Interplay/13. Quando il pubblico è trasversale

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Interplay/13. Quando il pubblico è trasversale
24 ore di Krapp in un foglio
11 luglio 2013
FRONT
Digest quotidiano a cura della redazione di Krapp’s Last Post – www.klpteatro.it
Interplay/13. Quando il pubblico è trasversale
di Bruno Bianchini & Daniela Arcudi
Tre nazioni culturalmente molto diverse fra loro - Italia, Giappone, Germania.
Tre giovani coreografi che fino ad un anno fa non si conoscevano.
Daniele Ninarelloè la parte italiana (torinese, per l'esattezza) di "Clash", esito della Sharing
Choreographic Residency con cui si è chiusa l'edizione 2013 del festival di danza
contemporanea Interpla y .
Insieme a lui Yuo
k Kominami
, coreografa giapponese attualmente di base in Lussemburgo, e il
tedescoStephan Herwig.
A loro il compito di condividere tre periodi di residenza - di circa 10 giorni ciascuno - presso i
sostenitori del progetto (Tanztendenz Munchen, Trois C-L Centre de Création Chorégraphique
Luxembourgeois, Mosaico Danza in partnership con Torinodanza).
Da dove iniziare? I tre artisti, visto che non si conoscevano, non potevano che partire dal tema
dell'incontro. Cosa significa per un essere umano incontrare un altro uomo? O, estendendo il
concetto, cosa implica venire in contatto con un luogo diverso, uno stile di vita sconosciuto, un
altro linguaggio, sia esso verbale e/o corporeo...?
La scommessa era quindi questa: riusciranno i tre artisti - con differenti culture, vite, esperienze
artistiche e non - a maturare un percorso comune 'significativo' da trasferire infine a un pubblico?
Partendo da una inconsapevolezza fisica, e quindi, inevitabilmente, dall'ascolto reciproco,
Kominani, Ninarello e Herwig hanno condiviso un'esperienza "liquida", ossia aperta ai rispettivi
stimoli (non ultima la gravidanza di Yuko), fissando di volta in volta ciò che ritenevano
funzionasse.
In questo percorso hanno avuto il supporto diChristiane Blaise
, direttrice del Centre Choreographyque Le Pc
a ifique
svestita del ruolo di coreografa per agevolare l'incontro e la riflessione fra i tre artisti.
Ad ospitare il debutto di "Clash" lo spazio diMosaico Danza
di Grenoble, una tutor che in questo caso si è
, splendida location sulla collina torinese, di cui il video che vi presentiamo oggi è testimonianza.
E' stata anche l'occasione per domandare a Natalia Casorati
, direttrice artistica del festival, di tracciarci un bilancio conclusivo di un'edizione senz'altro riuscita per offerta e
risposta del pubblico, con la partecipazione di 22 compagnie, 8 paesi europei rappresentati, 9 prime nazionali, 53 artisti ospiti e tre progetti speciali.
Fra gli intenti principali di Natalia Casorati, come ci racconta nella videointervista, c'è l'avvicinamento e la formazione di un nuovo pubblico: per questo durante l'anno non
solo apre 'casa sua' per accogliere artisti e pubblico, ma da anni ha deciso anche di puntare sulla danza urbana, per catturare spettatori metropolitani e casuali, di
passaggio. Da quest'anno, poi, mira anche ad incuriosire e coinvolgere adolescenti, con esiti inaspettati e felici come quelli pubblicati su queste pagine.
Nell'edizione 2013 è riuscita a proporre spettacoli che sono riusciti ad arrivare al pubblico, e non solo agli addetti ai lavori. E già questo non è poco.
Dalla sua, del resto, Natalia vanta passione e capacità. Non ancora chiusa un'edizione, è già all'opera per partecipare ai bandi e tessere relazioni per quella successiva.
Pensando al futuro, si può anticipare che il prossimo anno la residenza condivisa coinvolgerà sia il centro coreografico Mains D’oeuvres di Parigi, con la partecipazione
dell’artista torinese Maura Dessì
e della italo/francese Lorena Dozio, sia il festival Corpi Urbani di Genova, con la torinese Daniela Pga n
a i
e la ligureGiselda n
Ra ieri . Da
sempre, infatti, Casorati punta anche a far crescere e valorizzare gli artisti del territorio, come ha già fatto in passato con Ambra Senatore e oggi con lo stesso Ninarello.
Interplay/13: http://www.mosaicodanza.it/interplay13.htm
Url articolo e video: http://www.klpteatro.it/interplay-13-quando-il-pubblico-e-trasversale - Pubblicato su klpteatro.it il 5 luglio 2013
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Spoleto56: immersi nella drammaturgia della natura
di Michele Ortore
Tornare a calcare le strade e gli acciottolati dei paesi umbri è, per chi ama questa regione, la
conferma di una possibilità che, tornati in città, si dimentica troppo facilmente.
Qui l'architettura umana ha lo stesso passo del funambolo, quando in equilibrio sottile con la
natura riesce ad attraversare, con apparente semplicità, le vaste distanze oltre cui si getta il Ponte
delle Torri di Spoleto, a ricordarsi di essere – essa stessa – natura: «Sono salito a Spoleto e sono
anche stato sull'acquedotto, che nel tempo stesso è ponte fra una montagna e l'altra. Le dieci
arcate che sovrastano a tutta la valle costruite di mattoni, resistono sicure attraverso i secoli,
mentre l'acqua scorre perenne da un capo all'altro di Spoleto. [...] L'arte architettonica degli antichi
è veramente una seconda natura», scriveva Goethe nel suo "Viaggio in Italia".
Così è difficile credere che, poche ore prima di scrivere queste righe, stavo correndo lungo uno dei
tanti binari della stazione Termini, rinnovando la mia sudata fama d'inseguitore di treni.
Ad Assisi, Todi, Spoleto e negli altri borghi umbri si sono accese, nel Medioevo, le fiaccole
inventive delle laudi, del teatro religioso e devozionale: il Festival dei Due Mondi ha raccolto la loro
eredità, ampliandola fino a prospettive oltreoceaniche.
Accanto agli echi e alle riprese di questa teatralità esplicita e vivente, però, mi ha sempre colpito
anche quella silenziosa e potente dei luoghi, la capacità di certi scorci e di certe piazze di essere
scenografie di un'identità forte, protettiva, che senz'altro serviva un tempo come arma di
distinzione dai Comuni vicini: la vera meraviglia, però, è che poi basta alzare lo sguardo oltre
l'ultimo arco scenico, l'ultima cupola o l'ultimo campanile, per riempirsi gli occhi del controcanto dei
boschi arrampicati sulle colline. Ciò che forse dovrebbe fare sempre il teatro: conquistare con la
drammaturgia un tempo e uno spazio propri, liberi, in cui elaborare etiche ed estetiche; ma allo
stesso tempo suggerirne la fragilità, non cedere alla tentazione di dimenticare il fuori, il reale, la
natura attorno, facendo sì che anche la più compiuta «pièce bien faite» sia attraversata da una
ferita, dal segno muto di tutto ciò che, renitente alla forma, ogni operazione artistica non può fare a
meno di lasciar fuori dal suo cerchio.
Con questi pensieri sono entrato nella maestà verticale della Chiesa di San Salvatore, per assistere alla seconda parte del Decalogo messo in scena da Stefano Alleva,
elaborazione drammaturgica del secondo comandamento, "Non nominare il nome di Dio invano".
Il regista e gli sceneggiatori hanno già spiegato a KLP il senso della loro operazione, ispirata dall'opera di Kieslowski ma basata su storie di cronaca capaci di farsi esempio
della faticosa e conflittuale ricerca di nuovi valori.
In scena ci sono Paolo Gatti, nel ruolo di un insegnante di piano e seminarista, Diletta Acquaviva, giovane allieva del primo, e Fabio Massimo Amoroso, padre della
ragazza. Dev'essere allo stesso tempo emozionante e difficile, per gli attori, agire teatralmente sull'abside di un capolavoro architettonico che ha quasi un millennio e mezzo
di storia.
L'uso dello spazio prevede due piani principali, uno sotto e uno sopra l'altare; alcuni pannelli di vetro opaco aiutano a disegnare, assieme alla descrittività degli oggetti
scenici (un tavolo, un pianoforte e qualche sedia), il realismo degli incontri fra l'allieva e il suo maestro di piano.
Alleva sceglie di raccontare la storia secondo un montaggio cinematografico, giustapponendo scene brevi e segnate da pochi e decisivi scambi di parole; diversamente dal
cinema, l'esito è un ritmo lento e riflessivo, le cui pause vengono riempite dalla musica dal vivo dell'orchestra e dagli interventi di danza della performer Micol Maidani, così
come dai cromatismi forti delle luci che scolpiscono il transetto, gli archi e i capitelli di San Salvatore.
I capisaldi della storia sono due «topoi» congiunti in una sola vicenda: le lezioni di musica nascoste dalla figlia ad un genitore arido e troppo protettivo; il seminarista e il suo
anelito all'amore divino improvvisamente messo in discussione da quello incarnato per una donna. L'ordinazione da presbitero, scandita da una voce off e dall'evocazione
simbolica (in verticale) della prostrazione, è il nodo della narrazione, iato incolmabile tra desiderio e realtà.
Ma se, come ci ricorda il Vangelo, soltanto chi conosce l'amore può amare Dio, in questa sottrazione tragica si cova anche la possibilità di una sintesi: quella cioè, per
tornare a quanto dicevamo prima sul teatro e sulle architetture umbre, della consapevolezza. La possibilità di abbracciare anche ciò che non è, o non può essere.
E questa possibilità continueremo a stringerla in tasca, a sfiorarne la consistenza indicibile, continuando a cercarla nel tanto teatro che ci attende nei prossimi giorni di
festival.
Festival dei Due Mondi: http://www.festivaldispoleto.com/
Url articolo e video: http://www.klpteatro.it/spoleto56-immersi-nella-drammaturgia-della-natura - Pubblicato su klpteatro.it il 6 luglio 2013
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