TUNISIA Rivoluzione a ritmo di breakdance

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TUNISIA Rivoluzione a ritmo di breakdance
R E P O R TA G E
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Nuova energia. Nella palestra del “Complesso della Gioventù 17 dicembre” si allena una crew di breakdance: i Flava Kids
TUNISIA
Rivoluzione
a ritmo
di breakdance
—di Giada Frana
foto di Simona Bonomo
VITA — novembre 2015
Sidi Bouzid è la città simbolo
da cui era cominciata la
primavera araba. Qui il 17
dicembre del 2010 si era dato
fuoco Mohamed Bouazizi,
venditore di frutta a cui la
polizia aveva sottratto il
carretto. Oggi è diventata una
città laboratorio
grazie ad un centro culturale
all’avanguardia.
In funzione antislamista
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Un’altra Tunisia. Un ballerino del gruppo dei Falvia Kids. ll Centro accoglie mille ragazzi e si finanzia sia con fondi pubblici sia con attività proprie
D
uecentosettanta chilometri separano Sidi Bouzid, capoluogo dell’omonimo governatorato, da Tunisi.
In questa cittadina, diventata il simbolo
della rivoluzione tunisina, “Thawrat al
karama”, la “Rivoluzione della dignità”,
il tempo sembra essersi fermato.
Qui il 17 dicembre 2010 il 26enne
Mohamed Bouazizi, a cui la polizia aveva sottratto il carretto di frutta e verdura, sua unica fonte di sostentamento, si
diede fuoco, innescando la scintilla che
fece scoppiare la rivoluzione. A Bouazizi è dedicata la strada principale della
città, l’ex Avenue 7 novembre, in ricordo
della data in cui l’ex presidente Zine
El-Abidine Ben Alì prese il potere. Dove
prima sorgeva un monumento dedicato
al vecchio rais, vi è ora una piccola statua rappresentante un carretto, omaggio
a questo giovane. Oggi questa città si sta
trasformando in un laboratorio sociale
come non ce ne sono molti nella fascia
sud del Mediterraneo.
L’iscrizione? 50 centesimi l’anno
Molto, se non tutto, ruota intorno al
Complesso della gioventù 17 dicembre.
Si tratta di una struttura statale dipen-
dente dal ministero della Gioventù e dello Sport, attiva dal 2007, ma che all’epoca di Ben Alì veniva largamente
trascurata: poco il materiale a disposizione, così come le attività offerte, se non
quelle funzionali a esaltare il rais e il suo
partito. Oggi la gestione vera e propria e
le attività proposte non vengono più decise esclusivamente dallo Stato, bensì
dal direttore e dagli animatori che vi lavorano. Il centro è aperto ai giovani dai
14 anni in su e propone diverse attività
attraverso i suoi vari club: danza, musica, internet, audiovisivi, arti plastiche,
sport, lingue, giornalismo, web radio.
Chi vuole prendere parte alle attività
deve pagare la cifra simbolica di un di-
Tunisi
Sidi Bouzid
TUNISIA
naro all’anno – poco meno
di 50 centesimi di euro –
ottenendo la propria carta
membro: «In questo modo
tutti possono partecipare»,
spiega Mounir Mbarki (nella foto qui a lato), direttore del Complesso da poco più di un anno. «Per il 20142015 abbiamo avuto più di mille
aderenti: è un buon numero», continua
Mbarki, «inoltre molti usufruiscono di
questo spazio anche senza l’iscrizione
ufficiale».
Un ostello da 58 posti
Sono otto gli animatori che lavorano nella struttura, tutti laureati in animazione per giovani e tutti in grado di
maneggiare le diverse attività del centro.
«Lo Stato ci finanzia con 24mila dinari
l’anno (circa 12mila euro, ndr.)», prosegue il direttore, «le altre entrate provengono dall’affitto della sala polivalente,
circa 6mila dinari, dall’affitto del piccolo
ristorante per chi vuole organizzare cene, 12 mila dinari annui ed infine dall’affitto delle camere dell’ostello: abbiamo
58 posti letto che ci fruttano sui 14mila
dinari». La struttura avrebbe bisogno di
novembre 2015 — VITA
BREAKDANCE IN TUNISIA
L’OSSERVATRICE
Giusto il Nobel al Quartetto.
Oggi la Tunisia è
un laborarorio da studiare
—di Lia Quartapelle*
I
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processi costituzionali delle transizioni africane possono essere catartici
per le nazioni. In epoca recente, era già successo nel 1996 per il Sudafrica:
attraverso la scrittura della Costituzione, il Paese dell’apartheid aveva
ritrovato l’unità nazionale, intorno all’idea di essere una “nazione arcobaleno”
capace di vivere unita nelle diversità. Così è stato anche per la fase
costituente tunisina, un’occasione di maturazione della nazione che, dopo la
primavera araba, nei due anni di negoziazione sulla legge fondamentale, è
stata in grado di ritrovare l’anima.
L’assegnazione del premio Nobel per la Pace del 2015 al Quartetto per il
dialogo nazionale tunisino è a tutti gli effetti un riconoscimento del percorso
di crescita del Paese, fatto non solo dalle élite ma anche dai cittadini e dalla
società civile. Un percorso che non ha fatto tabula rasa, ma anzi ha cercato di
tracciare una continuità con la storia del Paese: in senso positivo, perché
l’assemblea costituente ha adottato lo stesso articolo 1 della Costituzione del
1955 (“La Tunisia è uno Stato libero, indipendente e sovrano; la sua religione
è l’Islam, la sua lingua l’arabo e il suo regime la Repubblica”), aggiustandola
in senso evolutivo con l’aggiunta chiarificatrice dell’articolo 2 (“La Tunisia è
uno Stato civile basato sulla cittadinanza, la volontà popolare e lo Stato di
diritto”). Proprio come dovrebbe essere un percorso di transizione che
conferma e adatta il senso di identità nazionale, niente a che vedere con una
rivoluzione. Quello che sta accadendo in Libia, ovvero la mancanza di un
collante di unità nazionale e quindi il contrasto sulla legittimità tra il
parlamento di Tobruk e quello di Tripoli, ci ricorda di quanto sia importante
avere un senso comune di direzione nazionale – e quanto non fosse scontato
che ciò emergesse dalle rivolte arabe.
Il cammino accidentato di scrittura della legge fondamentale in Tunisia ha
anche trovato una sintesi interessante sul punto di equilibrio tra Stato e
religione. Le lunghe discussioni sul tema, le tensioni – sfociate in alcune
occasioni anche in veri e propri momenti di violenza politica, come nel caso
degli assassini di Mohamed Brahmi e di Chokri Belaid – hanno però prodotto
una soluzione ampiamente condivisa che ha permesso di passare dalla
contrastata gestione dell’islam politico a una politica di tutela della religione.
Si tratta di una sintesi flessibile e intelligente che rende la Tunisia
un’avanguardia su quello che sarà un tema chiave dell’inserimento dei Paesi a
maggioranza islamica nell’ordine globale contemporaneo.
Le conquiste avvenute in Tunisia nello spazio di questi cinque anni, a
partire dal gesto di Mohamed Bouazizi, vanno però difese. Ancora una volta
l’esperienza sudafricana traccia alcuni caveat: la democratizzazione delle
società in transizione si consolida solo se è accompagnata anche da una
migliore affermazione dei diritti alla partecipazione alla vita economica del
Paese, e da una riduzione delle diseguaglianze. La primavera tunisina è
partita da questi nodi, e la Tunisia va sostenuta non solo nel percorso di
attuazione della Costituzione formale, ma soprattutto di quella materiale.
VITA — novembre 2015
*segretario Commissione Esteri Camera dei Deputati
qualche rifacimento: le stanze dei laboratori sono piccole e non riescono a contenere tutta la domanda, il soffitto della
piccola palestra dove i giovani vengono a
fare aerobica, danza e breakdance quasi
cade a pezzi, senza contare che servirebbe materiale nuovo, come una macchina fotografica per il club di giornalismo.
La web radio
Houcem Heni è l’animatore della web
radio 17 dicembre, nata lo scorso anno, e
nel Complesso lavora da sette anni. «Prima della rivoluzione non c’erano mezzi
di comunicazione che non appartenessero allo Stato:», spiega, «nessuno parlava di cosa succedeva a Gafsa, Sfax o altre
città nelle regioni centrali e del Sud, l’informazione era quasi inesistente. Ora invece c’è molta libertà. Si è sviluppato il
concetto di giornalismo partecipativo, si
danno informazioni così come sono, dal
punto di vista della gente comune».
«Con i giovani lavoriamo su temi particolari e complessi:», prosegue Houcem,
«sensibilizzazione contro il terrorismo e
contro le malattie legate al sesso o alle
droghe. Con noi ci sono anche diversi
volontari, si organizzano degli atelier e
ci si sposta ogni volta in un posto diverso. Incoraggiamo il senso di appartenenza alla patria: il primo principio dei terroristi è che la Tunisia non è uno Stato,
dicono che bisogna cambiare la bandiera, che bisogna cambiare tutto». Per lui
il pericolo più grande ora è il terrorismo:
«Qui all’inizio non ci credevamo al terrorismo. Ora è diverso. In generale i terroristi hanno problemi di integrazione nella
società: c’è chi era in prigione, a causa di
furti o per reati legati alla droga, chi ha
dei problemi con i propri genitori o con
l’ambiente circostante. Queste persone
trovano un clima favorevole nei gruppi di salafiti, che li considerano e danno
loro ciò di cui han bisogno». E ancora:
«Noi diamo ai giovani lo spazio per lavorare in libertà: se non trovano l’integrazione nella società possono trovarla
qui. Possono esprimersi e in questo modo non hanno bisogno di rivolgersi ai salafiti o a chi mostra loro la strada del terrorismo. Cerchiamo di lavorare con tutti
senza eccezione. Quando un salafita si
trova a doversi confrontare con un giovane rapper o uno sportivo, dopo un po’
è inevitabile che modifichi il suo punto
di vista, l’estremismo si batte usando il
ragionamento e dimostrando che ci sono altre possibili strade da seguire. Chi
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Nuove generazioni. «Sensibilizzare contro il terrorismo, incoraggiare il senso della patria», dice Houcem Heni, animatore della web radio
partecipa alla nostra radio è già lontano
da questi problemi, ma può coinvolgere e avvicinare altri ragazzi». «Viviamo
in una società in cui i pericoli sono dietro l’angolo:» aggiunge il direttore, «violenza, consumo di droga e alcol, estremismo. Offriamo ai giovani delle attività
per far sì che si allontanino da tutto ciò».
Tra i frequentatori ci sono anche alcuni
salafiti: «Non tutti i salafiti sono estremisti», sottolinea Mbarki «organizziamo attività condivise per far sì che loro non si
isolino dalla società: un modo per accettare le reciproche differenze».
«In generale in Tunisia si nota uno
sconcerto da parte della gioventù», conferma Messaoud Romdhani del Ftdes, il
Forum tunisino per i diritti economici
e sociali di Tunisi, «in particolare nelle
regioni con maggiori difficoltà economiche. Questa disperazione si manifesta attraverso tre fattori: immigrazione clandestina, casi di suicidio e jihadismo (ad
aprile Rafik Chelli, segretario presso il
ministero dell’Interno, parlava di 2.800
– 3.000 tunisini tra Iraq e Siria, ndr). Non
bisogna però legare il jihadismo all’estremismo religioso: quest’ultimo esiste
ma credo, che si tratti piuttosto di una
sorta di vendetta verso uno Stato che
non ha capito le urgenze della gioventù, la quale chiede solo di poter vivere».
I Flava Kids e il rapper
Nella piccola palestra incontriamo un gruppo di
ragazzi dai 17 ai 19 anni:
sono i Flava Kids crew.
Tutti i giorni dopo la scuola vengono al Complesso
per dedicarsi alla loro più grande passione, la breakdance. Il loro sogno è poter
sfondare anche all’estero. «Il Complesso
non era così prima:», confida Hamza Slimani (nella foto piccola qui sopra), il più
grande del gruppo, «ora è migliorato, il
nuovo direttore ci incoraggia. Fino a pochi mesi fa questa struttura era quasi
sempre chiusa e come disciplina c’era
solo il taekwondo». «In Tunisia non c’è
granché da fare per noi giovani» aggiunge Ilyesse Gharbi. Le famiglie di questi
ragazzi non hanno subito visto di buon
occhio la loro passione per la breakdance, ma poi capendo che in questo modo
restavano lontani dai guai, l’hanno accettata: «I miei, per esempio quando
hanno compreso che la mia vita si era re-
golarizzata, che mi impegnavo a scuola
e negli allenamenti, mi hanno dato il via
libera» continua Hassen Rabhi. Gli altri
ragazzi del gruppo, Sofien Zinoubi e
Ghaith Bargougui, annuiscono con un
cenno del capo: la loro storia è simile.
«C’era un ragazzo che faceva le risse, beveva troppo, fumava hashish», riferisce
Hamza. «L’abbiamo integrato nel nostro
gruppo ed ora si è calmato, non fa più
queste cose».
Khalil Baccari, 21 anni, in arte Mc
Khalil, tra le mura del Complesso si dedica invece al rap, a cui si è avvicinato
ascoltando rapper americani del calibro
di Snoop Dog. «I giovani qui spesso passano tutto il giorno al bar, dicendo che
non c’è lavoro», racconta, «stanno lì senza far niente, diventano dipendenti dalla
marjuana o bevono alcol puro, perdendo le loro passioni. Invece il lavoro c’è,
in qualche modo ci si può arrangiare. Io
mi sono occupato di sicurezza ed ora lavoro nel fripe (negozietti di vestiti usati
molto diffusi in Tunisia, ndr). Il rap per
me è un modo per trasmettere un messaggio e far sentire la voce del popolo» e
mostra il testo di una canzone in cui parla delle ragazze tunisine che vogliono un
novembre 2015 — VITA
BREAKDANCE IN TUNISIA
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Lezioni di violino. Maha Bouazizi, 16 anni: «Suonare mi rende felice e mi fa dimenticare le cose negative»
ragazzo ricco e finiscono per sposare uomini molto più grandi di loro.
Il violinista e il regista
Dal club di musica si diffondono le note di un violino, a cui seguono quelle
di un liuto e di un piano:
Adel Mazouzi (nella foto
qui a fianco), insegnante di
musica privato, sta tenendo una lezione
ai suoi allievi. «La cultura è molto importante», sottolinea, «ho iniziato ad insegnare chitarra a due bimbi piccoli e nel
giro di poco tempo mi sono ritrovato con
più di 50 allievi. C’era un conservatorio
regionale, ma ha chiuso e non ci sono licei dove la musica venga insegnata; inoltre gli animatori che lavorano qui non sono specializzati per cui le persone si sono
rivolte a me. Qui se non fai delle attività
culturali finisci per strada, diventi un delinquente, inizi a bere, a fumare e poi piano piano passi al terrorismo».
Maha Bouazizi, 16 anni, si sta esercitando al violino: «Suonare mi rende felice e mi fa dimenticare le cose negative».
Jihed Ghanmi, 17 anni, suona invece il
basso: «Prima c’era mancanza di mate-
VITA — novembre 2015
riali musicali ma ora con il signor Adel le
cose sono migliorate. Vengo qui quando
mi annoio o sono stanco di studiare, e
suono. Passare il nostro tempo al Complesso è di certo meglio che vagare per
strada. A Sidi Bouzid si trova anche la casa di produzione “AyanKen Production”,
del giovane regista Ridha Tlili, in arte
Ayan Kan.
Membro fondatore del “Festival della Rivoluzione” di Regueb ha realizzato
finora tre film − Révolution moins 5”,
“Jiha” e “Controlling and punishment”,
che hanno partecipato a festival nazionali ed internazionali e gli sono valsi numerosi riconoscimenti. «Oltre alla produzione, organizziamo degli atelier di
formazione e degli eventi per affermare
i legami solidi con l’ambiente nazionale
e internazionale. La cultura in tutto il Paese è vittima di una burocrazia crudele:
ma non ci arrendiamo, nella speranza
che un giorno ciò possa cambiare». E aggiunge: «I giovani hanno bisogno di sogni. È compito della società civile e dello Stato trovare soluzioni». Sidi Bouzid,
da città simbolo della Rivoluzione, sembra pronta a diventare la città guida per
tutta il Paese.
Non solo Sidi Bouzid
Nel frattempo qualche seme di cittadinanza attiva sta germogliando anche
in altre zone del Paese. Ne è un esempio
il centro culturale ai piedi della montagna Semmama, nel governorato di Kasserine, creato dall’artista Adnen Helali.
«Il mio progetto cerca di incoraggiare i
giovani makers e di creare un’effervescenza culturale per gli abitanti di queste zone rurali. Finora abbiamo promosso un cinema in un pollaio, un atelier di
arti plastiche in un campo di cactus, un
atelier di break dance in una grotta. È un
progetto pilota e lo stiamo esportando
verso altre zone di montagna: Mghila,
Khroumirie, Sejnène». A Bizerte il giovane Dhia Felhi è invece riuscito a far riaprire dopo otto anni il cinema “Le
Majestic”, la più antica sala cinematografica della città, che si prepara ad essere un centro polivalente e punto di riferimento per la città costiera. A
Gammarth nell’area di Tunisi è invece
nata la prima scuola tunisina dell’arte
del vetro, aperta dall’artista Sadika
Keskes, che ha studiato a Murano.
Lo spirito di Sidi Bouzid si sta espandendo in tutta la Tunisia.
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