Oltre 200 opere sono esposte nella sede storica dell`azienda di
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Oltre 200 opere sono esposte nella sede storica dell`azienda di
Cultura | La fabbrica dell’arte Non è una galleria aziendale, ma la raccolta d’arte di una famiglia di imprenditori. L’obiettivo dell’apertura al pubblico della collezione, avviata da Achille Maramotti negli anni Sessanta, è di condividere il suo viaggio nell’arte contemporanea di Stefano Marchetti Per tutte le immagini: courtesy Collezione Maramotti, Reggio Emilia Oltre 200 opere sono esposte nella sede storica dell’azienda di famiglia 58 OUTLOOK Mimmo Paladino, «Campi Flegrei», 1982-1983 Maramotti collection e dalle vetrate vedessimo scorrere un fiume, potremmo magari pensare di essere a Londra, e di camminare nelle sale di una straordinaria Tate Modern, sia pure in sedicesimo. Anche qui, come là, ci muoviamo all’interno di un edificio post industriale. Anche qui, come là, siamo circondati dalle grandi firme dell’arte contemporanea. Ecco le lettere e i numeri colorati di un giovanissimo Jannis Kounellis, ecco i segni inconsci di Cy S OUTLOOK 59 In primo piano: Christopher Lucas, «Adam Kadmon’s Jet», 1996. A sinistra: Ray Smith, «Elefante Azul», 1991. A destra: Ray Smith, «La Pimpinela», 1988 La storia | Achille Maramotti, tra moda e arte chille Maramotti è stato uno dei più importanti imprenditori italiani, e soprattutto una personalità ricchissima di interessi e di attività. La sua grande riservatezza, che è poi anche la cifra della sua famiglia, è andata infatti di pari passo con tante passioni, come appunto quella per l’arte. Maramotti era nato a Reggio Emilia nel 1927, e si è spento ad Albinea nel gennaio 2005, pochi giorni dopo il suo 78° compleanno. Studiò a Roma, e nella capitale conseguì la laurea in Giurisprudenza, poi rientrò a Reggio: la mamma, che era figlia di un piccolo proprietario terriero e di Marina Rinaldi (da cui poi deriverà uno dei marchi del gruppo), aveva aperto una scuola di taglio con sartoria, e fu proprio da qui che nel 1951 Achille Maramotti creò la Max Mara. La parola Max voleva dare forza al nome e renderlo internazionale, mentre Mara era un diminutivo del cognome. Achille Maramotti riuscì ad anticipare l’idea di prêt-à-porter: mentre ancora la moda era intesa come attività artigianale, la produzione degli abiti diventò un processo industriale, e la Max Mara crebbe A 60 OUTLOOK velocemente. Il marchio è sempre stato più importante del singolo stilista, anche se varie collezioni della Max Mara sono state ideate da alcuni fra i più importanti creativi della moda, come Karl Lagerfield, Dolce & Gabbana, Narciso Rodriguez, Luciano Soprani e Guy Paulin. Sposato con Ida Lombardini (un altro cognome famoso nell’imprenditoria reggiana, e non solo), in parallelo Achille Maramotti ha assunto un ruolo di rilievo anche nel mondo finanziario, con il Credito Emiliano e le cariche rivestite in varie società, dal Credito Italiano (oggi Unicredit) a Mediobanca. Nel 1983 il presidente della Repubblica Sandro Pertini gli conferì la nomina a Cavaliere del lavoro. Il gruppo fondato da Achille Maramotti ha ormai diramazioni in tutto il mondo, con vari marchi, da Max Mara a Marella, Pennyblack e I Blues: sono più di 2.200 le boutique presenti in 90 nazioni. Il business di famiglia prosegue con i tre figli Luigi, Ignazio e Ludovica che costituiscono anche il board della Collezione Maramotti, fra le principali raccolte d’arte contemporanea. Frontalmente, Enzo Cucchi, «Le case vanno in discesa», 1983. In primo piano sulla sinistra, David Salle, «The Farewell Painting», 1985. In secondo piano sulla sinistra: Annette Lemieux, «Untitled (Pacing)», 1988 Twombly, poi i big five della Transavanguardia italiana, da Mimmo Paladino a Sandro Chia. Due rampe di scale, e ci fermiamo a riflettere di fronte agli interni borghesi di Eric Fischl così come davanti al «Man of sorrow» di Julian Schnabel e ai volti vagamente enigmatici di Alex Katz. Poco più avanti, ecco un’intrigante «Alchemy» di Basquiat. Fino a pochi anni fa in questi ambienti si disegnavano abiti, si sceglievano tessuti, si cucivano sogni. Oggi i sogni sono appesi alle pareti, si lasciano ammirare, scrutare e magari interrogare: sono tele e colori, sculture in cuoio, in stallazioni sonore, grandi murales. Capolavori. Incastonata fra padiglioni industriali, concessionarie e centri commerciali della cintura di Reggio Emilia, la Collezione Maramotti svetta fra le principali raccolte di arte contemporanea, non soltanto in àmbito italiano: un vero e proprio scrigno di tesori, rivelatore delle passioni e della competenza dell’imprenditore-collezionista che lo ha creato, il cavaliere del lavoro Achille Maramotti, scomparso nel 2005. Aperta al pubblico quattro anni fa nell’ex stabilimento Max Mara di via Fratelli Cervi, la Collezione Maramotti tuttavia si è costituita nell’arco di più di tre decenni, dagli anni Sessanta, e continua a crescere grazie all’impegno di Luigi, Ignazio e Maria Ludovica Maramotti, figli di Achille. «Alcune di queste opere erano esposte a rotazione già negli spazi della fabbrica, negli uffici e nei locali di produzione», ricorda la direttrice Marina Dacci. «Anche in questa sede ad hoc, la collezione è pur sempre come una casa privata che si apre ai visitatori in una struttura che cerca di avere un rigore museale, ma non pretende di scimmiottare un museo». Non è una collezione d’impresa, ma la raccolta di una Aperta al pubblico quattro anni fa nell’ex stabilimento Max Mara di via Fratelli Cervi a Reggio Emilia la Collezione Maramotti è nata dalla passione per l’arte contemporanea dell’imprenditore Achille Maramotti, scomparso nel 2005, e continua a crescere grazie all’impegno dei figli: sono 750 le opere che la famiglia ha affidato alla Collezione e 210 quelle esposte in permanenza nelle sale OUTLOOK 61 Cultura | La fabbrica dell’arte famiglia di collezionisti che ha anche attività e interessi economici (dal settore tessile al bancario), e ha deciso di condividere e far conoscere il suo viaggio nell’arte contemporanea. Molti dettagli conferiscono alla Collezione Maramotti un tratto di autonomia, che è un punto di legittimo orgoglio: la raccolta non si è costituita in fondazione e, a differenza di quanto è avvenuto per altre collezioni italiane, è stato scelto di non designare un direttore artistico, per mantenere la centralità alla figura del collezionista, così come è stato dall’inizio. Il fil rouge che unisce le varie opere è unicamente la storia di chi le ha acquistate, il suo slancio per l’arte più d’avanguardia: «È come una biografia iconografica del collezionista con il suo gusto, i suoi azzardi e le sue emozioni», aggiunge Marina Dacci. «La libertà dello sguardo e dell’interpretazione è lasciata volutamente agli occhi e alla sensibilità di ciascuno». E a sottolineare ulteriormente l’esclusività dell’eccellen- PRODUCIAMO IMBALLAGGI CON LEGNO PROVENIENTE DA FORESTE GESTITE IN MODO RESPONSABILE. Alessandro Pessoli, «Fiamma pilota», 2011 (olio, smalto, vernice spray su tela) Il fil rouge che unisce il prezioso materiale è unicamente la storia di chi le ha acquistate, il suo slancio per l’arte più d’avanguardia: «È come una biografia iconografica del collezionista con il suo gusto, i suoi azzardi e le sue emozioni», afferma la direttrice Marina Dacci www.apvd.it Appuntamenti | Le mostre di Alessandro Pessoli e Andrea Büttner Pan European Forest Certification UTILIZZANDO GLI IMBALLAGGI CHIMAR, PROTEGGETE I VOSTRI PRODOTTI E L’AMBIENTE. CHIMAR SpA Via Archimede, 175 - 41010 Limidi di Soliera (Mo) tel. (+39) 059 8579611 - fax (+39) 059 858095 [email protected] www.chimarimballaggi.it INDUSTRIE IMBALLAGGI MODENA MODENA MILANO vernice spray applicata con l’uso di stencil. Come già avvenuto per tutti i progetti, anche l’artista ravennate (che vive e lavora a Los Angeles) ha creato queste opere per la collezione che acquisirà le sue tele. Dal 13 novembre 2011 fino al 29 aprile 2012 la Collezione Maramotti presenta anche «The Poverty of Riches», il nuovo progetto dell’artista tedesca Andrea Büttner, vincitrice della terza edizione del «Max Mara Art Prize for Women», in collaborazione con la Whitechapel Gallery di Londra. L’opera di Andrea Büttner esplora gli intrecci fra religione e arte, e le affinità fra comunità religiose e mondo dell’arte sul tema della povertà e della vergogna. Le trenta opere in mostra sono ispirate dal periodo di residenza trascorso in Italia dopo l’attribuzione del premio: Andrea ha vissuto per qualche tempo in monasteri o conventi, ha studiato gli affreschi di Giotto, e le opere dell’Arte Povera. In particolare ha cercato un dialogo con alcuni lavori della Collezione Maramotti (Alberto Burri, Piero Manzoni, Mario Merz, Enrico Castellani). La mostra ospita piccoli lavori di pittura su vetro, installazioni e grandi xilografie. Con la tecnica della xilografia l’artista riprende elementi dell’iconografia religiosa come il pane, il tavolo o l’immagine di San Francesco. E, come nell’arte religiosa c’è un uso simbolico delle stoffe, così anche Andrea Büttner si appropria dei tessuti quotidiani (ritagliati anche da divise di poliziotti e di netturbini) per farne dipinti monocromi, tesi come fossero tele. OUTLOOK 63 PACKAGING SOLUTIONS BOLOGNA ’iconografia religiosa, come punto di partenza delle reinvenzioni formali e pittoriche: questa la chiave del progetto di Alessandro Pessoli per la Collezione Maramotti. Le tre grandi tele di «Fiamma pilota le ombre seguono» vengono presentate nella Pattern Room della collezione dal 30 ottobre 2011 fino al 29 gennaio 2012. I tre dipinti si richiamano l’uno con l’altro e hanno come «fiamma pilota», quindi come filo conduttore, il complesso soggetto della Crocifissione. Nelle opere si evidenzia una ricerca di continuità con la storia dell’arte e al contempo una decostruzione e ricostruzione linguistica, una tensione verso la reinvenzione iconografica: per questo Pessoli si avvale, oltre che del tradizionale gesto pittorico, di tecniche quali collage o L VICENZA Anselm Kiefer, «Buch (The Secret Life of Plants)», 2002. Sul fondo a destra, Ettore Colla, «Officina solare», 1964 za, ci sono anche le modalità di accesso: la collezione è aperta re- nel tempo». Achille Maramotti iniziò con un interesse per il golarmente dal giovedì alla domenica, senza biglietto e con in- barocco italiano, poi si avvicinò alla metafisica e all’opera di gresso gratuito, ma si può visitare soltanto su prenotazione, e a Giorgio Morandi. «Dalla metà degli anni Sessanta, come tutte le numero chiuso, per piccoli gruppi che vengono accompagnati nel- persone che amano l’avventura della sperimentazione, è passato le 43 sale, fra le varie opere e i loro autori. «Non abbiamo la pre- alla contemporaneità», osserva Marina Dacci. «In questo c’era occupazione dei grandi numeri, e comunque accogliamo in media sicuramente un’affinità con la sua ricerca sul design di moda: la 10.000 visitatori all’anno: fra loro un terzo sono stranieri», pro- capacità di leggere e anticipare i gusti». Fra i primi lavori acquisisegue la direttrice. «In ogni caso arrivano spesso anche visitato- ti, quelli di Piero Manzoni, Lucio Fontana, Jean Fautrier: artisti ri inattesi, che magari ci hanno scoperto in che considerava suoi contemporanei, acquirete o per passaparola». Come avviene prostando opere nel periodo in cui venivano reaprio durante la nostra conversazione: la collizzate, «proprio perché le sentiva vicine alla lezione sarebbe chiusa, ma suona alla porta sua sensibilità»: non ha mai considerato l’arun’insegnante belga di storia dell’arte, di te come una forma di investimento finanziapassaggio a Reggio, che viene accolta senza rio, ha anche «scommesso» coraggiosamente problemi. su alcuni autori, e spesso ha avuto ragione. E in molti casi, le scelte dell’imprenditore-colleEntrando nel percorso di visita, si viene salutati da una citazione di Walter Benjamin: zionista sono state accompagnate da Mario «Il motivo più profondo del collezionista può Diacono, con cui ha condiviso amicizia proessere così circoscritto: egli intraprende una fonda e scam bio intellettuale. Maramotti lotta contro la dispersione. Il collezionista riuebbe una attenzione speciale per la pittura e nisce ciò che è affine: in tal modo può riuscirper la tensione metafisica dell’opera. Il work gli di dare ammaestramenti sulle cose, in vir- Peter Halley, in progress è ancora una delle anime della tù delle loro affinità o della loro successione «The Western Sector», 1989-1990 Collezione Maramotti: il piano terra della OUTLOOK 65 In primo piano, Eric Fischl, «Birthday Boy», 1983. In fondo a sinistra, Alex Katz, «Ursula», 1988. Sulla destra, Malcolm Morley, «Farewell to Crete», 1984 sede ospita tre o quattro mostre all’anno, con progetti realizzati espressamente per la collezione, «un modo che restituisce centralità all’artista, e unisce presente e futuro della raccolta, senza assilli o finalità altre che non siano il piacere di avvicinare, raccogliere e condividere l’arte», spiega la direttrice. Già dalla fine degli anni Settanta, Achille Maramotti concepiva l’idea di aprire al pubblico la sua collezione. Nel 2003, quando la Max Mara trasferì la sua attività in una nuova sede, si decise di trasformare lo stabilimento originale (costruito e ampliato fra gli anni Cinquanta e Sessanta) nella «casa» della raccolta d’arte: «Uno spazio di produzione di design di moda è stato convertito in Achille Maramotti cominciò con l’interesse per il barocco italiano, poi si avvicinò alla metafisica e all’opera di Giorgio Morandi. «Dalla metà degli anni Sessanta è passato alla contemporaneità», osserva Marina Dacci. «In questo c’era sicuramente un’affinità con la sua ricerca sul design di moda: la capacità di leggere e anticipare i gusti. Non considerava l’arte un investimento finanziario, ha anche “scommesso” su alcuni autori e spesso ha avuto ragione» luogo di produzione culturale», sottolinea Marina Dacci. Il progettista inglese Andrew Hapgood è intervenuto senza stravolgere l’idea che animava l’edificio originario, anzi rispettandola e valorizzandola anche nella sua nuova vocazione. Nei diecimila metri quadri di superficie disponibile, si è mantenuta l’illuminazione di taglio industriale con i tubi al neon, e si è salvato il pavimento in mattonelle che porta ancora i segni del suo vissuto: la luce naturale entra da larghe vetrate, filtrata da un sistema di pannelli che si aprono e si chiudono secondo le ore della giornata. Eppure sottotraccia il cuore della struttura è diventato completamente tecnologico. Ed è stato poi completamente ripensato l’ingresso alla collezione: al pianterreno un lungo, ampio corridoio, dove si cammina sui classici cubetti di porfido, diventa come un asse visivo, un cannocchiale per immergersi in un mondo nuovo. Qui si trovano gli spazi espositivi temporanei, una ricca biblioteca, l’archivio, gli uffici. La collezione permanente invece è allestita al primo e al secondo piano: sopra l’ingresso principale, al centro della raccolta, è stato collocato uno spazio alto tre piani, che diventa quindi il «perno», il principio e la fine di ogni visita. Il fabbricato poi vive nell’abbraccio di piante e alberi tipici della zona: l’architetto lo ha pensato «per rafforzare l’idea di una ricolonizzazione del luogo come paesaggio post-industriale». Sono circa 750 le opere che la famiglia Maramotti ha affidato OUTLOOK 67 COSTRUIRE CON PASSIONE DAL 1933 Realizzazioni, ristrutturazioni e costruzioni di rilievo per Modena e provincia: su questo l’azienda ha costruito la sua storia, che è anche la storia della città. Serietà e professionalità hanno accompagnato la Mario Neri attraverso gli anni, permettendole di crescere e di trasformarsi in una società in grado di operare in più settori e su tutto il territorio nazionale. Mario Neri S.p.A. Viale Indipendenza 12/14 - 41100 Modena Tel +39 059 281.600 - Fax +39 059 281.862 www.marioneri.it Cultura | La fabbrica dell’arte «Cimento», murale di Mimmo Paladino, introduce alla visita che si apre con l’opera che Maramotti teneva nel suo studio, «Il sogno», una fusione in bronzo di Arturo Martini (1931-1950), l’invito a lasciarsi prendere e accompagnare dall’arte. L’esposizione segue un criterio soprattutto cronologico, legato appunto alle scelte del collezionista: si comincia con alcuni quadri delle avanguardie europee fra gli anni Quaranta e Cinquanta e una dedica al protoconcettuale italiano, dalla «Petite magie» d i Jean Fautrier al «Man eating a leg of chicken» di Francis Bacon, dal «Sacco e Rosso» di Alberto Burri alle due «Amalasunta» di Osvaldo Licini. In una stanza «metalinguistica», gli alfabeti di Piero Manzoni sembrano poi dialogare con i tratti di Cy Twombly e con le lettere del primo Kounellis. Ed è proprio l’artista greco che fa da cerniera verso il pop italiano, quello della Scuola romana degli anni Sessanta (con il «Colosseo» di Pino Pascali, lo «Specchio» di Tano Festa, la botticelliana «Primavera allegra» in stoffa imbottita, realizzata da Cesare Tacchi, o il «Manifesto» di Mario Schifano, che all’epoca venne acquistato per diecimila lire), e verso la cosiddetta «Arte povera», che qui è rappresentata per esempio dal primo «Autoritratto» in pelle di Gilberto Zorio così come dalle crea zioni di Alighiero Boetti, Michelangelo Pistoletto, Giovanni An selmo, Giuseppe Penone o di Mario Merz, a cui è dedicato tutto un open space, una stanza senza barriere dove spicca il «Coccodrillo con la serie di Fibonacci», una sequenza di numeri potenzialmente senza fine, che dunque non si può bloccare fra pareti. E nel contesto del concettuale si inscrive anche la figura di Claudio Parmiggiani, l’artista di Luzzara con cui Maramotti ebbe una lunga frequentazione e Jannis Kounellis, amicizia: nel cavedio ricavato fra i due piani «Senza titolo», 1961 dell’edificio occupa un posto particolare la sua «Caspar David Friedrich», la sua enorme «barca» sospesa al soffitto, visibile in una luce lattiginosa. Varie opere di Parmiggiani, testimonianza di un ventennio di lavoro, dagli anni Sessanta agli Ottanta, sono poi protagoniste in una sala monografica. I passi successivi ci introducono al neo espressionismo, quello italiano della Transavanguardia, con «La cucina di Dioniso» di Sandro Chia o «La Stoltizia» e i «Campi Flegrei» di Mimmo Paladino e «La paura va a passeggio» di Enzo Cucchi, e quello tedesco di Gerhard Richter e Georg Baselitz, fino all’incredibile scultura in piombo «Buch (Tre Secret Life of Plants)» che chiude idealmente il percorso al primo piano, raccontandoci un legame fra le costellazioni astrali e il mondo vegetale. Salendo al piano superiore, poi, entriamo nell’orizzonte degli artisti anglosassoni e d’oltreoceano, con la nuova figurazione americana. Ammiriamo il «Birthday boy» di Eric Fischl e il volto di «Ursula» di Alex Katz, le opere di Jean-Michel Basquiat, e quelle neo-espressioniste di David Salle («The Farewell painting») e Julian Schnabel. Il confronto fra «Lola» di Schnabel, con la sua forte matericità, e «January V» di Katz, opera rarefatta, nitida e silenziosa, è paradigmatico di ricerche che in quegli anni viaggiavano in differenti direzioni. Viene esplorata poi la New Geometry, con le combinazioni astratte di forme e di segni nelle opere di Richmond Burton o di Sean Scully, di Philip Taaffe o Peter Halley e Ross Blechner. E si arriva così a una nuova generazione di artisti americani e britannici, a cui Maramotti guardò con sempre maggiore interesse: la pittura post-pop di Cain e Baechler, l’ironia fumettistica di Vaismann e Schumann, le immagini di tono surreale della Essenhight, la videoarte di Bill Viola. Fino agli artisti molto amati dal collezionista negli ultimi anni: Ellen Gallagher con le sue figurazioni simboliche e minimaliste, Matthew Ritchie e i suoi richiami al cosmo e alla natura, il satirico Tom Sachs e il sorprendente Barry x Ball, di cui vengono presentate quattro sculture, come «Matthew Barney», un corpo filiforme di oro e onice messicana, che ci appare sospeso a cavi d’acciaio nell’open space del secondo piano, proprio accanto a un’installazione audio di Vito Acconci, «Due o tre strutture che s’aggancino a una stanza per sostenere un boomerang politico», per la cui presentazione è stato ricostruito esattamente lo spazio che l’aveva ospitata nel 1978. «Di Achille Maramotti mi ha sempre colpito la grande curiosità e visionarietà, che anche in questa collezione ha saputo coniugare tradizione e innovazione, come nel suo lavoro in impresa», dice Marina Dacci. «L’arte è passione, amore, impegno intellettuale. Noi cerchiamo di farla conoscere con uno stile molto asciutto e rigoroso, e con grande attenzione alla qualità del processo di lavoro nella produzione dei progetti e nel rapporto con i nostri visitatori che debbono sentirsi al centro di una esperienza emozionale molto personale, nel rispetto della volontà e delle finalità del collezionista». Come a dire: noi ci siamo, ma senza clamori. COLLEZIONE MARAMOTTI Via Fratelli Cervi 66 42124 Reggio Emilia tel. 0522 382484 fax. 0522 934479 www.collezionemaramotti.org [email protected] La collezione è aperta regolarmente dal giovedì alla domenica senza biglietto e con ingresso gratuito ma si può visitare soltanto su prenotazione OUTLOOK 69
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