bassa risoluzione 72dpi - Consorzio Interuniversitario Nazionale "La

Transcript

bassa risoluzione 72dpi - Consorzio Interuniversitario Nazionale "La
la Scienza al servizio
dell’Uomo e dell’Ambiente
green
26
APRILE 2012
Periodico quadrimestrale on-line d’informazione edito dal Consorzio Interuniversitario Nazionale “La Chimica per l’Ambiente” (INCA) anno VII - N.26 aprile 2012 - distribuzione gratuita
www.green.incaweb.org
Sfruttamento
delle microalghe
green
tra realtà e prospettive
La nutraceutica
dell’olio evo
I benefici dell’extravergine
Storia
dell’amianto
Tra utilità e letalità
nanotecnologie
e medicina
Dal drug-delivery ai MEMS
Olimipiadi
della scienza
a
Conclusa la 6 edizione
Editoriale
Editoriale
di Fulvio Zecchini
Green 2.0
Cari lettori,
è primavera, tempo di rinascita, ed eccoci qui a presentarvi il primo numero
del nostro giornale realizzato con le
nuove modalità che vi avevamo già
anticipato.
Innanzitutto ora viene realizzata la
sola versione online in pdf, per questo
potremmo parlare di Green 2.0, come
fosse una sorta di nuova versione di un
software open source, aperto a tutti sia
a livello di consultazione che di contribuzione. Negli ultimi tempi abbiamo ricevuto molte proposte di articoli
attraverso il nostro sito, alcune delle
quali hanno trovato spazio su questo
numero. Chi fosse interessato può
consultare la sezione “Collabora con
noi” al link: http://incaweb.org/green/
autori/index.htm
La periodicità è ora quadrimestrale
(tre numeri all’anno) e la distribuzione diventa gratuita, tutta la rivista sarà
scaricabile da www.green.incaweb.org
A breve cominceremo a rendere disponibili online tutti gli articoli dei
numeri pubblicati partendo dal 25 del
dicembre 2011 per poi arrivare al n. 8
del settembre 2007, mentre per quelli
dall’1 al 7 è già disponibile il download libero di tutti i pezzi.
Per quanto
concerne
l’inserto
“accademico”
di cui si parlava
nel n. 25, esso appare già in questo numero, ma è ben mimetizzato.
Il segreto è presto svelato:
trattasi del pezzo sulle proprietà nutraceutiche dell’olio extravergine d’oliva, il quale rappresenta
un adattamento a Green della pubblicazione dei risultati di alcuni studi
dell’Unità di Ricerca Palermo 2 (chimica agraria) del Consorzio INCA, il
nostro editore.
Un altro contributo eccellente arriva
dall’Enea, l’Agenzia nazionale per le
nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. Si parla
dei possibili utilizzi delle microalghe
a partire dal loro uso come integratori
alimentari, passando per la mangimistica in acquacoltura, per arrivare alla
produzione di energia. Quest’ultima
potenziale applicazione attualmente
è resa impossibile dallo svantaggioso
costo tra rese e costi.
Completano il numero un’interessante
pezz
o
sull’amianto, molto utilizzato in passato e oggi
bandito per la sua pericolosità, e una panoramica sull’intrigante uso delle nanotecnologie in
campo medico.
Finiamo poi con il resoconto della
cerimonia di premiazione della sesta edizione delle Olimpiadi della
Scienza - Premio Green Scuola (a.s.
2010/2011), col quale vogliamo anche
rendere giusto merito all’impegno di
tutti coloro che hanno inviato un progetto per la competizione, a tutti loro
va il nostro sentito grazie. Cogliamo
l’occasione per invitarvi a partecipare all’edizione in corso, anche se la
scadenza per l’invio degli elaborati è
molto vicina: il 31 maggio 2012.
Buona lettura
Partecipate numerosi!
È aperto il bando della settima edizione delle
Olimpiadi della Scienza - Premio Green Scuola (a.s. 2011/2012):
“Prevenire è meglio che curare. La tutela dell’ambiente e della
salute attraverso l’analisi del ciclo di vita dei composti chimici e
dei processi produttivi”.
Tutte le informazioni e la documentazione necessaria su:
http://incaweb.org/green/pgsVIIed/index.htm
Scadenza invio eleborati: 31 maggio 2012
la Scienza al servizio dell’Uomo e dell’Ambiente
green
26
APRILE 2012
green
SOMMARIO
Periodico quadrimestrale on-line d’informazione
edito dal Consorzio Interuniversitario Nazionale
“La Chimica per l’Ambiente” (INCA)
in collaborazione con
la Società Chimica Italiana (SCI)
Direttore responsabile
Fulvio Zecchini
La nutriceutica dell’olio evo
g
Le proprietà nutrizionali e benefiche
dell’olio extravergine d’oliva
L’amianto, quando utilità
fa rima con letalità
4
13
green
19
• E se il cioccolato ci aiutasse a restare in forma?
• Il superlaser che accende la fusione
(Università “La Sapienza” di Roma)
Past-President della SCI sezione Lazio
(Università di Verona)
Presidente del Consorzio INCA
29
Giovanni SARTORI
(Università di Parma)
Consiglio Scientifico del Consorzio INCA
Corrado SARZANINI
35
(Università di Torino)
Presidente della Divisione di Chimica
dell’Ambiente e dei Beni Culturali della SCI
Ferruccio TRIFIRÒ
Si è conclusa l’edizione 2010/2011 delle
Olimpiadi della Scienza - Premio Green Scuola
News - Futuro & Futuribile
Armandodoriano BIANCO
Franco CECCHI
Ecco alcune fra le più promettenti applicazioni
nanotech per la tutela della salute
Quando i giovani diventano amici della chimica
(Università di Pavia)
Consiglio Scientifico del Consorzio INCA
e Coordinatore del Gruppo Interdivisionale
di Green Chemistry della SCI
(Scuola Normale di Pisa)
Presidente della SCI
I possibili usi delle microalghe,
in particolare nel settore energetico
Nanotecnologie e medicina: dal drug delivery ai MEMS
Comitato scientifico
Angelo Albini
Vincenzo BARONE
La storia di un prodotto naturale di vasto impiego
che si è rivelato fatale
Sfruttamento delle microalghe: tra realtà e prospettive
Consorzio INCA
(Università di Bologna)
Direttore de “La Chimica e l’Industria”
edita dalla SCI
44
Quando l’uomo
migliora la natura
Un bellissimo cultivar di margherita africana del genere Osteospermum, denominato “Pink
whirls”, spirali rosa. È un eclatante esempio di come l’uomo modifichi fiori e piante
per adeguarli ai propri
scopi; una pratica di cui
oggi conosciamo non
solo i benefici, ma anche i potenziali pericoli
per l’ambiente e la salute.
[Immagine: Jon Sullivan,
Wikipedia
Commons,
2003]
Luigi CAMPANELLA
(Università “La Sapienza” di Roma)
Consulente esterno, Coordinatore del
Consiglio Scientifico del Consorzio INCA
Direzione, redazione e amministrazione
Rivista Green c/o Consorzio INCA
Via delle Industrie, 21/8
30175 Venezia - Marghera
Tel.: (+39) 041 532-1851 int. 101
Fax: (+39) 041 259-7243
Registrazione al Tribunale di Venezia
n° 20 del 15 luglio 2006
Progetto grafico e impaginazione
Publileo s.r.l.
[email protected]
Distribuzione gratuita
Per informazioni
www.green.incaweb.org
[email protected]
Fax: (+39) 041 259-7243
© Consorzio INCA, 2006 - 2012
Tutti i diritti sono riservati.
La presente pubblicazione, tutta o in parte, non può essere riprodotta o trasmessa in nessuna forma e con nessun mezzo, senza l’autorizzazione scritta dell’editore.
L’editore, nell’ambito delle leggi sul copyright, è a disposizione degli aventi diritto che non si sono potuti
rintracciare.
Xxxx Xxx
Le proprietà nutrizionali e benefiche
dell’olio extravergine d’oliva
La nutraceutica
dell’olio evo
di Gabriella Butera e Anna Micalizzi
L’olio extravergine d’oliva, nelle ricette spesso abbreviato
come olio evo (o EVO), rappresenta uno degli alimenti
più antichi la cui preparazione consiste nella semplice
spremitura del frutto della pianta Olea europaea originaria
del medio Oriente. A partire dal 5000 a.C. e fino al 1400
a.C. circa, la coltivazione delle olive si è diffusa dal medio
Oriente fino a Creta, alla Siria, alla Palestina e a Israele, per
poi arrivare in tutti i paesi del Mediterraneo.
In questo ultimo secolo all’olio extravergine d’oliva sono
state attribuite in numero sempre crescente eccezionali
proprietà nutritive che accompagnate dall’alta digeribilità
e dalle comprovate proprietà salutistiche lo hanno eletto
alimento principe della dieta mediterranea.
In questo articolo discuteremo assieme come le nuove
tecnologie della chimica analitica ci aiutano a descrivere
le sue caratteristiche nutraceutiche in maniera sempre più
completa e approfondita.
La nutraceutica dell’olio evo
I primi studi sulle
proprietà nutraceutiche
Distribuzione dell’olivo nel bacino del Mar Mediterraneo
Frutti in maturazione di Olea europea L.
[Immagine: H. Zell, Wikipedia
Commons, 2010]
Frutti maturi di Olea europea L.
[Immagine: H. Zell, Wikipedia
Commons, 2011]
Le indagini sulle proprietà nutraceutiche
(vedi box) dell’olio extravergine d’oliva
cominciano alla fine degli anni Cinquanta,
quando il biologo e fisiologo statunitense
Ancel Benjamin Keys (1904-2004) condusse
uno studio comparativo dei regimi alimentari in sette nazioni, intitolata semplicemente
“Seven Countries Study” (Stati Uniti, Italia,
Olanda, Grecia, Finlandia, Giappone ed ex
Iugoslavia). Esso mise in luce che gli abitanti
dell’isola di Creta (Grecia) erano quelli con
il più basso indice di mortalità per malattie
coronariche. Questo fenomeno venne messo in relazione con l’utilizzo - praticamente
esclusivo - dell’olio extravergine d’oliva per
la cottura e il condimento dei cibi, a discapito
degli altri oli di origine vegetale e del burro,
ampiamente usati nelle diete di altre popolazioni come per esempio quella anglosassone.
Ciò indusse ricercatori di tutto il mondo ad
La nutraceutica
Il termine nutraceutica, derivato dalla fusione di “nutrizione” e “farmaceutica”, è stato coniato nel 1989 dal Dr. Stephen L. DeFelice, fondatore e presidente della Foundation of Innovation Medicine (New Jersey, Usa) e si riferiva originariamente allo studio
di alimenti che hanno una funzione benefica sulla salute umana. Oggi la definizione
si riferisce a prodotti isolati e purificati dagli alimenti, solitamente venduti in forma
farmaceutica/erboristica, con provati benefici per l’organismo o proprietà protettive
contro l’insorgere di patologie croniche. Per estensione sono definiti nutraceutici quei
cibi che associano certe caratteristiche nutrizionali a comprovate proprietà terapeutiche di alcuni principi attivi in essi naturalmente contenuti.
Esempi di alimenti nutraceutici naturali sono l’olio extravergine d’oliva, grazie alla presenza di grassi insaturi e polifenoli, diversi tipi di frutti rossi, come i gelsi, che contengono antociani e polifenoli, i pomodori per il loro apporto di licopene. I polifenoli e le
vitamine di questi vegetali hanno una potente attività antiossidante che protegge le
nostre cellule dallo stress ossidativo dovuto ai radicali liberi. Esistono inoltre ortaggi ai
quali negli ultimi anni è stato riconosciuto un ruolo chiave nella prevenzione di alcuni
tipi di cancro; i più noti sono i membri della famiglia Cruciferae cui appartengono, tra
gli altri, cavoli, broccoli e cavoletti di Bruxelles.
Tra gli alimenti di origine animale è opportuno citare il salmone e il pesce azzurro
ricchi di acidi grassi omega-3 e omega-6. Questi ultimi vengono© definiti essenziali
poiché non possono essere sintetizzati dall’organismo e devono necessariamente essere introdotti con la dieta.
5
n.26 | Aprile 2012
I benefici dell’extravergine
ampliare le conoscenze per comprendere, in
ogni loro aspetto, le eccezionali proprietà
nutraceutiche dell’olio evo. Oggi la grande
mole di risultati, ottenuta da rigorosi studi
scientifici, conferma i suoi importanti benefici per la salute. Diverse proprietà sono riconducibili a specifici componenti dell’olio,
ma alcune delle più importanti derivano dal
consumo dell’alimento nella sua interezza.
L’olio extravergine d’oliva contrasta l’invecchiamento cellulare, esercita una modesta azione preventiva sull’insorgenza della
trombosi, inibisce la secrezione acida dello
stomaco, stimola la secrezione pancreatica
ed esercita un effetto colecistocinetico nel
drenaggio della bile. Inoltre è molto importante per la maturazione delle fibre nervose
di nuova formazione e nella crescita delle ossa lunghe. Infine gli è stata attribuita
una discreta attività antiinfiammatoria, riconducibile a meccanismi che inibiscono
la formazione di molecole con un’elevata
attività immunologica e infiammatoria.
La nutraceutica dell’olio evo
Composizione e
caratteristiche
nutrizionali
Schema esemplificativo della
struttura di un ipotetico trigliceride. La parte cerchiata in rosso
a sinistra è il glicerolo da cui
si dipartono tre catene di acidi
grassi. Dall’alto in basso troviamo: acido palmitico, oleico e
α -linolenico.
Oggi per l’importanza commerciale che
ha assunto l’olio extravergine d’oliva e per
garantire al consumatore la sua qualità e i
benefici derivanti dal consumo, una serie di
rigorose norme ne regola la produzione e le
caratteristiche.
Per essere definito tale, l’olio extravergine
d’oliva deve essere estratto solo con mezzi
meccanici (spremitura) e non deve subire
manipolazioni o aggiunte di additivi chimici; in questo processo non deve essere
soggetto a riscaldamento e il suo grado di
acidità “libera” non deve superare il valore
massimo di 0,8 g per 100 g di olio. Inoltre
deve possedere alcuni requisiti di sapore e
aroma a cui viene assegnato un punteggio
ai sensi dell’allegato XII del regolamento
(CE) N. 640/2008 che riporta il metodo
del consiglio oleicolo internazionale per la
valutazione organolettica degli oli d’oliva
vergini.
L’olio evo è costituito da due componenti: una a concentrazione decisamente più
elevata di natura lipidica apolare (circa il
Principali acidi grassi dell’olio
extravergine d’oliva e loro dige- 99% del contenuto totale), l’altra di natura
polare è rappresentata principalmente da
ribilità
tocoferoli, polifenoli, carotePresenza Digeribilità
noidi, clorofilla e alcoli.
Nome
C:D*
(%)
(%)
La frazione lipidica è costiAcido
tuita da trigliceridi e steroli.
C18:1
70-83
84
oleico
I trigliceridi sono formati
dall’unione di un alcool a tre
Acido
C16:0 5,7-18,6
48
atomi di carbonio, il gliceropalmitico
lo, e da acidi grassi in numeAcido
C18:0 0,5-4,0
20
ro variabile che differiscono
stearico
per lunghezza e presenza o
Acido
meno di doppi legami nella
C18:2 3,5-20,0
90
linoleico
loro catena, in base alla quale
Acido
vengono definiti rispettivaC18:3 0,1-0,6
96
linolenico
mente insaturi e saturi. Que*: C:D indica il numero di atomi di carbonio seguito da quello dei
sti possiedono caratteristiche
doppi legami, questi ultimi sono assenti negli acidi grassi saturi
Infiorescenza di olivo della specie
Olea europea L., Creta, Grecia.
[Immagine: H. Zell, Wikipedia
Commons, 2010]
6
n.26 | Aprile 2012
I benefici dell’extravergine
diverse, tra cui la consistenza e la digeribilità che dipende strettamente dall’incompatibilità della loro natura idrofobica con
l’ambiente digestivo. Soltanto gli acidi
grassi a catena corta riescono ad essere assimilati, all’allungarsi della catena aumenta l’idrofobia e l’assorbimento intestinale
diminuisce.
L’acido grasso più abbondante nell’olio
extravergine d’oliva è l’acido oleico (monoinsaturo) che rappresenta più del 70%
dell’intera frazione lipidica. Esso sembra
avere un ruolo importante nel contrastare
l’insorgenza dell’ischemia cardiovascolare; studi recenti hanno messo in luce che un
basso livello di acido oleico nelle piastrine
circolanti è sempre associato a questa patologia. Seguono, in percentuali decrescenti
di abbondanza, diversi acidi grassi saturi e
polinsaturi: l’acido palmitico, l’acido stearico, l’acido linoleico e l’acido linolenico
(vedi tabella qui sotto). Questi due ultimi
acidi grassi appartengono rispettivamente
alla categoria degli acidi omega-6 e omega-3. Si tratta di composti che devono pertanto essere obbligatoriamente assunti con
la dieta, indispensabili per la produzione
di energia, la formazione delle membrane
cellulari e la sintesi di emoglobina. Inoltre,
influenzano l’aggregazione piastrinica, la
vasodilatazione, la costrizione delle arterie coronariche e la pressione del sangue.
Infine l’acido linoleico e l’acido linolenico
hanno un ruolo determinante per la funzione delle prostaglandine, la produzione e il
corretto equilibrio ormonale. La carenza di
questi acidi produce astenia, pelle secca,
deficit immunitario, ritardo della crescita,
sterilità. L’alto contenuto in acidi grassi
monoinsaturi nell’olio extravergine d’oliva
è la principale caratteristica che lo differenzia dagli altri grassi di origine vegetale.
Gli steroli rappresentano la seconda componente lipidica dell’olio extravergine
d’oliva. Sono sintetizzati in natura a partire
dallo squalene. Sono presenti in notevole
quantità: da 110 a 265 mg per ogni 100
g di olio. Oltre il 94-97% degli steroli è
rappresentato da β-sitosterolo; altri steroli peculiari dell’olio extravergine d’oliva
sono campesterolo e stigmasterolo. La loro
analisi è fondamentale per l’individuazione di frodi alimentari mediante tagli con
oli diversi, la loro composizione permette
La nutraceutica dell’olio evo
Gli steroli peculiari dell’olio extravergine d’oliva: a) β- sitosterolo, b) stigmasterolo, c) campesterolo.
a)
b)
c)
a)
c)
b)
d)
I composti fenolici dell’olio extravergine d’oliva più studiati in
ambito nutraceutico: a) idrossitirosolo; b) tirosolo; c) oleocantale; d) oleuropeina aglicone.
[Da Cicerale et al., Current
Opinion in Biotechnology, 2011.
23:1-7]
di individuare l’aggiunta di olio di colza o
cartamo, mentre valori di
β-sitosterolo inferiori a quelli caratteristici
sono solitamente indice di miscelazione
con oli di semi.
Fitosteroli e polifenoli:
i paladini del benessere
Studi sperimentali ed epidemiologici hanno dimostrato che una dieta ricca di fitosteroli offre una buona protezione verso i
tumori del colon, del seno e della prostata.
Numerose ipotesi sono state avanzate sul
meccanismo d’azione di queste molecole nei confronti della proliferazione delle
cellule tumorali. In particolare, l’azione
del β-sitosterolo sulle cellule neoplastiche
sembra manifestarsi mediante un aumento
7
n.26 | Aprile 2012
I benefici dell’extravergine
dell’apoptosi, cioè della morte programmata della cellula. Negli ultimi anni è
stato evidenziato anche il ruolo protettivo
dei fitosteroli nei confronti delle malattie
cardiovascolari, attraverso la riduzione
dell’assorbimento intestinale del colesterolo. Infine, recentemente, è stata evidenziata una funzione di stimolo da parte del
β-sitosterolo sul sistema immunitario, in
particolare sulla proliferazione dei linfociti, anche se ancora non è noto il meccanismo d’azione.
L’equilibrata composizione in acidi grassi e la presenza di sostanze antiossidanti
consentono all’olio extravergine d’oliva di
mantenere una buona stabilità.
I componenti minori dell’olio extravergine
d’oliva svolgono un ruolo molto importante sia dal punto di vista nutraceutico che organolettico. Inoltre rappresentano un prezioso riferimento analitico per il controllo
di eventuali sofisticazioni a carico del prodotto. Il gruppo più importante in tal senso
è sicuramente quello dei polifenoli.
È stato dimostrato che la componente polifenolica, in cui sono stati individuati almeno 36 composti, possiede importanti
proprietà antimicrobiche, antiossidanti e
antiinfiammatorie sia in vitro che in vivo,
motivo per cui questi composti sono di
grande interesse per la salute umana. La
struttura e la concentrazione delle singole
molecole dipendono da numerosi fattori
quali il tipo di cultivar, la regione in cui
gli alberi crescono, la tecnica agronomica
utilizzata, il livello di maturità delle olive al raccolto e la tecnica di produzione
dell’olio.
Un altro parametro importante, da prendere in considerazione per valutare gli aspetti
salutari dei vari tipi di olio evo, è la biodisponibilità di questi composti, ovvero il
loro grado di assorbimento, metabolizzazione, distribuzione a livello dei tessuti ed
eliminazione da parte del corpo umano. I
due composti fenolici dei quali è stato dimostrato un elevato livello di assorbimento
(40-94%) da parte dell’ organismo umano
sono l’idrossitirosolo e il tirosolo.
La stabilità di queste molecole come d’altra parte - quella degli acidi grassi, è
strettamente dipendente dalle condizioni
di conservazione dell’olio; quelle ottimali prevedono basse temperature e ridotta
esposizione alla luce e all’ossigeno. Il periodo di conservazione, entro il quale la
concentrazione dei polifenoli rimane stabile, è stato stimato sui 12-18 mesi.
Molti di questi composti possiedono proprietà antimicrobiche, cioè inibiscono la
crescita di determinati microorganismi. Tra
di essi troviamo la carbossimetil oleuro-
La nutraceutica dell’olio evo
peina aglicone e l’oleocanthal. L’idrossitirosolo e il tirosolo si sono rivelati potenti
agenti in vitro contro numerosi ceppi batterici responsabili di infezioni intestinali e
respiratorie, quali E.coli 0157:H7, Listeria monocytogenes, Salmonella enteritidis ed Helicobacter pylori. La presenza di
quest’ultimo patogeno è associata all’insorgenza dell’ulcera peptica e allo sviluppo
del cancro allo stomaco. Pare che la loro
azione sia sinergica, cioè che si abbia una
maggiore efficacia antimicrobica del loro
insieme rispetto a quella delle singole molecole.
I benefici dell’extravergine
composti è incrementata da diversi agenti
endogeni ed esogeni, quali l’infiammazione, lo stress psicofisico, il fumo di sigaretta,
le radiazioni ultraviolette in genere, l’elevato consumo di alcool, l’esposizione ad
ambienti inquinati, l’attività fisica intensa,
una dieta eccessivamente ricca di proteine
e di grassi animali e l’abuso di farmaci.
L’organismo è fisiologicamente predisposto per fare fronte all’azione nociva dei
radicali liberi, difendendosi con un proprio
sistema anti-radicali. Questo prevede sia
meccanismi enzimatici che l’intervento di
sostanze attive che possono essere intro-
ATTIVITÀ FENOLICA DELL’OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA
Attività
Target
Antimicrobica
Helicobacter pylori, Escherichia coli, Clostridium perfringens,
Bacteroides spp, Streptococcus mutans, Staphylococcus aureus,
Listeria monocytogenes, Yersinia spp, Salmonella enterica,
Enterococcus faecium, Enterococcus faecalis, Shigella sonnei,
Candida albicans
Antiossidante
Attività antiossidante totale del plasma, GSH, GSH-Px, ossidazione delle cellule intestinali, renali e del sangue, ossidazione dei
grassi, OxLDL, ROS, F2- isoprostanes, GSSG
Antiinfiammatoria
Caspasi-3, p53 (Ser15), NFκB, COX, INOS, TNFα, IL-1β, p90rsk,
ERK1/2
Fonte: Cicerale et al., Current Opinion in Biotechnology, 2011. 23:1-7
Da molti anni si studiano la proprietà antiossidanti esercitate dai polifenoli nei confronti dei radicali liberi responsabili dello
stress ossidativo a carico di importanti
molecole biologiche. Questo è indotto da
uno squilibrio fra la produzione di specie
chimiche altamente reattive, i radicali liberi, e gli antiossidanti, le armi di difesa
della fisiologia umana. Questo processo
gioca un ruolo fondamentale nell’invecchiamento ed è correlato all’insorgenza di
malattie croniche, quali quelle malattie cardiovascolari e il diabete. Il danno cellulare
inizia a livello della membrana lipidica,
per poi condurre ad un’alterata formazione
dell’adenosintrifosfato (ATP, la molecola
di riserva energetica cellulare per eccellenza), fino ad arrivare a modificazioni
del Dna. Il danneggiamento ossidativo
di quest’ultimo è alla base della cancerogenesi.
Le specie reattive dell’ossigeno (HO•,
radicale idrossile; O2-, anione superossido; H2O2 , perossido di idrogeno; 1O2,
ossigeno singoletto) hanno un ruolo
fondamentale nell’insorgenza del danno tissutale. Quello prodotto in maggior concentrazione è l’anione superossido, il quale reagisce con il perossido
di idrogeno H2O2 (acqua ossigenata)
per formare il potente radicale ossidrile
(o idrossile), HO•. La formazione questi
8
n.26 | Aprile 2012
dotte con la dieta. Gli enzimi implicati in
questo meccanismo sono la superossidodismutasi, la catalasi e il glutatione ridotto.
Tra le sostanze attive vi sono la vitamina
E, la vitamina C, i carotenoidi, i polifenoli e le antocianine. Quando la quantità di
radicali liberi (indicati genericamente con
R•) prodotta è superiore a quella neutralizzabile dal nostro sistema antiossidante, si
innesta lo stress ossidativo a carico delle
cellule, che inizia con l’attacco da parte dei
radicali liberi ai lipidi poliinsaturi presenti
nelle membrane biologiche. Ciò determina l’avvio della perossidazione lipidica
(vedi box), un processo di deterioramento
ossigeno-dipendente che porta alla distruzione delle membrane biologiche e alla
formazione di lipoproteine ossidate, con
produzione di perossidi lipidici e di sottoprodotti come le aldeidi. Queste ultime
molecole sono caratterizzate da elevate
stabilità e reattività che le rendono dannose
verso altri costituenti presenti nella cellula,
come gli acidi nucleici e le proteine, alterando così la funzionalità cellulare. Il principale prodotto della perossidazione degli
acidi grassi polinsaturi è la malondialdeide, CH2(CHO)2, in grado di reagire con la
deossiadenosina e deossiguanina nel Dna,
formando composti mutageni, precursori
della carcinogenesi.
Diversi studi hanno dimostrato che nell’uo-
La nutraceutica dell’olio evo
La perossidazione lipidica
I tre stadi della perossidazione lipidica e relativa inibizione ad opera degli agenti antiossidanti.
a) Nella fase di iniziazione un radicale libero (ROO•) agisce sul gruppo metilenico coniugato ad un doppio legame nella catena dell’acido grasso insaturo (LH) staccando
un atomo di idrogeno; come conseguenza sull’ atomo di carbonio corrispondente si
forma un radicale (L•).
b) Nella fase di propagazione, i radicali L• reagiscono velocemente con l’ossigeno
molecolare O2, originando i radicali perossidici LOO• che, a loro volta, sottraggono
un atomo di idrogeno ad un’altra molecola di acido grasso insaturo per formare un
idroperossido (LOOH) e un altro radicale L•.
c) In fase di terminazione, i radicali liberi prodotti durante il processo di perossidazione reagiscono tra loro a formare prodotti non radicalici (PNR) inattivi.
d) È possibile inibire l’intero processo intervenendo nello stadio di propagazione con
l’aggiunta di antiossidanti (IH) che vanno a reagire con i radicali perossidici LOO•, interrompendo le catene radicaliche. Un antiossidante, in genere, agisce donando atomi di idrogeno, con conseguente formazione di radicali liberi (I•) relativamente stabili.
I benefici dell’extravergine
di olio extravergine d’oliva. Vi sono, inoltre, numerosi studi che sembrano mettere
in luce anche un’attività antinfiammatoria
da parte di questi composti (vedi tabella a
pagina precedente).
Altri componenti
Tra i componenti polari dell’olio extravergine d’oliva troviamo i tocoferoli e gli alcoli. I primi sono antiossidanti naturali che
inibiscono il processo di irrancidimento
del prodotto. Sono presenti in diverse forme; quella biologicamente più attiva, nota
come vitamina E, costituisce circa il 90%
del totale. Gli alcoli presenti nell’olio sono
sia alifatici che triterpenici (i terpeni sono
derivati dell’isoprene, idrocarburo naturale
del metabolismo vegetale con cinque atomi
di carbonio e due doppi legami, con formula bruta C5H8). Rivestono importanza analitica per la distinzione dei prodotti ottenuti
mediante pressatura meccanica delle olive
da quelli estratti con solventi.
Una piccolissima frazione della componente minoritaria dell’olio extravergine
d’oliva è costituita da cere, aldeidi, esteri,
chetoni e pigmenti colorati. Alcuni di essi
sono composti coinvolti nella valutazione
organolettica del prodotto, in quanto ne influenzano la nota aromatica e l’aspetto.
Le frodi alimentari
mo l’assunzione di olio evo caratterizzato
da una concentrazione fenolica superiore ai
592 mg/kg, determina in vivo una diminuzione del danno ossidativo al Dna superiore al 30%.
Importanti effetti antiossidanti sono stati
dimostrati anche nei confronti dei lipidi.
L’ossidazione delle lipoproteine a bassa
densità (LDL, low-density lipopotroteins,
note anche come “colesterolo cattivo”, in
contrasto con le HDL, high-density lipoproteins, il “colesterolo buono”) è considerata uno dei maggiori fattori di rischio per lo
sviluppo di malattie cronico-degenerative
come l’aterosclerosi. Sono stati individuati
diversi meccanismi con i quali i polifenoli
legano le LDL, sottraendole all’ossidazione da parte dei radicali liberi; inoltre studi
in vivo condotti sull’uomo hanno dimostrato un decremento nell’ossidazione delle
LDL associato all’incremento dei consumi
9
n.26 | Aprile 2012
La sofisticazione dell’olio extravergine
d’oliva rappresenta oggi una delle principali frodi alimentari a livello comunitario;
oltre a comportare ingenti perdite economiche, espone i consumatori a gravi pericoli per la salute. Esiste tutta una serie di
caratteristiche chimico-fisiche la cui difformità dai valori di legge, rilevabili con
opportune tecniche analitiche chimiche, è
indice di sofisticazione.
Il regolamento (CE) n. 2568/91 e successive modifiche, relativo alle caratteristiche
degli oli d’oliva e di sansa d’oliva, individua i parametri da misurare e i metodi di
analisi ad essi attinenti, riportati nei vari
allegati della normativa. Questi prevedono
l’utilizzo di particolari tecniche analitiche,
tra le quali le più utilizzate sono la spettrofotometria UV e l’analisi gascromatografica. La prima permette di rilevare la presenza di composti con due (dieni, come l’1,3
butadiene, C4-H6), tre (trieni) o più legami
doppi coniugati (cioè doppi legami tra carboni separati da uno singolo: -C=C-C=C-),
valutando la K232 e K270, rispettivamente
l’assorbanza alla lunghezza d’onda di 232
e 270 nanometri che indica l’eventuale
La nutraceutica dell’olio evo
Isomeria cis/trans delle molecole organiche con doppi legami.
Non essendo in grado di ruotare, il legame C=C presenta geometria piana. Nelle molecole
organiche come il 2-butadiene
qui rappresentato, o negli acidi
grassi oggetto della nostra discussione, possono formarsi due
stereoisomeri, con caratteristiche
chimico-fisiche talvolta molto diverse: quelli dove i due sostituenti dell’idrogeno dei carboni 1 e 4
si trovano entrambi dallo stesso
lato del legame, detti “cis” (in
alto), e quelli dove sono sui lati
opposti, “trans” (in basso).
10
presenza di dieni e trieni a seguito di ossidazione
o raffinazione dell’olio. Un altro
parametro da analizzare è il ΔK, l’entità
dell’assorbanza a 270 nm rispetto alla curva di assorbanza UV, che risulta elevata
negli oli raffinati.
La spettrofotometria UV permette, quindi,
di determinare se un olio d’oliva sia vergine o provenga da un processo di raffinazione. Nell’evo ottenuto dalla sola spremitura,
i doppi legami degli acidi grassi insaturi
non sono mai vicini, ovvero non ci sono
doppi legami contigui; ma se si effettua un
processo di raffinazione si possono verificare cambiamenti nella struttura dell’acido
grasso. Per esempio nel processo di deacidificazione mediante l’aggiunta di idrossido di sodio (la comune soda, NaOH) si può
verificare lo slittamento dei doppi legami.
Nella decolorazione su terre attive di oli
lampanti (acidità > 2,0%, inadatti al consumo umano) perossidati si ha la formazione
di trieni coniugati e di composti chetonici, la cui curva di assorbanza presenta tre
massimi a K270. Lo slittamento dei doppi
legami dovuto alla raffinazione comporta
un assorbimento caratteristico all’ultravioletto: il parametro K270 presenta un picco in
presenza di olio rettificato per la presenza
di dieni formatisi per slittamento dei doppi
legami (olio di sansa e semi). L’individuazione di caratteristici acidi grassi, quali il
linoleico e il linolenico, è molto importante
al fine di distinguere l’olio vergine da quello raffinato, in quanto questi hanno assorbimenti caratteristici all’UV dovuti rispettivamente ai due e tre doppi legami presenti.
Altri trattamenti non soltanto danno un
prodotto adulterato, ma anche deleterio per
la salute umana. Nei trattamenti termici di
deodorazione e di decolorazione con terre
acidificate si verifica la conversione della
configurazione degli acidi grassi, con formazione di isomeri trans.
Le conseguenze per la salute umana di chi
consuma un prodotto ricco di acidi grassi
trans sono molteplici e negative; tra le più
gravi vi è sicuramente l’alterazione delle
proprietà fisiologiche delle membrane cellulari, con conseguente compromissione
dei processi di trasporto e di fluidità. Non
meno importante è la diminuzione di acidi
grassi essenziali con effetti negativi sulla
n.26 | Aprile 2012
I benefici dell’extravergine
produzione di prostaglandine. Queste ultime regolano il tono muscolare delle pareti
arteriose, la pressione del sangue, le funzioni renali e giocano un ruolo importante
contro i processi infiammatori. Inoltre gli
acidi grassi trans causano alterazioni nelle
dimensioni e nel numero delle cellule adipose, nella composizione degli altri acidi
grassi e accrescono i livelli sierici delle
LDL (il “colesterolo cattivo”).
La tecnica analitica utilizzata per individuare la presenza di isomeri trans negli oli
extravergine d’oliva è la gascromatografia,
cui si fa ricorso per la determinazione di
eventuali contraffazioni che si rivelano
a carico di diversi componenti dell’olio.
L’analisi degli acidi grassi (trasformati nei
relativi esteri metilici) permette di ottenere
un cromatogramma con picchi ben visibili
per tutti gli acidi grassi, anche per quelli
presenti in tracce. Ciò è molto importante
perché un olio extravergine d’oliva presenta un caratteristico profilo cromatografico
e la sua eventuale variazione è indice di
contraffazione del prodotto. Per esempio,
la presenza di un picco associato all’acido
elaidinico dopo quello oleico è indice di un
olio prodotto non solo con spremitura meccanica (un semplice processo fisico di pressione), ma anche tramite processi chimici
partendo da esterificati o da oli rettificati.
Al pari della spettrometria UV, anche
l’analisi gascromatografica degli steroli
permette l’individuazione di frodi alimentari dovute all’aggiunta di olio di colza o
cartamo nell’olio extravergine d’oliva, così
come valori più bassi di β-sitosterolo indicano la presenza di oli di semi.
Un altro parametro utile per scoprire eventuali frodi è il tenore di cere. Quando un
olio d’oliva, venduto per extravergine,
viene prodotto mediante processi di estrazione delle sanse con esano (alcano lineare con formula C6H14), si sciolgono nel
solvente le cere presenti nelle bucce delle
olive che possono essere rilevate mediante
gascromatografia. Per evitare ciò, talvolta si cerca di rimuoverle con acetone, ma
questo processo rilascia sostanze caratteristiche nell’olio, le quali possono essere
individuate con questa tecnica analitica,
smascherando l’uso di questo trattamento
vietato per legge.
La nutraceutica dell’olio evo
Tecniche antifrode
innovative:
la rilassometria FFC-NMR
Struttura delle micelle inverse, tipiche degli oli vegetali, e loro inversione per effetto dell’addizione di acido acetico. A: aggregati
supramolecolari di trigliceridi
organizzati in micelle inverse. B:
micelle di trigliceridi dopo addizione di acido acetico. C: componenti idrofile (polari) degli oli.
[Immagine: Conte et al., Fresenius Environmental Bulletin,
2010, 19 (9b) 2077-2082, per
gentile concessione degli autori]
11
Per evidenziare le contraffazioni sempre
più sofisticate degli oli d’oliva, da anni si
studiano nuovi metodi analitici da affiancare a quelli ormai consolidati e previsti
dalla normativa comunitaria per la lotta
alle frodi alimentari. Tra le tecniche più
innovative vi è la risonanza magnetica nucleare in rilassometria, la quale permette
di ottenere informazioni diverse e complementari rispetto alla spettroscopia in risonanza magnetica nucleare (NMR). Infatti,
mentre la prima permette di conoscere la
struttura delle molecole (vedi Green n. 20,
pagg. 10-15 e n. 21, pagg. 32-37), la rilassometria NMR consente di conoscerne la
dinamica. Per esempio, studi condotti con
tecniche di rilassometria a ciclo di campo
(FFC-NMR, vedi box alla pagina successiva) su oli extravergine d’oliva hanno
individuato la presenza di aggregati supramolecolari in cui i trigliceridi, i maggiori
costituenti dell’olio extravergine d’oliva,
sono disposti in micelle inverse, legati tra
loro da deboli interazioni quali forze di van
der Waals e legami a idrogeno (vedi figura). Questi studi hanno messo in evidenza
come le code apolari degli acidi grassi siano disposte verso l’esterno, mentre le teste
polari dei trigliceridi siano rivolte verso
l’interno della micella e siano coinvolte in
legami a idrogeno con i componenti minori dell’olio extravergine d’oliva di natura
polare, quali i polifenoli, i carotenoidi e le
clorofille. Proprio quest’ultimo tipo di legame contribuisce significativamente alla
stabilità della struttura supramolecolare.
Questi risultati hanno aperto le porte a studi su altri oli vegetali, la cui struttura supramolecolare a micelle inverse è del tutto
simile a quella dell’olio d’oliva, nel tentativo di trovare applicazioni di questa tecnica nella lotta alle frodi alimentari e nella
valutazione della qualità degli alimenti.
Per esempio, nel caso degli oli di pistac-
n.26 | Aprile 2012
I benefici dell’extravergine
chio - molto usati nell’industria dolciaria
- è stato possibile differenziare tra quelli
ottenuti da cultivar differenti e, nell’ambito
della stessa varietà, sono stati riconosciuti
oli ottenuti da piante coltivate in condizioni
pedoclimatiche differenti. La rilassometria
FFC-NMR ha persino evidenziato differenze nella dinamica molecolare di oli di
pistacchio ricavati da semi seccati con tecniche differenti: all’aria o in stufa, a diverse temperature.
Tali risultati suggeriscono che le proprietà
dinamiche degli oli dipendono dalla viscosità cinematica, la quale - a sua volta - è
associata alle dimensioni degli aggregati
dei componenti di tale matrice alimentare.
Queste ultime, infine, dipendono dalle tecniche di produzione, dalle cultivar e dalle
condizioni pedoclimatiche.
Sembra evidente, quindi, che la rilassometria FFC-NMR possa essere considerata
uno strumento promettente per una rapida
ed efficace valutazione della qualità degli
oli alimentari, con l’enorme vantaggio di
non richiedere lunghe e dispendiose procedure di estrazione e purificazione dei campioni, in quanto essi vengono analizzati
tal quali. Inoltre, questa tecnica potrebbe
diventare un importante strumento di controllo nella verifica dei prodotti a marchio
garantito (DOP, IGP ecc.).
Potenziali applicazioni
dell’olio evo
Da quanto finora riportato, è evidente che la
rilassometria FFC-NMR può essere molto
importante per capire i processi di assorbimento degli alimenti e il loro metabolismo
nel corpo umano.
Potremmo in qualche modo comparare
la struttura supramolecolare dell’olio alla
struttura terziaria della proteina? La struttura terziaria è la disposizione tridimensionale
nello spazio della catena polipeptidica. Sono
le sequenze amminoacidiche a differenziare
una proteina dall’altra, ma un enzima non
potrebbe mai svolgere la sua funzione se
non fosse disposto spazialmente in un determinato modo, non potrebbe mai accogliere
La nutraceutica dell’olio evo
Le basi teoriche dell’FFC-NMR
La rilassometria a ciclo di campo, abbreviata in rilassometria FFC-NMR dall’anglosassone fast field cycling NMR relaxometry, è una tecnica che ha trovato grande applicazione nello studio della mobilità dei sistemi liquidi viscosi o confinati in mezzi porosi.
Le molecole che compongono i liquidi sono soggette a movimenti casuali influenzati
dalle interazioni intermolecolari con altre molecole nello stato liquido o con le superfici dei mezzi porosi in fase solida. La distribuzione delle frequenze del movimento
delle molecole in fase liquida dipende dall’omogeneità e dalla forza con cui si modulano le interazioni appena citate. Per esempio, un liquido confinato in pori di piccola
dimensione è più limitato nei movimenti di quello che si muove liberamente in spazi
più ampi. Le distribuzioni dei campi magnetici (DCM) generati dalle fluttuazioni molecolari sono responsabili della dispersione dei tempi di rilassamento longitudinale
(detto anche rilassamento spin-lattice o spin-reticolo, T1) che si verifica quando ogni
frequenza del DCM corrisponde alle frequenze di Larmor (ωL) dei nuclei osservati.
Il liquido, sia in fase liquida che assorbito nei mezzi porosi, può interagire anche con sistemi paramagnetici. La modulazione del campo magnetico dipolare locale generato
dal paramagnetismo contribuisce ulteriormente al rilassamento spin-lattice. In particolare, se una molecola è immobilizzata il suo rilassamento longitudinale risulterà più
veloce rispetto a quello di una molecola analoga con un numero maggiore di gradi di
libertà traslazionali e rotazionali.
Tipico profilo FFC-NMR di un
olio extra vergine di oliva. Si
riporta il valore della velocità
di rilassamento longitudinale
(ovvero dell’inverso del tempo
di rilassamento longitudinale) in
funzione dell’intensità del campo
magnetico applicato. L’interpolazione dei punti sperimentali
consente di ottenere il tempo di
correlazione che viene definito
come il tempo necessario per la
ri-orientazione molecolare (ovvero il tempo necessario a che
una molecola ruoti di 1 rad o
percorra una distanza pari alla
sua lunghezza).
12
il suo ligando se la sua struttura terziaria
non fosse rispettata. Le micelle inverse formate dai trigliceridi dell’olio evo, grazie
alla loro particolare configurazione spaziale, potrebbero trovare un uso ipotetico come
“contenitore” per veicolare sostanze polari
dentro una matrice lipidica. Si aprirebbero
nuovi scenari per applicazioni farmaceutiche e cosmetiche; l’extravergine, alimento
nutraceutico per eccellenza, potrebbe essere
addizionato con l’aggiunta di sostanze idrosolubili importanti per la salute umana, aumentando ancora le sue proprietà benefiche.
Naturalmente questa applicazione potrebbe
essere estesa anche ad altri oli alimentari e
trovare largo uso nel campo della cosmetica. Le creme, infatti, sono generalmente
costituite da emulsioni, ovvero miscele
eterogenee di due liquidi immiscibili di cui
uno (fase interna o dispersa) è disperso sotn.26 | Aprile 2012
I benefici dell’extravergine
to forma di piccolissime gocce in un altro
(fase esterna o disperdente), il tutto viene
stabilizzato dall’aggiunta di opportuni tensioattivi o emulsionanti.
Esistono due tipi di emulsioni: il tipo “olio in
acqua” (O/A), in cui vi è una fase continua
idrosolubile ed una o più fasi liposolubili disperse, e il tipo “acqua in olio” (A/O) in cui la
fase continua è liposolubile e la fase dispersa
è costituita da una o più fasi idrosolubili. Le
creme cosmetiche sono generalmente costituite da emulsioni A/O con una componente
lipidica elevata, che le rende più affini all’olio
per quanto riguarda la loro azione depurante ed emolliente e, data la loro consistenza
cremosa, sono di più facile applicazione, e
forniscono una protezione più elevata grazie
al carattere idrofobico. Alla luce di quanto
detto, appare evidente che in ambito cosmetico e farmaceutico l’utilizzo di emulsioni è
legato dall’esigenza di veicolare in un solo
prodotto sia molecole polari che apolari,
adattando nel contempo il pH alle condizioni
fisiologiche della pelle (4,5-5,5), mediante
aggiunta di acido lattico o acido citrico. Un
esempio sono le vitamine, oggi largamente
utilizzate nei prodotti cosmetici e farmaceutici. Tra quelle liposolubili, le più usate
sono le vitamine A, D, E e K; mentre l’acido ascorbico, la riboflavina, il pantenolo, la
biotina, l’acido folico e la vitamina B12 sono
le più utilizzate tra quelle idrosolubili (vedi
Green n.18 pagg. 36-49).
Poiché mezzi a base lipidica sono più idonei per la realizzazione di creme e pomate
ad uso cosmetico, grazie alla miglior azione depurante ed emolliente, potrebbe essere molto interessante provare a introdurre
direttamente in oli con micelle invertite come l’olio di mandorla dolce o di altri semi
già largamente impiegati in ambito cosmetico - i principi attivi di diversa natura, evitando così l’uso di tensioattivi o emulsionanti.
Un altro esempio di sostanze idrosolubili
che potrebbero essere introdotte in lozioni oleose, quali per esempio quelle per la
cura delle mani, sono i condensati di proteine (formati essenzialmente da miscele di
proteine e basi detergenti) che proteggono
la pelle dalle irritazioni dovute ad alcuni
componenti di detersivi per stoviglie; essi
inoltre stimolano la pelle a ricostituire i
tessuti e gli aminoacidi dello strato corneo
e sono meno aggressivi sulla cute, non presentando un potere fortemente sgrassante
come quello dei tensioattivi a base di solfati o solfonati.
Gabriella Butera
Anna Micalizzi
Unità di Ricerca Palermo-2
Consorzio INCA
Xxxx Xxx
La storia di un prodotto naturale
di vasto impiego che si è rivelato fatale
L’amianto,
quando utilità
fa rima con letalità
di Carmen C. Piras
L’amianto (o asbesto, dal greco “incorruttibile”) è un
minerale strutturato in forma di lunghe fibre, flessibili,
morbide, adatte alla filatura e alla tessitura. È ignifugo e
isolante, resistente al calore, agli agenti chimici, fisici e agli
sforzi meccanici e, proprio in virtù di queste proprietà, è stato
ampiamente utilizzato in passato, in differenti campi, per la
realizzazione di oltre 3.500 prodotti.
Oggi nella maggior parte dei Paesi è bandito, in quanto si è
rivelato essere la causa di patologie respiratorie che hanno
provocato la morte nei decenni scorsi di numerosi lavoratori
esposti, soprattutto tra i minatori e gli addetti alla produzione
dei manufatti contenenti asbesto: un altro caso in cui la
natura non ci è stata amica.
Xxxx dell’amianto
Xxx
Storia
Tra utilità e letalità
Oltre 4.500 anni di storia
Con amianto, o asbesto, si indica una serie
di minerali silicati di origine naturale (vedi
tabella) che possono presentare struttura
“asbestiforme”: cristalli in forma di lunghe
fibre con rapporto spessore/lunghezza di
circa 1:20. Il vasto utilizzo di questo materiale nel recente passato per applicazioni
civili e industriali si deve al suo assorbimento acustico, alla sua resistenza alla trazione, al fuoco, al calore, alla degradazione
chimica, alle proprietà di isolante elettrico
e termico e, non ultimo, al basso costo.
Dall’antichità a oggi ci sono giunte nume-
Tra i vari impieghi, può vantare anche
quelli per scopi terapeutici, il medico Boezio nel 1600 lo includeva nella formulazione di unguenti per la cura delle ulcerazioni
delle gambe, la scabbia e le vene varicose.
Alla fine del diciassettesimo secolo, in
Russia venne avviata la fabbricazione di
sottili fogli di amianto (crisotilo) estratto
dai Monti Urali e furono, inoltre, individuati numerosi depositi in Sud Africa, Canada e Russia.
Proprio da questo periodo cominciò l’utilizzo industriale dell’asbesto su larga scala;
negli Stati Uniti come isolante termico e in
Italia per la produzione di tessuti.
Nel 1901, grazie all’austriaco Ludwig
Nome
Formula chimica
Origine del nome
Actinolite
Ca2(Mg,Fe)5Si8O22(OH)2
dal greco: “pietra raggiata”
Amosite
(Mg,Fe)7Si8O22(OH)2
dall’abbreviazione di “Asbestos Mines
of South Africa”, nome commerciale dei
minerali grunerite e cummingtonite
Antofillite
(Mg,Fe)7Si8O22(OH)2
dal greco: “garofano”
Balangeroite
(Mg,Fe3+,Fe2+,Mn2+)42Si16O54(OH)40
da Balangero, località in Provincia di
Torino, in cui veniva estratto
Crisotilo
Mg3Si2O5(OH)4
dal greco: “fibra d’oro”
Crocidolite
Na2Fe2+3Fe3+2Si8O22(OH)2
dal greco: “fiocco di lana”, varietà fibrosa
del minerale riebeckite
Tremolite
Ca2Mg5Si8O22(OH)2
dal nome della Val Tremola, in Svizzera
Fonte dati: Wikipedia (it)
Fibre ottenute dalla lavorazione
dell’amianto.
Minerale di crisotilo estratto nello Swaziland (Sud Africa); è il
tipo di amianto più utilizzato per
applicazioni civili e industriali.
[Immagine: Aangelo, Wikipedia
Commons, 2007]
14
rose
testimonianze riguardanti l’uso
di questo materiale, che ha trovato storicamente una vasta gamma di impieghi per
le sue peculiari proprietà chimico-fsiche. Il
primo utilizzo risale, infatti, al 2500 a.C.
in Finlandia, dove l’amianto (antofillite)
di un deposito locale veniva adoperato per
rinforzare utensili di argilla e manufatti in
ceramica.
Anche gli antichi Romani e i Persiani, seppero sfruttare le proprietà di questo materiale che veniva utilizzato per ottenere
delle ceneri più pure e chiare con cui avvolgere i cadaveri da cremare.
n.26 | Aprile 2012
Hotschelk, nacque il cemento-amianto, materiale che ha trovato applicazione in numerosi ambiti, forse più noto con il nome commerciale di eternit® (dal latino “aeternitas”,
eternità).
La Seconda guerra mondiale aprì nuove
strade all’uso dell’amianto che trovò molteplici applicazioni anche in ambito bellico, grazie alle sue proprietà di materiale
ignifugo e di isolante termico.
Negli anni successivi, l’asbesto divenne
via via sempre più diffuso come ignifugo
e isolante termoacustico e per la realizzazione di tegole, lastre ondulate o piane per
coperture, serbatoi, silos, raccordi, grondaie, canne fumarie, comignoli, condotte
d’aria, rivestimenti di tubature, pavimen-
Storia dell’amianto Tra utilità e letalità
Antofillite, il primo amianto utilizzato a scopo manufatturiero di
cui esiste documentazione storica. Fibre di viste al microscopio
elettronico a scansione.
[Immagine: United States Geological Survey, 2006]
elettrodomestici (asciugacapelli, forni, stufe, ferri da stiro).
Aspetto macroscopico di minerale di antofillite ritrovato a
Västmanland in Svezia.
[Immagine: Didier Descouens,
Wikipedia Commons, 2010]
La prima morte documentata dovuta all’uso
di amianto risale al 1906. Fu però solo negli
anni Sessanta che diversi studiosi cominciarono a intravedere una relazione tra l’esposizione professionale a questo materiale e la
comparsa di gravi patologie polmonari, in
massima parte a carico dei minatori e degli
addetti alla produzione dei manufatti che lo
contengono. A dimostrarlo per la prima volta il medico statunitense Irving J. Selikoff
(1915-1992), che, dopo aver condotto uno
studio su 17.800 lavoratori, riuscì a confermare l’ipotesi che l’esposizione all’asbesto
provocasse l’insorgenza di patologie a carico dell’apparato respiratorio. Oltre alla
fibrosi interstiziale parenchimale (negli animali il parenchima rappresenta i tessuti funzionali di un organo), o asbestosi, l’amianto
può causare tumori con diverse localizzazioni e, nei casi più gravi, mesotelioma (il
mesotelio è uno strato cellulare con funzione di epitelio che avvolge le grandi cavità
sierose) e carcinoma polmonare.
L’insidiosità delle patologie da amianto sta
nel fatto che i primi sintomi compaiono
solo circa 10 anni dopo la prima esposizione e diventano ben evidenti solo dopo
20, quando risulta difficile, se non addirittura impossibile, intervenire con terapie
efficaci. I fattori principali responsabili del
rischio associato all’esposizione a questo
materiale sono: la concentrazione, la solubilità, la lunghezza, la forma e il diametro
delle fibre inalate.
Diversamente da quanto qualcuno possa
pensare, il danno da amianto è di natura
principalmente meccanica, fisica e non
chimica. I vari tipi di amianto possono presentare fibre con due differenti forme geometriche: troviamo i serpentini, che comprendono il solo crisotilo (dal greco “fibra
d’oro”), e gli anfiboli (dal latino “amphibolus”, ambiguo), a cui appartengono gli
altri sei della tabella riportata ad inizio
articolo. Questi ultimi sono decisamente
meno diffusi rispetto al primo che rappresenta la forma di amianto decisamente più
utilizzata in passato dall’industria, ma sono
i più pericolosi. Infatti, il crisotilo, avendo
una struttura incurvata e meno rigida, raggiunge più facilmente le vie aeree, dalle
quali, però, viene più facilmente rimosso
grazie all’apparato mucociliare. Invece, gli
anfiboli, essendo meno flessibili, vengono
rimossi con maggior difficoltà e, quindi,
La pericolosità
dell’amianto
ti, mezzi di trasporto
(nelle frizioni, freni,
guarnizioni e come
rivestimento di treni,
navi, autobus), quadri
elettrici, pareti, tetti, funi,
corde, avvolgimenti, tessuti, tute, grembiuli, guanti
protettivi (destinati a categorie professionali esposte a
elevate temperature e aventi la
possibilità di venire in contatto con
parti infuocate), coperte, tappezzerie, tappeti, tende, materassi, imbottiture, vernici,
mastici, carta, cartoni di rivestimento, filtri,
PATOLOGIE POLMONARI DA AMIANTO
L’asbestosi è una patologia respiratoria cronica caratterizzata da fibrosi interstiziale
polmonare diffusa e dalla presenza dei cosiddetti corpi asbestosici, costituiti da fibre
di asbesto ricoperte da materiale di natura proteica contenente ferro (probabilmente
originato dalla ferritina dei macrofagi), i quali derivano dal tentativo dei globuli bianchi di fagocitare le fibre di amianto.
Normalmente il processo di formazione della fibrosi inizia nelle vicinanze dei bronchioli respiratori e dei dotti alveolari, per andare successivamente ad interessare alveoli adiacenti. In questo modo viene alterata la normale architettura del polmone che,
nelle zone interessate, assume un caratteristico aspetto a favo d’api. Da un punto di
vista sintomatologico, una delle prime manifestazioni della patologia è la dispnea; inizialmente essa si presenta in seguito a sforzi o affaticamento, mentre - col progredire
della malattia - appare anche a riposo. La patologia può poi restare stabile o evolversi,
arrivando alla morte nei casi più gravi.
Il mesotelioma maligno è una patologia tumorale che interessa prevalentemente la
pleura, la membrana sierosa di rivestimento dei polmoni, o il peritoneo, la membrana
di rivestimento degli organi addominali. La sintomatologia è causata da una compressione dei visceri a contatto con la massa tumorale e si presenta con un versamento
emorragico, affanno, tosse e febbre. Il decorso della malattia è molto rapido e conduce inevitabilmente al decesso. Questa malattia è estremamente rara nella popolazione generale ed è strettamente associata all’esposizione professionale all’asbesto.
Il carcinoma polmonare si manifesta principalmente in lavoratori di industrie minerarie di asbesto e il fumo di sigaretta ne amplifica notevolmente il rischio. Anche in
questo caso, il decorso è rapido con esito, purtroppo, infausto.
15
n.26 | Aprile 2012
Storia dell’amianto Tra utilità e letalità
possono depositarsi a livello polmonare,
dove innescano una sequenza di eventi infiammatori e inducono, in alcuni casi, l’iniziazione del processo cancerogeno.
Le fibre con diametro inferiore a 0,5 μm
(micrometri) possono raggiungere gli alveoli polmonari, dove causano l’attivazione
del sistema immunitario locale e provocano una reazione infiammatoria da corpo
estraneo. I macrofagi le fagocitano e stimolano i fibroblasti a produrre tessuto connettivo, causando una fibrosi interstiziale.
In maniera simile può essere danneggiata
la pleura, la doppia membrana sierosa che
ricopre i polmoni.
Generalmente fibre di lunghezza di circa
2 μm possono provocare asbestosi; quelle
lunghe 5 μm possono provocare mesotelioma e fibre più lunghe di 10 μm, cancro
polmonare; le più grandi sono lunghe fino
a 50 μm circa.
Normalmente le fibre di asbesto si depositano a livello della biforcazione delle
piccole vie aeree, dove viene stimolata la
risposta del sistema immunitario. I macrofagi, attivati da fattori chemiotattici e mediatori fibrogenici, sono in grado di fagocitare completamente ed eliminare le fibre
più corte, mentre quelle più lunghe vengono inglobate solo parzialmente. Questo fa
sì che queste cellule dell’immunità, così
Vecchia copertura ondulata per danneggiate, non riescano più a lasciare gli
alveoli polmonari, dove liberano mediatori
tetti in eternit.
16
n.26 | Aprile 2012
dell’infiammazione che attivano altre cellule immunocompetenti e stimolano la deposizione di fibre collagene causando, infine, infiammazione interstiziale polmonare
generalizzata e fibrosi interstiziale.
La pericolosità dell’asbesto è dovuta anche
alla liberazione di specie radicaliche tossiche che si generano durante il processo
infiammatorio. A ciò, possono contribuire ulteriormente sostanze potenzialmente nocive adsorbite sulle fibre di asbesto,
quali, ad esempio, cancerogeni contenuti
nel fumo di tabacco; il rischio di contrarre
carcinoma polmonare in soggetti esposti
congiuntamente ad amianto e fumo di sigarette è aumentato di ben 55 volte, rispetto a
individui esposti al solo amianto.
La concentrazione di fibre inalate è un fattore determinante per il rischio di manifestare le patologie sopra citate, specialmente se l’esposizione è prolungata nel tempo;
tuttavia, teoricamente, una sola fibra di
amianto può permettere l’instaurarsi di
processi patologici polmonari.
La messa al bando
Nonostante attualmente il rischio correlato all’esposizione all’amianto sia perfettamente noto e diversi Paesi ne abbiano
definitivamente bandito l’utilizzo (Unione
europea, Arabia Saudita, Australia, Argentina, Cile, Giappone e molti altri), questo
Storia dell’amianto Tra utilità e letalità
Una semimaschera da lavoro con
filtro HEPA, un filtro assoluto
atto a rimuovere microrganismi e
particolato.
[Immagine: Haragayato, Wikipedia Commons, 2005]
17
minerale viene ancora estratto e utilizzato
in diversi nazioni, prima tra tutte la Russia
(con 925mila tonnellate prodotte nel 2005),
Cina, Canada, India e Brasile.
Inoltre, essendo stato lungamente impiegato per una moltitudine di applicazioni,
non stupisce la possibilità che l’asbesto sia
tuttora presente, magari sotto forma di eternit, in edifici, impianti industriali, cantieri
navali. In questi casi, la sua presenza non è
di per sé pericolosa; lo diventa, però, in seguito al possibile deterioramento del materiale, con conseguente liberazione nell’aria
di fibre che possono essere inalate.
Nei suoi numerosi impieghi, l’amianto è
stato utilizzato in diverse forme, a cui è
associato un diverso grado di rischio per
la salute a seconda delle caratteristiche di
friabilità del materiale:
• eternit, o cemento-amianto, impiegato
specialmente per la realizzazione di
tubi, tetti ondulati o piastre; contiene
al massimo il 15% di amianto ed è un
materiale compatto e poco friabile.
• amianto floccato, usato come materiale ignifugo e isolante termoacustico;
contiene amianto in percentuale variabile tra il 60% e il 100% e risulta
essere friabile e poco compatto.
nell’aria e, quindi, aumentare le probabilità di contaminazione dell’ambiente
e di contrarre patologie polmonari.
-- 2) Confinamento. Viene effettuato
mediante l’installazione di una barriera di separazione tra l’amianto e
le aree occupate dell’edificio. Questo
procedimento è utile nel caso in cui si
possa accedere facilmente all’amianto, ma comporta la necessità di controllare regolarmente l’integrità della
struttura protettiva.
-- 3) Incapsulamento. Questo metodo
prevede il trattamento dell’asbesto
con appositi materiali di rivestimento
che inglobino le fibre evitandone la dispersione. Generalmente viene utilizzato per materiali poco friabili. Anche
in questo caso è necessario verificare
periodicamente che l’incapsulamento
rimanga in buono stato e non venga
danneggiato, ad esempio da infiltrazioni di acqua, le quali appesantiscono
il rivestimento e ne facilitano il distacco, o da altri fattori come le attrezzature sportive installate nelle palestre.
La friabilità, il cattivo stato di conservazione, la facilità di accesso e la mancanza di
rivestimenti e protezioni sono tra i principali fattori che accrescono la probabilità di
rilascio di fibre nell’ambiente.
L’Italia è uno dei Paesi più colpiti al mondo da malattie da amianto, con un valore
di mortalità che si aggira attorno a 4.000
all’anno; particolarmente elevati sono i decessi registrati nelle province di Genova,
Gorizia, La Spezia, Livorno, Massa Carrara, Pistoia, Siracusa, Taranto, Trieste, sedi
di porti e cantieri navali e, caso particolare, Alessandria. Pur non essendo facciata
sul mare, quest’ultima provincia ospitava
nei pressi di Casale Monferrato una delle
maggiori fabbriche produttrici di eternit,
rimasta attiva per circa 80 anni. Purtroppo, tenendo conto del fatto che le diverse
patologie richiedono un lungo periodo di
latenza prima di manifestarsi (nel caso dei
tumori anche 25-50 anni), il picco massimo
di mortalità non sembra ancora essere stato
raggiunto.
Fortunatamente il rischio legato all’esposizione all’amianto è stato riconosciuto dai
nostri legislatori e il suo impiego è stato
bandito nel 1992 (Legge n. 257/92, “Norme relative alla cessazione dell’impiego
dell’amianto”). Questa è stata la prima legge emanata a tutela dei lavoratori e ha portato benefici sia per quelli impiegati nelle
miniere, sia per altri operatori che avessero contratto le tipiche patologie dovute
all’esposizione.
A seguire sono state emesse altre normative relative alla dismissione dell’amianto
Negli edifici in cui tuttora sia presente
amianto, è possibile intervenire con opportune procedure di bonifica. Il metodo da
utilizzare viene stabilito in base a diversi
fattori: friabilità, spessore, peso, localizzazione del sito. Le procedure per la bonifica
sono fondamentalmente tre:
-- 1) Rimozione. È il metodo più sicuro,
che permette di eliminare
ogni possibilità di successive esposizioni a
tale materiale. Tuttavia, questa procedura è abbastanza
costosa e comporta la produzione di
grosse quantità di
rifiuti tossici e potenzialmente pericolosi.
Si tratta, inoltre, di un
procedimento complesso
che deve essere effettuato
da personale specializzato.
Infatti, una rimozione non
corretta può causare un’ulteriore dispersione di fibre
n.26 | Aprile 2012
La situazione in Italia
Storia dell’amianto Tra utilità e letalità
e alla tutela della salute. Tra queste il Decreto Ministeriale n. 248/04 del Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del territorio
(“Regolamento relativo alla determinazione e alla disciplina delle attività di recupero
dei prodotti e beni di amianto e contenenti
amianto”), il D.M. 14 Dicembre 2004 del
Ministero della Salute (“Divieto di installazione di materiali contenenti amianto
intenzionalmente aggiunto”) e il Decreto
Legge 81 del 9 Aprile 2008 (“Attuazione
dell’art.1 della Legge n°123 del 3 Agosto 2007 in materia di tutela della salute e
della sicurezza nei luoghi di lavoro”, con
particolare riferimento al Capo III “Protezione dai rischi connessi all’esposizione
all’amianto”, art. da 246 a 265).
Grazie al quadro normativo attuale, l’esposizione all’amianto rimane un problema
perlopiù limitato ai lavoratori delle imprese di demolizione e agli addetti alla rimozione dell’amianto. È fondamentale che
questi lavoratori utilizzino appositi dispositivi di protezione individuale, quali tute,
galosce, guanti e maschere, sottoponendosi
a controlli medici periodici.
Sostituire l’amianto
Dopo la messa al bando dell’amianto si è
cercato di introdurre nuovi materiali naturali e sintetici che lo potessero sostituire
nelle sue innumerevoli applicazioni.
Diversi tentativi sono stati fatti con materiali quali fibre di vetro e lana di roccia
(isolamenti termici e acustici in campo edile, mezzi di trasporto, filtri), fibre ceramiche (guarnizioni e tessuti antifiamma), materiali composti da fibre di vetro e metalli,
prodotti in fibre di cellulosa o polimeri sintetici quali polipropilene, poliacrilonitrile,
polivinilcloruro.
Tuttavia, non sempre questi materiali si
sono rivelati efficaci quanto l’amianto e, in
alcuni casi, i rischi derivati dall’esposizione a lungo termine, ne hanno notevolmente
limitato l’utilizzo come possibili sostituti
dell’asbesto.
Carmen C. Piras
Chimico
Amianto anche nell’arte. Una scultura in eternit
raffigurante una danzatrice attribuita ad Alexander Gonda (1967), conservata nei giardini della
Casa di Eternit a Berlino.
[Immagine: Rolf Nemitz, Wikipedia Commons,
2008].
18
n.26 | Aprile 2012
Xxxx Xxx
I possibili usi delle microalghe,
in particolare nel settore energetico
Sfruttamento
delle microalghe:
tra realtà e
prospettive
di Fabio Barbato,
Carlo Alberto
Campiotti, Germina
Giagnacovo,
Vito Pignatelli,
Dario Tumminelli,
Corinna Viola,
Estelle Silva Diorato
Nel panorama mondiale delle innovazioni
più promettenti per il settore delle fonti
rinnovabili di energia, un ruolo di primo
piano è ricoperto dalla valorizzazione
a fini energetici delle microalghe, con
numerosi gruppi di ricerca pubblici e
privati, impegnati a migliorare i processi
produttivi connessi alla coltivazione di questa
categoria di microorganismi acquatici e al loro
impiego per la produzione di energia e/o
biocombustibili.
Saline realizzate con bacini artificiali lungo la South Bay di San Francisco in California. Quando
l’acqua evapora, microorganismi alofili di vario tipo possono diventare predominanti nelle varie
vasche, variandone il colore. Il verde è determinato dalla presenza di microalghe della famiglia Chlorophyceae, il rosso da Dunaliella salina, membro della stessa famiglia, contenente elevate quantità
di beta-carotene ad alto valore commerciale.
[Immagine: Doc Searls, Wikipedia Commons, 2009]
Sfruttamento delle microalghe
Le microalghe destano l’interesse di numerosi gruppi di ricerca (Garofalo, 2010)
poiché presentano una serie di prerogative
molto interessanti, le quali si accompagnano, purtroppo, a diverse problematiche che
hanno a tutt’oggi impedito uno sfruttamento adeguato del loro potenziale, nonostante
diversi decenni di ricerca e sviluppo e la
relativa pubblicazione di migliaia di lavori
scientifici.
• il contenuto energetico, che può non
raggiungere livelli tali da superare le
energie spese per la loro coltivazione e
per i processi di lavorazione necessari
per il successivo utilizzo;
• il fatto di richiedere diversi raccolti,
quantitativamente ridotti, a brevi intervalli di tempo, piuttosto che uno più
abbondante limitato a una o due volte
l’anno.
Fra i principali vantaggi vengono annoverati:
• la velocità di crescita molto elevata;
• la capacità di prosperare in acque ricche di nutrienti, e quindi di contribuire a processi di depurazione di acque
reflue;
• la proprietà di assorbire CO2 insufflata
nel mezzo di coltura e di trasformarla
in materia organica;
• la possibilità di crescita anche in climi
caldi e in acqua salata, senza intaccare le risorse di acqua dolce nelle zone
dove queste sono limitate;
• la possibilità di essere coltivate in aree
marginali senza sottrarre superfici alle
colture agricole a fini alimentari o ad
altre attività economiche già insediate
nel territorio;
• la produzione di una biomassa omogenea, non suddivisa in componenti
con caratteristiche differenti, come per
le piante terrestri (semi, frutti, foglie,
fusto, radici).
Il presente articolo si prefigge di contribuire alla conoscenza delle microalghe da parte di un pubblico più vasto di quello degli
“addetti ai lavori”, soprattutto per quanto
riguarda gli aspetti legati all’energia, con
un approccio divulgativo e non eccessivamente tecnico. Verranno comunque affrontati brevemente anche aspetti più generali,
riguardanti le principali caratteristiche e
funzionibiologiche, sia nell’ambiente naturale che in quello di coltivazione, per l’utilizzo nell’ambito di iniziative commerciali
e di ricerca di vario genere.
Inoltre, si riporterà una descrizione dell’attuale “stato dell’arte” del settore a livello
globale e un quadro delle sfide future che
attendono gli sforzi dei ricercatori e degli
operatori economici interessati allo sfruttamento di questa risorsa.
Mentre le loro principali criticità sono:
• la necessità di essere separate dalla
fase liquida, dove crescono con densità piuttosto bassa;
• l’uso, per ora praticamente universale, di colture monospecifiche in cui va
evitata la contaminazione da parte di
altre specie microalgali indesiderate o
di microrganismi, insetti e uccelli che
se ne cibano o ne impediscono un corretto sviluppo;
GRUPPO
CLASSE
ESEMPI (GENERI PIÙ DIFFUSI)
Alghe azzurre
(cianobatteri)
Cyanophyceae
Arthrospira (meglio nota come
Spirulina), Nostoc, Anabaena,
Schizotrix, Microcystis
Diatomee
Cyclotella, Coscinodiscus,
Bacillariophyceae Chaetoceros, Skeletonema, Nitzschia,
Phaeodactylum
Alghe verdi
Chlorophyceae
Chlorella, Neochloris, Chlamydomonas,
Scenedesmus, Dunaliella, Tetraselmis
Dinoflagellati
Dinophyceae
Ceratium, Gymnodinium, Peridinium,
Gonyaulax
Alghe dorate
Haptophyceae
Pavlova, Isochrysis, Chrysochromulina,
Prymnesium
20
Tra realtà e prospettive
n.26 | Aprile 2012
Le microalghe
Le microalghe, anche note come fitoplancton, sono organismi microscopici unicellulari che vivono singolarmente o in
colonie (catene o altri tipi di aggregati), in
acque dolci e salate. A seconda della specie, le loro dimensioni individuali possono
variare da pochi micrometri a qualche centinaia (millesimi di millimetro, 10-6 m). La
loro attività fotosintetica è fondamentale
per la vita sulla Terra, in quanto si stima che
producano il 30-50% dell’ossigeno atmosferico, assorbendo contemporaneamente
anidride carbonica, il maggiore gas ad effetto serra, per poter crescere e sintetizzare
nuova sostanza organica (biomassa).
La biodiversità delle microalghe è enorme e rappresenta una risorsa poco studiata
e sfruttata; solamente 35.000 specie sono
state descritte rispetto a quelle esistenti,
stimate essere fra 200.000 e 800.000, secondo i dati della Wageningen University.
Questi microrganismi producono comunemente numerosissimi composti bioattivi
come polisaccaridi, amido, proteine, acidi
grassi, carotenoidi, antiossidanti, enzimi,
polimeri, peptidi, tossine e steroli; costituiscono potenzialmente una rilevante fonte
di geni per percorsi di biosintesi particola-
Sfruttamento delle microalghe
ri, a volte unici.
Semplificando, senza addentrarsi troppo
nella loro complessa sistematica, si può
dire che le microalghe più utili appartengono a 5 o 6 classi principali, distinguibili
per la loro morfologia, la loro pigmentazione, il loro ciclo biologico e la loro struttura
cellulare come descritto nella tabella della
pagina precedente.
A
B
Alcune microalghe viste al microscopio ottico (ingrandimento
400X circa).
A: Diatomee di acqua dolce, in
alto Pennales sp., più in basso a
destra Centrales sp.
B: Micractinium sp.
C: Dictyosphaerium sp.
Potenzialità
delle microalghe
Funzioni nell’ambiente naturale
Le microalghe fungono da fonte energetica
primaria per buona parte degli ecosistemi
marini, in quanto costituiscono il nutrimento di numerosi animali, dal microscopico zooplancton ai molluschi e crostacei
filtratori. Tali organismi rappresentano il
successivo anello della catena alimentare e
sono poi a loro volta predati. Al fitoplancton è stata attribuita addirittura la metà di
tutta l’attività fotosintetica della Terra e, di
conseguenza, la produzione di buona parte
della nuova biomassa (sostanza organica),
con conversione dell’energia della radiazione solare in energia chimica che sta
alla base delle reti trofiche. Da rimarcare
la velocità di crescita di determinate specie
microalgali, che le pongono ai vertici della
produttività tra gli organismi fotosintetici.
Questo aspetto è riscontrabile nelle cosiddette fioriture algali, bloom fitoplanctonici,
come nel caso dei dinoflagellati, tossici per
gli animali acquatici e per l’uomo, sia per
contatto diretto che per ingestione o inalazione tramite aerosol.
Usi a scopi non energetici
Le microalghe del genere Spirulina, attualmente Arthrospira, sono state utilizzate per
secoli nell’alimentazione di alcune popolazioni africane, del lago Ciad e del Centro
America, ad esempio quelle del lago Tex21
n.26 | Aprile 2012
Tra realtà e prospettive
coco in Messico (Hendrikson, 2009).
L’interesse verso il loro uso a scopo alimentare si manifestò intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso, quando emerse la
preoccupazione che l’aumento della popolazione mondiale potesse determinare una
carenza alimentare e le microalghe sembravano poter rappresentare una fonte proteica a basso costo; questa pratica fu in seguito abbandonata, visti i deludenti risultati
C
ottenuti dalle prime colture commerciali.
Nel 1961, in Giappone la società Nihon
Chlorella iniziò a coltivare microalghe su
larga scala a fini commerciali, sfruttando
soprattutto il genere Chlorella (Iwamoto
H., 2004).
Negli anni Ottanta, in Asia, erano presenti
46 fabbriche che producevano più di 1.000
chili di biomassa al mese, in maggior parte
di Chlorella (Kawaguchi, 1980). Nel 1986
le strutture di produzione di Dunaliella
salina installate in Australia, per ottenere β-carotene, diventarono un altro polo
dell’industria microalgale nel mondo. In
seguito sono stati realizzati grandi impianti
nel sudest asiatico, in California e alle Hawaii, dedicati principalmente alla produzione di Spirulina.
Agli inizi dello stesso decennio, in Giappone, nacque il concetto di cibo funzionale
o alimento funzionale. Questo genere di
alimenti riveste un ruolo protettivo per la
salute del consumatore, contribuendo, in
tal modo, alla riduzione dei costi sociali
per difendere la salute di una popolazione
sempre più numerosa e con una maggiore
aspettativa di vita (Arai S., 1996).
Oggi, dunque, non si pensa più alle microalghe come alla soluzione per risolvere i problemi della fame nel mondo; esse
vengono, invece, studiate per applicazioni
in diversi settori commerciali quali: produzione di integratori alimentari, farmaci,
cosmetici e mangimi.
Per quanto concerne il consumo umano,
la pasta microalgale secca, in polvere o in
compresse, di alcune specie (es. Chlorel-
Sfruttamento delle microalghe
Tra realtà e prospettive
Contenuto nutrizionale di alcune specie di microalghe rispetto ad alimenti comuni
Materiale
Proteine
Carboidrati
Lipidi
Lievito per il pane
39
38
1
Carne
43
1
34
Latte
26
38
28
Riso
8
77
2
Soia
37
30
20
Chlorella vulgaris
51-58
12-17
14-22
Dunaliella salina
57
32
6
Porphyridium cruentum
28-38
40-57
9-14
Scenedesmus obliquus
50-56
10-17
12-14
Spirulina maxima
60-71
13-16
6-7
Synecochoccus sp.
63
15
11
Aphanizomenon flosaquae
62
23
4-7
I contenuti sono espressi in percentuale sul peso secco. Fonte dati: Spolaore P. et al., 2006; Becker et al., 1994
la) contiene elevate quantità di carboidrati semplici e complessi, oltre a numerosi
composti descritti di seguito. Tipici delle
microalghe sono i beta glucani, in grado
di potenziare la risposta del nostro sistema immunitario (Iwamoto, 2004). In altre
specie (es. Arthrospira) è preponderante il
contenuto in proteine, che le rende un integratore indicato in stati di debilitazione
organica o per gli sportivi.
Dentifrici, lozioni, unguenti e alginati in
creme assimilabili attraverso la pelle sono
alcuni dei prodotti con sostanze di derivazione microalgale più comunemente
commercializzati dalle industrie farmaceutiche, principalmente in Giappone. In
campo medico vengono sfruttate le loro
proprietà antibatteriche, antivirali e antitumorali (Iwamoto, 2004; Qiang Hu, 2004;
Hendrickson, 2009).
Le microalghe contengono quantità interessanti di vitamine, tra cui la A, quelle del
gruppo B inclusa la B12, la C, la D, la E,
la K (Becker, W., 2004) che ne aumentano
il valore nutrizionale. La quantità prodotta dipende strettamente dalle condizioni di
crescita e da tutti i processi che vanno dalla
raccolta al confezionamento della biomassa (Brown M.R. et al., 1999; Ben-Amotz
et al., 2003).
Fra i numerosi acidi grassi riscontrabili nelle microalghe i più importanti sono l’acido
docosaesanoico (DHA, 22:6n-3), l’acido
arachidonico (ARA 20:4n-6), l’acido eicosapentaenoico (EPA 20:5n-3), l’acido
gamma-linoleico e l’acido alfa-linolenico,
collettivamente noti come PUFA, polyunsaturated fatty acids, gli acidi grassi poliinsaturi Omega-3 e Omega-6.
Notevoli sono anche le proprietà antiossidanti. Sono presenti svariate molecole attive in questo senso, tra cui i carotenoidi
22
n.26 | Aprile 2012
astaxantina e beta carotene. Inoltre sono
presenti oligominerali nella loro forma
organica maggiormente assimilabile. Tali
composti possono o essere estratti dalla
biomassa algale prima di altre utilizzazioni
(uso indiretto), o assorbiti consumando la
pasta microalgale tal quale, umida o secca
(uso diretto).
Nella tabella qui sopra si evidenzia l’elevato contenuto in proteine, carboidrati e lipidi di alcune specie di microalghe rispetto a
quello di alcuni alimenti più comuni.
Per contro, un fattore potenzialmente preoccupante per il consumo umano è l’elevato contenuto in acidi nucleici di alcune
specie di microalghe, che può favorire lo
sviluppo di malattie del metabolismo quali
gotta e calcolosi renali. Alcuni metodi di
produzione, sopratutto in aree inquinate,
hanno fornito derivati con livelli di tossicità non trascurabili per il consumo umano,
con conseguente sospensione della lavorazione, come avvenuto, ad esempio, presso
il lago Texcoco. Consumi superiori ai 100
grammi al giorno di sostanza secca possono indurre in alcuni casi effetti negativi,
quali dolori allo stomaco, nausea, vomito,
costipazione (Becker, 2004).
Le specie oggi maggiormente coltivate a
fini commerciali appartengono ai generi:
Arthrospira, Chlorella, Dunaliella, Haematococcus, Nannochloropsis, Nitzschia,
Crypthecodinium, Schizochytrium, Tetraselmis, Skeletonema, Isochrysis, Chaetoceros.
In acquacoltura le microalghe vengono utilizzate nelle avannotterie, sia come alimento per lo zooplancton destinato a nutrire le
larve di pesce, sia come elemento di stabilizzazione chimica nelle vasche (tecnica
delle “acque verdi”). Inoltre vengono comunemente impiegate anche negli schiu-
Sfruttamento delle microalghe
Specie di alghe usate come mangime
Specie allevate
Famiglia: Bacillariophyceae
Skeletonema costatum
B, B, D
Thalassiospira pseudo nana
B, A, D
Phaeodactylum tricornutum, C. muelleri
B, A, D, C, F
Chaetoceros affinis, C. calcitrans
B, A, D, F
Cylindrotheca closterium
B
Bellerochea polymorpha
D
Actinocyclus normanii
D
Nitzschia closterium, N. paleacea
F
Cyclotella nana
F
Famiglia: Haptophyceae
Isochrysis affinis galbana, I. tahiti
B, A, D, C, F
Pseudaisochrysis paradoxa
A, D, C
Dicrateria sp.
D
Cricosphaera elongata
D
Coccolithus huxleyi
D
Olisthodiscus luteus
I
Pavlova lutheri, P. pinguis
A, D, F, G
Famiglia: Chrysophyceae
Pyramimonas virginica
A, D
Micromonas pussila
D
Famiglia: Chryptophyceaea
Cryptomonas
D
Rhodomonas salina
A, D
Chroomonas salina
D
Famiglia: Xanthopyceae
Olisthodiscus luteus
D
Famiglia: Cyanophyceae
Spirulina (Arthrospira) platensis
B, D, F, G
Famiglia: Chlorophyceae
Tetraselmis suecica
B, A, D, E, F, G
Chlorella sp.
A, C, F, G, I
Scenedesmus obliquus, S. quadricauda
I, G, F
Dunaliella tertiolecta
D, F, G
Chlamydomonas khaki
A, D, I, G, I
Chlorococcum sp.
D
Brachiomonas submarina
D
Spongiococcum excentricum
A
Famiglia: Eustigmatophyceae
Nannochloropsis oculata, N. gaditana
D, G, H
Specie allevate:
A, larve di molluschi bivalvi; B, larve di gamberi peneidi; C, larve di gambero
d'acqua dolce ; D, postlarve di molluschi bivalvi; E, larve di abalone; F, artemia; G,
rotiferi marini; H, copepodi marini; I, zooplancton d’acqua dolce.
Microalghe usate per la produzione di mangimi
in acquacoltura [fonte dati: Becker 2004; DePauw & Persoone, 1988; Lavens & Sorgeloos,
1996].
23
n.26 | Aprile 2012
Tra realtà e prospettive
ditoi di molluschi, combinate in miscele
multispecifiche più o meno diversificate;
questo per la loro diversa composizione
specifica in proteine e acidi grassi essenziali, soprattutto quelli poliinsaturi (PUFA), al
fine di fornire un alimento il più completo
possibile (Kanazawa, 1985).
Microalghe
ed energia rinnovabile
Biocombustibili di prima e di seconda generazione
È ormai accertato dalla comunità scientifica internazionale che la continua emissione nell’atmosfera di anidride carbonica
prodotta dalle attività umane, soprattutto
da quelle basate su combustibili derivati
dal petrolio, stia velocemente cambiando l’intero ecosistema del pianeta Terra,
modificando al rialzo gli equilibri termici (IPCC). Pertanto da anni scienziati e
ricercatori sono impegnati nella difficile
ricerca di soluzioni in grado di risolvere
concretamente tale problema. Tra queste
di primaria importanza sono i tentativi di
sostituire i combustibili di origine fossile
con altri di origine vegetale, tendenti al bilancio neutro della CO2. Si assume, infatti,
che la biomassa fotosintetica durante il suo
accrescimento assorba la stessa quantità di
anidride carbonica emessa quando viene
infine combusta; tuttavia sono da considerare anche i processi per la trasformazione
della biomassa, i quali possono influire negativamente sul bilancio totale.
Attualmente, la produzione di biocombustibili ricavati da piante edibili, cosiddetti
di prima generazione, è ritenuta da più parti
una pratica non sostenibile per la riduzione
delle superfici agricole sfruttabili a fini alimentari e per l’incremento del prezzo delle
materie prime (acqua, fertilizzanti ecc.),
necessarie anche alla produzione di beni di
prima necessità, quali frumento, mais, riso,
canna da zucchero. Inoltre, l’uso dei suoli
attualmente coltivati potrebbe non bastare
a colmare la scarsità di cibo che colpisce
buona parte della popolazione mondiale.
Per questo motivo, oggi si punta all’utilizzo di biomasse non edibili per produrre
biocombustibili, riducendo così la concorrenza per le risorse tra settore energetico e
agroalimentare.
Alla luce di questa situazione, in diversi
Paesi sono state attivate linee di ricerca finalizzate a sviluppare e a mettere a punto
nuove tecnologie eco-sostenibili per la produzione di energia pulita. Tali tecnologie
utilizzano i cosiddetti biocombustibili di
Sfruttamento delle microalghe
seconda o (di nuova) generazione, prodotti
da fonti rinnovabili eco-compatibili.
Da alcuni anni è stata presa in considerazione anche nel nostro Paese la possibilità di usare a tale scopo le microalghe, in
grado di produrre in modo sostenibile una
quantità di energia decisamente maggiore
per unità di superficie rispetto a quella ottenuta dal mais o dalla soia e anche dalla palma da olio tropicale (Benemann e Pedroni,
2007; Tredici, 2010). Le microalghe possono infatti essere considerate a pieno titolo
una coltura energetica di seconda generazione, in grado di evitare impatti dannosi
sul mercato agroalimentare e sulla biodiversità terrestre; ciò in quanto coltivabili
su terreni scarsamente produttivi altrimenti
inutilizzabili, come le zone costiere aride
e le zone paludose, con acque salmastre o
marine. Per la loro crescita si potrebbero
sfruttare acque eutrofiche, ovvero ricche
di sali nutrienti di origine agricola o civile,
ottenendo così anche la loro depurazione.
Le microalghe sarebbero capaci di produrre 30 volte l’equivalente in olio rispetto
alla stessa area coltivata con specie terrestri
convenzionali, quali mais, soia e altro. Il limite teorico di produttività, calcolato sulla
base di considerazioni relative alla luce incidente e all’efficienza fotosintetica, indica
valori di circa 280 tonnellate di biomassa
secca per ettaro all’anno alle latitudini del
sud della Spagna; ipotizzando un contenuto lipidico estraibile del 40%, si ottengono
valori di 115 m3 di olio per ettaro per anno
(Wageningen University).
Tuttavia esistono ancora diversi punti critici prima di poter realizzare produzioni
energetiche economiche che vadano oltre
stime più o meno ottimistiche ottenute da
esperienze realizzate su scala limitata o,
Metodologie produttive usate per peggio, solo da calcoli teorici. Su questi
ottenere composti commerciali aspetti di ampliamento della scala operatidalle microalghe
va si attendono ancora risultati consolidati
Luce
Nutrienti
ALGHE
Fotobioreattori
Vasche
Bacini
Opzionali
Acque reflue
Acque salate
CO2 da gas
di scarico
Terreno
degradato
Input
Coltivazione
24
Estrazione /
Transesterificazione
Biodiesel
Fermentazione
Bioetanolo
Digestione
Anaerobica
Metano
Gassificazione/
Bio-idorgeno
Idrogeno
Essiccazione/
Gassificazione
Co-combustione,
combustibili specifici
Essiccazione
Cibo, mangimi
Essiccazione/
Estrazione
Biomolecole
Down-stream
n.26 | Aprile 2012
Prodotti
Tra realtà e prospettive
da parte del mondo della ricerca, anche in
termini di definizione dei prodotti energetici maggiormente convenienti.
Di conseguenza, in un contesto come quello italiano, puntare principalmente al biodiesel come principale prodotto energetico
derivante dalle microalghe può rivelarsi
una scelta non priva di rischi. Infatti le capacità produttive medie di biodiesel da parte delle 19 raffinerie nazionali sono molto
elevate, mediamente intorno alle 120.000
tonnellate/anno ad impianto, un valore raggiungibile solo utilizzando colture microalgali molto estese (100-200 km2). L’utilizzo
di tali superfici è da considerarsi improponibile per una prima fase di sviluppo, specialmente in mancanza, a livello mondiale,
di tecnologie consolidate su larga scala per
produzioni intensive di biomassa microalgale a basso costo. Nelle prime fasi, sarebbe probabilmente più opportuno considerare impianti su piccola/media scala per
la produzione di microalghe da destinare
alla produzione di biogas, i quali presenterebbero i valori aggiunti della depurazione
di acque eutrofiche/reflue (Schenk et al.,
2008), dell’assorbimento di CO2 e della
produzione di O2 durante le ore di luce,
(Park et al., 2011). Questo rappresenta un
obiettivo di prodotto energetico ottenibile con processi più semplici, minori input
energetici e minori standard qualitativi della biomassa rispetto a quanto richiesto per
il biodiesel (Barbato, 2011).
Ovvio aspetto accessorio delle coltivazioni
microalgali è il contributo alla riduzione
delle emissioni di CO2, in quanto questa viene assorbita dalle microalghe sia dall’aria
atmosferica, sia nel caso in cui provenga da
fonti quali fumi di combustione o biogas e
venga insufflata appositamente nel mezzo
di coltura. L’assorbimento avviene mediante conversione fotosintetica del carbonio in
sostanza organica, attraverso una serie di
percorsi metabolici che possono condurre
a diversi composti di accumulo energetico
nella cellula microalgale, tra cui riveste
particolare interesse il bioolio, ovvero una
sostanza oleosa con alta densità energetica
che è possibile impiegare, oltre che per la
produzione di biodiesel, anche direttamente per l’alimentazione di generatori elettrici
diesel, anche di piccola taglia. La biomassa residua dopo l’estrazione dell’olio dalle
microalghe può essere comunque usata per
la produzione di biogas.
Oltre al biodiesel, agli oli combustibili e
al biogas, altri prodotti energetici possono
essere ricavati dalle biomasse microalgali,
sebbene con risultati operativi per ora meno
consistenti rispetto a quelli menzionati in
precedenza, come ad esempio idrogeno,
Sfruttamento delle microalghe
tramite la microalga Chlamydomonas sp.
in particolari condizioni di coltura, o bioetanolo per via fermentativa della cellulosa
e di altri carboidrati presenti nella biomassa di determinate specie microalgali.
Coltivare le microalghe
Colture di laboratorio
Vasca per la coltivazione delle
microalghe di tipo “raceway”.
[Immagine: JanB46, Wikipedia
Commons, 2011]
Coltura di Scenedesmus dimorphus in contenitore PET da cinque litri.
25
Tra realtà e prospettive
dell’anno; in tali casi si è obbligati a massimizzare produzione e raccolta dell’alga nei
periodi più caldi.
I sistemi di coltivazione in vasche aperte
non protette non garantiscono produzioni
monospecifiche, pertanto sono utilizzati
per un limitato numero di specie cosiddette
“estremofile” come Arthrospira platensis
(Spirulina) e Dunaliella salina, che crescono in condizioni selettive estreme, rispettivamente di elevato pH (maggiore o uguale
Oltre al mantenimento e alla caratterizzazione delle specie e dei ceppi, le colture
in laboratorio consentono la realizzazione
della ricerca di base per definirne le proprietà funzionali. Quelle monospecifiche
vengono avviate in provette da 10-50 ml,
in condizioni ambientali controllate, in
mezzi liquidi contenenti i nutrienti necessari alla crescita.
Su scala di laboratorio il volume della coltura è incrementabile mediante passaggi
successivi fino a qualche decina di litri. A
tal fine è possibile utilizzare capienti contenitori in PET trasparenti che devono essere
sterilizzati per via chimica (Barbato e De a 9) e di elevata salinità (oltre il 40‰). Ciò
impedisce a buona parte delle potenziali
Luca, 2011).
specie contaminanti di proliferare. A tal
fine le open ponds si possono proteggere
Colture massive
Anche in questo caso si prefe- dalla pioggia e da agenti contaminanti trarisce aumentare gradualmente i mite teli plastici trasparenti o serre. Nei bavolumi dei fotobioreattori, par- cini in terra è spesso usato un rivestimento
tendo da 20-30 litri per passare a in telo plastico impermeabile per un mivalori più grandi, fino ad arrivare gliore controllo dei parametri biotici e per
in vasche o in veri e propri ba- evitare possibili percolazioni.
cini di crescita. I passaggi ripetuti permettono la riduzione
dei tempi di crescita (le colture Fotobioreattori
vengono a trovarsi sempre nella L’uso di contenitori chiusi detti “fotobiofase esponenziale), un controllo reattori” è stato per lungo tempo associato
più accurato e uno sviluppo più ad alti costi di gestione, soprattutto quando
facilmente programmabile. Una il funzionamento di tali sistemi era ancora
volta raggiunti i volumi di uti- totalmente dipendente da illuminazione e
lizzo, le colture possono essere termostatazione artificiali. Recentemente è
mantenute in modo semi-conti- stata avviata la produzione su larga scala
nuo, continuo o discontinuo.
di una vasta gamma di specie algali quali
Spirulina, Chlorella ed Haematococcus in
Vasche aperte, open ponds sistemi chiusi, posti all’aperto o in serra,
Oggi gran parte della produzione con cui è possibile ottenere biomassa algamondiale avviene in vasche all’aper- le di maggior purezza in alta concentrazioto in zone tropicali e sub-tropicali, dove è ne, limitando nel contempo i costi grazie
possibile abbattere i costi utilizzando al me- all’illuminazione e, ove possibile, al riscalglio la luce solare come sorgente di energia damento naturale.
lungo tutto il corso dell’anno. Spesso per Nonostante le differenze tra le svariate tila coltivazione su larga scala vengono uti- pologie, si può affermare che il criterio
lizzate vasche a rimescolamento poco pro- principale con cui viene ideato e realizzato
fonde, configurate a circuito (raceway) e un fotobioreattore è quello di permettere
dotate di agitatori elettromeccanici a pale. alla cellula fotosintetica di raggiungere
In molte regioni non tropicali gli impian- la migliore efficienza nella conversione
ti di colture algali all’aperto hanno spesso dell’energia luminosa, cercando di garanlo svantaggio di trovarsi in condizioni cli- tire una adeguata quantità di luce, sia essa
matiche sfavorevoli, tali da non permette- artificiale o solare. Anche i metodi per more cicli di produzione lungo tutto il corso vimentare le colture e per ottimizzare gli
n.26 | Aprile 2012
Sfruttamento delle microalghe
scambi gassosi sono importanti.
Per altri versi, sono attualmente in corso
studi per modificare geneticamente alcuni
ceppi algali, in particolare di Chlamydomonas reinhardti, in modo da ottenere maggiori efficienze fotosintetiche soprattutto
ad alte densità cellulari. I risultati finora ottenuti mostrano, tuttavia, problemi nell’ottenimento di concentrazioni cellulari ottimali da parte dei ceppi ingegnerizzati.
Le tipologie esistenti per la produzione di
alghe tramite fotobioreattori sono riconducibili ai seguenti sistemi sia da esterno che
da interno:
Fotobioreattori cilindrici.
[Immagine: Steve Jurvetson,
Flickr, 2005]
1) Sistemi a pannello, o flat panels;
2) Sistemi a colonna con sistema a gorgogliamento d’aria, o bubble columns;
3) Sistemi cilindrici orizzontali, o tubular
reactors.
Nell’ottica delle produzioni a fini energetici su vasta scala, i fotobioreattori possono essere utili per formare gli inoculi delle
coltivazioni in vasche aperte, dove viene
realizzata la fase finale di accrescimento,
selezionando le specie algali in base al
maggior contenuto energetico e alla loro
adattabilità alle condizioni colturali e climatiche.
Raccolta e trattamento
Separare la biomassa dalla fase acquosa in
cui cresce può essere un compito difficile e
costoso. Di fatto è uno dei maggiori impedimenti all’ampia diffusione delle colture
microalgali su scala commerciale, specialmente a fini energetici. Molto dipende dalla forma e dalle dimensioni della particola26
n.26 | Aprile 2012
Tra realtà e prospettive
re microalga considerata, essendo le specie
coloniali e filamentose quali la Spirulina le
più facili da separare attraverso filtri in tela
con maglie opportunamente dimensionate,
mentre le forme unicellulari sferoidali di
piccole dimensioni come Chlorella o Nannochloropsis sono quelle più difficilmente
recuperabili dal mezzo di coltura.
Laddove è possibile, la più conveniente
tipologia di separazione è la semplice sedimentazione, ovvero l’accumulazione per
gravità della biomassa algale sul fondo del
recipiente di coltura o di un contenitore di
forme e dimensioni dedicate allo scopo.
Il fattore critico in questo caso è il lungo
tempo richiesto per la concentrazione della
biomassa sul fondo, che può variare notevolmente a causa di una serie di fattori quali
temperatura, illuminazione, stato fisiologico dell’alga, pH, salinità ecc. Esistono altre
tecniche di separazione che fanno uso di
flocculanti per addensare le singole cellule
algali, facilitare e sveltire la sedimentazione, con lo svantaggio però di trovare nella
biomassa anche la sostanza flocculante, oltre al costo della stessa. Al contrario, esiste
la possibilità, soprattutto per alghe ricche
di lipidi, di tecniche di flotation, ovvero
di concentrazione di biomassa per galleggiamento, anche attraverso la creazione di
schiume.
Sono disponibili svariati sistemi elettromeccanici piuttosto energivori, e quindi
costosi, quali filtrazioni di vario genere e
centrifugazioni.
Una volta ottenuta la biomassa umida, si
deve procedere in alcuni casi all’essiccazione che può essere ottenuta con energia
solare, magari con l’uso di una serra, in
un forno o con il sistema spray drying che
ha il vantaggio di non dover scaldare fortemente la biomassa, evitando il dannegggiamento di composti termolabili, tra cui
diverse vitamine.
La biomassa algale essiccata spesso non
è usata tal quale, solitamente si procede all’estrazione di sostanze di interesse
commerciale. Nel caso della produzione di
biodiesel, ad esempio, è necessario estrarre i lipidi, passaggio questo che richiede
infrastrutture apposite, solitamente utilizzate anche per altre materie prime naturali rinnovabili, che sono disponibili solo
presso bioraffinerie ad elevata produttività.
Sono in corso di sperimentazione sistemi
di estrazione alternativi con tecniche di
sonicazione, che usano gli ultrasuoni per
rompere le cellule algali e liberare le goccioline oleose in esse contenute già nella
fase finale della coltivazione, in modo da
poter recuperare per semplice separazione
di fase la componente oleosa.
Sfruttamento delle microalghe
Le microalghe
nel mondo
L’oasi di Ca’ di Mezzo, Codevigo
(Pd). Si tratta di un’area soggetta, in passato, ad eutrofizzazione
e fioritura microalgale, oggi bonificata grazie a tecniche di fitodepurazione.
27
Vi sono attualmente molti importanti produttori commerciali di microalghe, operanti soprattutto in regioni asiatiche, del
Pacifico e del Sud degli Stati Uniti, con
impianti la cui produzione annua può raggiungere circa 500 tonnellate. L’interesse
del mercato per le microalghe è in rapida
crescita da qualche anno a questa parte, soprattutto per le prospettive di un loro utilizzo a livello energetico. Tuttavia, nonostante lo stanziamento di ingenti fondi pubblici
e privati per la ricerca di settore da parte di
nazioni quali gli Usa e la Cina, gli incrementi di produttività sono trascurabili e il
commercio rimane limitato al settore degli
integratori e delle biomolecole.
Ad oggi, ancora non esiste al mondo un
impianto commerciale economicamente rilevante dedito alla coltivazione di microalghe a fini energetici. Non di meno, diverse
importanti organizzazioni pubbliche e private, tra cui alcune grandi società petrolifere, stanno seguendo lo sviluppo e migliorando l’operatività di strutture di ricerca e
pilota per affinare la qualità ed espandere
n.26 | Aprile 2012
Tra realtà e prospettive
la quantità dei loro prodotti in ambito
energetico a fini commerciali. Andrà studiato a fondo l’impatto ambientale di tali
processi industriale per ottenere sistemi di
produzione sostenibili e ecocompatibili. A
tal fine si sta facendo sempre maggior uso
delle metodologie che prendono in considerazione l’intero ciclo di vita del prodotto,
la cosiddetta LCA, Life Cycle Assessment
(Green n. 25, pagg. 36-43).
Al fine di coordinare e favorire gli studi
sulle microalghe, nonché la loro diffusione
agli ambiti produttivi, sono state costituite diverse società di settore, tra si possono
citare la EABA, European Algae Biomass
Association, e la ABO, Algal Biomass Organization negli Stati Uniti. Si sono rapidamente moltiplicati da alcuni anni i convegni nazionali e internazionali su queste
tematiche che attirano un pubblico assai
numeroso, con ricadute economiche e occupazionali non trascurabili.
Conclusioni
La ricerca sulle microalghe mostra ancora
una serie di criticità da risolvere, prima di
poter arrivare a poterle sfruttare commercialmente a scopo energetico, mentre negli
altri settori di utilizzo si punta essenzialmente ad un significativo aumento della
produttività e della diffusione. Seguono
alcuni temi che richiederanno un consistente sforzo da parte della ricerca a livello
globale.
Selezione e caratterizzazione dei ceppi.
Dovranno essere individuati quelli:
• robusti, ovvero in grado di resistere a
condizioni ambientali non controllate,
quali quelle di situazioni all’aperto in
climi temperati e tropicali;
• produttivi, ovvero in grado di raggiungere densità elevate in breve tempo, con
Sfruttamento delle microalghe
Riferimenti bibliografici selezionati
• Arai S.,1996. Studies of Functional foods in Japan-State of the art. Biosci.,
Biotechnol., Biochem. 60, 9-15.
• Barbato F., 2011. An integrated approach to microalgae culture in Italy.
IEA meeting on Biorefinery, Task 42, Tortona - Italy, 4 april 2011. http://
www.iea-bioenergy.task42-biorefineries.com/publications/stakeholdermeetings/2011/
• Barbato F., De Luca E., 2011. Some methods to save energy, time and money
in small scale microalgae culture. XIX ISAF International Symposium on
alcohol fuels, 10-14 october 2011, Verona - Italy.
• Becker W., 2004. Nutritional Value of Microalgae for Aquaculture. In:
Handbook of Microalgal Culture: Biotechnology and Applied Phycology. Ed.
A. Richmond - Blackwell Science, pp. 380-391.
• Ben-Amotz A., Shaish A., Avron M., 2003. The biotechnology of cultivating
Dunaliella for production of β-carotene rich algae. Bioresource Technology
Volume 38, Issues 2-3, 1991, Pages 233-235.
• Benemann J. R., Pedroni P., 2007. Biofissazione di CO2 fossile mediante
microalghe per l’abbattimento dei gas serra. In “Enciclopedia degli
idrocarburi”, Ed. Treccani, pp. 837-861.
• Brown M.R., Mular M., Miller I., Farmer C., and Trenerry C. 1999. The vitamin
content of microalgae used in aquaculture. J. Appl. Phicol., 11, 247-255.
• De Pauw, N. & Persoone, G., 1988. Microalgae for aquaculture. In: Microalgal. Biotechnology (eds M.A. Borowitzka & L.J. Borowitzka), pp. 197-221.
Cambridge University Press, Cambridge, UK.
• Garofalo R., coordinatore, 2010. Report on main stakeholders. Algae and
aquatic biomass for a sustainable production of 2nd generation biofuels Aquafuels project. p. 217. http://www.aquafuels.eu/attachments/079_D%20
1.3%20Report%20on%20main%20stakeholders.pdf
• Hendrikson, 2009. Earth Food Spirulina. Published by Ronore Enterprises,
Hawaii, USA. pp.187.
• IPCC (2007) Intergovernmental Panel on Climate Change ‘AR4 Synthesis
report’. www.ipcc.ch
• Iwamoto H., 2004- Industrial production of microalgal cell-mass and
secondary products-major industrial species- Chlorella, p.225-263. In
Richmond, A. (ed. ) Handbook of microalgal culture. Blackwell, Oxford, UK.
• Kawaguchi K., 1980. Microalgae production systems in Asia. In “Algae
Biomass”, ed. Shelef and Soeder, Elsevier.
• Park J.B.K., Craggs R.J., Shilton A.N., 2011. Wastewater treatment high rate
algal ponds for biofuel production. Bioresource Technology 102 (2011), pp.
35-42.
• Schenk P. M., Thomas-Hall S. R., Stephens E., Marx U. C., Mussgnug J. H.,
Posten C., Kruse O., Hankamer B., 2008. Second Generation Biofuels: HighEfficiency Microalgae for Biodiesel Production. Bioenerg. Res. (2008) 1:2043.
• Spolaore P., Cassan J.,Duran E., Isambert A., 2006. Commercial Application
of Microalgae. Journal of bioscience and Bioenginerering 101, 87-96.
• Tredici M., 2010. Photobiology of microalgae mass cultures: understanding
the tools for the next green revolution. Biofuels 1(1), 143-162.
Sitografia
• Progetto Aquafuels: http://www.aquafuels.eu/
• ABO, Algal Biomass Organization: http://www.algalbiomass.org/
• EABA, European Algal Biomass Association: http://www.eaba-association.
eu/
• WUR, Wageningen University, sito su microalgae: http://www.algae.wur.nl/
UK/
28
n.26 | Aprile 2012
Tra realtà e prospettive
alti contenuti di sostanze desiderate;
• resistenti ai contaminanti, ovvero in
grado di mantenere la monospecificità
o una netta prevalenza anche in vasche
all’aperto;
• cosmopoliti o locali, in modo da non
causare problematiche in caso di fuoriuscite in ambienti naturali.
Uso e depurazione di acque reflue. Ottimizzazione in laboratorio delle capacità
dei ceppi di moltiplicarsi sfruttando i nutrienti presenti nelle acque reflue; si può
così ottenere la depurazione delle stesse.
Cattura attiva della CO2. Miglioramento
della capacità di assorbire CO2 anche da
gas esausti residuali da combustioni, contribuendo così alla riduzione delle emissioni di gas serra.
Miglioramento della resa energetica. Individuazione di prodotti energetici con i
più favorevoli bilanci mediante studi col
metodo LCA.
Tecniche di separazione. I metodi di recupero della biomassa dal liquido colturale
e di trattamento successivo devono essere
resi più efficienti e poco energivori, adattandoli agli specifici ceppi algali utilizzati.
Abbattimento dei costi. In generale devono
essere abbattuti tutti i costi relativi alla produzione, in relazione soprattutto all’individuazione di opportune economie di scala e
processi che garantiscano rese sufficientemente costanti nel tempo.
In conclusione, nonostante le grandi potenzialità di utilizzo della biomassa algale,
c’è ancora bisogno di sperimentazione e
sviluppo perché queste tecnologie possano
diventare una realtà commerciale diffusa,
specialmente in campo energetico. Purtroppo, in questi tempi di grave crisi economica, la tendenza è quella di ridurre i
fondi dedicati alla ricerca; le poche risorse
disponibili devono essere dedicate ai settori d’indagine più promettenti. Tra di essi si
possono senz’altro annoverare, come si è
cercato di mostrare nel presente articolo, le
microalghe.
Fabio Barbato, Carlo Alberto Campiotti,
Germina Giagnacovo, Vito Pignatelli,
Dario Tumminelli, Corinna Viola
ENEA, Roma
Estelle Silva Diorato
Universidade Federal do Bahia, Brasile
Xxxx Xxx
Ecco alcune fra le più promettenti applicazioni
nanotech per la tutela della salute
Nanotecnologie
e medicina:
dal drug delivery
ai MEMS
ico
n
e
m
Do
o
d
Al
i
d
ra
a
Fic
Chip microelettromeccanico, un
tipo di lab-on-a-chip
Nanotecnologie e medicina Dal drug delivery ai MEMS
In campo clinico e farmacologico le nanotecnologie si occupano
delle applicazioni che sfruttano sistemi con dimensioni dell’ordine
di grandezza dei nanometri per scopi terapeutici o diagnostici.
La ricerca nel settore della nanomedicina offre numerose eclatanti
prospettive, fino ad ipotizzare la futura creazione nano-macchine
utilizzabili per riparare le cellule.
In attesa di queste rivoluzionarie scoperte, discutiamo assieme
delle tecnologie più promettenti attualmente in fase di
sperimentazione: i nano-vettori per la distribuzione mirata dei
farmaci (drug delivery), i lab-on-a-chip e altri tipi di MEMS, Micro
Electro Mechanical Systems, utilizzabili a scopo diagnostico.
La nanomedicina oggi
La nanomedicina è ormai una grande industria, il cui fatturato è arrivato a 6,8 miliardi
di dollari nel 2004, con oltre 200 compagnie e 38 prodotti commercializzati nel
mondo. Nell’aprile 2006, la rivista Nature
Materials stimava che fossero stati sviluppati circa 130 tra farmaci basati sulla nanotecnologia e sistemi di distribuzione di
medicinali nell’organismo (drug delivery).
La National Nanotechnology Initiative, un
programma di ricerca statunitense, prospetta nuovi impieghi commerciali di tali
tecnologie nel campo dell’industria farmaceutica che potranno includere sistemi
avanzati di erogazione di farmaci, nuove
terapie e miglioramenti nella diagnostica
per immagini.
Le possibili applicazioni di settore vanno dall’uso clinico dei nanomateriali, alla
formulazione di nuovi sistemi per la somministrazione dei farmaci, ai biosensori
nanotecnologici, al possibile utilizzo - nel
medio periodo - della nanotecnologia molecolare. Da pochi anni a questa parte la
ricerca ha tra i suoi obiettivi quello di realizzare laboratori per sviluppare le tecnologie in campo bio-medicale come il drug
delivery e la diagnosi precoce dei tumori
questi, grazie alla loro natura interdisciplinare tra le scienze della vita (medicina,
biologia, farmacia) e scienze esatte (fisica
e chimica), avranno enormi potenzialità
nel progettare lab-on-a-chip (LOC), per la
cura farmacologica dei tumori.
In particolare questi studi comprenderanno
due fasi di sviluppo. La prima riguarda il
trasporto mirato dei farmaci (drug delivery,
letteralmente “consegna del farmaco”), in
termini di studio delle proprietà strutturali,
di dinamica a livello molecolare di alcune
classi di sistemi nanostrutturati di interesse, di studio del targeting (mira, bersagliamento) e di velocità di rilascio del farmaco
30
n.26 | Aprile 2012
in vitro da parte del vettore, in relazione
alla funzionalizzazione delle superfici e
della struttura tridimensionale create mediante la micro e nano fabbricazione. La
seconda fase di sviluppo concerne la scelta dei dispositivi da progettare e realizzare per una migliore diagnosi precoce dei
tumori, come i LOC e i bioMEMS di cui
parleremo più avanti.
Drug delivery
Sono molte le ricerche sperimentali per la
produzione e la caratterizzazione di nanoparticelle che, ricoperte con polimeri biocompatibili, possano diventare dei vettori
efficienti da utilizzare nel drug delivery,
inteso come lo sviluppo di sistemi alternativi di distribuzione mirata dei farmaci
nell’organismo. Ciò al fine di circoscrivere
l’effetto biologico della terapia a una determinata tipologia di cellule, migliorandone
l’efficacia e riducendone, nel contempo,
la tossicità. Pertanto, esso rappresenta una
delle tecniche alternative migliori per la
somministrazione di medicinali ai malati
cronici, i quali necessitano di trattamenti
continuativi, solitamente con alti dosaggi,
che comportano spesso significativi effetti collaterali. Questi nuovi sistemi, infatti,
hanno il grande vantaggio di poter veicolare i principi attivi direttamente e solo sul
bersaglio, in un’unica dose che viene rilasciata gradualmente.
Tra i possibili carrier (vettori) da utilizzare nei processi di drug delivery troviamo
quelli realizzati con nanoparticelle di oro,
di silice, o di ossidi di ferro coniugati con
dendrimeri (molecole polimeriche molto
ramificate) i quali mostrano grandi potenzialità come sistemi multivalenti per un impiego sia diagnostico che terapeutico.
Il chiosano, ad esempio, è un polimero di
origine naturale derivato per deacetilazio-
Nanotecnologie e medicina Dal drug delivery ai MEMS
Azione delle nanoshell sul tumore
mediante un particolare meccanismo detto “cavallo di Troia”.
In questo caso esse vengono fagocitate dai macrofagi in seguito
“reclutati” nella zona tumorale.
A questo punto irradiando con
raggi infrarossi (IR vicino) le
nanoshell entrano in risonanza
producendo calore che distrugge
selettivamente le cellule malate.
Un lab-on-a-chip, un microreattore in vetro con superficie di
pochi centimetri quadrati. Si
tratta di un dispositivo simile alle
cartucce (cartridge) usate sul sistema LOCAD-PTS della Nasa,
rappresentato nelle immagini che
seguono.
31
ne (rimozione di uno o più gruppi acetile,
-COCH3) alcalina dalla chitina, recentemente proposto quale materiale per il rilascio controllato di farmaci attraverso le
mucose. Altro esempio sono i globuli rossi,
i quali - essendo cellule trasportatrici (di
emoglobina) senza nucleo - potrebbero essere usati come carrier biologici.
In alternativa si studiano le nanoshell
(nano-gusci) multistrato, costituite da un
nucleo di silice ricoperto da un sottile velo
d’oro. La dimensione, la forma e la composizione delle nanoshell determinano
in esse particolari proprietà ottiche che le
fanno rispondere a specifiche lunghezze
d’onda della radiazione elettromagnetica,
permettendo di convertire la luce in calore, per distruggere selettivamente le cellule cancerose, senza intaccare i tessuti sani
adiacenti al tumore. In altre parole questi
nano-gusci sono realizzati da un nocciolo
sferico e da un dielettrico (isolante) di ossido di silicio, aventi entrambi dimensioni
dell’ordine dei nanometri. Il nocciolo è racchiuso in un guscio di oro che può essere
progettato e costruito in modo da risuonare
con la radiazione della luce incidente nella
regione spettrale dell’infrarosso-vicino, assolutamente innocua e capace di penetrare
profondamente nei tessuti. Quest’ultima
riscalda in modo selettivo le nanoshell irradiate, provocando così l’ablazione termica
del tessuto con il quale sono a contatto.
L’indice terapeutico (TI) di un farmaco è
il rapporto tra il suo beneficio per una data
prescrizione e gli effetti collaterali indesi-
n.26 | Aprile 2012
derati, rappresenta quindi un indice della
validità del medicinale che aumenta in proporzione. Per questo i tecnologi farmaceutici, al fine di innalzare il valore di questo
parametro, ipotizzano l’uso di questi vettori
per strategie simultanee con bersagli diversi, con un guadagno cumulativo in termini
di selettività che, a sua volta, porta ad un aumento del TI. In altri termini, le probabilità
di localizzazione di una lesione attraverso
meccanismi differenti sono additive, quindi
il fatto che la progettazione di nanovettori
possa trarre, contemporaneamente, vantaggi da diversi meccanismi rende possibile
una strategia terapeutica potenzialmente
vantaggiosa.
Lab-on-a-chip
e bioMEMS
Con lab-on-chip (LOC) si indica un dispositivo, un laboratorio in miniatura, che integra funzioni multiple su un singolo chip,
con dimensioni variabili da pochi millimetri a qualche centimetro quadrato. Si tratta
in pratica di un microreattore (vedi Green
n. 24, pagg. 26-33) capace di trattare volumi di fluidi estremamente piccoli inferiori
all’ordine dei picolitri (un milionesimo di
milionesimo di litro, 1 pl = 10-12 l). I LOC
appartengono alla famiglia dei dispositivi
MEMS, dall’inglese Micro Electro Mechanical Systems (microsistemi elettromeccanici), indicati anche come µTAS, Micro
Total Analysis Systems.
Lavorando a livello di picolitri si entra nell’ambito della microfluidica, termine generale che descrive anche dispositivi di controllo di meccanica
dei fluidi (pompe e valvole) o sensori,
come flussometri e viscosimetri.
Dopo la scoperta della microtecnologia,
avvenuta attorno al 1954, per realizzare
strutture integrate di semiconduttori per
chip microelettronici, queste tecnologie
basate sulla litografia elettronica furono
applicate una ventina d’anni dopo per la
fabbricazione di sensori di pressione nel
campo manifatturiero. Tali nuovi sviluppi
hanno portato alla progettazione di strutture meccaniche in silicio dell’ordine di
grandezza dei micrometri o ancor più piccole, inizia così l’era dei MEMS microfluidici, dispositivi che trasportano, erogano,
combinano e/o separano fluidi a livello
microscopico. I sistemi di spruzzamento,
trasporto e misurazione di tale tipo rappresentano un potenziale di innovazione
tecnologica e produttiva che solo da poco
le industrie hanno incominciato ad apprezzare, realizzando che l’applicazione di que-
Nanotecnologie e medicina Dal drug delivery ai MEMS
Il Lab-On-a-Chip Applications
Development Portable Test System (LOCAD-PTS) trasportato
sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) dallo Space Shuttle
Discovery il 9 dicembre 2006.
Il sistema serve per l’analisi di
microrganismi prelevati tramite
tamponi che vengono eluiti per
poi distribuire il liquido nella
cartuccia, il lab-on-a-chip vero e
proprio, la quale viene poi “letta” dallo strumento.
[Immagine: Nasa]
32
sti dispositivi riesce a ridurre le quantità di
liquidi impiegati, minimizzando gli scarti e
consentendo di operare in serie o in parallelo su dispositivi multipli.
Inizialmente i MEMS microfluidici sono
stati utilizzati come valvole, pompe e sistemi per getto d’inchiostro; in quest’ultimo
caso servono per migliorare la risoluzione
della stampa; grazie alla miniaturizzazione permettono una maggiore densità degli
ugelli, riducendo nel contempo il consumo
di inchiostro, con un conseguente incre-
n.26 | Aprile 2012
mento della vita media delle cartucce. Uno
dei più avanzati centri di ricerca, sviluppo
e produzione d’Europa in questo settore si
trova in Valle d’Aosta e, precisamente, ad
Arnad, nel polo tecnologico del Gruppo
Olivetti Tecnost di proprietà della Telecom
Italia.
Il campionamento e l’analisi delle acque
sono altre possibili applicazioni dei MEMS
microfluidici, in questo caso, ad esempio,
numerosi dispositivi possono essere collocati in punti strategici delle reti idriche per
Nanotecnologie e medicina Dal drug delivery ai MEMS
Descrizione delle biochimica alla
base del funzionamento del LOCAD-PTS della Nasa. Il sistema
permette di analizzare i campioni
per rilevare la presenza di batteri
Gram-negativi (celeste), muffe e
funghi (verde), batteri Gram-positivi (rosso), grazie all’uso di tre
diversi lab-on-a-chip che identificano delle componenti cellulari
specifiche, rispettivamente endotossine (LAL), glucano e acidi
lipoteicoici (LTA).
[Immagine: Jake Maule, NASA
Marshall Space Flight Center]
misurare la qualità dell’acqua e l’eventuale
presenza di sostanze tossiche.
I bioMEMS, o bio-microsistemi, rappresentano un tipo particolare di dispositivi;
sono progettati per trasportare, mescolare
e/o separare liquidi a livello microscopico
e presentano la caratteristica unica di poter
trattare sia liquidi contenenti materiale biologico che fluidi biologici, come, ad esempio, il sangue. Si tratta di un gruppo molto
vasto, comprendente apparecchiature integrate e miniaturizzate utilizzabili per la
ricerca e sviluppo in biologia e biochimica,
nella diagnostica, nella terapia e nel monitoraggio. Sono identificati con appellativi
diversi a seconda delle loro caratteristiche
e funzioni: biochip, bioMEMS, microarray, chip a Dna, cell-chip, micro-impianti.
Potenziali applicazioni
con l’uso di Dna
Le possibilità di realizzare il trasporto mirato dei farmaci (drug delivery) con nano33
n.26 | Aprile 2012
vettori e di creare dei microscopici labon-a-chip - interattivi a controllo remoto,
in grado di raccogliere e trasmettere dati
dall’interno del corpo del paziente - dimostrano l’enorme potenziale delle nanotecnologie in campo terapeutico, diagnostico
e farmaceutico.
Un recente comunicato stampa della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, riportato dal nostro
blog sulle nanotecnologie “Dieci alla meno
nove” (http://chiacchieresulnano.blogspot.
com/2011/05/forbici-molecolari-intrappolate-in.html), apre nuove prospettive per
la medicina molecolare di frontiera. Un
team internazionale di ricerca ha scoperto
un particolare meccanismo di interazione
degli enzimi di restrizione all’interno di
nanostrutture di Dna che apre a nuovi possibili scenari per l’analisi di frammenti di
tessuti, non realizzabile con le attuali tecniche diagnostiche. Ciò potrebbe favorire lo
sviluppo di nanotecnologie a basso costo,
usando strutture composte da molecole di
Dna, utili - per esempio - per l’analisi di
Nanotecnologie e medicina Dal drug delivery ai MEMS
Alcune tecniche di fabbricazione dei MEMS
Le principali tecniche attualmente usate per la produzione di MEMS, Micro Electro Mechanical Systems, sono: 1) la microlavorazione di volume
(bulk micromachining); 2) la microlavorazione superficiale (surface micromachining); 3) le tecniche LIGA.
1) Il bulk micromachining
È stata la prima tecnologia ad essere sviluppata per produrre microstrutture semplici. Prevede la realizzazione di strutture tridimensionali
direttamente in substrati di silicio usando tecniche che comportano la rimozione di materiale (etching) tramite attacchi umidi o secchi, la
deposizione di strati sottili, l’introduzione di impurità nel substrato per cambiarne le proprietà, il bonding del substrato, legandovi sopra
particolari molecole o strutture
Le cosiddette tecniche di attacco cristallografico servono per la rimozione selettiva del substrato, permettendo - per così dire - di scolpirlo.
Si sfrutta l’anisotropia della velocità di attacco ai diversi piani del wafer cristallino (etch rates), dovuta al loro diverso orientamento. Possono
essere usate soluzioni isotrope o anisotrope, ma nel primo caso le geometrie ottenibili hanno solo forma emisferica, mentre nel secondo è
possibile ottenere forme diverse e meglio definite, a scapito di costi più elevati e tempi più lunghi
2) Il surface micromachining
Attualmente si può considerare la tecnica più diffusa per la realizzazione di dispositivi MEMS. Consiste nella deposizione di strati dielettrici
(isolanti) e metallici sulla superficie di un wafer siliceo e la successiva realizzazione delle strutture tramite tecniche fotolitografiche. Questi
sono poi attaccati in modo da creare strutture anche molto complesse sulla superficie del substrato.
Per la composizione degli strati si usano due tipi di materiali: “strutturale” e “sacrificale”. Dopo la deposizione ogni strato viene lavorato tramite
attacchi secchi e infine lo strato sacrificale viene rimosso per liberare le strutture formate, un po’ come la cera viene rimossa da un calco di gesso.
3) La tecnica LIGA (Roentgen LIthography Galvanic Abformung)
Questa particolare tecnica fotolitografica, sviluppata in Germania, è indicata per la produzione di strutture spesse con pareti laterali praticamente verticali. Si parte da un substrato conduttivo che viene ricoperto da uno strato molto spesso di photoresist, una sostanza polimerica
che ha la proprietà di poter essere rimossa facilmente dalla soda caustica nel caso venga impressionata dai raggi UV-A, mentre è molto
resistente alla corrosione da parte del cloruro ferrico se non esposta alla radiazione. Per poter penetrare verticalmente tutto lo strato, la litografia sfrutta la luce di sincrotrone, cioè la radiazione elettromagnetica generata da particelle cariche, solitamente elettroni o positroni, che
viaggiano a velocità prossime alla velocità della luce su una traiettoria curva determinata da un campo magnetico.
Dopo lo sviluppo che elimina le porzioni non impressionate, il photoresist viene sottoposto a electroplating che va a coprire la struttura formatasi con la fotoincisione; in seguito la placcatura viene accresciuta galvanicamente finché il metallo non supera il livello del photoresist che
viene in fine viene rimosso, ottenendo uno stampo metallico che è utilizzato per produrre un numero illimitato di copie in plastica.
singole cellule tumorali circolanti nel sangue, di micro-dissezioni ricavate da biopsie, di biomolecole contenute in campioni
biologici minuscoli.
Parametri ad oggi difficilmente analizzabili potrebbero essere facilmente misurati
utilizzando sensori miniaturizzati, con dimensioni più piccole di una singola cellula,
capaci di interagire con le biomolecole e di
studiarne le caratteristiche. Usando metodi
di manipolazione molecolare, questi ricercatori hanno studiato l’interazione degli
enzimi di restrizione con la doppia elica del
Dna, in condizioni particolarmente diverse
da quelle esplorate finora. Hanno utilizzato
corte molecole di acido desossiribonucleico, lunghe appena una decina di nanometri, per costruire delle matrici simili a dei
boschetti, formati da una “distesa” di paletti verticali su una superficie liscia. Così
hanno scoperto che, quando la densità dei
“paletti” di Dna è sufficientemente alta da
formare una struttura altamente ordinata,
gli enzimi possono accedere alla matrice
solo dai bordi laterali, mediante diffusione.
All’interno, essi si muovono solo in piano
34
n.26 | Aprile 2012
su due dimensioni, cioè viaggiano da un
lato all’altro restando intrappolati, anche
per centinaia di micrometri, coprendo distanze centinaia o decine di migliaia di volte maggiori del loro diametro.
Dal punto di vista fisico questa scoperta è
sorprendente per due ragioni: la prima è
che finora non era mai stato osservato un
meccanismo diffusivo bidimensionale di
questo tipo.
La seconda riguarda il fatto che la diffusione avvenga spontaneamente, senza il bisogno di forze esterne (e quindi di energia);
come avviene, per esempio, nell’elettroforesi o nei LOC dove bisogna applicare un
campo elettrico.
Aldo Domenico Ficara
Ingegnere elettrotecnico
Docente di elettrotecnica
presso l’IIS di Furci Siculo (ME)
Xxxx Xxx
Si è conclusa l’edizione 2010/2011
delle Olimpiadi della Scienza Premio Green Scuola
Quando i giovani
diventano amici
della chimica
a cura di Pellegrino Conte e Fulvio Zecchini
“Non ci sono molecole cattive, ci sono solo uomini
malvagi”. Questa citazione del premio Nobel per la
Chimica (1981) Sir Roald Hoffmann, già riportata su
Green n. 22, ben rappresenta la filosofia che sta alla base
della sesta edizione del concorso per le scuole secondarie
di secondo grado - intitolata “Quando la chimica diventa
amica dell’ambiente. Presente e futuro dei prodotti
chimici puliti” - che si è conclusa con la cerimonia di
premiazione tenutasi il 23 gennaio scorso a Catania. Una
giornata di festa per studenti e professori di cui vogliamo
rendervi conto nelle pagine successive.
L’Aula Magna dell’Università di Catania, sede
della cerimonia di premiazione.
Olimpiadi della Scienza Conclusa la 6a edizione
La sesta edizione delle Olimpiadi della
Scienza - Premio Green Scuola (anno scolastico 2010/2011), intitolata “Quando la
chimica diventa amica dell’ambiente - Presente e futuro dei prodotti chimici puliti”,
si è conclusa con la bella cerimonia tenutasi il 23 gennaio scorso presso l’Aula Magna dell’Università di Catania, gentilmente
messa a disposizione dal Magnifico Rettore, professor Antonino Recca.
Il concorso, rivolto alle scuole secondarie
di secondo grado, è organizzato annualmente dal Consorzio Interuniversitario
Nazionale “La Chimica per l’Ambiente”
(Consorzio INCA, l’ente di ricerca e alta
formazione non-profit che rappresenta il
nostro editore), in collaborazione con il
Ministero dell’Istruzione, dell’Università
e della Ricerca - Dipartimento Istruzione, D.G. per gli Ordinamenti Scolastici e
per l’Autonomia Scolastica, con la nostra
rivista Green e con la partecipazione della SCI, la Società Chimica Italiana. Come
per le ultime edizioni, il Presidente della
Repubblica, on. Giorgio Napolitano, ha
voluto concedere la sua pregevolissima
adesione. Il premio è accreditato dal programma “Io Merito” di Valorizzazione
delle Eccellenze scolastiche del Miur, il
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e
della Ricerca.
Di seguito diamo spazio ai protagonisti
della cerimonia, per poi proseguire illustrando brevemente alcuni degli elaborati
che, pur non avendo vinto, si sono dimostrati essere di alta qualità e gradimento
da parte della commissione di valutazione.
Quest’ultima era formata dai professori
Angelo Albini - Università di Pavia (Consiglio Scientifico del Consorzio INCA;
Coordinatore del Gruppo Interdivisionale
Il professor. Leonardo Palmisano, vicepresidente del Consorzio
INCA, avvia i lavori della cerimonia di premiazione. Affianco a
lui, da sinistra a destra troviamo
il professor Guido De Guidi, rappresentante dell’ateneo catanese
nel Consiglio Direttivo INCA, la
professoressa Maria Luisa Carnazza, pro-rettore, e il professor
Salvatore Indelicato, preside del
“Cannizzaro”.
36
n.26 | Aprile 2012
di Green Chemistry della SCI), Armandodoriano Bianco - Università “La Sapienza” di Roma (Comitato Scientifico rivista
“Green. La Scienza al Servizio dell’Uomo
e dell’Ambiente), Giovanni Sartori - Università di Parma (Consiglio Scientifico del
Consorzio INCA) e Corrado Sarzanini Università di Torino (Presidente Divisione
Ambiente e Beni Culturali della SCI).
La graduatoria del concorso è consultabile
sul sito della nostra rivista, al link: http://
incaweb.org/green/pgsVIed/index.htm
Una giornata di festa
Sono le 11.00 del 23 gennaio 2012, a Catania la giornata è soleggiata, quasi primaverile. Un centinaio persone, gli studenti autori degli elaborati premiati - accompagnati
da compagni e familiari e dai docenti che
hanno coordinato i progetti -, assiepano
l’Aula Magna dell’Università di Catania.
Cominciano i lavori della cerimonia, presieduti dal professor Leonardo Palmisano
dell’Università di Palermo, vicepresidente
del Consorzio INCA. Dopo i saluti di rito,
egli spiega lo scopo del concorso: una sana
competizione scolastica che intende aumentare la consapevolezza dei giovani in
merito al ruolo fondamentale che la scienza
ha nella tutela della salute e dell’ambiente;
sottolineando nel contempo l’importanza della ricerca e della collaborazione tra
scuola e università. Poi il vicepresidente
descrive brevemente INCA e gli altri enti
organizzatori del concorso, portando i saluti della SCI, il cui rappresentante, il professor Michele A. Floriano, non ha potuto
presenziare per motivi di salute.
Interviene il prorettore dell’Università di
Olimpiadi della Scienza Conclusa la 6a edizione
Catania, professoressa Maria Luisa Carnazza, la quale parla a nome del Rettore,
impossibilitato a partecipare. Dopo il benvenuto alle scuole e agli organizzatori, ella
sottolinea l’importanza della collaborazione tra università e scuola e, più nello specifico, come questa edizione del concorso sia
utile per introdurre la chimica, disciplina
complicata quanto affascinante, ai giovani
e farli innamorare di una scienza che tenta
di spiegare la struttura e il comportamento
della materia e di descrivere i processi che
avvengono negli esseri viventi, meravigliose macchine biochimiche.
3
classificato
e i ringraziamenti, entrambi ribadiscono
l’importanza della chimica nel mondo moderno. Viene quindi il tempo di illustrare i
progetti da parte degli studenti che li hanno realizzati, mentre i docenti coordinatori
chiudono gli interventi dei propri istituti,
parlando della didattica delle scienze e delle attività scolastiche connesse alla tutela
della salute e dell’ambiente.
Parte il terzo classificato: l’Istituto Tecnico Industriale Statale e Liceo Scientifico
“Ettore Molinari” di Milano. Il progetto è
ben presentato dagli autori Sara Iacopetti
(5aA periti chimici) e Dario Renna (4aA
periti chimici), si intitola “Materie plastiche sostenibili. Il PLA: un polimero amico
dell’ambiente”. I due descrivono dapprima
la scoperta della plastica e la sua importanza nel mondo moderno, quindi evidenziano
i problemi ambientali legati al suo uso indiscriminato. Infine, introducono il concetto
di biopolimeri, come sostituti ecosostenibili grazie all’elevata biodegradabilità. L’oggetto specifico del lavoro è l’acido polilattico (PLA) che è utilizzato, tra l’altro, per
la fabbricazione di flaconi, bottiglie e tessuti. Si tratta di un polimero dell’acido lattico. Molecola, quest’ultima, di cui vengono illustrate sintesi e funzione negli esseri
viventi, che viene prodotta a livello industriale per fermentazione microbica. Segue
la descrizione dettagliata del meccanismo
di polimerizzazione e della caratterizzazione analitica del PLA mediante FT-IR,
spettroscopia all’infrarosso in trasformata
di Fourier. A seguire, il professor Mariano
Calatozzolo illustra le attività didattiche
del suo istituto e le varie collaborazioni
ad attività di salvaguardia dell’ambiente,
tra cui quella con Legambiente per il monitoraggio del fiume Lambro. Egli ricorda
anche che il “Molinari” ha già vinto il concorso del Consorzio INCA nel 2008, con
un progetto su biodiesel e biocombustibili.
Tocca ora al secondo classificato, l’Istituto
Tecnico Industriale Statale “Enrico Fermi”
di Siracusa. Il progetto “Produzione biotecnologica di biocombustibili: il biodiesel” viene illustrato dagli autori Christian
Terra (5aA), Alessio Franzò (5aB), Arianna
Miano (4aB) e Stefano Ippolito (4aA). Gli
studenti illustrano con dovizia di particolari la problematica legata ai carburanti fossili, caratterizzata dal loro esaurimento in un
futuro non molto lontano e dal significativo
contributo all’aumento della concentrazione della CO2 atmosferica. Passano, poi, alla
descrizione dei processi di transesterificazione usati per la sintesi del diesel da biomasse agricole di scarto. Il professor Francesco Randone conclude l’intervento del
“Fermi” descrivendo le attività didattiche
a
z
n
e
i
c
S
della
a
l
o
u
c
S
n
Gree
La consegna dei premi al “Mo- A seguire, intervengono prima il professor
linari” di Milano, terzo classifi- Guido De Guidi, rappresentante dell’Unicato.
versità di Catania nel Consiglio Direttivo
del Consorzio INCA, e poi il professor
Salvatore Indelicato, Direttore scolastico
La consegna dei premi al “Fer- dell’ITIS “Stanislao Cannizzaro” di Catami” di Siracusa, secondo classi- nia, primo classificato del concorso e orficato
ganizzatore della cerimonia. Dopo i saluti
2
classificato
3
classificato
37
n.26 | Aprile 2012
Olimpiadi della Scienza Conclusa la 6a edizione
I vincitori del concorso “Cannizzaro” di
Catania posano per le
interviste da parte di
giornali e televisioni
locali.
1
classificato
2
classificato
Fronte e retro della medaglia del e le iniziative in merito a scienza, salute e
Presidente della Repubblica con- ambiente.
segnata ai tre vincitori.
Infine, cinque dei 13 autori si incaricano
della presentazione del progetto vincitore del primo premio; sono tutti
studenti della 3aA dell’Istituto
Tecnico Industriale Statale
“Stanislao Cannizzaro”
di Catania. Il progetto,
intitolato “Dagli agrumi
di Sicilia solventi ecocompatibili”, muove
dalla costatazione che
ogni anno tonnellate
di agrumi prodotti sul
territorio regionale vengono mandati al macero,
ciò si deve alla sovrapproduzione e al basso costo che
impedisce il trasporto verso
mercati lontani. Gli autori illustrano come questo surplus
di agrumi può essere
sfruttato per l’estrazione di oli essen-
ziali
utilizzabili come
solventi
alternativi ecocompatibili, ad
esempio, nella produzione
di coloranti e vernici. La
Una delle targhe di premiazione
professoressa Angela Perconsegnata dal Consorzio INCA
colla illustra la didattica
ai vincitori
38
n.26 | Aprile 2012
3
classificato
della scienza al “Cannizzaro” e i numerosi
premi vinti dai suoi allievi, tra cui un altro
primo posto ottenuto alle Olimpiadi della
Scienza del 2007.
A conclusione della cerimonia, verso le
13.00, vengono consegnati premi e riconoscimenti. Oltre all’ovvia soddisfazione di
essersi imposti in una sana competizione
tra scuole, gli istituti vincitori ricevono,
tra scrosci di applausi e manifestazioni di
gioia, l’attestato di premiazione, una targa del Consorzio INCA e, non ultima, la
pregiata medaglia del Presidente della Repubblica. Essendo il concorso accreditato
dal programma “Io Merito” del Miur, gli
studenti autori dei lavori vincitori saranno
inclusi nell’apposito elenco delle eccellenze e riceveranno dal ministero un premio in
denaro da destinarsi a scopi formativi.
Dopo la cerimonia, un lauto pranzo, offerto
dagli organizzatori, aumenta il buon umore di tutti e prepara alla parte ludica della
giornata: studenti e docenti si riversano per
le vie di Catania alla scoperta dei luoghi
storici e artistici e di quelli più curiosi, con
Olimpiadi della Scienza Conclusa la 6a edizione
La copertina del giornale del i colleghi del posto a far da cicerone. È la
“Majorana-Marconi” di Messina. degna conclusione di una giornata di festa.
Vincitori e “vinti”
Ci pare giusto fornire un’ampia sintesi degli elaborati vincitori; lo facciamo nei box
di fine articolo. Prima dedichiamo un meritato spazio, forzatamente breve, a qualcuno
dei “vinti”. Abbiamo usato questo termine
per indicare sinteticamente chi non
è stato premiato, ma l’abbiamo
scritto volutamente tra virgolette,
perché per l’appunto i “vinti” non
devono considerarsi tali, in quanto la stessa partecipazione al concorso è da considerarsi una vittoria per tutti, una dimostrazione
del grande impegno profuso, un
contributo fondamentale agli
obiettivi degli organizzatori:
aumentare la consapevolezza
dei giovani, dei loro amici e
familiari, e, di conseguenza
della società tutta, riguardo
al ruolo fondamentale della
scienza nella vita quotidiana; evidenziando nel contempo le realtà eccellenti
nazionali nell’ambito delle
scuole secondarie di secondo grado.
I premiati, purtroppo,
Una diapositiva della presentazione del “Flacco” di Castellaneta (Taranto).
39
n.26 | Aprile 2012
sono solo tre, ma la maggior parte degli
elaborati era di buon livello e avrebbe meritato un riconoscimento, ma una scelta va
pur fatta. Vogliamo, però, rendere omaggio
almeno a qualcuno dei lavori non vincitori;
perciò descriveremmo brevemente quelli
maggiormente apprezzati dai singoli membri della commissione di valutazione.
Molto bello il giornale progettato dagli studenti della classe 3aA dell’IIS “MajoranaMarconi” di Messina con la supervisione
del Prof. Nicola Spanò, intitolato “Chimica
verde e sostenibile. La chimica sono Io.
Io rispetto l’ambiente” che approfondisce
vari temi di questa disciplina, tra i quali:
energie alternative, biocarburanti, materiali
ecocompatibili, solventi verdi.
Di ottimo livello la presentazione multimediale “Diciamo no alla diossina!... Sì, ma
come?” dell’IISS “Q.O. Flacco” di Castellaneta in provincia di Taranto. L’elaborato,
la cui realizzazione da parte degli allievi
della 2aA (informatica) e della 2aB (elettronica e telecomunicazioni) è stata coordinata dalla professoressa Teresa Piccoli, tratta
di uno scottante problema locale: quello
delle elevate concentrazioni di diossina
ritrovate in matrici ambientali e alimentari
nel tarantino, dovute alle emissioni industriali soprattutto da parte delle acciaierie.
Notevole anche il progetto “Le noci del sapone: detergente ecologico, efficace, eco-
Olimpiadi della Scienza Conclusa la 6a edizione
nomico” dell’Istituto Tecnico per Attività
sociali “Galileo Galilei” di Jesi (Ancona),
realizzato dagli allievi dalla 5aC (indirizzo
biologico), con la supervisione del professor Edgardo Catalani. Viene descritto
in dettaglio il processo per sfruttare come
detergenti e detersivi naturali le saponine
contenute nei frutti dell’albero Sapindus
mukorossi, una pianta appartenente alla famiglia delle Sapindaceae, tipica dell’India
e della catena dell’Himalaya.
Spicca per originalità la presentazione “È
ora di risplendere” dell’Istituto Nautico
“San Giorgio” di Genova, in cui gli allievi della 2aF (indirizzo trasporti e logistica)
- con la guida della professoressa Teresa
1
2
Procopio - esplorano le possibilità di ridurre l’uso di detergenti di sintesi. Per farlo
partono dall’esperienza dei vecchi saggi,
da interviste ai nonni e ai familiari più anziani, i quali da giovani hanno vissuto in un
mondo in cui non esisteva la moltitudine
di prodotti chimici oggi disponibili. Essi
erano, quindi, costretti ad usare “metodi
naturali”.
Questi sono solo alcuni esempi dell’impegno di studenti e insegnanti che hanno
partecipato con dedizione e interesse al
concorso, con grande soddisfazione degli
organizzatori: solo se i giovani diventano
amici della chimica, questa può diventare
davvero amica dell’ambiente!
3
“Solventi alla frutta dagli agrumi
di Sicilia, solventi ecocompatibili”
Scuola: Istituto Tecnico Industriale Statale “Stanislao Cannizzaro” di Catania
Allievi autori: Raissa Aurora, Fabrizio Cappadonna, Mario Colombo, Michela Di Nanno, Angela Finocchiaro, Marco Granata, Manuel Minerba, Graziella Mita, Fabrizio Pace, Michael Pavone, Dario Serini,
Anella Sorrentino, Daniele Timpano (classe 3aA)
Docenti coordinatori: Angela Percolla, Maria Palermo e Salvatore Consoli
Sintesi dell’elaborato inviata dagli autori:
Il progetto è rivolto agli allievi di una terza classe dell’Indirizzo Chimica dell’ITI “Cannizzaro” di Catania
ed è inserito nel contesto delle iniziative legate alle attività di Educazione Ambientale e sensibilizzazione dei giovani nei settori della produzione eco-innovativa e del consumo sostenibile. La classe IIIA
Chimica, ha studiato e prodotto i terpeni di arancio e limone; estratti dagli oli essenziali, che possono essere utilizzati come solventi ecocompatibili in sostituzione ai solventi sintetici, dannosi per l’ambiente.
classificato
classificato
classificato
Dalle bucce di agrumi infatti, mediante estrazione si ottengono i terpeni che si distinguono dai solventi
sintetici per la componente naturale e per il basso impatto ambientale nello smaltimento.
La progettazione e sperimentazione dell’attività didattica di tipo laboratoriale è stata portata avanti
dai docenti di Analisi Chimica, Laboratorio di Analisi Chimica e Chimica Organica che hanno lavorato in
equipe utilizzando il 20% del monte ore di laboratorio consentendo di integrare le attività curriculari della scuola e permettendo agli allievi del corso Chimica di approfondire le conoscenze relative all’Analisi
e alla Chimica Organica.
Il progetto ha previsto l’acquisto di un distillatore in corrente di vapore per estrarre presso il laboratorio
della scuola gli oli essenziali dalle bucce d’arancia, successivamente il lavoro è stato approfondito con
una visita presso il C.R.A - Centro di ricerca per l’agrumicultura e le colture mediterranee di Acireale (CT)
e successivamente con un’attività laboratoriale presso l’Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR di
Catania. Gli allievi hanno potuto arricchire le proprie conoscenze e competenze teorico-pratiche, svolgendo importanti attività presso il laboratorio dell’Istituto di Chimica biomolecolare del CNR di Catania,
specializzato in chimica delle sostanze naturali di interesse biologico; qui gli allievi oltre all’estrazione
delle essenze dalle bucce degli agrumi. Hanno analizzato mediante gas cromatografia i componenti
presenti negli oli essenziali tra i quali i terpeni, sostanze utilizzabili come vernici ecocompatibili.
Il lavoro si è articolato in quattro fasi:
1. produzione degli oli essenziali nei laboratori della scuola mediante distillazione in corrente di vapore;
2. visita al CRA Centro di ricerca per l’agrumicultura di Acireale (Ct) e studio dei terpeni;
3. attività di laboratorio presso l’ICB di Catania (produzione oli essenziali dalle bucce d’agrumi ed uso
dell’idrodistillatore, estrazione dei terpeni ed analisi gas cromatografica);
4. elaborazione del lavoro svolto e produzione del documento di testo inviato al concorso.
40
n.26 | Aprile 2012
Olimpiadi della Scienza Conclusa la 6a edizione
La nuova edizione
del concorso
Per finire, ringraziamo tutti coloro che
hanno inviato i loro lavori per l’edizione
2010/2011 e li invitiamo – assieme a tutte le scuole secondarie di secondo livello
statali e parificate - a partecipare alla nuova, la settima (anno scolastico 2011/2012),
che è stata bandita il 25 gennaio scorso ed
è intitolata “Prevenire è meglio che curare.
La tutela dell’ambiente e della salute attraverso l’analisi del ciclo di vita dei composti
chimici e dei processi produttivi”.
La scadenza per l’invio degli elaborati è il
31 maggio 2012 Il bando e tutta la documentazione necessaria per partecipare si
possono scaricare dal link:
http://incaweb.org/green/pgsVIIed/index.htm
Pellegrino Conte
Unità di Ricerca Palermo 2
Consorzio INCA
Fulvio Zecchini
Consorzio INCA
Le finalità del progetto sono:
• approfondire le tecniche di distillazione ed estrazione; approfondire lo studio sui solventi tradizionali e sui solventi verdi;
• individuare le risorse che il nostro territorio offre ai fini della produzione di solventi verdi;
• attivare interventi di sensibilizzazione dei ragazzi sull’uso di prodotti a minor impatto ambientale;
• approfondire il problema che fa riferimento alla necessità non più derogabile di un consumo “critico” degli alimenti (tonnellate di agrumi finiscono al macero senza utilizzarne i sottoprodotti);
• imparare a lavorare in team.
2
3
Xxxx Xxx
“Produzione biotecnologica
di biocombustibili: il biodiesel”
Scuola: Istituto Tecnico Industriale Statale “Enrico Fermi” di Siracusa
Allievi autori: Christian Terra (5aA), Alessio Franzò (5aB), Arianna Miano (4aB) e Stefano Ippolito (4aA)
Docente coordinatore: Francesco Randone
Sintesi dell’elaborato inviata dagli autori:
Lo sviluppo ecosostenibile è un tema ampiamente rivisitato nel nostro Istituto che vanta un’esperienza
cinquantennale dall’istituzione dell’indirizzo Chimico dal 1958.
classificato
classificato
La riduzione del fabbisogno energetico e il relativo impatto ambientale trova il punto di collocamento
nello studio delle fonti rinnovabili e dei biocombustibili.
Durante il corso dell’anno, nell’ambito delle attività didattiche, alcuni studenti della V e della IV classe di indirizzo Chimico hanno approntato uno studio che ha sintetizzato la produzione di biodiesel a
partire dalle materie prime (olio di soia, alcool metilico) seguendo le diverse fasi del processo attraverso la messa in esercizio di un impianto pilota di produzione, lo studio in laboratorio della reazione di
transesterificazione e la caratterizzazione del prodotto finito attraverso le analisi di laboratorio eseguite secondo le norme UNI o metodi standard.
Ciò ha permesso da una parte di raffermare la cultura della sperimentazione attraverso il potenziamento della didattica laboratoriale e la conoscenza dei meccanismi di implementazione e gestione dei processi chimici, dall’altra ha favorito la capacità di gestire gruppi di lavoro rafforzandone l’apprendimento
delle discipline scientifiche e tecnologiche.
L’utilizzo dei supporti informatici ha permesso una rapida consultazione di una biblioteca multimediale
ed applicare le tecnologie informatiche alla didattica delle discipline scientifiche.
42
n.26 | Aprile 2012
3
“Materie plastiche sostenibili - il PLA:
un polimero amico dell’ambiente”
Scuola: Istituto Tecnico Industriale - Liceo Scientifico S.A. “Ettore Molinari” di Milano
Allievi autori: Sara Iacopetti (5aA) e Dario Renna (4aA)
Docente coordinatore: Mariano Calatozzolo
Sintesi dell’elaborato inviata dagli autori:
Il progetto si inserisce nelle attività extracurriculari basate sulla didattica laboratoriale (Scuola aperta)
realizzate dal nostro Istituto.
classificato
Prende l’avvio dal nostro interesse per indagare anche sperimentalmente la sostenibilità delle produzioni chimiche. In particolare ci siamo interessati alle problematiche legate allo smaltimento delle materie plastiche, specie quelle utilizzate negli imballaggi.
Dopo una rapida indagine documentale sull’impatto ambientale legato alla sostanziale non biodegradabilità di gran parte delle materie plastiche attualmente utilizzate, ci si è interessati al recente sviluppo
di manufatti in acido polilattico (PLA), materiale che può biodegradarsi. Di particolare interesse è la
produzione di acido lattico, il monomero del PLA, che può ottenersi per fermentazione di biomasse
contenenti carboidrati. Le biomasse potenzialmente utilizzabili sono alquanto diversificate e possono
costituire sottoprodotti da smaltire di altre lavorazioni.
Si dispiega, per il PLA, uno scenario altamente virtuoso sul piano della sostenibilità, che va
dall’utilizzo di materie prime “seconde” da fonti rinnovabili, a processi produttivi, come la
fermentazione, che non richiedono condizioni particolarmente drastiche, a un prodotto
biodegradabile, che quindi non dovrebbe presentare quelle problematiche che caratterizzano oggi lo smaltimento di molti manufatti in materie plastiche, specie degli
imballaggi.
L’interesse per il PLA ci ha portati a verificare la possibilità di sintetizzarlo nei nostri
laboratori. Si è effettuata una ricerca documentale sia sulla produzione per fermentazione di acido lattico, sia sulla sua polimerizzazione a PLA.
La parte sperimentale ha riguardato la preparazione di acido lattico per fermentazione di un terreno contenente glucosio con un ceppo di Lactobacillus delbrueckii
bulgaricus e la policondensazione dell’acido lattico, con allontanamento dell’acqua, sia
per distillazione azeotropica, sia per essiccamento del solvente su setacci molecolari. La
massa molare media del PLA ottenuto è stata valutata viscosimetricamente.
Con il presente elaborato si è voluto indagare sulle valenze ambientali del PLA e sulla possibilità
di produrre nei nostri laboratori sia l’acido lattico, sia lo stesso PLA.
Il lavoro presentato si articola in due sezioni:
• presentazione, che illustra le valenze ambientali del PLA e le fasi salienti delle
attività di laboratorio.
• report tecnico scientifico dell’indagine documentale e delle attività sperimentali.
Prove di degradazione microbica con attinomiceti in vitro di lamine
di PLA di 20x20 mm circa con spessore di 0,13 mm. Al test è stato
sottoposto sia PLA tal quale, che addizionato col 5% di due diversi
materiali nanostrutturati (Cloisite 30B e Nanofil 804).
43
n.26 | Aprile 2012
NEWS
Futuro&
FUTURIBILE
E se il cioccolato
ci aiutasse a restare
in forma?
Per i golosi potrebbe
rappresentare la notizia
dell’anno. Un’indagine
epidemiologica dell’Università
della California (La Jolla, San
Diego) indicherebbe che chi
consuma frequentemente
moderate quantità di
cioccolato è in media più
magro di chi ne consuma
meno. Si confermerebbe,
così, quanto emerge da
numerose indagini recenti:
l’influenza della dieta sulla
forma fisica dipende non
soltanto dalle calorie,
ma dalla composizione
dei cibi che le apportano.
44
Sul numero del 26 marzo 2012 di Archives
of Internal Medicine sono stati pubblicati
i risultati di un’indagine epidemiologica
condotte da un gruppo di ricerca dell’Università della California, diretto da Beatrice
A. Golomb, rispetto ai quali in prima battuta è lecito pensare: “Troppo bello per essere vero”. Ebbene, non è così; lo studio è
stato condotto con rigore scientifico e confermerebbe quanto emerso da esperimenti
di laboratorio, concordando, inoltre, con
diverse indicazioni sugli effetti benefici del
cioccolato per il metabolismo riportate in
letteratura scientifica.
Per la loro indagine i medici di La Jolla
hanno usato un campione di 1.018 cittadini
di San Diego, equamente divisi tra maschi
e femmine, soggetti sani con età variabile
dai 20 agli 85 anni, sul quale sono state rilevate le abitudini alimentari, l’assunzione
giornaliera di calorie, l’attività fisica e il
BMI, il Body Mass Index, cioè l’indice di
massa corporea (peso in chilogrammi diviso altezza in metri al quadrato), col quale si
valuta l’obesità di un individuo.
L’analisi statistica ha evidenziato che chi
consuma frequentemente moderate quantità di cioccolato presenta in media un valore
di BMI inferiore di chi ne consuma meno.
Da un punto di vista medico i vantaggi non
si fermano qui e includerebbero anche un
miglioramento dell’attività dell’insulina,
della pressione sanguinea e del livello di
colesterolo; diminuendo, in definitiva, il rischio di contrarre malattie cardiovascolari.
Tutto ciò sarebbe dovuto principalmente al
n.26 | Aprile 2012
contenuto in polifenoli ad azione antiossidante, tra cui le catechine. L’introduzione
sperimentale di epicatechina nella dieta di
alcune cavie di laboratorio ha mostrato diversi effetti positivi sulla loro fisiologia, tra
cui la biogenesi e la capillarità dei mitocondri, la performance muscolare, l’aumento
di massa muscolare magra e la riduzione
di peso senza variare le calorie apportate
dalla dieta.
Certo questo squisito alimento è ricco di
zuccheri e di grassi, quindi il suo consumo,
da un punto di vista meramente calorico,
tende a far aumentare di peso. Sembra,
però, che alcune molecole in esso contenute, come quelle sopra riportate, apportino
benefici metabolici tali da sovvertire l’effetto “ingrassante” delle calorie. Ovviamente, si parla di un consumo moderato,
nessuno si aspetti di dimagrire mangiando
chili di cioccolato al giorno.
Queste indicazioni sono sicuramente intriganti. I ricercatori di san Diego hanno
adottato tutta una serie di strumenti statistici per evitare l’interferenza di altri fattori,
relegando a una percentuale decisamente
bassa la probabilità che i risultati siano
casuali. Essi indicano, però, una relazione
tra i due aspetti - consumo di cioccolato e
BMI - ma non provano necessariamente un
rapporto di causa-effetto. Pertanto, prima
di esultare definitivamente sarà meglio che
i più golosi aspettino ulteriori conferme
sperimentali.
R.G.
NEWS
green
Il superlaser
g
che accende
la fusione
È il 15 marzo 2012 quando il laser del Lawrence Livermore’s National
Ignition Facility (California) ottiene un risultato storico, vincendo una
delle maggiori sfide della scienza moderna: accendere il combustibile
della fusione nucleare, ottenendo nel contempo un guadagno netto in
energia su scala di laboratorio. Si compie così un notevole passo verso la
possibile applicazione della fusione nucleare, uno dei pochissimi sostituti
dei combustibili fossili attualmente concepibile per l’utilizzo di massa.
Quello dell’NIF, il Lawrence Livermore’s
National Ignition Facility del Department
of Energy statunitense, è il laser a ultravioletti più potente del mondo. Per vincere questa sfida tecnologica 192 raggi sono
stati sparati con collimazione perfetta al
centro della camera del combustibile, scaricandovi un’energia pari a 1,875 MJ (megajoule, cioè milioni di joule). Il combustibile nucleare - costituito da isotopi pesanti
dell’idrogeno (si veda Green n. 21, pagg.
4-15) - in questo esperimento era assente.
L’impulso di energia è durato solo 23 miliardesimi di secondo, ma ha generato ben
411 TW (terawatt, biliardi di watt) di potenza di picco, un valore pari a mille volte
la potenza elettrica istantanea usata globalmente negli Usa.
Il contenitore metallico che contiene la capsula del combustibile
nucleare, chiamato tecnicamente
hohlraum, è alto circa 1-2 centimetri. Il sistema viene mantenuto a temperature criogeniche
(18 kelvin, circa -255 °C) per favorire la reazione di fusione.
[Immagine: Lawrence Livermore
National Laboratory]
45
n.26 | Aprile 2012
green
green
“Questo evento rappresenta una pietra
miliare nel cammino della National Ignition Campaign (campagna nazionale per
l’accensione, ndt)” ha affermato Edward
Moses, il direttore dell’NIF, il quale ha poi
concluso sottolineando come questa sia la
prima volta che un insieme di ben 192 raggi ha operato ad una tale energia.
Inoltre, il fascio, prima di passare attraverso
la strumentazione di misurazione e le lenti
di collimazione finali, possedeva un’energia di 2,03 MJ; quindi quello dell’NIF è
diventato il primo laser a ultravioletti da
2 MJ al mondo, circa 100 volte più potente
di tutti gli altri.
Questo esperimento, pubblicato su Nature, è stato anche uno dei più precisi mai
eseguiti dal centro di ricerca californiano:
l’energia è stata concentrata sull’1,3%
della superficie del bersaglio. Ciò è fondamentale per ottenere un’implosione
simmetrica nelle capsule contenenti il
combustibile, un fattore chiave per raggiungere i valori di pressione e temperatura necessari per l’accensione.
Questo straordinario successo coincide
con il terzo anniversario della struttura
dell’NIF, inaugurata nel marzo 2009, quando fu ottenuto il primo obiettivo di livello
energetico: 1 MJ. Da allora quest’ultimo
è stato incrementato di circa un kilojoule
al giorno per tre anni, fino a raggiungere i
valori odierni. Il lavoro presso il centro di
ricerca californiano, a cui accedono scienziati di tutto il mondo, continua. Per ottenere, l’accensione ottimale del combustibile
nucleare vi sono, infatti, diversi altri aspetti
da ottimizzare, oltre all’ulteriore aumento
di energia e potenza; ad esempio, quello
dei costi di manutenzione del sistema ottico che sono molto elevati, dovendo operare
a energie così alte.
F.Z.
Xxxx Xxx
Il candore di uno sguardo nuovo
(quello della scienza lo è sempre)
può talvolta illuminare di luce nuova
antichi problemi
Jacques Lucien Monod
(Parigi, 1910 – Cannes, 1976)
biologo e filosofo francese
premio Nobel per la Medicina nel 1965
Dalla prefazione de “Il caso e la necessità:
saggio sulla filosofia naturale della biologia
contemporanea”, traduzione di Anna Busi,
Mondadori, Milano 1970.