La teoria della politica internazionale di Kenneth Waltz
Transcript
La teoria della politica internazionale di Kenneth Waltz
November 2015 La teoria della politica internazionale di Kenneth Waltz Author: Marzia Nobile Abstract Kenneth Neal Waltz was one of the most controversial theorist of international relations of the postwar period. He wrote several classics of the field, such as “Man, the State and War” and “Theory of International Politics”, and he was the founder of neorealism, or structural realism theory. According to Waltz, wars are not caused simply by human aggression or bad governments but by the anarchy of international relations. Furthermore, Waltz regarded the bipolar nuclear system, during the Cold War, as one of the most stable balances of power ever. In the essay “The Spread of Nuclear Weapons: More May Be Better” the author states that the nuclear proliferation can safeguard the stability of the international system. In such a system, States represent the real actors of the global scene, looking for the conservation of the international status quo. This paper aims at analyzing Waltz’s “Theory of International Politics” in order to underline his innovative and authentic point of view. Keywords: Kenneth Neal Waltz, Theory of international politics, Balance of power Language: Italian About the author MARZIA NOBILE MA in International Relations and Political Science, Sapienza – University of Rome [email protected] ISSN: 2281-8553 © Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 3 Indice ________________________________________________________________________________ 1. La vita e gli studi di Kenneth Neal Waltz .................................................................................4 2. L’uomo, lo Stato e la guerra e le altre opere ............................................................................4 3. La teoria del realismo strutturale e della politica internazionale ..............................................5 4. Lo Stato attore del sistema internazionale ................................................................................7 5. La migliore forma di governo del sistema internazionale.........................................................8 6. I Gulliver della Guerra Fredda ..................................................................................................9 7. Guerra, forza e autodifesa .........................................................................................................11 8. La teoria dell’equilibrio di potenza ...........................................................................................11 www.istituto-geopolitica.eu www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 4 1. La vita e gli studi di Kenneth Neal Waltz Il 12 maggio 2013 è venuto a mancare il principale teorico della corrente neorealista delle relazioni internazionali, Kenneth Neal Waltz. Le sue opere si sono rivelate fondamentali nel donare nuova linfa allo studio dei rapporti tra gli attori della scena globale, nonostante le critiche e il dissenso abbiano costituito una costante nella carriera di Waltz. Tutto ciò che l’autore ha scritto è andato in qualche modo ad urtare e a minacciare il clima di consenso implicito che regnava intorno alle teorie classiche delle relazioni internazionali. Kenneth Waltz nasce ad Ann Arbor, in Michigan, l’8 giugno 1924. Dopo aver prestato servizio militare durante la Seconda Guerra Mondiale, Waltz consegue la laurea in economia all’Oberlin College, in Ohio. In seguito, studia scienze politiche alla Columbia University e la sua tesi di dottorato, Man, the State and War: A Theoretical Analysis, viene pubblicata nel 1959. La carriera accademica di Kenneth Waltz ha inizio nel 1950 proprio alla Columbia University. In qualità di riserva dell’esercito, Waltz partecipa alla guerra in Corea per poi tornare ad insegnare nel 1957. Dopo aver cresciuto generazioni di studenti di diversi college ed università, tra cui Swarthmore, Brandeis e Berkeley, Kenneth Waltz torna infine alla Columbia nel 1997. 2. L’uomo, lo Stato e la guerra e le altre opere La prima opera dell’autore, Man, the State and War rappresenta un trattato di teoria politica e di storia del pensiero politico1. Il volume prende origine dagli appunti universitari di Waltz, il quale intende suddividere le teorie delle relazioni internazionali sulla base del livello di analisi cui appartengono2. La guerra e le sue cause sono, sin dall’antichità, argomento principe 1 Waltz N. K., Man, The State and War: A Theoretical Analysis, Columbia University Press, New York 1959; Chauprade A., Géopolitique, Ellipses Marketing, Parigi 2007, pp. 54-56. 2 Waltz N. K., Teoria della politica internazionale, Bologna, 1987, p. 12. www.istituto-geopolitica.eu degli studi sulle relazioni internazionali. Alcuni autori, inseriti da Waltz in un primo livello di analisi, hanno indicato l’uomo e la natura umana quali motivi scatenanti i conflitti. I teorici appartenenti al secondo livello si sono concentrati, invece, sul ruolo dei sistemi istituzionali degli Stati. Waltz nega il ruolo affidato all’uomo e alle istituzioni e afferma che la guerra è sempre esistita ed è stata combattuta da uomini diversi, in epoche e contesti diversi. Lo stesso uomo che dà origine al conflitto in ragione della sua potenziale natura malvagia non può, allo stesso tempo, volere la pace e la stabilità in un momento successivo. Le guerre, inoltre, sono state combattute da ogni genere di istituzione politica, dalla tribù allo Stato assoluto, fino ad arrivare al sistema democratico. Sulla base di queste considerazioni, Kenneth Waltz teorizza un terzo livello di analisi che possa spiegare le origini della guerra. Secondo lo studioso, la guerra si verifica a livello internazionale perché non c’è nulla e nessuno che possa fermarla. In un sistema fondato sull’anarchia il monopolio della forza non è nelle mani di alcun Leviatano. Con la pubblicazione nel 1964 del saggio intitolato The Stability of a Bipolar World, Waltz difende una tesi che appare in netta contrapposizione con quella sostenuta dagli altri teorici delle relazioni internazionali. Waltz afferma che la forma bipolare assunta dal sistema globale in seguito alla fine della Seconda Guerra Mondiale, in modo particolare dopo la crisi dei missili cubani nel 1962, ha diffuso un clima di fiducia tra gli Stati. Secondo alcuni, tra cui Kenneth Waltz, la stabilità era dovuta al dominio duopolistico del sistema da parte dei due giganti nucleari, Stati Uniti e Unione Sovietica; secondo altri il sistema internazionale stava muovendo, invece, verso il multipolarismo con una conseguente diffusione della “potenza” e l’emergere di forze autonome da Washington e Mosca. Nel 1967 Waltz pubblica il suo secondo libro, Foreign Policy and Democratic Politics: The American and British www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 5 Experience in cui confronta la politica estera della Gran Bretagna e degli Stati Uniti. In questo libro lo studioso tocca la questione della diversità delle condizioni in cui operano la politica interna e la politica estera degli Stati. Egli sottolinea le difficoltà che gli Stati democratici incontrano nel condurre una politica estera che sia anch’essa democratica, in ragione delle particolari condizioni di anarchia e di sopraffazione dell’ambiente internazionale. Sia i regimi democratici che quelli non democratici, dice Waltz, fronteggiano le stesse difficoltà interne nella definizione di una propria politica estera. Venti anni dopo l’analisi dei livelli, con la pubblicazione nel 1979 dell’opera Theory of International Politics, lo studioso dà origine alla teoria del realismo strutturale, o teoria neorealista. Il volume era già apparso in versione ridotta nel 1975 in The Handbook of Political Science”, curato da Greenstein e Polsby. Nel 1981, in piena Guerra Fredda, Waltz pubblica due scritti. Il primo, A Strategy for the Rapid Deployment Force, deve essere ricondotto alla crisi degli ostaggi in Iran nel 1979 e alle scelte operate dagli Stati Uniti nel reagire al sequestro dei diplomatici statunitensi nell’ambasciata a Teheran. Waltz discute nel saggio dei vantaggi che derivano dalla creazione di una forza specializzata in interventi rapidi. Il secondo saggio, The Spread of Nuclear Weapons: More May Be Better, rappresenta la prima di tante dichiarazioni a favore dei potenziali effetti positivi della diffusione graduale degli armamenti nucleari. «Di più può essere meglio», scrive lo studioso. Lo scoppio delle bombe nucleari in Giappone nel 1945 ha avuto un forte impatto sull’autore e l’evento ha condizionato la nascita di un nuovo sistema e di una nuova teoria delle relazioni internazionali. La proliferazione delle armi nucleari non rappresenta né l’affrancamento dei singoli Stati, inteso come rottura della condizione di inferiorità rispetto a Stati Uniti e URSS, né il venir meno della capacità di autocontrollo del sistema internazionale. Al contrario, per Waltz gli armamenti nucleari sono elementi www.istituto-geopolitica.eu rassicuranti che contribuiscono alla conservazione della pace globale. L’autore crede che un maggior numero di armi atomiche possa aumentare la stabilità internazionale. «I paesi che hanno armi nucleari coesistono pacificamente» dice Kenneth Waltz, «perché ognuno sa che l’altro può provocare dei danni spaventosi»3. Una tale argomentazione è stata portata avanti dallo studioso fino alla sua scomparsa. 3. La teoria del realismo strutturale e della politica internazionale Il neorealismo di Waltz si basa essenzialmente su tre principi: la centralità dello Stato-nazione, l’anarchia del contesto internazionale e la razionalità e l’autonomia degli attori politici. Lo Stato rappresenta per l’autore l’unità di riferimento dell’organizzazione politica, nonostante la presenza di una pluralità di altri attori sulla scena internazionale. Con il volume Theory of International Politics, Waltz intende dare vita ad una nuova teoria della politica internazionale. Con questo libro l’autore ridefinisce il concetto di mondo bipolare, contraddistinto da due potenze dominanti, e l’opera diviene ben presto uno spartiacque nello studio dei rapporti tra gli Stati sulla scena globale. Lo studio di Kenneth Waltz si inserisce all’interno dell’inaridimento del dibatto sulle relazioni internazionali negli anni ’70 del XX secolo. Lo studioso si occupa fondamentalmente di tre grandi questioni: il problema del livello di analisi, la struttura del sistema internazionale e la miglior forma di governo del sistema stesso. Il sistema internazionale viene definito dall’autore come anarchico, orizzontale, decentralizzato, omogeneo, non diretto e capace di mutua adattabilità, a differenza della realtà nazionale che appare «gerarchica, verticale, centralizzata, eterogenea, diretta e 3 Hollander J., Prof. Kenneth N. Waltz’s Political Realism Wins James Madison Lifetime Achievement Award in Political Science, 2000, (http://www.columbia.edu/cu/pr/00/03/kennethWaltz.ht ml). www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 6 artificiale»4. Una tale definizione giustifica il riferimento culturale dell’autore al pensiero realistico, ma allo stesso tempo Waltz ne prende le distanze quando afferma che «la differenza tra la politica nazionale ed internazionale non si trova nell’uso della forza, ma nella diversità dei modi di organizzarsi per impiegarla»5. In virtù di queste considerazioni, è necessario stabilire se lo studio delle relazioni internazionali debba procedere sulla base di un livello di analisi statuale o sistematico. L’autore prende le distanze da quelle teorie definite “riduzionistiche” che intendono spiegare i risultati internazionali attraverso elementi e combinazioni di elementi collocati a livello nazionale e sub-nazionale. «La pretesa di tali teorie», spiega l’autore, «è di spiegare delle conseguenze esterne attraverso il gioco delle forze interne»6. Waltz stabilisce come livello di analisi più appropriato quello rappresentato dal sistema, termine con il quale lo studioso intende indicare un insieme di unità interagenti formato da una struttura. La struttura è una categoria astratta che serve a identificare il modo in cui le parti si organizzano all’interno del sistema ed esiste sia nel sistema politico interno che in quello internazionale. Mentre nel primo la struttura evidenzia rapporti gerarchici tra le parti, nel secondo ne evidenzia il dominio dell’anarchia. Per Waltz l’anarchia, carattere distintivo della politica internazionale, è permanente e immodificabile. Scrive l’autore: la trama della politica internazionale resta assai costante, con modelli ricorrenti ed eventi che si ripetono senza fine. Le relazioni internazionali si modificano raramente […]. Il perdurante carattere anarchico della politica internazionale spiega la sorprendente uguaglianza della qualità della vita internazionale attraverso i millenni”7. «Le unità in un ordine anarchico», gli Stati, «agiscono nel proprio interesse e non per conservare un’organizzazione e per favorire il proprio successo al suo interno»8. Anarchia strutturata e immobile e Stati indipendenti, più che interdipendenti; questi i capisaldi del neorealismo di Kenneth Waltz. Quest’ultimo sostiene, in controtendenza, che l’interdipendenza tra gli Stati accresce i rischi di frizione nel sistema globale, piuttosto che aumentare le occasioni di contatto e di reciproco scambio. Scrive l’autore: molti sembrano credere che la crescente interdipendenza aumenti le possibilità di pace. Ma stretta interdipendenza significa anche contatti più stretti, e in tal modo si aumentano anche le possibilità di conflitti occasionali. Le guerre civili ed internazionali più feroci e sanguinarie si sono infatti combattute all’interno di arene popolate da individui molto simili e con interessi comuni9. Nel sistema bipolare, la forza degli Stati Uniti e dell’URSS deriva dal fatto che, a differenza dei grandi imperi del passato, queste due potenze sono state molto più autosufficienti dei loro predecessori. Unione Sovietica e Stati Uniti erano meno dipendenti a livello economico l’una dall’altra e da altri paesi rispetto a quanto lo furono le grandi potenze dei secoli precedenti. È dunque estremamente strano che “interdipendenza” sia divenuta la parola d’ordine per descrivere il mondo politico internazionale contemporaneo10. […] Gli Stati Uniti possono tirare avanti senza il resto del mondo meglio di quanto la maggior parte delle componenti di questo possa fare senza gli Stati Uniti11. L’“isolazionismo” rappresenta il perno intellettuale dello studioso ed è importante coglierne il significato per poter comprendere quella che è per Waltz la forma ideale del sistema internazionale. La bipolarità è per 4 Waltz N. K., Teoria della politica internazionale, cit., p. 216. 5 Ivi, p. 201. 6 Ivi, p.133. 7 Ivi, p.143. www.istituto-geopolitica.eu 8 Ivi, p. 215. Ivi, pp. 258-259. 10 Ivi, pp. 269-270. 11 Ivi, p. 295. 9 www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 7 l’autore quella condizione che impone al sistema globale la minor quantità di interdipendenza possibile. Meno obblighi di controllo reciproco e maggiori possibilità di mantenere lo status quo. Lo stato di natura del sistema internazionale, dice Waltz, è uno stato di guerra in ragione dell’anarchia che governa i rapporti tra gli attori globali, gli Stati. Partendo da un tale presupposto, lo studioso intende indagare la tendenza del sistema internazionale a convergere verso uno stato di equilibrio del potere (balance of power). Nel suo voler dare vita ad una teoria della politica internazionale sistemica, l’autore spiega le sue ragioni mediante la comparazione tra la microeconomia e le relazioni internazionali. Il frequente rinvio di Waltz al patrimonio teorico dell’economia è indice di una sorta di ammirazione per l’alto grado di consolidamento che ha raggiunto la teoria economica. Così come in microeconomia il comportamento delle aziende è dettato dalla natura concorrenziale del mercato all’interno del quale operano, l’atteggiamento degli Stati alla ricerca del potere deriva dalle caratteristiche del sistema anarchico nel quale convivono. Se obiettivo delle aziende è la massimizzazione del profitto, gli Stati, secondo Waltz, sono interessati a vedere garantita la propria sopravvivenza. In un mondo in cui regna l’anarchia, guidato da Stati che cercano di sopravvivere, ciascun paese è portato ad adottare politiche atte a garantire la propria salvezza. Nel sistema di balance of power non c’è potenza che prevalga sulle altre. Nel caso in cui uno Stato aspiri al dominio e all’imposizione della propria autorità sugli altri paesi, il tentativo egemonico deve essere bloccato mediante l’intervento di una coalizione che possa garantire il ritorno allo status quo. Pur attraverso tutti i mutamenti di confini, di forme sociali, economiche e politiche, di attività economiche e militari, la sostanza e lo stile della politica internazionale www.istituto-geopolitica.eu rimangono singolarmente costanti12. Gli Stati e le loro politiche cambiano, ma ciò avviene ad un livello inferiore, quello della volontà soggettiva delle parti del sistema, mentre la natura di quest’ultimo, o meglio della sua struttura, rimane immutabile. 4. Lo Stato attore del sistema internazionale Come detto in precedenza, uno dei principi su cui si fonda il neorealismo di Kenneth Waltz è quello della centralità dello Statonazione nel contesto internazionale. Secondo lo studioso, infatti, gli Stati creano la scena in cui rappresentano i loro drammi e i loro affari quotidiani insieme agli attori non-statali. Benché possano anche decidere di interferire poco negli affari degli attori non-statali, sono sempre gli Stati a stabilire i termini delle relazioni”. “[…] Quando giunge il momento critico, gli Stati cambiano le regole che consentono agli attori di operare13. Nonostante la diffusione di nuovi attori e di nuovi poteri, quali quelli economici, gli Stati, per l’autore, registrano un tasso di mortalità ben più basso di quello dei soggetti emergenti all’interno della comunità internazionale. Dire che i maggiori Stati conservano la loro importanza centrale, non vuol dire affermare che non esistono altri attori di una qualche importanza. La formula “Stato-centrica” si riferisce alla struttura del sistema, mentre i movimenti transnazionali fanno parte dei processi che avvengono all’interno di essa14. Secondo Waltz gli Stati sono unità uguali nel loro essere unità politiche autonome e sovrane, indipendenti e in competizione tra loro. La distinzione tra gli stessi si stabilisce in funzione delle rispettive potenzialità, 12 Waltz N. K., Reflections on Theory of International Politics: A Response to My Critics, in Keohane R. O. (a cura di), Neorealism and Its Critics, Columbia University Press, New York 1986, p. 329. 13 Waltz N. K., Teoria della politica internazionale, cit., p. 188. 14 Ivi, p. 189. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 8 potential capabilities, poiché, secondo lo studioso, «gli Stati sono contemporaneamente uguali e differenti, così come lo sono le imprese, le mele, le università e gli individui»15. Sono uguali nelle funzioni, non nella capacità di svolgerle16. Una potenza può essere definita tale se detiene potential capabilities in tutti i settori, non solo in quello militare. «Gli Stati», scrive l’autore, «usano mezzi economici per fini militari e politici e mezzi politici per salvaguardare o promuovere gli interessi economici»17. Tali potenzialità sono in primo luogo definite dalla coppia “posizione-risorse”, coppia che definisce la preminenza della geopolitica sull’ideologia. Gli attori statali, infatti, agiscono in funzione della propria sopravvivenza e dell’estensione della loro influenza e non in relazione alle proprie convinzioni ideologiche. Durante la Guerra Fredda «l’ideologia è stata subordinata all’interesse degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, che si sono comportati più come grandi potenze tradizionali che come leader di movimenti messianici»18. Allorché gli Stati accordano priorità all’ideologia, essi rischiano di naufragare e di diminuire la loro potenza. Emblematico per Waltz è il caso degli Stati Uniti. Quando Washington lancia un intervento in nome dell’ideologia, e non per un interesse strategico, registra insuccessi. La guerra del Vietnam, secondo lo studioso, è l’esempio perfetto dei limiti della forza militare, una guerra più ideologica che strategica che non ha apportato alcun vantaggio agli Stati Uniti. Per quanto concerne l’URSS, invece, Waltz crede che il sistema sovietico non sarebbe sopravvissuto così a lungo se avesse preposto l’ideale della rivoluzione all’interesse dello Stato. Lo studioso afferma come la geopolitica debba aiutarci ad allontanare l’idea molto diffusa secondo la quale la pace globale non potrà essere raggiunta se non attraverso il trionfo della democrazia nel mondo. Il 15 Ivi, p. 190. Ivi, p. 192. 17 Ivi, pp. 187-188. 18 Ivi, p. 316. sistema democratico non può assumere il ruolo di garante dell’equilibrio e della pace mondiale, così come la transizione dei regimi dittatoriali verso la democrazia non sarà in grado di mantenere la stabilità a livello internazionale. Nella sua posizione realista, Waltz è sostenuto da uno dei suoi discepoli, Christopher Layne, il quale insiste sulla frequenza delle guerre tra le democrazie sin dal XIX secolo. Layne rifiuta il principio secondo il quale una democrazia non affronta mai un’altra democrazia ed afferma come la natura stessa di un regime politico dipenda spesse volte dalla posizione internazionale dello Stato. In qualità di realista, Waltz vede le relazioni internazionali come un sistema di forze antagoniste, mentre la pace appare come il prodotto dell’equilibrio diplomaticomilitare delle forze summenzionate. 5. La migliore forma di governo del sistema internazionale L’autore è legato al concetto della bipolarità poiché ritiene che il sistema bipolare delle relazioni internazionali sia da preferire se obiettivo primario degli Stati è il mantenimento dell’equilibrio globale. Fino al 1945 il sistema degli Stati-nazione è stato multipolare ed è riuscito a resistere tre secoli, a partire dalla Pace di Westfalia nel 1648. Quando alcuni Stati tramontavano, altri salivano di rango attraverso la crescita relativa del loro potenziale. Il sistema continuava ad esistere anche quando cambiava l’identità dei suoi membri19. «In tutta la storia moderna la struttura della politica internazionale non è cambiata che una volta»20. Gli studiosi, secondo Waltz, sono affezionati al mondo in equilibrio di Metternich e Bismarck, un mondo in cui cinque grandi potenze erano in grado di esercitare influenza e di compiere manovre per guadagnare vantaggi sui vicini. Le grandi potenze erano allora definite secondo il loro “potenziale”, mentre oggi gli studiosi esaminano le “relazioni” tra gli Stati e dal loro carattere multilaterale deducono l’essenza multipolare del sistema internazionale. Sulla 16 www.istituto-geopolitica.eu 19 20 Ivi, p. 298. Ivi, p. 300. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 9 base di queste considerazioni, la dissoluzione dei blocchi è interpretata come simbolo della fine del bipolarismo, ma dedurre il bipolarismo dall’esistenza dei blocchi significa confondere le “relazioni” con il “potere” degli Stati. La bipolarità deriva dalla posizione predominante degli Stati leader dei blocchi, non certo dalla contrapposizione tra i blocchi stessi21. Inoltre l’arma nucleare non è per l’autore uno strumento livellatore. Il mondo è stato bipolare anche negli anni ‘40, quando gli Stati Uniti possedevano poche bombe atomiche e l’Unione Sovietica nessuna. Le armi nucleari non rendono uguali gli Stati poiché non trasformano le basi economiche del potere di un paese22. Il passaggio dal sistema bipolare al sistema multipolare si ha per Waltz quando nel sistema internazionale emergono almeno quattro potenze dominanti. Quattro è «il più basso numero accettabile, poiché esso consente allineamenti esterni e comporta una considerevole responsabilità». Nel caso di un sistema composto da tre potenze è possibile che una si allei con un’altra contro la terza, riportando il sistema ad una situazione di bipolarismo. In un sistema di cinque potenze, invece, la quinta può assumere il ruolo di “equilibratore”, come fu per la Gran Bretagna tra il XVIII e il XIX secolo, quando rimase in disparte e giocò un importante ruolo diplomatico in Europa. Il numero cinque però, scrive Waltz, non ha alcuna attrattiva particolare poiché non c’è ragione per credere che la parte dispari sia in grado e abbia l’intenzione di fungere da “equilibratore”23. La differenza sostanziale tra sistema bipolare e multipolare concerne il diverso modo in cui gli Stati creano l’equilibrio. Se ci sono due potenze in competizione, gli squilibri possono essere superati solo attraverso sforzi interni, mentre con due o più parti i cambiamenti di allineamento forniscono un ulteriore mezzo di aggiustamento del sistema24. Secondo lo studioso, il sistema multipolare 21 Ivi, p. 244. Ivi, pp. 329-330. 23 Ivi, p. 302. 24 Ivi, pp. 299-300. incoraggia per natura la reversibilità delle alleanze. In un tale sistema, ci sono troppe potenze perché sia possibile che ciascuna di esse tracci una linea chiara e definita tra alleati e avversari, e ce ne sono troppo poche per mantenere bassi gli effetti di una defezione. La flessibilità delle alleanze rende incerte le valutazioni degli Stati riguardanti i rapporti di forza presenti e futuri mentre l’interdipendenza militare aumenta25. In maniera paradossale, Kenneth Waltz ritiene che il rischio di una guerra globale sia più probabile oggi che non durante la contrapposizione tra i due blocchi. Nel sistema bipolare c’era la certezza della fonte del pericolo, mentre nel sistema multipolare i pericoli sono diffusi, le responsabilità non chiare e la definizione degli interessi nazionali è nascosta26. Lo scetticismo concernente le virtù del bipolarismo deriva, secondo l’autore, dalla confusione degli studiosi che considerano bipolare un sistema costituito da due blocchi formatisi in un mondo multipolare. In un mondo multipolare, i leader dei due blocchi devono preoccuparsi della direzione dell’alleanza e della strategia e degli obiettivi del blocco opposto. In un mondo bipolare, invece, i leader dell’alleanza possono cercare il massimo contributo dei propri alleati, ma questi ultimi sono soltanto utili e non indispensabili come in un sistema multipolare. 6. I Gulliver della Guerra Fredda In relazione ai blocchi statunitense e sovietico, Waltz crede che l’URSS sarebbe stata in ogni caso il competitor degli Stati Uniti durante la Guerra Fredda, anche senza la minaccia della bomba atomica. Le due superpotenze vengono immaginate da molti come grandi Gulliver immobilizzati dal loro potenziale nucleare, Gulliver legati e non “padroni dalle mani libere”. Stati Uniti ed Unione Sovietica erano reciprocamente bloccati dalla forza nucleare dell’altro, ridotte al rango delle potenze minori nelle questioni politiche importanti. Secondo alcuni, la concentrazione delle potenzialità non produce 22 www.istituto-geopolitica.eu 25 26 Ivi, p. 308. Ivi, p. 313. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 10 effettivo potere ed il potere assoluto può condurre ad un’assoluta impotenza. Le migliori armi di Stati Uniti e URSS non erano utilizzabili. Per Waltz, parte di questa tesi è valida. Quando le grandi potenze si trovano in una situazione di stallo, quelle minori possono guadagnare maggiore libertà. Nella storia, gli Stati deboli hanno spesso trovato delle possibilità di manovra negli interstizi dell’equilibrio di potenza, ma ciò non ci dice nulla sulla forza del debole o sulla debolezza del forte. L’obiettivo delle superpotenze era ed è infatti quello di perpetuare lo stallo internazionale, lo status quo, come base minima per la propria sicurezza, sebbene ciò significhi che il carico della sicurezza internazionale ricade solo su di loro. Benché possano avere un ruolo maggiore, le armi nucleari sono un deterrente per le armi nucleari e servono anche a limitare l’escalation. Il mancato utilizzo di queste ultime da parte della grandi potenze non diminuisce l’importanza della loro forza, poiché il vero potere risiede nella capacità di non utilizzare la forza stessa. Gli Stati potenti hanno meno bisogno di ricorrere alla forza rispetto agli Stati deboli perché essi possono proteggere i propri interessi attraverso altri strumenti: la persuasione o la seduzione, la contrattazione economica e il ricatto, gli aiuti e le minacce. Waltz afferma che le grandi potenze si trovano nella migliore posizione possibile quando le armi da esse usate sono tali da rendere altamente improbabile lo scoppio della guerra27. L’aumento del costo della forza e la diminuzione della sua utilità e utilizzabilità sono per Waltz un bene per l’intero sistema internazionale. Per lo studioso, infatti, è necessario tracciare una linea di demarcazione tra i termini “conquistare” e “governare”28. Per governare non serve la forza e gli Stati Uniti e l’URSS ne hanno fatto un uso minore rispetto alle grandi potenze del passato. L’utilità della forza è erroneamente identificata con il suo uso. Accade spesso, scrive l’autore, che coloro che cercano di identificare le grandi potenze attraverso un’attenta valutazione dei loro potenziali finiscano per separare il potere economico, militare e politico. Henry Kissinger, ad esempio, quando era Segretario di Stato, osservò che sul piano militare vi erano due superpotenze, ma dal punto di vista economico era possibile indicare al tempo almeno cinque “raggruppamenti maggiori”. Aggiungeva che il potere non era più omogeneo, mentre nel corso della storia il potenziale militare, economico e politico erano stati strettamente collegati. La forza militare non garantiva più l’influenza politica. 27 29 28 Ivi, pp. 334-342. Ivi, pp. 347-348. www.istituto-geopolitica.eu I giganti economici possono essere militarmente deboli, e la forza militare non può essere in grado di nascondere la debolezza economica. Certi paesi possono esercitare un’influenza politica anche se non hanno forza né economica né militare29. Le nazioni vengono quindi considerate delle superpotenze anche se hanno solo alcune delle caratteristiche che un tempo venivano considerate necessarie e il numero desiderato di grandi potenze si ottiene proiettando il futuro nel presente. Altro errore che, secondo Waltz, viene commesso dagli analisti è quello di dedurre lo status di un paese dalla politica posta in essere verso di esso. L’autore propone l’esempio del Presidente Nixon, che fece l’errore di considerare la Cina una superpotenza, influenzato dalla politica estera americana nei confronti di Pechino. Il nuovo rango attribuito alla Cina viene indicato dallo studioso come «il più grande atto di creazione dall’epoca di Adamo ed Eva, e soprattutto, il riflesso dello status di superpotenza degli Stati Uniti. Un paese può anche diventare superpotenza se lo si tratta come tale»30. Secondo Waltz, non si possono definire potenze quegli Stati che potrebbero essere tali solo nel futuro e la Cina, per lo studioso, era una potenza economica, non militare. Gli Stati che costituiscono un sistema basato sull’autodifesa sono costretti a servirsi della totalità delle proprie potenzialità. 30 Ivi, pp. 244-245. Ivi, pp. 245-246. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 11 7. Guerra, forza e autodifesa Tra gli Stati, lo stato di natura è uno stato di guerra. Per lo studioso, ciò non va inteso nel senso di una presenza continua della guerra tra le nazioni, quanto piuttosto come situazione in cui ogni paese può decidere in maniera autonoma sul ricorso alla forza e in cui la guerra può scoppiare in qualsiasi momento. «L’anarchia, o assenza di governo, è associata nei gruppi sociali come fra gli Stati all’evenienza della violenza». Nonostante ciò, le guerre più distruttive nei cento anni che seguirono la sconfitta di Napoleone non ebbero luogo tra gli Stati, ma al loro interno. La lotta finalizzata alla conquista e alla conservazione del potere, per stabilire l’ordine e per affermare la giustizia all’interno degli Stati, può essere anche più sanguinosa della guerra tra gli stessi. L’uso della forza e il timore del suo uso non sono, dunque, cause sufficienti per distinguere gli affari interni da quelli internazionali. La distinzione non si basa sull’uso della forza, ma nella diversità dei modi di organizzarsi per impiegarla31. Nel settore nazionale, un regime effettivo ha il monopolio dell’uso legittimo della forza e i cittadini non devono prepararsi a difendere se stessi. Nel sistema internazionale, invece, la forza corrisponde all’autodifesa, e in un tale contesto le considerazioni sulla sicurezza subordinano il guadagno economico dello Stato ai suoi interessi politici. Da ciò deriva l’inevitabilità delle spese di difesa, nonostante la loro improduttività. Scrive l’autore che «il successo è costituito dal mantenimento dell’autonomia, piuttosto che dall’aumento del benessere»32. A livello nazionale, la forza di un regime è esercitata in nome del diritto e della giustizia, mentre a livello internazionale la forza è impiegata da uno Stato per la propria protezione e vantaggio, e l’uso di tale forza non minaccia il sistema e la sua legittimità, così come avviene nel sistema interno, ma solo i suoi membri. «In politica la forza viene considerata come l’ultima ratio; in politica internazionale la forza non serve solo come ultima ratio ma anche come prima 31 32 Ivi, pp. 199-201. Ivi, p. 207. www.istituto-geopolitica.eu e costante». Secondo Waltz, la costante possibilità del ricorso alla forza limita gli interventi, modera le domande e serve come incentivo per la risoluzione delle dispute, così come accade nei rapporti tra imprenditori e sindacati in relazione al ricorso allo sciopero. È la possibilità che i conflitti industriali portino a lunghi e costosi scioperi che incoraggia le parti in causa a lavorare duramente per giungere ad un 33 compromesso . La sicurezza, dunque, non l’egemonia, è il primo fine degli Stati e investire nella forza non vuol dire usarla. Mantenere l’equilibrio senza usare la forza è il vero obiettivo e il non ricorso alla forza è la dottrina dei potenti che posseggono altri strumenti di persuasione. 8. La teoria dell’equilibrio di potenza In un sistema basato sull’autodifesa, chi non si auto-difende è destinato all’insuccesso e a subire le condizioni imposte dagli altri Stati. Il timore di una tale situazione può, però, portare gli Stati a comportarsi in modi che tendono a quella che l’autore definisce creazione di equilibrio. Secondo la teoria dell’equilibrio, se alcuni ottengono dei buoni risultati, gli altri li imiteranno o saranno destinati a perire lungo la strada. Gli equilibri, inoltre, tendono a formarsi sia che alcuni, o la totalità degli Stati, abbiano coscientemente lo scopo di stabilire e conservare l’equilibrio, sia che aspirino al dominio universale. La politica dell’equilibrio prevale per Waltz ovunque siano soddisfatte due esigenze: che l’ordine sia anarchico e che le unità abbiano come scopo primario la propria sopravvivenza. Così come ogni teoria considera alcuni soggetti e ne trascura altri, la teoria dell’equilibrio è una teoria dei risultati prodotti dalle azioni non coordinate degli Stati. Secondo lo studioso, dunque, la teoria dell’equilibrio tende a formarsi in modo ricorrente fra gli Stati, i quali tendono ad emulare le politiche di successo degli altri paesi. L’imitazione, infatti, è molto diffusa tra gli Stati in competizione. Waltz afferma che l’equilibrio di potenza ha raggiunto il suo 33 Ivi, pp. 216-218. www.geopolitica-rivista.org Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 12 apogeo nel XVIII secolo, quando un gran numero di grandi potenze interagivano e compensavano la trasformazione della distribuzione del potere attraverso un repentino cambiamento di alleanze, data l’assenza di divergenze ideologiche o di altro tipo. La storia però offre altri esempi che non fanno altro che confermare la teoria; casi di Stati che, volenti o nolenti, hanno formato equilibri di potere, nonostante esistessero forti ragioni contro una loro eventuale cooperazione. All’interno del sistema delle alleanze, Waltz distingue infatti due attitudini fondamentali e opposte: una tendenza centripeta, bandwagoning, che consiste nell’allineamento alla potenza dominante, a livello locale o mondiale, e una tendenza centrifuga, balancing. Quest’ultima consiste nel contro-bilanciamento della potenza dominante attraverso alleanze con altri Stati più deboli. L’attrazione verso il polo più vulnerabile permette alle medie potenze di sfuggire al vassallaggio da parte delle superpotenze. Una tale tesi viene in seguito ripresa da Stephen Walt che ribalta la teoria dell’equilibrio del potere per trasformarla nella teoria dell’equilibrio della minaccia. Non ci si aspetta che uno Stato forte cerchi l’appoggio di un altro Stato forte per accrescere la propria potenza sugli altri, quanto piuttosto che essi entrino in competizione e cerchino alleati che potrebbero aiutarli. Nell’anarchia, la sicurezza è il fine più alto e solo se la sopravvivenza è assicurata gli Stati possono cercare di raggiungere altri obiettivi. Poiché il potere è un mezzo, e non un fine, gli Stati preferiscono scegliere la più debole delle coalizioni perché all’interno di questa sono più sicuri e stimati, così come le potenze più forti cercano alleati minori. «Uno Stato sovrano decide da sé come affrontare i problemi interni ed esterni inclusa la possibilità di cercare l’assistenza di altri e, così facendo, di limitare la propria libertà»34. Nello scontro USA-URSS, ad esempio, l’Europa appariva a Kenneth Waltz un buon alleato per gli Stati Uniti, ma ancor meno pericoloso e più produttivo doveva essere per Washington trattare con i singoli Stati europei. Se gli Stati volessero massimizzare il proprio potere, si alleerebbero alla coalizione più forte e in questo caso si assisterebbe alla creazione di un’egemonia mondiale. Ciò non accade perché il comportamento indotto dal sistema è quello equilibratore; perché obiettivo degli Stati non è massimizzare il potere, ma conservare la propria posizione nel sistema. Waltz propone l’esempio del racconto di Tucidide sulla Guerra del Peloponneso per una maggiore comprensione della formazione delle alleanze. Le città-Stato minori della Grecia consideravano come tiranno la più forte Atene e come liberatore la più debole Sparta. Tucidide credeva che tale giudizio fosse naturale in quelle circostanze e che le parti di tiranno e di liberatore non corrispondevano ad alcuna qualità morale permanente. Si trattava di maschere che sarebbero cambiate quando l’equilibrio del potere fosse mutato. Gli Stati, quindi, cercano l’equilibrio del potere piuttosto che la sua massimizzazione. Secondo l’autore, «gli Stati possono permettersi raramente di fissare come proprio obiettivo la massimizzazione del potere. La politica internazionale è un affare troppo serio per consentire ciò»35. Per concludere con le parole dell’autore: oltre quello della sopravvivenza, gli Stati possono avere un numero infinito di altri obiettivi dall’ambizione di conquistare il mondo al desiderio isolazionista. Ma la sopravvivenza è un prerequisito per raggiungere qualsiasi obiettivo che non sia la propria scomparsa come entità politica. La sopravvivenza va considerata come “terreno di azione” in un mondo in cui la sicurezza degli Stati non è affatto certa, piuttosto che come semplice descrizione dell’impulso motivante ogni atto dello Stato36. 35 34 Ivi, p. 190. www.istituto-geopolitica.eu 36 Ivi, pp. 222-240. Ivi, p. 183. www.geopolitica-rivista.org
Documenti analoghi
Print this article - Governare la paura
percepisse – doveva pesare non poco sul modo in cui il lettore italiano
avrebbe recepito allora, e negli anni successivi, il lavoro di Waltz.
L’intera struttura argomentativa di Theory of Internati...
Capitolo V - universita` italiane
3. condividono la convinzione che le spiegazioni dei risultati della politica internazionale
possano essere derivati dall’analisi delle azioni e delle interazioni degli stati e di altri attori
4. b...