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DIOCESI DI AVELLINO «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Giovanni 6, 51) II° Congresso Eucaristico Diocesano Avellino 25 aprile - 2 maggio 2010 DIOCESI DI AVELLINO Piazza Libertà, 23 83100 – Avellino Tel. 0825/7.45.95 [email protected] www.diocesi.avellino.it Grafica copertina: Master Grafica di Marano Massimo Vescovo di Avellino «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Giovanni 6, 51) Carissimi, abbiamo scelto il capitolo sesto del vangelo di Giovanni come testo biblico di riferimento per il cammino ecclesiale che stiamo compiendo verso il II Congresso Eucaristico Diocesano. In esso raccogliamo il messaggio centrale che dà forza e anima la testimonianza pubblica della nostra chiesa avellinese nell’ambito sociale. Dal sacramento dell’eucarestia si prolunga misticamente la vita di Cristo nell’uomo, nella chiesa, nella società e nel mondo. E’ la fede in lui, pane vivo disceso dal cielo che ci consente di irradiare lo splendore della verità su tutta la realtà umana che ci appartiene, a livello personale e comunitario. Questa fede chiede di andare oltre se stessi e impegnarsi per creare una società fraterna. «La fede non è un deposito di verità morte, che si mettono rispettosamente ‘da parte’, per organizzare senza di esse tutta la vita… Per conservarsi soprannaturale, la carità non è costretta a farsi disumana: come lo stesso soprannaturale non si concepisce se non si incarna. Colui che si sottomette alla sua legge, lungi dal liberarsi con ciò dai suoi legami naturali, mette al servizio della società di cui la natura l’ha fatto membro, un’attività tanto più efficace, quanto più libero ne è il principio» ( HENRI DE LUBAC, Cattolicismo). «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 4 ―――――――――――――――― Dalla partecipazione alla “sua carne” e al “suo sangue” mediante l’eucarestia si produce ancora oggi, attraverso la presenza e l’azione della chiesa, corpo mistico di Cristo, quella trasformazione del mondo che lo rende più giusto mediante la carità. E’ questa la funzione del sacerdozio di Cristo, e dunque della chiesa: quella di «consacrare il mondo perché diventi ostia vivente, perché il mondo diventi liturgia: che la liturgia non sia una cosa accanto alla realtà del mondo, ma che il mondo stesso diventi ostia vivente, diventi liturgia» (BENEDETTO XVI). Questo movimento di ricapitolazione in Cristo di tutte le cose, che parte dall’Eucarestia, coinvolge noi cristiani in maniera del tutto particolare. Vivere in maniera “eucaristica” pertanto significa lasciarsi trasformare dalla forza di questo mistero, ed essere, perciò, come il segno, il germe del mondo trasformato. 1. UN SIMBOLO: LA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI (VV. 1-15. 24-29) Il c. 6 del vangelo di Giovanni è strettamente unitario. Al miracolo della moltiplicazione dei pani (6, 1-15), a cui fa seguito come appendice la venuta di Gesù sulle acque del lago (6, 16-24), corrisponde il lungo discorso sul pane della vita (6, 25-59) che si conclude con la defezione di molti discepoli e la professione di fede di Pietro (6, 60-71). È evidente lo scopo dell'evangelista di presentare il miracolo della moltiplicazione dei pani come un segno, cioè come un indizio dato da Dio, attraverso il quale i testimoni avrebbero dovuto comprendere che Gesù era «venuto dal cielo». Gesù rimprovera i testimoni del miracolo perché non hanno voluto comprendere nel fatto dei pani il suo valore di «segno»: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 5 ―――――――――――――――― perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (6, 26). Qui, come altrove nel vangelo di Giovanni (2, 6; 5, 14; 9, 5; 11, 25) la parola «segno» ha anche il valore di simbolo, di manifestazione tipica (typos vuol dire impronta e quindi immagine) della grazia portata dalla redenzione di Cristo e attuata dai Sacramenti della Chiesa. La moltiplicazione dei pani è dunque un «segno» che ha lo scopo di far nascere la fede in Cristo come disceso dal cielo, proveniente da Dio; questo aspetto è sviluppato nella prima parte del discorso sul pane della vita (6, 25-51). Ma il medesimo fatto è anche un «simbolo» dell'eucaristia come alimento spirituale distribuito da Gesù; questo aspetto è sviluppato nella seconda parte del discorso (6, 51-59). Il valore simbolico è accentuato da alcune particolarità della narrazione della moltiplicazione dei pani e dal soggiacente confronto con la manna, reso poi esplicito nel discorso che segue. I particolari che si comprendono intesi in funzione del valore simbolico direttamente riferito all'eucaristia sono i seguenti: a) A differenza dei vangeli sinottici, la moltiplicazione dei pani è l'unico fatto riferito nel contesto; è come se Gesù si fosse recato in quel luogo solo per operare il miracolo e pascere quell'immensa folla. b) Il quarto vangelo fa intervenire subito Gesù, ed aggiunge esplicitamente: «Egli sapeva bene che cosa stava per compiere» (v. 6). Gesù sembra distribuire personalmente il pane alla moltitudine: «Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti» (v. 11). In tal modo rende la scena più simile a quella del cenacolo ed anche più conforme al significato dell'eucaristia, in cui, chiunque siano i ministri, è Gesù stesso che nutre le folle: «II pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (v. 51). «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 6 ―――――――――――――――― c) Un'allusione all'eucaristia è costituita anche dalla parola usata per indicare il rendimento di grazie: eukharistésas. E’ questa parola che ha dato il nome all'eucaristia. Nel vangelo di Giovanni si nota una certa insistenza sulla tale parola. d) Importante è il rilievo che il quarto vangelo dà ai pezzi di pane avanzati. Se vi è un'insistenza è per il valore simbolico di quei frammenti (klàsmata) che ricordano anche nel nome «lo spezzare del pane» (At 2, 42) che nella Chiesa primitiva designava l'eucaristia. e) Inoltre, l'insistenza sulla sovrabbondanza dei pezzi raccolti, se vi si vede sottinteso il valore simbolico, sembra svolgere questi temi eucaristici: l'eucaristia è un pane inesauribile: mangiarono dai cinque pani «finché ne vollero» e ne avanzarono ancora dodici canestri; l'eucaristia è un pane che non perisce, a differenza della manna, che veniva raccolta in misura e quello che avanzava si corrompeva (Es 16, 17-21); l'eucaristia, distribuita la prima volta da Gesù, rimane nella Chiesa, affidata agli apostoli: tale è infatti il senso dei dodici canestri, che corrispondono al numero dei dodici apostoli. f) Un'altra serie di indizi che raggiunge la stessa conclusione riguarda il contesto pasquale in cui viene inserita la moltiplicazione dei pani. Giovanni nota esplicitamente: «Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei» (v. 4). Il contesto pasquale attira con sé diverse allusioni ai temi dell'Esodo, in particolare quello della manna, esplicitamente evocata con la citazione del Salmo 78 (77), 24: «Diede loro da mangiare un pane dal cielo» (v. 31). La manna è presentata qui anche come il prototipo di un «segno» della missione divina del Figlio, ordinato a suscitare la fede. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 7 ―――――――――――――――― È dunque certo che Giovanni descrive la moltiplicazione dei pani come un'anticipazione profetica della cena eucaristica celebrata dal Signore con gli apostoli e poi ripetuta regolarmente nella Chiesa. L'eucaristia appare qui come l'adesione sacramentale a Cristo, preparata e accompagnata dall'adesione personale che è la fede in Lui. 2. IL PANE DISCESO DAL CIELO (VV. 30-50) Il corpo del discorso sul pane della vita, risulta di due dittici (vv. 32-50 e 48-58) saldati tra loro dai vv. 48-50 che chiudono il primo e insieme aprono il secondo dittico. Il concetto che fa da cornice è il confronto che oppone il pane del cielo alla manna. La manna nel primo dittico è considerata sotto l'aspetto della sua origine celeste, mentre nel secondo dittico è considerata sotto l'aspetto di nutrimento. Le due parti si presentano come un commento omiletico (è il genere letterario del midràsh) che spiega successivamente le parole bibliche citate all'inizio: « Diede loro da mangiare un pane dal cielo » (Salmo 78 [77], 24). Per questo le parole caratteristiche del primo dittico sono il venire a Cristo, l'essere attratti verso di lui, il credere in lui (vv. 35.37.40.44. 45.47) come in colui che il Padre ha dato dal cielo; invece le parole caratteristiche del secondo dittico sono il mangiare (vv. 51-58, in tutti i versetti) e il bere (vv. 53-56). Si tratta di due modi distinti di adesione a Cristo: mediante la fede il primo, mediante l'eucaristia il secondo. Abbiamo così tutti gli elementi per intendere l'argomento del primo dittico, l'adesione a Cristo mediante la fede. Ecco i concetti contenuti nel primo dittico: a) Cristo è il pane venuto dal cielo e dato dal Padre: è il fatto dell'incarnazione. La vita spirituale, è una forza che proviene da Dio, il Padre, fonte di ogni essere e fonte della «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 8 ―――――――――――――――― stessa vita del Figlio, e giunge a noi per mezzo di Cristo. Gesù, il Figlio, è dunque quel pane che il Padre dona per far vivere gli uomini. b) «Mangiare» questo pane vuol dire vivere della vita eterna. Il termine «eterno» si riferisce al modo di essere che non finirà mai; sarà una partecipazione al modo di essere proprio di Dio, partecipazione alla quale saranno chiamati coloro che appartengono a Cristo (v. 39). c) Questa comunione di vita con Cristo sarà il motivo per cui Cristo risusciterà i suoi nell'ultimo giorno (vv. 39.40, e nel contesto eucaristico v. 54). Tutto questo vale, come vedremo, anche per l'adesione a Cristo nell'eucaristia. d) Ma ciò che è caratteristico del primo dittico è la funzione determinante della fede in Cristo. Si tratta della fede non come adesione a una serie astratta di enunciati (il che si chiama «contenuto della fede»), ma come adesione alla persona di Cristo, percepita nella sua entità celeste di Figlio di Dio e datore di vita. Per questo vi è tanta analogia con l'eucaristia in quanto contatto personale con Cristo, che del resto non è realizzabile senza che insieme sia anche un'adesione di fede. Gesù si esprime in un modo non privo di immagini ma estremamente chiaro: il Padre dà agli uomini il «pane», in quanto manda il Figlio, e di nuovo il Padre dà al Figlio ogni singolo credente in quanto è lui, il Padre, che attira il credente verso il Figlio, è lui che direttamente lo ammaestra, perché gli fa credere che Gesù è il Figlio datore di vita. La fede è il credere che egli è questo pane, è un venire a lui per vivere di lui. Sembra cioè un atto piuttosto preliminare, non espresso dall'immagine del mangiare, tanto ovvia invece nel contesto eucaristico del secondo dittico. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 9 ―――――――――――――――― 3. MANGIATE LA CARNE E BERE IL SANGUE (VV. 48-58) La seconda sezione del discorso sul «pane della vita» è formata da un dittico, come la prima. Il punto di partenza è ancora il medesimo del dittico precedente, la contrapposizione del pane della vita alla manna. Il v. 57 riassume con somma chiarezza tutto questo ordine di idee: «Come il Padre, (il Vivente, la fonte di ogni vita) ha mandato me (con l'incarnazione, allo scopo di trasmettere questa vita agli uomini) e io vivo per il Padre (che è la fonte della vita del Figlio), così anche colui che mangia me vivrà per me». Giovanni ritorna sul concetto del pane dato dal Padre come mezzo di vita per gli uomini. Quello che qui è nuovo è invece il realismo dell'espressione mangiare. Si noti il procedimento logico: il pane che è Cristo (v. 48) diventa il pane che Cristo darà (v. 51) e questo pane è la carne di Cristo. Di conseguenza si passa da un «mangiare» metaforico (prendere da Cristo la corrente vitale) a un «mangiare» letteralmente qualche cosa che è la «carne» di Cristo. Il procedimento logico poi continua: l'obiezione dei Giudei (v. 52) rende esplicita nel suo strano realismo questa deduzione, ma Gesù rincara la dose e all'espressione mangiare la sua carne aggiunge quella ancora più scandalosa di bere il suo sangue (v. 53). Nessuna espressione metaforica spiega l'uso di questi termini. Di più, si tratta non di un cibo veritiero in confronto di ciò che non è tale (come nel v. 32: «il pane vero»), ma di un vero pane, cioè di un cibo reale, di qualche cosa che veramente dev'essere mangiato. Questo realismo si spiega solo per il fatto che si tratta dell'eucaristia. Il binomio carne-sangue corrisponde a quello di corposangue riportato da Paolo e i Sinottici nel narrare l’istituzione della cena eucaristica. La frase caratteristica: «la carne (data) «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 10 ―――――――――――――――― per (hypér) la vita del mondo» (v. 51) corrisponde all'espressione «questo è il mio corpo che è dato per voi (to hypèr hymón)» (Lc 22, 19; 1Cor. 11, 24) e all'altra «questo è il mio sangue... versato per molti (Mt 26, 28: perì polla»; Mc 14, 24: hypèr pollón)». È dunque indiscutibile che qui si tratta di mangiare e bere realmente gli elementi eucaristici, che senza alcun possibile equivoco vengono chiamati la carne e il sangue di Cristo. Ciò posto, vediamo qui che le parole di Gesù non si allontanano dall'argomento iniziale del credere in lui quale pane della vita, ma vengono a determinare meglio il modo di adesione a Cristo: la partecipazione all'eucaristia. L'umanità di Cristo (carne e sangue), strumento di salvezza per tutto il mondo nel sacrificio della croce («la mia carne per la vita del mondo») diventa nell'eucaristia lo strumento per comunicare ai singoli la «vita», la quale è l'argomento di fondo di tutto il discorso. Gesù ribadisce in forma negativa e affermativa la necessità di tale mezzo per avere la vita. Di nuovo descrive le prerogative di questa comunicazione di vita: a) è un'unione strettissima del fedele con Cristo, espressa dalla frase dimora in me ed io in lui (v. 56); lo sviluppo completo di questo concetto si ha nel discorso dopo l'ultima cena col paragone della vite e dei tralci (15, 1-7); b) è una comunione di vita che in modo analogico trasmette la corrente di vita che il Padre comunica al Figlio (cfr. 5, 26; 1, 3.38; 14, 23); c) contro questa comunione di vita nulla può la morte: chi mangia di questo pane non muore (v. 50), vivrà in eterno (v. 58); d) in forza di questa ininterrotta comunione di vita, mantenuta mediante l’eucaristia, Cristo all'ultimo giorno risusciterà i suoi fedeli. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 11 ―――――――――――――――― Questo testo, che richiama attorno alla partecipazione eucaristica i vari concetti di vita in Cristo e in forza di Cristo, di vita eterna e di risurrezione di vita, con tali espressioni da mostrare il carattere indispensabile dell'eucaristia, dà all'eucaristia il posto centrale nel culto cristiano e tra i mezzi di salvezza. Si tratta della stessa centralità della Pasqua di Cristo, morte sacrificale e risurrezione, per la salvezza del mondo, applicata mediante l'eucaristia alla vita della Chiesa e alla salvezza dei singoli fedeli. L'indole individuale piuttosto che comunitaria di questa unione con Cristo è l'aspetto messo in maggiore evidenza nel presente contesto. Ma se si ripensa al paragone dei tralci uniti alla vite e ai ripetuti richiami all'unione di tutti i discepoli con Cristo e tra loro nel discorso di Gesù alla cena dell’addio (15, 1-6.12.17; 17, 21-23) si deve ritenere che anche l'aspetto comunitario non è assente dalla prospettiva del quarto vangelo. Un altro motivo ci fa ritenere implicito nel discorso sul pane della vita l'aspetto comunitario, il fatto cioè che esso contiene una chiara allusione al convito della Sapienza, affine al tema certamente comunitario del convito escatologico. Il mangiare e bere metaforico diventa reale, in modo sacramentale. Il partecipare al cibo sensibile che è l'eucaristia è un aderire alla realtà invisibile e divina. Ciò vuol dire che la partecipazione eucaristica ha un rapporto stretto con l'alimento metaforico costituito dalla parola di Dio. È il rapporto che abbiamo visto sussistere tra i due dittici del discorso: aderire a Cristo mediante la fede e aderire a lui mediante la partecipazione all'eucaristia. La prima è una premessa della seconda e la seconda non è senza la prima. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 12 ―――――――――――――――― 4. È LO SPIRITO, CHE DÀ LA VITA (VV. 59-71). In questa appendice del discorso sul pane della vita si risolvono le due difficoltà esposte dai Giudei a proposito delle due affermazioni di Gesù: come può Gesù dirsi disceso dal cielo, mentre se ne conosce l'origine terrena? E come può dare la sua carne da mangiare? Ebbene, l'ascensione, il vedere «il Figlio dell’uomo salire dov’era prima» (v. 62) dissipa ogni dubbio sull'origine celeste di Gesù (v. 42). L'essere lo spirito e non la carne ciò che dona la vita (v. 63) fa capire che il mangiare la carne non deve intendersi in modo del tutto materiale (v. 52). In realtà questa frase indica che a Cristo si deve credere anche se si urta contro qualche difficoltà. Tale è il senso che proviene dal contesto drammatico dell'incredulità dei Giudei e dell'apostasia di molti discepoli. Questa crisi di fede non sarebbe certo avvenuta per un malinteso. Così l'appendice appare del tutto coerente col discorso, ed introduce il concetto, che il contatto eucaristico avviene con l'umanità risorta e glorificata di Cristo. Il Cristo risorto è infatti «Spirito vivificante» (1Cor 15, 45). Da questa concezione, certamente biblica, dipende la dottrina sull'intervento dello Spirito Santo nell'attuare il mistero eucaristico e la santificazione dei fedeli che vi partecipano. Avellino, 14 febbraio 2010 Solennità dei SS. Modestino, Fiorentino e Flaviano martiri ? Francesco, vescovo L’EUCARESTIA, MISTERO PASQUALE NELLA CHIESA PER IL MONDO «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51) Avellino 25 aprile - 2 maggio 2010 1. PREMESSA Il II° Congresso Eucaristico Diocesano «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51) Avellino 25 aprile - 2 maggio 2010 è un evento che pone attenzione all’Eucarestia e al Sacerdozio, nella dimensione oblativa «per la vita del mondo»: l’Eucaristia, infatti, «ci attira nell’atto oblativo di Gesù» (BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 13). Il mondo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso il cielo nel gesto della preghiera, «mossi dalla consapevolezza che l’amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede l’autentico sviluppo, non è da noi prodotto ma ci viene donato. Perciò anche nei momenti più difficili e complessi, oltre a reagire con consapevolezza, dobbiamo soprattutto riferirci al suo amore». (BENEDETTO XVI, Caritas in Veritate, n. 79). Il mistero eucaristico non si può capire se non si penetra in esso come nell’evento dove la libertà di Dio s’incontra con la libertà dell’uomo. Si tratta di un evento di mutua donazione: «O Dio amabilissimo, o amor infinito, vi prego, fatevi amare, fatevi amare da me. Io non voglio vivere se non per amarvi, né voglio amarvi, se non per darvi gusto». (SANT’ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI). Si tratta, ancora, di un evento trinitario, pasquale ed eucaristico. Come evento trinitario, è la benevolenza del Padre che, per lo Spirito, ci si dona nel suo Figlio; come evento pasquale, è l'obbedienza del «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 14 ―――――――――――――――― Figlio fino alla piena donazione della Croce, dove si realizza la benevolenza del Padre che non lascia che Cristo conosca la corruzione del sepolcro (cfr. Sal 15). E il nesso fra quest’evento trinitario e l’evento pasquale è lo Spirito Santo, la Persona “dono”. Infine, l’evento eucaristico del pane e del vino è infinitamente differente dall’evento trinitario e pasquale. La celebrazione dell’Eucarestia è celebrazione del Mistero della Chiesa. Per questo, durante la Santa Messa, si ricordano, insieme al Papa e al Vescovo, tutti i membri del Corpo Mistico di Cristo, vivi e defunti – «…et omni populo acquisitionis tuae» (MESSALE ROMANO, Preghiera Euc. III): qui, infatti, è la Chiesa intera misticamente presente. Noi cristiani, senza dubbio alcuno, come ogni uomo o donna di buona volontà «siamo cercatori di felicità, appassionati e mai sazi. Questa inquietudine ci accomuna [...] Non può essere che così: è la nostra vita quotidiana il luogo da cui sale la sete di felicità. Nasce con il primo anelito di vita e si spegne con l’ultimo. Nel cammino tra la nascita e la morte, siamo tutti cercatori di felicità. Tutti possiamo riconoscerci nel bisogno di felicità: ma quale felicità cerchiamo? come la cerchiamo? quali strumenti ce ne assicurano il possesso? e gli altri, in questa appassionata ricerca, che posto hanno? Qualcuno ha accusato la tradizione cristiana di opporsi alla voglia di felicità, di guardare eccessivamente al futuro dimenticando il presente. Qualche volta è stato contestato ai credenti in Cristo l’eccessivo prezzo da pagare per assicurare la felicità, o si sono loro rimproverati i modelli dal sapore rinunciatario [...] Le provocazioni ci sfidano e ci aiutano a pensare, facendoci riscoprire alla radice dell’esperienza cristiana la figura di Gesù, che ci ha offerto il volto di un Dio amante della vita e della felicità dell’uomo». «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 15 ―――――――――――――――― (CEI, Lettera ai cercatori di Dio, 2009). Possiamo dire che è nell’Eucaristia che avviene questa riscoperta, questo rinnovarsi dell’incontro con la figura di Gesù Cristo, volto rivelato del Padre. È nell’Eucaristia che il cristiano trova la sua felicità, saziandosi di essa, e vivendo ogni circostanza della vita con il sapore di questo Pane degli Angeli sulle labbra – «fac meae menti de Te vivere, et Te illi semper dulce sapere». Ed è con questo dolce gusto sulle labbra che il cristiano riscopre la sua vocazione, la «missione propria di tutti i battezzati, nella varietà e complementarietà dei doni e dei compiti», come scriveva Giovanni Paolo II nella Ecclesia de Europa, rilevando tra i segni di speranza «il concentrarsi della Chiesa nella sua missione spirituale e il suo impegno a vivere il primato dell’evangelizzazione anche nei rapporti con la realtà sociale e politica». 2. SINE DOMINICO NON POSSUMUS Sine dominico non possumus: «Senza il dominicum non possiamo». La testimonianza che i martiri di Abitene – nell'odierna Tunisia – resero al Signore durante la persecuzione di Diocleziano, agli inizi del IV secolo, si può ricondurre tutta a questa confessione di fede: sono stati arrestati mentre celebravano il dominicum; il dominicum è l'unica loro ragion d'essere; e per averlo celebrato vengono torturati e messi a morte. «Senza il dominicum non possiamo» (cap. XII), attesta per tutti uno dei martiri, il lettore Emerito. Non aggiunge altro. Potrebbe voler dire «non possiamo vivere»: sembrerebbe il completamento più logico e immediato della frase. Ma potremmo completare anche «non possiamo far nulla», rifacendoci all’affermazione del Maestro in relazione alla vite «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 16 ―――――――――――――――― a ai tralci (dove pure si coglie un riferimento eucaristico): «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5) Dominicum è il neutro sostantivato dell’aggettivo dominicus, «del Signore (Dominus)», e da solo significa «una cosa che è del Signore», che appartiene a Lui, al Dominus. Sappiamo che Dominus, equivalente del greco Kyrios, indica il Signore glorioso, il Risorto. L'aggettivo neutro dominicum potrebbe sottintendere un sostantivo, poi caduto, ma di cui ha assunto il valore (come dominica dies, «il giorno del Signore», caduto dies, è diventato la Domenica). Per dominicum le possibilità sono diverse: dominicum corpus: «il corpo del Signore»; dominicum sacrificium: «il sacrificio del Signore», di cui l'Eucaristia è sacramento; dominicum sacramentum: «il sacramento del Signore»; dominicum mysterium: «il mistero del Signore», della sua Pasqua; dominicum pascha: «la Pasqua del Signore», il suo mistero di morte e risurrezione; dominicum convivium: «il convito del Signore»: il termine comprende bene anche lo stare insieme dei fratelli nella carità per la celebrazione della cena. Non è necessario tuttavia compiere una scelta in questo catalogo; in realtà, il termine dominicum comprende tutti questi valori: è il giorno del Signore, nel quale si celebra il sacramento del sacrificio del Signore, il suo mistero di morte e risurrezione. Procediamo nella nostra riflessione sull’esclamazione di Emerito. Questa espressione sintetica, Sine dominico non possumus, «Senza il dominicum non possiamo vivere», nasce in un’aula di tribunale. È la risposta dei giovani all’accusa mossa loro, o forse al curioso interrogativo del giudice sul perché mai avessero violato il divieto. Il giudice non poteva capire «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 17 ―――――――――――――――― quanta forza si nascondesse dietro questo strano rito. Sapeva che si celebrava di notte, all’alba, prima di andare a lavorare, ma non comprendeva come tutto ciò potesse portare dei giovani – anche promettenti, umanamente parlando – sull’orlo del martirio. Non capiva, il giudice, che in questa prassi di vita c’è un senso profondo di consapevolezza che l’Eucaristia è il luogo dove, celebrando in tal modo la memoria di Gesù, ci si dice gli uni gli altri che ogni fratello ci sta a cuore, che ogni povero lo sentiamo vicino, che ogni provenienza è tra noi di casa perché l’abbiamo imparato da Lui, l’abbiamo imparato dall’inizio. Il giudice, in fondo, non poteva capire che, se violando il divieto i giovani cristiani avevano scelto la morte, se avessero rinunciato al dominicum essi avrebbero rifiutato la Vita. C’è un altro aspetto da considerare. Per i giovani di Abitene, il «Fate questo in memoria di me» detto da Gesù è un’obbedienza da onorare. «Quando Gesù comanda di ripetere i suoi gesti e le sue parole «finché egli venga», non chiede soltanto che ci si ricordi di lui e di ciò che ha fatto. Egli ha di mira la celebrazione liturgica, per mezzo degli Apostoli e dei loro successori, del memoriale di Cristo, della sua vita, della sua morte, della sua risurrezione e della sua intercessione presso il Padre». (CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, 1341). Le parole dette dal Maestro, addirittura in un momento di testamento, non si possono non fare: questa è la ragione stessa del nostro esserci. L’Eucaristia fa quindi parte delle ragioni del nostro esserci, fa parte del fondamento: non è l’aspetto aggiuntivo. I martiri di Abitene avevano già capito che solo l’Eucaristia è davvero fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, come insegna il Concilio Vaticano II. Senza l’Eucaristia, non ci sarebbe nulla del resto. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 18 ―――――――――――――――― Un altro testo della metà del secondo secolo (148-150 d.C.) cerca di far fronte ad accuse simili a quelle di Abitene. Giustino, retore, scrive un’apologia quasi a difesa della giovane comunità cristiana. È il primo racconto scritto dell’Eucaristia e, storicamente, è il testo più antico che ci dice come la tradizione originaria celebrasse l’Eucaristia. Ecco ciò che egli scrive, verso il 155, per spiegare all'imperatore pagano Antonino Pio (138161) ciò che fanno i cristiani: «Nel giorno chiamato del sole ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne. Si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo consente. Poi quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci ammonisce ed esorta ad imitare questi buoni esempi. Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo preghiere sia per noi stessi [...] sia per tutti gli altri, dovunque si trovino, affinché, appresa la verità, meritiamo di essere nei fatti buoni cittadini e fedeli custodi dei precetti, e di conseguire la salvezza eterna. Finite le preghiere, ci salutiamo l’un l’altro con un bacio. Poi al preposto dei fratelli vengono portati un pane e una coppa d’acqua e di vino temperato. Egli li prende ed innalza lode e gloria al Padre dell’universo nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e fa un rendimento di grazie [eucharistia], per essere stati fatti degni da Lui di questi doni. Quando egli ha terminato le preghiere ed il rendimento di grazie, tutto il popolo presente acclama: Amen. Dopo che il preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha acclamato, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane, il vino e l’acqua eucaristizzati e ne portano agli assenti». Leggendo questo testo, si possono cogliere due realtà: mentre ci si ritrova così in grande fraternità c’è un’enorme attenzione a chi non c’è. L’ “assente” è nominato quattro volte «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 19 ―――――――――――――――― in questo testo; l’ “assente” che non ha esattamente un volto: è il malato, è l’anziano, è lo straniero, è chi non ci conosce. La seconda realtà che cogliamo è il riconoscimento della presenza tra loro dei poveri; quindi il ritrovarsi a celebrare questo gesto deve essere caratterizzato sempre da espressioni solidali: chi ha di più, lo porta a chi presiede la comunità perché dopo lo si possa condividere con chi ha di meno, con i poveri. Del resto, l’Eucaristia è un sacramento povero: i segni sono quelli della mensa, della croce. L’ospitalità e la solidarietà contraddistinguono l’Eucaristia degli inizi andando controcorrente rispetto al momento storico che si viveva; non era questa, infatti, la logica del contesto culturale; non era l’assetto della società dentro cui la giovane comunità viveva. L’Eucaristia trasuda di solidarietà, che ha dentro il linguaggio sorgivo della fraternità e della condivisione, che ha dentro la sapienza del Vangelo che conduce il discepolo a celebrarla imitando il Maestro, che è uno che sta in mezzo ai suoi come colui che serve (Lc 22, 27). Questa è la ragione per la quale il Vescovo può affermare la centralità effettiva dell’Eucaristia e l’importanza di farla emergere nei vissuti pastorali delle nostre comunità. Come non pensare, allora, alla rivitalizzazione della Liturgia, dell’Architettura Sacra, della Musica? E dall’esaltazione di Cristo Eucaristia deriva conseguentemente la forma e l’ordine di ogni edificio chiesa. Come non riprendere gli aspetti della tradizione delle nostre parrocchie come le Sante Quarantore che sono state scuole di santità per tanti? 3. L’EUCARISTIA E COMUNIONE ECCLESIALE Partecipare al Sacrificio eucaristico e ricevere l’Eucaristia significa entrare in comunione personale con Gesù. Questo aspetto della relazione personale è estremamente «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 20 ―――――――――――――――― importante e va continuamente ribadito e difeso, poiché non possiamo comunicare sacramentalmente col Signore, senza farlo in maniera personale. «Ma questa speciale intimità che si realizza nella “comunione” eucaristica non può essere adeguatamente compresa né pienamente vissuta al di fuori della comunione ecclesiale» (GIOVANNI PAOLO II, Mane Nobiscum Domine, n. 20). La relazione personale con Cristo nell’Eucaristia non può e non deve restare solo rapporto privato e intimistico, che dimentica o scavalca la relazione con il resto dell’assemblea e, più in generale, con la Chiesa. «Nella frazione del pane eucaristico, -ribadisce Lumen gentium, 7partecipando realmente al Corpo del Signore, noi siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi» e diventiamo «membra gli uni degli altri». Coerentemente, il documento dei vescovi italiani Eucaristia, comunione e comunità, al n. 61, afferma che, se «non si può essere Chiesa senza l’Eucaristia», dal momento che è l’Eucaristia a “fare” la Chiesa, d’altra parte «non si può fare l’Eucaristia senza fare Chiesa. Non si può mangiare il Pane eucaristico senza fare comunione nella Chiesa». Per sua natura e per espressa volontà di Cristo, il memoriale della Pasqua non può che essere vissuto fraternamente e comunitariamente. «Nella comunione sacramentale io vengo unito al Signore come tutti gli altri comunicanti [...]. L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi. La comunione mi tira fuori di me stesso verso di Lui, e così anche verso l’unità con tutti i cristiani» (BENEDETTO XVI, Deus Caritas Est, n.14). La Santa Messa non possiamo quindi avvertirla come «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 21 ―――――――――――――――― una mera devozione, come una preghiera tra le tante: è il sacrificio di Cristo, la memoria della Pasqua di Cristo. Non commemora soltanto la morte di Cristo in se stessa, ma il passaggio dalla morte alla vita, il percorso salvifico che si conclude con la glorificazione di Cristo. Ecco perché nell’Eucaristia noi consegniamo tutta la storia umana, la nostra vita. Si è dunque di fronte a una “convocazione” a una “chiamata” che è tutta centrata su questo mistero salvifico. Vi è una dimensione “misterica” contemplativa che va accolta e testimoniata. E’ in azione lo Spirito Santo e quindi va “custodito” il senso profondamente spirituale del celebrare l’Eucaristia. Noi davvero comunichiamo con il Signore e ci lasciamo trasformare da Lui. Ecco allora che dobbiamo evitare due rischi legati ad una ritualità puramente esterna: subirne il fascino o rimanerne delusi. Vi è una dimensione “mistica”, “spirituale” che è decisiva. Cosa significa questo? E come può essere scoperta e condivisa? Certamente non è una dimensione intimistica: è una apertura al mistero che la Pasqua di Cristo rivela e attua. Per questo dobbiamo metterci alla scuola di Gesù ed esprimere nella nostra vita la Sua passione per l’umanità, per il destino di ogni uomo, affinché nessuno venga escluso. L’Eucaristia dunque ci riconsegna il valore del “legame” con la storia umana, ci interroga e ci inquieta in profondità. Per questo, ad esempio, il Cantico dei Cantici nella liturgia pasquale acquistava tutto il suo significato sacramentale. Ambrogio dice che il Cantico «rappresenta le nozze di Cristo con la chiesa, dello Spirito con l’umanità, dello Spirito con l’anima» (Sacr 5, 2, 8). L’Eucaristia è il regalo nuziale di Cristo alla sua sposa: «Il Signore Gesù [...] ti invita al convito celeste dicendo «Mi baci coi baci della sua bocca!» e «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 22 ―――――――――――――――― la tua anima, o l’umanità, o la chiesa vede il mirabile sacramento ed esclama «Mi baci coi baci della sua bocca!, cioè mi doni Cristo il suo bacio» (Sacr 5, 2, 5-7). E di questo bacio parla anche uno dei mistici del nostro tempo, San Pio da Pietrelcina: «Accostiamoci a ricevere il pane degli angeli con una gran fede e con una gran fiamma di amore ed attendiamoci pure da questo dolcissimo amante dell’anime nostre di essere consolati in questa vita col bacio della sua bocca. Felici noi [...] se arriveremo a ricevere dal Signore della nostra vita di essere consolati di questo bacio!». L’unione sacramentale si apre, dunque, all’unione mistica. Non dobbiamo rendere sterile questa tensione, inebriandoci in modo sbagliato. Per questo non dobbiamo sottrarci alla storia umana, alle sue sofferenze, alle sue gioie, piuttosto dobbiamo lasciarci attrarre da questa vicenda che è il luogo dove si celebra la salvezza. Vi è una «ebbrezza dello Spirito» che dobbiamo conquistare, o meglio, da cui dobbiamo farci “sedurre”. Ancora Ambrogio diceva: «È bellissima l’ebbrezza che costruisce la sobrietà del cuore». Ecco perché abbiamo bisogno di non smarrire questo “attaccamento” alla storia umana, lacerata, attraversata da sofferenza e ingiustizia. Ed allora quando diciamo che l’esperienza di carità, la vita condivisa con i più deboli, la sete di verità e giustizia, l’ascolto del grido dei poveri appartengono alla nostra scelta di fede, sono la nostra passione di credenti , non ci affidiamo a una retorica scontata, ma ne facciamo una scelta di vita. Il rito deve evidenziare, dentro di noi, nella comunità che celebra, che siamo convocati dal Signore e lì portiamo la nostra condivisione con la storia umana – «la gioia e la fatica di ogni giorno» (MESSALE ROMANO, Offertorio), a partire da «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 23 ―――――――――――――――― quella quotidiana, familiare, prossima, del nostro territorio. Ma, per questo, la fatica, la gioia, la sensibilità inquieta e interrogante va portata nell’Eucaristia perché questo segno visibile attraversato dalla dinamica della Pasqua, venga trasformato nel mistero di comunione e salvezza, ci porti “oltre” la storia umana. È l’Exultet pasquale che si dilata nella storia. Nell’Eucaristia ogni credente pregusta la risurrezione: «Tu senti che ogni volta che s’offre il sacrificio, si celebra la morte del Signore, la risurrezione del Signore, l’ascensione del Signore, il perdono dei peccati. Cristo ogni giorno risorge per te» (SANT’AMBROGIO, Sacr 5, 4.25-26). Come non ricordare le tracce di questa presenza nell’arte delle nostre Chiese, dagli altari maestosi alle piccole cappelle, dalle tele settecentesche, al ciborio del Fanzago in Duomo, a quello rinascimentale di S.Ippolisto di Atripalda, ai pregevoli Exultet di Mirabella e alle Confraternite del SS. Sacramento! Questa apertura al mistero cresce se ci fidiamo davvero del Signore. La dimensione fondamentale è questa decisione di affidarsi al Cristo che salva. E questo è possibile se non ci lasciamo distrarre, se attraversiamo la storia che siamo chiamati a vivere radicati in questa centralità. Per questo dobbiamo far sì – e questo è il paradosso cristiano – che si possa vivere “insieme”, nell’ospitalità fraterna. In fondo, come dice Paolo, si tratta di una “agape”, una vera e propria festa di amore reciproco. Una unità che nasce proprio dalla partecipazione all’unico corpo di Cristo che rende i cristiani una sola persona: «I molti sono un solo corpo perché partecipano di un solo pane» (cfr. 1Cor 10, 17). Questa esperienza interiore ha bisogno di essere educata a crescere in noi, nel nostro ritrovarci. Ecco perché ogni operatore pastorale, deve vivere questa dimensione di ricerca e di «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 24 ―――――――――――――――― orientamento contemplativo. Proprio in questa fase dove il rischio evidente è di essere quasi “assorbiti” dal quotidiano, dalla delega, che impropriamente viene data, e proprio perché ci “assumiamo” questa concretezza, dobbiamo acquisire questa sapienza interiore, questa “custodia” del silenzio che inquieta e fa cogliere fragilità e limiti. Usando una espressione poetica “dobbiamo” ripetere spesso il cantico degli esuli ebrei: «Lungo i fiumi di Babilonia…» (cfr. Sal 137). Non si educa alla partecipazione eucaristica se non si fa rivivere nelle nostre comunità questa educazione al silenzio contemplativo, orante ed al sacro. D’altro canto, neppure ci si può estraniare: dobbiamo invece riportare il sentimento della speranza nell’evento eucaristico. Benoit dice che l’Eucaristia è in un presente storico, memoriale di un evento “storico”, ma questo oggi e quell’evento hanno in sé un’anima escatologica, essendo la perfetta irruzione dell’eterno e del divino nel tessuto della nostra storia. L’Eucaristia è allora celebrazione della speranza, è «attesa della sua venuta» quando «Dio sarà tutto in tutti» (cfr. 1Cor 15,28). Con questo «pane degli angeli» noi compiamo progressivamente l’ultimo esodo, quello definitivo inaugurato dal Cristo, nostra guida (cfr. At 3,15; 5,31). Nella Gaudium et Spes si legge: «Il Signore ha lasciato ai suoi un pegno di speranza e un viatico per il cammino nel sacramento della fede in cui elementi naturali, coltivati dall’uomo, vengono trasformati nel corpo e nel sangue glorioso di Lui, in un banchetto di comunione fraterna che è pregustazione del convito del cielo» (n. 38). Ecco allora che per «accostarci all’Eucaristia», per avvertirla come centrale dobbiamo essere persone interrogate dal quotidiano, dalla domanda di vita che attraversa anche il dolore e il limite. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 25 ―――――――――――――――― L’Eucaristia esplicita la sua tensione missionaria se riesce a esprimere questa tensione escatologica, questa attesa di futuro, e se riesce a “celebrarla”. Dovremmo educarci a celebrarla perché interrogati da questo mistero di speranza. Si tratta, allora, di cogliere questa opportunità pastorale di aver richiamato la centralità del «giorno del Signore», della celebrazione eucaristica per interrogarsi e verificarsi riguardo al proprio agire e alle proprie scelte. Se, cioè, esse sono interiormente finalizzate e coordinate verso il loro unico centro, Cristo morto e risorto. Si tratta di partire e tornare con un movimento incessante al cuore del mistero. Per fare questo è necessaria la scelta di una opzione spirituale che va accolta dentro di noi. Impariamo a pregare e a contemplare: il “concentrarsi” ad adorare l’Eucaristia, a vegliare di fronte all’Eucaristia (di giorno e di notte, pensiamo, ad esempio, com’è tradizione per l’Apostolato della Preghiera il primo Venerdì del mese o in altri momenti) è la strada maestra, oggi più che mai, in questo tempo dove tutti assorbiamo l’esteriorità, la spettacolarizzazione della morte e della vita. Dobbiamo farci ospitare dal silenzio adorante che genera vita, in modo culturalmente sapiente ma appunto per questo interiormente vissuto. Non si sfugge alla domanda di interiorità, di ritualità che ne consegue, all’inquietudine che è dentro di noi. Non si rimuove solo chiedendo, ma lasciando spazio davvero al mistero, a quella Pasqua di liberazione che l’umanità attende. E’ il grido di libertà che è l’Alleanza antica e la «nuova ed eterna…». Dio non accoglie il grido degli Ebrei descritto nell’Esodo in quanto preghiera, ma, il loro grido viene trasformato in preghiera perché Dio lo accoglie e vi risponde. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 26 ―――――――――――――――― Noi portiamo all’Eucaristia le tante voci, lamentazioni, lodi che scorrono nella vita. Portiamo tutta la creazione: il mondo creato è “bello”; ma lo è agli occhi di Dio. Il bello sotto gli occhi di Dio diventa il bello nel cuore e nella voce del credente. Ed allora la gratitudine, il dire grazie, la gioia del ringraziare, del «fare eucaristia» può liberarsi davvero anche in ciascuno di noi. Siamo convocati per ringraziare e dare lode. 4. L’EUCARESTIA CHIESA FONTE E CULMINE DELLA VITA DELLA Tutta la Chiesa è unita all'offerta e all'intercessione di Cristo. Investito del ministero di Pietro nella Chiesa, il Papa è unito a ogni celebrazione dell'Eucaristia nella quale viene nominato come segno e servo dell’unità della Chiesa universale. Il Vescovo del luogo è sempre responsabile dell'Eucaristia, anche quando viene presieduta da un presbitero.E’ tutta la Chiesa che offre l’unico sacrificio. Scrive Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica Ecclesia de Eucharistia: «Ho potuto celebrare la Santa Messa in cappelle poste sui sentieri di montagna, sulle sponde dei laghi, sulle rive del mare; l'ho celebrata su altari costruiti negli stadi, nelle piazze delle città... Questo scenario così variegato delle mie Celebrazioni eucaristiche me ne fa sperimentare fortemente il carattere universale e, per così dire, cosmico. Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l'Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull'altare del mondo. Essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato. Il Figlio di Dio si è fatto uomo, per restituire tutto il creato, in un supremo atto di lode, a Colui che lo ha fatto dal nulla. E così Lui, il sommo ed eterno Sacerdote, «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 27 ―――――――――――――――― entrando mediante il sangue della sua Croce nel santuario eterno, restituisce al Creatore e Padre tutta la creazione redenta. Lo fa mediante il ministero sacerdotale della Chiesa, a gloria della Trinità Santissima. Davvero è questo il mysterium fidei che si realizza nell'Eucaristia: il mondo uscito dalle mani di Dio creatore torna a Lui redento da Cristo» (n. 8). Questa dimensione cosmica della Santa Messa – riflesso del mistero della comunione dei santi – si spiega proprio in virtù della dimensione sacrificale del rito. In quanto memoriale della pasqua di Cristo, l'Eucaristia è sacrificio. Il carattere sacrificale dell'Eucaristia si manifesta nelle parole stesse dell'istituzione: «Questo è il mio Corpo che è dato per voi» e: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio Sangue, che viene versato per voi» (Lc 22,19-20). Nell'Eucaristia Cristo dona lo stesso corpo che ha consegnato per noi sulla croce, lo stesso sangue che egli ha «versato per molti, in remissione dei peccati» (Mt 26,28). L'Eucaristia è dunque un sacrificio perché ripresenta (rende presente) il sacrificio della croce, perché ne è il memoriale e perché ne applica il frutto. Cristo, Dio e Signore nostro, si è immolato a Dio Padre una sola volta morendo sull’altare della croce per compiere una redenzione eterna: poiché il suo sacerdozio non doveva estinguersi con la morte (Eb 7,24.27), nell’ultima Cena, «nella notte in cui veniva tradito» (1Cor 11,23), volle lasciare alla Chiesa, sua amata Sposa, un sacrificio visibile (come esige l'umana natura), con cui venisse significato quello cruento che avrebbe offerto una volta per tutte sulla croce, prolungandone la memoria fino alla fine del mondo, e applicando la sua efficacia salvifica alla remissione dei nostri peccati quotidiani. Il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell'Eucaristia sono un unico sacrificio: «Si tratta «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 28 ―――――――――――――――― infatti di una sola e identica vittima e lo stesso Gesù la offre ora per il ministero dei sacerdoti, egli che un giorno offrì se stesso sulla croce: diverso è solo il modo di offrirsi». «E poiché in questo divino sacrificio, che si compie nella Messa, è contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che «si offrì una sola volta in modo cruento» sull'altare della croce, questo sacrificio è veramente propiziatorio». (Cfr. CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, 1365-1366-1367). Ogni volta che la messa è celebrata «si effettua l'opera della nostra redenzione» (Presbyterorum ordinis, 13). Nella celebrazione eucaristica, i cristiani in un certo qual modo sembrano trascendere i confini di questo mondo e accostarsi, per mezzo di Cristo, a Dio e al mondo celeste. Il mistero è grande, e va accolto nell’adorazione e nello stupore della fede. A buon titolo, Claudel può dire: «O mio Dio, questa cosa è troppo più grande di noi: sia chiaro che sei tu l’unico responsabile di questa enormità!». Davvero, allora, l’Eucaristia è culmine della vita della Chiesa, è come un centro di gravitazione che unifica le energie interiori partecipate dal Cristo risorto e fa della Chiesa un popolo in cammino nella storia, proteso verso la pienezza della vita che l’attraversa ma pur la trascende. L’edificazione della Chiesa in tempio santo del Signore avviene nel cuore della stessa sua storia. Collocare l’Eucaristia al centro della Chiesa vuol dire compiere un’operazione ben più significativa che allargare il campo della ritualità. Costituisce una vera riconversione culturale. Nel Decreto Presbiterorum Ordinis si dice che «nell’Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua» (n. 5). Ed è ancora Claudel a parlare dell’Eucaristia come del «compendio del cattolicesimo, il punto infinitamente sottile e pesante nel quale esso si «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 29 ―――――――――――――――― riassume». Ecco perché è urgente accompagnare questa scelta pastorale con una rigorosa e sapiente riflessione teologica. Si deve porre attenzione al dinamismo vitale che l’Eucaristia rivela. Gesù nella sua persona è divenuto l’evento di salvezza. Attraverso la morte e risurrezione di Gesù il regno di Dio ha fatto irruzione definitiva nel mondo. Ha inserito il dinamismo nuovo di «cieli nuovi e terra nuova» attesi ma già anticipati. Ed allora nell’Eucaristia si può celebrare già e pregustare questa novità. Il fatto che «nessuno tra loro era bisognoso» (At 4, 34) è un segno di una «epoca fraterna» che s’inaugura e si attende. La Chiesa, nata dal costato del Cristo pasquale, cammina verso la piena comunione con Lui. La Pasqua segna insieme l’inizio e il compimento della Chiesa. Questa verità va liberata nella quotidianità, va comunicata perché venga accolta e resa gioiosa notizia. Questo è possibile se il Vangelo porta la novità gratificante della carità, della gratuità del «lasciare ogni cosa» per seguirlo. La vita di carità si esprime nella Chiesa se la comunità è ospitale, si fa fraterna, non crea divisioni e non scandalizza, secondo il richiamo di Paolo a quelli di Corinto. E soprattutto se apre alla speranza. La classica espressione di origine liturgica «Maranà tha» (cfr. 1Cor 16,22; Ap 22,20) esprime in modo tipico queste profonde tensioni sostenute nel cuore della Chiesa dall'Eucaristia. Rapportarsi all’Eucaristia come centro significa coerentemente entrare dentro la logica pasquale, muoversi secondo la forza dello Spirito che ci attrae nel movimento di obbedienza e disponibilità del Figlio all’amore del Padre. Ecco perché l’Eucaristia ci ricolloca nel cuore di una scelta di dedizione, di gratuità. Quella lavanda dei piedi vissuta nel contesto della cena lega indissolubilmente la «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 30 ―――――――――――――――― memoria della Pasqua e il “dedicarsi” con il gesto di condivisione e di servizio. Accanto al Tabernacolo, Custodia di Cristo vivo, nel silenzio dell’adorazione, si ascolta ancora il rumore dell’acqua che, scivolata sui piedi degli apostoli, cade nel catino. «Vi ho dato l’esempio» (Gv 13, 15) e Sant’Agostino commenta: «Non disdegni il cristiano di fare quanto Cristo stesso fece» (SANT’AGOSTINO, In Joannem). Ecco allora che non si può separare la vita di carità, la consegna del mandato ad andare a servire, dal «fare memoria». Come all’inizio abbiamo richiamato la dimensione spirituale, ora siamo mandati a celebrare la carità, portando il lieto annuncio con lo stile eucaristico che è condivisione e fraternità, e che rimanda alle beatitudini (cfr. Mt 5). Siamo chiamati a vivere quella «coerenza eucaristica» di cui parla il Santo Padre nella Sacrametum Caritatis: altrimenti, il dono di Dio in noi sarebbe vano. E’ tempo di slancio profetico e non di chiusure paurose. Sì proprio in questo, di egoismi striscianti, di vuoti, sono presenti dentro la storia umana i segni preziosi e anticipatori di un futuro di pace. «La conversione sostanziale del pane e del vino nel suo corpo e nel suo sangue pone dentro la creazione il principio di un cambiamento radicale, come una sorta di «fissione nucleare», per usare un'immagine a noi oggi ben nota, portata nel più intimo dell'essere, un cambiamento destinato a suscitare un processo di trasformazione della realtà, il cui termine ultimo sarà la trasfigurazione del mondo intero, fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti» (BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, n.11). Non lasciamoci intristire o rinchiudere nel recinto di un sociale pieno di apparenti visioni di bontà. L’esperienza della condivisione ci appassioni sempre più alla storia umana: si può cambiare la «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 31 ―――――――――――――――― vita e migliorare il futuro, fidandoci del Signore, perché facciamo memoria della Pasqua, della morte e della resurrezione di Cristo. L’Eucaristia non è solo il memoriale della Pasqua di Gesù, ne è anche la grande esegesi, la grande interpretazione del suo gesto d’amore. I due discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35) riconoscono Gesù allo spezzare del pane perché in quel gesto giungono a comprendere la verità di un amore più forte, di un amore vittorioso sul male e sulla morte. Potremmo allora anche dire così: dopo aver spiegato il senso della croce alla luce di tutte le Scritture, partendo da Mosè e dai Profeti, ora Gesù torna a spiegarla alla luce della frazione del pane, proprio perché il pane spezzato e il vino versato dicono tutta la verità, tutto il senso di quella morte, anzi più profondamente le conferiscono questo significato che altrimenti non avrebbe. 5. L’EUCARESTIA E LA MISSIONE DELLA CHIESA L’Eucarestia: una sfida per i credenti a compiere un Pellegrinaggio verso di Lui, il Vivente, che era, che è e che viene. L’Agnello immolato prima della creazione del mondo. L’ultima cena è anticipazione rituale del sacrificio in cui Cristo «offrì se stesso a Dio» (cfr. Eb 9, 14) per la remissione dei peccati; la Nuova Alleanza da parte di Cristo; la disposizione di un testamento, in cui Gesù lasciava in «eredità eterna» (cfr. Eb 9, 15) ai suoi discepoli, il regno del suo Padre (cfr. Mt 26, 29; Lc 22, 29-30). Le parole e le azioni di Cristo nell’ultima cena erano tutte indirizzate verso il loro adempimento nella sua morte, senza la quale, non avrebbero avuto nessun senso o valore. Ma la morte di Gesù non era la fine, il termine dell’opera redentrice. E in questo amore sacrificale di Dio in Cristo per il mondo si rintraccia anche l’eterno fondamento dell’Incar- «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 32 ―――――――――――――――― nazione del Verbo «che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,1). Dio nella creazione carica su di Sé la nostra salvezza e decide di colmare con se stesso l’insufficienza del creato. Pertanto il sacrificio di Cristo, l’Eucarestia «costituisce il centro propulsore della vita delle nostre comunità». Nell’Eucaristia, infatti, si rivela il disegno d’amore che guida tutta la storia della salvezza. In essa il Deus Trinitas, che in se stesso è amore, si coinvolge pienamente con la nostra condizione umana. Per questo, l’Eucaristia domenicale è il cuore pulsante della settimana, sacramento che immette nel nostro tempo la gratuità di Dio che si dona a noi per tutti. L’Eucaristia conduce all’ascesi personale e al servizio ai poveri, segni dell’autenticità del nostro conformarci a Cristo e della nostra testimonianza, perché «un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata» (Nota Pastorale CEI, Rigenerati per una Speranza Viva, (1Pt 1,3) Testimoni del grande “Sì” di Dio all’Uomo, 6). Nella vita di ognuno di noi esiste un elemento unificatore, gravitazionale, che la sostiene. Tutto quello che facciamo e siamo esige la garanzia dell’unità. Vivere, infatti, non può essere una sommatoria di azioni, di esperienze, di situazioni diverse tra loro, lo avevano ben compreso i filosofi medioevali che, riflettendo sulla realtà, avevano scoperto che tutto ciò che esiste è attratto dall’unità, a partire dai singoli organismi. In effetti è proprio così anche per l’uomo. Non siamo un insieme di organi - biologici - ma una unità, un corpo che necessita di legami. La stessa cosa è per il Corpo di Cristo, la Chiesa. Cos’è che tiene unito il Corpo di Cristo nel pellegrinaggio nelle strade della storia? C’è un centro attorno al quale la Chiesa imposta la sua vita, trae vigore per il suo cammino? È la «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 33 ―――――――――――――――― persona di Cristo che si ripropone oggi, veramente presente e operante. È la sua vita che pulsa nel Corpo Mistico. Vita che è stata donata e che è pienezza. Insomma è la persona di Cristo risorto che, presente in mezzo a noi nel mistero, unifica tutto il suo Corpo. La sua Parola ci raduna, ci istruisce, ci invia, ma è il suo sacrificio pasquale che ci sostiene e ci alimenta. È l’Eucaristia il cuore della Chiesa, senza la quale essa morirebbe. Ciò ci è dato anche nel segno del miracolo eucaristico di Lanciano: le più recenti analisi chimiche di una particella di quell’Ostia miracolosa ci rivelano che si tratta di carne ancora viva, e, precisamente, carne di un cuore umano. Il mistero pasquale di Gesù sta al cuore della Chiesa e di tutto ciò che essa può fare in risposta alla chiamata del Maestro. Nell’Eucarestia Gesù coinvolge i fedeli nella sua stessa «ora»; in tal modo Egli ci mostra il forte legame che ci unisce a Lui, tra la sua persona e la Chiesa. Infatti, Cristo stesso nel sacrificio della croce ha generato la Chiesa come sua sposa e suo corpo. I Padri della Chiesa hanno ampiamente meditato sulla relazione tra l’origine di Eva dal fianco di Adamo dormiente (cfr Gn 2,21-23) e della nuova Eva, la Chiesa, dal fianco aperto di Cristo, immerso nel sonno della morte: dal costato trafitto, racconta Giovanni, uscì sangue ed acqua (cfr Gv 19,34), simbolo dei sacramenti; dal costato trafitto di Cristo, dormiente del sonno della morte, nasce la Santa Chiesa. Uno sguardo contemplativo «a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37) ci porta a considerare il legame causale tra il sacrificio di Cristo, l’Eucaristia e la Chiesa. La Chiesa, in effetti, «vive dell’Eucaristia», come ci ricordava Giovanni Paolo II. Poiché in essa si rende presente il sacrificio redentore di Cristo, si deve innanzitutto riconoscere che «c'è un influsso causale dell’Eucaristia alle origini stesse della Chiesa. Sono «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 34 ―――――――――――――――― stati, gli Apostoli, a riunirsi con Gesù nell'Ultima Cena. È un particolare di notevole rilevanza, perché gli Apostoli furono ad un tempo il seme del nuovo Israele e l’origine della sacra gerarchia. Offrendo loro come cibo il suo corpo e il suo sangue, Cristo li coinvolgeva misteriosamente nel sacrificio che si sarebbe consumato di lì a poche ore sul Calvario. In analogia con l’Alleanza del Sinai, suggellata dal sacrificio e dall’aspersione col sangue, i gesti e le parole di Gesù nell'Ultima Cena gettavano le fondamenta della nuova comunità messianica, il Popolo della nuova Alleanza» (GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia De Eucharistia, 21). Né bisogna dimenticare il nesso che unisce la forma sociale per eccellenza, ossia, la famiglia, con l’Eucarestia: è questo legame che ci svela la peculiarità del rapporto che unisce l’uomo e la donna nel sacramento del Matrimonio. Approfondire questo legame è una necessità propria del nostro tempo il carattere sponsale: l’Eucaristia è il sacramento della nostra redenzione. È il sacramento dello Sposo, della Sposa. Del resto, tutta la vita cristiana porta il segno dell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa. Per questo la Chiesa manifesta una particolare vicinanza spirituale a tutti coloro che hanno fondato la loro famiglia sul sacramento del Matrimonio. La famiglia – chiesa domestica – è un ambito primario della vita della Chiesa, specialmente per il ruolo decisivo nei confronti dell'educazione cristiana dei figli. Va così riconosciuta la singolare missione della donna nella famiglia e nella società, una missione che va difesa, salvaguardata e promossa. Il suo essere sposa e madre costituisce una realtà imprescindibile che non deve mai essere svilita (cfr. BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, 27). «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 35 ―――――――――――――――― L’Eucaristia è Cristo che si dona a noi, edificandoci continuamente come suo corpo. Pertanto, nella suggestiva circolarità tra Eucaristia che edifica la Chiesa e Chiesa stessa che fa l’Eucaristia, la causalità primaria è quella espressa nella prima formula: la Chiesa può celebrare e adorare il mistero di Cristo presente nell'Eucaristia proprio perché Cristo stesso si è donato per primo ad essa nel sacrificio della Croce. La possibilità per la Chiesa di «fare» l’Eucaristia è tutta radicata nella donazione che Cristo le ha fatto di se stesso (cfr. BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, n. 14). Anche qui scopriamo un aspetto convincente della formula di san Giovanni: «Egli ci ha amati per primo» (1Gv 4,19). Così anche noi in ogni celebrazione confessiamo il primato del dono di Cristo. L’influsso causale dell’Eucaristia all’origine della Chiesa rivela in definitiva la precedenza non solo cronologica ma anche ontologica del suo averci amati «per primo». Egli è per l’eternità colui che ci ama per primo. La nostra salvezza è stata ottenuta dal Cristo con la sua offerta di Sommo Sacerdote. Dobbiamo avere maggior coscienza che «l’Eucaristia è costitutiva dell’essere e dell’agire della Chiesa. Per questo l’antichità cristiana designava con le stesse parole Corpus Christi il Corpo nato dalla Vergine Maria, il Corpo eucaristico e il Corpo ecclesiale di Cristo. Questo dato ben presente nella tradizione ci aiuta ad accrescere in noi la consapevolezza dell'inseparabilità tra Cristo e la Chiesa. Il Signore Gesù, offrendo se stesso in sacrificio per noi, ha efficacemente preannunciato nel suo dono il mistero della Chiesa. È significativo che la seconda preghiera eucaristica, invocando il Paraclito, formuli in questo modo la preghiera per l’unità della Chiesa: «per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo». «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 36 ―――――――――――――――― Questo passaggio fa ben comprendere come la res del Sacramento eucaristico sia l’unità dei fedeli nella comunione ecclesiale. L’Eucaristia si mostra così alla radice della Chiesa come mistero di comunione (cfr. BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, 15). Questo «mistero di comunione» ci riporta al Mistero Pasquale posto al centro dell’annuncio cristiano. In effetti se pensiamo alla Pasqua andiamo immediatamente con la memoria alla tomba vuota, alle apparizioni del Risorto. E facciamo bene perché Pasqua si manifesta nel suo massimo splendore - nella sua luce, come suggerisce il rito iniziale della Veglia Pasquale - proprio nella risurrezione. Ma non è tutto qui. Il Mistero Pasquale è composto della luce della risurrezione come della tenebra della passione. Già perché è Pasqua tutto il duro cammino del dono totale di Gesù, sacrificio nella passione, silenzio nella notte della morte e vittoria nel giorno luminoso di Pasqua. Mistero pasquale è, allora, mistero di passione, morte e risurrezione così come ci viene ripresentato - in modo attuale - nella celebrazione della Santa Messa. L’umanità di Cristo manifestata nella passione, morte e risurrezione la preghiera di Gesù è «una cosa sola con il dialogo intratrinitario dell’amore eterno. Mediante l’Eucarestia Gesù introduce gli uomini in questa preghiera, che è così la porta sempre aperta all’adorazione e il vero sacrificio, il sacrificio della nuova alleanza, il culto spirituale» (J. RATZINGER, Introduzione allo Spirito della Liturgia, p.45). Questo mistero, che si prolunga anche nel dono dello Spirito, è ciò che tiene unito il nostro Corpo, è la linfa che ci da la forza per vivere e operare, è il modello che ispira l’essere e l’agire, è il cuore della nostra vita cristiana. Da esso tutto parte e tutto ritorna. Preghiamo uniti a quel mistero, amiamo in quel mistero, siamo battezzati in «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 37 ―――――――――――――――― quella morte per risorgere con lui nella gloria, speriamo in quella stessa vittoria, camminiamo nell’obbedienza di quel mistero, moriamo e risorgiamo per quell’evento, siamo liberati per la sofferenza, il dono e la vittoria di Cristo. E noi lo siamo grazie a quel mistero pasquale così duro e dolce allo stesso tempo. Per quel mistero siamo innestati in Cristo, figli nel Figlio, e in lui partecipi del sacerdozio, della regalità e della profezia. Siamo nella stagione del cosiddetto «disincanto del mondo» nel quale va valutata attentamente la «perdita del centro» e la conseguente frammentazione della vita delle persone. Il “nomadismo”, cioè la dislocazione della vita familiare, del lavoro, delle relazioni sociali, del tempo libero, etc., connota anche la psicologia della gente, i suoi orientamenti di fondo. Si appartiene contemporaneamente a mondi diversi, distanti, perfino contraddittori. La frammentarietà trova forte alimento nei mezzi di comunicazione sociale, una sorta di crocevia del cambiamento culturale. «La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli», come scrive il Santo Padre nella sua ultima Lettera Enciclica. A soffrirne sono le relazioni personali e sociali sul territorio e, quindi, la vitalità delle parrocchie. Da tempo la vita non è più circoscritta, fisicamente e idealmente, dalla parrocchia; solo per pochi il campanile che svetta sulle case è segno di un’interpretazione globale dell’esistenza. Non a caso si è parlato di fine della «civiltà parrocchiale»... Noi riteniamo che la parrocchia non è avviata al tramonto; è piuttosto evidente l’esigenza di ridefinirla, se si vuole che non resti ai margini della vita della gente. La parrocchia ha un ruolo determinante per la sua «originaria vocazione e missione nell’essere nel mondo luogo «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 38 ―――――――――――――――― della comunione dei credenti, e insieme segno e strumento della vocazione di tutti alla comunione». In un contesto che spesso conduce alla dispersione e all’aridità, cresce per contrasto l’esigenza di legami “caldi”: l’appartenenza è affidata ai fattori emozionali e affettivi, mentre i rapporti risultano limitati e impoveriti. Lo stesso processo selettivo si avverte anche sull’orizzonte del cosiddetto bisogno del sacro, in cui, più che le ragioni della trascendenza, a prevalere sono le esigenze di armonia personale. Anche su questo versante le parrocchie devono lasciarsi interrogare, se vogliono essere case accoglienti… rifuggendo da processi elitari o esclusivi; se vogliono rispondere sì alle attese del cuore ferito delle persone, ma anche restare luogo in cui si proclama la rivelazione di Dio, la verità assoluta del Risorto. (cfr. CEI, Il Volto Missionario delle Parrocchie in un mondo che cambia, 2). In questo contesto, una necessaria riflessione va fatta sulla vita liturgica: «La liturgia, mediante la quale, specialmente nel divino sacrificio dell'eucaristia, «si attua l'opera della nostra redenzione», contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa». (Sacrosactum Concilium , 2). Se è vero che «la possibilità per la Chiesa di fare l'Eucaristia è tutta radicata nella donazione che Cristo le ha fatto di se stesso» (BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, n. 14), allora si può dire che l’Eucaristia, e con essa tutta la liturgia, è prima fonte e poi culmine della vita della Chiesa, in quella dinamica circolare di cui parlava il Papa. Allora, come mettono in risalto i vescovi italiani, «assolutamente centrale sarà approfondire il senso della festa e della liturgia, della celebrazione comunitaria attorno alla mensa della Parola e dell’Eucaristia, del cammino di fede costituito dall’anno «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 39 ―――――――――――――――― liturgico. Di qui l’urgenza di esplicitare la rilevanza della liturgia quale luogo educativo e rivelativo, facendone emergere la dignità e l’orientamento verso l’edificazione del Regno. La celebrazione eucaristica chiede molto al sacerdote che presiede l’assemblea e va sostenuta con una robusta formazione liturgica dei fedeli. Serve una liturgia insieme seria, semplice e bella, che sia veicolo del mistero, rimanendo al tempo stesso intelligibile, capace di narrare la perenne alleanza di Dio con gli uomini» (CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 49). Nelle nostre comunità le celebrazioni liturgiche devono, perciò, nella loro dignità (rito e canti, silenzio ed adorazione) svelare il senso dell’Eucarestia, devono sollevare il velo affinché si intravveda il Mistero, rendere tangibile la nostra trasformazione nel divenire «un corpo e uno spirito con Cristo” (cfr. 1Cor 6,17). In questo senso, va posto l’accento su quell’ ars celebrandi di cui parla il Pontefice nella Sacramentum Caritatis: il rito in sé non rinvia a rigidità ma «è espressione, divenuta forma, dell’ecclesialità e della comunitarietà che supera la storia, della preghiera e dell’azione liturgica. In esso si concretizza il legame della liturgia con il soggetto vitale “Chiesa”» (J. RATZINGER). 6. L’EUCARESTIA E IL SACERDOZIO MINISTERIALE È da tenere ben presente la relazione inscindibile tra Sacerdozio ed Eucarestia. «Tenere in mano l’Eucarestia: tale è dunque la suprema prerogativa della gerarchia della Chiesa, di coloro che sono i ministri del Cristo ed i dispensatori dei misteri di Dio. Consacrare il Corpo di Cristo, perpetuare così l’opera della Redenzione, offrire il sacrificio di lode, il solo Sacrificio che sia gradito al Signore: ecco la sua azione più «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 40 ―――――――――――――――― sacerdotale. Il supremo esercizio del suo potere. In questa azione si associa largamente tutto il popolo cristiano. Per capire la funzione della gerarchia, ossia per capire la Chiesa, bisogna dunque contemplarla nell’atto in cui essa la esercita». (H. DE LUBAC, Meditazioni sulla Chiesa, p. 93). «È attraverso il ministero dei presbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto perché viene unito al sacrificio di Cristo, unico mediatore; questo sacrificio, infatti, per mano dei presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell’Eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore». (Presbyterorum ordinis, 2). Quando il sacerdote dice nella Santa Messa, «Questo è il mio corpo», non sono parole puramente umane, è «alter Christus” afferma S. Giovanni Crisostomo, testimone della fedeltà incrollabile di Cristo alla Sua Chiesa. Egli pronuncia le parole di Cristo dette nell’ultima Cena in unione con Lui. Il sacrificio eucaristico ha bisogno assoluto del sacerdozio ministeriale. L’Enciclica Ecclesia De Eucharestia sapientemente ricorda che per la celebrazione eucaristica non basta certo il sacerdozio comune. Secondo il Concilio Vaticano II, «i fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio, concorrono all’oblazione dell'Eucaristia», ma è il sacerdote ministeriale che «compie il sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo» (Lumen Gentium, 10). Questa espressione - «in persona di Cristo» - significa nella specifica, sacramentale identificazione col Sommo ed Eterno Sacerdote, che è l’autore e il principale soggetto di questo suo proprio sacrificio, nel quale in verità non può essere sostituito da nessuno. Il cristiano che riceve il sacramento dell’Ordine Sacro è per l’Eucarestia, ma l’Eucarestia è per tutti, chiamati alla stessa vita divina, e tutti vi sono chiamati fin da questa «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 41 ―――――――――――――――― terra. Che il sacramento dell’Eucarestia ha bisogno del servizio sacerdotale ha fondamento dal fatto che la comunità non può darsi essa stessa l’Eucarestia, essa deve riceverla a partire dal Signore per mezzo della mediazione dell’unica Chiesa. In virtù del battesimo e della confermazione il cristiano è qualificato per partecipare «quasi ex officio» al culto divino, che ha il suo centro e culmine nel sacrificio di Cristo reso presente nell'Eucaristia. Ma l’offerta eucaristica implica l'intervento di un ministro ordinato: essa si compie nell'atto consacratorio compiuto dal sacerdote in nome di Cristo. Come ricorda il Concilio, citando sant’Agostino, il ministero dei presbiteri ha come scopo che «tutta la città redenta, cioè la riunione e società dei santi, offra a Dio un sacrificio universale per mezzo del gran sacerdote (Cristo), il quale ha anche offerto se stesso per noi nella sua passione, per farci diventare corpo di così eccelso capo» (Presbyterorum Ordinis, 2). Alla luce della consapevolezza del suo essere indispensabile, il sacerdote «riceve una nuova luce sulla propria missione sacerdotale che gli è stata affidata e sul ruolo che deve assumere affinché la potenza dell’Eucaristia possa produrre tutti i suoi effetti in ogni esistenza umana. Il sacerdote è investito della responsabilità dell’edificazione di una nuova società in Cristo. Più particolarmente, ha la possibilità di dare una testimonianza di fede nella presenza nuova scaturente da ogni consacrazione che muta pane e vino in corpo e sangue del Signore. La meraviglia di questa presenza apre la porta, nell’anima del sacerdote, ad una nuova speranza che supera tutti gli ostacoli che si accumulano sulla via del suo ministero, spesso impegnato in lotte e prove». (CONGREGAZIONE PER IL CLERO, 2004). «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 42 ―――――――――――――――― Nella Sacramentum Caritatis, Benedetto XVI afferma con chiarezza che la forma eucaristica della vita dei cristiani si rende tangibile in modo ancor più specifico nella vita del sacerdote che è chiamato «ad essere continuamente un autentico ricercatore di Dio, pur restando al contempo vicino alle preoccupazioni degli uomini. Una vita spirituale intensa gli permetterà di entrare in comunione con il Signore e l’aiuterà a lasciarsi possedere dall’amore di Dio, divenendone testimone in ogni circostanza anche difficile e buia. […] Raccomando ai sacerdoti la celebrazione quotidiana della santa Messa, anche quando non ci fosse partecipazione di fedeli. Tale raccomandazione si accorda innanzitutto con il valore oggettivamente infinito di ogni Celebrazione eucaristica; e trae poi motivo dalla sua singolare efficacia spirituale, perché, se vissuta con attenzione e fede, la santa Messa è formativa nel senso più profondo del termine, in quanto promuove la conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella sua vocazione» (cfr. BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, 80). Siamo nell’Anno Sacerdotale non può dunque sfuggirci la singolarità del modello sacerdotale del Santo Curato d’Ars in relazione all’Eucarestia nella vita della comunità: «Ai suoi parrocchiani il Santo Curato insegnava con la testimonianza della vita. Dal suo esempio i fedeli imparavano a pregare, sostando volentieri davanti al tabernacolo per una visita a Gesù Eucaristia. “Non c’è bisogno di parlar molto per ben pregare” – spiegava loro il Curato – “Si sa che Gesù è là, nel santo tabernacolo: apriamogli il nostro cuore, rallegriamoci della sua santa presenza. È questa la migliore preghiera”. Ed esortava: “Venite alla comunione, fratelli miei, venite da Gesù. Venite a vivere di Lui per poter vivere con […] È vero «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 43 ―――――――――――――――― che non ne siete degni, ma ne avete bisogno!”. Tale educazione dei fedeli alla presenza eucaristica e alla comunione acquistava un’efficacia particolarissima, quando i fedeli lo vedevano celebrare il Santo Sacrificio della Messa. Chi vi assisteva diceva che “non era possibile trovare una figura che meglio esprimesse l’adorazione […] Contemplava l’Ostia amorosamente”. “Tutte le buone opere riunite non equivalgono al sacrificio della Messa, perché quelle sono opere di uomini, mentre la Santa Messa è opera di Dio”, diceva. Era convinto che dalla Messa dipendesse tutto il fervore della vita di un prete: “La causa della rilassatezza del sacerdote è che non fa attenzione alla Messa! Mio Dio, come è da compiangere un prete che celebra come se facesse una cosa ordinaria!”. Ed aveva preso l’abitudine di offrire sempre, celebrando, anche il sacrificio della propria vita: “Come fa bene un prete ad offrirsi a Dio in sacrificio tutte le mattine!”» (BENEDETTO XVI, Lettera d’indizione dell’Anno Sacerdotale, 16 giugno 2009). Quello di San Giovanni Maria Vianney non è per il sacerdote un modello solo da contemplare, da ammirare, al più da venerare: si tratta di un modello da imitare, da vivere, da sperimentare. Dalla santità del sacerdote dipende la santità del gregge che gli è affidato. È il Concilio a sottolineare come «è attraverso il ministero dei presbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto perché viene unito al sacrificio di Cristo, unico mediatore; questo sacrificio, infatti, per mano dei presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell’Eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore» (Presbyterorum ordinis, 2). Tra le altre cose, sembra opportuno che in quest’anno di riflessione sul sacerdozio ministeriale, i presbiteri riscoprano la bellezza e la «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 44 ―――――――――――――――― necessità di trascorrere quanto più tempo possibile in Adorazione Eucaristica, a “contemplare l’Ostia amorosamente” – come pure invitava il nostro Vescovo nell’omelia per la Messa Crismale dell’anno 2009. Questo ‘esercizio’, oltre a santificare se stesso, aiuterà il presbitero a stimolare almeno la curiosità dei fedeli, i quali potranno così essere istruiti ad una solida vita di pietà. Non va tralasciato, inoltre, che l’adorazione è un atto necessario, è un atto di giustizia nel senso alto del termine: Egli, che è quello che è, sta nel Tabernacolo ad aspettarci giorno e notte, e noi, che siamo quello che siamo, ci dimenticheremo così spesso di Lui? È dinanzi a Cristo realmente presente nell’Ostia consacrata che possiamo sperimentare quello che prima abbiamo definito il valore escatologico e cosmico dell’Eucaristia. Dinanzi allo stesso Cristo che stiamo adorando, infatti, vi è la Chiesa tutta, militante, trionfante e purgante, nella comunione dei santi. Non dovremo mai smettere di riflettere sull’incommensurabile grandezza dell’Eucaristia, con cui il sacerdote è chiamato ad avere ‘familiarità’. Il Corpo e il Sangue Eucaristico sono il dono per eccellenza che Cristo ha lasciato alla Chiesa, Sua Sposa. Giovanni Paolo II svela nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia dello «stupore adorante di fronte al dono incommensurabile dell’Eucarestia. Sull’onda di questo elevato senso del mistero eucaristico si sia espressa nella storia non solo attraverso l’istanza di un’interiore attraverso una serie di espressioni esterne» (nn.48-49). I Sacramenti: i segni sensibili che operano una Grazia invisibile. I sacramenti sono precisamente la forma della storia santa, cioè della presenza in mezzo a noi delle grandi opere di Dio. «Viviamo in piena storia santa. Dio è fra noi, salva, stringe alleanze, «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 45 ―――――――――――――――― crea» (J. DANIÈLOU). I Sacramenti ricevono la propria forza santificante dalla morte e risurrezione di Cristo e proclamano la misericordia indefettibile di Dio. La loro essenza ed efficacia missionarie devono essere sempre sottolineate. Lo stesso Cristo è Sacramento. Egli viene in cerca dell’uomo sul piano della sua umanità, distribuendo i pani e cambiando l’acqua in vino, par condurlo alla sua divinità! Egli si fa uomo ci alimenta con il Suo Corpo per farci dèi. Così i sacramenti partono dalle nostre umili realtà della vita quotidiana, ma le caricano di un contenuto misterioso. Per essi e grazie ad essi noi accediamo alle ricchezze della Grazia Redentrice, di Cristo. 7. EUCARISTIA E ACTUOSA PARTECIPATIO L’intima essenza e la grandezza della celebrazione liturgica è precisamente questa: è l’essere coinvolti – mediante l’atto della transustanziazione del pane e del vino – nella contemporaneità col mistero del passaggio di Cristo da questo mondo al Padre, compiutosi nella sua morterisurrezione. (cfr. J. RATZINGER, Introduzione allo spirito della Liturgia, pag. 54-55). La celebrazione liturgica è l’ingresso della “forma di Cristo” dentro alla persona e alla vita umana: l’uomo è informato da Cristo e può vivere in Lui. I fedeli «cibandosi del corpo di Cristo nella santa comunione, mostrano concretamente la unità del popolo di Dio, che da questo augustissimo sacramento è adeguatamente espressa e mirabilmente effettuata… Partecipando al sacrificio eucaristico, fonte e apice di tutta la vita cristiana, offrono a Dio la vittima divina e se stessi con essa così tutti, sia con l'offerta che con la santa comunione, compiono la propria parte nell’azione liturgica, non però in maniera indifferenziata, bensì «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 46 ―――――――――――――――― ciascuno a modo suo. Cibandosi poi del corpo di Cristo nella santa comunione, mostrano concretamente la unità del popolo di Dio, che da questo augustissimo sacramento è adeguatamente espressa e mirabilmente effettuata» (Lumen Gentium, 11). Il soprannaturale, mirabilmente, nell’Eucarestia si fa carnale, come dice Charles Peguy, poiché il Verbo di Dio viene a prendere l’uomo tutto intero con il Suo Spirito Santo. Un mistero che è al centro di tutto, e lo comprendiamo bene nella liturgia, che pone al cuore del tempo cristiano proprio la celebrazione del mistero pasquale. Tre giorni intensi – dal giovedì santo al giorno di resurrezione – in cui celebrare ciò per cui vale ogni promessa, ogni speranza trova futuro, ogni amore diventa stile di vita; celebrazione di tutto il mistero. Un mistero che continua ad essere celebrato in ogni domenica, in ogni giorno dell’anno proprio nella liturgia. Un mistero che sta alla base e rende reale e realizzabile ciascuno dei segni della presenza della grazia divina nella nostra vita. Si, perché quel mistero si ripresenta tutto e per intero in ciascuno dei canali che ci portano, in modo efficace, il dono della grazia divina. Sette segni ha voluto codificare la Chiesa, segni efficaci che realizzano quanto dicono attraverso parole e simboli. Sette segni in cui si ripresenta il mistero di Cristo, che è il mistero della Pasqua. In essi si ripropone per me, ora, efficacemente il sacrificio e l’offerta dell’agnello senza macchia. In essi mi viene donata la vita che ha squarciato l’oscurità del peccato e della morte. In essi vengo realmente liberato dal potere del male. In essi vengo associato in modo forte a Gesù e, in Lui, alla vita divina che viene ad abitare in me facendomi creatura nuova. Sette segni per altrettanti momenti cruciali della vita dell’uomo, nei quali è più che mai necessario l’aiuto «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 47 ―――――――――――――――― e la forza della grazia di Dio, nei quali è più che mai indispensabile appoggiarsi sul sacrificio pasquale dell’Agnello. I Sacramenti sono questo canale di Grazia che riversa su di noi la Pasqua di Gesù Cristo. O per introdurci alla intimità della vita divina, o per rafforzare tale intimità, o per consacrare la nostra vita, o per gustare in pienezza i momenti di gioia, o, ancora, per sorreggere i momenti di debolezza, come la povertà («E’ nobile cosa la povertà accettata con gioia», dice Seneca, citando Epicuro. Ma, in realtà, se accettata con gioia, essa smette di essere povertà. Povero non è chi ha poco, ma chi vuole di più). Tra tutti questi segni, l’Eucaristia manifesta in modo più facilmente visibile il dono del mistero Pasquale. Ce ne rendiamo conto se facciamo attenzione a tutte le parti, a tutte le parole e a tutti i segni che ritmano la celebrazione. È proprio quel mistero che siamo chiamati anzitutto a celebrare, con un ringraziamento pubblico che riconosce il dono e lo accoglie. Lo stesso termine che la nostra tradizione cristiana usa per definire la celebrazione del sacrificio eucaristico ben esprime questo fatto: Eucaristia. Ringraziamento. Annunciare la straordinaria grandezza di un mistero di amore. È in quella offerta, in quella passione e morte, in quella risurrezione e nel dono di quello Spirito – lo Spirito di Cristo – che siamo salvati. Ecco il vero centro verso cui camminare in tutto quello che siamo come comunità e come singoli. «La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in questo sacramento dell’amore. Non risparmiamo il nostro tempo per andare ad incontrarlo nell’adorazione, nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la nostra adorazione» (GIOVANNI PAOLO II, Dominicae Cenae, 3). È la partecipazione a questo «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 48 ―――――――――――――――― mistero, è il convergere verso il cuore di questo mistero, la prima e necessaria ‘partecipazione’ cui siamo chiamati per grazia. “Cristiani, noi crediamo, noi speriamo: ma non è questa una caratteristica essenziale della Chiesa stessa? Nel senso originale e sempre fondamentale della parola, la Chiesa non è infatti l’assemblea dei fedeli, cioè dei credenti? Non è forse la comunità di coloro che invocano il nome del Signore e che attendono il Suo ritorno? Come ricordava Pio XII, parlando dei laici, non siamo noi stessi la Chiesa?” (H. DE LUBAC, Meditazioni sulla Chiesa, p. 8). La comunità cristiana, nel celebrare l’Eucaristia e nel ricevere il sacramento del Corpo e del Sangue di Gesù, è profondamente unita al Signore e colmata di questo Suo amore senza misura. Al contempo, riceve ogni volta, di nuovo, il comandamento di Gesù “amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato” e si sente spinta dallo Spirito di Cristo ad andare ed annunciare a tutte le creature la buona Novella dell’amore di Dio e della speranza sicura nella Sua misericordia salvatrice. Nel decreto Presbyterorum Ordinis, del Concilio Vaticano II, si dice: «L’Eucaristia costituisce, infatti, la fonte e il culmine di tutta l’evangelizzazione» (n.5). La celebrazione dei sacramenti, in modo speciale dell’Eucaristia, possiede una dimensione missionaria intrinseca, che può essere sviluppata come annunzio del Signore Gesù e del Suo Regno, a coloro che, poco, o ancora per niente, sono stati evangelizzati. L’Eucaristia ha innanzitutto una dimensione d’invio missionario. Ogni Santa Messa si conclude con l’invio di tutti i partecipanti all’opera missionaria nella società. Ne scaturisce che una vita autenticamente eucaristica è per forza di cose proiettata all’annuncio alla missione. Quando le nostre «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 49 ―――――――――――――――― comunità smarriscono questo rapporto con Cristo - non intellettualizzato e perciò più autenticamente divino - ne soffre lo slancio, l’apertura alla missione nei nostri territori. Eppure l’Eucaristia non è solo il punto di partenza della missione, essa è anche il suo punto d’arrivo. Il missionario va in cerca delle persone e dei popoli per portarli alla mensa del Signore, preannunzio escatologico del banchetto di vita eterna, presso Dio, nel cielo, che sarà la realizzazione piena della salvezza, secondo il disegno redentore del Padre. «La forza del Vangelo è chiamare tutti a vivere in Cristo la pienezza di un rapporto filiale con Dio, che trasformi alla radice e in ogni suo aspetto la vita dell’uomo, facendone un’esperienza di santità. La pastorale missionaria è anche pastorale della santità, da proporre a tutti come ordinaria e alta missione della vita. La missionarietà, infatti, deriva dallo sguardo rivolto al centro della fede, cioè all’evento di Gesù Cristo, il Salvatore di tutti, e abbraccia l’intera esistenza cristiana. Dalla liturgia alla carità, dalla catechesi alla testimonianza della vita, tutto nella Chiesa deve rendere visibile e riconoscibile Cristo Signore. Riguarda anche, e per certi aspetti soprattutto, il volto della parrocchia, forma storica concreta della visibilità della Chiesa come comunità di credenti in un territorio, «ultima localizzazione della Chiesa» (cfr. CEI, Il Volto Missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n. 2). Questo grande mistero – di cui abbiamo cercato di sottolineare qualche specifico profilo – ha una sua dimensione di radicale coinvolgimento della persona. Il Divino Sacrificio dell’Altare non tollera spettatori, ma pretende che ciascuno vi ‘partecipi’. Il Concilio Vaticano II – ma già prima di esso il Magistero della Chiesa in altre sue espressioni, si «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 50 ―――――――――――――――― pensi alla Mediator Dei di Pio XII – ha posto la «partecipazione attiva, actuosa partecipatio» di tutti come un idea centrale della celebrazione liturgica. Quale è il suo significato preciso? Negativamente appare chiaro: nessuno può essere uno spettatore, come si diceva sopra, sia pure commosso e attento del dramma che si sta rappresentando. Ciascuno è attore, nei diversi ruoli e nelle diverse dignità; attore che, dunque, non assiste al dramma, ma che lo rappresenta nel senso letterale del termine: lo ri-presenta perché ri-vive in sé ciò che Cristo ha vissuto sulla Croce, la sua autodonazione «in finem – èis telòs», come scrive Giovanni. I testi liturgici parlano sempre di «nostro sacrificio». Il coinvolgimento reale di ogni singolo fedele nel dono che Cristo fa di Sé significa che il discepolo viene trasformato nella «forma di Cristo». È questo il vero significato della partecipazione attiva: non un protagonismo nel senso deteriore del termine, ma l’essere autenticamente protagonisti, per Cristo, con Cristo ed in Cristo, che è l’unico Protagonista. Se vi può essere un altro significato – partecipazione attiva nel senso che tutti fanno qualcosa – questo è al servizio del primo, e quindi va seriamente regolato, pesato, ponderato, misurato in vista del primo e fondamentale scopo. La stessa celebrazione eucaristica, e degli altri Sacramenti, bella, dignitosa e devota, secondo le norme liturgiche, diventa un’evangelizzazione molto speciale per i fedeli presenti. La liturgia deve in qualche modo ripetere l’esperienza della Trasfigurazione, lasciando intravvedere, alzato il velo della natura umana, la Bellezza dell’esperienza di Cristo, ossia la Bellezza di Dio. Nell’espressione del romanzo L’Idiota di F.M. Dostoevkij troviamo come una sintesi di un percorso che nell’Eucarestia apre alla Redenzione: «La bellezza salverà «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 51 ―――――――――――――――― il mondo». Si parla evidentemente della bellezza redentrice di Cristo. Dobbiamo inoltrarci nella ricerca, conoscerlo non solo con le parole ma colpiti dalla Sua bellezza l’incontriamo davvero: dall’altare, dal tabernacolo alla vita. Allora s’apre il cammino di prossimità con Lui, ai fratelli. L’Eucarestia è «L'essenziale invisibile agli occhi», è il «Non si vede bene che con il cuore» ci ripete il Piccolo Principe. La “serietà” del dono, che richiede chi lo accolga e lo riceva non lascia alcuno spazio al narcisismo, che cerca, invece, di esaltare la persona senza che essa arrivi a donarsi (cfr. A. DE SAINT-EXUPÉRY, Il Piccolo Principe). Il rischio sta proprio qui: l’actuosa partecipatio non può rischiare di scadere nel narcisismo, nel protagonismo: essa è un coinvolgimento tutto intimo – che pure conosce i suoi segni esteriori – alla dinamica oblativa di Cristo Signore. 8. CONCLUSIONI Il compito che ci attende – e che trarrà nuovo slancio dal Congresso Eucaristico – è alto, e ricco di attese. Si tratta di un compito che necessita entusiasmo. È niente altro che l’aprirsi a Lui, il Cristo, che ci attende dalle più piccole cappelle, nelle parrocchie, nella nostra rinnovata cattedrale, nei luoghi della vita e che esige un tempo da vivere con Lui e per Lui nel mondo. Ci risuoni sempre l’invito del Maestro – «Venite a riposarvi un pò» (cfr. Mc 6, 31) – che scelse i dodici «perché stessero con Lui» (Mc 3, 14). Ecco il nostro essenziale impegno: rispondere al Suo desiderio di stare con noi, entrando nella Sua intimità. Il Signore Gesù è venuto in passato, viene nel presente, e verrà nel futuro. Egli abbraccia tutte le dimensioni del tempo, perché morto e risorto, è “il Vivente” e, mentre condivide la nostra precarietà umana, «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 52 ―――――――――――――――― rimane per sempre e ci offre la stabilità stessa di Dio. E’ “carne” come noi ed è “roccia” come Dio. Chiunque anela alla libertà, alla giustizia, alla pace può risollevarsi e alzare il capo, perché la liberazione è vicina (Lc 21,28). Possiamo pertanto affermare che Gesù Cristo non riguarda solo i cristiani, o solo i credenti, ma tutti gli uomini, perché Egli, che è il centro della fede, è anche il fondamento della speranza. E della speranza ogni essere umano ha costantemente bisogno (cfr. BENEDETTO XVI, Angelus, 29 novembre 2009). Al termine di questa nostra riflessione possiamo allora chiederci, in uno sforzo di sintesi: che cos’è dunque l’Eucarestia? L’Eucaristia è «Cristo nello stato del suo donarsi in dedizione: il soffrire, il morire del Signore nella sua realtà eterna. Entrato in una forma tale, a noi dato in modo tale che la nostra esistenza di credenti deve viverne, così come il corpo vive di cibo fisico e di fisica bevanda. L’istituzione dell’Eucarestia è al tempo stesso rivelazione. Essa ci dice come il credente debba collocarsi rispetto a Cristo: non davanti a lui, ma in lui» (R. GUARDINI, Il Signore, p. 491). L’Eucaristia ci insegna un amore che educa e suscita amore. Nel racconto del Vangelo di Luca, Gesù è il protagonista assoluto, colui che tiene in mano l’iniziativa, ma giunto ad Emmaus mostra di voler andare più avanti, si distanzia dai due discepoli e così facendo dischiude lo spazio per la loro iniziativa dell’accoglienza. Nello ‘spezzare il pane’ Gesù non solo pone il gesto reale del suo amore, ma ci consegna anche una memoria: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19b). Il suo è un amore che si fa memoria, che suscita ed educa il nostro amore: un amore che ci accompagna, ma anche si sottrae – a un certo punto sparisce dalla nostra vista – per «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 53 ―――――――――――――――― aprire lo spazio affinché anche il nostro personale amore, la nostra responsabilità nella carità vengano suscitati e possano manifestarsi. Ad Emmaus si apre questo orizzonte, come la maestria della “Cena” del Caravaggio ci mostra nel volto del Cristo trasfigurato e segnato dalla passione nella pinacoteca di Brera a Milano. L’Eucaristia come vertice del riconoscimento di Gesù Cristo che con noi condivide la mensa/sacrificio perché ha condiviso la tristezza per la delusione, il percorso di strada che compie chi si allontana dalla città santa, e rimane con noi ogni volta che ci raduniamo per «spezzare il pane». Se di per sé il battesimo non rappresenta dal versante storico l’aspetto più originale della vita cristiana, l’Eucaristia costituisce il dato più caratterizzante dell’esistenza cristiana. Essa è il cuore del cristianesimo, è davvero l’incontro con la Persona che sconvolge la vita e da cui parte l’avventura del cristiano. È allora ripartendo dall’Eucaristia che la Chiesa, quella universale così come la nostra particolare, troverà un nuovo slancio, una nuova primavera. Sostiene la recente nota della CEI sulla parrocchia: «L’iniziazione cristiana, che ha il suo insostituibile grembo nella parrocchia, deve ritrovare unità intorno all’eucaristia» (INTRODUZIONE, 2). È necessario ripartire dunque dalla fractio panis, dall’incontro con la Parola, spiegata da Gesù, che fa ardere il cuore nel petto dei discepoli di Emmaus. Nel cuore del primo giorno dopo il sabato si trova l’incontro con Cristo, per cui è l’eucaristia a qualificare la domenica e non l’inverso. Molto incisiva è l’affermazione della nota CEI sulla parrocchia: «Dobbiamo “custodire” la domenica e la domenica “custodirà” noi» (II,8). Ripartendo dall’Eucaristia, vivendo la «coerenza euca- «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 54 ―――――――――――――――― ristica» di cui parla il Papa, sapremo vivere in profondità quella carità di cui Cristo è immagine e sorgente, la quale è «dono non per noi soli, ma per gli uomini, per il creato e la città, per i campi e gli uffici, le banche e le industrie, per le scuole e i luoghi delle arti e della cultura» (F. MARINO, Preghiera per il II Congresso Eucaristico 2009 – 2010). «La carità è amore ricevuto e donato. Essa è « grazia » (cháris). La sua scaturigine è l'amore sorgivo del Padre per il Figlio, nello Spirito Santo. È amore che dal Figlio discende su di noi. È amore creatore, per cui noi siamo; è amore redentore, per cui siamo ricreati. Amore rivelato e realizzato da Cristo […] Destinatari dell’amore di Dio, gli uomini sono costituiti soggetti di carità, chiamati a farsi essi stessi strumenti della grazia, per effondere la carità di Dio e per tessere reti di carità. A questa dinamica di carità ricevuta e donata risponde la dottrina sociale della Chiesa. Essa è «caritas in veritate in re sociali»: annuncio della verità dell'amore di Cristo nella società. Tale dottrina è servizio della carità, ma nella verità. La verità preserva ed esprime la forza di liberazione della carità nelle vicende sempre nuove della vita. È, a un tempo, verità della fede e della ragione, nella distinzione e insieme nella sinergia dei due ambiti cognitivi. Lo sviluppo, il benessere sociale, un’adeguata soluzione dei gravi problemi socioeconomici che affliggono l'umanità, hanno bisogno di questa verità. Ancor più hanno bisogno che tale verità sia amata e testimoniata. Senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c'è coscienza e responsabilità sociale, e l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come quelli attuali». (BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, 5). La dimensione «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 55 ―――――――――――――――― antropologica (la “res” del sacramento dell’Eucarestia è la Carità) non può non assumere un connotato etico: nella celebrazione eucaristica noi riceviamo in dono il comandamento nuovo. Per l’evangelista Giovanni la lavanda dei piedi e la sua spiegazione successiva ha potuto prendere il posto del racconto dell’istituzione della Eucarestia. La nostra carità deve essere così capace di questa stessa attitudine: accompagnare i cammini delle nostre comunità, della gente, sapendo però aprire gli spazi di responsabilità e d’iniziativa. Un amore che sa consegnare una memoria che educa la vita. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 56 ―――――――――――――――― EUCARISTIA E CATECHESI La Chiesa vive quotidianamente del Sacrificio Eucaristico e di esso si nutre ogni giorno. Per opera di questo sacrificio, Cristo è costantemente presente in essa. L'impegno di annunziare il Vangelo agli uomini d’oggi animati dalla speranza, ma, parimente, spesso travagliati dalla paura e dall'angoscia, è senza alcun dubbio un servizio reso non solo alla comunità cristiana, ma anche a tutta l'umanità (cfr. PAOLO VI, Evangelii Nuntiandi, 1). Oggi, nella «penombra che rende precaria e timorosa per l’uomo del nostro tempo l’apertura verso Dio, sebbene Egli non cessi mai di bussare alla nostra porta […], la nostra maniera di pensare ed agire, la mentalità del mondo odierno, la gamma delle nostre varie esperienze, sono adatte a ridurre la sensibilità per Dio, a renderci «privi di orecchio musicale» per Lui» (BENEDETTO XVI, Messaggio al Convegno “Dio oggi: con lui o senza di lui cambia tutto”, 7 dicembre 2009). Nonostante ciò, in ognuno è all’opera, in modo aperto o nascosto, il desiderio che Dio si riveli… Per questo «anche le persone che si ritengono agnostiche o atee, devono stare a cuore a noi come credenti» (ibidem). Non stupisce allora che abbia avuto una certa eco nei media la proposta che lo stesso Benedetto XVI avanzava: «Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa» (ibidem). Ciò significa incitamento a trovare modalità nuove di attenzione verso le persone che non credono: occorre infatti che non si sentano inibite, ma rispettosamente considerate: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 57 ―――――――――――――――― «Conoscono Dio, per così dire, soltanto da lontano; sono scontente con i loro dèi, riti, miti; desiderano il Puro e il Grande, anche se Dio rimane per loro il “Dio Ignoto”» (ibidem). È necessario allora dar fondo alla creatività pastorale, rivisitando i moduli ordinari di essa e ripensandoli in ordine alla nuova evangelizzazione: «Nessuno deve sentirsi come spaventato dalla nostra concreta attenzione, ma neppure deve sentirsi ignorato». (A.BAGNASCO, Prolusione al Consiglio Permanente della CEI , 25 gennaio 2010). Come cristiani dobbiamo essere consapevoli che tutto il bene spirituale della Chiesa è racchiuso nell’Eucaristia, dove Cristo, nostra Pasqua, è presente e dà vita agli uomini, che lo riconoscono vicino e presente nel segno più grande che Egli ci ha lasciato. «Tutto è cominciato da un avvenimento testimoniato da persone concrete, in maniera affidabile e convincente. Il giorno di Pasqua, di buon mattino, alcune donne si recano al sepolcro di Gesù di Nazaret, ma lo trovano vuoto, e ne restano sorprese e impaurite. Un personaggio misterioso, seduto sulla destra del sepolcro, dice loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”» (Mc 16,6-7). «Andate, dite»: è quello che le donne fanno con lo stupore di cui sono pervase. Che il Crocifisso sia risorto è una notizia troppo grande per poter essere taciuta. Anche gli apostoli, dapprima impauriti e ripiegati su se stessi, diventano testimoni coraggiosi e aperti al mondo. La grande svolta avviene il giorno di Pentecoste, con la piena effusione dello Spirito Santo. Il primo segno della venuta dello Spirito è l’annuncio di Gesù Signore e Cristo, come «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 58 ―――――――――――――――― fa Pietro alla folla accorsa: “Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret – uomo accreditato da Dio…, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato…» (At 2,22-24). Anche al centurione Cornelio, rappresentante del mondo pagano, Pietro, primo missionario, non avrà altro da dire: “Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno” (At 10,39-40). Una fede cristiana senza l’adesione al messaggio della risurrezione di Cristo non è più conforme alla fede di Pietro, di Paolo, dei primi cristiani. E non è più la fede che Gesù ha chiesto per la sua persona. Tutt’al più è una idealizzazione dell’uomo Gesù, come un eroe o un saggio, non il nostro Salvatore e Signore. Chi si illude di poter fare a meno della risurrezione di Cristo, non è più fedele al suo messaggio di salvezza». (CEI, Questa è la nostra Fede, 12). Riecheggia ancora oggi quel «Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21) confidato all’apostolo Filippo da alcuni Greci che si erano recati a Gerusalemme per il pellegrinaggio pasquale. Come quei pellegrini di duemila anni fa, gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di «parlare» di Cristo, ma in certo senso di farlo loro «vedere». E non è forse compito della Chiesa riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia, farne risplendere il volto anche davanti alle generazioni del nuovo millennio? La nostra testimonianza sarebbe, tuttavia, insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo «contemplatori del suo volto» (cfr. GIOVANNI PAOLO II, Novo Millennio Ineunte, 16). «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 59 ―――――――――――――――― EUCARISTIA E INIZIAZIONE CRISTIANA L’iniziazione cristiana è un cammino di fede che, grazie soprattutto ai sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia, introduce progressivamente nel mistero di Cristo e della Chiesa, cioè fa diventare cristiani. È l’inserimento dei credenti in Cristo morto e risorto come membri del suo popolo – membra del suo corpo. In questo cammino l’aspetto più immediato ed evidente è che siamo accolti da una comunità visibile, la Chiesa, ma, in realtà, attraverso di essa siamo introdotti contemporaneamente nella comunione con Cristo e, mediante lui, col Padre nello Spirito Santo. Parlando del rapporto tra Eucarestia ed iniziazione cristiana va subito detto che la celebrazione liturgica non è uno dei fattori dell’Iniziazione Cristiana: essa è ciò che la fa. Essa cioè non è semplicemente espressione di un cammino psico-pedagogico che si sta facendo, ma è la causa efficiente dell’introduzione della persona nel mistero di Cristo. Essa non è solo occasione di una catechesi: è la ragione d’essere della catechesi stessa. E’ il culmine dell’iniziazione cristiana. È alimento della vita ecclesiale e sorgente della missione. Non chiude il cammino ma, continuamente offerta e ricevuta, ne rinnova ogni volta l’esperienza di grazia. Da essa prende forma la vita cristiana a servizio del Vangelo. In quest’ottica di stupore adorante, sollecitati dalle parole del Papa, che chiede che ogni generazione sia destinataria dell’annuncio eucaristico della Chiesa, consideriamo il rapporto tra l’Eucaristia e quel progetto di formazione delle generazioni cristiane che è l’iniziazione, il cammino con il quale uomini e donne, rispondendo alla chiamata della fede, vengono guidati dalla Chiesa a diventare cristiani. Cristiani, infatti, «non si nasce, si diventa» – come ha ben detto Tertulliano «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 60 ―――――――――――――――― (Apologetico 18, 4) – e questo avviene con un progressivo inserimento nel mistero di Cristo e della sua Chiesa. I vescovi italiani hanno così definito l’iniziazione cristiana: «un processo, sufficientemente esteso nel tempo, per risvegliare la fede […], approfondirla con un apprendistato della vita cristiana integrale e, al termine, attraverso l’iniziazione sacramentale, condurre il nuovo credente alla partecipazione al mistero di morte e risurrezione di Cristo e all’integrazione piena nella Chiesa» (CEI, L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per il catecumenato degli adulti [30 marzo 1997], 27). La pertinenza del tema «Eucaristia, centro e culmine dell’iniziazione cristiana» appare chiaramente, se consideriamo che l’iniziazione cristiana è come un tessuto – verrebbe da dire il vestito nuziale di cui parla Gesù nel vangelo (cfr. Mt 22,12) –, in cui si intrecciano tra loro e interagiscono «testimonianza e annuncio, itinerario catecumenale, sostegno permanente della fede mediante catechesi, vita sacramentale, mistagogia e testimonianza» (CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 59); questo tessuto ha nell’Eucaristia «il contenuto e l’espressione più alta» (G.BETORI, L’Eucarestia centro e culmine dell’iniziazione cristiana, 2004). L’Eucaristia è il vertice dell'iniziazione cristiana; iniziare, infatti, rimanda a un’esperienza più che a una conoscenza e tale esperienza non potrà essere soltanto quella della Eucaristia nel suo momento celebrativo, quanto piuttosto, quella di un evento sacramentale che collega insieme, parola di Dio e vita vissuta in una articolazione di momenti specifici. Iniziare, comporta una gradualità, per cui si entra poco alla volta nella realtà alla quale si è iniziati; immettere tutto in una volta una persona nella grande assemblea che celebra l'Eucaristia domenicale... è come buttare nella piscina pro- «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 61 ―――――――――――――――― fonda chi sta imparando a nuotare! Il sacramento del Battesimo, con il quale siamo resi conformi a Cristo, incorporati nella Chiesa e resi figli di Dio, costituisce la porta di accesso a tutti i Sacramenti. Con esso veniamo inseriti nell'unico Corpo di Cristo (cfr. 1Cor 12,13), ma è la partecipazione al Sacrificio eucaristico a perfezionare in noi quanto ci è donato nel Battesimo. Anche i doni dello Spirito sono dati per l'edificazione del Corpo di Cristo (1Cor 12) e per la maggiore testimonianza evangelica nel mondo. Pertanto la santissima Eucaristia porta a pienezza l'iniziazione cristiana e si pone come centro e fine di tutta la vita sacramentale (cfr. BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, 17) «Nell’eucaristia, infatti, dopo le parole della consacrazione, la realtà profonda (non fenomenica) del pane e del vino è trasformata nel corpo e sangue di Cristo. Questa meravigliosa trasformazione viene chiamata dalla chiesa “transustanziazione”. Perciò sotto le apparenze (o realtà fenomenica) del pane e del vino è nascosta, in modo del tutto misterioso, la stessa umanità di Cristo, non soltanto attraverso la sua virtù ma per se stessa (cioè sostanzialmente), congiunta con la sua divina Persona. Questo sacrificio non è semplicemente un rito commemorativo di un sacrificio passato, infatti in esso Cristo, per mezzo del ministero dei sacerdoti, perpetua nel corso dei secoli in modo incruento il sacrificio della Croce e nutre i fedeli di se stesso, pane di vita, affinché, riempiti dell’amore di Dio e del prossimo, diventino un popolo sempre più accetto a Dio. Nutriti della vittima del sacrificio della croce, i fedeli col loro amore genuino e attivo superino i pregiudizi per i quali spesso sono accusati di praticare un culto sterile che li distoglie dall’impegno di collaborazione fraterna con gli uomini. Il convito eucaristico ha lo scopo di unire ogni giorno sempre più i fedeli a Dio attra- «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 62 ―――――――――――――――― verso la preghiera frequente, spingendoli a riconoscere e amare gli altri uomini come fratelli in Cristo e figli di Dio» (CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio Catechistico Generale, 58). Il clima di famiglia delle celebrazioni eucaristiche potrà essere favorito dall’incentivare maggiormente la partecipazione di tutta la famiglia, unita intorno alla medesima Eucaristia. Questo diventa particolarmente importante ed educativo per i fanciulli e i ragazzi dell’iniziazione cristiana. La Messa domenicale va vissuta come il momento in cui la famiglia rigenera se stessa nell’incontro con il Cristo sposo e la sua Chiesa, e così ritrova la qualità alta delle sue relazioni. Come lascia intendere il titolo stesso del Direttorio per le Messe con la partecipazione dei fanciulli (1973), non si tratta, perciò, di programmare le «Messe dei fanciulli», bensì le Messe della comunità «con la partecipazione dei fanciulli» e delle loro famiglie. Parlare ai fanciulli e ai ragazzi di Gesù presente nei segni del pane spezzato e del vino versato per la salvezza dell’umanità non è semplice: la Chiesa, seguendo le indicazioni venute dal Magistero, ha cercato di adeguarsi ai segni dei tempi, pur senza tradire se stessa. Non bisogna dimenticare che, oggi nella società contemporanea, i fanciulli e i ragazzi reagiscono alle provocazioni della vita in modo sempre nuovo e diverso: • cambiano il loro modo di comunicare e di entrare in relazione con gli altri; • hanno necessità di filtrare i messaggi e i linguaggi dei media; • hanno doni da offrire: semplicità, vitalità, fantasia…; • hanno da raccontare un passato, vivere un presente e sperare in un futuro. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 63 ―――――――――――――――― SPUNTI DI RIFLESSIONE: • Nell’itinerario della iniziazione parliamo ancora di “preparazione alla Prima Comunione” o siamo passati ad una nuova mentalità in cui si vuole iniziare le famiglie alla vita cristiana che ha nell’Eucaristia (non nella Prima Comunione) il suo culmine e la sua fonte? • In che modo la comunità cristiana è capace di prendersi cura delle fasi che scandiscono i percorsi di fede dei fanciulli e dei ragazzi? • Fino a che punto, possiamo acconsentire che gli animatori non vivano l’Eucaristia domenicale insieme ai ragazzi di cui si sono assunti la responsabilità educativa? • Quale ruolo ha la comunità che li ha loro affidati? • Come valorizzare le ricchezze della fede presenti nei fanciulli e nei ragazzi? • Come si cerca di rendere i fanciulli “attori” della celebrazione, senza scadere in infantilismi o protagonismi? Si aiutano i fanciulli a scoprire gradualmente la bellezza della Liturgia e dei suoi segni, preparandoli a conoscere le letture ed i testi che, di volta in volta, sono utilizzati? Non si tratta di “adattare” la Liturgia ad essi, ma di aiutarli a viverla con i sentimenti che furono di Cristo. SUGGERIMENTI: • Sarebbe importante leggere e approfondire il rito per la Messa con i fanciulli, in particolare i testi delle preghiere eucaristiche e le altre orazioni e canti previsti. • Negli appuntamenti di catechesi, sarebbe opportuno insegnare ai fanciulli a pregare “liturgicamente”, ovvero con i testi della liturgia, così da stimolare un’autentica actuosa partecipatio. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 64 ―――――――――――――――― • Grazie anche all’esempio dei santi di ieri e di oggi, è opportuno aprire gli occhi dei fanciulli dinanzi al mistero dell’Eucaristia e alle sue molteplici prospettive, aiutandoli a vivere consapevolmente e non passivamente il Sacrificio della Santa Messa. EUCARISTIA E GIOVANI Educare i giovani all’Eucaristia è un capitolo importante della Pastorale Giovanile. Al di là dell’azione imprevedibile dello Spirito, non è pensabile che un giovane aderisca consapevolmente al momento fondante e culminante della vita cristiana se “qualcuno” non lo accompagna nei momenti che precedono e seguono la Messa e nella vita di fede di tutti i giorni. Significative appaiono queste espressioni del Beato Pier Giorgio Frassati: «La nostra vita per essere cristiana è una continua rinunzia, un continuo sacrificio che però non è pesante quando solo si pensi che cosa sono questi pochi anni passati nel dolore in confronto all’eternità felice, dove noi godremo una pace che non si può immaginare. Dunque, giovani, imparate da Nostro Signor Gesù Cristo il sacrificio; Egli, che per scontare i nostri orribili peccati, si è immolato Vittima Innocente sul Calvario e rinnova ogni giorno in tutte le parti del mondo nella Santa Messa questo mirabile Sacrificio». Non possiamo permettere che i nostri giovani vivano la loro fede in solitudine, costruendosela “da sé”: ne va del nostro stesso essere Chiesa. Giova ricordare che il senso del nostro essere parrocchia trova radice nell’essere in comunione col Vescovo e con la Chiesa universale. Ogni età dell’uomo racchiude in sé il proprio significato e la sua propria funzione per il raggiungimento della ma- «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 65 ―――――――――――――――― turità. Così una sana educazione umana e cristiana consente a ciascuno di vivere sempre come figlio di Dio, ed è garanzia del progresso spirituale. Pertanto, in ogni arco di età i cristiani devono potersi accostare a tutto il messaggio rivelato, secondo forme e prospettive appropriate. Non manca tra i giovani la domanda di spiritualità. La necessità di entrare nei nuovi «areopaghi» dei giovani ci spinge a realizzare con coraggio l’unità e non la separazione tra educazione ed evangelizzazione. La richiesta che viene dai vari ambienti giovanili è sempre quella della «relazione»: ben pochi oggi sono gli spazi e i tempi «umanizzati» capaci di favorire incontri autentici tra le persone. E’ forte tra i giovani la richiesta di relazione, ma non sempre le nostre strutture e i nostri ruoli riescono a gestire, o quanto meno, ad offrire spazio per questa relazione. Forte, inoltre, è il rischio di ridurre tutto a relazione «orizzontale», senza una prospettiva aperta sull’Assoluto. Occorre una rinnovata missionarietà nella formazione ma anche nella struttura ecclesiale: la missione non è un «di più» o un «poi» rispetto all’essere della Chiesa. Una capacità attuata di «estroversione», che è connaturale all’uomo, contribuisce alla crescita umana e di fede di ciascuno, in quanto ci si costruisce nell’incontro con l’altro e nel sapersi rendere dono d’amore. Tale missionarietà non può mai essere, inoltre, un’abilità individuale dei singoli, ma richiede l’unità di cuore e anima di tutti: nessuno oggi nella società è autosufficiente nei confronti dei giovani, e neppure la comunità cristiana lo è nel suo lavoro di educare alla fede. La comunità, il gruppo, l’associazione, il movimento, devono aprirsi al confronto e alla collaborazione ed è per questo che tutti gli educatori dei giovani devono lavorare «in rete». «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 66 ―――――――――――――――― SPUNTI DI RIFLESSIONE • Che senso ha chiedere ai giovani di andare controcorrente? • In che modo la comunità cristiana è capace di prendersi cura delle fasi che scandiscono i percorsi di fede dei giovani? • Le nostre comunità creano momenti di discussione e di riflessione intorno alla Pastorale Giovanile? • Quale considerazione hanno i giovani della vita della Chiesa Universale, della Diocesi e della Parrocchia? SUGGERIMENTI: • Rielaborare ciò che si è vissuto a Messa facendone risonanza nei gruppi giovanili o nelle “compagnie” dei giovani che si frequentano. • Approfondire e meditare insieme i discorsi e le encicliche del Papa, suscitando un amore sempre più grande per il Vicario di Cristo. • Studiare e riflettere insieme sui documenti diocesani e sul messaggio del Vescovo incitando con particolare energia i giovani a prendere parte ai momenti di comunione di tutta la Chiesa con il Vescovo (specialmente la Giornata Diocesana per la Gioventù, o anche il Pellegrinaggio ad ottobre a Montevergine, o pure la Messa Crismale nella Settimana Santa). • Incoraggiare i ragazzi ad una lettura graduale del Catechismo della Chiesa Cattolica – magari nella forma del Compendio – senza timore di porre domande o questioni al Parroco o ai catechisti. • Aiutare i ragazzi a scoprire la preghiera silenziosa davanti al Tabernacolo o della Adorazione Eucaristica magari dedicando, di tanto in tanto, un momento del percorso di iniziazione comunitaria proprio al culto eucaristico fuori dalla Messa. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 67 ―――――――――――――――― EUCARISTIA E ADULTI Le domande religiose di un adulto solitamente si accompagnano a una ricerca libera, che non deve essere condizionata dalla fretta di essere ammessi alla celebrazione di un sacramento. È importante perciò considerare la storia di ciascuno, favorendo un libero confronto. Il felice esito di un accompagnamento nel cammino di fede, infatti, non si misura dal numero delle persone che immediatamente si “reintegrano” nella Chiesa. Nella vita quotidiana, nel contatto giornaliero, nei luoghi di lavoro e di vita sociale si creano molte occasioni di testimonianza e di comunicazione del Vangelo; non è sempre facile, per chi pur battezzato e che vive al di fuori di una esperienza cristiana autentica, cogliere con precisione i segni del risveglio della fede e il momento in cui si è pronti ad accogliere il Vangelo e a viverlo. Le domande religiose, in vario modo rivolte alla comunità ecclesiale, vanno accolte, anche quando necessitano di verifica e di purificazione. A volte sono domande vaghe, talora chiedono ciò che la comunità non può dare, non poche volte si fermano alla superficie delle cose. Ma colui che chiede, proprio perché adulto, deve essere aiutato a capire che nella sua domanda è implicito l’interrogativo: «Che cosa debbo fare?» (cfr. At 2,37). In ogni caso, viene il momento in cui la proposta cristiana di confessare che Gesù è il Signore va formulata in modo chiaro ed esplicito. Questa è la missione che compete alla Chiesa e a ogni cristiano: nella nostra società, che si configura come multietnica e multireligiosa, i cristiani, nel rispetto di ciascuna tradizione religiosa e di ogni convinzione personale, ancorati alla propria identità e rivendicando con coraggio la propria fedeltà al Vangelo di Gesù Cristo morto e risorto, sono chiamati a dare una chiara testimonianza di vita evangelica, senza condizionamenti o «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 68 ―――――――――――――――― compromessi. Occorre, peraltro, tenere presente che i cristiani hanno il dovere di offrire a coloro che vivono momenti impegnativi o situazioni molto sofferte della loro vita la certezza di essere amati e salvati dal Padre nel Signore Gesù. È pertanto urgente ravvivare la fede ridotta a tradizioni, a consuetudine esteriore e individualista, per trasformarla in scelta personale, libera e convinta, autenticamente comunitaria (cfr. CEI, L’Iniziazione cristiana; Orientamenti per il risveglio della fede e il completamento dell’iniziazione cristiana in età adulta, 8-9). L’Eucaristia è necessità fondamentale per la vita cristiana, pegno della vita futura che già nel tempo è pegno di vita eterna. In tal senso, è opportuno ricordare le parole di Gesù: «In verità, in verità vi dico, se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna ed io lo resusciterò nell’ultimo giorno» (Gv. 6, 5354). E’ di primaria importanza, quindi, incentrare la catechesi agli adulti sull’Eucaristia “apice” di tutta la vita cristiana. «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo» sono le parole del racconto dell’Istituzione che esprimono il dono d’amore fatto da Gesù ai suoi, ma sono anche programma di vita per il cristiano adulto a cui far comprendere come l’Eucaristia sia la radice dalla quale scaturisce l'alleanza. La cena eucaristica è il punto di arrivo di una alleanza pensata, preparata da lungo tempo e poi giunta al suo culmine, al suo vertice con la passione, morte e risurrezione di Gesù. L’Eucaristia crea comunione ed educa alla comunione: in essa l'agape di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi. L'unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa fram- «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 69 ―――――――――――――――― mentata perché l'amore non può essere «comandato» se prima non è donato (cfr. BENEDETTO XVI, Deus Caritas Est, 14). Fine dell’Eucaristia è proprio “la comunione degli uomini con Cristo e in Lui col Padre e con lo Spirito Santo” (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 22). Quando si partecipa al Sacrificio eucaristico si percepisce più a fondo l'universalità della redenzione e di conseguenza, l’urgenza della missione della Chiesa il cui programma si incentra in ultima analisi, in Cristo stesso da conoscere, amare, imitare per vivere in Lui la vita trinitaria e trasformare con Lui la storia fino al suo compimento. SPUNTI DI RIFLESSIONE: • Come noi, popolo santo di Dio, ci facciamo attrarre da questo Mistero d’Amore? • Che rapporto hanno gli adulti con il Mistero Eucaristico? • La Chiesa è “compagna di viaggio” di coloro che hanno intrapreso un cammino di riscoperta della fede? • Perché è così difficile testimoniare nel quotidiano l’essere membra vive di Gesù Cristo? SUGGERIMENTI: • Il cristiano non può sentirsi soddisfatto se, finita la santa Messa e aver fatto la comunione, si tiene Gesù sacramentato solo per sé occorre portarlo agli altri. «La messa è finita, andate in pace» (Messale Romano) non ha significato di completamento della santificazione della festa, ma è l’invito a portare Cristo nelle nostre famiglie, nelle nostre fabbriche, nei nostri luoghi di svago, nel nostro campo sociale, nelle nostre parrocchie, nei nostri quartieri, con il nostro stile di vita. «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 70 ―――――――――――――――― sapore, con che cosa si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,13-16). Non sono tanto le parole che dobbiamo portare agli altri, quanto la valorizzazione delle piccole opere quotidiane della nostra vita. La nostra Eucaristia è stata vissuta in maniera superficiale, e la nostra conversione non è avvenuta, se non c’è in noi l’urgenza di una salvezza universale e conduciamo una vita disordinata. • Si suscitino opportuni momenti per coinvolgere le famiglie nella vita della comunità, approfittando anche dei ritmi dell’anno liturgico. Ad esempio, nella festa del Battesimo di Gesù, si invitino a preparare la celebrazione le famiglie i cui figli sono stati battezzati nell’anno in corso; lo stesso si faccia per gli sposi che hanno celebrato il matrimonio in quell’anno, nella festa della Sacra Famiglia. EUCARISTIA E LITURGIA Il Concilio Vaticano II, nella costituzione Sacrosanctum Concilium, così descrive la liturgia: «La liturgia è considerata come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell'uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra» (Sacrosanctum Concilium, 7). «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 71 ―――――――――――――――― Altro elemento che riguarda il tema del rapporto tra Eucarestia e il culto è il Tempio, la chiesa: «Il tempio è il cielo terrestre, nei suoi spazi celesti Dio abita e passeggia». Queste parole di S. Germano ci fanno intravvedere il significato vertiginoso del tempio cristiano. Lo spazio come luogo e dimora di Dio, un problema anche architettonico delle nostre chiese dove si deve ricercare la dimensione della trascendenza che involgi il fedele all’adorazione. Insomma l’accordo tra la scala naturale dell’umano e la scala trascendente dell’infinito. E’ nella liturgia che il credente trova la Chiesa come tale, in atto, credente e mediatrice della Grazia. Come afferma lo stesso Vaticano II la liturgia è veramente il centro da cui deriva tutto il resto della vita cristiana. Il culto inteso nella sua pienezza va ben oltre l’azione liturgica, abbraccia la vita umana. Dice Sant’Ireneo di Lione: «l’uomo diventa glorificazione di Dio». La Liturgia è azione di Cristo nell’esercizio della sua opera di salvezza, che consiste nella riconciliazione tra gli uomini e Dio; essa si serve di cose sensibili (segni) che significano questa realtà di salvezza e contemporaneamente la realizzano. La Liturgia produce la santificazione dell’uomo, cioè la sua unione con Dio, ed è un atto di culto di Cristo e della Chiesa unita a lui, quindi un’azione congiunta di Dio e dell’uomo. L’Eucarestia potremmo intenderla proprio come il centro mistico del cristianesimo, nel quale, in modo misterioso, Dio continuamente esce da se stesso e ci attira nel suo abbraccio. L’Eucarestia è l’adempimento della parola profetica del primo giorno della settimana di passione di Gesù: “E quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me” (Gv 12,32). “L’esistenza cristiana che non fosse inserita nella «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 72 ―――――――――――――――― Pasqua del Signore, che non fosse essa stessa Eucarestia, rimarrebbe nel moralismo del nostro agire e così mancherebbe di nuovo la totalità della nuova liturgia, che è fondata attraverso la croce” (J. RATZINGER). Nella liturgia si può dire che Cristo prega in noi e per noi, come capo unito sempre al suo corpo che è la Chiesa. Infatti “Cristo è sempre presente nella sua Chiesa e in modo speciale nelle azioni liturgiche” (Sacrosanctum Concilium, 7), particolarmente: • nella celebrazione dell’Eucaristia e nella persona del ministro; • in tutti i sacramenti che sono azioni personali di Cristo; • nella Parola di Dio proclamata; • nell’assemblea dei fedeli riuniti per pregare e lodare il Signore. Per entrare nel mistero Eucaristico, nucleo della liturgia, occorre ripartire dal recupero del significato della domenica, «giorno del Signore», e riscoprire la nostra fede, in modo che la celebrazione della stessa liturgia domenicale, in un certo qual modo parli da sé, dica la gioia dell’assemblea per la partecipazione al mistero della presenza del Risorto. E’ presente nel Sacrificio della Messa sia nella persona del ministro essendo egli stesso che «offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti », sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura. È presente, infine, quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro» (Mt 18,20). Effettivamente per il compimento di quest'opera così grande, «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 73 ―――――――――――――――― con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale l’invoca come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all’eterno Padre. Giustamente, perciò, la liturgia è considerata come «l'esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo». L’azione liturgica è “memoriale”. Ma “memoriale” del genere che è stato posto da Dio: non opera della facoltà umana di rappresentare e riprodurre un’esperienza vissuta; non, da parte della comunità credente, il rendersi presente con sacra solennità il passato, ma un ricordo divino; di un rango, quale ci viene manifestato ancora solo in un unico punto: nella conoscenza generatrice del Padre, il cui frutto eterno è il Figlio vivente (Gv 1,1-2). (R. GUARDINI) È importante, afferma la lettera Mane nobiscum Domine al n. 17, che «i Pastori si impegnino in quella catechesi “mistagogica”, tanto cara ai Padri della Chiesa, che aiuta a scoprire le valenze dei gesti e delle parole della Liturgia, aiutando i fedeli a passare dai segni al mistero e a coinvolgere in esso l’intera loro esistenza». Oggi serve una liturgia insieme seria, semplice e bella, che sia veicolo del mistero, capace di narrare la perenne alleanza di Dio con gli uomini. Purtroppo molte celebrazioni non hanno affatto quella connotazione profonda e convinta, tipica di un’esperienza ecclesiale del mistero di Dio. La scelta pastorale di moltiplicare le Messe, fino ad abbracciare il sabato sera, allo scopo di favorire l’assolvimento del precetto e la comodità di partecipazione, è andata talvolta a scapito della qualità. Bisogna ricreare le condizioni perché ci sia spazio per Eucaristie ben celebrate, con grande dignità, capaci, di ridestare ancora oggi lo «stupore eucaristico». «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 74 ―――――――――――――――― A questo scopo, oltre che raccomandare il decoro del tempio, il gusto sobrio degli addobbi e dei fiori, la cura dei paramenti - cose che già si riscontrano lodevolmente in tante parrocchie -, si intende qui proporre alcune osservazioni sulle due parti fondamentali della celebrazione eucaristica. La «Liturgia eucaristica»: è fondamentale che venga vissuta con calma e grande devozione, senza squilibri tra la parte della Parola e quella dell’Eucaristia in senso stresso; che la processione offertoriale sia solo ed essenzialmente l’offerta della materia per il Sacrificio eucaristico; che si utilizzino opportunamente tutte le preghiere eucaristiche del messale, privilegiando il Canone Romano, Preghiera Eucaristica per eccellenza; che il senso della gioia per la presenza del Risorto sia sempre affiancato dalla contemplazione e dalla adorazione del Signore, che utilmente si prolungherà anche al di fuori della celebrazione; che il momento della Comunione sia accompagnato dal canto comunitario ma anche da un congruo spazio di silenzio grato e adorante. A tal fine è opportuno che, nell’omelia, spesso il sacerdote insista sulla necessità di vivere con adorazione e venerazione – le quali si concreteranno, laddove possibile, anche nella scelta della preghiera in ginocchio e in silenzio – i momenti della Consacrazione e del ringraziamento alla Comunione. LITURGIA E EUCARISTIA DOMENICALE Il nostro Salvatore, la notte in cui veniva tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue, col quale perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce e per affidare così alla diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e resurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 75 ―――――――――――――――― quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della gloria futura (cfr. BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, 47). La spiritualità liturgica, quindi, si fonda sul mistero pasquale in quanto esso è la sintesi di tutta la rivelazione, la storia della salvezza, che ha come momento culminante la “venuta” del Figlio di Dio e trova il suo compimento nella Pasqua. La liturgia non è l’occasione per presentare un’idea all’attenzione dei partecipanti o per offrire loro un esempio moraleggiante da imitare, ma è il momento adatto per entrare in contatto col mistero salvifico di Dio, il mistero di Cristo, chiamato a trasformare la nostra vita. Il mistero che celebriamo nella liturgia è il dono della vita, nascosto in Dio nei secoli, che Egli ha voluto manifestare e comunicare agli uomini nel Figlio suo, morto e risorto, con l’effusione dello Spirito. La liturgia è la più alta scuola per educare la fede cristiana attraverso la parola, la catechesi, i segni, le preghiere, il canto e i gesti. Chi partecipa pienamente e consapevolmente alla liturgia non ha bisogno di altre scuole di vita spirituale. Ricordava Giovanni Paolo II al termine del Giubileo del 2000: «Il massimo impegno va posto dunque nella liturgia, il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù». Occorre insistere in questa direzione, dando particolare rilievo all'Eucaristia domenicale e alla stessa domenica, sentita come giorno speciale della fede, giorno del Signore risorto e del dono dello Spirito, vera Pasqua della settimana. «E’ proprio nella Messa domenicale, infatti, che i cristiani rivivono in modo particolarmente intenso l’esperienza fatta dagli apostoli la sera di Pasqua, quando il Risorto si manifestò ad essi riuniti insieme. In quel piccolo nucleo di discepoli, primizia della Chiesa, era in «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 76 ―――――――――――――――― qualche modo presente il Popolo di Dio di tutti i tempi» (GIOVANNI PAOLO II, Dies Domini, 33). Da duemila anni, il tempo cristiano è scandito dalla memoria di quel «primo giorno dopo il sabato», in cui Cristo risorto portò agli Apostoli il dono della pace e dello Spirito (cfr. Gv 20,19-23). La verità della risurrezione di Cristo è il dato originario su cui poggia la fede cristiana (cfr. 1Cor 15,14), evento che si colloca al centro del mistero del tempo, e prefigura l'ultimo giorno, quando Cristo ritornerà glorioso. «Non sappiamo quali eventi ci riserverà il millennio che sta iniziando, ma abbiamo la certezza che esso resterà saldamente nelle mani di Cristo, il «Re dei re e Signore dei signori» (Ap 19,16), e proprio celebrando la sua Pasqua, non solo una volta all’anno, ma ogni domenica, la Chiesa continuerà ad additare ad ogni generazione ciò che costituisce l’asse portante della storia, al quale si riconducono il mistero delle origini e quello del destino finale del mondo. Vorrei pertanto insistere, nel solco della Dies Domini, perché la partecipazione all'Eucaristia sia veramente, per ogni battezzato, il cuore della domenica: un impegno irrinunciabile, da vivere non solo per assolvere a un precetto, ma come bisogno di una vita cristiana veramente consapevole e coerente. Stiamo entrando in un millennio che si prefigura caratterizzato da un profondo intreccio di culture e religioni anche nei Paesi di antica cristianizzazione. In molte regioni i cristiani sono, o stanno diventando, un «piccolo gregge». Ciò li pone di fronte alla sfida di testimoniare con maggior forza, spesso in condizione di solitudine e di difficoltà, gli aspetti specifici della propria identità. Il dovere della partecipazione eucaristica ogni domenica è uno di questi» (GIOVANNI PAOLO II, Novo Millennio Ineunte, 35-36). La comunità cristiana potrà essere veramente tale «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 77 ―――――――――――――――― soltanto se custodirà la centralità della domenica «e se custodirà nel contempo la parrocchia quale luogo – anche fisico – a cui la comunità stessa fa costante riferimento. Ci sembra molto fecondo recuperare la centralità della parrocchia e rileggere la sua funzione storica concreta a partire dall’Eucaristia, fonte e manifestazione del raduno dei figli di Dio e vero antidoto alla loro dispersione nel pellegrinaggio verso il regno». Solo la frequenza costante all’Eucaristia in una specifica comunità parrocchiale visibilizza e rinsalda il forte senso di appartenenza e rende concretamente possibile quella conoscenza reciproca e quella comunione fraterna che possono e debbono essere coltivate ed espresse anche al di fuori del tempio, nelle relazioni quotidiane. Rimane attuale anche il monito della nota pastorale della CEI su Il giorno del Signore, al n. 10, dove si sottolinea che «nella sua forma più piena e più perfetta, l’assemblea si realizza quando è radunata attorno al suo vescovo, o a coloro che, a lui associati con l’ordine sacro nello stesso sacerdozio ministeriale, legittimamente lo rappresentano nelle singole porzioni del suo gregge, le parrocchie». La comunità si costruisce così nella e dalla celebrazione dell’Eucaristia domenicale; la domenica, giorno del Signore, della Chiesa e dell’uomo, sta alla sorgente, al cuore e al vertice della vita parrocchiale: il valore che la domenica ha per l’uomo e lo slancio missionario che da essa si genera prendono forma solo in una celebrazione dell’Eucaristia curata secondo verità e bellezza. Occorre studiare forme di catechesi che preparino e seguano la celebrazione e contribuiscano ad alimentare tra i fedeli tutti una diffusa “competenza” liturgica. La partecipazione all’Eucaristia deve diventare per ogni battezzato, il cuore della domenica: un «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 78 ―――――――――――――――― impegno irrinunciabile da vivere non solo e non semplicemente per assolvere ad un precetto, ma come bisogno di una vita cristiana veramente consapevole e coerente. «L’Eucaristia domenicale, raccogliendo settimanalmente i cristiani come famiglia di Dio intorno alla mensa della Parola e del Pane di vita, è anche l’antidoto più naturale alla dispersione. Essa è il luogo privilegiato dove la comunione è costantemente annunciata e coltivata. Proprio attraverso la partecipazione eucaristica, il giorno del Signore diventa anche il giorno della Chiesa, che può svolgere così in modo efficace il suo ruolo di sacramento di unità» (GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, 36). «Un tale giorno, pertanto, si manifesta come festa primordiale, nella quale ogni fedele, nell'ambiente in cui vive, può farsi annunziatore e custode del senso del tempo. Da questo giorno, in effetti, scaturisce il senso cristiano dell'esistenza ed un nuovo modo di vivere il tempo, le relazioni, il lavoro, la vita e la morte. È bene, dunque, che nel giorno del Signore le realtà ecclesiali organizzino, intorno alla Celebrazione eucaristica domenicale, manifestazioni proprie della comunità cristiana: incontri amichevoli, iniziative per la formazione nella fede di bambini, giovani e adulti, pellegrinaggi, opere di carità e momenti diversi di preghiera. A motivo di questi valori così importanti – per quanto giustamente il sabato sera sin dai Primi Vespri appartenga già alla Domenica e sia permesso adempiere in esso al precetto domenicale – è necessario rammentare che è la domenica in se stessa che merita di essere santificata, perché non finisca per risultare un giorno vuoto di Dio» (BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, 73). «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 79 ―――――――――――――――― SPUNTI DI RIFLESSIONE: • Partecipando alla liturgia eucaristica domenicale cosa notiamo: la preoccupazione per lo svolgimento corretto dei riti? Un senso di lontananza dalla vita concreta? La difficoltà di veicolare un messaggio? Il perpetuarsi di un’abitudine? • Vengono coinvolte persone nella preparazione delle nostre celebrazioni liturgiche parrocchiali formando anche un gruppo liturgico? • Quali iniziative di formazione ritieni opportune per far crescere nella parrocchia, la conoscenza per la liturgia? • Come può essere migliorata la cura liturgica delle nostre eucaristie domenicali? • C’è spazio per il silenzio soprattutto dopo l’omelia e la Comunione eucaristica? SUGGERIMENTI: • Maggiore cura della qualità delle celebrazioni eucaristiche domenicali. • Maggiore coinvolgimento dei fedeli nella preparazione delle celebrazioni. • Porsi a servizio e in dialogo con la comunità, che ha la necessità di sentirsi accolta, ascoltata e protagonista di ciò che celebra. • Organizzare le attività parrocchiali (pellegrinaggi, gite, attività oratoriali…) in modo che esse gravitino intorno alla Messa domenicale. • Prolungare la comunione fraterna anche nei momenti immediatamente successivi alla Santa Messa domenicale, ad esempio – ove possibile – con un momento di convivialità sul sagrato della chiesa o nei locali «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 80 ―――――――――――――――― parrocchiali. • Prestare particolare attenzione alla preparazione dei canti liturgici, dei lettori, e al gruppo dei ministranti, non trascurando che da tale ultima esperienza sono nate e ancora nascono numerose vocazioni al sacerdozio. EUCARESTIA E RELIGIOSITÀ POPOLARE La pietà popolare è un tesoro della Chiesa. Nelle nostre comunità l’incontro con Dio spesso è veicolato dalla religiosità popolare tale da renderla espressione di una autentica sensibilità spirituale per cui è necessario non isolare queste espressioni di fede, a volte parziali (seppure non necessariamente false) dall’insieme del mistero cristiano e dalle genuine fonti della spiritualità. Certamente è necessario trovare teologicamente e pastoralmente, il giusto rapporto tra la liturgia della Chiesa e le devozioni, i pii esercizi e le spiritualità di gruppi e movimenti, che evidenzino la natura di gran lunga superiore della liturgia stessa (cfr. Sacrosanctum Concilium, 13). Il rinnovamento delle espressioni di religiosità popolare e di devozione può essere perseguito partendo da una maggiore ispirazione a partire dalla Sacra Scrittura e dalla tradizione liturgica, conservando un’attenzione alle diverse culture e mentalità umane, che possono legittimamente esprimere in modo proprio il vissuto di fede. «I fedeli cristiani hanno bisogno di una più profonda comprensione delle relazioni tra l’Eucaristia e la vita quotidiana. La spiritualità eucaristica non è soltanto partecipazione alla Messa e devozione al Santissimo Sacramento. Essa abbraccia la vita intera». Questo rilievo riveste per tutti noi oggi particolare significato. Occorre riconoscere che uno degli «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 81 ―――――――――――――――― effetti più gravi della secolarizzazione sta nell'aver relegato la fede cristiana ai margini dell'esistenza, come se essa fosse inutile per quanto riguarda lo svolgimento concreto della vita degli uomini. Il fallimento di questo modo di vivere «come se Dio non ci fosse» è ora davanti a tutti. Oggi c'è bisogno di riscoprire che Gesù Cristo non è una semplice convinzione privata o una dottrina astratta, ma una persona reale il cui inserimento nella storia è capace di rinnovare la vita di tutti. Per questo l’Eucaristia si deve tradurre in spiritualità, in vita «secondo lo Spirito» (Rm 8,4s; cfr. Ga 5,16 e Ga 5,25). È significativo che San Paolo, nel passo della Lettera ai Romani in cui invita a vivere il nuovo culto spirituale, richiami contemporaneamente alla necessità del cambiamento del proprio modo di vivere e di pensare: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi, rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). In tal modo, l'Apostolo delle genti sottolinea il legame tra il vero culto spirituale e la necessità di un nuovo modo di percepire l'esistenza e di condurre la vita. È parte integrante della forma eucaristica della vita cristiana il rinnovamento di mentalità, «affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» (Ep 4,14) (cfr. BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, 77). È necessario, in modo particolare, che siano recuperate o valorizzate quelle forme di religiosità popolare legate al culto dell’Eucaristia al di fuori della Santa Messa. Ciò dovrà essere anticipato ed accompagnato da un continuo sforzo di catechesi sulla grandezza di questo Mistero, in cui ci è dato tutto Dio. San Pio X, il Papa dell'Eucaristia, affermava che la devozione all’Eucaristia «è la più nobile perché ha per oggetto «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 82 ―――――――――――――――― Dio; è la più salutare perché ci dà l'Autore della grazia; è la più soave perché soave è il Signore». Sant’Alfonso Maria de’ Liguori nelle visite al Santissimo Sacramento così pregava: «Signor mio» Gesù Cristo, che per l'amore che portate agli uomini ve ne state notte e giorno in questo Sacramento tutto pieno di pietà e d'amore, aspettando, chiamando ed accogliendo tutti coloro1 che vengono a visitarvi; io vi credo presente nel Sacramento dell'altare; vi adoro dall'abisso del mio niente, e vi ringrazio di quante grazie mi avete fatte, specialmente di avermi donato voi stesso in questo Sacramento, d'avermi data per avvocata la vostra santissima Madre Maria e d'avermi chiamato a visitarvi in questa chiesa...». Il Venerabile Giuseppe Maria Cesa, dei Frati Minori Conventuali, originario di Avellino, per invogliare la visita al Santissimo Sacramento diceva: «Adoriamo il povero sconosciuto». La devozione all'Eucaristia, insieme alla devozione alla Madonna, è una devozione di Paradiso, perché è la devozione che hanno anche gli Angeli e i Santi del Cielo. «Figurando una accademia in Paradiso - diceva Santa Gemma Galgani - si deve imparare ad amare soltanto. La scuola è nel Cenacolo, il maestro è Gesù, le dottrine sono la sua carne e il suo sangue». L'Eucaristia è Gesù Amore. Per questo è il Sacramento dell'Amore, di tutto l'amore: contiene Gesù vivo e vero che è “Dio Amore” (Gv 4, 8) e che «ci ha amato fino all'eccesso» (Gv 13, 1). Tutte le espressioni dell'amore, le più alte e le più profonde, sono racchiuse nell'Eucaristia: l'amore crocifisso, l'amore unitivo, l'amore adorante, l'amore contemplativo, l'amore orante, l'amore inebriante. Per Santa Teresa di Gesù Bambino il cuore della sua vita, l’amore, è l’Eucaristia. Gesù Eucaristico è Amore crocifisso nel Santo Sacrificio della Messa, in cui si rinnova «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 83 ―――――――――――――――― l'immolazione di Sé per noi; è Amore unitivo nella Comunione Sacramentale e spirituale, in cui si fa “uno” con chi Lo riceve; è Amore adorante nel S. Tabernacolo, in cui è presente come olocausto di adorazione al Padre; è Amore contemplativo nell'incontro con le anime che amano «stare ai suoi piedi» come Maria di Betania (Lc 10, 39); è Amore orante nella sua “incessante intercessione per noi” al cospetto del Padre (Eb 1,25); è Amore inebriante nelle celesti ebbrezze dell'unione nuziale con i suoi prediletti, i vergini e le vergini, che Egli stringe a Sé con amore esclusivo, come strinse a sé San Giovanni Evangelista, l'apostolo vergine, l'unico che nel Cenacolo «riposò sul petto di Gesù» (Gv 21, 20). «Essere posseduti da Gesù e possederlo: ecco il regno perfetto dell'amore», ha scritto San Pietro Giuliano Eymard. Ebbene, l'Eucaristia realizza questo «regno perfetto dell'amore» in tutti i puri di cuore che si accostano ai Santi Tabernacoli e si uniscono a Gesù Ostia con umiltà e amore. Gesù nell'Eucaristia si immola per noi, si dona a noi, resta fra noi con umiltà e amore infiniti. «O meravigliosa altezza e degnazione che dà stupore! esclamava San Francesco - O umiltà sublime e sublimità umile che il Signore dell'universo, Dio e Figlio di Dio, abbia ad umiliarsi così da nascondersi sotto la piccola figura del pane per la nostra salute! Guardate, fratelli, l'abbassamento di Dio... Quindi non tenetevi nulla di voi stessi, affinché interamente vi accolga colui che tutto si dà a voi». E Sant’Alfonso Maria de' Liguori aggiunge, con la sua solita tenerezza affettuosa: «Mio Gesù! Quale invenzione amorosa è stata mai questa del Santissimo Sacramento, di nascondervi sotto l'apparenza del pane per farvi amare e trovare da chi Vi desidera!». E’ necessario, quindi, andare continuamente alla «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 84 ―――――――――――――――― scuola dei Santi, il cui esempio è forse più di sprone per il popolo di Dio di tante parole. Essi l’hanno vissuto in maniera ardente e sublime, da veri serafini di amore all’Eucaristia. Ed essi soli, come dice la Lumen Gentium (n. 50), sono la «via sicurissima» a Gesù Eucaristico Amore. Tra le varie forme di devozione l’adorazione del santissimo Sacramento è una espressione particolarmente diffusa di culto all’Eucaristia, a cui la Chiesa vivamente esorta Pastori e fedeli. La sua origine ha fondamento nel Giovedì Santo, la fede nella presenza reale del Signore conduce alla manifestazione esterna e pubblica di quella fede medesima. La pietà, dunque, che spinge i fedeli a prostrarsi presso la santa Eucaristia, li attrae a partecipare più profondamente al mistero pasquale e a rispondere con gratitudine al dono di colui che con la sua umanità infonde incessantemente la vita divina nelle membra del suo Corpo. Trattenendosi presso Cristo Signore, essi godono della sua intima familiarità e dinanzi a lui aprono il loro cuore per loro stessi e per tutti i loro cari e pregano per la pace e la salvezza del mondo. Offrendo tutta la loro vita con Cristo al Padre nello Spirito Santo, attingono da quel mirabile scambio un aumento di fede, di speranza e di carità. Alimentano quindi così le giuste disposizioni per celebrare, con la devozione conveniente, il memoriale del Signore e ricevere frequentemente quel Pane che ci è dato dal Padre» (Direttorio di liturgia e pietà popolare, 164 - 165 ). «Nel limite del possibile, poi, soprattutto nei centri più popolosi, converrà individuare chiese od oratori da riservare appositamente all'adorazione perpetua. Inoltre, raccomando che nella formazione catechistica, ed in particolare negli itinerari di preparazione alla Prima Comunione, si introducano i fanciulli al senso e alla bellezza di sostare in «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 85 ―――――――――――――――― compagnia di Gesù, coltivando lo stupore per la sua presenza nell'Eucaristia» (Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, 67). Questa devozione popolare alla Santissima Eucaristia ha poi un legame indissolubile, da un lato, con la preghiera per le vocazioni e per la santificazione del clero – senza sacerdoti non c’è Eucaristia –, dall’altro, con la devozione a Maria, «primo tabernacolo». Il pensiero al Sacerdote che ogni giorno ci dona Gesù, e alla Beata Vergine Maria che è la Madre Divina di Gesù e di tutti i Sacerdoti, accompagni sempre il nostro affetto verso il Santissimo Sacramento, perché l'Eucaristia, la Madonna e il Sacerdote sono inseparabili, così come sul Calvario furono inseparabili Gesù, Maria e San Giovanni Evangelista. Se Chiesa ed eucaristia sono un binomio inscindibile, altrettanto occorre dire del binomio Maria ed eucaristia. «Il rapporto di Maria con l'Eucaristia si può indirettamente delineare a partire dal suo atteggiamento interiore. Maria è donna «eucaristica» con l'intera sua vita. La Chiesa, guardando a Maria come a suo modello, è chiamata ad imitarla anche nel suo rapporto con questo Mistero santissimo» (GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia de Eucharestia, 53). Anche per questo il ricordo di Maria nella celebrazione eucaristica è unanime, sin dall'antichità, nelle Chiese dell'Oriente e dell'Occidente. Proprio nell’Eucaristia la Chiesa si unisce pienamente a Cristo e al suo sacrificio, facendo suo lo spirito di Maria. È verità che si può approfondire rileggendo il «Magnificat» in prospettiva eucaristica. L’Eucaristia, infatti, come il cantico di Maria, è innanzitutto lode e rendimento di grazie. Quando Maria esclama «l'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore», ella porta in grembo Gesù. Loda il Padre «per» Gesù, ma lo loda anche «in» Gesù e «con» «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 86 ―――――――――――――――― Gesù. È precisamente questo il vero «atteggiamento eucaristico» (cfr. GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia de Eucharestia,VI). L’adorazione al Santissimo Sacramento, in cui convergono forme liturgiche ed espressioni di pietà popolare di cui non è facile distinguere nettamente i confini, può assumere diverse modalità: • la semplice visita al santissimo Sacramento riposto nel tabernacolo: breve incontro con Cristo suggerito dalla fede nella sua presenza e caratterizzato dall’orazione silenziosa; • l’adorazione dinanzi al santissimo Sacramento esposto, secondo le norme liturgiche, nell’ostensorio o nella pisside, in forma prolungata o breve; • la cosiddetta Adorazione perpetua. e quella delle Quaranta Ore, che investono un’intera comunità religiosa, o un’associazione eucaristica, o una comunità parrocchiale, e forniscono l’occasione per numerose espressioni di pietà eucaristica. Purifica e incoraggiate andranno anche le altre forme genuine della pietà popolare, anch’esse frutto dello Spirito Santo, le quali devono ritenersi espressione della pietà della Chiesa: perché compiute da fedeli viventi in comunione con essa, nell’adesione alla sua fede e nel rispetto della sua disciplina cultuale; perché non poche di esse sono state esplicitamente approvate e raccomandate dalla Chiesa stessa (Direttorio di liturgia e pietà popolare, 83 ). In quanto espressione di pietà ecclesiale la pietà popolare è sottoposta alle leggi generali del culto cristiano e all’autorità pastorale della Chiesa, che esercita su di essa un’azione di discernimento e di autenticazione, e la rinnova ponendola in fecondo contatto con la Parola rivelata, la tradizione, la stessa Liturgia. È «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 87 ―――――――――――――――― necessario d’altra parte che le espressioni della pietà popolare siano sempre illuminate dal “principio ecclesiologico” del culto cristiano. Ciò consentirà alla pietà popolare di: • avere una visione corretta dei rapporti tra Chiesa particolare e Chiesa universale; la pietà popolare infatti è portata a concentrarsi prevalentemente sui valori locali e sulle necessità immediate, rischiando di chiudersi ai valori universali e alle prospettive ecclesiologiche; • situare la venerazione della beata Vergine, degli Angeli, dei Santi e Beati, e il suffragio per i defunti nel vasto ambito della Comunione dei Santi e all’interno dei rapporti intercorrenti tra la Chiesa celeste e la Chiesa tuttora pellegrina sulla terra; • comprendere in modo fecondo il rapporto tra ministero e carisma; il primo, necessario nelle espressioni del culto liturgico; il secondo, frequente nelle manifestazioni della pietà popolare. SPUNTI DI RIFLESSIONE: • Quali pratiche di pietà popolare esistono nelle nostre comunità parrocchiali? • Esiste un legame tra preghiera personale e tempi liturgici? • Che ruolo occupano nella tua vita di fede l’adorazione eucaristica, la liturgia delle ore, le processione e il culto dei santi? SUGGERIMENTI: • Conoscere le riflessioni dei Santi sull’Eucaristia e sulla Santa Messa. • Accompagnare i bambini e i più giovani, di tanto in tanto, ad una breve visita al Santissimo in una chiesa. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 88 ―――――――――――――――― EUCARISTIA E VITA MORALE L’Eucaristia è forma della comunità, è il luogo dove comprendiamo il senso dell’essere comunità, le ragioni del nostro mandato, della nostra missione, del nostro esserci. Il brano evangelico di Giovanni al capitolo 6, che inizia con la descrizione di una moltiplicazione dei pani ed è il famoso brano del discorso sul pane di vita, è un testo che apparentemente sembrerebbe lontano, ma che ha una sua capacità provocatoria riguardo al nostro tema. E’ interessante sottolineare come inizia il dialogo. La gente è lì e cerca Gesù perché pretende il cibo. Dopo avere ricevuto il cibo la prima volta, gli chiedono ancora il pane. La risposta di Gesù invita a fare un passaggio: non chiedere semplicemente un pane materiale che nutre solo per un pomeriggio, per cui il giorno dopo si ha ancora fame, ma chiedere un cibo che non perisce. Ai tanti con cui camminiamo e per i quali abbiamo una passione sincera possiamo donare qualcosa di più di quello che ci chiedono; non sarà facile probabilmente, non potrà mai passare per l’elusione della loro domanda; la loro domanda rimane, ma se chiediamo il Signore ci sa dare di più del pane di oggi. Questo è l’augurio più bello per un gruppo, per persone che, attorno a queste convinzioni, costruiscono il senso e la passione profonda della propria vita e della propria fede. «Mistero della fede! Con questa espressione pronunciata immediatamente dopo le parole della consacrazione, il sacerdote proclama il mistero celebrato e manifesta il suo stupore di fronte alla conversione sostanziale del pane e del vino nel corpo e nel sangue del Signore Gesù, una realtà che supera ogni comprensione umana. L’Eucaristia è per eccellenza «mistero della fede», infatti, la fede della Chiesa è essenzialmente fede eucaristica e si alimenta alla mensa dell'Eucaristia. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 89 ―――――――――――――――― La fede si esprime nel rito e il rito rafforza e fortifica la fede». Per questo, il Sacramento dell'altare sta sempre al centro della vita ecclesiale… «Grazie all'Eucaristia la Chiesa rinasce sempre di nuovo!». Quanto più viva è la fede eucaristica nel Popolo di Dio, tanto più profonda è la sua partecipazione alla vita ecclesiale mediante la convinta adesione alla missione che Cristo ha affidato ai suoi discepoli. Di ciò è testimone la stessa storia della Chiesa. Ogni cambiamento è legato, in qualche modo, alla riscoperta della fede nella presenza eucaristica del Signore in mezzo al suo popolo (cfr. BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, 6). Essere cristiani, infatti, significa vivere l’evento pasquale comunicato dalla liturgia che ci trasforma in creature nuove: i cristiani, grazie all’azione dello Spirito Santo, vengono consacrati a formare una dimora spirituale e un sacerdozio santo, per offrire a Dio, mediante tutta la loro esistenza e le loro opere, un sacrificio spirituale che è l’offerta di se stessi al Padre (cfr. Lumen Gentium, 10). La vita cristiana consiste allora, nel realizzare quotidianamente la morte e risurrezione di Cristo compiuta sacramentalmente attraverso la liturgia. Il cristiano è chiamato di fatto a rivestirsi di Cristo esprimendo la sua nuova realtà attraverso scelte concrete: • rinunciare ogni giorno al peccato e vivere in novità di vita; • rinnovarsi nella giustizia e nella santità; • fare propri i sentimenti di Cristo (misericordia, bontà, umiltà, mansuetudine, pazienza); • custodire il dono della libertà dei figli di Dio. Inoltre, la liturgia celebrata dalla chiesa sulla terra è anche partecipazione alla liturgia celeste: la lode cantata dagli uomini in terra si unisce al coro degli angeli e alla gloria espressa nella vita dei santi. C’è dunque nella liturgia la «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 90 ―――――――――――――――― tensione verso un compimento e l’attesa di un incontro più pieno e definitivo con il Signore (cfr. Sacrosanctum Concilium, 8). La stessa vita del cristiano è in tensione tra un già dato e un non ancora compiuto: essa deve tenere desta la memoria viva dell’azione salvifica compiuta da Dio in Cristo (passato), vegliando per cogliere i segni della presenza di Dio nel quotidiano (presente), con lo sguardo e l’attesa sul ritorno finale di Cristo (futuro). La vita cristiana consiste nel realizzare concretamente il mistero celebrato nei sacramenti, in attesa del compimento della speranza e del ritorno del Signore Gesù Cristo. SPUNTI DI RIFLESSIONE: • La domenica è l’appuntamento più importante della nostra vita cristiana? • Nella nostra comunità, ci sono delle possibilità per vivere in profondità anche gli altri aspetti della vita domenicale (preghiera, carità, vita familiare o comunitaria, …)? • Nelle attività parrocchiali quale posto occupano le tre dimensioni: catechesi, liturgia e carità? • Ritengo di vivere quella “coerenza eucaristica” cui il cristiano è chiamato? SUGGERIMENTI: • Raccontare con semplicità ad una persona poco attenta alla fede cristiana qualche aspetto della propria esperienza di fede, mettendo in evidenza soprattutto l’aiuto che la Messa offre per vivere nel quotidiano la propria fedeltà al Signore. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 91 ―――――――――――――――― EUCARISTIA E CARITÀ «L’Eucaristia, proprio per divenire e rimanere veramente se stessa, deve continuamente andare al di là dell’ambito semplicemente cultuale, compiersi al di là e al di fuori di esso». Il banchetto eucaristico non mira a sottrarci al rapporto vitale col mondo; anzi proprio ad esso ci invia. «Il culto eucaristico – affermava Paolo VI nell’Enciclica Mysterium fidei, al n. 36 – muove fortemente l’animo a coltivare l’amore “sociale”, col quale si antepone al bene privato il bene comune; facciamo nostra la causa della comunità, della parrocchia, della Chiesa universale; ed estendiamo la carità a tutto il mondo, perché dappertutto sappiamo che ci sono membra di Cristo». Nel testo di don Giuseppe Dossetti La parola e il silenzio c’è un capitolo, di una bellezza veramente grande, dal titolo «L’Eucaristia come amore elettivo per un invio universale». Dice Dossetti: «L’invio è insito nell’Eucaristia stessa, tanto che l’urgenza del suo adempimento d’amore rappresenta una garanzia dell’autenticità stessa del celebrare l’Eucaristia; non ne è un’eventualità, è un costitutivo necessario. La missione della Chiesa e del cristiano verso gli uomini e selettivamente i più piccoli, i più bisognosi, i più peccatori non è un fatto organizzativo, deve scaturire dal pasto sacramentale e sacrificale con il crocifisso risorto. Anche se un invio fosse ufficialmente legittimato, razionalmente organizzato e perfettamente efficiente non sarebbe ancora nulla, sarebbe solo un bronzo che risuona; non sarebbe invio di Cristo, non ne avrebbe il fondamento, i caratteri e l’efficacia creatrice e risanatrice. L’invio autentico e solo efficace è: lode e ringraziamento al Padre in nome degli altri che non lodano o non vogliono lodare; servizio nel Figlio e con il Figlio con «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 92 ―――――――――――――――― amore preferenziale per chi ne ha bisogno anche in supplenza di chi dovrebbe, ma non sa o non vuole servire; intercessione e invocazione allo Spirito perché l’amore irraggiante venga e con la sua energia liberante renda efficace l’annunzio o l’opera di consolazione. Come la chiesa riunita nell’assemblea eucaristica è l’epifania anticipata del Regno, così la chiesa inviata dall’Eucaristia è l’epifania della polis salvata, della città salvata. E’ una polis sui generis che non governa e non ha potere, che non muove verso gli altri per quello che hanno di appetibile, ma unicamente per quello che sono nella loro dignità anche se poveri, deformi, incoscienti, in tutto inappetibili, cioè non incontra l’uomo dall’esterno o in superficie, ma lo incontra nel suo sé, più intimo, più invisibile, creando e divulgando ovunque nel segno di una società grande o piccola, un’atmosfera di rispetto, di comprensione, di fiducia, di valorizzazione degli esclusi, di amore oblativo, indipendente da ogni condizione esterna, mutevole, che non avrà mai fine». «L'Eucaristia non è solo espressione di comunione nella vita della Chiesa; essa è anche progetto di solidarietà per l'intera umanità. La Chiesa rinnova continuamente nella celebrazione eucaristica la sua coscienza di essere «segno e strumento» non solo dell'intima unione con Dio, ma anche dell'unità di tutto il genere umano. Ogni Messa, anche quando è celebrata nel nascondimento e in una regione sperduta della terra, porta sempre il segno dell'universalità. Il cristiano che partecipa all'Eucaristia apprende da essa a farsi promotore di comunione, di pace e di solidarietà in tutte le circostanze della vita» (GIOVANNI PAOLO II, Mane nobiscum Domine, 27). L’Eucaristia domenicale non solo non distoglie dai doveri di carità, ma al contrario impegna maggiormente i «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 93 ―――――――――――――――― fedeli «a tutte le opere di carità, di pietà, di apostolato, attraverso le quali divenga manifesto che i fedeli di Cristo non sono di questo mondo e tuttavia sono luce del mondo e rendono gloria al Padre dinanzi agli uomini». L’Eucarestia è il «Sacramento della carità, è il dono che Gesù Cristo fa di se stesso, rivelandoci l'amore infinito di Dio per ogni uomo. In questo mirabile Sacramento si manifesta l'amore «più grande», quello che spinge a «dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Gesù, infatti, «li amò fino alla fine» (Gv 13,1). Con questa espressione, l'Evangelista introduce il gesto di infinita umiltà da Lui compiuto: prima di morire sulla croce per noi, messosi un asciugatoio attorno ai fianchi Egli lava i piedi ai suoi discepoli, allo stesso modo, Gesù nel Sacramento eucaristico continua ad amarci «fino alla fine», fino al dono del suo corpo e del suo sangue. Quale stupore deve aver preso il cuore degli Apostoli di fronte ai gesti e alle parole del Signore durante quella Cena! Quale meraviglia deve suscitare anche nel nostro cuore il Mistero eucaristico!» (BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis, 1). La Carità non è un insieme di cose da fare, ma è un accogliere quel dono che viene dall’alto, che è caratteristica propria di Dio, che è Dio: «La Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena» (Gaudium et Spes, 40). L’Eucaristia, quindi, diventa per ciascuno di noi il sacramento della carità di Cristo che suscita uomini e donne capaci di assumere questa stessa carità nella propria vita. Uomini e donne che danno così vita alla Chiesa della carità di Cristo dove l’amore è la regola che ritma il cammino ed i gesti di coloro che vogliono collaborare nella realizzazione del progetto d’amore che il Padre ha per ciascuno di noi. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 94 ―――――――――――――――― EUCARISTIA DONO D’AMORE L’Eucaristia è il luogo che manifesta il dono dell’amore di Dio ma anche il luogo in cui si smascherano le tante ambiguità del dono. Nel tempo in cui ci troviamo “dare” è un verbo che quasi sempre attende un ritorno. Si dice che non si fa nulla per nulla. Si fanno regali per averne qualcosa in cambio. Nell’Eucaristia questa logica viene messa a nudo e cambiata con quella della gratuità. Una gratuità che instaura, quindi, una relazione di reciprocità tra Lui e me. Gesù ci consegna la sua morte e Risurrezione nell’Eucaristia non come qualcosa «a perdere»: si dona perché noi possiamo riconoscere la qualità del suo gesto e, riconoscendo il suo amore, possiamo accoglierlo e rispondervi. Mettersi davanti all’Eucaristia significa mettersi alla scuola dell’amore, e, a questa scuola, la prima cosa che si impara è a non pretendere nulla dalla persona amata – così come il Signore sta lì, senza pretendere nulla, ma solo mendicando il nostro affetto. Il criterio ultimo in base al quale sarà comprovata l’autenticità delle nostre celebrazioni eucaristiche rimane sempre l’amore vicendevole e, in particolare, la sollecitudine per chi è nel bisogno (cfr. Gv 13, 1-35). Lo dichiarava già San Giovanni Crisostomo: «Tu vuoi onorare il corpo del Salvatore? Non disdegnarlo quando è nudo. Non onorarlo in chiesa con paludamenti di seta, mentre fuori lo lasci intirizzito dal freddo, e nudo. Colui che ha detto: “Questo è il mio corpo” e che con la sua parola ha operato la cosa, quegli ha detto: «Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare. Ciò che non avete fatto a uno dei più umili, lo avete rifiutato a me!» […]. Onoralo dunque dividendo il tuo patrimonio con i poveri: perché a Dio non occorrono calici d’oro, ma anime d’oro». Ogni gesto di amore, infatti, sa suscitare in chi lo riceve la responsabilità verso chi lo ha fatto. Nella Messa si realizza «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 95 ―――――――――――――――― proprio questo. Il corpo donato, l’amore offerto, suscita la responsabilità della mia risposta che si fa relazione con Lui e con gli altri. Una relazione che diventa anche imperativo, esigenza, stimolo per la mia vita. «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Come è possibile comandare di amare, se al cuore non si comanda? Eppure questa è la vocazione a cui siamo chiamati per riprodurre in noi l’immagine più perfetta di Dio. «I poveri sono il sacramento del peccato nel mondo» (G. MOIOLI, Temi cristiani maggiori, Glossa, Milano 1992, p. 167). Ciò significa che quando noi vediamo una persona oppressa dalla povertà e dal bisogno, dovremmo immediatamente interpretare questa situazione come il frutto dell’ingiustizia di cui anche noi siamo responsabili, evitando di scaricare la colpa sugli altri. Allo stesso modo, dove c’è un fratello o una sorella nel bisogno, la prima reazione deve essere quella di riconoscere la propria responsabilità in merito a questa situazione di ingiustizia. Da tale presa di coscienza scaturirà poi la disponibilità a farsi prossimi a chi soffre per lottare contro il bisogno che lo angustia; e quando avremo operato per eliminare il bisogno, anzi mentre operiamo, ecco che il povero diventa per noi sacramento di Cristo, anche se forse lo scopriremo solo alla fine dei tempi: «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). «È un umanesimo plenario che occorre promuovere. Che vuol dire ciò, se non lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini? Un umanesimo chiuso, insensibile ai valori dello spirito e a Dio che ne è la fonte, potrebbe apparentemente avere maggiori possibilità di trionfare. Senza dubbio l'uomo può organizzare la terra senza Dio, ma senza Dio egli non può alla «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 96 ―――――――――――――――― fine che organizzarla contro l'uomo. L'umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano. Non v'è dunque umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto, nel riconoscimento d'una vocazione, che offre l'idea vera della vita umana. Lungi dall'essere la norma ultima dei valori, l'uomo non realizza se stesso che trascendendosi. Secondo l'espressione così giusta di Pascal: «L'uomo supera infinitamente l'uomo»» (PAOLO VI, Popolorum Progressio, 42). L’Eucaristia ci fa sperimentare cosa sia davvero la Carità. San Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, riporta una frase a cui, forse, troppo spesso non facciamo riferimento, dice: «E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova» (1Cor. 13, 3). Come può essere? Dare tutto quello che si ha non è forse carità? Eppure Paolo sottolinea quel «ma non avessi la carità». Commenta il Santo Padre: «L’azione pratica resta insufficiente se in essa non si rende percepibile l’amore per l’uomo, un amore che si nutre dell’incontro con Cristo. L’intima partecipazione personale al bisogno e alla sofferenza dell’altro diventa così un partecipargli me stesso: perché il dono non umili l’altro, devo dargli non soltanto qualcosa di mio ma me stesso, devo essere presente nel dono come persona» (BENEDETTO XVI, Deus Caritas Est, 34). Allora la carità, come ci viene dimostrato nella Eucaristia, è essa stessa anzitutto dono dall’alto, partecipazione al dono di Dio. Potremo essere ed annunciare la carità di Cristo solo se ce ne nutriamo! Mangiando di questo pane possiamo realizzare un «progetto di fraternità umana» che dalla messa domenicale si espande al cuore dei fedeli e invade di carità le città dell’uomo portando gioia dove c’è dolore, conforto dove c’è disperazione, aiuto dove c’è necessità, cura dove c’è abbandono, presenza dove c’è solitudine. L’Eucaristia così rivela i suoi «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 97 ―――――――――――――――― risvolti umani, diventando scuola insuperabile di carità, di giustizia e di pace divenendo condivisione tale da spingere ogni uomo ed ogni donna ad eliminare le ingiustizie, di cui abbiamo dimenticato che hanno radice nel peccato, e sono presenti in modo perverso nella società umana. La rivelazione in Cristo del mistero di Dio come Amore trinitario è insieme la rivelazione della vocazione della persona umana all'amore. Tale rivelazione illumina la dignità e la libertà personale dell'uomo e della donna e l'intrinseca socialità umana in tutta la loro profondità: «Essere persona a immagine e somiglianza di Dio comporta un esistere in relazione, in rapporto all'altro “io” », perché Dio stesso, uno e trino, è comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Nella comunione d'amore che è Dio, nel quale le tre Persone divine si amano reciprocamente e sono l'Unico Dio, la persona umana è chiamata a scoprire l'origine e la meta della sua esistenza e della storia (Compendio dottrina sociale, 34). Non c'è conflittualità tra Dio e l'uomo, ma un rapporto di amore in cui il mondo e i frutti dell'agire dell'uomo nel mondo sono oggetto di reciproco dono tra il Padre e i figli, e dei figli tra loro, in Cristo Gesù: in Lui e grazie a Lui, il mondo e l'uomo attingono il loro autentico ed originario significato. In una visione universale dell'amore di Dio che abbraccia tutto ciò che è, Dio stesso ci è rivelato in Cristo come Padre e donatore di vita, e l'uomo ci è rivelato come colui che in Cristo tutto accoglie da Dio come dono, in umiltà e libertà e tutto veramente possiede come suo, quando sa e vive ogni cosa come di Dio, da Dio originata e a Dio finalizzata (Compendio dottrina sociale, 46). Infine, è necessario avere maggiore fede e speranza nella iniziativa divina: «In umiltà, (il cristiano) farà quello che gli è possibile fare e in umiltà affiderà il resto al Signore. È Dio che governa il mondo, non noi» (BENEDETTO XVI, Deus Caritas Est, 35). «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 98 ―――――――――――――――― SPUNTI DI RIFLESSIONE: • Esiste una cultura della condivisione nelle nostre comunità parrocchiali? • Che posto occupa nella vita di ciascuno di noi la carità verso chi si trova nel “bisogno” (fisico e spirituale)? • Vi sono operatori pastorali della carità? • Esiste un percorso di formazione alla vita sociale? • «La persona umana non può e non deve essere strumentalizzata da strutture sociali, economiche e politiche, poiché ogni uomo ha la libertà di orientarsi verso il suo fine ultimo. D’altra parte, ogni realizzazione culturale, sociale, economica e politica, in cui storicamente si attuano la socialità della persona e la sua attività trasformatrice dell'universo, deve sempre essere considerata anche nel suo aspetto di realtà relativa e provvisoria, «perché passa la scena di questo mondo!» (1Cor 7,31). Si tratta di una relatività escatologica, nel senso che l'uomo e il mondo vanno incontro alla fine, che è il compimento del loro destino in Dio; e di una relatività teologica, in quanto il dono di Dio, mediante cui si compirà il destino definitivo dell’umanità e della creazione, supera infinitamente le possibilità e le attese dell'uomo. Qualunque visione totalitaristica della società e dello Stato e qualunque ideologia puramente intra mondana del progresso sono contrarie alla verità integrale della persona umana e al disegno di Dio sulla storia» (Compendio Dottrina Sociale della Chiesa, 48). EUCARESTIA E SOFFERENZA La sofferenza vissuta con amore e donata a Dio, trova nel sacrificio Eucaristico il suo mistico significato, in quanto partecipa e completa le sofferenze di Cristo, come dice San «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 99 ―――――――――――――――― Paolo. Ci chiediamo l’evento pasquale di Cristo può dare un senso ad ogni sofferenza? Giovanni Paolo II, prendendo atto dell’universalità della sofferenza, cerca di coglierne i significati: «La sofferenza – sembra appartenere alla trascendenza dell’uomo: esso è uno di quei punti nei quali l’uomo viene, in un certo senso, destinato a superare se stesso e viene a ciò chiamato in modo misterioso» (cfr. Giovanni Paolo II, Salvifici Doloris, 2). Il bisogno, il male fisico, morale, spirituale non sono realtà solamente negative, fanno parte della nostra realtà terrena. Giovanni Paolo II parla di «carattere creativo della sofferenza» perché «la sofferenza di Cristo ha creato il bene della redenzione» (cfr. GIOVANNI PAOLO II, Salvifici Doloris, 24). C’è da chiedersi perché Dio abbia permesso questa fragilità umana, perché voglia stimolare il bene tramite questa sofferenza… Eppure il Dio che si rivela nella Bibbia è il Dio dell’Alleanza, il Dio che ha reso corresponsabile del grande progetto d’Amore. Non ci ha creati già perfetti; ma ha inserito in noi meravigliose potenzialità di vita. Il tutto va proiettato nella dimensione dell’altra vita, quando «Dio tergerà ogni lacrima dai (nostri) occhi» (Ap 7, 12). Colui che soffre e vive in coerenza di fede e di donazione spirituale svolge un ruolo speciale di testimonianza e di incoraggiamento per tutti, sofferenti o non. Chi soffre in Cristo unisce le sofferenze umana alla sua sofferenza salvifica (cfr. GIOVANNI PAOLO II, Salvifici Doloris, 26). Cristo sulla croce si è reso solidale con tutti i sofferenti, una solidarietà già iniziata con l’evento dell’Incarnazione: «Con la sua Incarnazione, infatti, il Figlio stesso di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo» (GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis, 8). Gesù ha detto: «Beati gli afflitti, perché saranno consolati»” (Mt. 5,4). In questo modo egli non ha «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 100 ―――――――――――――――― dichiarato beata l’afflizione, non ha detto “beati i sofferenti perché soffrono, ma perché saranno consolati”. Cristo è salvatore perché diventa la risposta al senso della nostra vita, sopratutto nella sofferenza. Il cristiano sa che neanche l’esperienza del dolore lo tiene lontano da Cristo. L’apostolo Paolo affermava: «Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?» (Rm 8, 35). Per lui tutto diventa secondario, perché in Cristo ha trovato la sua salvezza. Coloro che vivono situazioni di disagio, di sofferenza fisica o spirituale trovino conforto, aiuto e sollievo in Cristo che nella passione, morte e resurrezione ha offerto se stesso per la salvezza dell’umanità, perpetuando la sua presenza sotto le specie del pane e del vino. L’unica maniera per liberarci dalla sofferenza è Cristo Signore, che con la Sua Croce ha annientato la morte e tutte le conseguenze della morte, le malattie, il dolore, le sofferenze. E' Cristo che prende tutto il male, il peccato dell’umanità, si fa peccato per noi fino a morire e dalla morte scaturisce il fiore della risurrezione L’Eucaristia è la vittoria definitiva, è, come diceva Paolo VI nell’Enciclica Mysterium Fidei, la «medicina dell'immortalità», farmaco di immortalità – come già proclamavano i Padri. SPUNTI DI RIFLESSIONE: • Che senso ha la sofferenza umana? • Come avvicinare chi soffre? • Quale riferimento dobbiamo trovare nelle nostre difficoltà quotidiane alla morte e resurrezione di Cristo Gesù? • Nelle nostre parrocchie ci si preoccupa di visitare chi soffre portando l’abbraccio amoroso di Gesù Eucaristia? • Ci si preoccupa di dischiudere ai malati l’orizzonte «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 101 ―――――――――――――――― cristiano della sofferenza? O lasciamo che il dolore dei nostri fratelli cada nel vuoto, senza avvertire – come scriveva il Beato Carlo Gnocchi – «la preziosità di questo puro tesoro e l’urgente necessità di ricuperarlo avaramente per farne dono a Cristo ed alla Chiesa»? «Quando ti strappano le bende, ti frugano nelle ferite e ti fanno piangere, a chi pensi?”. “A nessuno”, mi rispose con una punta di meraviglia nella voce. “Ma tu non credi che ci sia Qualcuno al quale forse tu potresti offrire il tuo dolore, per amore del quale tu potresti reprimere il tuo lamento e inghiottire le tue lagrime e che potrebbe anche aiutarti a sentire meno il tuo dolore?”. Il bambino fissò nel vuoto il viso devastato guardando con l’unico occhio stranito e poi, scuotendo lentamente la testa, disse: “Non capisco…” e tornò a giocherellare distratto con l’orlo del lenzuolo. Fu in quel momento che io ebbi la precisa, quasi fisica, sensazione di una immensa irreparabile sciagura: della perdita di un preziosissimo tesoro, più intimamente dolorosa dell’incendio di un quadro di Raffaello, o della distruzione di un diamante di inestimabile valore. Era il grande dolore innocente di un bimbo che cadeva nel vuoto, inutile ed insignificante, soprannaturalmente perduto per lui e per l’umanità, perché non diretto all’unica meta nella quale il dolore di un innocente può prendere valore e trovare giustificazione: Cristo crocifisso» (CARLO GNOCCHI, Pedagogia del dolore innocente). SUGGERIMENTI: • Adorazione eucaristica, con l’offerta al Signore di intercessioni per ottenere sollievo e sostegno per i malati e coloro che li assistono; «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 102 ―――――――――――――――― • Visita agli ammalati e unzione degli infermi come prassi e non pratiche straordinarie (Natale, Pasqua); • Festa dell’ammalato, nella memoria di Nostra Signora di Lourdes; • Formazione di un gruppo – debitamente preparato – di giovani, con l’impegno di dedicare un po’ del loro tempo (magari organizzando delle turnazioni) alla visita agli ammalati e ai poveri della parrocchia – sul modello del Beato Piergiorgio Frassati, e del volontariato Vincenziano. DIOCESI DI AVELLINO Forania Urbana In vista della celebrazione del secondo Congresso Eucaristico Diocesano, ci vogliamo preparare a questo evento di Grazia per la Chiesa Diocesana di Avellino, a livello di Vicaria cittadina, innanzitutto con un momento di profonda consapevolezza, di condivisione e di progettazione per meglio vivere e testimoniare nel nostro quotidiano quel «dono pasquale, l’Eucarestia, mistero da offrire al mondo e pane spezzato per la sua vita». Attraverso le tracce di riflessioni qui proposte ogni comunità parrocchiale si interrogherà su come viene e protrebbe essere partecipata dai fedeli la celebrazione Eucaristica e come essa diventa e possa più adeguatamente diventare “pane spezzato” per il mondo. Poi le rappresentanze di ogni comunità parrocchiale nell’incontro del ... dicembre p.v. che si terrà ... metterà in comune l’esperienza e l’istanza di ognnuna e accogliere qualche buona sollecitazione per meglio vivere e far vivere il grande dono Eucaristico. Ci faranno da guida alla riflessione comunitaria, su questo specifico itinerario, le parole dell’Esortazione Apostolica Postsinodale “Sacramentum Caritatis” di Benedetto XVI. L’idea portante di tutta la riflessione deve essere certamente che tanto più grande è la consapevolezza del mistero che viene celebrato tanto più esso si rapporterà con verità ede efficacia all’esistenza quoditidiana di ogni cristiano e della Chiesa intera. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 104 ―――――――――――――――― I. AUTENTICA PARTECIPAZIONE 52. Il Concilio Vaticano II aveva posto giustamente una particolare enfasi sulla partecipazione attiva, piena e fruttuosa dell’intero Popolo di Dio alla Celebrazione eucaristica. Certamente, il rinnovamento attuato in questi anni ha favorito notevoli progressi nella direzione auspicata dai Padri conciliari. Tuttavia, non dobbiamo nasconderci il fatto che a volte si è manifestata qualche incomprensione precisamente circa il senso di questa partecipazione. Conviene pertanto mettere in chiaro che con tale parola non si intende fare riferimento ad una semplice attività esterna durante la celebrazione. In realtà, l’attiva partecipazione auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza del mistero che viene celebrato e del suo rapporto con l’esistenza quotidiana. Ancora pienamente valida è la raccomandazione della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, che esortava i fedeli a non assistere alla liturgia eucaristica «come estranei o muti spettatori», ma a partecipare «all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente». Il Concilio proseguiva sviluppando la riflessione: i fedeli «formati dalla Parola di Dio, si nutrano alla mensa del Corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per mezzo di Cristo Mediatore siano perfezionati nell’unità con Dio e tra di loro». 53. La bellezza e l’armonia dell’azione liturgica trovano una significativa espressione nell’ordine con cui ciascuno è chiamato a partecipare attivamente. Ciò comporta il riconoscimento dei diversi ruoli gerarchici implicati nella «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 105 ―――――――――――――――― celebrazione stessa. È utile ricordare che la partecipazione attiva ad essa non coincide di per sé con lo svolgimento di un ministero particolare. Soprattutto non giova alla causa della partecipazione attiva dei fedeli una confusione che venisse ingenerata dalla incapacità di distinguere, nella comunione ecclesiale, i diversi compiti spettanti a ciascuno. In particolare, è necessario che vi sia chiarezza riguardo ai compiti specifici del sacerdote. I.d.1: Come viene realizzata nelle nostre assemblee liturgiche l’attiva partecipazione auspicata dal Concilio? Quali i ministeri esercitati? Vi sono lettori abilitati? Esiste un gruppo liturgico? Condizioni personali per una «actuosa participatio» 55. Considerando il tema dell’actuosa participatio dei fedeli al sacro rito, i Padri sinodali hanno dato rilievo anche alle condizioni personali in cui ciascuno deve trovarsi per una fruttuosa partecipazione. Una di queste è certamente lo spirito di costante conversione che deve caratterizzare la vita di tutti i fedeli. Non ci si può aspettare una partecipazione attiva alla liturgia eucaristica, se ci si accosta ad essa superficialmente, senza prima interrogarsi sulla propria vita. Favoriscono tale disposizione interiore, ad esempio, il raccoglimento ed il silenzio, almeno qualche istante prima dell’inizio della liturgia, il digiuno e, quando necessario, la Confessione sacramentale. Un cuore riconciliato con Dio abilita alla vera partecipazione. In particolare, occorre richiamare i fedeli al fatto che un’actuosa participatio ai santi Misteri non può aversi se non si cerca al tempo stesso di «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 106 ―――――――――――――――― prendere parte attivamente alla vita ecclesiale nella sua integralità, che comprende pure l’impegno missionario di portare l’amore di Cristo dentro la società. I.d.2: Come viene realizzato lo spirito essenziale del fedele alla continua conversione? Quali tempi si dedica alla celebrazione del Sacramento della Confessione e delle liturgie penitenziali? La celebrazione eucaristica domenicale diventa la reale espressione della comunità parrocchiale? II. LA CELEBRAZIONE INTERIORMENTE PARTECIPATA Catechesi mistagogica 64. La grande tradizione liturgica della Chiesa ci insegna che, per una fruttuosa partecipazione, è necessario impegnarsi a corrispondere personalmente al mistero che viene celebrato, mediante l’offerta a Dio della propria vita, in unità con il sacrificio di Cristo per la salvezza del mondo intero. Per questo motivo, il Sinodo dei Vescovi ha raccomandato di curare nei fedeli l’intima concordanza delle disposizioni interiori con i gesti e le parole. Se questa mancasse, le nostre celebrazioni, per quanto animate, rischierebbero la deriva del ritualismo. Pertanto occorre promuovere un’educazione alla fede eucaristica che disponga i fedeli a vivere personalmente quanto viene celebrato. Di fronte all’importanza essenziale di questa participatio personale e consapevole, quali possono essere gli strumenti formativi adeguati? I Padri sinodali all’unanimità hanno indicato, al riguardo, la strada di una catechesi a carattere mistagogico, che porti i fedeli a addentrarsi sempre meglio nei misteri che vengono celebrati. In particolare, per la «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 107 ―――――――――――――――― relazione tra ars celebrandi e actuosa participatio si deve innanzitutto affermare che «la migliore catechesi sull’Eucaristia è la stessa Eucaristia ben celebrata». Per natura sua, infatti, la liturgia ha una sua efficacia pedagogica nell’introdurre i fedeli alla conoscenza del mistero celebrato. Proprio per questo, nella tradizione più antica della Chiesa il cammino formativo del cristiano, pur senza trascurare l’intelligenza sistematica dei contenuti della fede, assumeva sempre un carattere esperienziale in cui determinante era l’incontro vivo e persuasivo con Cristo annunciato da autentici testimoni. In questo senso, colui che introduce ai misteri è innanzitutto il testimone. Tale incontro certamente si approfondisce nella catechesi e trova la sua fonte e il suo culmine nella celebrazione dell’Eucaristia. Da questa struttura fondamentale dell’esperienza cristiana prende le mosse l’esigenza di un itinerario mistagogico, in cui devono sempre essere tenuti presenti tre elementi. II.d.1: Si è ben consapevoli che «la migliore catechesi sull’Eucaristia è la stessa Eucaristia ben celebrata» aiutando i fedeli a “sperimentare” il mistero salvifico di Gesù Cristo? La celebrazione domenicale viene fatta vivere come un momento di un cammino “mistagogico” e non come un fatto fine a se stesso? a) Si tratta innanzitutto della interpretazione dei riti alla luce degli eventi salvifici, in conformità con la tradizione viva della Chiesa. In effetti, la celebrazione dell’Eucaristia, nella sua infinita ricchezza, contiene continui riferimenti alla storia della salvezza. In Cristo crocifisso e risorto ci è dato di celebrare davvero il centro ricapitolatore di tutta la realtà (cfr Ef 1,10). Fin dall’inizio la comunità cristiana ha letto gli «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 108 ―――――――――――――――― avvenimenti della vita di Gesù, ed in particolare del mistero pasquale, in relazione a tutto il percorso veterotestamentario. II.d.2: In che modo aiutiamo i fedeli a comprendere che la celebrazione eucaristica è collegata alla vita di ognuno facendo di essa un momento importante di tutta la storia della salvezza? Come riusciamo a far comprendere che il mistero pasquale celebrato è in relazione anche alla storia salvifica anticotestamentaria? b) La catechesi mistagogica si dovrà preoccupare, inoltre, di introdurre al senso dei segni contenuti nei riti. Questo compito è particolarmente urgente in un’epoca fortemente tecnicizzata come l’attuale, in cui c’è il rischio di perdere la capacità percettiva in relazione ai segni e ai simboli. Più che informare, la catechesi mistagogica dovrà risvegliare ed educare la sensibilità dei fedeli per il linguaggio dei segni e dei gesti che, uniti alla parola, costituiscono il rito. II.d.3: In che modo aiutiamo i fedeli al senso e il linguaggio dei segni contenuti nei riti. c) Infine, la catechesi mistagogica deve preoccuparsi di mostrare il significato dei riti in relazione alla vita cristiana in tutte le sue dimensioni, di lavoro e di impegno, di pensieri e di affetti, di attività e di riposo. È parte dell’itinerario mistagogico porre in evidenza il nesso dei misteri celebrati nel rito con la responsabilità missionaria dei fedeli. In tal senso, l’esito maturo della mistagogia è la consapevolezza che la propria esistenza viene progressivamente trasformata dai «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 109 ―――――――――――――――― santi Misteri celebrati. Scopo di tutta l’educazione cristiana, del resto, è di formare il fedele, come «uomo nuovo», ad una fede adulta, che lo renda capace di testimoniare nel proprio ambiente la speranza cristiana da cui è animato. Per poter svolgere all’interno delle nostre comunità ecclesiali un tale compito educativo occorre avere formatori adeguatamente preparati. Certamente tutto il Popolo di Dio deve sentirsi impegnato in questa formazione. Ogni comunità cristiana è chiamata ad essere luogo di introduzione pedagogica ai misteri che si celebrano nella fede. A questo riguardo, i Padri durante il Sinodo hanno sottolineato l’opportunità di un maggior coinvolgimento delle Comunità di vita consacrata, dei movimenti e delle aggregazioni che, in forza dei loro propri carismi, possono arrecare nuovo slancio alla formazione cristiana. Anche nel nostro tempo lo Spirito Santo non lesina certo l’effusione dei suoi doni per sostenere la missione apostolica della Chiesa, a cui spetta di diffondere la fede e di educarla fino alla sua maturità. II.d.4: In che modo le nostre liturgie eucaristiche aiutano a cogliere il significato dei riti in relazione alla vita cristiana in tutte le sue dimensioni, di lavoro e di impegno, di pensieri e di affetti, di attività e di riposo. Cioè come aiuta a maturare in ognuno e in tutta la comunità la responsabilità missionaria? III. EUCARISTIA, MISTERO DA VIVERE Forma eucaristica della vita cristiana Il culto spirituale – logiké latreía (Rm 12,1) 70. Il Signore Gesù, fattosi per noi cibo di verità e di «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 110 ―――――――――――――――― amore, parlando del dono della sua vita ci assicura che «chi mangia di questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,51). Ma questa «vita eterna» inizia in noi già in questo tempo attraverso il cambiamento che il dono eucaristico genera in noi: «Colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6,57). Queste parole di Gesù ci fanno capire come il mistero «creduto» e «celebrato» possegga in sé un dinamismo che ne fa principio di vita nuova in noi e forma dell’esistenza cristiana. Comunicando al Corpo e al Sangue di Gesù Cristo, infatti, veniamo resi partecipi della vita divina in modo sempre più adulto e consapevole. Vale anche qui quanto sant’Agostino, nelle sue Confessioni, dice del Logos eterno, cibo dell’anima: mettendo in rilievo il carattere paradossale di questo cibo, il santo Dottore immagina di sentirsi dire: «Sono il cibo dei grandi: cresci e mi mangerai. E non io sarò assimilato a te come cibo della tua carne, ma tu sarai assimilato a me». Infatti non è l’alimento eucaristico che si trasforma in noi, ma siamo noi che veniamo da esso misteriosamente cambiati. Cristo ci nutre unendoci a sé; «ci attira dentro di sé». La Celebrazione eucaristica appare qui in tutta la sua forza quale fonte e culmine dell’esistenza ecclesiale, in quanto esprime, nello stesso tempo, sia la genesi che il compimento del nuovo e definitivo culto, la logiké latreía. Efficacia onnicomprensiva del culto eucaristico 71. Il nuovo culto cristiano abbraccia ogni aspetto dell’esistenza, trasfigurandola: «Sia dunque che mangiate sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio» (1 Cor 10,31). In ogni atto della vita il cristiano è chiamato ad esprimere il vero culto a Dio. Da qui prende forma la natura intrinsecamente eucaristica della vita «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 111 ―――――――――――――――― cristiana. In quanto coinvolge la realtà umana del credente nella sua concretezza quotidiana, l’Eucaristia rende possibile, giorno dopo giorno, la progressiva trasfigurazione dell’uomo chiamato per grazia ad essere ad immagine del Figlio di Dio (cfr Rm 8,29s). Non c’è nulla di autenticamente umano – pensieri ed affetti, parole ed opere – che non trovi nel sacramento dell’Eucaristia la forma adeguata per essere vissuto in pienezza. Qui emerge tutto il valore antropologico della novità radicale portata da Cristo con l’Eucaristia: il culto a Dio nell’esistenza umana non è relegabile ad un momento particolare e privato, ma per natura sua tende a pervadere ogni aspetto della realtà dell’individuo. Il culto gradito a Dio diviene così un nuovo modo di vivere tutte le circostanze dell’esistenza in cui ogni particolare viene esaltato, in quanto vissuto dentro il rapporto con Cristo e come offerta a Dio. La gloria di Dio è l’uomo vivente (cfr 1 Cor 10,31). E la vita dell’uomo è la visione di Dio. III.d.1: Quali sono le realtà che fanno si che le nostre celebrazioni siano la “fonte e il culmine” di tutto un vissuto cristiano? Aiutano quindi a far vivere “il culto gradito a Dio diviene così un nuovo modo di vivere tutte le circostanze dell’esistenza in cui ogni particolare viene esaltato, in quanto vissuto dentro il rapporto con Cristo e come offerta a Dio”? IV. EUCARISTIA, MISTERO DA OFFRIRE AL MONDO Eucaristia, pane spezzato per la vita del mondo 88. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). Con queste parole il Signore rivela il vero significato del dono della propria vita per tutti gli uomini. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 112 ―――――――――――――――― Esse ci mostrano anche l’intima compassione che Egli ha per ogni persona. In effetti, tante volte i Vangeli ci riportano i sentimenti di Gesù nei confronti degli uomini, in special modo dei sofferenti e dei peccatori (cfr Mt 20,34; Mc 6,34; Lc 19,41). Egli esprime attraverso un sentimento profondamente umano l’intenzione salvifica di Dio per ogni uomo, affinché raggiunga la vita vera. Ogni Celebrazione eucaristica attualizza sacramentalmente il dono che Gesù ha fatto della propria vita sulla Croce per noi e per il mondo intero. Al tempo stesso, nell’Eucaristia Gesù fa di noi testimoni della compassione di Dio per ogni fratello e sorella. Nasce così intorno al Mistero eucaristico il servizio della carità nei confronti del prossimo, che «consiste appunto nel fatto che io amo, in Dio e con Dio, anche la persona che non gradisco o neanche conosco. Questo può realizzarsi solo a partire dall’intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento. Allora imparo a guardare quest’altra persona non più soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo». In tal modo riconosco, nelle persone che avvicino, fratelli e sorelle per i quali il Signore ha dato la sua vita amandoli «fino alla fine» (Gv 13,1). Di conseguenza, le nostre comunità, quando celebrano l’Eucaristia, devono prendere sempre più coscienza che il sacrificio di Cristo è per tutti e pertanto l’Eucaristia spinge ogni credente in Lui a farsi «pane spezzato» per gli altri, e dunque ad impegnarsi per un mondo più giusto e fraterno. Pensando alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, dobbiamo riconoscere che Cristo ancora oggi continua ad esortare i suoi discepoli ad impegnarsi in prima persona: «Date loro voi stessi da mangiare» (Mt 14,16). Davvero la vocazione di «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 113 ―――――――――――――――― ciascuno di noi è quella di essere, insieme a Gesù, pane spezzato per la vita del mondo. Le implicazioni sociali del Mistero eucaristico 89. L’unione con Cristo che si realizza nel Sacramento ci abilita anche ad una novità di rapporti sociali: «la “mistica” del Sacramento ha un carattere sociale». Infatti, «l’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi». A questo proposito è necessario esplicitare la relazione tra Mistero eucaristico e impegno sociale. L’Eucaristia è sacramento di comunione tra fratelli e sorelle che accettano di riconciliarsi in Cristo, il quale ha fatto di ebrei e pagani un popolo solo, abbattendo il muro di inimicizia che li separava (cfr Ef 2,14). Solo questa costante tensione alla riconciliazione consente di comunicare degnamente al Corpo e al Sangue di Cristo (cfr Mt 5,23-24). Attraverso il memoriale del suo sacrificio, Egli rafforza la comunione tra i fratelli e, in particolare, sollecita coloro che sono in conflitto ad affrettare la loro riconciliazione aprendosi al dialogo e all’impegno per la giustizia. È fuori dubbio che condizioni per costruire una vera pace siano la restaurazione della giustizia, la riconciliazione e il perdono. Da questa consapevolezza nasce la volontà di trasformare anche le strutture ingiuste per ristabilire il rispetto della dignità dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. È attraverso lo svolgimento concreto di questa responsabilità che l’Eucaristia diventa nella vita ciò che essa significa nella celebrazione. Come ho avuto modo di affermare, non è compito proprio della Chiesa quello di prendere nelle sue «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 114 ―――――――――――――――― mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile; tuttavia, essa non può e non deve neanche restare ai margini della lotta per la giustizia. La Chiesa «deve inserirsi in essa per via dell’argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunzie, non può affermarsi e prosperare». Nella prospettiva della responsabilità sociale di tutti i cristiani i Padri sinodali hanno ricordato che il sacrificio di Cristo è mistero di liberazione che ci interpella e provoca continuamente. IV.d.1: In che modo aiutiamo i fedeli a essere sempre più consapevoli che ogni Celebrazione eucaristica attualizza sacramentalmente il dono che Gesù ha fatto della propria vita sulla Croce per noi e per il mondo intero, evitando i chiusi intimismi? E in che modo facciamo maturare nelle nostre comunità parrocchiali che «la “mistica” del Sacramento ha un carattere sociale» e cioè che la vocazione di ciascuno è quella di essere, insieme a Gesù, pane spezzato per la vita del mondo? «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 115 ―――――――――――――――― LITURGIA INIZIALE Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. PREGHIERA INTRODUTTIVA Signore Gesù, discendendo tra noi come uomo tra gli uomini, tu ti sei fatto solidale con la nostra natura umana e ci hai fatto comprendere quanto ci hai amato; condividendo senza esitazioni la povertà della nostra condizione e andando infinitamente al di là del peccato, tu ci hai rivelato quanto desideri che noi davvero ti apparteniamo. Nel mistero della tua morte e risurrezione, sempre vivo nel memoriale eucaristico, tu hai fatto scaturire per noi la sorgente inesauribile della grazia, hai segnato l’avvio della nuova creazione, ci hai chiamato a far parte del popolo della nuova alleanza. La tua presenza nella storia degli uomini e nella vita di ciascuno di noi ci è di immenso conforto nelle nostre debolezze. Noi abbiamo bisogno di te , nelle difficoltà piccole e grandi di ogni giorno, quando l’incomprensione dei fratelli o la malattia mette a dura prova le nostre povere forze, quando ci sembra di non potere uscire dal fitto delle tenebre che ci avvolgono da ogni parte, quando non riusciamo a sopportare la condizione di stranieri in questo mondo, pellegrini verso la tua casa. Il pane eucaristico che tu ci offri – tuo vero corpo e cibo soprannaturale che contiene in sé ogni dolcezza e ci sostiene con la sua forza- è il più grande dei benefici divini che potremmo ottenere in questa vita. Tu ci fai presagire il compimento delle tue promesse di vita eterna, ogni volta che nutrendoci di te, ci fai diventare membra del «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 116 ―――――――――――――――― tuo mistico corpo. Sii benedetto oggi e sempre, Signore Gesù, fonte della vita! • In ascolto della Parola DAL VANGELO DI GIOVANNI (6,48-51) Gesù rispose loro: “Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. • In ascolto dei Padri DAL TRATTATO “SUI MISTERI” DI SANT’AMBROGIO, VESCOVO (NN 43.47.49) È mirabile che Dio abbia fatto piovere la manna per i padri e che si nutrissero con un alimento quotidiano disceso dal cielo. Per cui fu detto: “l’uomo mangiò il pane degli angeli” (Sal 77,25). Ma quelli che mangiarono quel pane morirono tutti nel deserto; invece questo alimento che tu ricevi, questo “pane vivo disceso dal cielo” (Gv 6,51) somministra il sostentamento della vita eterna, e chiunque ne avrà mangiato “non morirà in eterno” (Gv 11,26) perchè è il corpo di Cristo. Ora fa’ attenzione se sia più eccellente il pane degli angeli mangiato dagli Ebrei nel deserto o la carne di Cristo la quale è indubbiamente un corpo che dà la vita. Quella manna veniva dal cielo,questo corpo è al di sopra del cielo. Quella era del cielo, questo del Signore dei cieli. Quella, se si conservava per il giorno seguente, si guastava, questo è alieno da ogni corruzione. Chiunque lo gusta con sacra «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 117 ―――――――――――――――― riverenza non potrà soggiacere alla corruzione. Per gli Ebrei scaturì acqua dalla rupe, per te sangue dal Cristo. L’acqua dissetò loro per un momento, te, invece, il sangue lava per sempre. Il giudeo beve e ha sete; tu, quando avrai bevuto non potrai mai aver più sete. Quell’evento era figura, questo è verità. Se quello che tu ammiri è ombra, quanto grande è la realtà presente di cui tu ammiri l’ombra. Senti come è ombra quello che si verificò presso i padri: “Bevevano”, dice, “da una roccia che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo”. Ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque e perciò furono abbattuti nel deserto. Ora ciò avvenne come esempio per noi (1Cor 10,4-6). Hai conosciuto ciò che vale di più: è migliore la luce dell’ombra, migliore la verità della figura, migliore il corpo del Creatore della manna del cielo. • In ascolto del Magistero DALL’ESORTAZIONE APOSTOLICA POSTSINODALE SACRAMENTUM CARITATIS DI PAPA BENEDETTO XVI Gesù nell’Eucaristia dà non “qualche cosa” ma se stesso; egli offre il suo corpo e versa il suo sangue. In tal modo dona la totalità della propria esistenza, rivelando la fonte originaria di questo amore. Egli è l’eterno Figlio dato per noi dal Padre. Nel Vangelo ascoltiamo ancora Gesù che, dopo aver sfamato la moltitudine con la moltiplicazione dei pani e dei pesci, ai suoi interlocutori che lo avevano seguito fino alla sinagoga di Cafarnao, dice: “Il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo” (Gv 6,32-33), ed arriva ad identificare se stesso, la propria carne e il proprio sangue, con quel pane: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 118 ―――――――――――――――― questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”(Gv 6,51). Gesù si manifesta così come il pane della vita, che l’eterno Padre dona agli uomini. (n.7) DALL’ENCICLICA DEUS CARITAS EST DI PAPA BENEDETTO XVI A questo atto di offerta Gesù ha dato una presenza duratura attraverso l’istituzione dell’Eucaristia, durante l’Ultima Cena. Egli anticipa la sua morte e risurrezione donando già in quell’ora ai suoi discepoli nel pane e nel vino se stesso, il suo corpo e il suo sangue come nuova manna (cfr Gv 6,31-33). Se il mondo antico aveva sognato che, in fondo, vero cibo dell’uomo – ciò di cui egli come uomo vive- fosse il Logos, la sapienza eterna, adesso questo Logos è diventato veramente per noi nutrimento – come amore. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione. L’immagine del matrimonio tra Dio e Israele diventa realtà in un modo prima inconcepibile: ciò che era lo stare di fronte a Dio diventa ora, attraverso la partecipazione alla donazione di Gesù, partecipazione al suo corpo e al suo sangue, diventa unione. (n.13) PREGHIAMO Signore Gesù, nel pane eucaristico, sei tu stesso come pane di vita eterna: “Io sono il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri nel deserto e sono morti, chi mangia questo pane vivrà in eterno”. Tu hai realizzato questa promessa quando hai distribuito ai «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 119 ―――――――――――――――― discepoli, durante l’ultima cena, nella vigilia della tua passione e morte, il pane e il vino, tuo corpo e sangue dato per amore, nuovo cibo di liberazione e salvezza, sacramento di riconciliazione e di comunione: così il tuo corpo trafitto e il sangue versato ci hanno liberati dalla morte e ci fanno vivere per sempre. Con fede e riconoscenza per il tuo dono acclamiamo: donaci sempre, Signore, di questo pane: esso ci sostenga, trasformi l’oscurità del dolore nello splendore di luce della tua risurrezione e ci renda coraggiosi testimoni per annunciare a tutti la salvezza che viene da te. Amen. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 120 ―――――――――――――――― LITURGIA CONCLUSIVA Professione di fede nel mistero eucaristico (tratta dal testo base in preparazione al 48° Congresso eucaristico internazionale del Messico - Ottobre 2004) Crediamo, Padre provvidente, che per la potenza del tuo Spirito, il pane e il vino si trasformano nel corpo e sangue del tuo Figlio, fior di farina che allevia la fame lungo il cammino. Crediamo, Signore Gesù, che la tua incarnazione si prolunga nel seme del tuo corpo eucaristico per nutrire gli affamati di luce e di verità, di amore e di perdono, di grazia e di salvezza. Crediamo che nell’Eucaristia ti prolunghi nella storia per sostenere la debolezza del pellegrino e di chi sogna di vedere il frutto del suo lavoro. Sappiamo che a Betlemme, “la casa del pane”, l’eterno Padre ha preparato – nel grembo della Vergine – il pane che egli offre agli affamati di infinito. Crediamo, Gesù vivente nell’Eucaristia, che la tua presenza è vera e reale nel pane e nel vino consacrati; così perpetui la tua presenza salvifica e offri alle tue pecore pascoli erbosi e acque tranquille. Con te, Agnello dell’alleanza, su ogni altare in cui ti offri al Padre, si elevano i frutti della terra e del lavoro dell’uomo, la vita del credente, il dubbio di chi cerca, il sorriso dei bambini, i progetti dei giovani, il dolore di chi soffre, l’offerta di chi si dona ai fratelli. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 121 ―――――――――――――――― Crediamo, Signore Gesù, che la tua bontà ha preparato una mensa al grande e al piccolo e che alla tua mensa diventiamo fratelli, fino a donare la vita gli uni per gli altri, come hai fatto tu per noi. Crediamo, Gesù, che sull’altare del tuo sacrificio recupera forza la nostra debole carne, non sempre pronta agli aneliti dello Spirito: trasformala tu a immagine del tuo corpo. INTERCESSIONI Illuminati dalla Parola di Dio, sostenuti dallo Spirito Santo e incoraggiati dalla voce della Chiesa che ci ripete l’insegnamento di Cristo, con cuore unanime e fiducioso rivolgiamo al Signore la nostra preghiera: O Gesù, pane vivo, ascoltaci. • Per la santa chiesa di Dio: perché ,fortificata dal pane della vita, cammini sulle strade del mondo annunciando con le parole e le opere il vangelo di salvezza. • Per i sacerdoti, ministri dell’altare: perché si conformino sempre più al mistero che celebrano, per la lode di Dio e l’edificazione del suo popolo. • Per tutti i cristiani in particolare per quelli impegnati: perché, nell’Eucaristia, segno di unità e vincolo di carità, vivano in comunione di fede e di amore. • Per tutti gli uomini: perché la comunione con il pane di vita tolga dal loro cuore ogni egoismo e li porti a realizzare la verità nella carità. • Per la nostra comunità diocesana: perché spezzando il pane di vita eterna impariamo a condividere anche il pane terreno e a crescere nell’unità di fede, speranza e carità. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 122 ―――――――――――――――― Ora preghiamo il Padre come Gesù, suo Figlio, ci ha insegnato: Padre nostro Signore Gesù che nel Sacramento del tuo corpo e del tuo sangue hai posto la sorgente dello Spirito che dà vita, fa che la tua Chiesa, spezzando il pane in tua memoria, diventi il germe dell’umanità rinnovata. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen. DIOCESI DI AVELLINO Preghiera per il II° congresso Eucaristico 2009-2010 “Il Pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6.51) Nel pane eucaristico che Tu ci dai, Signore Gesù, mangiamo la Tua carne, riceviamo la Tua la vita. In Te noi rimaniamo, e Tu in noi. Nel Tuo sangue, bevanda di salvezza, anche per noi il Padre pone il sigillo dell'alleanza perché, vivendo per Te, portiamo nelle vie del mondo il mistero dell’Amore, dono non per noi soli, ma per gli uomini, per il creato e la città, per i campi e gli uffici, le banche e le industrie, per le scuole e i luoghi delle arti e della cultura. Con Te faremo nostre le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri e di coloro che soffrono. Perché tutto per Te venga attratto e purificato, salvato e riconsegnato al Padre nel nostro quotidiano sacrificio spirituale in mezzo ai fratelli, unito al tuo sugli altari. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 124 ―――――――――――――――― Noi proclameremo di nuovo alla società che Tu non l'abbandoni, anche quando è lontana e sola e talvolta malata di disperazione. Aiutaci, affinché, trasformati in Tua carne, sappiamo essere presenti per la consolazione, il conforto e la speranza di molti. Vinci le divisioni esasperate, l’egoismo sociale i settarismi, i razzismi, tu che hai donato la tua carne per la vita del mondo. Attiraci a di Te che sei principe della pace e dell'unità. Così saremo davvero con Te un solo pane, un solo corpo, come Te donato per gli altri, offerto se necessario fino al dono della vita per tutti coloro che Tu ami, per entrare in comunione più profonda con la santa Trinità. Amen. ? Francesco Marino vescovo INDICE INTRODUZIONE DI MONS. FRANCESCO MARINO VESCOVO DI AVELLINO «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (GV 6,51) ... pag. 1. UN SIMBOLO: LA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI (VV. 1-15. 24-29) ...... pag. 2. IL PANE DISCESO DAL CIELO (VV. 30-50) ........................................... pag. 3. MANGIATE LA CARNE E BERE IL SANGUE (VV. 48-58) ....................... pag. 4. È LO SPIRITO, CHE DÀ LA VITA (VV. 59-71) ...................................... pag. 3 4 7 9 12 L’EUCARESTIA, MISTERO PASQUALE NELLA CHIESA PER IL MONDO 1. PREMESSA .......................................................................................... pag. 2. SINE DOMINICO NON POSSUMUS ...................................................... pag. 3. L’EUCARISTIA E COMUNIONE ECCLESIALE ...................................... pag. 4. L’EUCARESTIA FONTE E CULMINE DELLA VITA DELLA CHIESA ........ pag. 5. L’EUCARESTIA E LA MISSIONE DELLA CHIESA ................................. pag. 6. L’EUCARESTIA E IL SACERDOZIO MINISTERIALE ............................... pag. 7. EUCARISTIA E ACTUOSA PARTECIPATIO ............................................. pag. 8. CONCLUSIONI .................................................................................... pag. EUCARISTIA E CATECHESI ......................................................................... pag. EUCARISTIA E INIZIAZIONE CRISTIANA ..................................................... pag. EUCARISTIA E GIOVANI .............................................................................. pag. EUCARISTIA E ADULTI ................................................................................ pag. EUCARISTIA E LITURGIA ............................................................................. pag. LITURGIA E EUCARISTIA DOMENICALE ..................................................... pag. EUCARESTIA E RELIGIOSITÀ POPOLARE ..................................................... pag. EUCARISTIA E VITA MORALE ..................................................................... pag. EUCARISTIA E CARITA’ ............................................................................... pag. EUCARISTIA DONO D’AMORE .................................................................... pag. EUCARESTIA E SOFFERENZA ...................................................................... pag. 13 15 19 26 31 39 45 51 56 59 64 67 71 75 80 88 91 94 99 «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» ―――――――――――――――― 128 ―――――――――――――――― DIOCESI DI AVELLINO - FORANIA URBANA I. AUTENTICA PARTECIPAZIONE ........................................................... pag. II. LA CELEBRAZIONE INTERIORMENTE PARTECIPATA ......................... pag. III. EUCARISTIA, MISTERO DA VIVERE .................................................... pag. IV. EUCARISTIA, MISTERO DA OFFRIRE AL MONDO .............................. pag. LITURGIA INIZIALE ................................................................................... pag. LITURGIA CONCLUSIVA ........................................................................... pag. PREGHIERA PER IL II° CONGRESSO EUCARISTICO 2009-2010 ................... pag. INNO DEL II° CONGRESSO EUCARISTICO DIOCESANO ............................. pag. FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI MARZO 2010 PRESSO LA STAMPA EDITORIALE SRL STRADA STATALE 7/BIS - ZONA INDUSTRIALE DI AVELLINO 83030 – MANOCALZATI (AV) TEL. 0825– 62.69.66 - FAX 0825-61.08.88 105 107 110 112 116 120 123 125