come gli acidi nucleici e le proteine, alterando così la funzionalità cellulare. Il principale prodotto della perossidazione degli acidi grassi polinsaturi è la malondialdeide, CH2(CHO)2, in grado di reagire con la deossiadenosina e deossiguanina nel Dna, formando composti mutageni, precursori della carcinogenesi. Diversi studi hanno dimostrato che nell’uo- La nutraceutica dell’olio evo La perossidazione lipidica I tre stadi della perossidazione lipidica e relativa inibizione ad opera degli agenti antiossidanti. a) Nella fase di iniziazione un radicale libero (ROO•) agisce sul gruppo metilenico coniugato ad un doppio legame nella catena dell’acido grasso insaturo (LH) staccando un atomo di idrogeno; come conseguenza sull’ atomo di carbonio corrispondente si forma un radicale (L•). b) Nella fase di propagazione, i radicali L• reagiscono velocemente con l’ossigeno molecolare O2, originando i radicali perossidici LOO• che, a loro volta, sottraggono un atomo di idrogeno ad un’altra molecola di acido grasso insaturo per formare un idroperossido (LOOH) e un altro radicale L•. c) In fase di terminazione, i radicali liberi prodotti durante il processo di perossidazione reagiscono tra loro a formare prodotti non radicalici (PNR) inattivi. d) È possibile inibire l’intero processo intervenendo nello stadio di propagazione con l’aggiunta di antiossidanti (IH) che vanno a reagire con i radicali perossidici LOO•, interrompendo le catene radicaliche. Un antiossidante, in genere, agisce donando atomi di idrogeno, con conseguente formazione di radicali liberi (I•) relativamente stabili. I benefici dell’extravergine di olio extravergine d’oliva. Vi sono, inoltre, numerosi studi che sembrano mettere in luce anche un’attività antinfiammatoria da parte di questi composti (vedi tabella a pagina precedente). Altri componenti Tra i componenti polari dell’olio extravergine d’oliva troviamo i tocoferoli e gli alcoli. I primi sono antiossidanti naturali che inibiscono il processo di irrancidimento del prodotto. Sono presenti in diverse forme; quella biologicamente più attiva, nota come vitamina E, costituisce circa il 90% del totale. Gli alcoli presenti nell’olio sono sia alifatici che triterpenici (i terpeni sono derivati dell’isoprene, idrocarburo naturale del metabolismo vegetale con cinque atomi di carbonio e due doppi legami, con formula bruta C5H8). Rivestono importanza analitica per la distinzione dei prodotti ottenuti mediante pressatura meccanica delle olive da quelli estratti con solventi. Una piccolissima frazione della componente minoritaria dell’olio extravergine d’oliva è costituita da cere, aldeidi, esteri, chetoni e pigmenti colorati. Alcuni di essi sono composti coinvolti nella valutazione organolettica del prodotto, in quanto ne influenzano la nota aromatica e l’aspetto. Le frodi alimentari mo l’assunzione di olio evo caratterizzato da una concentrazione fenolica superiore ai 592 mg/kg, determina in vivo una diminuzione del danno ossidativo al Dna superiore al 30%. Importanti effetti antiossidanti sono stati dimostrati anche nei confronti dei lipidi. L’ossidazione delle lipoproteine a bassa densità (LDL, low-density lipopotroteins, note anche come “colesterolo cattivo”, in contrasto con le HDL, high-density lipoproteins, il “colesterolo buono”) è considerata uno dei maggiori fattori di rischio per lo sviluppo di malattie cronico-degenerative come l’aterosclerosi. Sono stati individuati diversi meccanismi con i quali i polifenoli legano le LDL, sottraendole all’ossidazione da parte dei radicali liberi; inoltre studi in vivo condotti sull’uomo hanno dimostrato un decremento nell’ossidazione delle LDL associato all’incremento dei consumi 9 n.26 | Aprile 2012 La sofisticazione dell’olio extravergine d’oliva rappresenta oggi una delle principali frodi alimentari a livello comunitario; oltre a comportare ingenti perdite economiche, espone i consumatori a gravi pericoli per la salute. Esiste tutta una serie di caratteristiche chimico-fisiche la cui difformità dai valori di legge, rilevabili con opportune tecniche analitiche chimiche, è indice di sofisticazione. Il regolamento (CE) n. 2568/91 e successive modifiche, relativo alle caratteristiche degli oli d’oliva e di sansa d’oliva, individua i parametri da misurare e i metodi di analisi ad essi attinenti, riportati nei vari allegati della normativa. Questi prevedono l’utilizzo di particolari tecniche analitiche, tra le quali le più utilizzate sono la spettrofotometria UV e l’analisi gascromatografica. La prima permette di rilevare la presenza di composti con due (dieni, come l’1,3 butadiene, C4-H6), tre (trieni) o più legami doppi coniugati (cioè doppi legami tra carboni separati da uno singolo: -C=C-C=C-), valutando la K232 e K270, rispettivamente l’assorbanza alla lunghezza d’onda di 232 e 270 nanometri che indica l’eventuale La nutraceutica dell’olio evo Isomeria cis/trans delle molecole organiche con doppi legami. Non essendo in grado di ruotare, il legame C=C presenta geometria piana. Nelle molecole organiche come il 2-butadiene qui rappresentato, o negli acidi grassi oggetto della nostra discussione, possono formarsi due stereoisomeri, con caratteristiche chimico-fisiche talvolta molto diverse: quelli dove i due sostituenti dell’idrogeno dei carboni 1 e 4 si trovano entrambi dallo stesso lato del legame, detti “cis” (in alto), e quelli dove sono sui lati opposti, “trans” (in basso). 10 presenza di dieni e trieni a seguito di ossidazione o raffinazione dell’olio. Un altro parametro da analizzare è il ΔK, l’entità dell’assorbanza a 270 nm rispetto alla curva di assorbanza UV, che risulta elevata negli oli raffinati. La spettrofotometria UV permette, quindi, di determinare se un olio d’oliva sia vergine o provenga da un processo di raffinazione. Nell’evo ottenuto dalla sola spremitura, i doppi legami degli acidi grassi insaturi non sono mai vicini, ovvero non ci sono doppi legami contigui; ma se si effettua un processo di raffinazione si possono verificare cambiamenti nella struttura dell’acido grasso. Per esempio nel processo di deacidificazione mediante l’aggiunta di idrossido di sodio (la comune soda, NaOH) si può verificare lo slittamento dei doppi legami. Nella decolorazione su terre attive di oli lampanti (acidità > 2,0%, inadatti al consumo umano) perossidati si ha la formazione di trieni coniugati e di composti chetonici, la cui curva di assorbanza presenta tre massimi a K270. Lo slittamento dei doppi legami dovuto alla raffinazione comporta un assorbimento caratteristico all’ultravioletto: il parametro K270 presenta un picco in presenza di olio rettificato per la presenza di dieni formatisi per slittamento dei doppi legami (olio di sansa e semi). L’individuazione di caratteristici acidi grassi, quali il linoleico e il linolenico, è molto importante al fine di distinguere l’olio vergine da quello raffinato, in quanto questi hanno assorbimenti caratteristici all’UV dovuti rispettivamente ai due e tre doppi legami presenti. Altri trattamenti non soltanto danno un prodotto adulterato, ma anche deleterio per la salute umana. Nei trattamenti termici di deodorazione e di decolorazione con terre acidificate si verifica la conversione della configurazione degli acidi grassi, con formazione di isomeri trans. Le conseguenze per la salute umana di chi consuma un prodotto ricco di acidi grassi trans sono molteplici e negative; tra le più gravi vi è sicuramente l’alterazione delle proprietà fisiologiche delle membrane cellulari, con conseguente compromissione dei processi di trasporto e di fluidità. Non meno importante è la diminuzione di acidi grassi essenziali con effetti negativi sulla n.26 | Aprile 2012 I benefici dell’extravergine produzione di prostaglandine. Queste ultime regolano il tono muscolare delle pareti arteriose, la pressione del sangue, le funzioni renali e giocano un ruolo importante contro i processi infiammatori. Inoltre gli acidi grassi trans causano alterazioni nelle dimensioni e nel numero delle cellule adipose, nella composizione degli altri acidi grassi e accrescono i livelli sierici delle LDL (il “colesterolo cattivo”). La tecnica analitica utilizzata per individuare la presenza di isomeri trans negli oli extravergine d’oliva è la gascromatografia, cui si fa ricorso per la determinazione di eventuali contraffazioni che si rivelano a carico di diversi componenti dell’olio. L’analisi degli acidi grassi (trasformati nei relativi esteri metilici) permette di ottenere un cromatogramma con picchi ben visibili per tutti gli acidi grassi, anche per quelli presenti in tracce. Ciò è molto importante perché un olio extravergine d’oliva presenta un caratteristico profilo cromatografico e la sua eventuale variazione è indice di contraffazione del prodotto. Per esempio, la presenza di un picco associato all’acido elaidinico dopo quello oleico è indice di un olio prodotto non solo con spremitura meccanica (un semplice processo fisico di pressione), ma anche tramite processi chimici partendo da esterificati o da oli rettificati. Al pari della spettrometria UV, anche l’analisi gascromatografica degli steroli permette l’individuazione di frodi alimentari dovute all’aggiunta di olio di colza o cartamo nell’olio extravergine d’oliva, così come valori più bassi di β-sitosterolo indicano la presenza di oli di semi. Un altro parametro utile per scoprire eventuali frodi è il tenore di cere. Quando un olio d’oliva, venduto per extravergine, viene prodotto mediante processi di estrazione delle sanse con esano (alcano lineare con formula C6H14), si sciolgono nel solvente le cere presenti nelle bucce delle olive che possono essere rilevate mediante gascromatografia. Per evitare ciò, talvolta si cerca di rimuoverle con acetone, ma questo processo rilascia sostanze caratteristiche nell’olio, le quali possono essere individuate con questa tecnica analitica, smascherando l’uso di questo trattamento vietato per legge. La nutraceutica dell’olio evo Tecniche antifrode innovative: la rilassometria FFC-NMR Struttura delle micelle inverse, tipiche degli oli vegetali, e loro inversione per effetto dell’addizione di acido acetico. A: aggregati supramolecolari di trigliceridi organizzati in micelle inverse. B: micelle di trigliceridi dopo addizione di acido acetico. C: componenti idrofile (polari) degli oli. [Immagine: Conte et al., Fresenius Environmental Bulletin, 2010, 19 (9b) 2077-2082, per gentile concessione degli autori] 11 Per evidenziare le contraffazioni sempre più sofisticate degli oli d’oliva, da anni si studiano nuovi metodi analitici da affiancare a quelli ormai consolidati e previsti dalla normativa comunitaria per la lotta alle frodi alimentari. Tra le tecniche più innovative vi è la risonanza magnetica nucleare in rilassometria, la quale permette di ottenere informazioni diverse e complementari rispetto alla spettroscopia in risonanza magnetica nucleare (NMR). Infatti, mentre la prima permette di conoscere la struttura delle molecole (vedi Green n. 20, pagg. 10-15 e n. 21, pagg. 32-37), la rilassometria NMR consente di conoscerne la dinamica. Per esempio, studi condotti con tecniche di rilassometria a ciclo di campo (FFC-NMR, vedi box alla pagina successiva) su oli extravergine d’oliva hanno individuato la presenza di aggregati supramolecolari in cui i trigliceridi, i maggiori costituenti dell’olio extravergine d’oliva, sono disposti in micelle inverse, legati tra loro da deboli interazioni quali forze di van der Waals e legami a idrogeno (vedi figura). Questi studi hanno messo in evidenza come le code apolari degli acidi grassi siano disposte verso l’esterno, mentre le teste polari dei trigliceridi siano rivolte verso l’interno della micella e siano coinvolte in legami a idrogeno con i componenti minori dell’olio extravergine d’oliva di natura polare, quali i polifenoli, i carotenoidi e le clorofille. Proprio quest’ultimo tipo di legame contribuisce significativamente alla stabilità della struttura supramolecolare. Questi risultati hanno aperto le porte a studi su altri oli vegetali, la cui struttura supramolecolare a micelle inverse è del tutto simile a quella dell’olio d’oliva, nel tentativo di trovare applicazioni di questa tecnica nella lotta alle frodi alimentari e nella valutazione della qualità degli alimenti. Per esempio, nel caso degli oli di pistac- n.26 | Aprile 2012 I benefici dell’extravergine chio - molto usati nell’industria dolciaria - è stato possibile differenziare tra quelli ottenuti da cultivar differenti e, nell’ambito della stessa varietà, sono stati riconosciuti oli ottenuti da piante coltivate in condizioni pedoclimatiche differenti. La rilassometria FFC-NMR ha persino evidenziato differenze nella dinamica molecolare di oli di pistacchio ricavati da semi seccati con tecniche differenti: all’aria o in stufa, a diverse temperature. Tali risultati suggeriscono che le proprietà dinamiche degli oli dipendono dalla viscosità cinematica, la quale - a sua volta - è associata alle dimensioni degli aggregati dei componenti di tale matrice alimentare. Queste ultime, infine, dipendono dalle tecniche di produzione, dalle cultivar e dalle condizioni pedoclimatiche. Sembra evidente, quindi, che la rilassometria FFC-NMR possa essere considerata uno strumento promettente per una rapida ed efficace valutazione della qualità degli oli alimentari, con l’enorme vantaggio di non richiedere lunghe e dispendiose procedure di estrazione e purificazione dei campioni, in quanto essi vengono analizzati tal quali. Inoltre, questa tecnica potrebbe diventare un importante strumento di controllo nella verifica dei prodotti a marchio garantito (DOP, IGP ecc.). Potenziali applicazioni dell’olio evo Da quanto finora riportato, è evidente che la rilassometria FFC-NMR può essere molto importante per capire i processi di assorbimento degli alimenti e il loro metabolismo nel corpo umano. Potremmo in qualche modo comparare la struttura supramolecolare dell’olio alla struttura terziaria della proteina? La struttura terziaria è la disposizione tridimensionale nello spazio della catena polipeptidica. Sono le sequenze amminoacidiche a differenziare una proteina dall’altra, ma un enzima non potrebbe mai svolgere la sua funzione se non fosse disposto spazialmente in un determinato modo, non potrebbe mai accogliere La nutraceutica dell’olio evo Le basi teoriche dell’FFC-NMR La rilassometria a ciclo di campo, abbreviata in rilassometria FFC-NMR dall’anglosassone fast field cycling NMR relaxometry, è una tecnica che ha trovato grande applicazione nello studio della mobilità dei sistemi liquidi viscosi o confinati in mezzi porosi. Le molecole che compongono i liquidi sono soggette a movimenti casuali influenzati dalle interazioni intermolecolari con altre molecole nello stato liquido o con le superfici dei mezzi porosi in fase solida. La distribuzione delle frequenze del movimento delle molecole in fase liquida dipende dall’omogeneità e dalla forza con cui si modulano le interazioni appena citate. Per esempio, un liquido confinato in pori di piccola dimensione è più limitato nei movimenti di quello che si muove liberamente in spazi più ampi. Le distribuzioni dei campi magnetici (DCM) generati dalle fluttuazioni molecolari sono responsabili della dispersione dei tempi di rilassamento longitudinale (detto anche rilassamento spin-lattice o spin-reticolo, T1) che si verifica quando ogni frequenza del DCM corrisponde alle frequenze di Larmor (ωL) dei nuclei osservati. Il liquido, sia in fase liquida che assorbito nei mezzi porosi, può interagire anche con sistemi paramagnetici. La modulazione del campo magnetico dipolare locale generato dal paramagnetismo contribuisce ulteriormente al rilassamento spin-lattice. In particolare, se una molecola è immobilizzata il suo rilassamento longitudinale risulterà più veloce rispetto a quello di una molecola analoga con un numero maggiore di gradi di libertà traslazionali e rotazionali. Tipico profilo FFC-NMR di un olio extra vergine di oliva. Si riporta il valore della velocità di rilassamento longitudinale (ovvero dell’inverso del tempo di rilassamento longitudinale) in funzione dell’intensità del campo magnetico applicato. L’interpolazione dei punti sperimentali consente di ottenere il tempo di correlazione che viene definito come il tempo necessario per la ri-orientazione molecolare (ovvero il tempo necessario a che una molecola ruoti di 1 rad o percorra una distanza pari alla sua lunghezza). 12 il suo ligando se la sua struttura terziaria non fosse rispettata. Le micelle inverse formate dai trigliceridi dell’olio evo, grazie alla loro particolare configurazione spaziale, potrebbero trovare un uso ipotetico come “contenitore” per veicolare sostanze polari dentro una matrice lipidica. Si aprirebbero nuovi scenari per applicazioni farmaceutiche e cosmetiche; l’extravergine, alimento nutraceutico per eccellenza, potrebbe essere addizionato con l’aggiunta di sostanze idrosolubili importanti per la salute umana, aumentando ancora le sue proprietà benefiche. Naturalmente questa applicazione potrebbe essere estesa anche ad altri oli alimentari e trovare largo uso nel campo della cosmetica. Le creme, infatti, sono generalmente costituite da emulsioni, ovvero miscele eterogenee di due liquidi immiscibili di cui uno (fase interna o dispersa) è disperso sotn.26 | Aprile 2012 I benefici dell’extravergine to forma di piccolissime gocce in un altro (fase esterna o disperdente), il tutto viene stabilizzato dall’aggiunta di opportuni tensioattivi o emulsionanti. Esistono due tipi di emulsioni: il tipo “olio in acqua” (O/A), in cui vi è una fase continua idrosolubile ed una o più fasi liposolubili disperse, e il tipo “acqua in olio” (A/O) in cui la fase continua è liposolubile e la fase dispersa è costituita da una o più fasi idrosolubili. Le creme cosmetiche sono generalmente costituite da emulsioni A/O con una componente lipidica elevata, che le rende più affini all’olio per quanto riguarda la loro azione depurante ed emolliente e, data la loro consistenza cremosa, sono di più facile applicazione, e forniscono una protezione più elevata grazie al carattere idrofobico. Alla luce di quanto detto, appare evidente che in ambito cosmetico e farmaceutico l’utilizzo di emulsioni è legato dall’esigenza di veicolare in un solo prodotto sia molecole polari che apolari, adattando nel contempo il pH alle condizioni fisiologiche della pelle (4,5-5,5), mediante aggiunta di acido lattico o acido citrico. Un esempio sono le vitamine, oggi largamente utilizzate nei prodotti cosmetici e farmaceutici. Tra quelle liposolubili, le più usate sono le vitamine A, D, E e K; mentre l’acido ascorbico, la riboflavina, il pantenolo, la biotina, l’acido folico e la vitamina B12 sono le più utilizzate tra quelle idrosolubili (vedi Green n.18 pagg. 36-49). Poiché mezzi a base lipidica sono più idonei per la realizzazione di creme e pomate ad uso cosmetico, grazie alla miglior azione depurante ed emolliente, potrebbe essere molto interessante provare a introdurre direttamente in oli con micelle invertite come l’olio di mandorla dolce o di altri semi già largamente impiegati in ambito cosmetico - i principi attivi di diversa natura, evitando così l’uso di tensioattivi o emulsionanti. Un altro esempio di sostanze idrosolubili che potrebbero essere introdotte in lozioni oleose, quali per esempio quelle per la cura delle mani, sono i condensati di proteine (formati essenzialmente da miscele di proteine e basi detergenti) che proteggono la pelle dalle irritazioni dovute ad alcuni componenti di detersivi per stoviglie; essi inoltre stimolano la pelle a ricostituire i tessuti e gli aminoacidi dello strato corneo e sono meno aggressivi sulla cute, non presentando un potere fortemente sgrassante come quello dei tensioattivi a base di solfati o solfonati. Gabriella Butera Anna Micalizzi Unità di Ricerca Palermo-2 Consorzio INCA Xxxx Xxx La storia di un prodotto naturale di vasto impiego che si è rivelato fatale L’amianto, quando utilità fa rima con letalità di Carmen C. Piras L’amianto (o asbesto, dal greco “incorruttibile”) è un minerale strutturato in forma di lunghe fibre, flessibili, morbide, adatte alla filatura e alla tessitura. È ignifugo e isolante, resistente al calore, agli agenti chimici, fisici e agli sforzi meccanici e, proprio in virtù di queste proprietà, è stato ampiamente utilizzato in passato, in differenti campi, per la realizzazione di oltre 3.500 prodotti. Oggi nella maggior parte dei Paesi è bandito, in quanto si è rivelato essere la causa di patologie respiratorie che hanno provocato la morte nei decenni scorsi di numerosi lavoratori esposti, soprattutto tra i minatori e gli addetti alla produzione dei manufatti contenenti asbesto: un altro caso in cui la natura non ci è stata amica. Xxxx dell’amianto Xxx Storia Tra utilità e letalità Oltre 4.500 anni di storia Con amianto, o asbesto, si indica una serie di minerali silicati di origine naturale (vedi tabella) che possono presentare struttura “asbestiforme”: cristalli in forma di lunghe fibre con rapporto spessore/lunghezza di circa 1:20. Il vasto utilizzo di questo materiale nel recente passato per applicazioni civili e industriali si deve al suo assorbimento acustico, alla sua resistenza alla trazione, al fuoco, al calore, alla degradazione chimica, alle proprietà di isolante elettrico e termico e, non ultimo, al basso costo. Dall’antichità a oggi ci sono giunte nume- Tra i vari impieghi, può vantare anche quelli per scopi terapeutici, il medico Boezio nel 1600 lo includeva nella formulazione di unguenti per la cura delle ulcerazioni delle gambe, la scabbia e le vene varicose. Alla fine del diciassettesimo secolo, in Russia venne avviata la fabbricazione di sottili fogli di amianto (crisotilo) estratto dai Monti Urali e furono, inoltre, individuati numerosi depositi in Sud Africa, Canada e Russia. Proprio da questo periodo cominciò l’utilizzo industriale dell’asbesto su larga scala; negli Stati Uniti come isolante termico e in Italia per la produzione di tessuti. Nel 1901, grazie all’austriaco Ludwig Nome Formula chimica Origine del nome Actinolite Ca2(Mg,Fe)5Si8O22(OH)2 dal greco: “pietra raggiata” Amosite (Mg,Fe)7Si8O22(OH)2 dall’abbreviazione di “Asbestos Mines of South Africa”, nome commerciale dei minerali grunerite e cummingtonite Antofillite (Mg,Fe)7Si8O22(OH)2 dal greco: “garofano” Balangeroite (Mg,Fe3+,Fe2+,Mn2+)42Si16O54(OH)40 da Balangero, località in Provincia di Torino, in cui veniva estratto Crisotilo Mg3Si2O5(OH)4 dal greco: “fibra d’oro” Crocidolite Na2Fe2+3Fe3+2Si8O22(OH)2 dal greco: “fiocco di lana”, varietà fibrosa del minerale riebeckite Tremolite Ca2Mg5Si8O22(OH)2 dal nome della Val Tremola, in Svizzera Fonte dati: Wikipedia (it) Fibre ottenute dalla lavorazione dell’amianto. Minerale di crisotilo estratto nello Swaziland (Sud Africa); è il tipo di amianto più utilizzato per applicazioni civili e industriali. [Immagine: Aangelo, Wikipedia Commons, 2007] 14 rose testimonianze riguardanti l’uso di questo materiale, che ha trovato storicamente una vasta gamma di impieghi per le sue peculiari proprietà chimico-fsiche. Il primo utilizzo risale, infatti, al 2500 a.C. in Finlandia, dove l’amianto (antofillite) di un deposito locale veniva adoperato per rinforzare utensili di argilla e manufatti in ceramica. Anche gli antichi Romani e i Persiani, seppero sfruttare le proprietà di questo materiale che veniva utilizzato per ottenere delle ceneri più pure e chiare con cui avvolgere i cadaveri da cremare. n.26 | Aprile 2012 Hotschelk, nacque il cemento-amianto, materiale che ha trovato applicazione in numerosi ambiti, forse più noto con il nome commerciale di eternit® (dal latino “aeternitas”, eternità). La Seconda guerra mondiale aprì nuove strade all’uso dell’amianto che trovò molteplici applicazioni anche in ambito bellico, grazie alle sue proprietà di materiale ignifugo e di isolante termico. Negli anni successivi, l’asbesto divenne via via sempre più diffuso come ignifugo e isolante termoacustico e per la realizzazione di tegole, lastre ondulate o piane per coperture, serbatoi, silos, raccordi, grondaie, canne fumarie, comignoli, condotte d’aria, rivestimenti di tubature, pavimen- Storia dell’amianto Tra utilità e letalità Antofillite, il primo amianto utilizzato a scopo manufatturiero di cui esiste documentazione storica. Fibre di viste al microscopio elettronico a scansione. [Immagine: United States Geological Survey, 2006] elettrodomestici (asciugacapelli, forni, stufe, ferri da stiro). Aspetto macroscopico di minerale di antofillite ritrovato a Västmanland in Svezia. [Immagine: Didier Descouens, Wikipedia Commons, 2010] La prima morte documentata dovuta all’uso di amianto risale al 1906. Fu però solo negli anni Sessanta che diversi studiosi cominciarono a intravedere una relazione tra l’esposizione professionale a questo materiale e la comparsa di gravi patologie polmonari, in massima parte a carico dei minatori e degli addetti alla produzione dei manufatti che lo contengono. A dimostrarlo per la prima volta il medico statunitense Irving J. Selikoff (1915-1992), che, dopo aver condotto uno studio su 17.800 lavoratori, riuscì a confermare l’ipotesi che l’esposizione all’asbesto provocasse l’insorgenza di patologie a carico dell’apparato respiratorio. Oltre alla fibrosi interstiziale parenchimale (negli animali il parenchima rappresenta i tessuti funzionali di un organo), o asbestosi, l’amianto può causare tumori con diverse localizzazioni e, nei casi più gravi, mesotelioma (il mesotelio è uno strato cellulare con funzione di epitelio che avvolge le grandi cavità sierose) e carcinoma polmonare. L’insidiosità delle patologie da amianto sta nel fatto che i primi sintomi compaiono solo circa 10 anni dopo la prima esposizione e diventano ben evidenti solo dopo 20, quando risulta difficile, se non addirittura impossibile, intervenire con terapie efficaci. I fattori principali responsabili del rischio associato all’esposizione a questo materiale sono: la concentrazione, la solubilità, la lunghezza, la forma e il diametro delle fibre inalate. Diversamente da quanto qualcuno possa pensare, il danno da amianto è di natura principalmente meccanica, fisica e non chimica. I vari tipi di amianto possono presentare fibre con due differenti forme geometriche: troviamo i serpentini, che comprendono il solo crisotilo (dal greco “fibra d’oro”), e gli anfiboli (dal latino “amphibolus”, ambiguo), a cui appartengono gli altri sei della tabella riportata ad inizio articolo. Questi ultimi sono decisamente meno diffusi rispetto al primo che rappresenta la forma di amianto decisamente più utilizzata in passato dall’industria, ma sono i più pericolosi. Infatti, il crisotilo, avendo una struttura incurvata e meno rigida, raggiunge più facilmente le vie aeree, dalle quali, però, viene più facilmente rimosso grazie all’apparato mucociliare. Invece, gli anfiboli, essendo meno flessibili, vengono rimossi con maggior difficoltà e, quindi, La pericolosità dell’amianto ti, mezzi di trasporto (nelle frizioni, freni, guarnizioni e come rivestimento di treni, navi, autobus), quadri elettrici, pareti, tetti, funi, corde, avvolgimenti, tessuti, tute, grembiuli, guanti protettivi (destinati a categorie professionali esposte a elevate temperature e aventi la possibilità di venire in contatto con parti infuocate), coperte, tappezzerie, tappeti, tende, materassi, imbottiture, vernici, mastici, carta, cartoni di rivestimento, filtri, PATOLOGIE POLMONARI DA AMIANTO L’asbestosi è una patologia respiratoria cronica caratterizzata da fibrosi interstiziale polmonare diffusa e dalla presenza dei cosiddetti corpi asbestosici, costituiti da fibre di asbesto ricoperte da materiale di natura proteica contenente ferro (probabilmente originato dalla ferritina dei macrofagi), i quali derivano dal tentativo dei globuli bianchi di fagocitare le fibre di amianto. Normalmente il processo di formazione della fibrosi inizia nelle vicinanze dei bronchioli respiratori e dei dotti alveolari, per andare successivamente ad interessare alveoli adiacenti. In questo modo viene alterata la normale architettura del polmone che, nelle zone interessate, assume un caratteristico aspetto a favo d’api. Da un punto di vista sintomatologico, una delle prime manifestazioni della patologia è la dispnea; inizialmente essa si presenta in seguito a sforzi o affaticamento, mentre - col progredire della malattia - appare anche a riposo. La patologia può poi restare stabile o evolversi, arrivando alla morte nei casi più gravi. Il mesotelioma maligno è una patologia tumorale che interessa prevalentemente la pleura, la membrana sierosa di rivestimento dei polmoni, o il peritoneo, la membrana di rivestimento degli organi addominali. La sintomatologia è causata da una compressione dei visceri a contatto con la massa tumorale e si presenta con un versamento emorragico, affanno, tosse e febbre. Il decorso della malattia è molto rapido e conduce inevitabilmente al decesso. Questa malattia è estremamente rara nella popolazione generale ed è strettamente associata all’esposizione professionale all’asbesto. Il carcinoma polmonare si manifesta principalmente in lavoratori di industrie minerarie di asbesto e il fumo di sigaretta ne amplifica notevolmente il rischio. Anche in questo caso, il decorso è rapido con esito, purtroppo, infausto. 15 n.26 | Aprile 2012 Storia dell’amianto Tra utilità e letalità possono depositarsi a livello polmonare, dove innescano una sequenza di eventi infiammatori e inducono, in alcuni casi, l’iniziazione del processo cancerogeno. Le fibre con diametro inferiore a 0,5 μm (micrometri) possono raggiungere gli alveoli polmonari, dove causano l’attivazione del sistema immunitario locale e provocano una reazione infiammatoria da corpo estraneo. I macrofagi le fagocitano e stimolano i fibroblasti a produrre tessuto connettivo, causando una fibrosi interstiziale. In maniera simile può essere danneggiata la pleura, la doppia membrana sierosa che ricopre i polmoni. Generalmente fibre di lunghezza di circa 2 μm possono provocare asbestosi; quelle lunghe 5 μm possono provocare mesotelioma e fibre più lunghe di 10 μm, cancro polmonare; le più grandi sono lunghe fino a 50 μm circa. Normalmente le fibre di asbesto si depositano a livello della biforcazione delle piccole vie aeree, dove viene stimolata la risposta del sistema immunitario. I macrofagi, attivati da fattori chemiotattici e mediatori fibrogenici, sono in grado di fagocitare completamente ed eliminare le fibre più corte, mentre quelle più lunghe vengono inglobate solo parzialmente. Questo fa sì che queste cellule dell’immunità, così Vecchia copertura ondulata per danneggiate, non riescano più a lasciare gli alveoli polmonari, dove liberano mediatori tetti in eternit. 16 n.26 | Aprile 2012 dell’infiammazione che attivano altre cellule immunocompetenti e stimolano la deposizione di fibre collagene causando, infine, infiammazione interstiziale polmonare generalizzata e fibrosi interstiziale. La pericolosità dell’asbesto è dovuta anche alla liberazione di specie radicaliche tossiche che si generano durante il processo infiammatorio. A ciò, possono contribuire ulteriormente sostanze potenzialmente nocive adsorbite sulle fibre di asbesto, quali, ad esempio, cancerogeni contenuti nel fumo di tabacco; il rischio di contrarre carcinoma polmonare in soggetti esposti congiuntamente ad amianto e fumo di sigarette è aumentato di ben 55 volte, rispetto a individui esposti al solo amianto. La concentrazione di fibre inalate è un fattore determinante per il rischio di manifestare le patologie sopra citate, specialmente se l’esposizione è prolungata nel tempo; tuttavia, teoricamente, una sola fibra di amianto può permettere l’instaurarsi di processi patologici polmonari. La messa al bando Nonostante attualmente il rischio correlato all’esposizione all’amianto sia perfettamente noto e diversi Paesi ne abbiano definitivamente bandito l’utilizzo (Unione europea, Arabia Saudita, Australia, Argentina, Cile, Giappone e molti altri), questo Storia dell’amianto Tra utilità e letalità Una semimaschera da lavoro con filtro HEPA, un filtro assoluto atto a rimuovere microrganismi e particolato. [Immagine: Haragayato, Wikipedia Commons, 2005] 17 minerale viene ancora estratto e utilizzato in diversi nazioni, prima tra tutte la Russia (con 925mila tonnellate prodotte nel 2005), Cina, Canada, India e Brasile. Inoltre, essendo stato lungamente impiegato per una moltitudine di applicazioni, non stupisce la possibilità che l’asbesto sia tuttora presente, magari sotto forma di eternit, in edifici, impianti industriali, cantieri navali. In questi casi, la sua presenza non è di per sé pericolosa; lo diventa, però, in seguito al possibile deterioramento del materiale, con conseguente liberazione nell’aria di fibre che possono essere inalate. Nei suoi numerosi impieghi, l’amianto è stato utilizzato in diverse forme, a cui è associato un diverso grado di rischio per la salute a seconda delle caratteristiche di friabilità del materiale: • eternit, o cemento-amianto, impiegato specialmente per la realizzazione di tubi, tetti ondulati o piastre; contiene al massimo il 15% di amianto ed è un materiale compatto e poco friabile. • amianto floccato, usato come materiale ignifugo e isolante termoacustico; contiene amianto in percentuale variabile tra il 60% e il 100% e risulta essere friabile e poco compatto. nell’aria e, quindi, aumentare le probabilità di contaminazione dell’ambiente e di contrarre patologie polmonari. -- 2) Confinamento. Viene effettuato mediante l’installazione di una barriera di separazione tra l’amianto e le aree occupate dell’edificio. Questo procedimento è utile nel caso in cui si possa accedere facilmente all’amianto, ma comporta la necessità di controllare regolarmente l’integrità della struttura protettiva. -- 3) Incapsulamento. Questo metodo prevede il trattamento dell’asbesto con appositi materiali di rivestimento che inglobino le fibre evitandone la dispersione. Generalmente viene utilizzato per materiali poco friabili. Anche in questo caso è necessario verificare periodicamente che l’incapsulamento rimanga in buono stato e non venga danneggiato, ad esempio da infiltrazioni di acqua, le quali appesantiscono il rivestimento e ne facilitano il distacco, o da altri fattori come le attrezzature sportive installate nelle palestre. La friabilità, il cattivo stato di conservazione, la facilità di accesso e la mancanza di rivestimenti e protezioni sono tra i principali fattori che accrescono la probabilità di rilascio di fibre nell’ambiente. L’Italia è uno dei Paesi più colpiti al mondo da malattie da amianto, con un valore di mortalità che si aggira attorno a 4.000 all’anno; particolarmente elevati sono i decessi registrati nelle province di Genova, Gorizia, La Spezia, Livorno, Massa Carrara, Pistoia, Siracusa, Taranto, Trieste, sedi di porti e cantieri navali e, caso particolare, Alessandria. Pur non essendo facciata sul mare, quest’ultima provincia ospitava nei pressi di Casale Monferrato una delle maggiori fabbriche produttrici di eternit, rimasta attiva per circa 80 anni. Purtroppo, tenendo conto del fatto che le diverse patologie richiedono un lungo periodo di latenza prima di manifestarsi (nel caso dei tumori anche 25-50 anni), il picco massimo di mortalità non sembra ancora essere stato raggiunto. Fortunatamente il rischio legato all’esposizione all’amianto è stato riconosciuto dai nostri legislatori e il suo impiego è stato bandito nel 1992 (Legge n. 257/92, “Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”). Questa è stata la prima legge emanata a tutela dei lavoratori e ha portato benefici sia per quelli impiegati nelle miniere, sia per altri operatori che avessero contratto le tipiche patologie dovute all’esposizione. A seguire sono state emesse altre normative relative alla dismissione dell’amianto Negli edifici in cui tuttora sia presente amianto, è possibile intervenire con opportune procedure di bonifica. Il metodo da utilizzare viene stabilito in base a diversi fattori: friabilità, spessore, peso, localizzazione del sito. Le procedure per la bonifica sono fondamentalmente tre: -- 1) Rimozione. È il metodo più sicuro, che permette di eliminare ogni possibilità di successive esposizioni a tale materiale. Tuttavia, questa procedura è abbastanza costosa e comporta la produzione di grosse quantità di rifiuti tossici e potenzialmente pericolosi. Si tratta, inoltre, di un procedimento complesso che deve essere effettuato da personale specializzato. Infatti, una rimozione non corretta può causare un’ulteriore dispersione di fibre n.26 | Aprile 2012 La situazione in Italia Storia dell’amianto Tra utilità e letalità e alla tutela della salute. Tra queste il Decreto Ministeriale n. 248/04 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio (“Regolamento relativo alla determinazione e alla disciplina delle attività di recupero dei prodotti e beni di amianto e contenenti amianto”), il D.M. 14 Dicembre 2004 del Ministero della Salute (“Divieto di installazione di materiali contenenti amianto intenzionalmente aggiunto”) e il Decreto Legge 81 del 9 Aprile 2008 (“Attuazione dell’art.1 della Legge n°123 del 3 Agosto 2007 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”, con particolare riferimento al Capo III “Protezione dai rischi connessi all’esposizione all’amianto”, art. da 246 a 265). Grazie al quadro normativo attuale, l’esposizione all’amianto rimane un problema perlopiù limitato ai lavoratori delle imprese di demolizione e agli addetti alla rimozione dell’amianto. È fondamentale che questi lavoratori utilizzino appositi dispositivi di protezione individuale, quali tute, galosce, guanti e maschere, sottoponendosi a controlli medici periodici. Sostituire l’amianto Dopo la messa al bando dell’amianto si è cercato di introdurre nuovi materiali naturali e sintetici che lo potessero sostituire nelle sue innumerevoli applicazioni. Diversi tentativi sono stati fatti con materiali quali fibre di vetro e lana di roccia (isolamenti termici e acustici in campo edile, mezzi di trasporto, filtri), fibre ceramiche (guarnizioni e tessuti antifiamma), materiali composti da fibre di vetro e metalli, prodotti in fibre di cellulosa o polimeri sintetici quali polipropilene, poliacrilonitrile, polivinilcloruro. Tuttavia, non sempre questi materiali si sono rivelati efficaci quanto l’amianto e, in alcuni casi, i rischi derivati dall’esposizione a lungo termine, ne hanno notevolmente limitato l’utilizzo come possibili sostituti dell’asbesto. Carmen C. Piras Chimico Amianto anche nell’arte. Una scultura in eternit raffigurante una danzatrice attribuita ad Alexander Gonda (1967), conservata nei giardini della Casa di Eternit a Berlino. [Immagine: Rolf Nemitz, Wikipedia Commons, 2008]. 18 n.26 | Aprile 2012 Xxxx Xxx I possibili usi delle microalghe, in particolare nel settore energetico Sfruttamento delle microalghe: tra realtà e prospettive di Fabio Barbato, Carlo Alberto Campiotti, Germina Giagnacovo, Vito Pignatelli, Dario Tumminelli, Corinna Viola, Estelle Silva Diorato Nel panorama mondiale delle innovazioni più promettenti per il settore delle fonti rinnovabili di energia, un ruolo di primo piano è ricoperto dalla valorizzazione a fini energetici delle microalghe, con numerosi gruppi di ricerca pubblici e privati, impegnati a migliorare i processi produttivi connessi alla coltivazione di questa categoria di microorganismi acquatici e al loro impiego per la produzione di energia e/o biocombustibili. Saline realizzate con bacini artificiali lungo la South Bay di San Francisco in California. Quando l’acqua evapora, microorganismi alofili di vario tipo possono diventare predominanti nelle varie vasche, variandone il colore. Il verde è determinato dalla presenza di microalghe della famiglia Chlorophyceae, il rosso da Dunaliella salina, membro della stessa famiglia, contenente elevate quantità di beta-carotene ad alto valore commerciale. [Immagine: Doc Searls, Wikipedia Commons, 2009] Sfruttamento delle microalghe Le microalghe destano l’interesse di numerosi gruppi di ricerca (Garofalo, 2010) poiché presentano una serie di prerogative molto interessanti, le quali si accompagnano, purtroppo, a diverse problematiche che hanno a tutt’oggi impedito uno sfruttamento adeguato del loro potenziale, nonostante diversi decenni di ricerca e sviluppo e la relativa pubblicazione di migliaia di lavori scientifici. • il contenuto energetico, che può non raggiungere livelli tali da superare le energie spese per la loro coltivazione e per i processi di lavorazione necessari per il successivo utilizzo; • il fatto di richiedere diversi raccolti, quantitativamente ridotti, a brevi intervalli di tempo, piuttosto che uno più abbondante limitato a una o due volte l’anno. Fra i principali vantaggi vengono annoverati: • la velocità di crescita molto elevata; • la capacità di prosperare in acque ricche di nutrienti, e quindi di contribuire a processi di depurazione di acque reflue; • la proprietà di assorbire CO2 insufflata nel mezzo di coltura e di trasformarla in materia organica; • la possibilità di crescita anche in climi caldi e in acqua salata, senza intaccare le risorse di acqua dolce nelle zone dove queste sono limitate; • la possibilità di essere coltivate in aree marginali senza sottrarre superfici alle colture agricole a fini alimentari o ad altre attività economiche già insediate nel territorio; • la produzione di una biomassa omogenea, non suddivisa in componenti con caratteristiche differenti, come per le piante terrestri (semi, frutti, foglie, fusto, radici). Il presente articolo si prefigge di contribuire alla conoscenza delle microalghe da parte di un pubblico più vasto di quello degli “addetti ai lavori”, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti legati all’energia, con un approccio divulgativo e non eccessivamente tecnico. Verranno comunque affrontati brevemente anche aspetti più generali, riguardanti le principali caratteristiche e funzionibiologiche, sia nell’ambiente naturale che in quello di coltivazione, per l’utilizzo nell’ambito di iniziative commerciali e di ricerca di vario genere. Inoltre, si riporterà una descrizione dell’attuale “stato dell’arte” del settore a livello globale e un quadro delle sfide future che attendono gli sforzi dei ricercatori e degli operatori economici interessati allo sfruttamento di questa risorsa. Mentre le loro principali criticità sono: • la necessità di essere separate dalla fase liquida, dove crescono con densità piuttosto bassa; • l’uso, per ora praticamente universale, di colture monospecifiche in cui va evitata la contaminazione da parte di altre specie microalgali indesiderate o di microrganismi, insetti e uccelli che se ne cibano o ne impediscono un corretto sviluppo; GRUPPO CLASSE ESEMPI (GENERI PIÙ DIFFUSI) Alghe azzurre (cianobatteri) Cyanophyceae Arthrospira (meglio nota come Spirulina), Nostoc, Anabaena, Schizotrix, Microcystis Diatomee Cyclotella, Coscinodiscus, Bacillariophyceae Chaetoceros, Skeletonema, Nitzschia, Phaeodactylum Alghe verdi Chlorophyceae Chlorella, Neochloris, Chlamydomonas, Scenedesmus, Dunaliella, Tetraselmis Dinoflagellati Dinophyceae Ceratium, Gymnodinium, Peridinium, Gonyaulax Alghe dorate Haptophyceae Pavlova, Isochrysis, Chrysochromulina, Prymnesium 20 Tra realtà e prospettive n.26 | Aprile 2012 Le microalghe Le microalghe, anche note come fitoplancton, sono organismi microscopici unicellulari che vivono singolarmente o in colonie (catene o altri tipi di aggregati), in acque dolci e salate. A seconda della specie, le loro dimensioni individuali possono variare da pochi micrometri a qualche centinaia (millesimi di millimetro, 10-6 m). La loro attività fotosintetica è fondamentale per la vita sulla Terra, in quanto si stima che producano il 30-50% dell’ossigeno atmosferico, assorbendo contemporaneamente anidride carbonica, il maggiore gas ad effetto serra, per poter crescere e sintetizzare nuova sostanza organica (biomassa). La biodiversità delle microalghe è enorme e rappresenta una risorsa poco studiata e sfruttata; solamente 35.000 specie sono state descritte rispetto a quelle esistenti, stimate essere fra 200.000 e 800.000, secondo i dati della Wageningen University. Questi microrganismi producono comunemente numerosissimi composti bioattivi come polisaccaridi, amido, proteine, acidi grassi, carotenoidi, antiossidanti, enzimi, polimeri, peptidi, tossine e steroli; costituiscono potenzialmente una rilevante fonte di geni per percorsi di biosintesi particola- Sfruttamento delle microalghe ri, a volte unici. Semplificando, senza addentrarsi troppo nella loro complessa sistematica, si può dire che le microalghe più utili appartengono a 5 o 6 classi principali, distinguibili per la loro morfologia, la loro pigmentazione, il loro ciclo biologico e la loro struttura cellulare come descritto nella tabella della pagina precedente. A B Alcune microalghe viste al microscopio ottico (ingrandimento 400X circa). A: Diatomee di acqua dolce, in alto Pennales sp., più in basso a destra Centrales sp. B: Micractinium sp. C: Dictyosphaerium sp. Potenzialità delle microalghe Funzioni nell’ambiente naturale Le microalghe fungono da fonte energetica primaria per buona parte degli ecosistemi marini, in quanto costituiscono il nutrimento di numerosi animali, dal microscopico zooplancton ai molluschi e crostacei filtratori. Tali organismi rappresentano il successivo anello della catena alimentare e sono poi a loro volta predati. Al fitoplancton è stata attribuita addirittura la metà di tutta l’attività fotosintetica della Terra e, di conseguenza, la produzione di buona parte della nuova biomassa (sostanza organica), con conversione dell’energia della radiazione solare in energia chimica che sta alla base delle reti trofiche. Da rimarcare la velocità di crescita di determinate specie microalgali, che le pongono ai vertici della produttività tra gli organismi fotosintetici. Questo aspetto è riscontrabile nelle cosiddette fioriture algali, bloom fitoplanctonici, come nel caso dei dinoflagellati, tossici per gli animali acquatici e per l’uomo, sia per contatto diretto che per ingestione o inalazione tramite aerosol. Usi a scopi non energetici Le microalghe del genere Spirulina, attualmente Arthrospira, sono state utilizzate per secoli nell’alimentazione di alcune popolazioni africane, del lago Ciad e del Centro America, ad esempio quelle del lago Tex21 n.26 | Aprile 2012 Tra realtà e prospettive coco in Messico (Hendrikson, 2009). L’interesse verso il loro uso a scopo alimentare si manifestò intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso, quando emerse la preoccupazione che l’aumento della popolazione mondiale potesse determinare una carenza alimentare e le microalghe sembravano poter rappresentare una fonte proteica a basso costo; questa pratica fu in seguito abbandonata, visti i deludenti risultati C ottenuti dalle prime colture commerciali. Nel 1961, in Giappone la società Nihon Chlorella iniziò a coltivare microalghe su larga scala a fini commerciali, sfruttando soprattutto il genere Chlorella (Iwamoto H., 2004). Negli anni Ottanta, in Asia, erano presenti 46 fabbriche che producevano più di 1.000 chili di biomassa al mese, in maggior parte di Chlorella (Kawaguchi, 1980). Nel 1986 le strutture di produzione di Dunaliella salina installate in Australia, per ottenere β-carotene, diventarono un altro polo dell’industria microalgale nel mondo. In seguito sono stati realizzati grandi impianti nel sudest asiatico, in California e alle Hawaii, dedicati principalmente alla produzione di Spirulina. Agli inizi dello stesso decennio, in Giappone, nacque il concetto di cibo funzionale o alimento funzionale. Questo genere di alimenti riveste un ruolo protettivo per la salute del consumatore, contribuendo, in tal modo, alla riduzione dei costi sociali per difendere la salute di una popolazione sempre più numerosa e con una maggiore aspettativa di vita (Arai S., 1996). Oggi, dunque, non si pensa più alle microalghe come alla soluzione per risolvere i problemi della fame nel mondo; esse vengono, invece, studiate per applicazioni in diversi settori commerciali quali: produzione di integratori alimentari, farmaci, cosmetici e mangimi. Per quanto concerne il consumo umano, la pasta microalgale secca, in polvere o in compresse, di alcune specie (es. Chlorel- Sfruttamento delle microalghe Tra realtà e prospettive Contenuto nutrizionale di alcune specie di microalghe rispetto ad alimenti comuni Materiale Proteine Carboidrati Lipidi Lievito per il pane 39 38 1 Carne 43 1 34 Latte 26 38 28 Riso 8 77 2 Soia 37 30 20 Chlorella vulgaris 51-58 12-17 14-22 Dunaliella salina 57 32 6 Porphyridium cruentum 28-38 40-57 9-14 Scenedesmus obliquus 50-56 10-17 12-14 Spirulina maxima 60-71 13-16 6-7 Synecochoccus sp. 63 15 11 Aphanizomenon flosaquae 62 23 4-7 I contenuti sono espressi in percentuale sul peso secco. Fonte dati: Spolaore P. et al., 2006; Becker et al., 1994 la) contiene elevate quantità di carboidrati semplici e complessi, oltre a numerosi composti descritti di seguito. Tipici delle microalghe sono i beta glucani, in grado di potenziare la risposta del nostro sistema immunitario (Iwamoto, 2004). In altre specie (es. Arthrospira) è preponderante il contenuto in proteine, che le rende un integratore indicato in stati di debilitazione organica o per gli sportivi. Dentifrici, lozioni, unguenti e alginati in creme assimilabili attraverso la pelle sono alcuni dei prodotti con sostanze di derivazione microalgale più comunemente commercializzati dalle industrie farmaceutiche, principalmente in Giappone. In campo medico vengono sfruttate le loro proprietà antibatteriche, antivirali e antitumorali (Iwamoto, 2004; Qiang Hu, 2004; Hendrickson, 2009). Le microalghe contengono quantità interessanti di vitamine, tra cui la A, quelle del gruppo B inclusa la B12, la C, la D, la E, la K (Becker, W., 2004) che ne aumentano il valore nutrizionale. La quantità prodotta dipende strettamente dalle condizioni di crescita e da tutti i processi che vanno dalla raccolta al confezionamento della biomassa (Brown M.R. et al., 1999; Ben-Amotz et al., 2003). Fra i numerosi acidi grassi riscontrabili nelle microalghe i più importanti sono l’acido docosaesanoico (DHA, 22:6n-3), l’acido arachidonico (ARA 20:4n-6), l’acido eicosapentaenoico (EPA 20:5n-3), l’acido gamma-linoleico e l’acido alfa-linolenico, collettivamente noti come PUFA, polyunsaturated fatty acids, gli acidi grassi poliinsaturi Omega-3 e Omega-6. Notevoli sono anche le proprietà antiossidanti. Sono presenti svariate molecole attive in questo senso, tra cui i carotenoidi 22 n.26 | Aprile 2012 astaxantina e beta carotene. Inoltre sono presenti oligominerali nella loro forma organica maggiormente assimilabile. Tali composti possono o essere estratti dalla biomassa algale prima di altre utilizzazioni (uso indiretto), o assorbiti consumando la pasta microalgale tal quale, umida o secca (uso diretto). Nella tabella qui sopra si evidenzia l’elevato contenuto in proteine, carboidrati e lipidi di alcune specie di microalghe rispetto a quello di alcuni alimenti più comuni. Per contro, un fattore potenzialmente preoccupante per il consumo umano è l’elevato contenuto in acidi nucleici di alcune specie di microalghe, che può favorire lo sviluppo di malattie del metabolismo quali gotta e calcolosi renali. Alcuni metodi di produzione, sopratutto in aree inquinate, hanno fornito derivati con livelli di tossicità non trascurabili per il consumo umano, con conseguente sospensione della lavorazione, come avvenuto, ad esempio, presso il lago Texcoco. Consumi superiori ai 100 grammi al giorno di sostanza secca possono indurre in alcuni casi effetti negativi, quali dolori allo stomaco, nausea, vomito, costipazione (Becker, 2004). Le specie oggi maggiormente coltivate a fini commerciali appartengono ai generi: Arthrospira, Chlorella, Dunaliella, Haematococcus, Nannochloropsis, Nitzschia, Crypthecodinium, Schizochytrium, Tetraselmis, Skeletonema, Isochrysis, Chaetoceros. In acquacoltura le microalghe vengono utilizzate nelle avannotterie, sia come alimento per lo zooplancton destinato a nutrire le larve di pesce, sia come elemento di stabilizzazione chimica nelle vasche (tecnica delle “acque verdi”). Inoltre vengono comunemente impiegate anche negli schiu- Sfruttamento delle microalghe Specie di alghe usate come mangime Specie allevate Famiglia: Bacillariophyceae Skeletonema costatum B, B, D Thalassiospira pseudo nana B, A, D Phaeodactylum tricornutum, C. muelleri B, A, D, C, F Chaetoceros affinis, C. calcitrans B, A, D, F Cylindrotheca closterium B Bellerochea polymorpha D Actinocyclus normanii D Nitzschia closterium, N. paleacea F Cyclotella nana F Famiglia: Haptophyceae Isochrysis affinis galbana, I. tahiti B, A, D, C, F Pseudaisochrysis paradoxa A, D, C Dicrateria sp. D Cricosphaera elongata D Coccolithus huxleyi D Olisthodiscus luteus I Pavlova lutheri, P. pinguis A, D, F, G Famiglia: Chrysophyceae Pyramimonas virginica A, D Micromonas pussila D Famiglia: Chryptophyceaea Cryptomonas D Rhodomonas salina A, D Chroomonas salina D Famiglia: Xanthopyceae Olisthodiscus luteus D Famiglia: Cyanophyceae Spirulina (Arthrospira) platensis B, D, F, G Famiglia: Chlorophyceae Tetraselmis suecica B, A, D, E, F, G Chlorella sp. A, C, F, G, I Scenedesmus obliquus, S. quadricauda I, G, F Dunaliella tertiolecta D, F, G Chlamydomonas khaki A, D, I, G, I Chlorococcum sp. D Brachiomonas submarina D Spongiococcum excentricum A Famiglia: Eustigmatophyceae Nannochloropsis oculata, N. gaditana D, G, H Specie allevate: A, larve di molluschi bivalvi; B, larve di gamberi peneidi; C, larve di gambero d'acqua dolce ; D, postlarve di molluschi bivalvi; E, larve di abalone; F, artemia; G, rotiferi marini; H, copepodi marini; I, zooplancton d’acqua dolce. Microalghe usate per la produzione di mangimi in acquacoltura [fonte dati: Becker 2004; DePauw & Persoone, 1988; Lavens & Sorgeloos, 1996]. 23 n.26 | Aprile 2012 Tra realtà e prospettive ditoi di molluschi, combinate in miscele multispecifiche più o meno diversificate; questo per la loro diversa composizione specifica in proteine e acidi grassi essenziali, soprattutto quelli poliinsaturi (PUFA), al fine di fornire un alimento il più completo possibile (Kanazawa, 1985). Microalghe ed energia rinnovabile Biocombustibili di prima e di seconda generazione È ormai accertato dalla comunità scientifica internazionale che la continua emissione nell’atmosfera di anidride carbonica prodotta dalle attività umane, soprattutto da quelle basate su combustibili derivati dal petrolio, stia velocemente cambiando l’intero ecosistema del pianeta Terra, modificando al rialzo gli equilibri termici (IPCC). Pertanto da anni scienziati e ricercatori sono impegnati nella difficile ricerca di soluzioni in grado di risolvere concretamente tale problema. Tra queste di primaria importanza sono i tentativi di sostituire i combustibili di origine fossile con altri di origine vegetale, tendenti al bilancio neutro della CO2. Si assume, infatti, che la biomassa fotosintetica durante il suo accrescimento assorba la stessa quantità di anidride carbonica emessa quando viene infine combusta; tuttavia sono da considerare anche i processi per la trasformazione della biomassa, i quali possono influire negativamente sul bilancio totale. Attualmente, la produzione di biocombustibili ricavati da piante edibili, cosiddetti di prima generazione, è ritenuta da più parti una pratica non sostenibile per la riduzione delle superfici agricole sfruttabili a fini alimentari e per l’incremento del prezzo delle materie prime (acqua, fertilizzanti ecc.), necessarie anche alla produzione di beni di prima necessità, quali frumento, mais, riso, canna da zucchero. Inoltre, l’uso dei suoli attualmente coltivati potrebbe non bastare a colmare la scarsità di cibo che colpisce buona parte della popolazione mondiale. Per questo motivo, oggi si punta all’utilizzo di biomasse non edibili per produrre biocombustibili, riducendo così la concorrenza per le risorse tra settore energetico e agroalimentare. Alla luce di questa situazione, in diversi Paesi sono state attivate linee di ricerca finalizzate a sviluppare e a mettere a punto nuove tecnologie eco-sostenibili per la produzione di energia pulita. Tali tecnologie utilizzano i cosiddetti biocombustibili di Sfruttamento delle microalghe seconda o (di nuova) generazione, prodotti da fonti rinnovabili eco-compatibili. Da alcuni anni è stata presa in considerazione anche nel nostro Paese la possibilità di usare a tale scopo le microalghe, in grado di produrre in modo sostenibile una quantità di energia decisamente maggiore per unità di superficie rispetto a quella ottenuta dal mais o dalla soia e anche dalla palma da olio tropicale (Benemann e Pedroni, 2007; Tredici, 2010). Le microalghe possono infatti essere considerate a pieno titolo una coltura energetica di seconda generazione, in grado di evitare impatti dannosi sul mercato agroalimentare e sulla biodiversità terrestre; ciò in quanto coltivabili su terreni scarsamente produttivi altrimenti inutilizzabili, come le zone costiere aride e le zone paludose, con acque salmastre o marine. Per la loro crescita si potrebbero sfruttare acque eutrofiche, ovvero ricche di sali nutrienti di origine agricola o civile, ottenendo così anche la loro depurazione. Le microalghe sarebbero capaci di produrre 30 volte l’equivalente in olio rispetto alla stessa area coltivata con specie terrestri convenzionali, quali mais, soia e altro. Il limite teorico di produttività, calcolato sulla base di considerazioni relative alla luce incidente e all’efficienza fotosintetica, indica valori di circa 280 tonnellate di biomassa secca per ettaro all’anno alle latitudini del sud della Spagna; ipotizzando un contenuto lipidico estraibile del 40%, si ottengono valori di 115 m3 di olio per ettaro per anno (Wageningen University). Tuttavia esistono ancora diversi punti critici prima di poter realizzare produzioni energetiche economiche che vadano oltre stime più o meno ottimistiche ottenute da esperienze realizzate su scala limitata o, Metodologie produttive usate per peggio, solo da calcoli teorici. Su questi ottenere composti commerciali aspetti di ampliamento della scala operatidalle microalghe va si attendono ancora risultati consolidati Luce Nutrienti ALGHE Fotobioreattori Vasche Bacini Opzionali Acque reflue Acque salate CO2 da gas di scarico Terreno degradato Input Coltivazione 24 Estrazione / Transesterificazione Biodiesel Fermentazione Bioetanolo Digestione Anaerobica Metano Gassificazione/ Bio-idorgeno Idrogeno Essiccazione/ Gassificazione Co-combustione, combustibili specifici Essiccazione Cibo, mangimi Essiccazione/ Estrazione Biomolecole Down-stream n.26 | Aprile 2012 Prodotti Tra realtà e prospettive da parte del mondo della ricerca, anche in termini di definizione dei prodotti energetici maggiormente convenienti. Di conseguenza, in un contesto come quello italiano, puntare principalmente al biodiesel come principale prodotto energetico derivante dalle microalghe può rivelarsi una scelta non priva di rischi. Infatti le capacità produttive medie di biodiesel da parte delle 19 raffinerie nazionali sono molto elevate, mediamente intorno alle 120.000 tonnellate/anno ad impianto, un valore raggiungibile solo utilizzando colture microalgali molto estese (100-200 km2). L’utilizzo di tali superfici è da considerarsi improponibile per una prima fase di sviluppo, specialmente in mancanza, a livello mondiale, di tecnologie consolidate su larga scala per produzioni intensive di biomassa microalgale a basso costo. Nelle prime fasi, sarebbe probabilmente più opportuno considerare impianti su piccola/media scala per la produzione di microalghe da destinare alla produzione di biogas, i quali presenterebbero i valori aggiunti della depurazione di acque eutrofiche/reflue (Schenk et al., 2008), dell’assorbimento di CO2 e della produzione di O2 durante le ore di luce, (Park et al., 2011). Questo rappresenta un obiettivo di prodotto energetico ottenibile con processi più semplici, minori input energetici e minori standard qualitativi della biomassa rispetto a quanto richiesto per il biodiesel (Barbato, 2011). Ovvio aspetto accessorio delle coltivazioni microalgali è il contributo alla riduzione delle emissioni di CO2, in quanto questa viene assorbita dalle microalghe sia dall’aria atmosferica, sia nel caso in cui provenga da fonti quali fumi di combustione o biogas e venga insufflata appositamente nel mezzo di coltura. L’assorbimento avviene mediante conversione fotosintetica del carbonio in sostanza organica, attraverso una serie di percorsi metabolici che possono condurre a diversi composti di accumulo energetico nella cellula microalgale, tra cui riveste particolare interesse il bioolio, ovvero una sostanza oleosa con alta densità energetica che è possibile impiegare, oltre che per la produzione di biodiesel, anche direttamente per l’alimentazione di generatori elettrici diesel, anche di piccola taglia. La biomassa residua dopo l’estrazione dell’olio dalle microalghe può essere comunque usata per la produzione di biogas. Oltre al biodiesel, agli oli combustibili e al biogas, altri prodotti energetici possono essere ricavati dalle biomasse microalgali, sebbene con risultati operativi per ora meno consistenti rispetto a quelli menzionati in precedenza, come ad esempio idrogeno, Sfruttamento delle microalghe tramite la microalga Chlamydomonas sp. in particolari condizioni di coltura, o bioetanolo per via fermentativa della cellulosa e di altri carboidrati presenti nella biomassa di determinate specie microalgali. Coltivare le microalghe Colture di laboratorio Vasca per la coltivazione delle microalghe di tipo “raceway”. [Immagine: JanB46, Wikipedia Commons, 2011] Coltura di Scenedesmus dimorphus in contenitore PET da cinque litri. 25 Tra realtà e prospettive dell’anno; in tali casi si è obbligati a massimizzare produzione e raccolta dell’alga nei periodi più caldi. I sistemi di coltivazione in vasche aperte non protette non garantiscono produzioni monospecifiche, pertanto sono utilizzati per un limitato numero di specie cosiddette “estremofile” come Arthrospira platensis (Spirulina) e Dunaliella salina, che crescono in condizioni selettive estreme, rispettivamente di elevato pH (maggiore o uguale Oltre al mantenimento e alla caratterizzazione delle specie e dei ceppi, le colture in laboratorio consentono la realizzazione della ricerca di base per definirne le proprietà funzionali. Quelle monospecifiche vengono avviate in provette da 10-50 ml, in condizioni ambientali controllate, in mezzi liquidi contenenti i nutrienti necessari alla crescita. Su scala di laboratorio il volume della coltura è incrementabile mediante passaggi successivi fino a qualche decina di litri. A tal fine è possibile utilizzare capienti contenitori in PET trasparenti che devono essere sterilizzati per via chimica (Barbato e De a 9) e di elevata salinità (oltre il 40‰). Ciò impedisce a buona parte delle potenziali Luca, 2011). specie contaminanti di proliferare. A tal fine le open ponds si possono proteggere Colture massive Anche in questo caso si prefe- dalla pioggia e da agenti contaminanti trarisce aumentare gradualmente i mite teli plastici trasparenti o serre. Nei bavolumi dei fotobioreattori, par- cini in terra è spesso usato un rivestimento tendo da 20-30 litri per passare a in telo plastico impermeabile per un mivalori più grandi, fino ad arrivare gliore controllo dei parametri biotici e per in vasche o in veri e propri ba- evitare possibili percolazioni. cini di crescita. I passaggi ripetuti permettono la riduzione dei tempi di crescita (le colture Fotobioreattori vengono a trovarsi sempre nella L’uso di contenitori chiusi detti “fotobiofase esponenziale), un controllo reattori” è stato per lungo tempo associato più accurato e uno sviluppo più ad alti costi di gestione, soprattutto quando facilmente programmabile. Una il funzionamento di tali sistemi era ancora volta raggiunti i volumi di uti- totalmente dipendente da illuminazione e lizzo, le colture possono essere termostatazione artificiali. Recentemente è mantenute in modo semi-conti- stata avviata la produzione su larga scala nuo, continuo o discontinuo. di una vasta gamma di specie algali quali Spirulina, Chlorella ed Haematococcus in Vasche aperte, open ponds sistemi chiusi, posti all’aperto o in serra, Oggi gran parte della produzione con cui è possibile ottenere biomassa algamondiale avviene in vasche all’aper- le di maggior purezza in alta concentrazioto in zone tropicali e sub-tropicali, dove è ne, limitando nel contempo i costi grazie possibile abbattere i costi utilizzando al me- all’illuminazione e, ove possibile, al riscalglio la luce solare come sorgente di energia damento naturale. lungo tutto il corso dell’anno. Spesso per Nonostante le differenze tra le svariate tila coltivazione su larga scala vengono uti- pologie, si può affermare che il criterio lizzate vasche a rimescolamento poco pro- principale con cui viene ideato e realizzato fonde, configurate a circuito (raceway) e un fotobioreattore è quello di permettere dotate di agitatori elettromeccanici a pale. alla cellula fotosintetica di raggiungere In molte regioni non tropicali gli impian- la migliore efficienza nella conversione ti di colture algali all’aperto hanno spesso dell’energia luminosa, cercando di garanlo svantaggio di trovarsi in condizioni cli- tire una adeguata quantità di luce, sia essa matiche sfavorevoli, tali da non permette- artificiale o solare. Anche i metodi per more cicli di produzione lungo tutto il corso vimentare le colture e per ottimizzare gli n.26 | Aprile 2012 Sfruttamento delle microalghe scambi gassosi sono importanti. Per altri versi, sono attualmente in corso studi per modificare geneticamente alcuni ceppi algali, in particolare di Chlamydomonas reinhardti, in modo da ottenere maggiori efficienze fotosintetiche soprattutto ad alte densità cellulari. I risultati finora ottenuti mostrano, tuttavia, problemi nell’ottenimento di concentrazioni cellulari ottimali da parte dei ceppi ingegnerizzati. Le tipologie esistenti per la produzione di alghe tramite fotobioreattori sono riconducibili ai seguenti sistemi sia da esterno che da interno: Fotobioreattori cilindrici. [Immagine: Steve Jurvetson, Flickr, 2005] 1) Sistemi a pannello, o flat panels; 2) Sistemi a colonna con sistema a gorgogliamento d’aria, o bubble columns; 3) Sistemi cilindrici orizzontali, o tubular reactors. Nell’ottica delle produzioni a fini energetici su vasta scala, i fotobioreattori possono essere utili per formare gli inoculi delle coltivazioni in vasche aperte, dove viene realizzata la fase finale di accrescimento, selezionando le specie algali in base al maggior contenuto energetico e alla loro adattabilità alle condizioni colturali e climatiche. Raccolta e trattamento Separare la biomassa dalla fase acquosa in cui cresce può essere un compito difficile e costoso. Di fatto è uno dei maggiori impedimenti all’ampia diffusione delle colture microalgali su scala commerciale, specialmente a fini energetici. Molto dipende dalla forma e dalle dimensioni della particola26 n.26 | Aprile 2012 Tra realtà e prospettive re microalga considerata, essendo le specie coloniali e filamentose quali la Spirulina le più facili da separare attraverso filtri in tela con maglie opportunamente dimensionate, mentre le forme unicellulari sferoidali di piccole dimensioni come Chlorella o Nannochloropsis sono quelle più difficilmente recuperabili dal mezzo di coltura. Laddove è possibile, la più conveniente tipologia di separazione è la semplice sedimentazione, ovvero l’accumulazione per gravità della biomassa algale sul fondo del recipiente di coltura o di un contenitore di forme e dimensioni dedicate allo scopo. Il fattore critico in questo caso è il lungo tempo richiesto per la concentrazione della biomassa sul fondo, che può variare notevolmente a causa di una serie di fattori quali temperatura, illuminazione, stato fisiologico dell’alga, pH, salinità ecc. Esistono altre tecniche di separazione che fanno uso di flocculanti per addensare le singole cellule algali, facilitare e sveltire la sedimentazione, con lo svantaggio però di trovare nella biomassa anche la sostanza flocculante, oltre al costo della stessa. Al contrario, esiste la possibilità, soprattutto per alghe ricche di lipidi, di tecniche di flotation, ovvero di concentrazione di biomassa per galleggiamento, anche attraverso la creazione di schiume. Sono disponibili svariati sistemi elettromeccanici piuttosto energivori, e quindi costosi, quali filtrazioni di vario genere e centrifugazioni. Una volta ottenuta la biomassa umida, si deve procedere in alcuni casi all’essiccazione che può essere ottenuta con energia solare, magari con l’uso di una serra, in un forno o con il sistema spray drying che ha il vantaggio di non dover scaldare fortemente la biomassa, evitando il dannegggiamento di composti termolabili, tra cui diverse vitamine. La biomassa algale essiccata spesso non è usata tal quale, solitamente si procede all’estrazione di sostanze di interesse commerciale. Nel caso della produzione di biodiesel, ad esempio, è necessario estrarre i lipidi, passaggio questo che richiede infrastrutture apposite, solitamente utilizzate anche per altre materie prime naturali rinnovabili, che sono disponibili solo presso bioraffinerie ad elevata produttività. Sono in corso di sperimentazione sistemi di estrazione alternativi con tecniche di sonicazione, che usano gli ultrasuoni per rompere le cellule algali e liberare le goccioline oleose in esse contenute già nella fase finale della coltivazione, in modo da poter recuperare per semplice separazione di fase la componente oleosa. Sfruttamento delle microalghe Le microalghe nel mondo L’oasi di Ca’ di Mezzo, Codevigo (Pd). Si tratta di un’area soggetta, in passato, ad eutrofizzazione e fioritura microalgale, oggi bonificata grazie a tecniche di fitodepurazione. 27 Vi sono attualmente molti importanti produttori commerciali di microalghe, operanti soprattutto in regioni asiatiche, del Pacifico e del Sud degli Stati Uniti, con impianti la cui produzione annua può raggiungere circa 500 tonnellate. L’interesse del mercato per le microalghe è in rapida crescita da qualche anno a questa parte, soprattutto per le prospettive di un loro utilizzo a livello energetico. Tuttavia, nonostante lo stanziamento di ingenti fondi pubblici e privati per la ricerca di settore da parte di nazioni quali gli Usa e la Cina, gli incrementi di produttività sono trascurabili e il commercio rimane limitato al settore degli integratori e delle biomolecole. Ad oggi, ancora non esiste al mondo un impianto commerciale economicamente rilevante dedito alla coltivazione di microalghe a fini energetici. Non di meno, diverse importanti organizzazioni pubbliche e private, tra cui alcune grandi società petrolifere, stanno seguendo lo sviluppo e migliorando l’operatività di strutture di ricerca e pilota per affinare la qualità ed espandere n.26 | Aprile 2012 Tra realtà e prospettive la quantità dei loro prodotti in ambito energetico a fini commerciali. Andrà studiato a fondo l’impatto ambientale di tali processi industriale per ottenere sistemi di produzione sostenibili e ecocompatibili. A tal fine si sta facendo sempre maggior uso delle metodologie che prendono in considerazione l’intero ciclo di vita del prodotto, la cosiddetta LCA, Life Cycle Assessment (Green n. 25, pagg. 36-43). Al fine di coordinare e favorire gli studi sulle microalghe, nonché la loro diffusione agli ambiti produttivi, sono state costituite diverse società di settore, tra si possono citare la EABA, European Algae Biomass Association, e la ABO, Algal Biomass Organization negli Stati Uniti. Si sono rapidamente moltiplicati da alcuni anni i convegni nazionali e internazionali su queste tematiche che attirano un pubblico assai numeroso, con ricadute economiche e occupazionali non trascurabili. Conclusioni La ricerca sulle microalghe mostra ancora una serie di criticità da risolvere, prima di poter arrivare a poterle sfruttare commercialmente a scopo energetico, mentre negli altri settori di utilizzo si punta essenzialmente ad un significativo aumento della produttività e della diffusione. Seguono alcuni temi che richiederanno un consistente sforzo da parte della ricerca a livello globale. Selezione e caratterizzazione dei ceppi. Dovranno essere individuati quelli: • robusti, ovvero in grado di resistere a condizioni ambientali non controllate, quali quelle di situazioni all’aperto in climi temperati e tropicali; • produttivi, ovvero in grado di raggiungere densità elevate in breve tempo, con Sfruttamento delle microalghe Riferimenti bibliografici selezionati • Arai S.,1996. Studies of Functional foods in Japan-State of the art. Biosci., Biotechnol., Biochem. 60, 9-15. • Barbato F., 2011. An integrated approach to microalgae culture in Italy. IEA meeting on Biorefinery, Task 42, Tortona - Italy, 4 april 2011. http:// www.iea-bioenergy.task42-biorefineries.com/publications/stakeholdermeetings/2011/ • Barbato F., De Luca E., 2011. Some methods to save energy, time and money in small scale microalgae culture. XIX ISAF International Symposium on alcohol fuels, 10-14 october 2011, Verona - Italy. • Becker W., 2004. Nutritional Value of Microalgae for Aquaculture. 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Uso e depurazione di acque reflue. Ottimizzazione in laboratorio delle capacità dei ceppi di moltiplicarsi sfruttando i nutrienti presenti nelle acque reflue; si può così ottenere la depurazione delle stesse. Cattura attiva della CO2. Miglioramento della capacità di assorbire CO2 anche da gas esausti residuali da combustioni, contribuendo così alla riduzione delle emissioni di gas serra. Miglioramento della resa energetica. Individuazione di prodotti energetici con i più favorevoli bilanci mediante studi col metodo LCA. Tecniche di separazione. I metodi di recupero della biomassa dal liquido colturale e di trattamento successivo devono essere resi più efficienti e poco energivori, adattandoli agli specifici ceppi algali utilizzati. Abbattimento dei costi. In generale devono essere abbattuti tutti i costi relativi alla produzione, in relazione soprattutto all’individuazione di opportune economie di scala e processi che garantiscano rese sufficientemente costanti nel tempo. In conclusione, nonostante le grandi potenzialità di utilizzo della biomassa algale, c’è ancora bisogno di sperimentazione e sviluppo perché queste tecnologie possano diventare una realtà commerciale diffusa, specialmente in campo energetico. Purtroppo, in questi tempi di grave crisi economica, la tendenza è quella di ridurre i fondi dedicati alla ricerca; le poche risorse disponibili devono essere dedicate ai settori d’indagine più promettenti. Tra di essi si possono senz’altro annoverare, come si è cercato di mostrare nel presente articolo, le microalghe. Fabio Barbato, Carlo Alberto Campiotti, Germina Giagnacovo, Vito Pignatelli, Dario Tumminelli, Corinna Viola ENEA, Roma Estelle Silva Diorato Universidade Federal do Bahia, Brasile Xxxx Xxx Ecco alcune fra le più promettenti applicazioni nanotech per la tutela della salute Nanotecnologie e medicina: dal drug delivery ai MEMS ico n e m Do o d Al i d ra a Fic Chip microelettromeccanico, un tipo di lab-on-a-chip Nanotecnologie e medicina Dal drug delivery ai MEMS In campo clinico e farmacologico le nanotecnologie si occupano delle applicazioni che sfruttano sistemi con dimensioni dell’ordine di grandezza dei nanometri per scopi terapeutici o diagnostici. La ricerca nel settore della nanomedicina offre numerose eclatanti prospettive, fino ad ipotizzare la futura creazione nano-macchine utilizzabili per riparare le cellule. In attesa di queste rivoluzionarie scoperte, discutiamo assieme delle tecnologie più promettenti attualmente in fase di sperimentazione: i nano-vettori per la distribuzione mirata dei farmaci (drug delivery), i lab-on-a-chip e altri tipi di MEMS, Micro Electro Mechanical Systems, utilizzabili a scopo diagnostico. La nanomedicina oggi La nanomedicina è ormai una grande industria, il cui fatturato è arrivato a 6,8 miliardi di dollari nel 2004, con oltre 200 compagnie e 38 prodotti commercializzati nel mondo. Nell’aprile 2006, la rivista Nature Materials stimava che fossero stati sviluppati circa 130 tra farmaci basati sulla nanotecnologia e sistemi di distribuzione di medicinali nell’organismo (drug delivery). La National Nanotechnology Initiative, un programma di ricerca statunitense, prospetta nuovi impieghi commerciali di tali tecnologie nel campo dell’industria farmaceutica che potranno includere sistemi avanzati di erogazione di farmaci, nuove terapie e miglioramenti nella diagnostica per immagini. Le possibili applicazioni di settore vanno dall’uso clinico dei nanomateriali, alla formulazione di nuovi sistemi per la somministrazione dei farmaci, ai biosensori nanotecnologici, al possibile utilizzo - nel medio periodo - della nanotecnologia molecolare. Da pochi anni a questa parte la ricerca ha tra i suoi obiettivi quello di realizzare laboratori per sviluppare le tecnologie in campo bio-medicale come il drug delivery e la diagnosi precoce dei tumori questi, grazie alla loro natura interdisciplinare tra le scienze della vita (medicina, biologia, farmacia) e scienze esatte (fisica e chimica), avranno enormi potenzialità nel progettare lab-on-a-chip (LOC), per la cura farmacologica dei tumori. In particolare questi studi comprenderanno due fasi di sviluppo. La prima riguarda il trasporto mirato dei farmaci (drug delivery, letteralmente “consegna del farmaco”), in termini di studio delle proprietà strutturali, di dinamica a livello molecolare di alcune classi di sistemi nanostrutturati di interesse, di studio del targeting (mira, bersagliamento) e di velocità di rilascio del farmaco 30 n.26 | Aprile 2012 in vitro da parte del vettore, in relazione alla funzionalizzazione delle superfici e della struttura tridimensionale create mediante la micro e nano fabbricazione. La seconda fase di sviluppo concerne la scelta dei dispositivi da progettare e realizzare per una migliore diagnosi precoce dei tumori, come i LOC e i bioMEMS di cui parleremo più avanti. Drug delivery Sono molte le ricerche sperimentali per la produzione e la caratterizzazione di nanoparticelle che, ricoperte con polimeri biocompatibili, possano diventare dei vettori efficienti da utilizzare nel drug delivery, inteso come lo sviluppo di sistemi alternativi di distribuzione mirata dei farmaci nell’organismo. Ciò al fine di circoscrivere l’effetto biologico della terapia a una determinata tipologia di cellule, migliorandone l’efficacia e riducendone, nel contempo, la tossicità. Pertanto, esso rappresenta una delle tecniche alternative migliori per la somministrazione di medicinali ai malati cronici, i quali necessitano di trattamenti continuativi, solitamente con alti dosaggi, che comportano spesso significativi effetti collaterali. Questi nuovi sistemi, infatti, hanno il grande vantaggio di poter veicolare i principi attivi direttamente e solo sul bersaglio, in un’unica dose che viene rilasciata gradualmente. Tra i possibili carrier (vettori) da utilizzare nei processi di drug delivery troviamo quelli realizzati con nanoparticelle di oro, di silice, o di ossidi di ferro coniugati con dendrimeri (molecole polimeriche molto ramificate) i quali mostrano grandi potenzialità come sistemi multivalenti per un impiego sia diagnostico che terapeutico. Il chiosano, ad esempio, è un polimero di origine naturale derivato per deacetilazio- Nanotecnologie e medicina Dal drug delivery ai MEMS Azione delle nanoshell sul tumore mediante un particolare meccanismo detto “cavallo di Troia”. In questo caso esse vengono fagocitate dai macrofagi in seguito “reclutati” nella zona tumorale. A questo punto irradiando con raggi infrarossi (IR vicino) le nanoshell entrano in risonanza producendo calore che distrugge selettivamente le cellule malate. Un lab-on-a-chip, un microreattore in vetro con superficie di pochi centimetri quadrati. Si tratta di un dispositivo simile alle cartucce (cartridge) usate sul sistema LOCAD-PTS della Nasa, rappresentato nelle immagini che seguono. 31 ne (rimozione di uno o più gruppi acetile, -COCH3) alcalina dalla chitina, recentemente proposto quale materiale per il rilascio controllato di farmaci attraverso le mucose. Altro esempio sono i globuli rossi, i quali - essendo cellule trasportatrici (di emoglobina) senza nucleo - potrebbero essere usati come carrier biologici. In alternativa si studiano le nanoshell (nano-gusci) multistrato, costituite da un nucleo di silice ricoperto da un sottile velo d’oro. La dimensione, la forma e la composizione delle nanoshell determinano in esse particolari proprietà ottiche che le fanno rispondere a specifiche lunghezze d’onda della radiazione elettromagnetica, permettendo di convertire la luce in calore, per distruggere selettivamente le cellule cancerose, senza intaccare i tessuti sani adiacenti al tumore. In altre parole questi nano-gusci sono realizzati da un nocciolo sferico e da un dielettrico (isolante) di ossido di silicio, aventi entrambi dimensioni dell’ordine dei nanometri. Il nocciolo è racchiuso in un guscio di oro che può essere progettato e costruito in modo da risuonare con la radiazione della luce incidente nella regione spettrale dell’infrarosso-vicino, assolutamente innocua e capace di penetrare profondamente nei tessuti. Quest’ultima riscalda in modo selettivo le nanoshell irradiate, provocando così l’ablazione termica del tessuto con il quale sono a contatto. L’indice terapeutico (TI) di un farmaco è il rapporto tra il suo beneficio per una data prescrizione e gli effetti collaterali indesi- n.26 | Aprile 2012 derati, rappresenta quindi un indice della validità del medicinale che aumenta in proporzione. Per questo i tecnologi farmaceutici, al fine di innalzare il valore di questo parametro, ipotizzano l’uso di questi vettori per strategie simultanee con bersagli diversi, con un guadagno cumulativo in termini di selettività che, a sua volta, porta ad un aumento del TI. In altri termini, le probabilità di localizzazione di una lesione attraverso meccanismi differenti sono additive, quindi il fatto che la progettazione di nanovettori possa trarre, contemporaneamente, vantaggi da diversi meccanismi rende possibile una strategia terapeutica potenzialmente vantaggiosa. Lab-on-a-chip e bioMEMS Con lab-on-chip (LOC) si indica un dispositivo, un laboratorio in miniatura, che integra funzioni multiple su un singolo chip, con dimensioni variabili da pochi millimetri a qualche centimetro quadrato. Si tratta in pratica di un microreattore (vedi Green n. 24, pagg. 26-33) capace di trattare volumi di fluidi estremamente piccoli inferiori all’ordine dei picolitri (un milionesimo di milionesimo di litro, 1 pl = 10-12 l). I LOC appartengono alla famiglia dei dispositivi MEMS, dall’inglese Micro Electro Mechanical Systems (microsistemi elettromeccanici), indicati anche come µTAS, Micro Total Analysis Systems. Lavorando a livello di picolitri si entra nell’ambito della microfluidica, termine generale che descrive anche dispositivi di controllo di meccanica dei fluidi (pompe e valvole) o sensori, come flussometri e viscosimetri. Dopo la scoperta della microtecnologia, avvenuta attorno al 1954, per realizzare strutture integrate di semiconduttori per chip microelettronici, queste tecnologie basate sulla litografia elettronica furono applicate una ventina d’anni dopo per la fabbricazione di sensori di pressione nel campo manifatturiero. Tali nuovi sviluppi hanno portato alla progettazione di strutture meccaniche in silicio dell’ordine di grandezza dei micrometri o ancor più piccole, inizia così l’era dei MEMS microfluidici, dispositivi che trasportano, erogano, combinano e/o separano fluidi a livello microscopico. I sistemi di spruzzamento, trasporto e misurazione di tale tipo rappresentano un potenziale di innovazione tecnologica e produttiva che solo da poco le industrie hanno incominciato ad apprezzare, realizzando che l’applicazione di que- Nanotecnologie e medicina Dal drug delivery ai MEMS Il Lab-On-a-Chip Applications Development Portable Test System (LOCAD-PTS) trasportato sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) dallo Space Shuttle Discovery il 9 dicembre 2006. Il sistema serve per l’analisi di microrganismi prelevati tramite tamponi che vengono eluiti per poi distribuire il liquido nella cartuccia, il lab-on-a-chip vero e proprio, la quale viene poi “letta” dallo strumento. [Immagine: Nasa] 32 sti dispositivi riesce a ridurre le quantità di liquidi impiegati, minimizzando gli scarti e consentendo di operare in serie o in parallelo su dispositivi multipli. Inizialmente i MEMS microfluidici sono stati utilizzati come valvole, pompe e sistemi per getto d’inchiostro; in quest’ultimo caso servono per migliorare la risoluzione della stampa; grazie alla miniaturizzazione permettono una maggiore densità degli ugelli, riducendo nel contempo il consumo di inchiostro, con un conseguente incre- n.26 | Aprile 2012 mento della vita media delle cartucce. Uno dei più avanzati centri di ricerca, sviluppo e produzione d’Europa in questo settore si trova in Valle d’Aosta e, precisamente, ad Arnad, nel polo tecnologico del Gruppo Olivetti Tecnost di proprietà della Telecom Italia. Il campionamento e l’analisi delle acque sono altre possibili applicazioni dei MEMS microfluidici, in questo caso, ad esempio, numerosi dispositivi possono essere collocati in punti strategici delle reti idriche per Nanotecnologie e medicina Dal drug delivery ai MEMS Descrizione delle biochimica alla base del funzionamento del LOCAD-PTS della Nasa. Il sistema permette di analizzare i campioni per rilevare la presenza di batteri Gram-negativi (celeste), muffe e funghi (verde), batteri Gram-positivi (rosso), grazie all’uso di tre diversi lab-on-a-chip che identificano delle componenti cellulari specifiche, rispettivamente endotossine (LAL), glucano e acidi lipoteicoici (LTA). [Immagine: Jake Maule, NASA Marshall Space Flight Center] misurare la qualità dell’acqua e l’eventuale presenza di sostanze tossiche. I bioMEMS, o bio-microsistemi, rappresentano un tipo particolare di dispositivi; sono progettati per trasportare, mescolare e/o separare liquidi a livello microscopico e presentano la caratteristica unica di poter trattare sia liquidi contenenti materiale biologico che fluidi biologici, come, ad esempio, il sangue. Si tratta di un gruppo molto vasto, comprendente apparecchiature integrate e miniaturizzate utilizzabili per la ricerca e sviluppo in biologia e biochimica, nella diagnostica, nella terapia e nel monitoraggio. Sono identificati con appellativi diversi a seconda delle loro caratteristiche e funzioni: biochip, bioMEMS, microarray, chip a Dna, cell-chip, micro-impianti. Potenziali applicazioni con l’uso di Dna Le possibilità di realizzare il trasporto mirato dei farmaci (drug delivery) con nano33 n.26 | Aprile 2012 vettori e di creare dei microscopici labon-a-chip - interattivi a controllo remoto, in grado di raccogliere e trasmettere dati dall’interno del corpo del paziente - dimostrano l’enorme potenziale delle nanotecnologie in campo terapeutico, diagnostico e farmaceutico. Un recente comunicato stampa della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, riportato dal nostro blog sulle nanotecnologie “Dieci alla meno nove” (http://chiacchieresulnano.blogspot. com/2011/05/forbici-molecolari-intrappolate-in.html), apre nuove prospettive per la medicina molecolare di frontiera. Un team internazionale di ricerca ha scoperto un particolare meccanismo di interazione degli enzimi di restrizione all’interno di nanostrutture di Dna che apre a nuovi possibili scenari per l’analisi di frammenti di tessuti, non realizzabile con le attuali tecniche diagnostiche. Ciò potrebbe favorire lo sviluppo di nanotecnologie a basso costo, usando strutture composte da molecole di Dna, utili - per esempio - per l’analisi di Nanotecnologie e medicina Dal drug delivery ai MEMS Alcune tecniche di fabbricazione dei MEMS Le principali tecniche attualmente usate per la produzione di MEMS, Micro Electro Mechanical Systems, sono: 1) la microlavorazione di volume (bulk micromachining); 2) la microlavorazione superficiale (surface micromachining); 3) le tecniche LIGA. 1) Il bulk micromachining È stata la prima tecnologia ad essere sviluppata per produrre microstrutture semplici. Prevede la realizzazione di strutture tridimensionali direttamente in substrati di silicio usando tecniche che comportano la rimozione di materiale (etching) tramite attacchi umidi o secchi, la deposizione di strati sottili, l’introduzione di impurità nel substrato per cambiarne le proprietà, il bonding del substrato, legandovi sopra particolari molecole o strutture Le cosiddette tecniche di attacco cristallografico servono per la rimozione selettiva del substrato, permettendo - per così dire - di scolpirlo. Si sfrutta l’anisotropia della velocità di attacco ai diversi piani del wafer cristallino (etch rates), dovuta al loro diverso orientamento. Possono essere usate soluzioni isotrope o anisotrope, ma nel primo caso le geometrie ottenibili hanno solo forma emisferica, mentre nel secondo è possibile ottenere forme diverse e meglio definite, a scapito di costi più elevati e tempi più lunghi 2) Il surface micromachining Attualmente si può considerare la tecnica più diffusa per la realizzazione di dispositivi MEMS. Consiste nella deposizione di strati dielettrici (isolanti) e metallici sulla superficie di un wafer siliceo e la successiva realizzazione delle strutture tramite tecniche fotolitografiche. Questi sono poi attaccati in modo da creare strutture anche molto complesse sulla superficie del substrato. Per la composizione degli strati si usano due tipi di materiali: “strutturale” e “sacrificale”. Dopo la deposizione ogni strato viene lavorato tramite attacchi secchi e infine lo strato sacrificale viene rimosso per liberare le strutture formate, un po’ come la cera viene rimossa da un calco di gesso. 3) La tecnica LIGA (Roentgen LIthography Galvanic Abformung) Questa particolare tecnica fotolitografica, sviluppata in Germania, è indicata per la produzione di strutture spesse con pareti laterali praticamente verticali. Si parte da un substrato conduttivo che viene ricoperto da uno strato molto spesso di photoresist, una sostanza polimerica che ha la proprietà di poter essere rimossa facilmente dalla soda caustica nel caso venga impressionata dai raggi UV-A, mentre è molto resistente alla corrosione da parte del cloruro ferrico se non esposta alla radiazione. Per poter penetrare verticalmente tutto lo strato, la litografia sfrutta la luce di sincrotrone, cioè la radiazione elettromagnetica generata da particelle cariche, solitamente elettroni o positroni, che viaggiano a velocità prossime alla velocità della luce su una traiettoria curva determinata da un campo magnetico. Dopo lo sviluppo che elimina le porzioni non impressionate, il photoresist viene sottoposto a electroplating che va a coprire la struttura formatasi con la fotoincisione; in seguito la placcatura viene accresciuta galvanicamente finché il metallo non supera il livello del photoresist che viene in fine viene rimosso, ottenendo uno stampo metallico che è utilizzato per produrre un numero illimitato di copie in plastica. singole cellule tumorali circolanti nel sangue, di micro-dissezioni ricavate da biopsie, di biomolecole contenute in campioni biologici minuscoli. Parametri ad oggi difficilmente analizzabili potrebbero essere facilmente misurati utilizzando sensori miniaturizzati, con dimensioni più piccole di una singola cellula, capaci di interagire con le biomolecole e di studiarne le caratteristiche. Usando metodi di manipolazione molecolare, questi ricercatori hanno studiato l’interazione degli enzimi di restrizione con la doppia elica del Dna, in condizioni particolarmente diverse da quelle esplorate finora. Hanno utilizzato corte molecole di acido desossiribonucleico, lunghe appena una decina di nanometri, per costruire delle matrici simili a dei boschetti, formati da una “distesa” di paletti verticali su una superficie liscia. Così hanno scoperto che, quando la densità dei “paletti” di Dna è sufficientemente alta da formare una struttura altamente ordinata, gli enzimi possono accedere alla matrice solo dai bordi laterali, mediante diffusione. All’interno, essi si muovono solo in piano 34 n.26 | Aprile 2012 su due dimensioni, cioè viaggiano da un lato all’altro restando intrappolati, anche per centinaia di micrometri, coprendo distanze centinaia o decine di migliaia di volte maggiori del loro diametro. Dal punto di vista fisico questa scoperta è sorprendente per due ragioni: la prima è che finora non era mai stato osservato un meccanismo diffusivo bidimensionale di questo tipo. La seconda riguarda il fatto che la diffusione avvenga spontaneamente, senza il bisogno di forze esterne (e quindi di energia); come avviene, per esempio, nell’elettroforesi o nei LOC dove bisogna applicare un campo elettrico. Aldo Domenico Ficara Ingegnere elettrotecnico Docente di elettrotecnica presso l’IIS di Furci Siculo (ME) Xxxx Xxx Si è conclusa l’edizione 2010/2011 delle Olimpiadi della Scienza Premio Green Scuola Quando i giovani diventano amici della chimica a cura di Pellegrino Conte e Fulvio Zecchini “Non ci sono molecole cattive, ci sono solo uomini malvagi”. Questa citazione del premio Nobel per la Chimica (1981) Sir Roald Hoffmann, già riportata su Green n. 22, ben rappresenta la filosofia che sta alla base della sesta edizione del concorso per le scuole secondarie di secondo grado - intitolata “Quando la chimica diventa amica dell’ambiente. Presente e futuro dei prodotti chimici puliti” - che si è conclusa con la cerimonia di premiazione tenutasi il 23 gennaio scorso a Catania. Una giornata di festa per studenti e professori di cui vogliamo rendervi conto nelle pagine successive. L’Aula Magna dell’Università di Catania, sede della cerimonia di premiazione. Olimpiadi della Scienza Conclusa la 6a edizione La sesta edizione delle Olimpiadi della Scienza - Premio Green Scuola (anno scolastico 2010/2011), intitolata “Quando la chimica diventa amica dell’ambiente - Presente e futuro dei prodotti chimici puliti”, si è conclusa con la bella cerimonia tenutasi il 23 gennaio scorso presso l’Aula Magna dell’Università di Catania, gentilmente messa a disposizione dal Magnifico Rettore, professor Antonino Recca. Il concorso, rivolto alle scuole secondarie di secondo grado, è organizzato annualmente dal Consorzio Interuniversitario Nazionale “La Chimica per l’Ambiente” (Consorzio INCA, l’ente di ricerca e alta formazione non-profit che rappresenta il nostro editore), in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - Dipartimento Istruzione, D.G. per gli Ordinamenti Scolastici e per l’Autonomia Scolastica, con la nostra rivista Green e con la partecipazione della SCI, la Società Chimica Italiana. Come per le ultime edizioni, il Presidente della Repubblica, on. Giorgio Napolitano, ha voluto concedere la sua pregevolissima adesione. Il premio è accreditato dal programma “Io Merito” di Valorizzazione delle Eccellenze scolastiche del Miur, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Di seguito diamo spazio ai protagonisti della cerimonia, per poi proseguire illustrando brevemente alcuni degli elaborati che, pur non avendo vinto, si sono dimostrati essere di alta qualità e gradimento da parte della commissione di valutazione. Quest’ultima era formata dai professori Angelo Albini - Università di Pavia (Consiglio Scientifico del Consorzio INCA; Coordinatore del Gruppo Interdivisionale Il professor. Leonardo Palmisano, vicepresidente del Consorzio INCA, avvia i lavori della cerimonia di premiazione. Affianco a lui, da sinistra a destra troviamo il professor Guido De Guidi, rappresentante dell’ateneo catanese nel Consiglio Direttivo INCA, la professoressa Maria Luisa Carnazza, pro-rettore, e il professor Salvatore Indelicato, preside del “Cannizzaro”. 36 n.26 | Aprile 2012 di Green Chemistry della SCI), Armandodoriano Bianco - Università “La Sapienza” di Roma (Comitato Scientifico rivista “Green. La Scienza al Servizio dell’Uomo e dell’Ambiente), Giovanni Sartori - Università di Parma (Consiglio Scientifico del Consorzio INCA) e Corrado Sarzanini Università di Torino (Presidente Divisione Ambiente e Beni Culturali della SCI). La graduatoria del concorso è consultabile sul sito della nostra rivista, al link: http:// incaweb.org/green/pgsVIed/index.htm Una giornata di festa Sono le 11.00 del 23 gennaio 2012, a Catania la giornata è soleggiata, quasi primaverile. Un centinaio persone, gli studenti autori degli elaborati premiati - accompagnati da compagni e familiari e dai docenti che hanno coordinato i progetti -, assiepano l’Aula Magna dell’Università di Catania. Cominciano i lavori della cerimonia, presieduti dal professor Leonardo Palmisano dell’Università di Palermo, vicepresidente del Consorzio INCA. Dopo i saluti di rito, egli spiega lo scopo del concorso: una sana competizione scolastica che intende aumentare la consapevolezza dei giovani in merito al ruolo fondamentale che la scienza ha nella tutela della salute e dell’ambiente; sottolineando nel contempo l’importanza della ricerca e della collaborazione tra scuola e università. Poi il vicepresidente descrive brevemente INCA e gli altri enti organizzatori del concorso, portando i saluti della SCI, il cui rappresentante, il professor Michele A. Floriano, non ha potuto presenziare per motivi di salute. Interviene il prorettore dell’Università di Olimpiadi della Scienza Conclusa la 6a edizione Catania, professoressa Maria Luisa Carnazza, la quale parla a nome del Rettore, impossibilitato a partecipare. Dopo il benvenuto alle scuole e agli organizzatori, ella sottolinea l’importanza della collaborazione tra università e scuola e, più nello specifico, come questa edizione del concorso sia utile per introdurre la chimica, disciplina complicata quanto affascinante, ai giovani e farli innamorare di una scienza che tenta di spiegare la struttura e il comportamento della materia e di descrivere i processi che avvengono negli esseri viventi, meravigliose macchine biochimiche. 3 classificato e i ringraziamenti, entrambi ribadiscono l’importanza della chimica nel mondo moderno. Viene quindi il tempo di illustrare i progetti da parte degli studenti che li hanno realizzati, mentre i docenti coordinatori chiudono gli interventi dei propri istituti, parlando della didattica delle scienze e delle attività scolastiche connesse alla tutela della salute e dell’ambiente. Parte il terzo classificato: l’Istituto Tecnico Industriale Statale e Liceo Scientifico “Ettore Molinari” di Milano. Il progetto è ben presentato dagli autori Sara Iacopetti (5aA periti chimici) e Dario Renna (4aA periti chimici), si intitola “Materie plastiche sostenibili. Il PLA: un polimero amico dell’ambiente”. I due descrivono dapprima la scoperta della plastica e la sua importanza nel mondo moderno, quindi evidenziano i problemi ambientali legati al suo uso indiscriminato. Infine, introducono il concetto di biopolimeri, come sostituti ecosostenibili grazie all’elevata biodegradabilità. L’oggetto specifico del lavoro è l’acido polilattico (PLA) che è utilizzato, tra l’altro, per la fabbricazione di flaconi, bottiglie e tessuti. Si tratta di un polimero dell’acido lattico. Molecola, quest’ultima, di cui vengono illustrate sintesi e funzione negli esseri viventi, che viene prodotta a livello industriale per fermentazione microbica. Segue la descrizione dettagliata del meccanismo di polimerizzazione e della caratterizzazione analitica del PLA mediante FT-IR, spettroscopia all’infrarosso in trasformata di Fourier. A seguire, il professor Mariano Calatozzolo illustra le attività didattiche del suo istituto e le varie collaborazioni ad attività di salvaguardia dell’ambiente, tra cui quella con Legambiente per il monitoraggio del fiume Lambro. Egli ricorda anche che il “Molinari” ha già vinto il concorso del Consorzio INCA nel 2008, con un progetto su biodiesel e biocombustibili. Tocca ora al secondo classificato, l’Istituto Tecnico Industriale Statale “Enrico Fermi” di Siracusa. Il progetto “Produzione biotecnologica di biocombustibili: il biodiesel” viene illustrato dagli autori Christian Terra (5aA), Alessio Franzò (5aB), Arianna Miano (4aB) e Stefano Ippolito (4aA). Gli studenti illustrano con dovizia di particolari la problematica legata ai carburanti fossili, caratterizzata dal loro esaurimento in un futuro non molto lontano e dal significativo contributo all’aumento della concentrazione della CO2 atmosferica. Passano, poi, alla descrizione dei processi di transesterificazione usati per la sintesi del diesel da biomasse agricole di scarto. Il professor Francesco Randone conclude l’intervento del “Fermi” descrivendo le attività didattiche a z n e i c S della a l o u c S n Gree La consegna dei premi al “Mo- A seguire, intervengono prima il professor linari” di Milano, terzo classifi- Guido De Guidi, rappresentante dell’Unicato. versità di Catania nel Consiglio Direttivo del Consorzio INCA, e poi il professor Salvatore Indelicato, Direttore scolastico La consegna dei premi al “Fer- dell’ITIS “Stanislao Cannizzaro” di Catami” di Siracusa, secondo classi- nia, primo classificato del concorso e orficato ganizzatore della cerimonia. Dopo i saluti 2 classificato 3 classificato 37 n.26 | Aprile 2012 Olimpiadi della Scienza Conclusa la 6a edizione I vincitori del concorso “Cannizzaro” di Catania posano per le interviste da parte di giornali e televisioni locali. 1 classificato 2 classificato Fronte e retro della medaglia del e le iniziative in merito a scienza, salute e Presidente della Repubblica con- ambiente. segnata ai tre vincitori. Infine, cinque dei 13 autori si incaricano della presentazione del progetto vincitore del primo premio; sono tutti studenti della 3aA dell’Istituto Tecnico Industriale Statale “Stanislao Cannizzaro” di Catania. Il progetto, intitolato “Dagli agrumi di Sicilia solventi ecocompatibili”, muove dalla costatazione che ogni anno tonnellate di agrumi prodotti sul territorio regionale vengono mandati al macero, ciò si deve alla sovrapproduzione e al basso costo che impedisce il trasporto verso mercati lontani. Gli autori illustrano come questo surplus di agrumi può essere sfruttato per l’estrazione di oli essen- ziali utilizzabili come solventi alternativi ecocompatibili, ad esempio, nella produzione di coloranti e vernici. La Una delle targhe di premiazione professoressa Angela Perconsegnata dal Consorzio INCA colla illustra la didattica ai vincitori 38 n.26 | Aprile 2012 3 classificato della scienza al “Cannizzaro” e i numerosi premi vinti dai suoi allievi, tra cui un altro primo posto ottenuto alle Olimpiadi della Scienza del 2007. A conclusione della cerimonia, verso le 13.00, vengono consegnati premi e riconoscimenti. Oltre all’ovvia soddisfazione di essersi imposti in una sana competizione tra scuole, gli istituti vincitori ricevono, tra scrosci di applausi e manifestazioni di gioia, l’attestato di premiazione, una targa del Consorzio INCA e, non ultima, la pregiata medaglia del Presidente della Repubblica. Essendo il concorso accreditato dal programma “Io Merito” del Miur, gli studenti autori dei lavori vincitori saranno inclusi nell’apposito elenco delle eccellenze e riceveranno dal ministero un premio in denaro da destinarsi a scopi formativi. Dopo la cerimonia, un lauto pranzo, offerto dagli organizzatori, aumenta il buon umore di tutti e prepara alla parte ludica della giornata: studenti e docenti si riversano per le vie di Catania alla scoperta dei luoghi storici e artistici e di quelli più curiosi, con Olimpiadi della Scienza Conclusa la 6a edizione La copertina del giornale del i colleghi del posto a far da cicerone. È la “Majorana-Marconi” di Messina. degna conclusione di una giornata di festa. Vincitori e “vinti” Ci pare giusto fornire un’ampia sintesi degli elaborati vincitori; lo facciamo nei box di fine articolo. Prima dedichiamo un meritato spazio, forzatamente breve, a qualcuno dei “vinti”. Abbiamo usato questo termine per indicare sinteticamente chi non è stato premiato, ma l’abbiamo scritto volutamente tra virgolette, perché per l’appunto i “vinti” non devono considerarsi tali, in quanto la stessa partecipazione al concorso è da considerarsi una vittoria per tutti, una dimostrazione del grande impegno profuso, un contributo fondamentale agli obiettivi degli organizzatori: aumentare la consapevolezza dei giovani, dei loro amici e familiari, e, di conseguenza della società tutta, riguardo al ruolo fondamentale della scienza nella vita quotidiana; evidenziando nel contempo le realtà eccellenti nazionali nell’ambito delle scuole secondarie di secondo grado. I premiati, purtroppo, Una diapositiva della presentazione del “Flacco” di Castellaneta (Taranto). 39 n.26 | Aprile 2012 sono solo tre, ma la maggior parte degli elaborati era di buon livello e avrebbe meritato un riconoscimento, ma una scelta va pur fatta. Vogliamo, però, rendere omaggio almeno a qualcuno dei lavori non vincitori; perciò descriveremmo brevemente quelli maggiormente apprezzati dai singoli membri della commissione di valutazione. Molto bello il giornale progettato dagli studenti della classe 3aA dell’IIS “MajoranaMarconi” di Messina con la supervisione del Prof. Nicola Spanò, intitolato “Chimica verde e sostenibile. La chimica sono Io. Io rispetto l’ambiente” che approfondisce vari temi di questa disciplina, tra i quali: energie alternative, biocarburanti, materiali ecocompatibili, solventi verdi. Di ottimo livello la presentazione multimediale “Diciamo no alla diossina!... Sì, ma come?” dell’IISS “Q.O. Flacco” di Castellaneta in provincia di Taranto. L’elaborato, la cui realizzazione da parte degli allievi della 2aA (informatica) e della 2aB (elettronica e telecomunicazioni) è stata coordinata dalla professoressa Teresa Piccoli, tratta di uno scottante problema locale: quello delle elevate concentrazioni di diossina ritrovate in matrici ambientali e alimentari nel tarantino, dovute alle emissioni industriali soprattutto da parte delle acciaierie. Notevole anche il progetto “Le noci del sapone: detergente ecologico, efficace, eco- Olimpiadi della Scienza Conclusa la 6a edizione nomico” dell’Istituto Tecnico per Attività sociali “Galileo Galilei” di Jesi (Ancona), realizzato dagli allievi dalla 5aC (indirizzo biologico), con la supervisione del professor Edgardo Catalani. Viene descritto in dettaglio il processo per sfruttare come detergenti e detersivi naturali le saponine contenute nei frutti dell’albero Sapindus mukorossi, una pianta appartenente alla famiglia delle Sapindaceae, tipica dell’India e della catena dell’Himalaya. Spicca per originalità la presentazione “È ora di risplendere” dell’Istituto Nautico “San Giorgio” di Genova, in cui gli allievi della 2aF (indirizzo trasporti e logistica) - con la guida della professoressa Teresa 1 2 Procopio - esplorano le possibilità di ridurre l’uso di detergenti di sintesi. Per farlo partono dall’esperienza dei vecchi saggi, da interviste ai nonni e ai familiari più anziani, i quali da giovani hanno vissuto in un mondo in cui non esisteva la moltitudine di prodotti chimici oggi disponibili. Essi erano, quindi, costretti ad usare “metodi naturali”. Questi sono solo alcuni esempi dell’impegno di studenti e insegnanti che hanno partecipato con dedizione e interesse al concorso, con grande soddisfazione degli organizzatori: solo se i giovani diventano amici della chimica, questa può diventare davvero amica dell’ambiente! 3 “Solventi alla frutta dagli agrumi di Sicilia, solventi ecocompatibili” Scuola: Istituto Tecnico Industriale Statale “Stanislao Cannizzaro” di Catania Allievi autori: Raissa Aurora, Fabrizio Cappadonna, Mario Colombo, Michela Di Nanno, Angela Finocchiaro, Marco Granata, Manuel Minerba, Graziella Mita, Fabrizio Pace, Michael Pavone, Dario Serini, Anella Sorrentino, Daniele Timpano (classe 3aA) Docenti coordinatori: Angela Percolla, Maria Palermo e Salvatore Consoli Sintesi dell’elaborato inviata dagli autori: Il progetto è rivolto agli allievi di una terza classe dell’Indirizzo Chimica dell’ITI “Cannizzaro” di Catania ed è inserito nel contesto delle iniziative legate alle attività di Educazione Ambientale e sensibilizzazione dei giovani nei settori della produzione eco-innovativa e del consumo sostenibile. La classe IIIA Chimica, ha studiato e prodotto i terpeni di arancio e limone; estratti dagli oli essenziali, che possono essere utilizzati come solventi ecocompatibili in sostituzione ai solventi sintetici, dannosi per l’ambiente. classificato classificato classificato Dalle bucce di agrumi infatti, mediante estrazione si ottengono i terpeni che si distinguono dai solventi sintetici per la componente naturale e per il basso impatto ambientale nello smaltimento. La progettazione e sperimentazione dell’attività didattica di tipo laboratoriale è stata portata avanti dai docenti di Analisi Chimica, Laboratorio di Analisi Chimica e Chimica Organica che hanno lavorato in equipe utilizzando il 20% del monte ore di laboratorio consentendo di integrare le attività curriculari della scuola e permettendo agli allievi del corso Chimica di approfondire le conoscenze relative all’Analisi e alla Chimica Organica. Il progetto ha previsto l’acquisto di un distillatore in corrente di vapore per estrarre presso il laboratorio della scuola gli oli essenziali dalle bucce d’arancia, successivamente il lavoro è stato approfondito con una visita presso il C.R.A - Centro di ricerca per l’agrumicultura e le colture mediterranee di Acireale (CT) e successivamente con un’attività laboratoriale presso l’Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR di Catania. Gli allievi hanno potuto arricchire le proprie conoscenze e competenze teorico-pratiche, svolgendo importanti attività presso il laboratorio dell’Istituto di Chimica biomolecolare del CNR di Catania, specializzato in chimica delle sostanze naturali di interesse biologico; qui gli allievi oltre all’estrazione delle essenze dalle bucce degli agrumi. Hanno analizzato mediante gas cromatografia i componenti presenti negli oli essenziali tra i quali i terpeni, sostanze utilizzabili come vernici ecocompatibili. Il lavoro si è articolato in quattro fasi: 1. produzione degli oli essenziali nei laboratori della scuola mediante distillazione in corrente di vapore; 2. visita al CRA Centro di ricerca per l’agrumicultura di Acireale (Ct) e studio dei terpeni; 3. attività di laboratorio presso l’ICB di Catania (produzione oli essenziali dalle bucce d’agrumi ed uso dell’idrodistillatore, estrazione dei terpeni ed analisi gas cromatografica); 4. elaborazione del lavoro svolto e produzione del documento di testo inviato al concorso. 40 n.26 | Aprile 2012 Olimpiadi della Scienza Conclusa la 6a edizione La nuova edizione del concorso Per finire, ringraziamo tutti coloro che hanno inviato i loro lavori per l’edizione 2010/2011 e li invitiamo – assieme a tutte le scuole secondarie di secondo livello statali e parificate - a partecipare alla nuova, la settima (anno scolastico 2011/2012), che è stata bandita il 25 gennaio scorso ed è intitolata “Prevenire è meglio che curare. La tutela dell’ambiente e della salute attraverso l’analisi del ciclo di vita dei composti chimici e dei processi produttivi”. La scadenza per l’invio degli elaborati è il 31 maggio 2012 Il bando e tutta la documentazione necessaria per partecipare si possono scaricare dal link: http://incaweb.org/green/pgsVIIed/index.htm Pellegrino Conte Unità di Ricerca Palermo 2 Consorzio INCA Fulvio Zecchini Consorzio INCA Le finalità del progetto sono: • approfondire le tecniche di distillazione ed estrazione; approfondire lo studio sui solventi tradizionali e sui solventi verdi; • individuare le risorse che il nostro territorio offre ai fini della produzione di solventi verdi; • attivare interventi di sensibilizzazione dei ragazzi sull’uso di prodotti a minor impatto ambientale; • approfondire il problema che fa riferimento alla necessità non più derogabile di un consumo “critico” degli alimenti (tonnellate di agrumi finiscono al macero senza utilizzarne i sottoprodotti); • imparare a lavorare in team. 2 3 Xxxx Xxx “Produzione biotecnologica di biocombustibili: il biodiesel” Scuola: Istituto Tecnico Industriale Statale “Enrico Fermi” di Siracusa Allievi autori: Christian Terra (5aA), Alessio Franzò (5aB), Arianna Miano (4aB) e Stefano Ippolito (4aA) Docente coordinatore: Francesco Randone Sintesi dell’elaborato inviata dagli autori: Lo sviluppo ecosostenibile è un tema ampiamente rivisitato nel nostro Istituto che vanta un’esperienza cinquantennale dall’istituzione dell’indirizzo Chimico dal 1958. classificato classificato La riduzione del fabbisogno energetico e il relativo impatto ambientale trova il punto di collocamento nello studio delle fonti rinnovabili e dei biocombustibili. Durante il corso dell’anno, nell’ambito delle attività didattiche, alcuni studenti della V e della IV classe di indirizzo Chimico hanno approntato uno studio che ha sintetizzato la produzione di biodiesel a partire dalle materie prime (olio di soia, alcool metilico) seguendo le diverse fasi del processo attraverso la messa in esercizio di un impianto pilota di produzione, lo studio in laboratorio della reazione di transesterificazione e la caratterizzazione del prodotto finito attraverso le analisi di laboratorio eseguite secondo le norme UNI o metodi standard. Ciò ha permesso da una parte di raffermare la cultura della sperimentazione attraverso il potenziamento della didattica laboratoriale e la conoscenza dei meccanismi di implementazione e gestione dei processi chimici, dall’altra ha favorito la capacità di gestire gruppi di lavoro rafforzandone l’apprendimento delle discipline scientifiche e tecnologiche. L’utilizzo dei supporti informatici ha permesso una rapida consultazione di una biblioteca multimediale ed applicare le tecnologie informatiche alla didattica delle discipline scientifiche. 42 n.26 | Aprile 2012 3 “Materie plastiche sostenibili - il PLA: un polimero amico dell’ambiente” Scuola: Istituto Tecnico Industriale - Liceo Scientifico S.A. “Ettore Molinari” di Milano Allievi autori: Sara Iacopetti (5aA) e Dario Renna (4aA) Docente coordinatore: Mariano Calatozzolo Sintesi dell’elaborato inviata dagli autori: Il progetto si inserisce nelle attività extracurriculari basate sulla didattica laboratoriale (Scuola aperta) realizzate dal nostro Istituto. classificato Prende l’avvio dal nostro interesse per indagare anche sperimentalmente la sostenibilità delle produzioni chimiche. In particolare ci siamo interessati alle problematiche legate allo smaltimento delle materie plastiche, specie quelle utilizzate negli imballaggi. Dopo una rapida indagine documentale sull’impatto ambientale legato alla sostanziale non biodegradabilità di gran parte delle materie plastiche attualmente utilizzate, ci si è interessati al recente sviluppo di manufatti in acido polilattico (PLA), materiale che può biodegradarsi. Di particolare interesse è la produzione di acido lattico, il monomero del PLA, che può ottenersi per fermentazione di biomasse contenenti carboidrati. Le biomasse potenzialmente utilizzabili sono alquanto diversificate e possono costituire sottoprodotti da smaltire di altre lavorazioni. Si dispiega, per il PLA, uno scenario altamente virtuoso sul piano della sostenibilità, che va dall’utilizzo di materie prime “seconde” da fonti rinnovabili, a processi produttivi, come la fermentazione, che non richiedono condizioni particolarmente drastiche, a un prodotto biodegradabile, che quindi non dovrebbe presentare quelle problematiche che caratterizzano oggi lo smaltimento di molti manufatti in materie plastiche, specie degli imballaggi. L’interesse per il PLA ci ha portati a verificare la possibilità di sintetizzarlo nei nostri laboratori. Si è effettuata una ricerca documentale sia sulla produzione per fermentazione di acido lattico, sia sulla sua polimerizzazione a PLA. La parte sperimentale ha riguardato la preparazione di acido lattico per fermentazione di un terreno contenente glucosio con un ceppo di Lactobacillus delbrueckii bulgaricus e la policondensazione dell’acido lattico, con allontanamento dell’acqua, sia per distillazione azeotropica, sia per essiccamento del solvente su setacci molecolari. La massa molare media del PLA ottenuto è stata valutata viscosimetricamente. Con il presente elaborato si è voluto indagare sulle valenze ambientali del PLA e sulla possibilità di produrre nei nostri laboratori sia l’acido lattico, sia lo stesso PLA. Il lavoro presentato si articola in due sezioni: • presentazione, che illustra le valenze ambientali del PLA e le fasi salienti delle attività di laboratorio. • report tecnico scientifico dell’indagine documentale e delle attività sperimentali. Prove di degradazione microbica con attinomiceti in vitro di lamine di PLA di 20x20 mm circa con spessore di 0,13 mm. Al test è stato sottoposto sia PLA tal quale, che addizionato col 5% di due diversi materiali nanostrutturati (Cloisite 30B e Nanofil 804). 43 n.26 | Aprile 2012 NEWS Futuro& FUTURIBILE E se il cioccolato ci aiutasse a restare in forma? Per i golosi potrebbe rappresentare la notizia dell’anno. Un’indagine epidemiologica dell’Università della California (La Jolla, San Diego) indicherebbe che chi consuma frequentemente moderate quantità di cioccolato è in media più magro di chi ne consuma meno. Si confermerebbe, così, quanto emerge da numerose indagini recenti: l’influenza della dieta sulla forma fisica dipende non soltanto dalle calorie, ma dalla composizione dei cibi che le apportano. 44 Sul numero del 26 marzo 2012 di Archives of Internal Medicine sono stati pubblicati i risultati di un’indagine epidemiologica condotte da un gruppo di ricerca dell’Università della California, diretto da Beatrice A. Golomb, rispetto ai quali in prima battuta è lecito pensare: “Troppo bello per essere vero”. Ebbene, non è così; lo studio è stato condotto con rigore scientifico e confermerebbe quanto emerso da esperimenti di laboratorio, concordando, inoltre, con diverse indicazioni sugli effetti benefici del cioccolato per il metabolismo riportate in letteratura scientifica. Per la loro indagine i medici di La Jolla hanno usato un campione di 1.018 cittadini di San Diego, equamente divisi tra maschi e femmine, soggetti sani con età variabile dai 20 agli 85 anni, sul quale sono state rilevate le abitudini alimentari, l’assunzione giornaliera di calorie, l’attività fisica e il BMI, il Body Mass Index, cioè l’indice di massa corporea (peso in chilogrammi diviso altezza in metri al quadrato), col quale si valuta l’obesità di un individuo. L’analisi statistica ha evidenziato che chi consuma frequentemente moderate quantità di cioccolato presenta in media un valore di BMI inferiore di chi ne consuma meno. Da un punto di vista medico i vantaggi non si fermano qui e includerebbero anche un miglioramento dell’attività dell’insulina, della pressione sanguinea e del livello di colesterolo; diminuendo, in definitiva, il rischio di contrarre malattie cardiovascolari. Tutto ciò sarebbe dovuto principalmente al n.26 | Aprile 2012 contenuto in polifenoli ad azione antiossidante, tra cui le catechine. L’introduzione sperimentale di epicatechina nella dieta di alcune cavie di laboratorio ha mostrato diversi effetti positivi sulla loro fisiologia, tra cui la biogenesi e la capillarità dei mitocondri, la performance muscolare, l’aumento di massa muscolare magra e la riduzione di peso senza variare le calorie apportate dalla dieta. Certo questo squisito alimento è ricco di zuccheri e di grassi, quindi il suo consumo, da un punto di vista meramente calorico, tende a far aumentare di peso. Sembra, però, che alcune molecole in esso contenute, come quelle sopra riportate, apportino benefici metabolici tali da sovvertire l’effetto “ingrassante” delle calorie. Ovviamente, si parla di un consumo moderato, nessuno si aspetti di dimagrire mangiando chili di cioccolato al giorno. Queste indicazioni sono sicuramente intriganti. I ricercatori di san Diego hanno adottato tutta una serie di strumenti statistici per evitare l’interferenza di altri fattori, relegando a una percentuale decisamente bassa la probabilità che i risultati siano casuali. Essi indicano, però, una relazione tra i due aspetti - consumo di cioccolato e BMI - ma non provano necessariamente un rapporto di causa-effetto. Pertanto, prima di esultare definitivamente sarà meglio che i più golosi aspettino ulteriori conferme sperimentali. R.G. NEWS green Il superlaser g che accende la fusione È il 15 marzo 2012 quando il laser del Lawrence Livermore’s National Ignition Facility (California) ottiene un risultato storico, vincendo una delle maggiori sfide della scienza moderna: accendere il combustibile della fusione nucleare, ottenendo nel contempo un guadagno netto in energia su scala di laboratorio. Si compie così un notevole passo verso la possibile applicazione della fusione nucleare, uno dei pochissimi sostituti dei combustibili fossili attualmente concepibile per l’utilizzo di massa. Quello dell’NIF, il Lawrence Livermore’s National Ignition Facility del Department of Energy statunitense, è il laser a ultravioletti più potente del mondo. Per vincere questa sfida tecnologica 192 raggi sono stati sparati con collimazione perfetta al centro della camera del combustibile, scaricandovi un’energia pari a 1,875 MJ (megajoule, cioè milioni di joule). Il combustibile nucleare - costituito da isotopi pesanti dell’idrogeno (si veda Green n. 21, pagg. 4-15) - in questo esperimento era assente. L’impulso di energia è durato solo 23 miliardesimi di secondo, ma ha generato ben 411 TW (terawatt, biliardi di watt) di potenza di picco, un valore pari a mille volte la potenza elettrica istantanea usata globalmente negli Usa. Il contenitore metallico che contiene la capsula del combustibile nucleare, chiamato tecnicamente hohlraum, è alto circa 1-2 centimetri. Il sistema viene mantenuto a temperature criogeniche (18 kelvin, circa -255 °C) per favorire la reazione di fusione. [Immagine: Lawrence Livermore National Laboratory] 45 n.26 | Aprile 2012 green green “Questo evento rappresenta una pietra miliare nel cammino della National Ignition Campaign (campagna nazionale per l’accensione, ndt)” ha affermato Edward Moses, il direttore dell’NIF, il quale ha poi concluso sottolineando come questa sia la prima volta che un insieme di ben 192 raggi ha operato ad una tale energia. Inoltre, il fascio, prima di passare attraverso la strumentazione di misurazione e le lenti di collimazione finali, possedeva un’energia di 2,03 MJ; quindi quello dell’NIF è diventato il primo laser a ultravioletti da 2 MJ al mondo, circa 100 volte più potente di tutti gli altri. Questo esperimento, pubblicato su Nature, è stato anche uno dei più precisi mai eseguiti dal centro di ricerca californiano: l’energia è stata concentrata sull’1,3% della superficie del bersaglio. Ciò è fondamentale per ottenere un’implosione simmetrica nelle capsule contenenti il combustibile, un fattore chiave per raggiungere i valori di pressione e temperatura necessari per l’accensione. Questo straordinario successo coincide con il terzo anniversario della struttura dell’NIF, inaugurata nel marzo 2009, quando fu ottenuto il primo obiettivo di livello energetico: 1 MJ. Da allora quest’ultimo è stato incrementato di circa un kilojoule al giorno per tre anni, fino a raggiungere i valori odierni. Il lavoro presso il centro di ricerca californiano, a cui accedono scienziati di tutto il mondo, continua. Per ottenere, l’accensione ottimale del combustibile nucleare vi sono, infatti, diversi altri aspetti da ottimizzare, oltre all’ulteriore aumento di energia e potenza; ad esempio, quello dei costi di manutenzione del sistema ottico che sono molto elevati, dovendo operare a energie così alte. F.Z. Xxxx Xxx Il candore di uno sguardo nuovo (quello della scienza lo è sempre) può talvolta illuminare di luce nuova antichi problemi Jacques Lucien Monod (Parigi, 1910 – Cannes, 1976) biologo e filosofo francese premio Nobel per la Medicina nel 1965 Dalla prefazione de “Il caso e la necessità: saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea”, traduzione di Anna Busi, Mondadori, Milano 1970.