Il pane che io darò è la mia carne per la vita del

Transcript

Il pane che io darò è la mia carne per la vita del
DIOCESI DI AVELLINO
«Il pane che io darò è la mia carne
per la vita del mondo»
(Giovanni 6, 51)
II° Congresso Eucaristico
Diocesano
Avellino 25 aprile - 2 maggio 2010
DIOCESI DI AVELLINO
Piazza Libertà, 23
83100 – Avellino
Tel. 0825/7.45.95
[email protected]
www.diocesi.avellino.it
Grafica copertina: Master Grafica di Marano Massimo
Vescovo di Avellino
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
(Giovanni 6, 51)
Carissimi,
abbiamo scelto il capitolo sesto del vangelo di Giovanni
come testo biblico di riferimento per il cammino ecclesiale che
stiamo compiendo verso il II Congresso Eucaristico Diocesano.
In esso raccogliamo il messaggio centrale che dà forza e
anima la testimonianza pubblica della nostra chiesa avellinese
nell’ambito sociale. Dal sacramento dell’eucarestia si
prolunga misticamente la vita di Cristo nell’uomo, nella
chiesa, nella società e nel mondo. E’ la fede in lui, pane vivo
disceso dal cielo che ci consente di irradiare lo splendore della
verità su tutta la realtà umana che ci appartiene, a livello
personale e comunitario. Questa fede chiede di andare oltre
se stessi e impegnarsi per creare una società fraterna. «La fede
non è un deposito di verità morte, che si mettono
rispettosamente ‘da parte’, per organizzare senza di esse tutta
la vita… Per conservarsi soprannaturale, la carità non è
costretta a farsi disumana: come lo stesso soprannaturale non
si concepisce se non si incarna. Colui che si sottomette alla sua
legge, lungi dal liberarsi con ciò dai suoi legami naturali,
mette al servizio della società di cui la natura l’ha fatto
membro, un’attività tanto più efficace, quanto più libero ne è
il principio» ( HENRI DE LUBAC, Cattolicismo).
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 4 ――――――――――――――――
Dalla partecipazione alla “sua carne” e al “suo sangue”
mediante l’eucarestia si produce ancora oggi, attraverso la
presenza e l’azione della chiesa, corpo mistico di Cristo,
quella trasformazione del mondo che lo rende più giusto
mediante la carità. E’ questa la funzione del sacerdozio di
Cristo, e dunque della chiesa: quella di «consacrare il mondo
perché diventi ostia vivente, perché il mondo diventi liturgia:
che la liturgia non sia una cosa accanto alla realtà del mondo,
ma che il mondo stesso diventi ostia vivente, diventi liturgia»
(BENEDETTO XVI). Questo movimento di ricapitolazione in
Cristo di tutte le cose, che parte dall’Eucarestia, coinvolge noi
cristiani in maniera del tutto particolare. Vivere in maniera
“eucaristica” pertanto significa lasciarsi trasformare dalla
forza di questo mistero, ed essere, perciò, come il segno, il
germe del mondo trasformato.
1. UN SIMBOLO: LA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI (VV. 1-15.
24-29)
Il c. 6 del vangelo di Giovanni è strettamente unitario.
Al miracolo della moltiplicazione dei pani (6, 1-15), a cui fa
seguito come appendice la venuta di Gesù sulle acque del
lago (6, 16-24), corrisponde il lungo discorso sul pane della vita
(6, 25-59) che si conclude con la defezione di molti discepoli e
la professione di fede di Pietro (6, 60-71).
È evidente lo scopo dell'evangelista di presentare il
miracolo della moltiplicazione dei pani come un segno, cioè
come un indizio dato da Dio, attraverso il quale i testimoni
avrebbero dovuto comprendere che Gesù era «venuto dal
cielo». Gesù rimprovera i testimoni del miracolo perché non
hanno voluto comprendere nel fatto dei pani il suo valore di
«segno»: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 5 ――――――――――――――――
perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (6, 26).
Qui, come altrove nel vangelo di Giovanni (2, 6; 5, 14; 9, 5; 11,
25) la parola «segno» ha anche il valore di simbolo, di
manifestazione tipica (typos vuol dire impronta e quindi
immagine) della grazia portata dalla redenzione di Cristo e
attuata dai Sacramenti della Chiesa.
La moltiplicazione dei pani è dunque un «segno» che ha
lo scopo di far nascere la fede in Cristo come disceso dal cielo,
proveniente da Dio; questo aspetto è sviluppato nella prima
parte del discorso sul pane della vita (6, 25-51). Ma il medesimo
fatto è anche un «simbolo» dell'eucaristia come alimento
spirituale distribuito da Gesù; questo aspetto è sviluppato nella
seconda parte del discorso (6, 51-59). Il valore simbolico è
accentuato da alcune particolarità della narrazione della
moltiplicazione dei pani e dal soggiacente confronto con la
manna, reso poi esplicito nel discorso che segue. I particolari
che si comprendono intesi in funzione del valore simbolico
direttamente riferito all'eucaristia sono i seguenti:
a) A differenza dei vangeli sinottici, la moltiplicazione dei
pani è l'unico fatto riferito nel contesto; è come se Gesù si
fosse recato in quel luogo solo per operare il miracolo e
pascere quell'immensa folla.
b) Il quarto vangelo fa intervenire subito Gesù, ed aggiunge
esplicitamente: «Egli sapeva bene che cosa stava per
compiere» (v. 6). Gesù sembra distribuire personalmente il
pane alla moltitudine: «Gesù prese i pani e, dopo aver reso
grazie, li diede a quelli che erano seduti» (v. 11). In tal modo
rende la scena più simile a quella del cenacolo ed anche più
conforme al significato dell'eucaristia, in cui, chiunque siano
i ministri, è Gesù stesso che nutre le folle: «II pane che io
darò è la mia carne per la vita del mondo» (v. 51).
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 6 ――――――――――――――――
c) Un'allusione all'eucaristia è costituita anche dalla parola
usata per indicare il rendimento di grazie: eukharistésas. E’
questa parola che ha dato il nome all'eucaristia. Nel vangelo
di Giovanni si nota una certa insistenza sulla tale parola.
d) Importante è il rilievo che il quarto vangelo dà ai pezzi di
pane avanzati. Se vi è un'insistenza è per il valore
simbolico di quei frammenti (klàsmata) che ricordano
anche nel nome «lo spezzare del pane» (At 2, 42) che nella
Chiesa primitiva designava l'eucaristia.
e) Inoltre, l'insistenza sulla sovrabbondanza dei pezzi
raccolti, se vi si vede sottinteso il valore simbolico, sembra
svolgere questi temi eucaristici: l'eucaristia è un pane
inesauribile: mangiarono dai cinque pani «finché ne
vollero» e ne avanzarono ancora dodici canestri;
l'eucaristia è un pane che non perisce, a differenza della
manna, che veniva raccolta in misura e quello che
avanzava si corrompeva (Es 16, 17-21); l'eucaristia,
distribuita la prima volta da Gesù, rimane nella Chiesa,
affidata agli apostoli: tale è infatti il senso dei dodici canestri,
che corrispondono al numero dei dodici apostoli.
f) Un'altra serie di indizi che raggiunge la stessa conclusione
riguarda il contesto pasquale in cui viene inserita la
moltiplicazione dei pani. Giovanni nota esplicitamente:
«Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei» (v. 4). Il contesto
pasquale attira con sé diverse allusioni ai temi dell'Esodo,
in particolare quello della manna, esplicitamente evocata
con la citazione del Salmo 78 (77), 24: «Diede loro da
mangiare un pane dal cielo» (v. 31). La manna è presentata
qui anche come il prototipo di un «segno» della missione
divina del Figlio, ordinato a suscitare la fede.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 7 ――――――――――――――――
È dunque certo che Giovanni descrive la moltiplicazione dei pani come un'anticipazione profetica della cena eucaristica celebrata dal Signore con gli apostoli e poi ripetuta regolarmente nella Chiesa. L'eucaristia appare qui come l'adesione
sacramentale a Cristo, preparata e accompagnata dall'adesione personale che è la fede in Lui.
2. IL PANE DISCESO DAL CIELO (VV. 30-50)
Il corpo del discorso sul pane della vita, risulta di due
dittici (vv. 32-50 e 48-58) saldati tra loro dai vv. 48-50 che
chiudono il primo e insieme aprono il secondo dittico. Il
concetto che fa da cornice è il confronto che oppone il pane del
cielo alla manna. La manna nel primo dittico è considerata
sotto l'aspetto della sua origine celeste, mentre nel secondo
dittico è considerata sotto l'aspetto di nutrimento. Le due parti
si presentano come un commento omiletico (è il genere
letterario del midràsh) che spiega successivamente le parole
bibliche citate all'inizio: « Diede loro da mangiare un pane dal
cielo » (Salmo 78 [77], 24). Per questo le parole caratteristiche del
primo dittico sono il venire a Cristo, l'essere attratti verso di lui, il
credere in lui (vv. 35.37.40.44. 45.47) come in colui che il Padre
ha dato dal cielo; invece le parole caratteristiche del secondo
dittico sono il mangiare (vv. 51-58, in tutti i versetti) e il bere (vv.
53-56). Si tratta di due modi distinti di adesione a Cristo:
mediante la fede il primo, mediante l'eucaristia il secondo.
Abbiamo così tutti gli elementi per intendere
l'argomento del primo dittico, l'adesione a Cristo mediante la
fede. Ecco i concetti contenuti nel primo dittico:
a) Cristo è il pane venuto dal cielo e dato dal Padre: è il fatto
dell'incarnazione. La vita spirituale, è una forza che
proviene da Dio, il Padre, fonte di ogni essere e fonte della
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 8 ――――――――――――――――
stessa vita del Figlio, e giunge a noi per mezzo di Cristo.
Gesù, il Figlio, è dunque quel pane che il Padre dona per
far vivere gli uomini.
b) «Mangiare» questo pane vuol dire vivere della vita eterna. Il
termine «eterno» si riferisce al modo di essere che non
finirà mai; sarà una partecipazione al modo di essere
proprio di Dio, partecipazione alla quale saranno chiamati
coloro che appartengono a Cristo (v. 39).
c) Questa comunione di vita con Cristo sarà il motivo per cui
Cristo risusciterà i suoi nell'ultimo giorno (vv. 39.40, e nel
contesto eucaristico v. 54). Tutto questo vale, come
vedremo, anche per l'adesione a Cristo nell'eucaristia.
d) Ma ciò che è caratteristico del primo dittico è la funzione
determinante della fede in Cristo. Si tratta della fede non
come adesione a una serie astratta di enunciati (il che si
chiama «contenuto della fede»), ma come adesione alla
persona di Cristo, percepita nella sua entità celeste di Figlio
di Dio e datore di vita. Per questo vi è tanta analogia con
l'eucaristia in quanto contatto personale con Cristo, che del
resto non è realizzabile senza che insieme sia anche
un'adesione di fede.
Gesù si esprime in un modo non privo di immagini ma
estremamente chiaro: il Padre dà agli uomini il «pane», in
quanto manda il Figlio, e di nuovo il Padre dà al Figlio ogni
singolo credente in quanto è lui, il Padre, che attira il credente
verso il Figlio, è lui che direttamente lo ammaestra, perché gli
fa credere che Gesù è il Figlio datore di vita. La fede è il credere
che egli è questo pane, è un venire a lui per vivere di lui. Sembra
cioè un atto piuttosto preliminare, non espresso dall'immagine del mangiare, tanto ovvia invece nel contesto eucaristico
del secondo dittico.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 9 ――――――――――――――――
3. MANGIATE LA CARNE E BERE IL SANGUE (VV. 48-58)
La seconda sezione del discorso sul «pane della vita» è
formata da un dittico, come la prima. Il punto di partenza è
ancora il medesimo del dittico precedente, la contrapposizione del pane della vita alla manna. Il v. 57 riassume con
somma chiarezza tutto questo ordine di idee: «Come il Padre,
(il Vivente, la fonte di ogni vita) ha mandato me (con
l'incarnazione, allo scopo di trasmettere questa vita agli
uomini) e io vivo per il Padre (che è la fonte della vita del
Figlio), così anche colui che mangia me vivrà per me». Giovanni
ritorna sul concetto del pane dato dal Padre come mezzo di
vita per gli uomini. Quello che qui è nuovo è invece il
realismo dell'espressione mangiare.
Si noti il procedimento logico: il pane che è Cristo (v.
48) diventa il pane che Cristo darà (v. 51) e questo pane è la
carne di Cristo. Di conseguenza si passa da un «mangiare»
metaforico (prendere da Cristo la corrente vitale) a un
«mangiare» letteralmente qualche cosa che è la «carne» di
Cristo. Il procedimento logico poi continua: l'obiezione dei
Giudei (v. 52) rende esplicita nel suo strano realismo questa
deduzione, ma Gesù rincara la dose e all'espressione mangiare
la sua carne aggiunge quella ancora più scandalosa di bere il
suo sangue (v. 53). Nessuna espressione metaforica spiega
l'uso di questi termini. Di più, si tratta non di un cibo veritiero
in confronto di ciò che non è tale (come nel v. 32: «il pane
vero»), ma di un vero pane, cioè di un cibo reale, di qualche
cosa che veramente dev'essere mangiato. Questo realismo si
spiega solo per il fatto che si tratta dell'eucaristia.
Il binomio carne-sangue corrisponde a quello di corposangue riportato da Paolo e i Sinottici nel narrare l’istituzione
della cena eucaristica. La frase caratteristica: «la carne (data)
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 10 ――――――――――――――――
per (hypér) la vita del mondo» (v. 51) corrisponde all'espressione
«questo è il mio corpo che è dato per voi (to hypèr hymón)» (Lc 22,
19; 1Cor. 11, 24) e all'altra «questo è il mio sangue... versato per
molti (Mt 26, 28: perì polla»; Mc 14, 24: hypèr pollón)». È dunque
indiscutibile che qui si tratta di mangiare e bere realmente gli
elementi eucaristici, che senza alcun possibile equivoco
vengono chiamati la carne e il sangue di Cristo.
Ciò posto, vediamo qui che le parole di Gesù non si
allontanano dall'argomento iniziale del credere in lui quale
pane della vita, ma vengono a determinare meglio il modo di
adesione a Cristo: la partecipazione all'eucaristia. L'umanità di
Cristo (carne e sangue), strumento di salvezza per tutto il
mondo nel sacrificio della croce («la mia carne per la vita del
mondo») diventa nell'eucaristia lo strumento per comunicare
ai singoli la «vita», la quale è l'argomento di fondo di tutto il
discorso. Gesù ribadisce in forma negativa e affermativa la
necessità di tale mezzo per avere la vita. Di nuovo descrive le
prerogative di questa comunicazione di vita:
a) è un'unione strettissima del fedele con Cristo, espressa
dalla frase dimora in me ed io in lui (v. 56); lo sviluppo
completo di questo concetto si ha nel discorso dopo
l'ultima cena col paragone della vite e dei tralci (15, 1-7);
b) è una comunione di vita che in modo analogico trasmette
la corrente di vita che il Padre comunica al Figlio (cfr. 5, 26;
1, 3.38; 14, 23);
c) contro questa comunione di vita nulla può la morte: chi
mangia di questo pane non muore (v. 50), vivrà in eterno
(v. 58);
d) in forza di questa ininterrotta comunione di vita,
mantenuta mediante l’eucaristia, Cristo all'ultimo giorno
risusciterà i suoi fedeli.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 11 ――――――――――――――――
Questo testo, che richiama attorno alla partecipazione
eucaristica i vari concetti di vita in Cristo e in forza di Cristo,
di vita eterna e di risurrezione di vita, con tali espressioni da
mostrare il carattere indispensabile dell'eucaristia, dà
all'eucaristia il posto centrale nel culto cristiano e tra i mezzi di
salvezza. Si tratta della stessa centralità della Pasqua di Cristo,
morte sacrificale e risurrezione, per la salvezza del mondo,
applicata mediante l'eucaristia alla vita della Chiesa e alla salvezza dei singoli fedeli. L'indole individuale piuttosto che
comunitaria di questa unione con Cristo è l'aspetto messo in
maggiore evidenza nel presente contesto. Ma se si ripensa al
paragone dei tralci uniti alla vite e ai ripetuti richiami
all'unione di tutti i discepoli con Cristo e tra loro nel discorso
di Gesù alla cena dell’addio (15, 1-6.12.17; 17, 21-23) si deve
ritenere che anche l'aspetto comunitario non è assente dalla
prospettiva del quarto vangelo. Un altro motivo ci fa ritenere
implicito nel discorso sul pane della vita l'aspetto
comunitario, il fatto cioè che esso contiene una chiara allusione al convito della Sapienza, affine al tema certamente
comunitario del convito escatologico. Il mangiare e bere
metaforico diventa reale, in modo sacramentale. Il partecipare
al cibo sensibile che è l'eucaristia è un aderire alla realtà
invisibile e divina. Ciò vuol dire che la partecipazione
eucaristica ha un rapporto stretto con l'alimento metaforico
costituito dalla parola di Dio. È il rapporto che abbiamo visto
sussistere tra i due dittici del discorso: aderire a Cristo mediante
la fede e aderire a lui mediante la partecipazione all'eucaristia. La
prima è una premessa della seconda e la seconda non è senza
la prima.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 12 ――――――――――――――――
4. È LO SPIRITO, CHE DÀ LA VITA (VV. 59-71).
In questa appendice del discorso sul pane della vita si
risolvono le due difficoltà esposte dai Giudei a proposito delle
due affermazioni di Gesù: come può Gesù dirsi disceso dal
cielo, mentre se ne conosce l'origine terrena? E come può dare
la sua carne da mangiare?
Ebbene, l'ascensione, il vedere «il Figlio dell’uomo
salire dov’era prima» (v. 62) dissipa ogni dubbio sull'origine
celeste di Gesù (v. 42). L'essere lo spirito e non la carne ciò
che dona la vita (v. 63) fa capire che il mangiare la carne non
deve intendersi in modo del tutto materiale (v. 52). In realtà
questa frase indica che a Cristo si deve credere anche se si
urta contro qualche difficoltà. Tale è il senso che proviene dal
contesto drammatico dell'incredulità dei Giudei e
dell'apostasia di molti discepoli. Questa crisi di fede non
sarebbe certo avvenuta per un malinteso. Così l'appendice
appare del tutto coerente col discorso, ed introduce il
concetto, che il contatto eucaristico avviene con l'umanità
risorta e glorificata di Cristo. Il Cristo risorto è infatti «Spirito
vivificante» (1Cor 15, 45). Da questa concezione, certamente
biblica, dipende la dottrina sull'intervento dello Spirito Santo
nell'attuare il mistero eucaristico e la santificazione dei fedeli
che vi partecipano.
Avellino, 14 febbraio 2010
Solennità dei SS. Modestino, Fiorentino e Flaviano martiri
? Francesco, vescovo
L’EUCARESTIA, MISTERO PASQUALE
NELLA CHIESA PER IL MONDO
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51)
Avellino 25 aprile - 2 maggio 2010
1. PREMESSA
Il II° Congresso Eucaristico Diocesano «Il pane che io
darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51) Avellino
25 aprile - 2 maggio 2010 è un evento che pone attenzione
all’Eucarestia e al Sacerdozio, nella dimensione oblativa «per
la vita del mondo»: l’Eucaristia, infatti, «ci attira nell’atto
oblativo di Gesù» (BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 13). Il
mondo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso il
cielo nel gesto della preghiera, «mossi dalla consapevolezza
che l’amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede
l’autentico sviluppo, non è da noi prodotto ma ci viene
donato. Perciò anche nei momenti più difficili e complessi,
oltre a reagire con consapevolezza, dobbiamo soprattutto
riferirci al suo amore». (BENEDETTO XVI, Caritas in Veritate, n.
79).
Il mistero eucaristico non si può capire se non si
penetra in esso come nell’evento dove la libertà di Dio
s’incontra con la libertà dell’uomo. Si tratta di un evento di
mutua donazione: «O Dio amabilissimo, o amor infinito, vi
prego, fatevi amare, fatevi amare da me. Io non voglio vivere
se non per amarvi, né voglio amarvi, se non per darvi gusto».
(SANT’ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI). Si tratta, ancora, di un
evento trinitario, pasquale ed eucaristico. Come evento
trinitario, è la benevolenza del Padre che, per lo Spirito, ci si
dona nel suo Figlio; come evento pasquale, è l'obbedienza del
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 14 ――――――――――――――――
Figlio fino alla piena donazione della Croce, dove si realizza
la benevolenza del Padre che non lascia che Cristo conosca la
corruzione del sepolcro (cfr. Sal 15). E il nesso fra quest’evento
trinitario e l’evento pasquale è lo Spirito Santo, la Persona
“dono”. Infine, l’evento eucaristico del pane e del vino è
infinitamente differente dall’evento trinitario e pasquale. La
celebrazione dell’Eucarestia è celebrazione del Mistero della
Chiesa. Per questo, durante la Santa Messa, si ricordano,
insieme al Papa e al Vescovo, tutti i membri del Corpo
Mistico di Cristo, vivi e defunti – «…et omni populo
acquisitionis tuae» (MESSALE ROMANO, Preghiera Euc. III): qui,
infatti, è la Chiesa intera misticamente presente.
Noi cristiani, senza dubbio alcuno, come ogni uomo o
donna di buona volontà «siamo cercatori di felicità,
appassionati e mai sazi. Questa inquietudine ci accomuna [...]
Non può essere che così: è la nostra vita quotidiana il luogo
da cui sale la sete di felicità. Nasce con il primo anelito di vita
e si spegne con l’ultimo. Nel cammino tra la nascita e la
morte, siamo tutti cercatori di felicità. Tutti possiamo
riconoscerci nel bisogno di felicità: ma quale felicità
cerchiamo? come la cerchiamo? quali strumenti ce ne
assicurano il possesso? e gli altri, in questa appassionata
ricerca, che posto hanno? Qualcuno ha accusato la tradizione
cristiana di opporsi alla voglia di felicità, di guardare
eccessivamente al futuro dimenticando il presente. Qualche
volta è stato contestato ai credenti in Cristo l’eccessivo prezzo
da pagare per assicurare la felicità, o si sono loro rimproverati
i modelli dal sapore rinunciatario [...] Le provocazioni ci
sfidano e ci aiutano a pensare, facendoci riscoprire alla radice
dell’esperienza cristiana la figura di Gesù, che ci ha offerto il
volto di un Dio amante della vita e della felicità dell’uomo».
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 15 ――――――――――――――――
(CEI, Lettera ai cercatori di Dio, 2009). Possiamo dire che è
nell’Eucaristia che avviene questa riscoperta, questo
rinnovarsi dell’incontro con la figura di Gesù Cristo, volto
rivelato del Padre. È nell’Eucaristia che il cristiano trova la sua
felicità, saziandosi di essa, e vivendo ogni circostanza della
vita con il sapore di questo Pane degli Angeli sulle labbra –
«fac meae menti de Te vivere, et Te illi semper dulce sapere». Ed è
con questo dolce gusto sulle labbra che il cristiano riscopre la
sua vocazione, la «missione propria di tutti i battezzati, nella
varietà e complementarietà dei doni e dei compiti», come
scriveva Giovanni Paolo II nella Ecclesia de Europa, rilevando
tra i segni di speranza «il concentrarsi della Chiesa nella sua
missione spirituale e il suo impegno a vivere il primato
dell’evangelizzazione anche nei rapporti con la realtà sociale e
politica».
2. SINE DOMINICO NON POSSUMUS
Sine dominico non possumus: «Senza il dominicum non
possiamo». La testimonianza che i martiri di Abitene –
nell'odierna Tunisia – resero al Signore durante la
persecuzione di Diocleziano, agli inizi del IV secolo, si può
ricondurre tutta a questa confessione di fede: sono stati
arrestati mentre celebravano il dominicum; il dominicum è
l'unica loro ragion d'essere; e per averlo celebrato vengono
torturati e messi a morte.
«Senza il dominicum non possiamo» (cap. XII), attesta
per tutti uno dei martiri, il lettore Emerito. Non aggiunge
altro. Potrebbe voler dire «non possiamo vivere»: sembrerebbe
il completamento più logico e immediato della frase. Ma
potremmo completare anche «non possiamo far nulla»,
rifacendoci all’affermazione del Maestro in relazione alla vite
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 16 ――――――――――――――――
a ai tralci (dove pure si coglie un riferimento eucaristico):
«Senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5)
Dominicum è il neutro sostantivato dell’aggettivo
dominicus, «del Signore (Dominus)», e da solo significa «una
cosa che è del Signore», che appartiene a Lui, al Dominus.
Sappiamo che Dominus, equivalente del greco Kyrios, indica il
Signore glorioso, il Risorto. L'aggettivo neutro dominicum
potrebbe sottintendere un sostantivo, poi caduto, ma di cui ha
assunto il valore (come dominica dies, «il giorno del Signore»,
caduto dies, è diventato la Domenica).
Per dominicum le possibilità sono diverse: dominicum
corpus: «il corpo del Signore»; dominicum sacrificium: «il
sacrificio del Signore», di cui l'Eucaristia è sacramento;
dominicum sacramentum: «il sacramento del Signore»;
dominicum mysterium: «il mistero del Signore», della sua
Pasqua; dominicum pascha: «la Pasqua del Signore», il suo
mistero di morte e risurrezione; dominicum convivium: «il
convito del Signore»: il termine comprende bene anche lo
stare insieme dei fratelli nella carità per la celebrazione della
cena. Non è necessario tuttavia compiere una scelta in questo
catalogo; in realtà, il termine dominicum comprende tutti
questi valori: è il giorno del Signore, nel quale si celebra il
sacramento del sacrificio del Signore, il suo mistero di morte e
risurrezione.
Procediamo nella nostra riflessione sull’esclamazione di
Emerito. Questa espressione sintetica, Sine dominico non
possumus, «Senza il dominicum non possiamo vivere», nasce in
un’aula di tribunale. È la risposta dei giovani all’accusa mossa
loro, o forse al curioso interrogativo del giudice sul perché
mai avessero violato il divieto. Il giudice non poteva capire
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 17 ――――――――――――――――
quanta forza si nascondesse dietro questo strano rito. Sapeva
che si celebrava di notte, all’alba, prima di andare a lavorare,
ma non comprendeva come tutto ciò potesse portare dei
giovani – anche promettenti, umanamente parlando –
sull’orlo del martirio. Non capiva, il giudice, che in questa
prassi di vita c’è un senso profondo di consapevolezza che
l’Eucaristia è il luogo dove, celebrando in tal modo la
memoria di Gesù, ci si dice gli uni gli altri che ogni fratello ci
sta a cuore, che ogni povero lo sentiamo vicino, che ogni
provenienza è tra noi di casa perché l’abbiamo imparato da
Lui, l’abbiamo imparato dall’inizio. Il giudice, in fondo, non
poteva capire che, se violando il divieto i giovani cristiani
avevano scelto la morte, se avessero rinunciato al dominicum
essi avrebbero rifiutato la Vita.
C’è un altro aspetto da considerare. Per i giovani di
Abitene, il «Fate questo in memoria di me» detto da Gesù è
un’obbedienza da onorare. «Quando Gesù comanda di
ripetere i suoi gesti e le sue parole «finché egli venga», non
chiede soltanto che ci si ricordi di lui e di ciò che ha fatto. Egli
ha di mira la celebrazione liturgica, per mezzo degli Apostoli
e dei loro successori, del memoriale di Cristo, della sua vita,
della sua morte, della sua risurrezione e della sua
intercessione presso il Padre». (CATECHISMO DELLA CHIESA
CATTOLICA, 1341). Le parole dette dal Maestro, addirittura in
un momento di testamento, non si possono non fare: questa è
la ragione stessa del nostro esserci. L’Eucaristia fa quindi
parte delle ragioni del nostro esserci, fa parte del fondamento:
non è l’aspetto aggiuntivo. I martiri di Abitene avevano già
capito che solo l’Eucaristia è davvero fonte e culmine della
vita e della missione della Chiesa, come insegna il Concilio
Vaticano II. Senza l’Eucaristia, non ci sarebbe nulla del resto.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 18 ――――――――――――――――
Un altro testo della metà del secondo secolo (148-150
d.C.) cerca di far fronte ad accuse simili a quelle di Abitene.
Giustino, retore, scrive un’apologia quasi a difesa della giovane
comunità cristiana. È il primo racconto scritto dell’Eucaristia e,
storicamente, è il testo più antico che ci dice come la tradizione
originaria celebrasse l’Eucaristia. Ecco ciò che egli scrive, verso
il 155, per spiegare all'imperatore pagano Antonino Pio (138161) ciò che fanno i cristiani: «Nel giorno chiamato del sole ci si
raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne. Si
leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei profeti,
finché il tempo consente. Poi quando il lettore ha terminato, il
preposto con un discorso ci ammonisce ed esorta ad imitare
questi buoni esempi. Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed
innalziamo preghiere sia per noi stessi [...] sia per tutti gli altri,
dovunque si trovino, affinché, appresa la verità, meritiamo di
essere nei fatti buoni cittadini e fedeli custodi dei precetti, e di
conseguire la salvezza eterna. Finite le preghiere, ci salutiamo
l’un l’altro con un bacio. Poi al preposto dei fratelli vengono
portati un pane e una coppa d’acqua e di vino temperato. Egli
li prende ed innalza lode e gloria al Padre dell’universo nel
nome del Figlio e dello Spirito Santo, e fa un rendimento di
grazie [eucharistia], per essere stati fatti degni da Lui di questi
doni. Quando egli ha terminato le preghiere ed il rendimento
di grazie, tutto il popolo presente acclama: Amen. Dopo che il
preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha
acclamato, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a
ciascuno dei presenti il pane, il vino e l’acqua eucaristizzati e ne
portano agli assenti».
Leggendo questo testo, si possono cogliere due realtà:
mentre ci si ritrova così in grande fraternità c’è un’enorme
attenzione a chi non c’è. L’ “assente” è nominato quattro volte
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 19 ――――――――――――――――
in questo testo; l’ “assente” che non ha esattamente un volto: è
il malato, è l’anziano, è lo straniero, è chi non ci conosce. La
seconda realtà che cogliamo è il riconoscimento della presenza
tra loro dei poveri; quindi il ritrovarsi a celebrare questo gesto
deve essere caratterizzato sempre da espressioni solidali: chi ha
di più, lo porta a chi presiede la comunità perché dopo lo si
possa condividere con chi ha di meno, con i poveri. Del resto,
l’Eucaristia è un sacramento povero: i segni sono quelli della
mensa, della croce. L’ospitalità e la solidarietà contraddistinguono l’Eucaristia degli inizi andando controcorrente rispetto
al momento storico che si viveva; non era questa, infatti, la
logica del contesto culturale; non era l’assetto della società
dentro cui la giovane comunità viveva. L’Eucaristia trasuda di
solidarietà, che ha dentro il linguaggio sorgivo della fraternità e
della condivisione, che ha dentro la sapienza del Vangelo che
conduce il discepolo a celebrarla imitando il Maestro, che è uno
che sta in mezzo ai suoi come colui che serve (Lc 22, 27).
Questa è la ragione per la quale il Vescovo può affermare la
centralità effettiva dell’Eucaristia e l’importanza di farla
emergere nei vissuti pastorali delle nostre comunità. Come non
pensare, allora, alla rivitalizzazione della Liturgia, dell’Architettura Sacra, della Musica? E dall’esaltazione di Cristo
Eucaristia deriva conseguentemente la forma e l’ordine di ogni
edificio chiesa. Come non riprendere gli aspetti della tradizione
delle nostre parrocchie come le Sante Quarantore che sono
state scuole di santità per tanti?
3. L’EUCARISTIA E COMUNIONE ECCLESIALE
Partecipare al Sacrificio eucaristico e ricevere l’Eucaristia significa entrare in comunione personale con Gesù.
Questo aspetto della relazione personale è estremamente
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 20 ――――――――――――――――
importante e va continuamente ribadito e difeso, poiché non
possiamo comunicare sacramentalmente col Signore, senza
farlo in maniera personale. «Ma questa speciale intimità che si
realizza nella “comunione” eucaristica non può essere
adeguatamente compresa né pienamente vissuta al di fuori
della comunione ecclesiale» (GIOVANNI PAOLO II, Mane
Nobiscum Domine, n. 20). La relazione personale con Cristo
nell’Eucaristia non può e non deve restare solo rapporto
privato e intimistico, che dimentica o scavalca la relazione con
il resto dell’assemblea e, più in generale, con la Chiesa. «Nella
frazione del pane eucaristico, -ribadisce Lumen gentium, 7partecipando realmente al Corpo del Signore, noi siamo
elevati alla comunione con lui e tra di noi» e diventiamo
«membra gli uni degli altri». Coerentemente, il documento
dei vescovi italiani Eucaristia, comunione e comunità, al n. 61,
afferma che, se «non si può essere Chiesa senza l’Eucaristia»,
dal momento che è l’Eucaristia a “fare” la Chiesa, d’altra
parte «non si può fare l’Eucaristia senza fare Chiesa. Non si
può mangiare il Pane eucaristico senza fare comunione nella
Chiesa». Per sua natura e per espressa volontà di Cristo, il
memoriale della Pasqua non può che essere vissuto
fraternamente e comunitariamente. «Nella comunione
sacramentale io vengo unito al Signore come tutti gli altri
comunicanti [...]. L’unione con Cristo è allo stesso tempo
unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso
avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in
unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi.
La comunione mi tira fuori di me stesso verso di Lui, e così
anche verso l’unità con tutti i cristiani» (BENEDETTO XVI, Deus
Caritas Est, n.14).
La Santa Messa non possiamo quindi avvertirla come
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 21 ――――――――――――――――
una mera devozione, come una preghiera tra le tante: è il
sacrificio di Cristo, la memoria della Pasqua di Cristo. Non
commemora soltanto la morte di Cristo in se stessa, ma il
passaggio dalla morte alla vita, il percorso salvifico che si
conclude con la glorificazione di Cristo. Ecco perché
nell’Eucaristia noi consegniamo tutta la storia umana, la
nostra vita. Si è dunque di fronte a una “convocazione” a una
“chiamata” che è tutta centrata su questo mistero salvifico. Vi
è una dimensione “misterica” contemplativa che va accolta e
testimoniata. E’ in azione lo Spirito Santo e quindi va
“custodito” il senso profondamente spirituale del celebrare
l’Eucaristia. Noi davvero comunichiamo con il Signore e ci
lasciamo trasformare da Lui. Ecco allora che dobbiamo
evitare due rischi legati ad una ritualità puramente esterna:
subirne il fascino o rimanerne delusi. Vi è una dimensione
“mistica”, “spirituale” che è decisiva. Cosa significa questo? E
come può essere scoperta e condivisa? Certamente non è una
dimensione intimistica: è una apertura al mistero che la
Pasqua di Cristo rivela e attua. Per questo dobbiamo metterci
alla scuola di Gesù ed esprimere nella nostra vita la Sua
passione per l’umanità, per il destino di ogni uomo, affinché
nessuno venga escluso.
L’Eucaristia dunque ci riconsegna il valore del
“legame” con la storia umana, ci interroga e ci inquieta in
profondità. Per questo, ad esempio, il Cantico dei Cantici
nella liturgia pasquale acquistava tutto il suo significato
sacramentale. Ambrogio dice che il Cantico «rappresenta le
nozze di Cristo con la chiesa, dello Spirito con l’umanità, dello
Spirito con l’anima» (Sacr 5, 2, 8). L’Eucaristia è il regalo
nuziale di Cristo alla sua sposa: «Il Signore Gesù [...] ti invita
al convito celeste dicendo «Mi baci coi baci della sua bocca!» e
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 22 ――――――――――――――――
la tua anima, o l’umanità, o la chiesa vede il mirabile
sacramento ed esclama «Mi baci coi baci della sua bocca!, cioè
mi doni Cristo il suo bacio» (Sacr 5, 2, 5-7). E di questo bacio
parla anche uno dei mistici del nostro tempo, San Pio da
Pietrelcina: «Accostiamoci a ricevere il pane degli angeli con
una gran fede e con una gran fiamma di amore ed
attendiamoci pure da questo dolcissimo amante dell’anime
nostre di essere consolati in questa vita col bacio della sua
bocca. Felici noi [...] se arriveremo a ricevere dal Signore della
nostra vita di essere consolati di questo bacio!». L’unione
sacramentale si apre, dunque, all’unione mistica. Non
dobbiamo rendere sterile questa tensione, inebriandoci in
modo sbagliato. Per questo non dobbiamo sottrarci alla storia
umana, alle sue sofferenze, alle sue gioie, piuttosto dobbiamo
lasciarci attrarre da questa vicenda che è il luogo dove si
celebra la salvezza.
Vi è una «ebbrezza dello Spirito» che dobbiamo conquistare, o meglio, da cui dobbiamo farci “sedurre”. Ancora
Ambrogio diceva: «È bellissima l’ebbrezza che costruisce la
sobrietà del cuore». Ecco perché abbiamo bisogno di non
smarrire questo “attaccamento” alla storia umana, lacerata,
attraversata da sofferenza e ingiustizia. Ed allora quando
diciamo che l’esperienza di carità, la vita condivisa con i più
deboli, la sete di verità e giustizia, l’ascolto del grido dei
poveri appartengono alla nostra scelta di fede, sono la nostra
passione di credenti , non ci affidiamo a una retorica scontata,
ma ne facciamo una scelta di vita.
Il rito deve evidenziare, dentro di noi, nella comunità
che celebra, che siamo convocati dal Signore e lì portiamo la
nostra condivisione con la storia umana – «la gioia e la fatica
di ogni giorno» (MESSALE ROMANO, Offertorio), a partire da
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 23 ――――――――――――――――
quella quotidiana, familiare, prossima, del nostro territorio.
Ma, per questo, la fatica, la gioia, la sensibilità inquieta e
interrogante va portata nell’Eucaristia perché questo segno
visibile attraversato dalla dinamica della Pasqua, venga
trasformato nel mistero di comunione e salvezza, ci porti
“oltre” la storia umana. È l’Exultet pasquale che si dilata nella
storia. Nell’Eucaristia ogni credente pregusta la risurrezione:
«Tu senti che ogni volta che s’offre il sacrificio, si celebra la
morte del Signore, la risurrezione del Signore, l’ascensione del
Signore, il perdono dei peccati. Cristo ogni giorno risorge per
te» (SANT’AMBROGIO, Sacr 5, 4.25-26). Come non ricordare le
tracce di questa presenza nell’arte delle nostre Chiese, dagli
altari maestosi alle piccole cappelle, dalle tele settecentesche,
al ciborio del Fanzago in Duomo, a quello rinascimentale di
S.Ippolisto di Atripalda, ai pregevoli Exultet di Mirabella e
alle Confraternite del SS. Sacramento!
Questa apertura al mistero cresce se ci fidiamo davvero
del Signore. La dimensione fondamentale è questa decisione
di affidarsi al Cristo che salva. E questo è possibile se non ci
lasciamo distrarre, se attraversiamo la storia che siamo
chiamati a vivere radicati in questa centralità. Per questo
dobbiamo far sì – e questo è il paradosso cristiano – che si
possa vivere “insieme”, nell’ospitalità fraterna. In fondo,
come dice Paolo, si tratta di una “agape”, una vera e propria
festa di amore reciproco. Una unità che nasce proprio dalla
partecipazione all’unico corpo di Cristo che rende i cristiani
una sola persona: «I molti sono un solo corpo perché
partecipano di un solo pane» (cfr. 1Cor 10, 17). Questa
esperienza interiore ha bisogno di essere educata a crescere in
noi, nel nostro ritrovarci. Ecco perché ogni operatore
pastorale, deve vivere questa dimensione di ricerca e di
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 24 ――――――――――――――――
orientamento contemplativo. Proprio in questa fase dove il
rischio evidente è di essere quasi “assorbiti” dal quotidiano,
dalla delega, che impropriamente viene data, e proprio
perché ci “assumiamo” questa concretezza, dobbiamo
acquisire questa sapienza interiore, questa “custodia” del
silenzio che inquieta e fa cogliere fragilità e limiti. Usando una
espressione poetica “dobbiamo” ripetere spesso il cantico
degli esuli ebrei: «Lungo i fiumi di Babilonia…» (cfr. Sal 137).
Non si educa alla partecipazione eucaristica se non si fa
rivivere nelle nostre comunità questa educazione al silenzio
contemplativo, orante ed al sacro. D’altro canto, neppure ci si
può estraniare: dobbiamo invece riportare il sentimento della
speranza nell’evento eucaristico. Benoit dice che l’Eucaristia è
in un presente storico, memoriale di un evento “storico”, ma
questo oggi e quell’evento hanno in sé un’anima escatologica,
essendo la perfetta irruzione dell’eterno e del divino nel
tessuto della nostra storia. L’Eucaristia è allora celebrazione
della speranza, è «attesa della sua venuta» quando «Dio sarà
tutto in tutti» (cfr. 1Cor 15,28). Con questo «pane degli angeli»
noi compiamo progressivamente l’ultimo esodo, quello
definitivo inaugurato dal Cristo, nostra guida (cfr. At 3,15;
5,31).
Nella Gaudium et Spes si legge: «Il Signore ha lasciato ai
suoi un pegno di speranza e un viatico per il cammino nel
sacramento della fede in cui elementi naturali, coltivati dall’uomo, vengono trasformati nel corpo e nel sangue glorioso
di Lui, in un banchetto di comunione fraterna che è
pregustazione del convito del cielo» (n. 38). Ecco allora che
per «accostarci all’Eucaristia», per avvertirla come centrale
dobbiamo essere persone interrogate dal quotidiano, dalla
domanda di vita che attraversa anche il dolore e il limite.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 25 ――――――――――――――――
L’Eucaristia esplicita la sua tensione missionaria se
riesce a esprimere questa tensione escatologica, questa attesa
di futuro, e se riesce a “celebrarla”. Dovremmo educarci a
celebrarla perché interrogati da questo mistero di speranza.
Si tratta, allora, di cogliere questa opportunità pastorale
di aver richiamato la centralità del «giorno del Signore», della
celebrazione eucaristica per interrogarsi e verificarsi riguardo
al proprio agire e alle proprie scelte. Se, cioè, esse sono interiormente finalizzate e coordinate verso il loro unico centro,
Cristo morto e risorto. Si tratta di partire e tornare con un
movimento incessante al cuore del mistero. Per fare questo è
necessaria la scelta di una opzione spirituale che va accolta
dentro di noi. Impariamo a pregare e a contemplare: il
“concentrarsi” ad adorare l’Eucaristia, a vegliare di fronte all’Eucaristia (di giorno e di notte, pensiamo, ad esempio,
com’è tradizione per l’Apostolato della Preghiera il primo
Venerdì del mese o in altri momenti) è la strada maestra, oggi
più che mai, in questo tempo dove tutti assorbiamo
l’esteriorità, la spettacolarizzazione della morte e della vita.
Dobbiamo farci ospitare dal silenzio adorante che genera vita,
in modo culturalmente sapiente ma appunto per questo
interiormente vissuto. Non si sfugge alla domanda di
interiorità, di ritualità che ne consegue, all’inquietudine che è
dentro di noi.
Non si rimuove solo chiedendo, ma lasciando spazio
davvero al mistero, a quella Pasqua di liberazione che
l’umanità attende. E’ il grido di libertà che è l’Alleanza antica
e la «nuova ed eterna…».
Dio non accoglie il grido degli Ebrei descritto
nell’Esodo in quanto preghiera, ma, il loro grido viene
trasformato in preghiera perché Dio lo accoglie e vi risponde.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 26 ――――――――――――――――
Noi portiamo all’Eucaristia le tante voci, lamentazioni, lodi
che scorrono nella vita. Portiamo tutta la creazione: il mondo
creato è “bello”; ma lo è agli occhi di Dio. Il bello sotto gli
occhi di Dio diventa il bello nel cuore e nella voce del
credente. Ed allora la gratitudine, il dire grazie, la gioia del
ringraziare, del «fare eucaristia» può liberarsi davvero anche
in ciascuno di noi. Siamo convocati per ringraziare e dare
lode.
4. L’EUCARESTIA
CHIESA
FONTE E CULMINE DELLA VITA DELLA
Tutta la Chiesa è unita all'offerta e all'intercessione di Cristo.
Investito del ministero di Pietro nella Chiesa, il Papa è unito a
ogni celebrazione dell'Eucaristia nella quale viene nominato
come segno e servo dell’unità della Chiesa universale. Il
Vescovo del luogo è sempre responsabile dell'Eucaristia, anche
quando viene presieduta da un presbitero.E’ tutta la Chiesa
che offre l’unico sacrificio. Scrive Giovanni Paolo II nella
Lettera Enciclica Ecclesia de Eucharistia: «Ho potuto celebrare
la Santa Messa in cappelle poste sui sentieri di montagna,
sulle sponde dei laghi, sulle rive del mare; l'ho celebrata su
altari costruiti negli stadi, nelle piazze delle città... Questo
scenario così variegato delle mie Celebrazioni eucaristiche me
ne fa sperimentare fortemente il carattere universale e, per
così dire, cosmico. Sì, cosmico! Perché anche quando viene
celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna,
l'Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull'altare del
mondo. Essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade
tutto il creato. Il Figlio di Dio si è fatto uomo, per restituire
tutto il creato, in un supremo atto di lode, a Colui che lo ha
fatto dal nulla. E così Lui, il sommo ed eterno Sacerdote,
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 27 ――――――――――――――――
entrando mediante il sangue della sua Croce nel santuario
eterno, restituisce al Creatore e Padre tutta la creazione
redenta. Lo fa mediante il ministero sacerdotale della Chiesa,
a gloria della Trinità Santissima. Davvero è questo il
mysterium fidei che si realizza nell'Eucaristia: il mondo uscito
dalle mani di Dio creatore torna a Lui redento da Cristo» (n.
8).
Questa dimensione cosmica della Santa Messa – riflesso
del mistero della comunione dei santi – si spiega proprio in
virtù della dimensione sacrificale del rito. In quanto
memoriale della pasqua di Cristo, l'Eucaristia è sacrificio. Il
carattere sacrificale dell'Eucaristia si manifesta nelle parole
stesse dell'istituzione: «Questo è il mio Corpo che è dato per
voi» e: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio Sangue, che
viene versato per voi» (Lc 22,19-20). Nell'Eucaristia Cristo
dona lo stesso corpo che ha consegnato per noi sulla croce, lo
stesso sangue che egli ha «versato per molti, in remissione dei
peccati» (Mt 26,28). L'Eucaristia è dunque un sacrificio perché
ripresenta (rende presente) il sacrificio della croce, perché ne è
il memoriale e perché ne applica il frutto. Cristo, Dio e Signore
nostro, si è immolato a Dio Padre una sola volta morendo
sull’altare della croce per compiere una redenzione eterna:
poiché il suo sacerdozio non doveva estinguersi con la morte
(Eb 7,24.27), nell’ultima Cena, «nella notte in cui veniva
tradito» (1Cor 11,23), volle lasciare alla Chiesa, sua amata
Sposa, un sacrificio visibile (come esige l'umana natura), con
cui venisse significato quello cruento che avrebbe offerto una
volta per tutte sulla croce, prolungandone la memoria fino
alla fine del mondo, e applicando la sua efficacia salvifica alla
remissione dei nostri peccati quotidiani. Il sacrificio di Cristo e
il sacrificio dell'Eucaristia sono un unico sacrificio: «Si tratta
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 28 ――――――――――――――――
infatti di una sola e identica vittima e lo stesso Gesù la offre
ora per il ministero dei sacerdoti, egli che un giorno offrì se
stesso sulla croce: diverso è solo il modo di offrirsi». «E poiché
in questo divino sacrificio, che si compie nella Messa, è
contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che
«si offrì una sola volta in modo cruento» sull'altare della
croce, questo sacrificio è veramente propiziatorio». (Cfr.
CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, 1365-1366-1367).
Ogni volta che la messa è celebrata «si effettua l'opera della
nostra redenzione» (Presbyterorum ordinis, 13). Nella
celebrazione eucaristica, i cristiani in un certo qual modo
sembrano trascendere i confini di questo mondo e accostarsi,
per mezzo di Cristo, a Dio e al mondo celeste. Il mistero è
grande, e va accolto nell’adorazione e nello stupore della fede.
A buon titolo, Claudel può dire: «O mio Dio, questa cosa è
troppo più grande di noi: sia chiaro che sei tu l’unico responsabile di questa enormità!». Davvero, allora, l’Eucaristia
è culmine della vita della Chiesa, è come un centro di gravitazione che unifica le energie interiori partecipate dal Cristo
risorto e fa della Chiesa un popolo in cammino nella storia,
proteso verso la pienezza della vita che l’attraversa ma pur la
trascende. L’edificazione della Chiesa in tempio santo del
Signore avviene nel cuore della stessa sua storia. Collocare
l’Eucaristia al centro della Chiesa vuol dire compiere
un’operazione ben più significativa che allargare il campo
della ritualità. Costituisce una vera riconversione culturale.
Nel Decreto Presbiterorum Ordinis si dice che «nell’Eucaristia è
racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso
Cristo, nostra Pasqua» (n. 5). Ed è ancora Claudel a parlare
dell’Eucaristia come del «compendio del cattolicesimo, il
punto infinitamente sottile e pesante nel quale esso si
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 29 ――――――――――――――――
riassume». Ecco perché è urgente accompagnare questa scelta
pastorale con una rigorosa e sapiente riflessione teologica. Si
deve porre attenzione al dinamismo vitale che l’Eucaristia
rivela. Gesù nella sua persona è divenuto l’evento di salvezza.
Attraverso la morte e risurrezione di Gesù il regno di Dio ha
fatto irruzione definitiva nel mondo. Ha inserito il dinamismo
nuovo di «cieli nuovi e terra nuova» attesi ma già anticipati.
Ed allora nell’Eucaristia si può celebrare già e pregustare
questa novità.
Il fatto che «nessuno tra loro era bisognoso» (At 4, 34) è
un segno di una «epoca fraterna» che s’inaugura e si attende.
La Chiesa, nata dal costato del Cristo pasquale, cammina
verso la piena comunione con Lui. La Pasqua segna insieme
l’inizio e il compimento della Chiesa. Questa verità va
liberata nella quotidianità, va comunicata perché venga
accolta e resa gioiosa notizia. Questo è possibile se il Vangelo
porta la novità gratificante della carità, della gratuità del
«lasciare ogni cosa» per seguirlo.
La vita di carità si esprime nella Chiesa se la comunità è
ospitale, si fa fraterna, non crea divisioni e non scandalizza,
secondo il richiamo di Paolo a quelli di Corinto. E soprattutto
se apre alla speranza. La classica espressione di origine
liturgica «Maranà tha» (cfr. 1Cor 16,22; Ap 22,20) esprime in
modo tipico queste profonde tensioni sostenute nel cuore della
Chiesa dall'Eucaristia. Rapportarsi all’Eucaristia come centro
significa coerentemente entrare dentro la logica pasquale,
muoversi secondo la forza dello Spirito che ci attrae nel
movimento di obbedienza e disponibilità del Figlio all’amore
del Padre. Ecco perché l’Eucaristia ci ricolloca nel cuore di una
scelta di dedizione, di gratuità. Quella lavanda dei piedi
vissuta nel contesto della cena lega indissolubilmente la
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 30 ――――――――――――――――
memoria della Pasqua e il “dedicarsi” con il gesto di
condivisione e di servizio. Accanto al Tabernacolo, Custodia di
Cristo vivo, nel silenzio dell’adorazione, si ascolta ancora il
rumore dell’acqua che, scivolata sui piedi degli apostoli, cade
nel catino. «Vi ho dato l’esempio» (Gv 13, 15) e Sant’Agostino
commenta: «Non disdegni il cristiano di fare quanto Cristo
stesso fece» (SANT’AGOSTINO, In Joannem). Ecco allora che non
si può separare la vita di carità, la consegna del mandato ad
andare a servire, dal «fare memoria». Come all’inizio abbiamo
richiamato la dimensione spirituale, ora siamo mandati a
celebrare la carità, portando il lieto annuncio con lo stile
eucaristico che è condivisione e fraternità, e che rimanda alle
beatitudini (cfr. Mt 5). Siamo chiamati a vivere quella «coerenza
eucaristica» di cui parla il Santo Padre nella Sacrametum
Caritatis: altrimenti, il dono di Dio in noi sarebbe vano.
E’ tempo di slancio profetico e non di chiusure paurose.
Sì proprio in questo, di egoismi striscianti, di vuoti, sono
presenti dentro la storia umana i segni preziosi e anticipatori
di un futuro di pace. «La conversione sostanziale del pane e
del vino nel suo corpo e nel suo sangue pone dentro la
creazione il principio di un cambiamento radicale, come una
sorta di «fissione nucleare», per usare un'immagine a noi oggi
ben nota, portata nel più intimo dell'essere, un cambiamento
destinato a suscitare un processo di trasformazione della
realtà, il cui termine ultimo sarà la trasfigurazione del mondo
intero, fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti»
(BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, n.11). Non lasciamoci
intristire o rinchiudere nel recinto di un sociale pieno di
apparenti visioni di bontà. L’esperienza della condivisione ci
appassioni sempre più alla storia umana: si può cambiare la
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 31 ――――――――――――――――
vita e migliorare il futuro, fidandoci del Signore, perché
facciamo memoria della Pasqua, della morte e della
resurrezione di Cristo. L’Eucaristia non è solo il memoriale
della Pasqua di Gesù, ne è anche la grande esegesi, la grande
interpretazione del suo gesto d’amore. I due discepoli di
Emmaus (cfr. Lc 24,13-35) riconoscono Gesù allo spezzare del
pane perché in quel gesto giungono a comprendere la verità
di un amore più forte, di un amore vittorioso sul male e sulla
morte. Potremmo allora anche dire così: dopo aver spiegato il
senso della croce alla luce di tutte le Scritture, partendo da
Mosè e dai Profeti, ora Gesù torna a spiegarla alla luce della
frazione del pane, proprio perché il pane spezzato e il vino
versato dicono tutta la verità, tutto il senso di quella morte,
anzi più profondamente le conferiscono questo significato che
altrimenti non avrebbe.
5. L’EUCARESTIA E LA MISSIONE DELLA CHIESA
L’Eucarestia: una sfida per i credenti a compiere un Pellegrinaggio verso di Lui, il Vivente, che era, che è e che viene.
L’Agnello immolato prima della creazione del mondo.
L’ultima cena è anticipazione rituale del sacrificio in cui Cristo
«offrì se stesso a Dio» (cfr. Eb 9, 14) per la remissione dei
peccati; la Nuova Alleanza da parte di Cristo; la disposizione di
un testamento, in cui Gesù lasciava in «eredità eterna» (cfr. Eb
9, 15) ai suoi discepoli, il regno del suo Padre (cfr. Mt 26, 29; Lc
22, 29-30). Le parole e le azioni di Cristo nell’ultima cena erano
tutte indirizzate verso il loro adempimento nella sua morte,
senza la quale, non avrebbero avuto nessun senso o valore. Ma
la morte di Gesù non era la fine, il termine dell’opera
redentrice. E in questo amore sacrificale di Dio in Cristo per il
mondo si rintraccia anche l’eterno fondamento dell’Incar-
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 32 ――――――――――――――――
nazione del Verbo «che si è fatto carne ed è venuto ad abitare
in mezzo a noi» (Gv 1,1). Dio nella creazione carica su di Sé la
nostra salvezza e decide di colmare con se stesso l’insufficienza
del creato. Pertanto il sacrificio di Cristo, l’Eucarestia
«costituisce il centro propulsore della vita delle nostre
comunità». Nell’Eucaristia, infatti, si rivela il disegno d’amore
che guida tutta la storia della salvezza. In essa il Deus Trinitas,
che in se stesso è amore, si coinvolge pienamente con la nostra
condizione umana. Per questo, l’Eucaristia domenicale è il
cuore pulsante della settimana, sacramento che immette nel
nostro tempo la gratuità di Dio che si dona a noi per tutti.
L’Eucaristia conduce all’ascesi personale e al servizio ai poveri,
segni dell’autenticità del nostro conformarci a Cristo e della
nostra testimonianza, perché «un’Eucaristia che non si traduca
in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata»
(Nota Pastorale CEI, Rigenerati per una Speranza Viva, (1Pt 1,3)
Testimoni del grande “Sì” di Dio all’Uomo, 6).
Nella vita di ognuno di noi esiste un elemento unificatore, gravitazionale, che la sostiene. Tutto quello che facciamo
e siamo esige la garanzia dell’unità. Vivere, infatti, non può
essere una sommatoria di azioni, di esperienze, di situazioni
diverse tra loro, lo avevano ben compreso i filosofi medioevali che, riflettendo sulla realtà, avevano scoperto che tutto
ciò che esiste è attratto dall’unità, a partire dai singoli organismi. In effetti è proprio così anche per l’uomo. Non siamo
un insieme di organi - biologici - ma una unità, un corpo che
necessita di legami.
La stessa cosa è per il Corpo di Cristo, la Chiesa. Cos’è
che tiene unito il Corpo di Cristo nel pellegrinaggio nelle
strade della storia? C’è un centro attorno al quale la Chiesa
imposta la sua vita, trae vigore per il suo cammino? È la
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 33 ――――――――――――――――
persona di Cristo che si ripropone oggi, veramente presente e
operante. È la sua vita che pulsa nel Corpo Mistico. Vita che è
stata donata e che è pienezza. Insomma è la persona di Cristo
risorto che, presente in mezzo a noi nel mistero, unifica tutto
il suo Corpo. La sua Parola ci raduna, ci istruisce, ci invia,
ma è il suo sacrificio pasquale che ci sostiene e ci alimenta.
È l’Eucaristia il cuore della Chiesa, senza la quale essa
morirebbe. Ciò ci è dato anche nel segno del miracolo
eucaristico di Lanciano: le più recenti analisi chimiche di una
particella di quell’Ostia miracolosa ci rivelano che si tratta di
carne ancora viva, e, precisamente, carne di un cuore umano.
Il mistero pasquale di Gesù sta al cuore della Chiesa e di tutto
ciò che essa può fare in risposta alla chiamata del Maestro.
Nell’Eucarestia Gesù coinvolge i fedeli nella sua stessa «ora»;
in tal modo Egli ci mostra il forte legame che ci unisce a Lui,
tra la sua persona e la Chiesa. Infatti, Cristo stesso nel
sacrificio della croce ha generato la Chiesa come sua sposa e
suo corpo. I Padri della Chiesa hanno ampiamente meditato
sulla relazione tra l’origine di Eva dal fianco di Adamo
dormiente (cfr Gn 2,21-23) e della nuova Eva, la Chiesa, dal
fianco aperto di Cristo, immerso nel sonno della morte: dal
costato trafitto, racconta Giovanni, uscì sangue ed acqua (cfr
Gv 19,34), simbolo dei sacramenti; dal costato trafitto di
Cristo, dormiente del sonno della morte, nasce la Santa
Chiesa. Uno sguardo contemplativo «a colui che hanno
trafitto» (Gv 19,37) ci porta a considerare il legame causale tra
il sacrificio di Cristo, l’Eucaristia e la Chiesa. La Chiesa, in
effetti, «vive dell’Eucaristia», come ci ricordava Giovanni
Paolo II. Poiché in essa si rende presente il sacrificio redentore
di Cristo, si deve innanzitutto riconoscere che «c'è un influsso
causale dell’Eucaristia alle origini stesse della Chiesa. Sono
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 34 ――――――――――――――――
stati, gli Apostoli, a riunirsi con Gesù nell'Ultima Cena. È un
particolare di notevole rilevanza, perché gli Apostoli furono
ad un tempo il seme del nuovo Israele e l’origine della sacra
gerarchia. Offrendo loro come cibo il suo corpo e il suo
sangue, Cristo li coinvolgeva misteriosamente nel sacrificio
che si sarebbe consumato di lì a poche ore sul Calvario. In
analogia con l’Alleanza del Sinai, suggellata dal sacrificio e
dall’aspersione col sangue, i gesti e le parole di Gesù
nell'Ultima Cena gettavano le fondamenta della nuova
comunità messianica, il Popolo della nuova Alleanza»
(GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia De Eucharistia, 21).
Né bisogna dimenticare il nesso che unisce la forma
sociale per eccellenza, ossia, la famiglia, con l’Eucarestia: è
questo legame che ci svela la peculiarità del rapporto che
unisce l’uomo e la donna nel sacramento del Matrimonio.
Approfondire questo legame è una necessità propria del
nostro tempo il carattere sponsale: l’Eucaristia è il sacramento
della nostra redenzione. È il sacramento dello Sposo, della
Sposa. Del resto, tutta la vita cristiana porta il segno
dell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa. Per questo la
Chiesa manifesta una particolare vicinanza spirituale a tutti
coloro che hanno fondato la loro famiglia sul sacramento del
Matrimonio. La famiglia – chiesa domestica – è un ambito
primario della vita della Chiesa, specialmente per il ruolo
decisivo nei confronti dell'educazione cristiana dei figli. Va
così riconosciuta la singolare missione della donna nella
famiglia e nella società, una missione che va difesa,
salvaguardata e promossa. Il suo essere sposa e madre
costituisce una realtà imprescindibile che non deve mai essere
svilita (cfr. BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, 27).
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 35 ――――――――――――――――
L’Eucaristia è Cristo che si dona a noi, edificandoci
continuamente come suo corpo. Pertanto, nella suggestiva
circolarità tra Eucaristia che edifica la Chiesa e Chiesa stessa
che fa l’Eucaristia, la causalità primaria è quella espressa nella
prima formula: la Chiesa può celebrare e adorare il mistero di
Cristo presente nell'Eucaristia proprio perché Cristo stesso si
è donato per primo ad essa nel sacrificio della Croce. La
possibilità per la Chiesa di «fare» l’Eucaristia è tutta radicata
nella donazione che Cristo le ha fatto di se stesso (cfr.
BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, n. 14). Anche qui
scopriamo un aspetto convincente della formula di san
Giovanni: «Egli ci ha amati per primo» (1Gv 4,19). Così anche
noi in ogni celebrazione confessiamo il primato del dono di
Cristo. L’influsso causale dell’Eucaristia all’origine della
Chiesa rivela in definitiva la precedenza non solo cronologica
ma anche ontologica del suo averci amati «per primo». Egli è
per l’eternità colui che ci ama per primo. La nostra salvezza è
stata ottenuta dal Cristo con la sua offerta di Sommo
Sacerdote. Dobbiamo avere maggior coscienza che «l’Eucaristia è costitutiva dell’essere e dell’agire della Chiesa. Per
questo l’antichità cristiana designava con le stesse parole
Corpus Christi il Corpo nato dalla Vergine Maria, il Corpo
eucaristico e il Corpo ecclesiale di Cristo. Questo dato ben
presente nella tradizione ci aiuta ad accrescere in noi la
consapevolezza dell'inseparabilità tra Cristo e la Chiesa. Il
Signore Gesù, offrendo se stesso in sacrificio per noi, ha
efficacemente preannunciato nel suo dono il mistero della
Chiesa. È significativo che la seconda preghiera eucaristica,
invocando il Paraclito, formuli in questo modo la preghiera
per l’unità della Chiesa: «per la comunione al corpo e al
sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo».
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 36 ――――――――――――――――
Questo passaggio fa ben comprendere come la res del
Sacramento eucaristico sia l’unità dei fedeli nella comunione
ecclesiale. L’Eucaristia si mostra così alla radice della Chiesa
come mistero di comunione (cfr. BENEDETTO XVI,
Sacramentum Caritatis, 15). Questo «mistero di comunione» ci
riporta al Mistero Pasquale posto al centro dell’annuncio
cristiano. In effetti se pensiamo alla Pasqua andiamo
immediatamente con la memoria alla tomba vuota, alle
apparizioni del Risorto. E facciamo bene perché Pasqua si
manifesta nel suo massimo splendore - nella sua luce, come
suggerisce il rito iniziale della Veglia Pasquale - proprio nella
risurrezione. Ma non è tutto qui. Il Mistero Pasquale è
composto della luce della risurrezione come della tenebra
della passione. Già perché è Pasqua tutto il duro cammino del
dono totale di Gesù, sacrificio nella passione, silenzio nella
notte della morte e vittoria nel giorno luminoso di Pasqua.
Mistero pasquale è, allora, mistero di passione, morte e
risurrezione così come ci viene ripresentato - in modo attuale
- nella celebrazione della Santa Messa. L’umanità di Cristo
manifestata nella passione, morte e risurrezione la preghiera
di Gesù è «una cosa sola con il dialogo intratrinitario
dell’amore eterno. Mediante l’Eucarestia Gesù introduce gli
uomini in questa preghiera, che è così la porta sempre aperta
all’adorazione e il vero sacrificio, il sacrificio della nuova
alleanza, il culto spirituale» (J. RATZINGER, Introduzione allo
Spirito della Liturgia, p.45). Questo mistero, che si prolunga
anche nel dono dello Spirito, è ciò che tiene unito il nostro
Corpo, è la linfa che ci da la forza per vivere e operare, è il
modello che ispira l’essere e l’agire, è il cuore della nostra vita
cristiana. Da esso tutto parte e tutto ritorna. Preghiamo uniti a
quel mistero, amiamo in quel mistero, siamo battezzati in
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 37 ――――――――――――――――
quella morte per risorgere con lui nella gloria, speriamo in
quella stessa vittoria, camminiamo nell’obbedienza di quel
mistero, moriamo e risorgiamo per quell’evento, siamo
liberati per la sofferenza, il dono e la vittoria di Cristo. E noi lo
siamo grazie a quel mistero pasquale così duro e dolce allo
stesso tempo. Per quel mistero siamo innestati in Cristo, figli
nel Figlio, e in lui partecipi del sacerdozio, della regalità e
della profezia.
Siamo nella stagione del cosiddetto «disincanto del
mondo» nel quale va valutata attentamente la «perdita del
centro» e la conseguente frammentazione della vita delle
persone. Il “nomadismo”, cioè la dislocazione della vita
familiare, del lavoro, delle relazioni sociali, del tempo libero,
etc., connota anche la psicologia della gente, i suoi
orientamenti di fondo. Si appartiene contemporaneamente a
mondi diversi, distanti, perfino contraddittori. La
frammentarietà trova forte alimento nei mezzi di comunicazione sociale, una sorta di crocevia del cambiamento
culturale. «La società sempre più globalizzata ci rende vicini,
ma non ci rende fratelli», come scrive il Santo Padre nella sua
ultima Lettera Enciclica. A soffrirne sono le relazioni
personali e sociali sul territorio e, quindi, la vitalità delle
parrocchie. Da tempo la vita non è più circoscritta,
fisicamente e idealmente, dalla parrocchia; solo per pochi il
campanile che svetta sulle case è segno di un’interpretazione
globale dell’esistenza. Non a caso si è parlato di fine della
«civiltà parrocchiale»... Noi riteniamo che la parrocchia non
è avviata al tramonto; è piuttosto evidente l’esigenza di
ridefinirla, se si vuole che non resti ai margini della vita della
gente. La parrocchia ha un ruolo determinante per la sua
«originaria vocazione e missione nell’essere nel mondo luogo
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 38 ――――――――――――――――
della comunione dei credenti, e insieme segno e strumento
della vocazione di tutti alla comunione». In un contesto che
spesso conduce alla dispersione e all’aridità, cresce per
contrasto l’esigenza di legami “caldi”: l’appartenenza è
affidata ai fattori emozionali e affettivi, mentre i rapporti
risultano limitati e impoveriti. Lo stesso processo selettivo si
avverte anche sull’orizzonte del cosiddetto bisogno del sacro,
in cui, più che le ragioni della trascendenza, a prevalere sono
le esigenze di armonia personale. Anche su questo versante le
parrocchie devono lasciarsi interrogare, se vogliono essere
case accoglienti… rifuggendo da processi elitari o esclusivi; se
vogliono rispondere sì alle attese del cuore ferito delle
persone, ma anche restare luogo in cui si proclama la
rivelazione di Dio, la verità assoluta del Risorto. (cfr. CEI, Il
Volto Missionario delle Parrocchie in un mondo che cambia, 2). In
questo contesto, una necessaria riflessione va fatta sulla vita
liturgica: «La liturgia, mediante la quale, specialmente nel
divino sacrificio dell'eucaristia, «si attua l'opera della nostra
redenzione», contribuisce in sommo grado a che i fedeli
esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di
Cristo e la genuina natura della vera Chiesa». (Sacrosactum
Concilium , 2). Se è vero che «la possibilità per la Chiesa di fare
l'Eucaristia è tutta radicata nella donazione che Cristo le ha
fatto di se stesso» (BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, n.
14), allora si può dire che l’Eucaristia, e con essa tutta la
liturgia, è prima fonte e poi culmine della vita della Chiesa, in
quella dinamica circolare di cui parlava il Papa. Allora, come
mettono in risalto i vescovi italiani, «assolutamente centrale
sarà approfondire il senso della festa e della liturgia, della
celebrazione comunitaria attorno alla mensa della Parola e
dell’Eucaristia, del cammino di fede costituito dall’anno
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 39 ――――――――――――――――
liturgico. Di qui l’urgenza di esplicitare la rilevanza della
liturgia quale luogo educativo e rivelativo, facendone
emergere la dignità e l’orientamento verso l’edificazione del
Regno. La celebrazione eucaristica chiede molto al sacerdote
che presiede l’assemblea e va sostenuta con una robusta
formazione liturgica dei fedeli. Serve una liturgia insieme
seria, semplice e bella, che sia veicolo del mistero, rimanendo
al tempo stesso intelligibile, capace di narrare la perenne
alleanza di Dio con gli uomini» (CEI, Comunicare il Vangelo in
un mondo che cambia, 49).
Nelle nostre comunità le celebrazioni liturgiche devono, perciò, nella loro dignità (rito e canti, silenzio ed adorazione) svelare il senso dell’Eucarestia, devono sollevare il
velo affinché si intravveda il Mistero, rendere tangibile la
nostra trasformazione nel divenire «un corpo e uno spirito
con Cristo” (cfr. 1Cor 6,17). In questo senso, va posto l’accento
su quell’ ars celebrandi di cui parla il Pontefice nella
Sacramentum Caritatis: il rito in sé non rinvia a rigidità ma «è
espressione, divenuta forma, dell’ecclesialità e della comunitarietà che supera la storia, della preghiera e dell’azione
liturgica. In esso si concretizza il legame della liturgia con il
soggetto vitale “Chiesa”» (J. RATZINGER).
6. L’EUCARESTIA E IL SACERDOZIO MINISTERIALE
È da tenere ben presente la relazione inscindibile tra
Sacerdozio ed Eucarestia. «Tenere in mano l’Eucarestia: tale è
dunque la suprema prerogativa della gerarchia della Chiesa,
di coloro che sono i ministri del Cristo ed i dispensatori dei
misteri di Dio. Consacrare il Corpo di Cristo, perpetuare così
l’opera della Redenzione, offrire il sacrificio di lode, il solo
Sacrificio che sia gradito al Signore: ecco la sua azione più
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 40 ――――――――――――――――
sacerdotale. Il supremo esercizio del suo potere. In questa
azione si associa largamente tutto il popolo cristiano. Per
capire la funzione della gerarchia, ossia per capire la Chiesa,
bisogna dunque contemplarla nell’atto in cui essa la esercita».
(H. DE LUBAC, Meditazioni sulla Chiesa, p. 93). «È attraverso il
ministero dei presbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli
viene reso perfetto perché viene unito al sacrificio di Cristo,
unico mediatore; questo sacrificio, infatti, per mano dei
presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto
nell’Eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al
giorno della venuta del Signore». (Presbyterorum ordinis, 2).
Quando il sacerdote dice nella Santa Messa, «Questo è il mio
corpo», non sono parole puramente umane, è «alter Christus”
afferma S. Giovanni Crisostomo, testimone della fedeltà
incrollabile di Cristo alla Sua Chiesa. Egli pronuncia le parole
di Cristo dette nell’ultima Cena in unione con Lui.
Il sacrificio eucaristico ha bisogno assoluto del
sacerdozio ministeriale. L’Enciclica Ecclesia De Eucharestia
sapientemente ricorda che per la celebrazione eucaristica non
basta certo il sacerdozio comune. Secondo il Concilio Vaticano II,
«i fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio, concorrono
all’oblazione dell'Eucaristia», ma è il sacerdote ministeriale
che «compie il sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo
offre a Dio a nome di tutto il popolo» (Lumen Gentium, 10).
Questa espressione - «in persona di Cristo» - significa nella
specifica, sacramentale identificazione col Sommo ed Eterno
Sacerdote, che è l’autore e il principale soggetto di questo suo
proprio sacrificio, nel quale in verità non può essere sostituito
da nessuno. Il cristiano che riceve il sacramento dell’Ordine
Sacro è per l’Eucarestia, ma l’Eucarestia è per tutti, chiamati
alla stessa vita divina, e tutti vi sono chiamati fin da questa
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 41 ――――――――――――――――
terra. Che il sacramento dell’Eucarestia ha bisogno del
servizio sacerdotale ha fondamento dal fatto che la comunità
non può darsi essa stessa l’Eucarestia, essa deve riceverla a
partire dal Signore per mezzo della mediazione dell’unica
Chiesa. In virtù del battesimo e della confermazione il
cristiano è qualificato per partecipare «quasi ex officio» al
culto divino, che ha il suo centro e culmine nel sacrificio di
Cristo reso presente nell'Eucaristia. Ma l’offerta eucaristica
implica l'intervento di un ministro ordinato: essa si compie
nell'atto consacratorio compiuto dal sacerdote in nome di
Cristo. Come ricorda il Concilio, citando sant’Agostino, il
ministero dei presbiteri ha come scopo che «tutta la città
redenta, cioè la riunione e società dei santi, offra a Dio un
sacrificio universale per mezzo del gran sacerdote (Cristo), il
quale ha anche offerto se stesso per noi nella sua passione, per
farci diventare corpo di così eccelso capo» (Presbyterorum
Ordinis, 2). Alla luce della consapevolezza del suo essere
indispensabile, il sacerdote «riceve una nuova luce sulla
propria missione sacerdotale che gli è stata affidata e sul ruolo
che deve assumere affinché la potenza dell’Eucaristia possa
produrre tutti i suoi effetti in ogni esistenza umana. Il
sacerdote è investito della responsabilità dell’edificazione di
una nuova società in Cristo. Più particolarmente, ha la
possibilità di dare una testimonianza di fede nella presenza
nuova scaturente da ogni consacrazione che muta pane e vino
in corpo e sangue del Signore. La meraviglia di questa
presenza apre la porta, nell’anima del sacerdote, ad una
nuova speranza che supera tutti gli ostacoli che si accumulano sulla via del suo ministero, spesso impegnato in lotte e
prove». (CONGREGAZIONE PER IL CLERO, 2004).
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 42 ――――――――――――――――
Nella Sacramentum Caritatis, Benedetto XVI afferma con
chiarezza che la forma eucaristica della vita dei cristiani si
rende tangibile in modo ancor più specifico nella vita del
sacerdote che è chiamato «ad essere continuamente un
autentico ricercatore di Dio, pur restando al contempo vicino
alle preoccupazioni degli uomini. Una vita spirituale intensa
gli permetterà di entrare in comunione con il Signore e
l’aiuterà a lasciarsi possedere dall’amore di Dio, divenendone
testimone in ogni circostanza anche difficile e buia. […]
Raccomando ai sacerdoti la celebrazione quotidiana della
santa Messa, anche quando non ci fosse partecipazione di fedeli.
Tale raccomandazione si accorda innanzitutto con il valore
oggettivamente infinito di ogni Celebrazione eucaristica; e
trae poi motivo dalla sua singolare efficacia spirituale, perché,
se vissuta con attenzione e fede, la santa Messa è formativa
nel senso più profondo del termine, in quanto promuove la
conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella sua
vocazione» (cfr. BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, 80).
Siamo nell’Anno Sacerdotale non può dunque sfuggirci
la singolarità del modello sacerdotale del Santo Curato d’Ars
in relazione all’Eucarestia nella vita della comunità: «Ai suoi
parrocchiani il Santo Curato insegnava con la testimonianza
della vita. Dal suo esempio i fedeli imparavano a pregare,
sostando volentieri davanti al tabernacolo per una visita a
Gesù Eucaristia. “Non c’è bisogno di parlar molto per ben
pregare” – spiegava loro il Curato – “Si sa che Gesù è là, nel
santo tabernacolo: apriamogli il nostro cuore, rallegriamoci
della sua santa presenza. È questa la migliore preghiera”. Ed
esortava: “Venite alla comunione, fratelli miei, venite da
Gesù. Venite a vivere di Lui per poter vivere con […] È vero
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 43 ――――――――――――――――
che non ne siete degni, ma ne avete bisogno!”. Tale
educazione dei fedeli alla presenza eucaristica e alla
comunione acquistava un’efficacia particolarissima, quando i
fedeli lo vedevano celebrare il Santo Sacrificio della Messa.
Chi vi assisteva diceva che “non era possibile trovare una
figura che meglio esprimesse l’adorazione […] Contemplava
l’Ostia amorosamente”. “Tutte le buone opere riunite non
equivalgono al sacrificio della Messa, perché quelle sono
opere di uomini, mentre la Santa Messa è opera di Dio”,
diceva. Era convinto che dalla Messa dipendesse tutto il
fervore della vita di un prete: “La causa della rilassatezza del
sacerdote è che non fa attenzione alla Messa! Mio Dio, come è
da compiangere un prete che celebra come se facesse una
cosa ordinaria!”. Ed aveva preso l’abitudine di offrire sempre,
celebrando, anche il sacrificio della propria vita: “Come fa
bene un prete ad offrirsi a Dio in sacrificio tutte le mattine!”»
(BENEDETTO XVI, Lettera d’indizione dell’Anno Sacerdotale, 16
giugno 2009). Quello di San Giovanni Maria Vianney non è
per il sacerdote un modello solo da contemplare, da
ammirare, al più da venerare: si tratta di un modello da
imitare, da vivere, da sperimentare. Dalla santità del
sacerdote dipende la santità del gregge che gli è affidato. È il
Concilio a sottolineare come «è attraverso il ministero dei
presbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso
perfetto perché viene unito al sacrificio di Cristo, unico
mediatore; questo sacrificio, infatti, per mano dei presbiteri e
in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell’Eucaristia in
modo incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta
del Signore» (Presbyterorum ordinis, 2). Tra le altre cose,
sembra opportuno che in quest’anno di riflessione sul
sacerdozio ministeriale, i presbiteri riscoprano la bellezza e la
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 44 ――――――――――――――――
necessità di trascorrere quanto più tempo possibile in
Adorazione Eucaristica, a “contemplare l’Ostia amorosamente” – come pure invitava il nostro Vescovo nell’omelia
per la Messa Crismale dell’anno 2009. Questo ‘esercizio’, oltre
a santificare se stesso, aiuterà il presbitero a stimolare almeno
la curiosità dei fedeli, i quali potranno così essere istruiti ad
una solida vita di pietà. Non va tralasciato, inoltre, che
l’adorazione è un atto necessario, è un atto di giustizia nel
senso alto del termine: Egli, che è quello che è, sta nel
Tabernacolo ad aspettarci giorno e notte, e noi, che siamo
quello che siamo, ci dimenticheremo così spesso di Lui? È
dinanzi a Cristo realmente presente nell’Ostia consacrata che
possiamo sperimentare quello che prima abbiamo definito il
valore escatologico e cosmico dell’Eucaristia. Dinanzi allo
stesso Cristo che stiamo adorando, infatti, vi è la Chiesa tutta,
militante, trionfante e purgante, nella comunione dei santi.
Non dovremo mai smettere di riflettere sull’incommensurabile grandezza dell’Eucaristia, con cui il sacerdote è
chiamato ad avere ‘familiarità’. Il Corpo e il Sangue
Eucaristico sono il dono per eccellenza che Cristo ha lasciato
alla Chiesa, Sua Sposa. Giovanni Paolo II svela nell’enciclica
Ecclesia de Eucharistia dello «stupore adorante di fronte al
dono incommensurabile dell’Eucarestia. Sull’onda di questo
elevato senso del mistero eucaristico si sia espressa nella
storia non solo attraverso l’istanza di un’interiore attraverso
una serie di espressioni esterne» (nn.48-49). I Sacramenti: i
segni sensibili che operano una Grazia invisibile. I sacramenti
sono precisamente la forma della storia santa, cioè della
presenza in mezzo a noi delle grandi opere di Dio. «Viviamo
in piena storia santa. Dio è fra noi, salva, stringe alleanze,
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 45 ――――――――――――――――
crea» (J. DANIÈLOU). I Sacramenti ricevono la propria forza
santificante dalla morte e risurrezione di Cristo e proclamano
la misericordia indefettibile di Dio. La loro essenza ed
efficacia missionarie devono essere sempre sottolineate. Lo
stesso Cristo è Sacramento. Egli viene in cerca dell’uomo sul
piano della sua umanità, distribuendo i pani e cambiando
l’acqua in vino, par condurlo alla sua divinità! Egli si fa uomo
ci alimenta con il Suo Corpo per farci dèi. Così i sacramenti
partono dalle nostre umili realtà della vita quotidiana, ma le
caricano di un contenuto misterioso. Per essi e grazie ad essi
noi accediamo alle ricchezze della Grazia Redentrice, di
Cristo.
7. EUCARISTIA E ACTUOSA PARTECIPATIO
L’intima essenza e la grandezza della celebrazione
liturgica è precisamente questa: è l’essere coinvolti – mediante
l’atto della transustanziazione del pane e del vino – nella
contemporaneità col mistero del passaggio di Cristo da
questo mondo al Padre, compiutosi nella sua morterisurrezione. (cfr. J. RATZINGER, Introduzione allo spirito della
Liturgia, pag. 54-55). La celebrazione liturgica è l’ingresso
della “forma di Cristo” dentro alla persona e alla vita umana:
l’uomo è informato da Cristo e può vivere in Lui. I fedeli
«cibandosi del corpo di Cristo nella santa comunione,
mostrano concretamente la unità del popolo di Dio, che da
questo augustissimo sacramento è adeguatamente espressa e
mirabilmente effettuata… Partecipando al sacrificio eucaristico, fonte e apice di tutta la vita cristiana, offrono a Dio la
vittima divina e se stessi con essa così tutti, sia con l'offerta
che con la santa comunione, compiono la propria parte
nell’azione liturgica, non però in maniera indifferenziata, bensì
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 46 ――――――――――――――――
ciascuno a modo suo. Cibandosi poi del corpo di Cristo nella
santa comunione, mostrano concretamente la unità del
popolo di Dio, che da questo augustissimo sacramento è
adeguatamente espressa e mirabilmente effettuata» (Lumen
Gentium, 11).
Il soprannaturale, mirabilmente, nell’Eucarestia si fa
carnale, come dice Charles Peguy, poiché il Verbo di Dio
viene a prendere l’uomo tutto intero con il Suo Spirito Santo.
Un mistero che è al centro di tutto, e lo comprendiamo bene
nella liturgia, che pone al cuore del tempo cristiano proprio la
celebrazione del mistero pasquale. Tre giorni intensi – dal
giovedì santo al giorno di resurrezione – in cui celebrare ciò
per cui vale ogni promessa, ogni speranza trova futuro, ogni
amore diventa stile di vita; celebrazione di tutto il mistero. Un
mistero che continua ad essere celebrato in ogni domenica, in
ogni giorno dell’anno proprio nella liturgia. Un mistero che
sta alla base e rende reale e realizzabile ciascuno dei segni
della presenza della grazia divina nella nostra vita.
Si, perché quel mistero si ripresenta tutto e per intero in
ciascuno dei canali che ci portano, in modo efficace, il dono
della grazia divina. Sette segni ha voluto codificare la Chiesa,
segni efficaci che realizzano quanto dicono attraverso parole e
simboli. Sette segni in cui si ripresenta il mistero di Cristo, che
è il mistero della Pasqua. In essi si ripropone per me, ora,
efficacemente il sacrificio e l’offerta dell’agnello senza macchia.
In essi mi viene donata la vita che ha squarciato l’oscurità del
peccato e della morte. In essi vengo realmente liberato dal
potere del male. In essi vengo associato in modo forte a Gesù
e, in Lui, alla vita divina che viene ad abitare in me facendomi
creatura nuova. Sette segni per altrettanti momenti cruciali
della vita dell’uomo, nei quali è più che mai necessario l’aiuto
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 47 ――――――――――――――――
e la forza della grazia di Dio, nei quali è più che mai
indispensabile appoggiarsi sul sacrificio pasquale dell’Agnello. I Sacramenti sono questo canale di Grazia che
riversa su di noi la Pasqua di Gesù Cristo. O per introdurci
alla intimità della vita divina, o per rafforzare tale intimità, o
per consacrare la nostra vita, o per gustare in pienezza i
momenti di gioia, o, ancora, per sorreggere i momenti di
debolezza, come la povertà («E’ nobile cosa la povertà
accettata con gioia», dice Seneca, citando Epicuro. Ma, in
realtà, se accettata con gioia, essa smette di essere povertà.
Povero non è chi ha poco, ma chi vuole di più). Tra tutti
questi segni, l’Eucaristia manifesta in modo più facilmente
visibile il dono del mistero Pasquale. Ce ne rendiamo conto se
facciamo attenzione a tutte le parti, a tutte le parole e a tutti i
segni che ritmano la celebrazione. È proprio quel mistero che
siamo chiamati anzitutto a celebrare, con un ringraziamento
pubblico che riconosce il dono e lo accoglie. Lo stesso termine
che la nostra tradizione cristiana usa per definire la
celebrazione del sacrificio eucaristico ben esprime questo
fatto: Eucaristia. Ringraziamento. Annunciare la straordinaria
grandezza di un mistero di amore. È in quella offerta, in
quella passione e morte, in quella risurrezione e nel dono di
quello Spirito – lo Spirito di Cristo – che siamo salvati. Ecco il
vero centro verso cui camminare in tutto quello che siamo
come comunità e come singoli. «La Chiesa e il mondo hanno
grande bisogno del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in questo
sacramento dell’amore. Non risparmiamo il nostro tempo per
andare ad incontrarlo nell’adorazione, nella contemplazione
piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del
mondo. Non cessi mai la nostra adorazione» (GIOVANNI
PAOLO II, Dominicae Cenae, 3). È la partecipazione a questo
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 48 ――――――――――――――――
mistero, è il convergere verso il cuore di questo mistero, la
prima e necessaria ‘partecipazione’ cui siamo chiamati per
grazia. “Cristiani, noi crediamo, noi speriamo: ma non è
questa una caratteristica essenziale della Chiesa stessa? Nel
senso originale e sempre fondamentale della parola, la Chiesa
non è infatti l’assemblea dei fedeli, cioè dei credenti? Non è
forse la comunità di coloro che invocano il nome del Signore e
che attendono il Suo ritorno? Come ricordava Pio XII,
parlando dei laici, non siamo noi stessi la Chiesa?” (H. DE
LUBAC, Meditazioni sulla Chiesa, p. 8).
La comunità cristiana, nel celebrare l’Eucaristia e nel
ricevere il sacramento del Corpo e del Sangue di Gesù, è
profondamente unita al Signore e colmata di questo Suo
amore senza misura. Al contempo, riceve ogni volta, di
nuovo, il comandamento di Gesù “amatevi gli uni gli altri,
come io vi ho amato” e si sente spinta dallo Spirito di Cristo
ad andare ed annunciare a tutte le creature la buona Novella
dell’amore di Dio e della speranza sicura nella Sua
misericordia salvatrice. Nel decreto Presbyterorum Ordinis, del
Concilio Vaticano II, si dice: «L’Eucaristia costituisce, infatti, la
fonte e il culmine di tutta l’evangelizzazione» (n.5). La
celebrazione dei sacramenti, in modo speciale dell’Eucaristia,
possiede una dimensione missionaria intrinseca, che può
essere sviluppata come annunzio del Signore Gesù e del Suo
Regno, a coloro che, poco, o ancora per niente, sono stati
evangelizzati. L’Eucaristia ha innanzitutto una dimensione
d’invio missionario. Ogni Santa Messa si conclude con l’invio
di tutti i partecipanti all’opera missionaria nella società. Ne
scaturisce che una vita autenticamente eucaristica è per forza
di cose proiettata all’annuncio alla missione. Quando le nostre
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 49 ――――――――――――――――
comunità smarriscono questo rapporto con Cristo - non
intellettualizzato e perciò più autenticamente divino - ne
soffre lo slancio, l’apertura alla missione nei nostri territori.
Eppure l’Eucaristia non è solo il punto di partenza della
missione, essa è anche il suo punto d’arrivo. Il missionario va
in cerca delle persone e dei popoli per portarli alla mensa del
Signore, preannunzio escatologico del banchetto di vita
eterna, presso Dio, nel cielo, che sarà la realizzazione piena
della salvezza, secondo il disegno redentore del Padre. «La
forza del Vangelo è chiamare tutti a vivere in Cristo la
pienezza di un rapporto filiale con Dio, che trasformi alla
radice e in ogni suo aspetto la vita dell’uomo, facendone
un’esperienza di santità. La pastorale missionaria è anche
pastorale della santità, da proporre a tutti come ordinaria e
alta missione della vita. La missionarietà, infatti, deriva dallo
sguardo rivolto al centro della fede, cioè all’evento di Gesù
Cristo, il Salvatore di tutti, e abbraccia l’intera esistenza
cristiana. Dalla liturgia alla carità, dalla catechesi alla testimonianza della vita, tutto nella Chiesa deve rendere visibile e riconoscibile Cristo Signore. Riguarda anche, e per certi aspetti
soprattutto, il volto della parrocchia, forma storica concreta
della visibilità della Chiesa come comunità di credenti in un
territorio, «ultima localizzazione della Chiesa» (cfr. CEI, Il
Volto Missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n. 2).
Questo grande mistero – di cui abbiamo cercato di
sottolineare qualche specifico profilo – ha una sua dimensione di radicale coinvolgimento della persona. Il Divino
Sacrificio dell’Altare non tollera spettatori, ma pretende che
ciascuno vi ‘partecipi’. Il Concilio Vaticano II – ma già prima
di esso il Magistero della Chiesa in altre sue espressioni, si
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 50 ――――――――――――――――
pensi alla Mediator Dei di Pio XII – ha posto la «partecipazione
attiva, actuosa partecipatio» di tutti come un idea centrale della
celebrazione liturgica. Quale è il suo significato preciso?
Negativamente appare chiaro: nessuno può essere uno
spettatore, come si diceva sopra, sia pure commosso e attento
del dramma che si sta rappresentando. Ciascuno è attore, nei
diversi ruoli e nelle diverse dignità; attore che, dunque, non
assiste al dramma, ma che lo rappresenta nel senso letterale
del termine: lo ri-presenta perché ri-vive in sé ciò che Cristo
ha vissuto sulla Croce, la sua autodonazione «in finem – èis
telòs», come scrive Giovanni. I testi liturgici parlano sempre di
«nostro sacrificio». Il coinvolgimento reale di ogni singolo
fedele nel dono che Cristo fa di Sé significa che il discepolo
viene trasformato nella «forma di Cristo». È questo il vero
significato della partecipazione attiva: non un protagonismo
nel senso deteriore del termine, ma l’essere autenticamente
protagonisti, per Cristo, con Cristo ed in Cristo, che è l’unico
Protagonista. Se vi può essere un altro significato –
partecipazione attiva nel senso che tutti fanno qualcosa –
questo è al servizio del primo, e quindi va seriamente
regolato, pesato, ponderato, misurato in vista del primo e
fondamentale scopo.
La stessa celebrazione eucaristica, e degli altri Sacramenti, bella, dignitosa e devota, secondo le norme liturgiche,
diventa un’evangelizzazione molto speciale per i fedeli presenti. La liturgia deve in qualche modo ripetere l’esperienza
della Trasfigurazione, lasciando intravvedere, alzato il velo
della natura umana, la Bellezza dell’esperienza di Cristo,
ossia la Bellezza di Dio. Nell’espressione del romanzo L’Idiota
di F.M. Dostoevkij troviamo come una sintesi di un percorso
che nell’Eucarestia apre alla Redenzione: «La bellezza salverà
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 51 ――――――――――――――――
il mondo». Si parla evidentemente della bellezza redentrice di
Cristo. Dobbiamo inoltrarci nella ricerca, conoscerlo non solo
con le parole ma colpiti dalla Sua bellezza l’incontriamo
davvero: dall’altare, dal tabernacolo alla vita. Allora s’apre il
cammino di prossimità con Lui, ai fratelli.
L’Eucarestia è «L'essenziale invisibile agli occhi», è il
«Non si vede bene che con il cuore» ci ripete il Piccolo
Principe. La “serietà” del dono, che richiede chi lo accolga e lo
riceva non lascia alcuno spazio al narcisismo, che cerca,
invece, di esaltare la persona senza che essa arrivi a donarsi
(cfr. A. DE SAINT-EXUPÉRY, Il Piccolo Principe). Il rischio sta
proprio qui: l’actuosa partecipatio non può rischiare di scadere
nel narcisismo, nel protagonismo: essa è un coinvolgimento
tutto intimo – che pure conosce i suoi segni esteriori – alla
dinamica oblativa di Cristo Signore.
8. CONCLUSIONI
Il compito che ci attende – e che trarrà nuovo slancio
dal Congresso Eucaristico – è alto, e ricco di attese. Si tratta di
un compito che necessita entusiasmo. È niente altro che
l’aprirsi a Lui, il Cristo, che ci attende dalle più piccole
cappelle, nelle parrocchie, nella nostra rinnovata cattedrale,
nei luoghi della vita e che esige un tempo da vivere con Lui e
per Lui nel mondo. Ci risuoni sempre l’invito del Maestro –
«Venite a riposarvi un pò» (cfr. Mc 6, 31) – che scelse i dodici
«perché stessero con Lui» (Mc 3, 14). Ecco il nostro essenziale
impegno: rispondere al Suo desiderio di stare con noi,
entrando nella Sua intimità. Il Signore Gesù è venuto in
passato, viene nel presente, e verrà nel futuro. Egli abbraccia
tutte le dimensioni del tempo, perché morto e risorto, è “il
Vivente” e, mentre condivide la nostra precarietà umana,
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 52 ――――――――――――――――
rimane per sempre e ci offre la stabilità stessa di Dio. E’
“carne” come noi ed è “roccia” come Dio. Chiunque anela
alla libertà, alla giustizia, alla pace può risollevarsi e alzare il
capo, perché la liberazione è vicina (Lc 21,28). Possiamo
pertanto affermare che Gesù Cristo non riguarda solo i
cristiani, o solo i credenti, ma tutti gli uomini, perché Egli, che
è il centro della fede, è anche il fondamento della speranza. E
della speranza ogni essere umano ha costantemente bisogno
(cfr. BENEDETTO XVI, Angelus, 29 novembre 2009).
Al termine di questa nostra riflessione possiamo allora
chiederci, in uno sforzo di sintesi: che cos’è dunque
l’Eucarestia? L’Eucaristia è «Cristo nello stato del suo donarsi
in dedizione: il soffrire, il morire del Signore nella sua realtà
eterna. Entrato in una forma tale, a noi dato in modo tale che
la nostra esistenza di credenti deve viverne, così come il corpo
vive di cibo fisico e di fisica bevanda. L’istituzione dell’Eucarestia è al tempo stesso rivelazione. Essa ci dice come il
credente debba collocarsi rispetto a Cristo: non davanti a lui,
ma in lui» (R. GUARDINI, Il Signore, p. 491).
L’Eucaristia ci insegna un amore che educa e suscita
amore. Nel racconto del Vangelo di Luca, Gesù è il protagonista assoluto, colui che tiene in mano l’iniziativa, ma giunto ad Emmaus mostra di voler andare più avanti, si distanzia
dai due discepoli e così facendo dischiude lo spazio per la
loro iniziativa dell’accoglienza. Nello ‘spezzare il pane’ Gesù
non solo pone il gesto reale del suo amore, ma ci consegna
anche una memoria: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19b).
Il suo è un amore che si fa memoria, che suscita ed educa il
nostro amore: un amore che ci accompagna, ma anche si
sottrae – a un certo punto sparisce dalla nostra vista – per
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 53 ――――――――――――――――
aprire lo spazio affinché anche il nostro personale amore, la
nostra responsabilità nella carità vengano suscitati e possano
manifestarsi. Ad Emmaus si apre questo orizzonte, come la
maestria della “Cena” del Caravaggio ci mostra nel volto del
Cristo trasfigurato e segnato dalla passione nella pinacoteca
di Brera a Milano.
L’Eucaristia come vertice del riconoscimento di Gesù
Cristo che con noi condivide la mensa/sacrificio perché ha
condiviso la tristezza per la delusione, il percorso di strada
che compie chi si allontana dalla città santa, e rimane con noi
ogni volta che ci raduniamo per «spezzare il pane». Se di per
sé il battesimo non rappresenta dal versante storico l’aspetto
più originale della vita cristiana, l’Eucaristia costituisce il dato
più caratterizzante dell’esistenza cristiana. Essa è il cuore del
cristianesimo, è davvero l’incontro con la Persona che sconvolge la vita e da cui parte l’avventura del cristiano. È allora
ripartendo dall’Eucaristia che la Chiesa, quella universale così
come la nostra particolare, troverà un nuovo slancio, una
nuova primavera. Sostiene la recente nota della CEI sulla
parrocchia: «L’iniziazione cristiana, che ha il suo insostituibile
grembo nella parrocchia, deve ritrovare unità intorno
all’eucaristia» (INTRODUZIONE, 2). È necessario ripartire
dunque dalla fractio panis, dall’incontro con la Parola, spiegata
da Gesù, che fa ardere il cuore nel petto dei discepoli di
Emmaus. Nel cuore del primo giorno dopo il sabato si trova
l’incontro con Cristo, per cui è l’eucaristia a qualificare la
domenica e non l’inverso. Molto incisiva è l’affermazione
della nota CEI sulla parrocchia: «Dobbiamo “custodire” la
domenica e la domenica “custodirà” noi» (II,8).
Ripartendo dall’Eucaristia, vivendo la «coerenza euca-
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 54 ――――――――――――――――
ristica» di cui parla il Papa, sapremo vivere in profondità
quella carità di cui Cristo è immagine e sorgente, la quale è
«dono non per noi soli, ma per gli uomini, per il creato e la
città, per i campi e gli uffici, le banche e le industrie, per le
scuole e i luoghi delle arti e della cultura» (F. MARINO,
Preghiera per il II Congresso Eucaristico 2009 – 2010). «La carità è
amore ricevuto e donato. Essa è « grazia » (cháris). La sua
scaturigine è l'amore sorgivo del Padre per il Figlio, nello
Spirito Santo. È amore che dal Figlio discende su di noi. È
amore creatore, per cui noi siamo; è amore redentore, per cui
siamo ricreati. Amore rivelato e realizzato da Cristo […]
Destinatari dell’amore di Dio, gli uomini sono costituiti
soggetti di carità, chiamati a farsi essi stessi strumenti della
grazia, per effondere la carità di Dio e per tessere reti di carità.
A questa dinamica di carità ricevuta e donata risponde la
dottrina sociale della Chiesa. Essa è «caritas in veritate in re
sociali»: annuncio della verità dell'amore di Cristo nella
società. Tale dottrina è servizio della carità, ma nella verità. La
verità preserva ed esprime la forza di liberazione della carità
nelle vicende sempre nuove della vita. È, a un tempo, verità
della fede e della ragione, nella distinzione e insieme nella
sinergia dei due ambiti cognitivi. Lo sviluppo, il benessere
sociale, un’adeguata soluzione dei gravi problemi socioeconomici che affliggono l'umanità, hanno bisogno di questa
verità. Ancor più hanno bisogno che tale verità sia amata e
testimoniata. Senza verità, senza fiducia e amore per il vero,
non c'è coscienza e responsabilità sociale, e l’agire sociale cade
in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti
disgregatori sulla società, tanto più in una società in via di
globalizzazione, in momenti difficili come quelli attuali».
(BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, 5). La dimensione
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 55 ――――――――――――――――
antropologica (la “res” del sacramento dell’Eucarestia è la
Carità) non può non assumere un connotato etico: nella
celebrazione eucaristica noi riceviamo in dono il comandamento nuovo. Per l’evangelista Giovanni la lavanda dei
piedi e la sua spiegazione successiva ha potuto prendere il
posto del racconto dell’istituzione della Eucarestia. La nostra
carità deve essere così capace di questa stessa attitudine:
accompagnare i cammini delle nostre comunità, della gente,
sapendo però aprire gli spazi di responsabilità e d’iniziativa.
Un amore che sa consegnare una memoria che educa la vita.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 56 ――――――――――――――――
EUCARISTIA E CATECHESI
La Chiesa vive quotidianamente del Sacrificio Eucaristico e di esso si nutre ogni giorno. Per opera di questo
sacrificio, Cristo è costantemente presente in essa. L'impegno
di annunziare il Vangelo agli uomini d’oggi animati dalla
speranza, ma, parimente, spesso travagliati dalla paura e
dall'angoscia, è senza alcun dubbio un servizio reso non solo
alla comunità cristiana, ma anche a tutta l'umanità (cfr. PAOLO
VI, Evangelii Nuntiandi, 1).
Oggi, nella «penombra che rende precaria e timorosa
per l’uomo del nostro tempo l’apertura verso Dio, sebbene
Egli non cessi mai di bussare alla nostra porta […], la nostra
maniera di pensare ed agire, la mentalità del mondo odierno,
la gamma delle nostre varie esperienze, sono adatte a ridurre
la sensibilità per Dio, a renderci «privi di orecchio musicale»
per Lui» (BENEDETTO XVI, Messaggio al Convegno “Dio oggi:
con lui o senza di lui cambia tutto”, 7 dicembre 2009).
Nonostante ciò, in ognuno è all’opera, in modo aperto o
nascosto, il desiderio che Dio si riveli… Per questo «anche le
persone che si ritengono agnostiche o atee, devono stare a
cuore a noi come credenti» (ibidem). Non stupisce allora che
abbia avuto una certa eco nei media la proposta che lo stesso
Benedetto XVI avanzava: «Io penso che la Chiesa dovrebbe
anche oggi aprire una sorta di “cortile dei gentili” dove gli
uomini possano in qualche maniera agganciarsi a Dio, senza
conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo
mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa»
(ibidem). Ciò significa incitamento a trovare modalità nuove di
attenzione verso le persone che non credono: occorre infatti
che non si sentano inibite, ma rispettosamente considerate:
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 57 ――――――――――――――――
«Conoscono Dio, per così dire, soltanto da lontano; sono
scontente con i loro dèi, riti, miti; desiderano il Puro e il
Grande, anche se Dio rimane per loro il “Dio Ignoto”»
(ibidem). È necessario allora dar fondo alla creatività pastorale,
rivisitando i moduli ordinari di essa e ripensandoli in ordine
alla nuova evangelizzazione: «Nessuno deve sentirsi come
spaventato dalla nostra concreta attenzione, ma neppure deve
sentirsi ignorato». (A.BAGNASCO, Prolusione al Consiglio
Permanente della CEI , 25 gennaio 2010).
Come cristiani dobbiamo essere consapevoli che tutto il
bene spirituale della Chiesa è racchiuso nell’Eucaristia, dove
Cristo, nostra Pasqua, è presente e dà vita agli uomini, che lo
riconoscono vicino e presente nel segno più grande che Egli ci
ha lasciato.
«Tutto è cominciato da un avvenimento testimoniato
da persone concrete, in maniera affidabile e convincente. Il
giorno di Pasqua, di buon mattino, alcune donne si recano al
sepolcro di Gesù di Nazaret, ma lo trovano vuoto, e ne
restano sorprese e impaurite. Un personaggio misterioso,
seduto sulla destra del sepolcro, dice loro: «Non abbiate
paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non
è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai
suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo
vedrete, come vi ha detto”» (Mc 16,6-7). «Andate, dite»: è
quello che le donne fanno con lo stupore di cui sono pervase.
Che il Crocifisso sia risorto è una notizia troppo grande per
poter essere taciuta. Anche gli apostoli, dapprima impauriti e
ripiegati su se stessi, diventano testimoni coraggiosi e aperti
al mondo. La grande svolta avviene il giorno di Pentecoste,
con la piena effusione dello Spirito Santo. Il primo segno della
venuta dello Spirito è l’annuncio di Gesù Signore e Cristo, come
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 58 ――――――――――――――――
fa Pietro alla folla accorsa: “Uomini d’Israele, ascoltate queste
parole: Gesù di Nazaret – uomo accreditato da Dio…,
consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la
prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e
l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato…» (At 2,22-24). Anche
al centurione Cornelio, rappresentante del mondo pagano,
Pietro, primo missionario, non avrà altro da dire: “Essi lo
uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato
al terzo giorno” (At 10,39-40). Una fede cristiana senza
l’adesione al messaggio della risurrezione di Cristo non è più
conforme alla fede di Pietro, di Paolo, dei primi cristiani. E
non è più la fede che Gesù ha chiesto per la sua persona.
Tutt’al più è una idealizzazione dell’uomo Gesù, come un
eroe o un saggio, non il nostro Salvatore e Signore. Chi si
illude di poter fare a meno della risurrezione di Cristo, non è
più fedele al suo messaggio di salvezza». (CEI, Questa è la
nostra Fede, 12).
Riecheggia ancora oggi quel «Vogliamo vedere Gesù»
(Gv 12,21) confidato all’apostolo Filippo da alcuni Greci che si
erano recati a Gerusalemme per il pellegrinaggio pasquale.
Come quei pellegrini di duemila anni fa, gli uomini del nostro
tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai
credenti di oggi non solo di «parlare» di Cristo, ma in certo
senso di farlo loro «vedere». E non è forse compito della
Chiesa riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia,
farne risplendere il volto anche davanti alle generazioni del
nuovo millennio? La nostra testimonianza sarebbe, tuttavia,
insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo
«contemplatori del suo volto» (cfr. GIOVANNI PAOLO II, Novo
Millennio Ineunte, 16).
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 59 ――――――――――――――――
EUCARISTIA E INIZIAZIONE CRISTIANA
L’iniziazione cristiana è un cammino di fede che, grazie
soprattutto ai sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia, introduce progressivamente nel mistero di Cristo
e della Chiesa, cioè fa diventare cristiani. È l’inserimento dei
credenti in Cristo morto e risorto come membri del suo
popolo – membra del suo corpo. In questo cammino l’aspetto
più immediato ed evidente è che siamo accolti da una
comunità visibile, la Chiesa, ma, in realtà, attraverso di essa
siamo introdotti contemporaneamente nella comunione con
Cristo e, mediante lui, col Padre nello Spirito Santo.
Parlando del rapporto tra Eucarestia ed iniziazione
cristiana va subito detto che la celebrazione liturgica non è
uno dei fattori dell’Iniziazione Cristiana: essa è ciò che la fa.
Essa cioè non è semplicemente espressione di un cammino
psico-pedagogico che si sta facendo, ma è la causa efficiente
dell’introduzione della persona nel mistero di Cristo. Essa
non è solo occasione di una catechesi: è la ragione d’essere
della catechesi stessa. E’ il culmine dell’iniziazione cristiana. È
alimento della vita ecclesiale e sorgente della missione. Non
chiude il cammino ma, continuamente offerta e ricevuta, ne
rinnova ogni volta l’esperienza di grazia. Da essa prende
forma la vita cristiana a servizio del Vangelo.
In quest’ottica di stupore adorante, sollecitati dalle parole del Papa, che chiede che ogni generazione sia destinataria
dell’annuncio eucaristico della Chiesa, consideriamo il rapporto tra l’Eucaristia e quel progetto di formazione delle generazioni cristiane che è l’iniziazione, il cammino con il quale
uomini e donne, rispondendo alla chiamata della fede, vengono guidati dalla Chiesa a diventare cristiani. Cristiani, infatti,
«non si nasce, si diventa» – come ha ben detto Tertulliano
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 60 ――――――――――――――――
(Apologetico 18, 4) – e questo avviene con un progressivo
inserimento nel mistero di Cristo e della sua Chiesa. I vescovi
italiani hanno così definito l’iniziazione cristiana: «un processo,
sufficientemente esteso nel tempo, per risvegliare la fede […],
approfondirla con un apprendistato della vita cristiana
integrale e, al termine, attraverso l’iniziazione sacramentale,
condurre il nuovo credente alla partecipazione al mistero di
morte e risurrezione di Cristo e all’integrazione piena nella
Chiesa» (CEI, L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per il
catecumenato degli adulti [30 marzo 1997], 27).
La pertinenza del tema «Eucaristia, centro e culmine
dell’iniziazione cristiana» appare chiaramente, se consideriamo che l’iniziazione cristiana è come un tessuto –
verrebbe da dire il vestito nuziale di cui parla Gesù nel
vangelo (cfr. Mt 22,12) –, in cui si intrecciano tra loro e interagiscono «testimonianza e annuncio, itinerario catecumenale,
sostegno permanente della fede mediante catechesi, vita
sacramentale, mistagogia e testimonianza» (CEI, Comunicare il
Vangelo in un mondo che cambia, 59); questo tessuto ha nell’Eucaristia «il contenuto e l’espressione più alta» (G.BETORI,
L’Eucarestia centro e culmine dell’iniziazione cristiana, 2004).
L’Eucaristia è il vertice dell'iniziazione cristiana; iniziare, infatti, rimanda a un’esperienza più che a una conoscenza
e tale esperienza non potrà essere soltanto quella della
Eucaristia nel suo momento celebrativo, quanto piuttosto,
quella di un evento sacramentale che collega insieme, parola
di Dio e vita vissuta in una articolazione di momenti specifici.
Iniziare, comporta una gradualità, per cui si entra poco
alla volta nella realtà alla quale si è iniziati; immettere tutto in
una volta una persona nella grande assemblea che celebra
l'Eucaristia domenicale... è come buttare nella piscina pro-
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 61 ――――――――――――――――
fonda chi sta imparando a nuotare!
Il sacramento del Battesimo, con il quale siamo resi
conformi a Cristo, incorporati nella Chiesa e resi figli di Dio,
costituisce la porta di accesso a tutti i Sacramenti. Con esso
veniamo inseriti nell'unico Corpo di Cristo (cfr. 1Cor 12,13),
ma è la partecipazione al Sacrificio eucaristico a perfezionare
in noi quanto ci è donato nel Battesimo. Anche i doni dello
Spirito sono dati per l'edificazione del Corpo di Cristo (1Cor
12) e per la maggiore testimonianza evangelica nel mondo.
Pertanto la santissima Eucaristia porta a pienezza l'iniziazione
cristiana e si pone come centro e fine di tutta la vita
sacramentale (cfr. BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, 17)
«Nell’eucaristia, infatti, dopo le parole della consacrazione, la realtà profonda (non fenomenica) del pane e del vino è
trasformata nel corpo e sangue di Cristo. Questa meravigliosa
trasformazione viene chiamata dalla chiesa “transustanziazione”. Perciò sotto le apparenze (o realtà fenomenica) del pane e
del vino è nascosta, in modo del tutto misterioso, la stessa
umanità di Cristo, non soltanto attraverso la sua virtù ma per se
stessa (cioè sostanzialmente), congiunta con la sua divina
Persona. Questo sacrificio non è semplicemente un rito commemorativo di un sacrificio passato, infatti in esso Cristo, per
mezzo del ministero dei sacerdoti, perpetua nel corso dei secoli
in modo incruento il sacrificio della Croce e nutre i fedeli di se
stesso, pane di vita, affinché, riempiti dell’amore di Dio e del
prossimo, diventino un popolo sempre più accetto a Dio. Nutriti
della vittima del sacrificio della croce, i fedeli col loro amore genuino e attivo superino i pregiudizi per i quali spesso sono
accusati di praticare un culto sterile che li distoglie dall’impegno
di collaborazione fraterna con gli uomini. Il convito eucaristico
ha lo scopo di unire ogni giorno sempre più i fedeli a Dio attra-
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 62 ――――――――――――――――
verso la preghiera frequente, spingendoli a riconoscere e amare
gli altri uomini come fratelli in Cristo e figli di Dio» (CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio Catechistico Generale, 58).
Il clima di famiglia delle celebrazioni eucaristiche potrà
essere favorito dall’incentivare maggiormente la partecipazione di tutta la famiglia, unita intorno alla medesima Eucaristia.
Questo diventa particolarmente importante ed educativo per i
fanciulli e i ragazzi dell’iniziazione cristiana. La Messa domenicale va vissuta come il momento in cui la famiglia rigenera se
stessa nell’incontro con il Cristo sposo e la sua Chiesa, e così
ritrova la qualità alta delle sue relazioni. Come lascia intendere
il titolo stesso del Direttorio per le Messe con la partecipazione dei
fanciulli (1973), non si tratta, perciò, di programmare le «Messe
dei fanciulli», bensì le Messe della comunità «con la
partecipazione dei fanciulli» e delle loro famiglie.
Parlare ai fanciulli e ai ragazzi di Gesù presente nei
segni del pane spezzato e del vino versato per la salvezza dell’umanità non è semplice: la Chiesa, seguendo le indicazioni
venute dal Magistero, ha cercato di adeguarsi ai segni dei
tempi, pur senza tradire se stessa.
Non bisogna dimenticare che, oggi nella società contemporanea, i fanciulli e i ragazzi reagiscono alle provocazioni della vita in modo sempre nuovo e diverso:
• cambiano il loro modo di comunicare e di entrare in
relazione con gli altri;
• hanno necessità di filtrare i messaggi e i linguaggi dei
media;
• hanno doni da offrire: semplicità, vitalità, fantasia…;
• hanno da raccontare un passato, vivere un presente e
sperare in un futuro.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 63 ――――――――――――――――
SPUNTI DI RIFLESSIONE:
• Nell’itinerario della iniziazione parliamo ancora di
“preparazione alla Prima Comunione” o siamo passati ad
una nuova mentalità in cui si vuole iniziare le famiglie alla
vita cristiana che ha nell’Eucaristia (non nella Prima
Comunione) il suo culmine e la sua fonte?
• In che modo la comunità cristiana è capace di prendersi
cura delle fasi che scandiscono i percorsi di fede dei
fanciulli e dei ragazzi?
• Fino a che punto, possiamo acconsentire che gli animatori
non vivano l’Eucaristia domenicale insieme ai ragazzi di
cui si sono assunti la responsabilità educativa?
• Quale ruolo ha la comunità che li ha loro affidati?
• Come valorizzare le ricchezze della fede presenti nei
fanciulli e nei ragazzi?
• Come si cerca di rendere i fanciulli “attori” della
celebrazione, senza scadere in infantilismi o protagonismi?
Si aiutano i fanciulli a scoprire gradualmente la bellezza
della Liturgia e dei suoi segni, preparandoli a conoscere le
letture ed i testi che, di volta in volta, sono utilizzati? Non
si tratta di “adattare” la Liturgia ad essi, ma di aiutarli a
viverla con i sentimenti che furono di Cristo.
SUGGERIMENTI:
• Sarebbe importante leggere e approfondire il rito per la
Messa con i fanciulli, in particolare i testi delle preghiere
eucaristiche e le altre orazioni e canti previsti.
• Negli appuntamenti di catechesi, sarebbe opportuno
insegnare ai fanciulli a pregare “liturgicamente”, ovvero
con i testi della liturgia, così da stimolare un’autentica
actuosa partecipatio.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 64 ――――――――――――――――
• Grazie anche all’esempio dei santi di ieri e di oggi, è
opportuno aprire gli occhi dei fanciulli dinanzi al mistero
dell’Eucaristia e alle sue molteplici prospettive, aiutandoli
a vivere consapevolmente e non passivamente il Sacrificio
della Santa Messa.
EUCARISTIA E GIOVANI
Educare i giovani all’Eucaristia è un capitolo importante della Pastorale Giovanile. Al di là dell’azione imprevedibile
dello Spirito, non è pensabile che un giovane aderisca consapevolmente al momento fondante e culminante della vita
cristiana se “qualcuno” non lo accompagna nei momenti che
precedono e seguono la Messa e nella vita di fede di tutti i
giorni. Significative appaiono queste espressioni del Beato
Pier Giorgio Frassati:
«La nostra vita per essere cristiana è una continua
rinunzia, un continuo sacrificio che però non è pesante
quando solo si pensi che cosa sono questi pochi anni passati
nel dolore in confronto all’eternità felice, dove noi godremo
una pace che non si può immaginare. Dunque, giovani,
imparate da Nostro Signor Gesù Cristo il sacrificio; Egli, che
per scontare i nostri orribili peccati, si è immolato Vittima
Innocente sul Calvario e rinnova ogni giorno in tutte le parti
del mondo nella Santa Messa questo mirabile Sacrificio».
Non possiamo permettere che i nostri giovani vivano la
loro fede in solitudine, costruendosela “da sé”: ne va del nostro stesso essere Chiesa. Giova ricordare che il senso del
nostro essere parrocchia trova radice nell’essere in comunione
col Vescovo e con la Chiesa universale.
Ogni età dell’uomo racchiude in sé il proprio significato
e la sua propria funzione per il raggiungimento della ma-
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 65 ――――――――――――――――
turità. Così una sana educazione umana e cristiana consente a
ciascuno di vivere sempre come figlio di Dio, ed è garanzia
del progresso spirituale. Pertanto, in ogni arco di età i cristiani
devono potersi accostare a tutto il messaggio rivelato, secondo forme e prospettive appropriate.
Non manca tra i giovani la domanda di spiritualità. La
necessità di entrare nei nuovi «areopaghi» dei giovani ci
spinge a realizzare con coraggio l’unità e non la separazione
tra educazione ed evangelizzazione. La richiesta che viene dai
vari ambienti giovanili è sempre quella della «relazione»: ben
pochi oggi sono gli spazi e i tempi «umanizzati» capaci di
favorire incontri autentici tra le persone. E’ forte tra i giovani
la richiesta di relazione, ma non sempre le nostre strutture e i
nostri ruoli riescono a gestire, o quanto meno, ad offrire
spazio per questa relazione. Forte, inoltre, è il rischio di
ridurre tutto a relazione «orizzontale», senza una prospettiva
aperta sull’Assoluto. Occorre una rinnovata missionarietà
nella formazione ma anche nella struttura ecclesiale: la
missione non è un «di più» o un «poi» rispetto all’essere della
Chiesa. Una capacità attuata di «estroversione», che è
connaturale all’uomo, contribuisce alla crescita umana e di
fede di ciascuno, in quanto ci si costruisce nell’incontro con
l’altro e nel sapersi rendere dono d’amore. Tale missionarietà
non può mai essere, inoltre, un’abilità individuale dei singoli,
ma richiede l’unità di cuore e anima di tutti: nessuno oggi
nella società è autosufficiente nei confronti dei giovani, e
neppure la comunità cristiana lo è nel suo lavoro di educare
alla fede. La comunità, il gruppo, l’associazione, il movimento, devono aprirsi al confronto e alla collaborazione ed
è per questo che tutti gli educatori dei giovani devono
lavorare «in rete».
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 66 ――――――――――――――――
SPUNTI DI RIFLESSIONE
• Che senso ha chiedere ai giovani di andare controcorrente?
• In che modo la comunità cristiana è capace di prendersi cura
delle fasi che scandiscono i percorsi di fede dei giovani?
• Le nostre comunità creano momenti di discussione e di
riflessione intorno alla Pastorale Giovanile?
• Quale considerazione hanno i giovani della vita della
Chiesa Universale, della Diocesi e della Parrocchia?
SUGGERIMENTI:
• Rielaborare ciò che si è vissuto a Messa facendone
risonanza nei gruppi giovanili o nelle “compagnie” dei
giovani che si frequentano.
• Approfondire e meditare insieme i discorsi e le encicliche
del Papa, suscitando un amore sempre più grande per il
Vicario di Cristo.
• Studiare e riflettere insieme sui documenti diocesani e sul
messaggio del Vescovo incitando con particolare energia i
giovani a prendere parte ai momenti di comunione di tutta
la Chiesa con il Vescovo (specialmente la Giornata
Diocesana per la Gioventù, o anche il Pellegrinaggio ad
ottobre a Montevergine, o pure la Messa Crismale nella
Settimana Santa).
• Incoraggiare i ragazzi ad una lettura graduale del
Catechismo della Chiesa Cattolica – magari nella forma
del Compendio – senza timore di porre domande o
questioni al Parroco o ai catechisti.
• Aiutare i ragazzi a scoprire la preghiera silenziosa davanti
al Tabernacolo o della Adorazione Eucaristica magari dedicando, di tanto in tanto, un momento del percorso di iniziazione comunitaria proprio al culto eucaristico fuori
dalla Messa.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 67 ――――――――――――――――
EUCARISTIA E ADULTI
Le domande religiose di un adulto solitamente si
accompagnano a una ricerca libera, che non deve essere
condizionata dalla fretta di essere ammessi alla celebrazione di
un sacramento. È importante perciò considerare la storia di
ciascuno, favorendo un libero confronto. Il felice esito di un
accompagnamento nel cammino di fede, infatti, non si misura
dal numero delle persone che immediatamente si “reintegrano” nella Chiesa. Nella vita quotidiana, nel contatto
giornaliero, nei luoghi di lavoro e di vita sociale si creano molte
occasioni di testimonianza e di comunicazione del Vangelo;
non è sempre facile, per chi pur battezzato e che vive al di fuori
di una esperienza cristiana autentica, cogliere con precisione i
segni del risveglio della fede e il momento in cui si è pronti ad
accogliere il Vangelo e a viverlo. Le domande religiose, in vario
modo rivolte alla comunità ecclesiale, vanno accolte, anche
quando necessitano di verifica e di purificazione. A volte sono
domande vaghe, talora chiedono ciò che la comunità non può
dare, non poche volte si fermano alla superficie delle cose. Ma
colui che chiede, proprio perché adulto, deve essere aiutato a
capire che nella sua domanda è implicito l’interrogativo: «Che
cosa debbo fare?» (cfr. At 2,37). In ogni caso, viene il momento
in cui la proposta cristiana di confessare che Gesù è il Signore
va formulata in modo chiaro ed esplicito. Questa è la missione
che compete alla Chiesa e a ogni cristiano: nella nostra società,
che si configura come multietnica e multireligiosa, i cristiani,
nel rispetto di ciascuna tradizione religiosa e di ogni
convinzione personale, ancorati alla propria identità e
rivendicando con coraggio la propria fedeltà al Vangelo di
Gesù Cristo morto e risorto, sono chiamati a dare una chiara
testimonianza di vita evangelica, senza condizionamenti o
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 68 ――――――――――――――――
compromessi. Occorre, peraltro, tenere presente che i cristiani
hanno il dovere di offrire a coloro che vivono momenti
impegnativi o situazioni molto sofferte della loro vita la
certezza di essere amati e salvati dal Padre nel Signore Gesù. È
pertanto urgente ravvivare la fede ridotta a tradizioni, a
consuetudine esteriore e individualista, per trasformarla in
scelta personale, libera e convinta, autenticamente comunitaria
(cfr. CEI, L’Iniziazione cristiana; Orientamenti per il risveglio della
fede e il completamento dell’iniziazione cristiana in età adulta, 8-9).
L’Eucaristia è necessità fondamentale per la vita
cristiana, pegno della vita futura che già nel tempo è pegno di
vita eterna. In tal senso, è opportuno ricordare le parole di
Gesù: «In verità, in verità vi dico, se non mangiate la carne del
Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi
la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la
vita eterna ed io lo resusciterò nell’ultimo giorno» (Gv. 6, 5354). E’ di primaria importanza, quindi, incentrare la catechesi
agli adulti sull’Eucaristia “apice” di tutta la vita cristiana.
«Prendete e mangiate, questo è il mio corpo» sono le parole
del racconto dell’Istituzione che esprimono il dono d’amore
fatto da Gesù ai suoi, ma sono anche programma di vita per il
cristiano adulto a cui far comprendere come l’Eucaristia sia la
radice dalla quale scaturisce l'alleanza. La cena eucaristica è il
punto di arrivo di una alleanza pensata, preparata da lungo
tempo e poi giunta al suo culmine, al suo vertice con la passione, morte e risurrezione di Gesù. L’Eucaristia crea comunione ed educa alla comunione: in essa l'agape di Dio viene a noi
corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi. L'unione con Cristo è allo stesso tempo unione
con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Un’Eucaristia che non si
traduca in amore concretamente praticato è in se stessa fram-
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 69 ――――――――――――――――
mentata perché l'amore non può essere «comandato» se prima non è donato (cfr. BENEDETTO XVI, Deus Caritas Est, 14).
Fine dell’Eucaristia è proprio “la comunione degli uomini con
Cristo e in Lui col Padre e con lo Spirito Santo” (Giovanni
Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 22). Quando si partecipa al
Sacrificio eucaristico si percepisce più a fondo l'universalità
della redenzione e di conseguenza, l’urgenza della missione
della Chiesa il cui programma si incentra in ultima analisi, in
Cristo stesso da conoscere, amare, imitare per vivere in Lui la
vita trinitaria e trasformare con Lui la storia fino al suo
compimento.
SPUNTI DI RIFLESSIONE:
• Come noi, popolo santo di Dio, ci facciamo attrarre da
questo Mistero d’Amore?
• Che rapporto hanno gli adulti con il Mistero Eucaristico?
• La Chiesa è “compagna di viaggio” di coloro che hanno
intrapreso un cammino di riscoperta della fede?
• Perché è così difficile testimoniare nel quotidiano l’essere
membra vive di Gesù Cristo?
SUGGERIMENTI:
• Il cristiano non può sentirsi soddisfatto se, finita la santa
Messa e aver fatto la comunione, si tiene Gesù sacramentato
solo per sé occorre portarlo agli altri. «La messa è finita,
andate in pace» (Messale Romano) non ha significato di
completamento della santificazione della festa, ma è l’invito
a portare Cristo nelle nostre famiglie, nelle nostre fabbriche,
nei nostri luoghi di svago, nel nostro campo sociale, nelle
nostre parrocchie, nei nostri quartieri, con il nostro stile di
vita. «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 70 ――――――――――――――――
sapore, con che cosa si potrà render salato? A null'altro
serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi
siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città
collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per
metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia
luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la
vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre
opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli»
(Mt 5,13-16). Non sono tanto le parole che dobbiamo
portare agli altri, quanto la valorizzazione delle piccole
opere quotidiane della nostra vita. La nostra Eucaristia è
stata vissuta in maniera superficiale, e la nostra conversione
non è avvenuta, se non c’è in noi l’urgenza di una salvezza
universale e conduciamo una vita disordinata.
• Si suscitino opportuni momenti per coinvolgere le famiglie
nella vita della comunità, approfittando anche dei ritmi
dell’anno liturgico. Ad esempio, nella festa del Battesimo
di Gesù, si invitino a preparare la celebrazione le famiglie i
cui figli sono stati battezzati nell’anno in corso; lo stesso si
faccia per gli sposi che hanno celebrato il matrimonio in
quell’anno, nella festa della Sacra Famiglia.
EUCARISTIA E LITURGIA
Il Concilio Vaticano II, nella costituzione Sacrosanctum
Concilium, così descrive la liturgia: «La liturgia è considerata
come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In
essa, la santificazione dell'uomo è significata per mezzo di
segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi;
in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo
mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra»
(Sacrosanctum Concilium, 7).
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 71 ――――――――――――――――
Altro elemento che riguarda il tema del rapporto tra
Eucarestia e il culto è il Tempio, la chiesa: «Il tempio è il cielo
terrestre, nei suoi spazi celesti Dio abita e passeggia». Queste
parole di S. Germano ci fanno intravvedere il significato
vertiginoso del tempio cristiano. Lo spazio come luogo e
dimora di Dio, un problema anche architettonico delle nostre
chiese dove si deve ricercare la dimensione della trascendenza che involgi il fedele all’adorazione. Insomma l’accordo
tra la scala naturale dell’umano e la scala trascendente dell’infinito.
E’ nella liturgia che il credente trova la Chiesa come
tale, in atto, credente e mediatrice della Grazia. Come afferma
lo stesso Vaticano II la liturgia è veramente il centro da cui
deriva tutto il resto della vita cristiana. Il culto inteso nella sua
pienezza va ben oltre l’azione liturgica, abbraccia la vita
umana. Dice Sant’Ireneo di Lione: «l’uomo diventa glorificazione di Dio».
La Liturgia è azione di Cristo nell’esercizio della sua
opera di salvezza, che consiste nella riconciliazione tra gli
uomini e Dio; essa si serve di cose sensibili (segni) che
significano questa realtà di salvezza e contemporaneamente
la realizzano. La Liturgia produce la santificazione dell’uomo,
cioè la sua unione con Dio, ed è un atto di culto di Cristo e della
Chiesa unita a lui, quindi un’azione congiunta di Dio e
dell’uomo. L’Eucarestia potremmo intenderla proprio come il
centro mistico del cristianesimo, nel quale, in modo
misterioso, Dio continuamente esce da se stesso e ci attira nel
suo abbraccio. L’Eucarestia è l’adempimento della parola
profetica del primo giorno della settimana di passione di
Gesù: “E quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me”
(Gv 12,32). “L’esistenza cristiana che non fosse inserita nella
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 72 ――――――――――――――――
Pasqua del Signore, che non fosse essa stessa Eucarestia,
rimarrebbe nel moralismo del nostro agire e così mancherebbe di nuovo la totalità della nuova liturgia, che è fondata attraverso la croce” (J. RATZINGER).
Nella liturgia si può dire che Cristo prega in noi e per
noi, come capo unito sempre al suo corpo che è la Chiesa.
Infatti “Cristo è sempre presente nella sua Chiesa e in modo
speciale nelle azioni liturgiche” (Sacrosanctum Concilium, 7),
particolarmente:
• nella celebrazione dell’Eucaristia e nella persona del
ministro;
• in tutti i sacramenti che sono azioni personali di Cristo;
• nella Parola di Dio proclamata;
• nell’assemblea dei fedeli riuniti per pregare e lodare il
Signore.
Per entrare nel mistero Eucaristico, nucleo della liturgia,
occorre ripartire dal recupero del significato della domenica,
«giorno del Signore», e riscoprire la nostra fede, in modo che la
celebrazione della stessa liturgia domenicale, in un certo qual
modo parli da sé, dica la gioia dell’assemblea per la
partecipazione al mistero della presenza del Risorto. E’ presente
nel Sacrificio della Messa sia nella persona del ministro essendo
egli stesso che «offertosi una volta sulla croce, offre ancora se
stesso tramite il ministero dei sacerdoti », sia soprattutto sotto le
specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti, al
punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È
presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella
Chiesa si legge la Sacra Scrittura. È presente, infine, quando la
Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: «Dove sono due o tre
riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro» (Mt 18,20).
Effettivamente per il compimento di quest'opera così grande,
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 73 ――――――――――――――――
con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini
vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua
sposa amatissima, la quale l’invoca come suo Signore e per
mezzo di lui rende il culto all’eterno Padre. Giustamente, perciò,
la liturgia è considerata come «l'esercizio della funzione
sacerdotale di Gesù Cristo».
L’azione liturgica è “memoriale”. Ma “memoriale” del
genere che è stato posto da Dio: non opera della facoltà
umana di rappresentare e riprodurre un’esperienza vissuta;
non, da parte della comunità credente, il rendersi presente
con sacra solennità il passato, ma un ricordo divino; di un
rango, quale ci viene manifestato ancora solo in un unico
punto: nella conoscenza generatrice del Padre, il cui frutto
eterno è il Figlio vivente (Gv 1,1-2). (R. GUARDINI)
È importante, afferma la lettera Mane nobiscum Domine
al n. 17, che «i Pastori si impegnino in quella catechesi
“mistagogica”, tanto cara ai Padri della Chiesa, che aiuta a
scoprire le valenze dei gesti e delle parole della Liturgia,
aiutando i fedeli a passare dai segni al mistero e a coinvolgere
in esso l’intera loro esistenza». Oggi serve una liturgia
insieme seria, semplice e bella, che sia veicolo del mistero,
capace di narrare la perenne alleanza di Dio con gli uomini.
Purtroppo molte celebrazioni non hanno affatto quella
connotazione profonda e convinta, tipica di un’esperienza
ecclesiale del mistero di Dio. La scelta pastorale di
moltiplicare le Messe, fino ad abbracciare il sabato sera, allo
scopo di favorire l’assolvimento del precetto e la comodità di
partecipazione, è andata talvolta a scapito della qualità.
Bisogna ricreare le condizioni perché ci sia spazio per
Eucaristie ben celebrate, con grande dignità, capaci, di
ridestare ancora oggi lo «stupore eucaristico».
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 74 ――――――――――――――――
A questo scopo, oltre che raccomandare il decoro del
tempio, il gusto sobrio degli addobbi e dei fiori, la cura dei
paramenti - cose che già si riscontrano lodevolmente in tante
parrocchie -, si intende qui proporre alcune osservazioni sulle
due parti fondamentali della celebrazione eucaristica. La
«Liturgia eucaristica»: è fondamentale che venga vissuta con
calma e grande devozione, senza squilibri tra la parte della
Parola e quella dell’Eucaristia in senso stresso; che la
processione offertoriale sia solo ed essenzialmente l’offerta della
materia per il Sacrificio eucaristico; che si utilizzino
opportunamente tutte le preghiere eucaristiche del messale,
privilegiando il Canone Romano, Preghiera Eucaristica per
eccellenza; che il senso della gioia per la presenza del Risorto
sia sempre affiancato dalla contemplazione e dalla
adorazione del Signore, che utilmente si prolungherà anche al
di fuori della celebrazione; che il momento della Comunione
sia accompagnato dal canto comunitario ma anche da un
congruo spazio di silenzio grato e adorante. A tal fine è
opportuno che, nell’omelia, spesso il sacerdote insista sulla
necessità di vivere con adorazione e venerazione – le quali si
concreteranno, laddove possibile, anche nella scelta della
preghiera in ginocchio e in silenzio – i momenti della
Consacrazione e del ringraziamento alla Comunione.
LITURGIA E EUCARISTIA DOMENICALE
Il nostro Salvatore, la notte in cui veniva tradito, istituì
il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue, col
quale perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio
della croce e per affidare così alla diletta sposa, la Chiesa, il
memoriale della sua morte e resurrezione: sacramento di
pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 75 ――――――――――――――――
quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolmata di grazia e
viene dato il pegno della gloria futura (cfr. BENEDETTO XVI,
Sacramentum Caritatis, 47). La spiritualità liturgica, quindi, si
fonda sul mistero pasquale in quanto esso è la sintesi di tutta
la rivelazione, la storia della salvezza, che ha come momento
culminante la “venuta” del Figlio di Dio e trova il suo
compimento nella Pasqua.
La liturgia non è l’occasione per presentare un’idea
all’attenzione dei partecipanti o per offrire loro un esempio
moraleggiante da imitare, ma è il momento adatto per entrare
in contatto col mistero salvifico di Dio, il mistero di Cristo,
chiamato a trasformare la nostra vita. Il mistero che celebriamo nella liturgia è il dono della vita, nascosto in Dio nei
secoli, che Egli ha voluto manifestare e comunicare agli
uomini nel Figlio suo, morto e risorto, con l’effusione dello
Spirito. La liturgia è la più alta scuola per educare la fede
cristiana attraverso la parola, la catechesi, i segni, le preghiere,
il canto e i gesti. Chi partecipa pienamente e consapevolmente
alla liturgia non ha bisogno di altre scuole di vita spirituale.
Ricordava Giovanni Paolo II al termine del Giubileo del
2000: «Il massimo impegno va posto dunque nella liturgia, il
culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, insieme, la
fonte da cui promana tutta la sua virtù». Occorre insistere in
questa direzione, dando particolare rilievo all'Eucaristia domenicale e alla stessa domenica, sentita come giorno speciale della
fede, giorno del Signore risorto e del dono dello Spirito, vera
Pasqua della settimana. «E’ proprio nella Messa domenicale,
infatti, che i cristiani rivivono in modo particolarmente
intenso l’esperienza fatta dagli apostoli la sera di Pasqua,
quando il Risorto si manifestò ad essi riuniti insieme. In quel
piccolo nucleo di discepoli, primizia della Chiesa, era in
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 76 ――――――――――――――――
qualche modo presente il Popolo di Dio di tutti i tempi»
(GIOVANNI PAOLO II, Dies Domini, 33). Da duemila anni, il
tempo cristiano è scandito dalla memoria di quel «primo
giorno dopo il sabato», in cui Cristo risorto portò agli
Apostoli il dono della pace e dello Spirito (cfr. Gv 20,19-23). La
verità della risurrezione di Cristo è il dato originario su cui
poggia la fede cristiana (cfr. 1Cor 15,14), evento che si colloca
al centro del mistero del tempo, e prefigura l'ultimo giorno,
quando Cristo ritornerà glorioso. «Non sappiamo quali eventi
ci riserverà il millennio che sta iniziando, ma abbiamo la
certezza che esso resterà saldamente nelle mani di Cristo, il
«Re dei re e Signore dei signori» (Ap 19,16), e proprio
celebrando la sua Pasqua, non solo una volta all’anno, ma
ogni domenica, la Chiesa continuerà ad additare ad ogni
generazione ciò che costituisce l’asse portante della storia, al
quale si riconducono il mistero delle origini e quello del
destino finale del mondo. Vorrei pertanto insistere, nel solco
della Dies Domini, perché la partecipazione all'Eucaristia sia
veramente, per ogni battezzato, il cuore della domenica: un
impegno irrinunciabile, da vivere non solo per assolvere a un
precetto, ma come bisogno di una vita cristiana veramente
consapevole e coerente. Stiamo entrando in un millennio che
si prefigura caratterizzato da un profondo intreccio di culture
e religioni anche nei Paesi di antica cristianizzazione. In molte
regioni i cristiani sono, o stanno diventando, un «piccolo
gregge». Ciò li pone di fronte alla sfida di testimoniare con
maggior forza, spesso in condizione di solitudine e di
difficoltà, gli aspetti specifici della propria identità. Il dovere
della partecipazione eucaristica ogni domenica è uno di
questi» (GIOVANNI PAOLO II, Novo Millennio Ineunte, 35-36).
La comunità cristiana potrà essere veramente tale
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 77 ――――――――――――――――
soltanto se custodirà la centralità della domenica «e se
custodirà nel contempo la parrocchia quale luogo – anche fisico
– a cui la comunità stessa fa costante riferimento. Ci sembra
molto fecondo recuperare la centralità della parrocchia e
rileggere la sua funzione storica concreta a partire
dall’Eucaristia, fonte e manifestazione del raduno dei figli di
Dio e vero antidoto alla loro dispersione nel pellegrinaggio
verso il regno». Solo la frequenza costante all’Eucaristia in una
specifica comunità parrocchiale visibilizza e rinsalda il forte
senso di appartenenza e rende concretamente possibile quella
conoscenza reciproca e quella comunione fraterna che possono
e debbono essere coltivate ed espresse anche al di fuori del
tempio, nelle relazioni quotidiane.
Rimane attuale anche il monito della nota pastorale
della CEI su Il giorno del Signore, al n. 10, dove si sottolinea che
«nella sua forma più piena e più perfetta, l’assemblea si
realizza quando è radunata attorno al suo vescovo, o a coloro
che, a lui associati con l’ordine sacro nello stesso sacerdozio
ministeriale, legittimamente lo rappresentano nelle singole
porzioni del suo gregge, le parrocchie».
La comunità si costruisce così nella e dalla celebrazione
dell’Eucaristia domenicale; la domenica, giorno del Signore,
della Chiesa e dell’uomo, sta alla sorgente, al cuore e al vertice
della vita parrocchiale: il valore che la domenica ha per
l’uomo e lo slancio missionario che da essa si genera
prendono forma solo in una celebrazione dell’Eucaristia
curata secondo verità e bellezza. Occorre studiare forme di
catechesi che preparino e seguano la celebrazione e
contribuiscano ad alimentare tra i fedeli tutti una diffusa
“competenza” liturgica. La partecipazione all’Eucaristia deve
diventare per ogni battezzato, il cuore della domenica: un
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 78 ――――――――――――――――
impegno irrinunciabile da vivere non solo e non
semplicemente per assolvere ad un precetto, ma come
bisogno di una vita cristiana veramente consapevole e
coerente.
«L’Eucaristia domenicale, raccogliendo settimanalmente i cristiani come famiglia di Dio intorno alla mensa della
Parola e del Pane di vita, è anche l’antidoto più naturale alla
dispersione. Essa è il luogo privilegiato dove la comunione è
costantemente annunciata e coltivata. Proprio attraverso la
partecipazione eucaristica, il giorno del Signore diventa anche
il giorno della Chiesa, che può svolgere così in modo efficace
il suo ruolo di sacramento di unità» (GIOVANNI PAOLO II,
Novo millennio ineunte, 36).
«Un tale giorno, pertanto, si manifesta come festa
primordiale, nella quale ogni fedele, nell'ambiente in cui vive,
può farsi annunziatore e custode del senso del tempo. Da
questo giorno, in effetti, scaturisce il senso cristiano
dell'esistenza ed un nuovo modo di vivere il tempo, le
relazioni, il lavoro, la vita e la morte. È bene, dunque, che nel
giorno del Signore le realtà ecclesiali organizzino, intorno alla
Celebrazione eucaristica domenicale, manifestazioni proprie
della comunità cristiana: incontri amichevoli, iniziative per la
formazione nella fede di bambini, giovani e adulti,
pellegrinaggi, opere di carità e momenti diversi di preghiera.
A motivo di questi valori così importanti – per quanto
giustamente il sabato sera sin dai Primi Vespri appartenga già
alla Domenica e sia permesso adempiere in esso al precetto
domenicale – è necessario rammentare che è la domenica in
se stessa che merita di essere santificata, perché non finisca
per risultare un giorno vuoto di Dio» (BENEDETTO XVI,
Sacramentum Caritatis, 73).
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 79 ――――――――――――――――
SPUNTI DI RIFLESSIONE:
• Partecipando alla liturgia eucaristica domenicale cosa
notiamo: la preoccupazione per lo svolgimento corretto
dei riti? Un senso di lontananza dalla vita concreta? La
difficoltà di veicolare un messaggio? Il perpetuarsi di
un’abitudine?
• Vengono coinvolte persone nella preparazione delle nostre
celebrazioni liturgiche parrocchiali formando anche un
gruppo liturgico?
• Quali iniziative di formazione ritieni opportune per far
crescere nella parrocchia, la conoscenza per la liturgia?
• Come può essere migliorata la cura liturgica delle nostre
eucaristie domenicali?
• C’è spazio per il silenzio soprattutto dopo l’omelia e la
Comunione eucaristica?
SUGGERIMENTI:
• Maggiore cura della qualità delle celebrazioni eucaristiche
domenicali.
• Maggiore coinvolgimento dei fedeli nella preparazione
delle celebrazioni.
• Porsi a servizio e in dialogo con la comunità, che ha la
necessità di sentirsi accolta, ascoltata e protagonista di ciò
che celebra.
• Organizzare le attività parrocchiali (pellegrinaggi, gite,
attività oratoriali…) in modo che esse gravitino intorno
alla Messa domenicale.
• Prolungare la comunione fraterna anche nei momenti
immediatamente successivi alla Santa Messa domenicale,
ad esempio – ove possibile – con un momento di
convivialità sul sagrato della chiesa o nei locali
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 80 ――――――――――――――――
parrocchiali.
• Prestare particolare attenzione alla preparazione dei canti
liturgici, dei lettori, e al gruppo dei ministranti, non
trascurando che da tale ultima esperienza sono nate e
ancora nascono numerose vocazioni al sacerdozio.
EUCARESTIA E RELIGIOSITÀ POPOLARE
La pietà popolare è un tesoro della Chiesa. Nelle nostre
comunità l’incontro con Dio spesso è veicolato dalla
religiosità popolare tale da renderla espressione di una
autentica sensibilità spirituale per cui è necessario non isolare
queste espressioni di fede, a volte parziali (seppure non
necessariamente false) dall’insieme del mistero cristiano e
dalle genuine fonti della spiritualità. Certamente è necessario
trovare teologicamente e pastoralmente, il giusto rapporto tra
la liturgia della Chiesa e le devozioni, i pii esercizi e le
spiritualità di gruppi e movimenti, che evidenzino la natura
di gran lunga superiore della liturgia stessa (cfr. Sacrosanctum
Concilium, 13).
Il rinnovamento delle espressioni di religiosità popolare
e di devozione può essere perseguito partendo da una
maggiore ispirazione a partire dalla Sacra Scrittura e dalla
tradizione liturgica, conservando un’attenzione alle diverse
culture e mentalità umane, che possono legittimamente
esprimere in modo proprio il vissuto di fede.
«I fedeli cristiani hanno bisogno di una più profonda
comprensione delle relazioni tra l’Eucaristia e la vita quotidiana. La spiritualità eucaristica non è soltanto partecipazione
alla Messa e devozione al Santissimo Sacramento. Essa
abbraccia la vita intera». Questo rilievo riveste per tutti noi
oggi particolare significato. Occorre riconoscere che uno degli
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 81 ――――――――――――――――
effetti più gravi della secolarizzazione sta nell'aver relegato la
fede cristiana ai margini dell'esistenza, come se essa fosse
inutile per quanto riguarda lo svolgimento concreto della vita
degli uomini. Il fallimento di questo modo di vivere «come se
Dio non ci fosse» è ora davanti a tutti. Oggi c'è bisogno di
riscoprire che Gesù Cristo non è una semplice convinzione
privata o una dottrina astratta, ma una persona reale il cui
inserimento nella storia è capace di rinnovare la vita di tutti.
Per questo l’Eucaristia si deve tradurre in spiritualità, in vita
«secondo lo Spirito» (Rm 8,4s; cfr. Ga 5,16 e Ga 5,25). È
significativo che San Paolo, nel passo della Lettera ai Romani in
cui invita a vivere il nuovo culto spirituale, richiami
contemporaneamente alla necessità del cambiamento del
proprio modo di vivere e di pensare: «Non conformatevi alla
mentalità di questo secolo, ma trasformatevi, rinnovando la
vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è
buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). In tal modo,
l'Apostolo delle genti sottolinea il legame tra il vero culto
spirituale e la necessità di un nuovo modo di percepire
l'esistenza e di condurre la vita. È parte integrante della forma
eucaristica della vita cristiana il rinnovamento di mentalità,
«affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e
portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» (Ep 4,14) (cfr.
BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, 77).
È necessario, in modo particolare, che siano recuperate
o valorizzate quelle forme di religiosità popolare legate al
culto dell’Eucaristia al di fuori della Santa Messa. Ciò dovrà
essere anticipato ed accompagnato da un continuo sforzo di
catechesi sulla grandezza di questo Mistero, in cui ci è dato
tutto Dio. San Pio X, il Papa dell'Eucaristia, affermava che la
devozione all’Eucaristia «è la più nobile perché ha per oggetto
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 82 ――――――――――――――――
Dio; è la più salutare perché ci dà l'Autore della grazia; è la
più soave perché soave è il Signore». Sant’Alfonso Maria de’
Liguori nelle visite al Santissimo Sacramento così pregava:
«Signor mio» Gesù Cristo, che per l'amore che portate agli
uomini ve ne state notte e giorno in questo Sacramento tutto
pieno di pietà e d'amore, aspettando, chiamando ed
accogliendo tutti coloro1 che vengono a visitarvi; io vi credo
presente nel Sacramento dell'altare; vi adoro dall'abisso del
mio niente, e vi ringrazio di quante grazie mi avete fatte,
specialmente di avermi donato voi stesso in questo
Sacramento, d'avermi data per avvocata la vostra santissima
Madre Maria e d'avermi chiamato a visitarvi in questa
chiesa...». Il Venerabile Giuseppe Maria Cesa, dei Frati Minori
Conventuali, originario di Avellino, per invogliare la visita al
Santissimo Sacramento diceva: «Adoriamo il povero
sconosciuto». La devozione all'Eucaristia, insieme alla
devozione alla Madonna, è una devozione di Paradiso,
perché è la devozione che hanno anche gli Angeli e i Santi del
Cielo. «Figurando una accademia in Paradiso - diceva Santa
Gemma Galgani - si deve imparare ad amare soltanto. La
scuola è nel Cenacolo, il maestro è Gesù, le dottrine sono la
sua carne e il suo sangue». L'Eucaristia è Gesù Amore. Per
questo è il Sacramento dell'Amore, di tutto l'amore: contiene
Gesù vivo e vero che è “Dio Amore” (Gv 4, 8) e che «ci ha
amato fino all'eccesso» (Gv 13, 1). Tutte le espressioni
dell'amore, le più alte e le più profonde, sono racchiuse
nell'Eucaristia: l'amore crocifisso, l'amore unitivo, l'amore
adorante, l'amore contemplativo, l'amore orante, l'amore
inebriante. Per Santa Teresa di Gesù Bambino il cuore della
sua vita, l’amore, è l’Eucaristia. Gesù Eucaristico è Amore
crocifisso nel Santo Sacrificio della Messa, in cui si rinnova
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 83 ――――――――――――――――
l'immolazione di Sé per noi; è Amore unitivo nella
Comunione Sacramentale e spirituale, in cui si fa “uno” con
chi Lo riceve; è Amore adorante nel S. Tabernacolo, in cui è
presente come olocausto di adorazione al Padre; è Amore
contemplativo nell'incontro con le anime che amano «stare ai
suoi piedi» come Maria di Betania (Lc 10, 39); è Amore orante
nella sua “incessante intercessione per noi” al cospetto del
Padre (Eb 1,25); è Amore inebriante nelle celesti ebbrezze
dell'unione nuziale con i suoi prediletti, i vergini e le vergini,
che Egli stringe a Sé con amore esclusivo, come strinse a sé
San Giovanni Evangelista, l'apostolo vergine, l'unico che nel
Cenacolo «riposò sul petto di Gesù» (Gv 21, 20).
«Essere posseduti da Gesù e possederlo: ecco il regno
perfetto dell'amore», ha scritto San Pietro Giuliano Eymard.
Ebbene, l'Eucaristia realizza questo «regno perfetto dell'amore» in tutti i puri di cuore che si accostano ai Santi
Tabernacoli e si uniscono a Gesù Ostia con umiltà e amore.
Gesù nell'Eucaristia si immola per noi, si dona a noi, resta fra
noi con umiltà e amore infiniti.
«O meravigliosa altezza e degnazione che dà stupore! esclamava San Francesco - O umiltà sublime e sublimità
umile che il Signore dell'universo, Dio e Figlio di Dio, abbia
ad umiliarsi così da nascondersi sotto la piccola figura del
pane per la nostra salute! Guardate, fratelli, l'abbassamento di
Dio... Quindi non tenetevi nulla di voi stessi, affinché
interamente vi accolga colui che tutto si dà a voi». E
Sant’Alfonso Maria de' Liguori aggiunge, con la sua solita
tenerezza affettuosa: «Mio Gesù! Quale invenzione amorosa è
stata mai questa del Santissimo Sacramento, di nascondervi
sotto l'apparenza del pane per farvi amare e trovare da chi Vi
desidera!». E’ necessario, quindi, andare continuamente alla
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 84 ――――――――――――――――
scuola dei Santi, il cui esempio è forse più di sprone per il
popolo di Dio di tante parole. Essi l’hanno vissuto in maniera
ardente e sublime, da veri serafini di amore all’Eucaristia. Ed
essi soli, come dice la Lumen Gentium (n. 50), sono la «via
sicurissima» a Gesù Eucaristico Amore. Tra le varie forme di
devozione l’adorazione del santissimo Sacramento è una
espressione particolarmente diffusa di culto all’Eucaristia, a
cui la Chiesa vivamente esorta Pastori e fedeli. La sua origine
ha fondamento nel Giovedì Santo, la fede nella presenza reale
del Signore conduce alla manifestazione esterna e pubblica di
quella fede medesima. La pietà, dunque, che spinge i fedeli a
prostrarsi presso la santa Eucaristia, li attrae a partecipare più
profondamente al mistero pasquale e a rispondere con
gratitudine al dono di colui che con la sua umanità infonde
incessantemente la vita divina nelle membra del suo Corpo.
Trattenendosi presso Cristo Signore, essi godono della sua
intima familiarità e dinanzi a lui aprono il loro cuore per loro
stessi e per tutti i loro cari e pregano per la pace e la salvezza
del mondo. Offrendo tutta la loro vita con Cristo al Padre
nello Spirito Santo, attingono da quel mirabile scambio un
aumento di fede, di speranza e di carità. Alimentano quindi
così le giuste disposizioni per celebrare, con la devozione
conveniente, il memoriale del Signore e ricevere frequentemente quel Pane che ci è dato dal Padre» (Direttorio di
liturgia e pietà popolare, 164 - 165 ).
«Nel limite del possibile, poi, soprattutto nei centri più
popolosi, converrà individuare chiese od oratori da riservare
appositamente all'adorazione perpetua. Inoltre, raccomando
che nella formazione catechistica, ed in particolare negli
itinerari di preparazione alla Prima Comunione, si
introducano i fanciulli al senso e alla bellezza di sostare in
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 85 ――――――――――――――――
compagnia di Gesù, coltivando lo stupore per la sua presenza
nell'Eucaristia» (Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, 67).
Questa devozione popolare alla Santissima Eucaristia
ha poi un legame indissolubile, da un lato, con la preghiera
per le vocazioni e per la santificazione del clero – senza
sacerdoti non c’è Eucaristia –, dall’altro, con la devozione a
Maria, «primo tabernacolo». Il pensiero al Sacerdote che ogni
giorno ci dona Gesù, e alla Beata Vergine Maria che è la
Madre Divina di Gesù e di tutti i Sacerdoti, accompagni
sempre il nostro affetto verso il Santissimo Sacramento,
perché l'Eucaristia, la Madonna e il Sacerdote sono
inseparabili, così come sul Calvario furono inseparabili Gesù,
Maria e San Giovanni Evangelista.
Se Chiesa ed eucaristia sono un binomio inscindibile,
altrettanto occorre dire del binomio Maria ed eucaristia. «Il
rapporto di Maria con l'Eucaristia si può indirettamente
delineare a partire dal suo atteggiamento interiore. Maria è
donna «eucaristica» con l'intera sua vita. La Chiesa, guardando a
Maria come a suo modello, è chiamata ad imitarla anche nel
suo rapporto con questo Mistero santissimo» (GIOVANNI
PAOLO II, Ecclesia de Eucharestia, 53). Anche per questo il
ricordo di Maria nella celebrazione eucaristica è unanime, sin
dall'antichità, nelle Chiese dell'Oriente e dell'Occidente.
Proprio nell’Eucaristia la Chiesa si unisce pienamente a Cristo
e al suo sacrificio, facendo suo lo spirito di Maria. È verità che si
può approfondire rileggendo il «Magnificat» in prospettiva
eucaristica. L’Eucaristia, infatti, come il cantico di Maria, è innanzitutto lode e rendimento di grazie. Quando Maria
esclama «l'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito
esulta in Dio mio salvatore», ella porta in grembo Gesù. Loda
il Padre «per» Gesù, ma lo loda anche «in» Gesù e «con»
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 86 ――――――――――――――――
Gesù. È precisamente questo il vero «atteggiamento
eucaristico» (cfr. GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia de
Eucharestia,VI).
L’adorazione al Santissimo Sacramento, in cui convergono forme liturgiche ed espressioni di pietà popolare di cui
non è facile distinguere nettamente i confini, può assumere
diverse modalità:
• la semplice visita al santissimo Sacramento riposto nel
tabernacolo: breve incontro con Cristo suggerito dalla fede
nella sua presenza e caratterizzato dall’orazione silenziosa;
• l’adorazione dinanzi al santissimo Sacramento esposto,
secondo le norme liturgiche, nell’ostensorio o nella pisside,
in forma prolungata o breve;
• la cosiddetta Adorazione perpetua. e quella delle
Quaranta Ore, che investono un’intera comunità religiosa,
o un’associazione eucaristica, o una comunità parrocchiale, e forniscono l’occasione per numerose espressioni
di pietà eucaristica.
Purifica e incoraggiate andranno anche le altre forme
genuine della pietà popolare, anch’esse frutto dello Spirito
Santo, le quali devono ritenersi espressione della pietà della
Chiesa: perché compiute da fedeli viventi in comunione con
essa, nell’adesione alla sua fede e nel rispetto della sua
disciplina cultuale; perché non poche di esse sono state
esplicitamente approvate e raccomandate dalla Chiesa stessa
(Direttorio di liturgia e pietà popolare, 83 ). In quanto espressione
di pietà ecclesiale la pietà popolare è sottoposta alle leggi
generali del culto cristiano e all’autorità pastorale della
Chiesa, che esercita su di essa un’azione di discernimento e di
autenticazione, e la rinnova ponendola in fecondo contatto
con la Parola rivelata, la tradizione, la stessa Liturgia. È
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 87 ――――――――――――――――
necessario d’altra parte che le espressioni della pietà popolare
siano sempre illuminate dal “principio ecclesiologico” del
culto cristiano. Ciò consentirà alla pietà popolare di:
• avere una visione corretta dei rapporti tra Chiesa
particolare e Chiesa universale; la pietà popolare infatti è
portata a concentrarsi prevalentemente sui valori locali e
sulle necessità immediate, rischiando di chiudersi ai valori
universali e alle prospettive ecclesiologiche;
• situare la venerazione della beata Vergine, degli Angeli,
dei Santi e Beati, e il suffragio per i defunti nel vasto
ambito della Comunione dei Santi e all’interno dei
rapporti intercorrenti tra la Chiesa celeste e la Chiesa
tuttora pellegrina sulla terra;
• comprendere in modo fecondo il rapporto tra ministero e
carisma; il primo, necessario nelle espressioni del culto
liturgico; il secondo, frequente nelle manifestazioni della
pietà popolare.
SPUNTI DI RIFLESSIONE:
• Quali pratiche di pietà popolare esistono nelle nostre
comunità parrocchiali?
• Esiste un legame tra preghiera personale e tempi liturgici?
• Che ruolo occupano nella tua vita di fede l’adorazione
eucaristica, la liturgia delle ore, le processione e il culto dei
santi?
SUGGERIMENTI:
• Conoscere le riflessioni dei Santi sull’Eucaristia e sulla
Santa Messa.
• Accompagnare i bambini e i più giovani, di tanto in tanto,
ad una breve visita al Santissimo in una chiesa.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 88 ――――――――――――――――
EUCARISTIA E VITA MORALE
L’Eucaristia è forma della comunità, è il luogo dove
comprendiamo il senso dell’essere comunità, le ragioni del
nostro mandato, della nostra missione, del nostro esserci.
Il brano evangelico di Giovanni al capitolo 6, che inizia
con la descrizione di una moltiplicazione dei pani ed è il
famoso brano del discorso sul pane di vita, è un testo che apparentemente sembrerebbe lontano, ma che ha una sua
capacità provocatoria riguardo al nostro tema. E’ interessante
sottolineare come inizia il dialogo. La gente è lì e cerca Gesù
perché pretende il cibo. Dopo avere ricevuto il cibo la prima
volta, gli chiedono ancora il pane. La risposta di Gesù invita a
fare un passaggio: non chiedere semplicemente un pane
materiale che nutre solo per un pomeriggio, per cui il giorno
dopo si ha ancora fame, ma chiedere un cibo che non perisce.
Ai tanti con cui camminiamo e per i quali abbiamo una
passione sincera possiamo donare qualcosa di più di quello che
ci chiedono; non sarà facile probabilmente, non potrà mai
passare per l’elusione della loro domanda; la loro domanda
rimane, ma se chiediamo il Signore ci sa dare di più del pane di
oggi. Questo è l’augurio più bello per un gruppo, per persone
che, attorno a queste convinzioni, costruiscono il senso e la
passione profonda della propria vita e della propria fede.
«Mistero della fede! Con questa espressione pronunciata
immediatamente dopo le parole della consacrazione, il sacerdote proclama il mistero celebrato e manifesta il suo stupore
di fronte alla conversione sostanziale del pane e del vino nel
corpo e nel sangue del Signore Gesù, una realtà che supera
ogni comprensione umana. L’Eucaristia è per eccellenza
«mistero della fede», infatti, la fede della Chiesa è essenzialmente fede eucaristica e si alimenta alla mensa dell'Eucaristia.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 89 ――――――――――――――――
La fede si esprime nel rito e il rito rafforza e fortifica la fede».
Per questo, il Sacramento dell'altare sta sempre al centro della
vita ecclesiale… «Grazie all'Eucaristia la Chiesa rinasce
sempre di nuovo!». Quanto più viva è la fede eucaristica nel
Popolo di Dio, tanto più profonda è la sua partecipazione alla
vita ecclesiale mediante la convinta adesione alla missione
che Cristo ha affidato ai suoi discepoli. Di ciò è testimone la
stessa storia della Chiesa. Ogni cambiamento è legato, in
qualche modo, alla riscoperta della fede nella presenza
eucaristica del Signore in mezzo al suo popolo (cfr.
BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, 6). Essere cristiani,
infatti, significa vivere l’evento pasquale comunicato dalla
liturgia che ci trasforma in creature nuove: i cristiani, grazie
all’azione dello Spirito Santo, vengono consacrati a formare
una dimora spirituale e un sacerdozio santo, per offrire a Dio,
mediante tutta la loro esistenza e le loro opere, un sacrificio
spirituale che è l’offerta di se stessi al Padre (cfr. Lumen
Gentium, 10). La vita cristiana consiste allora, nel realizzare
quotidianamente la morte e risurrezione di Cristo compiuta
sacramentalmente attraverso la liturgia. Il cristiano è
chiamato di fatto a rivestirsi di Cristo esprimendo la sua
nuova realtà attraverso scelte concrete:
• rinunciare ogni giorno al peccato e vivere in novità di vita;
• rinnovarsi nella giustizia e nella santità;
• fare propri i sentimenti di Cristo (misericordia, bontà,
umiltà, mansuetudine, pazienza);
• custodire il dono della libertà dei figli di Dio.
Inoltre, la liturgia celebrata dalla chiesa sulla terra è
anche partecipazione alla liturgia celeste: la lode cantata dagli
uomini in terra si unisce al coro degli angeli e alla gloria
espressa nella vita dei santi. C’è dunque nella liturgia la
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 90 ――――――――――――――――
tensione verso un compimento e l’attesa di un incontro più
pieno e definitivo con il Signore (cfr. Sacrosanctum Concilium,
8). La stessa vita del cristiano è in tensione tra un già dato e un
non ancora compiuto: essa deve tenere desta la memoria viva
dell’azione salvifica compiuta da Dio in Cristo (passato),
vegliando per cogliere i segni della presenza di Dio nel
quotidiano (presente), con lo sguardo e l’attesa sul ritorno
finale di Cristo (futuro). La vita cristiana consiste nel realizzare
concretamente il mistero celebrato nei sacramenti, in attesa
del compimento della speranza e del ritorno del Signore Gesù
Cristo.
SPUNTI DI RIFLESSIONE:
• La domenica è l’appuntamento più importante della
nostra vita cristiana?
• Nella nostra comunità, ci sono delle possibilità per vivere
in profondità anche gli altri aspetti della vita domenicale
(preghiera, carità, vita familiare o comunitaria, …)?
• Nelle attività parrocchiali quale posto occupano le tre
dimensioni: catechesi, liturgia e carità?
• Ritengo di vivere quella “coerenza eucaristica” cui il
cristiano è chiamato?
SUGGERIMENTI:
• Raccontare con semplicità ad una persona poco attenta
alla fede cristiana qualche aspetto della propria esperienza
di fede, mettendo in evidenza soprattutto l’aiuto che la
Messa offre per vivere nel quotidiano la propria fedeltà al
Signore.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 91 ――――――――――――――――
EUCARISTIA E CARITÀ
«L’Eucaristia, proprio per divenire e rimanere
veramente se stessa, deve continuamente andare al di là
dell’ambito semplicemente cultuale, compiersi al di là e al di
fuori di esso». Il banchetto eucaristico non mira a sottrarci al
rapporto vitale col mondo; anzi proprio ad esso ci invia. «Il
culto eucaristico – affermava Paolo VI nell’Enciclica
Mysterium fidei, al n. 36 – muove fortemente l’animo a
coltivare l’amore “sociale”, col quale si antepone al bene
privato il bene comune; facciamo nostra la causa della
comunità, della parrocchia, della Chiesa universale; ed
estendiamo la carità a tutto il mondo, perché dappertutto
sappiamo che ci sono membra di Cristo».
Nel testo di don Giuseppe Dossetti La parola e il silenzio
c’è un capitolo, di una bellezza veramente grande, dal titolo
«L’Eucaristia come amore elettivo per un invio universale».
Dice Dossetti: «L’invio è insito nell’Eucaristia stessa, tanto che
l’urgenza del suo adempimento d’amore rappresenta una
garanzia dell’autenticità stessa del celebrare l’Eucaristia; non
ne è un’eventualità, è un costitutivo necessario. La missione
della Chiesa e del cristiano verso gli uomini e selettivamente i
più piccoli, i più bisognosi, i più peccatori non è un fatto
organizzativo, deve scaturire dal pasto sacramentale e
sacrificale con il crocifisso risorto. Anche se un invio fosse
ufficialmente legittimato, razionalmente organizzato e
perfettamente efficiente non sarebbe ancora nulla, sarebbe
solo un bronzo che risuona; non sarebbe invio di Cristo, non
ne avrebbe il fondamento, i caratteri e l’efficacia creatrice e
risanatrice. L’invio autentico e solo efficace è: lode e
ringraziamento al Padre in nome degli altri che non lodano o
non vogliono lodare; servizio nel Figlio e con il Figlio con
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 92 ――――――――――――――――
amore preferenziale per chi ne ha bisogno anche in supplenza
di chi dovrebbe, ma non sa o non vuole servire; intercessione
e invocazione allo Spirito perché l’amore irraggiante venga e
con la sua energia liberante renda efficace l’annunzio o
l’opera di consolazione. Come la chiesa riunita nell’assemblea
eucaristica è l’epifania anticipata del Regno, così la chiesa
inviata dall’Eucaristia è l’epifania della polis salvata, della
città salvata. E’ una polis sui generis che non governa e non
ha potere, che non muove verso gli altri per quello che hanno
di appetibile, ma unicamente per quello che sono nella loro
dignità anche se poveri, deformi, incoscienti, in tutto
inappetibili, cioè non incontra l’uomo dall’esterno o in
superficie, ma lo incontra nel suo sé, più intimo, più invisibile,
creando e divulgando ovunque nel segno di una società
grande o piccola, un’atmosfera di rispetto, di comprensione,
di fiducia, di valorizzazione degli esclusi, di amore oblativo,
indipendente da ogni condizione esterna, mutevole, che non
avrà mai fine».
«L'Eucaristia non è solo espressione di comunione nella
vita della Chiesa; essa è anche progetto di solidarietà per l'intera
umanità. La Chiesa rinnova continuamente nella celebrazione
eucaristica la sua coscienza di essere «segno e strumento» non
solo dell'intima unione con Dio, ma anche dell'unità di tutto il
genere umano. Ogni Messa, anche quando è celebrata nel
nascondimento e in una regione sperduta della terra, porta
sempre il segno dell'universalità. Il cristiano che partecipa
all'Eucaristia apprende da essa a farsi promotore di comunione,
di pace e di solidarietà in tutte le circostanze della vita»
(GIOVANNI PAOLO II, Mane nobiscum Domine, 27).
L’Eucaristia domenicale non solo non distoglie dai
doveri di carità, ma al contrario impegna maggiormente i
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 93 ――――――――――――――――
fedeli «a tutte le opere di carità, di pietà, di apostolato,
attraverso le quali divenga manifesto che i fedeli di Cristo non
sono di questo mondo e tuttavia sono luce del mondo e
rendono gloria al Padre dinanzi agli uomini». L’Eucarestia è il
«Sacramento della carità, è il dono che Gesù Cristo fa di se
stesso, rivelandoci l'amore infinito di Dio per ogni uomo. In
questo mirabile Sacramento si manifesta l'amore «più
grande», quello che spinge a «dare la vita per i propri amici»
(Gv 15,13). Gesù, infatti, «li amò fino alla fine» (Gv 13,1). Con
questa espressione, l'Evangelista introduce il gesto di infinita
umiltà da Lui compiuto: prima di morire sulla croce per noi,
messosi un asciugatoio attorno ai fianchi Egli lava i piedi ai
suoi discepoli, allo stesso modo, Gesù nel Sacramento
eucaristico continua ad amarci «fino alla fine», fino al dono
del suo corpo e del suo sangue. Quale stupore deve aver
preso il cuore degli Apostoli di fronte ai gesti e alle parole del
Signore durante quella Cena! Quale meraviglia deve suscitare
anche nel nostro cuore il Mistero eucaristico!» (BENEDETTO
XVI, Sacramentum Caritatis, 1).
La Carità non è un insieme di cose da fare, ma è un
accogliere quel dono che viene dall’alto, che è caratteristica
propria di Dio, che è Dio: «La Chiesa cammina insieme con
l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima
sorte terrena» (Gaudium et Spes, 40). L’Eucaristia, quindi,
diventa per ciascuno di noi il sacramento della carità di Cristo
che suscita uomini e donne capaci di assumere questa stessa
carità nella propria vita. Uomini e donne che danno così vita
alla Chiesa della carità di Cristo dove l’amore è la regola che
ritma il cammino ed i gesti di coloro che vogliono collaborare
nella realizzazione del progetto d’amore che il Padre ha per
ciascuno di noi.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 94 ――――――――――――――――
EUCARISTIA DONO D’AMORE
L’Eucaristia è il luogo che manifesta il dono dell’amore di
Dio ma anche il luogo in cui si smascherano le tante ambiguità
del dono. Nel tempo in cui ci troviamo “dare” è un verbo che
quasi sempre attende un ritorno. Si dice che non si fa nulla per
nulla. Si fanno regali per averne qualcosa in cambio. Nell’Eucaristia questa logica viene messa a nudo e cambiata con quella
della gratuità. Una gratuità che instaura, quindi, una relazione di
reciprocità tra Lui e me. Gesù ci consegna la sua morte e Risurrezione nell’Eucaristia non come qualcosa «a perdere»: si
dona perché noi possiamo riconoscere la qualità del suo gesto e,
riconoscendo il suo amore, possiamo accoglierlo e rispondervi.
Mettersi davanti all’Eucaristia significa mettersi alla scuola
dell’amore, e, a questa scuola, la prima cosa che si impara è a
non pretendere nulla dalla persona amata – così come il Signore
sta lì, senza pretendere nulla, ma solo mendicando il nostro affetto.
Il criterio ultimo in base al quale sarà comprovata
l’autenticità delle nostre celebrazioni eucaristiche rimane sempre
l’amore vicendevole e, in particolare, la sollecitudine per chi è nel
bisogno (cfr. Gv 13, 1-35). Lo dichiarava già San Giovanni
Crisostomo: «Tu vuoi onorare il corpo del Salvatore? Non
disdegnarlo quando è nudo. Non onorarlo in chiesa con
paludamenti di seta, mentre fuori lo lasci intirizzito dal freddo, e
nudo. Colui che ha detto: “Questo è il mio corpo” e che con la
sua parola ha operato la cosa, quegli ha detto: «Mi avete visto
affamato e non mi avete dato da mangiare. Ciò che non avete
fatto a uno dei più umili, lo avete rifiutato a me!» […]. Onoralo
dunque dividendo il tuo patrimonio con i poveri: perché a Dio
non occorrono calici d’oro, ma anime d’oro».
Ogni gesto di amore, infatti, sa suscitare in chi lo riceve la
responsabilità verso chi lo ha fatto. Nella Messa si realizza
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 95 ――――――――――――――――
proprio questo. Il corpo donato, l’amore offerto, suscita la
responsabilità della mia risposta che si fa relazione con Lui e con
gli altri. Una relazione che diventa anche imperativo, esigenza,
stimolo per la mia vita. «Vi do un comandamento nuovo: che vi
amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche
voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Come è possibile comandare di
amare, se al cuore non si comanda? Eppure questa è la vocazione a
cui siamo chiamati per riprodurre in noi l’immagine più perfetta
di Dio.
«I poveri sono il sacramento del peccato nel mondo» (G.
MOIOLI, Temi cristiani maggiori, Glossa, Milano 1992, p. 167). Ciò
significa che quando noi vediamo una persona oppressa dalla
povertà e dal bisogno, dovremmo immediatamente interpretare
questa situazione come il frutto dell’ingiustizia di cui anche noi
siamo responsabili, evitando di scaricare la colpa sugli altri. Allo
stesso modo, dove c’è un fratello o una sorella nel bisogno, la
prima reazione deve essere quella di riconoscere la propria
responsabilità in merito a questa situazione di ingiustizia. Da tale
presa di coscienza scaturirà poi la disponibilità a farsi prossimi a
chi soffre per lottare contro il bisogno che lo angustia; e quando
avremo operato per eliminare il bisogno, anzi mentre operiamo,
ecco che il povero diventa per noi sacramento di Cristo, anche se
forse lo scopriremo solo alla fine dei tempi: «ogni volta che avete
fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
«È un umanesimo plenario che occorre promuovere. Che
vuol dire ciò, se non lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli
uomini? Un umanesimo chiuso, insensibile ai valori dello spirito
e a Dio che ne è la fonte, potrebbe apparentemente avere
maggiori possibilità di trionfare. Senza dubbio l'uomo può
organizzare la terra senza Dio, ma senza Dio egli non può alla
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 96 ――――――――――――――――
fine che organizzarla contro l'uomo. L'umanesimo esclusivo è
un umanesimo inumano. Non v'è dunque umanesimo vero se
non aperto verso l'Assoluto, nel riconoscimento d'una
vocazione, che offre l'idea vera della vita umana. Lungi
dall'essere la norma ultima dei valori, l'uomo non realizza se
stesso che trascendendosi. Secondo l'espressione così giusta di
Pascal: «L'uomo supera infinitamente l'uomo»» (PAOLO VI,
Popolorum Progressio, 42).
L’Eucaristia ci fa sperimentare cosa sia davvero la Carità.
San Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, riporta una frase a
cui, forse, troppo spesso non facciamo riferimento, dice: «E se
anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per
esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova» (1Cor.
13, 3). Come può essere? Dare tutto quello che si ha non è forse
carità? Eppure Paolo sottolinea quel «ma non avessi la carità».
Commenta il Santo Padre: «L’azione pratica resta insufficiente se
in essa non si rende percepibile l’amore per l’uomo, un amore
che si nutre dell’incontro con Cristo. L’intima partecipazione
personale al bisogno e alla sofferenza dell’altro diventa così un
partecipargli me stesso: perché il dono non umili l’altro, devo
dargli non soltanto qualcosa di mio ma me stesso, devo essere
presente nel dono come persona» (BENEDETTO XVI, Deus Caritas
Est, 34). Allora la carità, come ci viene dimostrato nella
Eucaristia, è essa stessa anzitutto dono dall’alto, partecipazione
al dono di Dio. Potremo essere ed annunciare la carità di Cristo
solo se ce ne nutriamo! Mangiando di questo pane possiamo
realizzare un «progetto di fraternità umana» che dalla messa
domenicale si espande al cuore dei fedeli e invade di carità le
città dell’uomo portando gioia dove c’è dolore, conforto dove c’è
disperazione, aiuto dove c’è necessità, cura dove c’è abbandono,
presenza dove c’è solitudine. L’Eucaristia così rivela i suoi
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 97 ――――――――――――――――
risvolti umani, diventando scuola insuperabile di carità, di
giustizia e di pace divenendo condivisione tale da spingere ogni
uomo ed ogni donna ad eliminare le ingiustizie, di cui abbiamo
dimenticato che hanno radice nel peccato, e sono presenti in
modo perverso nella società umana. La rivelazione in Cristo del
mistero di Dio come Amore trinitario è insieme la rivelazione
della vocazione della persona umana all'amore. Tale rivelazione
illumina la dignità e la libertà personale dell'uomo e della donna
e l'intrinseca socialità umana in tutta la loro profondità: «Essere
persona a immagine e somiglianza di Dio comporta un esistere
in relazione, in rapporto all'altro “io” », perché Dio stesso, uno e
trino, è comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Nella comunione d'amore che è Dio, nel quale le tre Persone
divine si amano reciprocamente e sono l'Unico Dio, la persona
umana è chiamata a scoprire l'origine e la meta della sua
esistenza e della storia (Compendio dottrina sociale, 34). Non c'è
conflittualità tra Dio e l'uomo, ma un rapporto di amore in cui il
mondo e i frutti dell'agire dell'uomo nel mondo sono oggetto di
reciproco dono tra il Padre e i figli, e dei figli tra loro, in Cristo
Gesù: in Lui e grazie a Lui, il mondo e l'uomo attingono il loro
autentico ed originario significato. In una visione universale
dell'amore di Dio che abbraccia tutto ciò che è, Dio stesso ci è
rivelato in Cristo come Padre e donatore di vita, e l'uomo ci è
rivelato come colui che in Cristo tutto accoglie da Dio come
dono, in umiltà e libertà e tutto veramente possiede come suo,
quando sa e vive ogni cosa come di Dio, da Dio originata e a Dio
finalizzata (Compendio dottrina sociale, 46). Infine, è necessario
avere maggiore fede e speranza nella iniziativa divina: «In
umiltà, (il cristiano) farà quello che gli è possibile fare e in umiltà
affiderà il resto al Signore. È Dio che governa il mondo, non noi»
(BENEDETTO XVI, Deus Caritas Est, 35).
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 98 ――――――――――――――――
SPUNTI DI RIFLESSIONE:
• Esiste una cultura della condivisione nelle nostre comunità
parrocchiali?
• Che posto occupa nella vita di ciascuno di noi la carità
verso chi si trova nel “bisogno” (fisico e spirituale)?
• Vi sono operatori pastorali della carità?
• Esiste un percorso di formazione alla vita sociale?
• «La persona umana non può e non deve essere strumentalizzata da strutture sociali, economiche e politiche, poiché
ogni uomo ha la libertà di orientarsi verso il suo fine ultimo.
D’altra parte, ogni realizzazione culturale, sociale, economica e politica, in cui storicamente si attuano la socialità della
persona e la sua attività trasformatrice dell'universo, deve
sempre essere considerata anche nel suo aspetto di realtà
relativa e provvisoria, «perché passa la scena di questo
mondo!» (1Cor 7,31). Si tratta di una relatività escatologica, nel
senso che l'uomo e il mondo vanno incontro alla fine, che è
il compimento del loro destino in Dio; e di una relatività
teologica, in quanto il dono di Dio, mediante cui si compirà il
destino definitivo dell’umanità e della creazione, supera infinitamente le possibilità e le attese dell'uomo. Qualunque
visione totalitaristica della società e dello Stato e qualunque
ideologia puramente intra mondana del progresso sono
contrarie alla verità integrale della persona umana e al disegno di Dio sulla storia» (Compendio Dottrina Sociale della
Chiesa, 48).
EUCARESTIA E SOFFERENZA
La sofferenza vissuta con amore e donata a Dio, trova
nel sacrificio Eucaristico il suo mistico significato, in quanto
partecipa e completa le sofferenze di Cristo, come dice San
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 99 ――――――――――――――――
Paolo. Ci chiediamo l’evento pasquale di Cristo può dare un
senso ad ogni sofferenza? Giovanni Paolo II, prendendo atto
dell’universalità della sofferenza, cerca di coglierne i
significati: «La sofferenza – sembra appartenere alla
trascendenza dell’uomo: esso è uno di quei punti nei quali
l’uomo viene, in un certo senso, destinato a superare se stesso
e viene a ciò chiamato in modo misterioso» (cfr. Giovanni
Paolo II, Salvifici Doloris, 2). Il bisogno, il male fisico, morale,
spirituale non sono realtà solamente negative, fanno parte
della nostra realtà terrena. Giovanni Paolo II parla di
«carattere creativo della sofferenza» perché «la sofferenza di
Cristo ha creato il bene della redenzione» (cfr. GIOVANNI
PAOLO II, Salvifici Doloris, 24). C’è da chiedersi perché Dio
abbia permesso questa fragilità umana, perché voglia
stimolare il bene tramite questa sofferenza… Eppure il Dio
che si rivela nella Bibbia è il Dio dell’Alleanza, il Dio che ha
reso corresponsabile del grande progetto d’Amore. Non ci ha
creati già perfetti; ma ha inserito in noi meravigliose
potenzialità di vita. Il tutto va proiettato nella dimensione
dell’altra vita, quando «Dio tergerà ogni lacrima dai (nostri)
occhi» (Ap 7, 12). Colui che soffre e vive in coerenza di fede e
di donazione spirituale svolge un ruolo speciale di
testimonianza e di incoraggiamento per tutti, sofferenti o non.
Chi soffre in Cristo unisce le sofferenze umana alla sua
sofferenza salvifica (cfr. GIOVANNI PAOLO II, Salvifici Doloris,
26). Cristo sulla croce si è reso solidale con tutti i sofferenti,
una solidarietà già iniziata con l’evento dell’Incarnazione:
«Con la sua Incarnazione, infatti, il Figlio stesso di Dio si è
unito in certo modo ad ogni uomo» (GIOVANNI PAOLO II,
Redemptor hominis, 8). Gesù ha detto: «Beati gli afflitti, perché
saranno consolati»” (Mt. 5,4). In questo modo egli non ha
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 100 ――――――――――――――――
dichiarato beata l’afflizione, non ha detto “beati i sofferenti
perché soffrono, ma perché saranno consolati”. Cristo è
salvatore perché diventa la risposta al senso della nostra vita,
sopratutto nella sofferenza. Il cristiano sa che neanche
l’esperienza del dolore lo tiene lontano da Cristo. L’apostolo
Paolo affermava: «Chi ci separerà dunque dall’amore di
Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la
fame, la nudità, il pericolo, la spada?» (Rm 8, 35). Per lui tutto
diventa secondario, perché in Cristo ha trovato la sua
salvezza. Coloro che vivono situazioni di disagio, di
sofferenza fisica o spirituale trovino conforto, aiuto e sollievo
in Cristo che nella passione, morte e resurrezione ha offerto se
stesso per la salvezza dell’umanità, perpetuando la sua
presenza sotto le specie del pane e del vino. L’unica maniera
per liberarci dalla sofferenza è Cristo Signore, che con la Sua
Croce ha annientato la morte e tutte le conseguenze della
morte, le malattie, il dolore, le sofferenze. E' Cristo che prende
tutto il male, il peccato dell’umanità, si fa peccato per noi fino
a morire e dalla morte scaturisce il fiore della risurrezione
L’Eucaristia è la vittoria definitiva, è, come diceva Paolo VI
nell’Enciclica Mysterium Fidei, la «medicina dell'immortalità»,
farmaco di immortalità – come già proclamavano i Padri.
SPUNTI DI RIFLESSIONE:
• Che senso ha la sofferenza umana?
• Come avvicinare chi soffre?
• Quale riferimento dobbiamo trovare nelle nostre difficoltà
quotidiane alla morte e resurrezione di Cristo Gesù?
• Nelle nostre parrocchie ci si preoccupa di visitare chi soffre
portando l’abbraccio amoroso di Gesù Eucaristia?
• Ci si preoccupa di dischiudere ai malati l’orizzonte
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 101 ――――――――――――――――
cristiano della sofferenza? O lasciamo che il dolore dei
nostri fratelli cada nel vuoto, senza avvertire – come
scriveva il Beato Carlo Gnocchi – «la preziosità di questo
puro tesoro e l’urgente necessità di ricuperarlo avaramente
per farne dono a Cristo ed alla Chiesa»? «Quando ti
strappano le bende, ti frugano nelle ferite e ti fanno
piangere, a chi pensi?”. “A nessuno”, mi rispose con una
punta di meraviglia nella voce. “Ma tu non credi che ci sia
Qualcuno al quale forse tu potresti offrire il tuo dolore, per
amore del quale tu potresti reprimere il tuo lamento e
inghiottire le tue lagrime e che potrebbe anche aiutarti a
sentire meno il tuo dolore?”. Il bambino fissò nel vuoto il
viso devastato guardando con l’unico occhio stranito e poi,
scuotendo lentamente la testa, disse: “Non capisco…” e
tornò a giocherellare distratto con l’orlo del lenzuolo. Fu in
quel momento che io ebbi la precisa, quasi fisica,
sensazione di una immensa irreparabile sciagura: della
perdita di un preziosissimo tesoro, più intimamente
dolorosa dell’incendio di un quadro di Raffaello, o della
distruzione di un diamante di inestimabile valore. Era il
grande dolore innocente di un bimbo che cadeva nel
vuoto, inutile ed insignificante, soprannaturalmente
perduto per lui e per l’umanità, perché non diretto
all’unica meta nella quale il dolore di un innocente può
prendere valore e trovare giustificazione: Cristo crocifisso»
(CARLO GNOCCHI, Pedagogia del dolore innocente).
SUGGERIMENTI:
• Adorazione eucaristica, con l’offerta al Signore di intercessioni per ottenere sollievo e sostegno per i malati e coloro
che li assistono;
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 102 ――――――――――――――――
• Visita agli ammalati e unzione degli infermi come prassi e
non pratiche straordinarie (Natale, Pasqua);
• Festa dell’ammalato, nella memoria di Nostra Signora di
Lourdes;
• Formazione di un gruppo – debitamente preparato – di
giovani, con l’impegno di dedicare un po’ del loro tempo
(magari organizzando delle turnazioni) alla visita agli
ammalati e ai poveri della parrocchia – sul modello del
Beato Piergiorgio Frassati, e del volontariato Vincenziano.
DIOCESI DI AVELLINO
Forania Urbana
In vista della celebrazione del secondo Congresso
Eucaristico Diocesano, ci vogliamo preparare a questo evento
di Grazia per la Chiesa Diocesana di Avellino, a livello di
Vicaria cittadina, innanzitutto con un momento di profonda
consapevolezza, di condivisione e di progettazione per meglio
vivere e testimoniare nel nostro quotidiano quel «dono
pasquale, l’Eucarestia, mistero da offrire al mondo e pane
spezzato per la sua vita».
Attraverso le tracce di riflessioni qui proposte ogni
comunità parrocchiale si interrogherà su come viene e
protrebbe essere partecipata dai fedeli la celebrazione
Eucaristica e come essa diventa e possa più adeguatamente
diventare “pane spezzato” per il mondo.
Poi le rappresentanze di ogni comunità parrocchiale
nell’incontro del ... dicembre p.v. che si terrà ... metterà in
comune l’esperienza e l’istanza di ognnuna e accogliere
qualche buona sollecitazione per meglio vivere e far vivere il
grande dono Eucaristico.
Ci faranno da guida alla riflessione comunitaria, su
questo specifico itinerario, le parole dell’Esortazione
Apostolica Postsinodale “Sacramentum Caritatis” di
Benedetto XVI.
L’idea portante di tutta la riflessione deve essere
certamente che tanto più grande è la consapevolezza del
mistero che viene celebrato tanto più esso si rapporterà con
verità ede efficacia all’esistenza quoditidiana di ogni cristiano e
della Chiesa intera.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 104 ――――――――――――――――
I. AUTENTICA PARTECIPAZIONE
52. Il Concilio Vaticano II aveva posto giustamente una
particolare enfasi sulla partecipazione attiva, piena e fruttuosa
dell’intero Popolo di Dio alla Celebrazione eucaristica.
Certamente, il rinnovamento attuato in questi anni ha favorito
notevoli progressi nella direzione auspicata dai Padri conciliari.
Tuttavia, non dobbiamo nasconderci il fatto che a volte si è
manifestata qualche incomprensione precisamente circa il
senso di questa partecipazione. Conviene pertanto mettere in
chiaro che con tale parola non si intende fare riferimento ad
una semplice attività esterna durante la celebrazione. In realtà,
l’attiva partecipazione auspicata dal Concilio deve essere
compresa in termini più sostanziali, a partire da una più
grande consapevolezza del mistero che viene celebrato e del
suo rapporto con l’esistenza quotidiana. Ancora pienamente
valida è la raccomandazione della Costituzione conciliare
Sacrosanctum Concilium, che esortava i fedeli a non assistere alla
liturgia eucaristica «come estranei o muti spettatori», ma a
partecipare «all’azione sacra consapevolmente, piamente e
attivamente». Il Concilio proseguiva sviluppando la riflessione:
i fedeli «formati dalla Parola di Dio, si nutrano alla mensa del
Corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima
senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma
insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in
giorno, per mezzo di Cristo Mediatore siano perfezionati
nell’unità con Dio e tra di loro».
53. La bellezza e l’armonia dell’azione liturgica trovano
una significativa espressione nell’ordine con cui ciascuno è
chiamato a partecipare attivamente. Ciò comporta il
riconoscimento dei diversi ruoli gerarchici implicati nella
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 105 ――――――――――――――――
celebrazione stessa. È utile ricordare che la partecipazione
attiva ad essa non coincide di per sé con lo svolgimento di un
ministero particolare. Soprattutto non giova alla causa della
partecipazione attiva dei fedeli una confusione che venisse
ingenerata dalla incapacità di distinguere, nella comunione
ecclesiale, i diversi compiti spettanti a ciascuno. In particolare,
è necessario che vi sia chiarezza riguardo ai compiti specifici
del sacerdote.
I.d.1:
Come viene realizzata nelle nostre assemblee
liturgiche l’attiva partecipazione auspicata dal Concilio?
Quali i ministeri esercitati? Vi sono lettori abilitati?
Esiste un gruppo liturgico?
Condizioni personali per una «actuosa participatio»
55. Considerando il tema dell’actuosa participatio dei
fedeli al sacro rito, i Padri sinodali hanno dato rilievo anche
alle condizioni personali in cui ciascuno deve trovarsi per una
fruttuosa partecipazione. Una di queste è certamente lo
spirito di costante conversione che deve caratterizzare la vita
di tutti i fedeli. Non ci si può aspettare una partecipazione
attiva alla liturgia eucaristica, se ci si accosta ad essa
superficialmente, senza prima interrogarsi sulla propria vita.
Favoriscono tale disposizione interiore, ad esempio, il
raccoglimento ed il silenzio, almeno qualche istante prima
dell’inizio della liturgia, il digiuno e, quando necessario, la
Confessione sacramentale. Un cuore riconciliato con Dio
abilita alla vera partecipazione. In particolare, occorre
richiamare i fedeli al fatto che un’actuosa participatio ai santi
Misteri non può aversi se non si cerca al tempo stesso di
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 106 ――――――――――――――――
prendere parte attivamente alla vita ecclesiale nella sua
integralità, che comprende pure l’impegno missionario di
portare l’amore di Cristo dentro la società.
I.d.2:
Come viene realizzato lo spirito essenziale del fedele
alla continua conversione? Quali tempi si dedica alla
celebrazione del Sacramento della Confessione e delle
liturgie penitenziali?
La celebrazione eucaristica domenicale diventa la
reale espressione della comunità parrocchiale?
II. LA CELEBRAZIONE INTERIORMENTE PARTECIPATA
Catechesi mistagogica
64. La grande tradizione liturgica della Chiesa ci
insegna che, per una fruttuosa partecipazione, è necessario
impegnarsi a corrispondere personalmente al mistero che
viene celebrato, mediante l’offerta a Dio della propria vita, in
unità con il sacrificio di Cristo per la salvezza del mondo
intero. Per questo motivo, il Sinodo dei Vescovi ha
raccomandato di curare nei fedeli l’intima concordanza delle
disposizioni interiori con i gesti e le parole. Se questa
mancasse, le nostre celebrazioni, per quanto animate,
rischierebbero la deriva del ritualismo. Pertanto occorre
promuovere un’educazione alla fede eucaristica che disponga
i fedeli a vivere personalmente quanto viene celebrato. Di
fronte all’importanza essenziale di questa participatio
personale e consapevole, quali possono essere gli strumenti
formativi adeguati? I Padri sinodali all’unanimità hanno
indicato, al riguardo, la strada di una catechesi a carattere
mistagogico, che porti i fedeli a addentrarsi sempre meglio
nei misteri che vengono celebrati. In particolare, per la
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 107 ――――――――――――――――
relazione tra ars celebrandi e actuosa participatio si deve
innanzitutto affermare che «la migliore catechesi
sull’Eucaristia è la stessa Eucaristia ben celebrata». Per
natura sua, infatti, la liturgia ha una sua efficacia pedagogica
nell’introdurre i fedeli alla conoscenza del mistero celebrato.
Proprio per questo, nella tradizione più antica della Chiesa il
cammino formativo del cristiano, pur senza trascurare
l’intelligenza sistematica dei contenuti della fede, assumeva
sempre un carattere esperienziale in cui determinante era
l’incontro vivo e persuasivo con Cristo annunciato da
autentici testimoni. In questo senso, colui che introduce ai
misteri è innanzitutto il testimone. Tale incontro certamente si
approfondisce nella catechesi e trova la sua fonte e il suo
culmine nella celebrazione dell’Eucaristia. Da questa struttura
fondamentale dell’esperienza cristiana prende le mosse
l’esigenza di un itinerario mistagogico, in cui devono sempre
essere tenuti presenti tre elementi.
II.d.1:
Si è ben consapevoli che «la migliore catechesi
sull’Eucaristia è la stessa Eucaristia ben celebrata» aiutando
i fedeli a “sperimentare” il mistero salvifico di Gesù Cristo?
La celebrazione domenicale viene fatta vivere come
un momento di un cammino “mistagogico” e non come un
fatto fine a se stesso?
a) Si tratta innanzitutto della interpretazione dei riti alla
luce degli eventi salvifici, in conformità con la tradizione viva
della Chiesa. In effetti, la celebrazione dell’Eucaristia, nella
sua infinita ricchezza, contiene continui riferimenti alla storia
della salvezza. In Cristo crocifisso e risorto ci è dato di
celebrare davvero il centro ricapitolatore di tutta la realtà (cfr
Ef 1,10). Fin dall’inizio la comunità cristiana ha letto gli
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 108 ――――――――――――――――
avvenimenti della vita di Gesù, ed in particolare del mistero
pasquale, in relazione a tutto il percorso veterotestamentario.
II.d.2:
In che modo aiutiamo i fedeli a comprendere che la
celebrazione eucaristica è collegata alla vita di ognuno
facendo di essa un momento importante di tutta la storia
della salvezza?
Come riusciamo a far comprendere che il mistero
pasquale celebrato è in relazione anche alla storia salvifica
anticotestamentaria?
b) La catechesi mistagogica si dovrà preoccupare,
inoltre, di introdurre al senso dei segni contenuti nei riti. Questo
compito è particolarmente urgente in un’epoca fortemente
tecnicizzata come l’attuale, in cui c’è il rischio di perdere la
capacità percettiva in relazione ai segni e ai simboli. Più che
informare, la catechesi mistagogica dovrà risvegliare ed
educare la sensibilità dei fedeli per il linguaggio dei segni e
dei gesti che, uniti alla parola, costituiscono il rito.
II.d.3:
In che modo aiutiamo i fedeli al senso e il linguaggio
dei segni contenuti nei riti.
c) Infine, la catechesi mistagogica deve preoccuparsi di
mostrare il significato dei riti in relazione alla vita cristiana in tutte
le sue dimensioni, di lavoro e di impegno, di pensieri e di
affetti, di attività e di riposo. È parte dell’itinerario
mistagogico porre in evidenza il nesso dei misteri celebrati
nel rito con la responsabilità missionaria dei fedeli. In tal
senso, l’esito maturo della mistagogia è la consapevolezza che
la propria esistenza viene progressivamente trasformata dai
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 109 ――――――――――――――――
santi Misteri celebrati. Scopo di tutta l’educazione cristiana,
del resto, è di formare il fedele, come «uomo nuovo», ad una
fede adulta, che lo renda capace di testimoniare nel proprio
ambiente la speranza cristiana da cui è animato.
Per poter svolgere all’interno delle nostre comunità
ecclesiali un tale compito educativo occorre avere formatori
adeguatamente preparati. Certamente tutto il Popolo di Dio
deve sentirsi impegnato in questa formazione. Ogni comunità
cristiana è chiamata ad essere luogo di introduzione
pedagogica ai misteri che si celebrano nella fede. A questo
riguardo, i Padri durante il Sinodo hanno sottolineato
l’opportunità di un maggior coinvolgimento delle Comunità
di vita consacrata, dei movimenti e delle aggregazioni che, in
forza dei loro propri carismi, possono arrecare nuovo slancio
alla formazione cristiana. Anche nel nostro tempo lo Spirito
Santo non lesina certo l’effusione dei suoi doni per sostenere
la missione apostolica della Chiesa, a cui spetta di diffondere
la fede e di educarla fino alla sua maturità.
II.d.4:
In che modo le nostre liturgie eucaristiche aiutano a
cogliere il significato dei riti in relazione alla vita cristiana
in tutte le sue dimensioni, di lavoro e di impegno, di
pensieri e di affetti, di attività e di riposo. Cioè come aiuta a
maturare in ognuno e in tutta la comunità la responsabilità
missionaria?
III. EUCARISTIA, MISTERO DA VIVERE
Forma eucaristica della vita cristiana
Il culto spirituale – logiké latreía (Rm 12,1)
70. Il Signore Gesù, fattosi per noi cibo di verità e di
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 110 ――――――――――――――――
amore, parlando del dono della sua vita ci assicura che «chi
mangia di questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,51). Ma questa
«vita eterna» inizia in noi già in questo tempo attraverso il
cambiamento che il dono eucaristico genera in noi: «Colui che
mangia di me vivrà per me» (Gv 6,57). Queste parole di Gesù
ci fanno capire come il mistero «creduto» e «celebrato»
possegga in sé un dinamismo che ne fa principio di vita
nuova in noi e forma dell’esistenza cristiana. Comunicando al
Corpo e al Sangue di Gesù Cristo, infatti, veniamo resi
partecipi della vita divina in modo sempre più adulto e
consapevole. Vale anche qui quanto sant’Agostino, nelle sue
Confessioni, dice del Logos eterno, cibo dell’anima: mettendo in
rilievo il carattere paradossale di questo cibo, il santo Dottore
immagina di sentirsi dire: «Sono il cibo dei grandi: cresci e mi
mangerai. E non io sarò assimilato a te come cibo della tua
carne, ma tu sarai assimilato a me». Infatti non è l’alimento
eucaristico che si trasforma in noi, ma siamo noi che veniamo
da esso misteriosamente cambiati. Cristo ci nutre unendoci a
sé; «ci attira dentro di sé».
La Celebrazione eucaristica appare qui in tutta la sua
forza quale fonte e culmine dell’esistenza ecclesiale, in quanto
esprime, nello stesso tempo, sia la genesi che il compimento
del nuovo e definitivo culto, la logiké latreía.
Efficacia onnicomprensiva del culto eucaristico
71. Il nuovo culto cristiano abbraccia ogni aspetto
dell’esistenza, trasfigurandola: «Sia dunque che mangiate sia
che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per
la gloria di Dio» (1 Cor 10,31). In ogni atto della vita il cristiano
è chiamato ad esprimere il vero culto a Dio. Da qui prende
forma la natura intrinsecamente eucaristica della vita
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 111 ――――――――――――――――
cristiana. In quanto coinvolge la realtà umana del credente
nella sua concretezza quotidiana, l’Eucaristia rende possibile,
giorno dopo giorno, la progressiva trasfigurazione dell’uomo
chiamato per grazia ad essere ad immagine del Figlio di Dio
(cfr Rm 8,29s). Non c’è nulla di autenticamente umano –
pensieri ed affetti, parole ed opere – che non trovi nel
sacramento dell’Eucaristia la forma adeguata per essere
vissuto in pienezza. Qui emerge tutto il valore antropologico
della novità radicale portata da Cristo con l’Eucaristia: il culto
a Dio nell’esistenza umana non è relegabile ad un momento
particolare e privato, ma per natura sua tende a pervadere
ogni aspetto della realtà dell’individuo. Il culto gradito a Dio
diviene così un nuovo modo di vivere tutte le circostanze
dell’esistenza in cui ogni particolare viene esaltato, in quanto
vissuto dentro il rapporto con Cristo e come offerta a Dio. La
gloria di Dio è l’uomo vivente (cfr 1 Cor 10,31). E la vita
dell’uomo è la visione di Dio.
III.d.1:
Quali sono le realtà che fanno si che le nostre
celebrazioni siano la “fonte e il culmine” di tutto un vissuto
cristiano? Aiutano quindi a far vivere “il culto gradito a Dio
diviene così un nuovo modo di vivere tutte le circostanze
dell’esistenza in cui ogni particolare viene esaltato, in quanto
vissuto dentro il rapporto con Cristo e come offerta a Dio”?
IV. EUCARISTIA, MISTERO DA OFFRIRE AL MONDO
Eucaristia, pane spezzato per la vita del mondo
88. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del
mondo» (Gv 6,51). Con queste parole il Signore rivela il vero
significato del dono della propria vita per tutti gli uomini.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 112 ――――――――――――――――
Esse ci mostrano anche l’intima compassione che Egli ha per
ogni persona. In effetti, tante volte i Vangeli ci riportano i
sentimenti di Gesù nei confronti degli uomini, in special
modo dei sofferenti e dei peccatori (cfr Mt 20,34; Mc 6,34; Lc
19,41). Egli esprime attraverso un sentimento profondamente
umano l’intenzione salvifica di Dio per ogni uomo, affinché
raggiunga la vita vera. Ogni Celebrazione eucaristica
attualizza sacramentalmente il dono che Gesù ha fatto della
propria vita sulla Croce per noi e per il mondo intero. Al
tempo stesso, nell’Eucaristia Gesù fa di noi testimoni della
compassione di Dio per ogni fratello e sorella. Nasce così
intorno al Mistero eucaristico il servizio della carità nei
confronti del prossimo, che «consiste appunto nel fatto che io
amo, in Dio e con Dio, anche la persona che non gradisco o
neanche conosco. Questo può realizzarsi solo a partire
dall’intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato
comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento.
Allora imparo a guardare quest’altra persona non più
soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo
la prospettiva di Gesù Cristo». In tal modo riconosco, nelle
persone che avvicino, fratelli e sorelle per i quali il Signore ha
dato la sua vita amandoli «fino alla fine» (Gv 13,1). Di
conseguenza, le nostre comunità, quando celebrano
l’Eucaristia, devono prendere sempre più coscienza che il
sacrificio di Cristo è per tutti e pertanto l’Eucaristia spinge
ogni credente in Lui a farsi «pane spezzato» per gli altri, e
dunque ad impegnarsi per un mondo più giusto e fraterno.
Pensando alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, dobbiamo
riconoscere che Cristo ancora oggi continua ad esortare i suoi
discepoli ad impegnarsi in prima persona: «Date loro voi
stessi da mangiare» (Mt 14,16). Davvero la vocazione di
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 113 ――――――――――――――――
ciascuno di noi è quella di essere, insieme a Gesù, pane
spezzato per la vita del mondo.
Le implicazioni sociali del Mistero eucaristico
89. L’unione con Cristo che si realizza nel Sacramento ci
abilita anche ad una novità di rapporti sociali: «la “mistica”
del Sacramento ha un carattere sociale». Infatti, «l’unione con
Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli
si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso
appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono
diventati o diventeranno suoi». A questo proposito è
necessario esplicitare la relazione tra Mistero eucaristico e
impegno sociale. L’Eucaristia è sacramento di comunione tra
fratelli e sorelle che accettano di riconciliarsi in Cristo, il quale
ha fatto di ebrei e pagani un popolo solo, abbattendo il muro
di inimicizia che li separava (cfr Ef 2,14). Solo questa costante
tensione alla riconciliazione consente di comunicare
degnamente al Corpo e al Sangue di Cristo (cfr Mt 5,23-24).
Attraverso il memoriale del suo sacrificio, Egli rafforza la
comunione tra i fratelli e, in particolare, sollecita coloro che
sono in conflitto ad affrettare la loro riconciliazione aprendosi
al dialogo e all’impegno per la giustizia. È fuori dubbio che
condizioni per costruire una vera pace siano la restaurazione
della giustizia, la riconciliazione e il perdono. Da questa
consapevolezza nasce la volontà di trasformare anche le
strutture ingiuste per ristabilire il rispetto della dignità
dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. È
attraverso lo svolgimento concreto di questa responsabilità
che l’Eucaristia diventa nella vita ciò che essa significa nella
celebrazione. Come ho avuto modo di affermare, non è
compito proprio della Chiesa quello di prendere nelle sue
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 114 ――――――――――――――――
mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta
possibile; tuttavia, essa non può e non deve neanche restare ai
margini della lotta per la giustizia. La Chiesa «deve inserirsi
in essa per via dell’argomentazione razionale e deve
risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che
sempre richiede anche rinunzie, non può affermarsi e
prosperare».
Nella prospettiva della responsabilità sociale di tutti i
cristiani i Padri sinodali hanno ricordato che il sacrificio di
Cristo è mistero di liberazione che ci interpella e provoca
continuamente.
IV.d.1:
In che modo aiutiamo i fedeli a essere sempre più
consapevoli che ogni Celebrazione eucaristica attualizza
sacramentalmente il dono che Gesù ha fatto della propria
vita sulla Croce per noi e per il mondo intero, evitando i
chiusi intimismi?
E in che modo facciamo maturare nelle nostre
comunità parrocchiali che «la “mistica” del Sacramento ha
un carattere sociale» e cioè che la vocazione di ciascuno è
quella di essere, insieme a Gesù, pane spezzato per la vita
del mondo?
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 115 ――――――――――――――――
LITURGIA INIZIALE
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Amen.
PREGHIERA INTRODUTTIVA
Signore Gesù, discendendo tra noi come uomo tra gli
uomini, tu ti sei fatto solidale con la nostra natura umana e ci
hai fatto comprendere quanto ci hai amato; condividendo
senza esitazioni la povertà della nostra condizione e andando
infinitamente al di là del peccato, tu ci hai rivelato quanto
desideri che noi davvero ti apparteniamo. Nel mistero della tua
morte e risurrezione, sempre vivo nel memoriale eucaristico, tu
hai fatto scaturire per noi la sorgente inesauribile della grazia,
hai segnato l’avvio della nuova creazione, ci hai chiamato a far
parte del popolo della nuova alleanza.
La tua presenza nella storia degli uomini e nella vita di
ciascuno di noi ci è di immenso conforto nelle nostre
debolezze. Noi abbiamo bisogno di te , nelle difficoltà piccole
e grandi di ogni giorno, quando l’incomprensione dei fratelli
o la malattia mette a dura prova le nostre povere forze,
quando ci sembra di non potere uscire dal fitto delle tenebre
che ci avvolgono da ogni parte, quando non riusciamo a
sopportare la condizione di stranieri in questo mondo,
pellegrini verso la tua casa. Il pane eucaristico che tu ci offri –
tuo vero corpo e cibo soprannaturale che contiene in sé ogni
dolcezza e ci sostiene con la sua forza- è il più grande dei
benefici divini che potremmo ottenere in questa vita. Tu ci fai
presagire il compimento delle tue promesse di vita eterna,
ogni volta che nutrendoci di te, ci fai diventare membra del
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 116 ――――――――――――――――
tuo mistico corpo. Sii benedetto oggi e sempre, Signore Gesù,
fonte della vita!
•
In ascolto della Parola
DAL VANGELO DI GIOVANNI (6,48-51)
Gesù rispose loro: “Io sono il pane della vita. I vostri
padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti;
questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia
non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno
mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è
la mia carne per la vita del mondo”.
•
In ascolto dei Padri
DAL TRATTATO “SUI MISTERI” DI SANT’AMBROGIO,
VESCOVO (NN 43.47.49)
È mirabile che Dio abbia fatto piovere la manna per i
padri e che si nutrissero con un alimento quotidiano disceso
dal cielo. Per cui fu detto: “l’uomo mangiò il pane degli
angeli” (Sal 77,25). Ma quelli che mangiarono quel pane
morirono tutti nel deserto; invece questo alimento che tu
ricevi, questo “pane vivo disceso dal cielo” (Gv 6,51)
somministra il sostentamento della vita eterna, e chiunque ne
avrà mangiato “non morirà in eterno” (Gv 11,26) perchè è il
corpo di Cristo. Ora fa’ attenzione se sia più eccellente il pane
degli angeli mangiato dagli Ebrei nel deserto o la carne di
Cristo la quale è indubbiamente un corpo che dà la vita.
Quella manna veniva dal cielo,questo corpo è al di sopra del
cielo. Quella era del cielo, questo del Signore dei cieli. Quella,
se si conservava per il giorno seguente, si guastava, questo è
alieno da ogni corruzione. Chiunque lo gusta con sacra
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 117 ――――――――――――――――
riverenza non potrà soggiacere alla corruzione. Per gli Ebrei
scaturì acqua dalla rupe, per te sangue dal Cristo. L’acqua
dissetò loro per un momento, te, invece, il sangue lava per
sempre. Il giudeo beve e ha sete; tu, quando avrai bevuto non
potrai mai aver più sete. Quell’evento era figura, questo è
verità. Se quello che tu ammiri è ombra, quanto grande è la
realtà presente di cui tu ammiri l’ombra. Senti come è ombra
quello che si verificò presso i padri: “Bevevano”, dice, “da
una roccia che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo”.
Ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque e
perciò furono abbattuti nel deserto. Ora ciò avvenne come
esempio per noi (1Cor 10,4-6). Hai conosciuto ciò che vale di
più: è migliore la luce dell’ombra, migliore la verità della
figura, migliore il corpo del Creatore della manna del cielo.
•
In ascolto del Magistero
DALL’ESORTAZIONE APOSTOLICA POSTSINODALE SACRAMENTUM CARITATIS DI PAPA BENEDETTO XVI
Gesù nell’Eucaristia dà non “qualche cosa” ma se
stesso; egli offre il suo corpo e versa il suo sangue. In tal modo
dona la totalità della propria esistenza, rivelando la fonte
originaria di questo amore. Egli è l’eterno Figlio dato per noi
dal Padre. Nel Vangelo ascoltiamo ancora Gesù che, dopo
aver sfamato la moltitudine con la moltiplicazione dei pani e
dei pesci, ai suoi interlocutori che lo avevano seguito fino alla
sinagoga di Cafarnao, dice: “Il Padre mio vi dà il pane dal
cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo
e dà la vita al mondo” (Gv 6,32-33), ed arriva ad identificare
se stesso, la propria carne e il proprio sangue, con quel pane:
“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 118 ――――――――――――――――
questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia
carne per la vita del mondo”(Gv 6,51). Gesù si manifesta così
come il pane della vita, che l’eterno Padre dona agli uomini.
(n.7)
DALL’ENCICLICA DEUS CARITAS EST DI PAPA BENEDETTO XVI
A questo atto di offerta Gesù ha dato una presenza
duratura attraverso l’istituzione dell’Eucaristia, durante
l’Ultima Cena. Egli anticipa la sua morte e risurrezione
donando già in quell’ora ai suoi discepoli nel pane e nel vino
se stesso, il suo corpo e il suo sangue come nuova manna (cfr
Gv 6,31-33). Se il mondo antico aveva sognato che, in fondo,
vero cibo dell’uomo – ciò di cui egli come uomo vive- fosse il
Logos, la sapienza eterna, adesso questo Logos è diventato
veramente per noi nutrimento – come amore. Noi non
riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma
veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione.
L’immagine del matrimonio tra Dio e Israele diventa realtà in
un modo prima inconcepibile: ciò che era lo stare di fronte a
Dio diventa ora, attraverso la partecipazione alla donazione
di Gesù, partecipazione al suo corpo e al suo sangue, diventa
unione. (n.13)
PREGHIAMO
Signore Gesù, nel pane eucaristico, sei tu stesso come
pane di vita eterna: “Io sono il pane disceso dal cielo, non
come quello che mangiarono i padri vostri nel deserto e sono
morti, chi mangia questo pane vivrà in eterno”. Tu hai
realizzato questa promessa quando hai distribuito ai
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 119 ――――――――――――――――
discepoli, durante l’ultima cena, nella vigilia della tua
passione e morte, il pane e il vino, tuo corpo e sangue dato
per amore, nuovo cibo di liberazione e salvezza, sacramento
di riconciliazione e di comunione: così il tuo corpo trafitto e il
sangue versato ci hanno liberati dalla morte e ci fanno vivere
per sempre. Con fede e riconoscenza per il tuo dono
acclamiamo: donaci sempre, Signore, di questo pane: esso ci
sostenga, trasformi l’oscurità del dolore nello splendore di
luce della tua risurrezione e ci renda coraggiosi testimoni per
annunciare a tutti la salvezza che viene da te. Amen.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 120 ――――――――――――――――
LITURGIA CONCLUSIVA
Professione di fede nel mistero eucaristico
(tratta dal testo base in preparazione al 48° Congresso eucaristico
internazionale del Messico - Ottobre 2004)
Crediamo, Padre provvidente, che per la potenza del
tuo Spirito, il pane e il vino si trasformano nel corpo e sangue
del tuo Figlio, fior di farina che allevia la fame lungo il
cammino.
Crediamo, Signore Gesù, che la tua incarnazione si
prolunga nel seme del tuo corpo eucaristico per nutrire gli
affamati di luce e di verità, di amore e di perdono, di grazia e
di salvezza.
Crediamo che nell’Eucaristia ti prolunghi nella storia
per sostenere la debolezza del pellegrino e di chi sogna di
vedere il frutto del suo lavoro.
Sappiamo che a Betlemme, “la casa del pane”, l’eterno
Padre ha preparato – nel grembo della Vergine – il pane che
egli offre agli affamati di infinito.
Crediamo, Gesù vivente nell’Eucaristia, che la tua
presenza è vera e reale nel pane e nel vino consacrati; così
perpetui la tua presenza salvifica e offri alle tue pecore pascoli
erbosi e acque tranquille.
Con te, Agnello dell’alleanza, su ogni altare in cui ti
offri al Padre, si elevano i frutti della terra e del lavoro
dell’uomo, la vita del credente, il dubbio di chi cerca, il sorriso
dei bambini, i progetti dei giovani, il dolore di chi soffre,
l’offerta di chi si dona ai fratelli.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 121 ――――――――――――――――
Crediamo, Signore Gesù, che la tua bontà ha preparato
una mensa al grande e al piccolo e che alla tua mensa
diventiamo fratelli, fino a donare la vita gli uni per gli altri,
come hai fatto tu per noi.
Crediamo, Gesù, che sull’altare del tuo sacrificio
recupera forza la nostra debole carne, non sempre pronta agli
aneliti dello Spirito: trasformala tu a immagine del tuo corpo.
INTERCESSIONI
Illuminati dalla Parola di Dio, sostenuti dallo Spirito Santo e
incoraggiati dalla voce della Chiesa che ci ripete
l’insegnamento di Cristo, con cuore unanime e fiducioso
rivolgiamo al Signore la nostra preghiera:
O Gesù, pane vivo, ascoltaci.
• Per la santa chiesa di Dio: perché ,fortificata dal pane della
vita, cammini sulle strade del mondo annunciando con le
parole e le opere il vangelo di salvezza.
• Per i sacerdoti, ministri dell’altare: perché si conformino
sempre più al mistero che celebrano, per la lode di Dio e
l’edificazione del suo popolo.
• Per tutti i cristiani in particolare per quelli impegnati:
perché, nell’Eucaristia, segno di unità e vincolo di carità,
vivano in comunione di fede e di amore.
• Per tutti gli uomini: perché la comunione con il pane di
vita tolga dal loro cuore ogni egoismo e li porti a realizzare
la verità nella carità.
• Per la nostra comunità diocesana: perché spezzando il
pane di vita eterna impariamo a condividere anche il pane
terreno e a crescere nell’unità di fede, speranza e carità.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 122 ――――――――――――――――
Ora preghiamo il Padre come Gesù, suo Figlio, ci ha
insegnato: Padre nostro
Signore Gesù che nel Sacramento del tuo corpo e del
tuo sangue hai posto la sorgente dello Spirito che dà vita, fa
che la tua Chiesa, spezzando il pane in tua memoria, diventi il
germe dell’umanità rinnovata. Tu che vivi e regni nei secoli
dei secoli. Amen.
DIOCESI DI AVELLINO
Preghiera per il II° congresso Eucaristico 2009-2010
“Il Pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6.51)
Nel pane eucaristico che Tu ci dai,
Signore Gesù,
mangiamo la Tua carne,
riceviamo la Tua la vita.
In Te noi rimaniamo, e Tu in noi.
Nel Tuo sangue, bevanda di salvezza,
anche per noi
il Padre pone il sigillo dell'alleanza
perché, vivendo per Te,
portiamo nelle vie del mondo
il mistero dell’Amore,
dono non per noi soli, ma per gli uomini,
per il creato e la città,
per i campi e gli uffici, le banche e le industrie,
per le scuole e i luoghi delle arti e della cultura.
Con Te faremo nostre le gioie e le speranze,
le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi,
dei poveri e di coloro che soffrono.
Perché tutto per Te venga attratto e purificato,
salvato e riconsegnato al Padre
nel nostro quotidiano sacrificio spirituale
in mezzo ai fratelli,
unito al tuo sugli altari.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 124 ――――――――――――――――
Noi proclameremo di nuovo alla società
che Tu non l'abbandoni,
anche quando è lontana e sola
e talvolta malata di disperazione.
Aiutaci, affinché, trasformati in Tua carne,
sappiamo essere presenti
per la consolazione, il conforto e la speranza di molti.
Vinci le divisioni esasperate, l’egoismo sociale
i settarismi, i razzismi,
tu che hai donato la tua carne per la vita del mondo.
Attiraci a di Te
che sei principe della pace e dell'unità.
Così saremo davvero con Te
un solo pane, un solo corpo,
come Te donato per gli altri,
offerto se necessario fino al dono della vita
per tutti coloro che Tu ami,
per entrare in comunione più profonda
con la santa Trinità.
Amen.
? Francesco Marino
vescovo
INDICE
INTRODUZIONE DI MONS. FRANCESCO MARINO VESCOVO DI AVELLINO
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (GV 6,51) ... pag.
1. UN SIMBOLO: LA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI (VV. 1-15. 24-29) ...... pag.
2. IL PANE DISCESO DAL CIELO (VV. 30-50) ........................................... pag.
3. MANGIATE LA CARNE E BERE IL SANGUE (VV. 48-58) ....................... pag.
4. È LO SPIRITO, CHE DÀ LA VITA (VV. 59-71) ...................................... pag.
3
4
7
9
12
L’EUCARESTIA, MISTERO PASQUALE NELLA CHIESA PER IL MONDO
1. PREMESSA .......................................................................................... pag.
2. SINE DOMINICO NON POSSUMUS ...................................................... pag.
3. L’EUCARISTIA E COMUNIONE ECCLESIALE ...................................... pag.
4. L’EUCARESTIA FONTE E CULMINE DELLA VITA DELLA CHIESA ........ pag.
5. L’EUCARESTIA E LA MISSIONE DELLA CHIESA ................................. pag.
6. L’EUCARESTIA E IL SACERDOZIO MINISTERIALE ............................... pag.
7. EUCARISTIA E ACTUOSA PARTECIPATIO ............................................. pag.
8. CONCLUSIONI .................................................................................... pag.
EUCARISTIA E CATECHESI ......................................................................... pag.
EUCARISTIA E INIZIAZIONE CRISTIANA ..................................................... pag.
EUCARISTIA E GIOVANI .............................................................................. pag.
EUCARISTIA E ADULTI ................................................................................ pag.
EUCARISTIA E LITURGIA ............................................................................. pag.
LITURGIA E EUCARISTIA DOMENICALE ..................................................... pag.
EUCARESTIA E RELIGIOSITÀ POPOLARE ..................................................... pag.
EUCARISTIA E VITA MORALE ..................................................................... pag.
EUCARISTIA E CARITA’ ............................................................................... pag.
EUCARISTIA DONO D’AMORE .................................................................... pag.
EUCARESTIA E SOFFERENZA ...................................................................... pag.
13
15
19
26
31
39
45
51
56
59
64
67
71
75
80
88
91
94
99
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
―――――――――――――――― 128 ――――――――――――――――
DIOCESI DI AVELLINO - FORANIA URBANA
I. AUTENTICA PARTECIPAZIONE ........................................................... pag.
II. LA CELEBRAZIONE INTERIORMENTE PARTECIPATA ......................... pag.
III. EUCARISTIA, MISTERO DA VIVERE .................................................... pag.
IV. EUCARISTIA, MISTERO DA OFFRIRE AL MONDO .............................. pag.
LITURGIA INIZIALE ................................................................................... pag.
LITURGIA CONCLUSIVA ........................................................................... pag.
PREGHIERA PER IL II° CONGRESSO EUCARISTICO 2009-2010 ................... pag.
INNO DEL II° CONGRESSO EUCARISTICO DIOCESANO ............................. pag.
FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI MARZO 2010
PRESSO LA STAMPA EDITORIALE SRL
STRADA STATALE 7/BIS - ZONA INDUSTRIALE DI AVELLINO
83030 – MANOCALZATI (AV)
TEL. 0825– 62.69.66 - FAX 0825-61.08.88
105
107
110
112
116
120
123
125