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Il genio femminile nella rivoluzione assistenziale italo-britannica dell’800.
Cristina Petrucci, Loreto Lancia,
Università degli Studi dell’Aquila
Studiando il pensiero di alcuni personaggi che hanno fatto la nostra storia e che sono vissuti nei
secoli passati, si rimane sorpresi dalla forte attualità delle loro idee. La potenza di queste idee
riesce a squarciare il velo del tempo e ad illuminarci fin nel presente. Molte sono le grandi
personalità di questo tipo, ed in questa relazione si porrà l’attenzione su due donne vissute
nell’800 che hanno avuto un peso rilevante sulla nostra storia (anche infermieristica), Cristina
Trivulzio di Belgiojoso e Florence Nightingale, evidenziando l’attualità del loro pensiero e del
loro operato in relazione al concetto di salute, così come oggi viene inteso.
L’OMS, avendo come mission la promozione della salute, ha dato di quest’ultima una
definizione, nel 1948, e negli anni successivi ha delineato i percorsi e le strategie che i governi
avrebbero dovuto mettere in atto per garantire la salute a tutti i popoli.
Oggi sappiamo per certo che la salute è un concetto molto complesso: non è certamente uno
stato immutabile, ma piuttosto una condizione di equilibrio dinamico, al quale concorrono
innumerevoli fattori: i determinanti della salute1. Una parte di questi fattori (patrimonio
genetico, età, fattori costituzionali) non è modificabile, allo stato attuale almeno, anche se la
comunità scientifica sta progredendo molto nella terapia genica. Altri determinanti invece sono
modificabili (totalmente o parzialmente) come l’ambiente, le prestazioni sanitarie e i fattori
socio-economici. Questi ultimi sono particolarmente importanti nel determinare la salute di un
individuo-popolazione2, poiché a loro volta incidono sui prerequisiti della salute: reddito e
continuità delle risorse, cibo (acqua sana), istruzione, pace, casa, stabilità, giustizia ed equità
sociale.
Sui determinanti della salute che possono essere corretti e trasformati si inseriscono le grandi
idee delle nostre due eroine.
“Io vorrei che si formasse in Italia una vastissima associazione, nella
quale si inscrivessero tutti gli uomini dotati di buon senso, di
patriottismo e di onestà, allo scopo di mettere in comune le loro
facoltà, i loro mezzi e i loro pensieri, per sollevare il povero dalla
miseria, l’ignorante dalle sue tenebre, e per procurare a tutti
l’opportunità di lavorare e di fruire dei vantaggi dell’industria e del
commercio..…”
C. Trivulzio di Belgiojoso
1
CSDH. Closing the gap in a generation: health equity through action on the social determinants of health. Final
report of the Commission on Social Determinants of Health. Geneva, World Health Organization 2008.
2
Badura, B - Scientific foundations for a public health policy in Europe - Juventa, Weinheim, 1995.
Cristina Trivulzio di Belgiojoso nacque nel 1808 da famiglia nobile e tra le più ricche della
Lombardia. Questo, unito alla sua vivace intelligenza, le garantì senz’altro un’educazione tra le
migliori dell’epoca, portata avanti da istitutori privati, che le fornì un background culturale a
tutto campo, anche dal punto di vista artistico (suonava e dipingeva molto bene) oltre che dal
punto di vista umanistico. Di quest’ultimo approfondì soprattutto la storiografia, grazie alla
frequentazione con Augustin Thierry e Francois Mignet, apprezzati storici dell’epoca. La
conoscenza approfondita della storia costituì le fondamenta di tutta la sua vita, di tutte le sue
scelte. “Nozioni sul passato e sul presente verificate e dimostrabili dovevano aiutare a
rispondere agli interrogativi sulle leggi del cambiamento e del progresso, chiarire i dubbi sul
significato e lo scopo dell’esistenza umana. Il compito della storiografia era di dare un indirizzo
all’azione sociale e politica attraverso la conoscenza storica” 3.
Fervente patriota e, per un periodo, affiliata alla Carboneria, si trovò per una serie di vicende
della sua vita, a partecipare come esule ai movimenti rivoluzionari dell’epoca, e, nonostante la
sua condizione di donna dell’800 che certamente costituiva un grande “limite”, riuscì ad avere
un ruolo di primo piano, ma successivamente misconosciuto, nella costituzione dell’unità
d’Italia. Se fosse stata un uomo certamente tutto il suo operato avrebbe avuto ben altra
risonanza, ma gli uomini dell’epoca e delle epoche successive non le perdonarono mai di essere
una donna, e soprattutto di essere una donna intelligente, indipendente, dotata di una grande
capacità critica, di una non comune lungimiranza e razionalità. In seguito fu descritta come
donna dalla dubbia moralità, solo per essersi separata dal marito e per essere riuscita a vivere la
propria vita in maniera autonoma e non all’ombra di un personaggio maschile.
A tal proposito Beaudelaire affermava che per l’epoca innamorarsi di una donna intelligente era
indice di omosessualità.
Cristina di Belgiojoso fu caratterizzata da grande umanità e generosità: quando si impegnava in
qualcosa, lo faceva con grande impeto e determinazione.
E’ difficile parlare della sua figura poliedrica. Non c’è stato un campo di cui non si sia occupata
e sul quale non abbia lasciato la propria impronta.
Certamente le sue idee così straordinariamente moderne sono nate dal contatto con tutti i grandi
intellettuali dell’epoca (oltre ai già citati Thierry e Mignet, possiamo ricordare Heine, de
Musset, Balzac, Tommaseo, Listz, Chopin, Bellini, Poerio, Mamiani, Maroncelli, Gioberti,
Fauriel, Thièrs, Mérimée e tanti altri). Questi contatti hanno trovato un terreno fecondo nella sua
vasta cultura dove hanno potuto attecchire grandi idee.
Cristina ha avuto la grande intuizione che la “libertà era priva di senso se il popolo non avesse
acquistato il benessere materiale che non doveva, però essere disgiunto dallo spirito di carità e
di dedizione all’umanità. La giustizia non consisteva nella distribuzione uniforme di ciascun
vantaggio a ciascun individuo, né nella concentrazione di tutti i vantaggi nelle mani di alcuni a
detrimento degli altri, ma nella distribuzione proporzionale e comparativa di questi vantaggi, in
un’infinità di gerarchie differenti”4.
Non si può in questa breve relazione dare soddisfazione a tutto ciò che Cristina ha fatto e
affrontato nella sua vita relativamente breve (è morta all’età di 63 anni), ma il filo conduttore di
tutta la sua esistenza è la sua già citata profonda convinzione che non si può disgiungere il
sociale dalla politica. Come già accennato all’inizio, in questa relazione si cercherà di porre in
risalto la grande attualità del suo pensiero e delle sue azioni per ciò che riguarda la salute degli
individui e delle popolazioni.
3
Rӧrig K. Gli scritti di Cristina di Belgiojoso tra storiografia e politica” in “La prima donna d’Italia-Cristina
Trivulzio di Belgiojoso tra politica e giornalismo” . FrancoAngeli Storia. 2010. Pag.29.
4
Proia G. in “La prima donna d’Italia-Cristina Trivulzio di Belgiojoso tra politica e giornalismo”. FrancoAngeli
Storia, 2010, Pag. 127.
Cristina di Belgiojoso riformatrice sociale
“La prosperità e l’agiatezza universale è il risultato della prosperità ed agiatezza individuale, ma
non perdiamo di mira che senza di quella, questa non è sperabile, o è precaria. Fissiamo lo
sguardo al moto che si danno attorno a noi i popoli che ci precedono nella carriera del ben
essere sociale. I primi passi sono l’intelligenza reciproca, sono la combinazione degli interessi
particolari coi generali, sono il ravvicinamento delle tendenze, sono le leghe doganali, sono
l’agevolamento delle comunicazioni. I lumi si diffondono, il patrimonio dell’intelligenza
diventa patrimonio comune”5.
“Io desidero caldamente il bene di questi poveri, e mi adopero quanto so; ma non trovo chi mi
porga la mano, mi aiuti, mi accompagni nella mia impresa, per cui mi duole il pensare che le
istituzioni da me fondate rimanendo nei brevi confini del mio villaggio, non avranno influenza
sulla condizione generale del paese, anzi andranno a poco a poco spegnendosi dopo che sarò
spenta io”6.
Questi due passi già ci fanno comprendere quale grandezza d’animo albergasse nella
Principessa. Non dobbiamo dimenticare che Cristina era ricca e nobile, quindi godeva di molti
diritti che potevano renderle il cuore duro nei confronti della popolazione contadina. Così non è
stato. Nella sua posizione di possidente diede vita a Locate, paese dei Trivulzio ad una serie di
iniziative che lo avrebbero reso il paese più progredito d’Italia. Si ispirò alle teorie di Claude
Henry de Saint Simon e di Charles Fourier, con le quali era venuta in contatto durante il suo
soggiorno parigino, frequentando dei corsi d’insegnamento insieme a Piero Maroncelli, appena
scarcerato dallo Spielberg. La Principessa trovò in tali teorie la conferma che la evoluzione
politica dell’Italia faceva parte di una evoluzione politica complessiva della società. Quindi
l’indipendenza italiana si incasellava in un più grande puzzle di emancipazione generale
dell’umanità. Fece proprio il pensiero secondo il quale il nascente progresso industriale avrebbe
consentito all’umanità di raggiungere la pace universale tramite il miglioramento della sorte
morale, fisica e intellettuale degli uomini. Era quindi sua profonda convinzione che agli esseri
umani andavano garantiti quelli che noi oggi abbiamo identificato essere i “determinanti della
salute”. Sfrondò il programma societario che stava per realizzare a Locate, di ogni elemento
sovversivo e libertario, rifiutando l’idea fourierista dell’amore e il valore ad esso attribuito nel
falansterio7. Con il rigore che aveva acquisito attraverso la metodologia storica, aveva già
effettuato una approfondita analisi sulla situazione della Lombardia, tenendo in considerazione
la sua posizione geografica, le sue potenziali ricchezze, e aveva osservato che, nonostante la
grande e fertile quantità di terra disponibile, la popolazione non riusciva ad accrescersi, essendo
costretta a lottare ogni giorno per vivere, lavorando in stato di povertà e malnutrizione8.
All’inizio degli anni ’40 quindi la Principessa lasciò Parigi e si trasferì nel suo castello di
Locate. “Nell’arco di 7 anni fondò a proprie spese un asilo infantile, scuole elementari superiori
per entrambi i sessi, allestì una camera nel suo castello per gli infermi che avevano bisogno di
cure particolari e diede vita a laboratori per pittori, restauratori di quadri e rilegatori di libri.
Compiva inoltre visite domiciliari per sorvegliare le famiglie, la pulizia delle loro case e per
soccorrere i malati fornendo loro anche le medicine. Preoccupata dell’istruzione intesa anzitutto
5
C. Trivulzio di Belgiojoso. Gazzetta Italiana, n.3, 20 maggio 1845.
6
Malvezzi A. La Principessa Cristina di Belgiojoso, Milano, Treves, 1936-37, pag. 344.
7
Malvezzi A., La Principessa Cristina di Belgiojoso, Milano, Treves, 1936-37, pag. 365.
8
Belgiojoso C. Le paysans de la Lombardie in “Democratie pacifique”, 128, 5 novembre 1844.
come avviamento al lavoro, aggiunse in seguito una scuola di lavori femminili per le ragazze,
una scuola di geometria applicata alla tecnica agraria e una scuola di canto”9.
Diede regole molto rigide alla vita del paese: chiusura delle osterie dopo le 9 di sera e durante
le funzioni religiose; obbligatorietà da parte dei parenti di far frequentare la scuola ai figli;
arresto per ladri e attaccabrighe. In seguito a queste fu constatato dalla stessa Cristina un
miglioramento nella vita sociale del paese10.
Con una circolare del 1842 chiese ai proprietari della Bassa Lombardia di destinare una piccola
parte dei propri introiti ad opere di carità, come la costituzione di un orfanotrofio, che avrebbero
avuto certamente un ritorno economico positivo anche per gli stessi proprietari, fornendo a
lungo andare manodopera onesta e laboriosa. Aveva già all’epoca ben chiaro il concetto che una
nazione può crescere, economicamente e moralmente, soltanto se al suo popolo vengono
garantite alcune condizioni fondamentali per poter sviluppare tutte le sue potenzialità.
Successivamente, nel 1945, nell’Appendice della Gazzetta privilegiata di Milano11 si legge: “Il
soggiorno della signora Principessa Cristina di Belgiojoso, nata Marchesa Triulzi in Locate, che
fu già negli anni scorsi contrassegnato dalla istituzione di considerabili pubbliche beneficienze,
ha in quest’anno dato luogo all’attivazione di due stabilimenti, che per essere in questi luoghi
affatto nuovi, meritano, a parer mio, di essere portati a cognizione del pubblico. … Fin dal
principio dell’inverno la signora Principessa aveva ideato l’erezione in Locate di un pubblico
scaldatojo, dove potessero gl’individui, se non di tutte, almeno della maggior parte delle
famiglie ond’è composta la popolazione del principale abitato del Comune ripararsi dal rigore
della stagione; e quanto alle donne, attendervi ben anche agli ordinari loro lavori. Questa idea fu
ben tosto realizzata dietro le disposizioni da essa impartite, e scorso appena il tempo necessario
all’adattamento del locale venne infatti attivato lo scaldatojo in un’ampia sala comodamente
capace per 300 piazze”.
Quotidianamente venivano forniti anche pasti caldi nella struttura. Inoltre in varie ore della
giornata veniva data lettura di libri “adatti alla comune intelligenza” e veniva mantenuta la
pratica delle preghiere collettive, specialmente quelle serali.
L’attività intrapresa veniva considerata dagli oppositori una follia, ma questo non fece
demordere Cristina dal suo intento, perfettamente consapevole che le riforme avrebbero
richiesto anni per la loro attuazione.
In realtà anche se si trovò in seguito ad affrontare importanti avvenimenti nella sua vita, negli
scritti successivi (l’ultimo è del 1868), continuò ad approfondire le tematiche economico-sociali
della nascente Italia12, e indicò la formula dell’associazione intesa come “unione delle varie
classi sociali con l’intento di sollevare il povero dal peso della sua miseria e della sua
ignoranza”13. I concetti di cooperazione e di solidarietà originavano entrambi dal concetto e dal
rispetto della libertà, valore cardine della convivenza sociale. “Una nazione può dirsi a buon
diritto libera, quando non è richiesta di obbedire ad altri che alla legge, e quando nessun
9
Proia G. in “La prima donna d’Italia-Cristina Trivulzio di Belgiojoso tra politica e giornalismo”. FrancoAngeli
Storia, 2010, Pag. 124.
10
Malvezzi A. La Principessa Cristina di Belgiojoso, Milano, Treves, 1936-37, pag. 343
11
Gazzetta privilegiata di Milano n. 92, 2 aprile 1845.
12
Trivulzio di Belgiojoso C., Osservazioni sullo stato attuale dell’Italia e sul suo avvenire, Milano, Vallardi, 1868,
pp. 6-7.
13
Trivulzio di Belgiojoso C., Osservazioni sullo stato attuale dell’Italia e sul suo avvenire, Milano, Vallardi, 1868,
pag. 139.
comando abbia forza di legge sinché non sia stato dichiarato tale ed approvato dalla
maggioranza dei rappresentanti della nazione”…14
Da questo breve excursus si evince che tutti i prerequisiti della salute (che dipendono in maniera
diretta dai fattori socio-economici) sono stati tenuti in gran conto dalla Principessa: cibo,
istruzione, casa, pace, stabilità, giustizia ed equità sociale, reddito e continuità delle risorse. Nel
suo palazzo di Locate inoltre aveva anche allestito una infermeria per dare ricovero ai malati
poveri. Ma la sua attitudine all’assistenza in generale e a quella infermieristica in particolare, fu
espressa in maniera eclatante in un altro grande evento della sua vita.
Cristina di Belgiojoso organizzatrice degli ospedali di Roma.
Durante la Repubblica Romana (1849) la Principessa, accorsa subito, si confrontò (per incarico
ricevuto direttamente da Mazzini) con l’organizzazione degli ospedali della città assediata dai
francesi. Era la prima volta che un simile incarico veniva affidato ad una donna. Cristina
dimostrò subito di essere dotata di capacità organizzative alle quali univa “quella sua particolare
predisposizione infermieristica che aveva già manifestato in più occasioni”15, alimentata dalla
sua profondissima umanità e generosità.
“Organizzò i servizi ospedalieri con l’abilità di un bravo comandante, emanando regole
severissime, imponendo ovunque ordine e disciplina. Dimostrò l’abnegazione più assoluta”16.
Attendendo l’attacco francese da un momento all’altro, in sole 48 ore rese efficienti dodici
ospedali di Roma e pose la sua residenza in quello principale a Trinità dei Monti.
La prima mossa fu quella di chiamare a raccolta tutte le donne di Roma per costituire un
servizio di infermiere volontarie; risposero aristocratiche (come la marchesa Constabili e la
contessa Antonini), borghesi, popolane, prostitute e anche straniere (come Margaret Fuller
inviata speciale di giornali statunitensi), unite, nonostante la loro diversa estrazione sociale, dal
sentimento patriottico. La selezione che Cristina operò fu molto severa; e alla fine ne vennero
scelte 300, che furono sottoposte a un regime paramilitare prefigurando quella che poi fu
l’organizzazione della Croce Rossa. Animata dallo stesso spirito questa organizzazione prestò
assistenza anche ai soldati “nemici”.
La “cittadina principessa”, mai abbandonando la sua autorevolezza, “si confuse spesso con il
popolo romano, scoprendo un amor patrio e un’umanità insospettati, che più volte la
commossero. Andò in giro per la città a raccogliere attrezzature e indumenti per i feriti. Da ogni
porta, da ogni finestra la gente le porgeva materassi, lenzuola e coperte gridando: Viva la
Repubblica!”17.
La Principessa stessa forniva la propria assistenza ai ricoverati, e fu testimone in prima persona
della morte di tanti eroi, “martiri della libertà” come li chiamava lei, quali Goffredo Mameli
(giovanissimo, figlio di una sua carissima amica conosciuta nel suo soggiorno a Genova e
autore del testo del nostro inno nazionale), Luciano Manara, Enrico Dandolo e altri.
Oltre che dell’assistenza la Principessa si occupò dell’organizzazione degli ospedali e del
sostentamento dei malati. Quando scoprì che ai feriti non veniva pagato “il soldo” sposò anche
questa causa e tormentò il triumvirato finché quest’ultimo non sistemò la faccenda. Non si
occupò soltanto delle questioni inerenti agli ospedali, ma di tutto l’operato del Triumvirato, al
quale faceva pervenire continuamente i suoi reclami, le sue osservazioni, i suoi suggerimenti.
14
Trivulzio di Belgiojoso C., Osservazioni sullo stato attuale dell’Italia e sul suo avvenire, Milano, Vallardi, 1868,
pag. 134.
15
Petacco A. La Principessa del nord. A. Mondadori ed., 1993, pag. 172
16
Thierry in Petacco A., La Principessa del nord. A. Mondadori ed., 1993, pag 172.
17
Petacco A., La Principessa del nord. A. Mondadori ed., 1993, pag. 174.
“Mazzini, disperato, la definirà ‹un vero tormento›”18. Dal punto di vista dell’organizzazione
degli ospedali la Principessa si occupava di tutto, anche dei rapporti con i chirurghi e dei
contatti con i fornitori, che non si esimeva di accusare, quando ve ne era motivo, di ruberie e di
sabotaggio.
L’esperienza della Repubblica Romana terminò dopo 5 mesi (5 febbraio – 4 luglio 1849).
L’esercito francese entrò in città e il comandante francese, tra le mille proteste di Cristina, fece
trasferire i feriti italiani nelle carceri per far posto ai suoi.
Sull’esperienza dell’assistenza in ospedale ai feriti organizzata da Cristina la chiesa ebbe un
atteggiamento contrastante. Certamente l’operato della Principessa non poteva essere visto di
buon grado dalla chiesa ufficiale. Quest’ultima aveva molte scuse per non farlo. Ma chi era
presente agli avvenimenti, chi li stava vivendo in prima persona come padre Ventura,
cappellano degli ospedali, sosteneva che “in altri tempi quella signora sarebbe stata chiamata
santa”19. Altri invece, come padre Bresciani, un gesuita reazionario famoso all’epoca, definì la
Principessa “femmina sfacciata ed impudica” e tacciava le sue “infermierine” di comportamenti
superficiali e lascivi. La Principessa non rispose a tutte le insinuazioni maligne, ma solo
all’enciclica di Papa Pio IX in cui lo stesso affermava che “molte vittime avevano rifiutato i
sacramenti ed erano state viste morire tra le braccia delle prostitute”. Nella sua articolata lettera
al Papa Cristina affermò le sue ragioni, e in un passo vi si legge: “Le donne che mi venivano
denunciate erano state per giorni e giorni a vigilare al capezzale dei feriti; non si ritraevano
dinanzi alle fatiche più estenuanti, né agli spettacoli o alle funzioni più ripugnanti, né dinanzi al
pericolo, dato che gli ospedali erano bersaglio delle bombe francesi. Nessuno poteva
rimproverare a quelle donne un gesto meno che decoroso e casto”. Cristina prosegue la sua
lettera citando i veri principi fondanti del Cristianesimo, che derivano direttamente dagli
insegnamenti di Gesù citando l’episodio di Maria di Magdala. Cristina ricorda ancora al Santo
Padre che una volta che i suoi cardinali sono stati reintegrati nelle loro posizioni, come primo
atto, hanno incarcerato nelle prigioni del Santo Uffizio i preti che avevano esercitato il loro
ministero negli ospedali della Repubblica e che avevano assicurato assistenza spirituale ai
ricoverati20.
La Principessa rimase in un primo tempo a Roma tra i suoi feriti, ma, entrata nel mirino del
potere ecclesiastico, lasciò la città il 31 luglio, di nuovo esiliata, di nuovo privata del suo
patrimonio, di nuovo libera solo nelle sue idee.
“L’assistenza è un’arte; e se deve essere realizzata come
un’arte, richiede una devozione totale ed una dura preparazione,
come per qualunque opera di pittore o di scultore; con la
differenza che non si ha a che fare con una tela o un gelido
marmo, ma con il corpo umano, il tempio dello spirito di Dio. E’
una delle Belle Arti, la più bella delle Arti Belle.”
Florence Nightingale
18
Petacco A. La Principessa del nord. A. Mondadori ed., 1993, pag 174.
19
Petacco A. La Principessa del nord. A. Mondadori ed., 1993, pag 175.
20
Petacco A. La Principessa del nord. A. Mondadori ed., 1993, pag 182.
Florence Nightingale nacque a Firenze nel 1820 da una famiglia dell’alta borghesia londinese.
Anche lei, come Cristina Trivulzio di Belgioioso ricevette una vasta educazione e anche lei
compì nel corso della sua vita molti viaggi e ebbe contatti con il mondo della politica21. Anche
lei, come tutte le signorine di buona famiglia, era destinata ad un matrimonio conveniente, ma
se ne sottrasse, comprendendo giovanissima, di voler dedicare la sua vita al prossimo. Era
animata da una profonda fede e si orientò verso il lavoro in ospedale ricevendo una fortissima
opposizione da parte della sua famiglia. Le infermiere del tempo, infatti, godevano di una
cattiva reputazione. Florence con il suo lavoro assiduo, con la sua tenacia, con la sua dedizione
e, non da ultimo, con la sua non comune intelligenza, era destinata a stravolgere questa visione
dell’infermiera. Riuscì a vincere le resistenze familiari e fece diverse esperienze di assistenza
infermieristica in Europa. La guerra di Crimea (1853-1856), in cui era coinvolta l’Inghilterra,
costituì la sua occasione. Fu inviata a Scutari, nel Bosforo, con il titolo di sovrintendente del
corpo di infermiere degli ospedali inglesi in Turchia, per risollevare le sorti dell’ospedale
militare, in cui i giovani ricoverati morivano più che in battaglia. Per questa missione Florence
fece un’accurata selezione delle donne da portare con sé in Turchia, 39 per l’esattezza, fra le
quali erano presenti religiose anglicane e cattoliche e infermiere laiche. A Scutari, Florence e le
sue compagne si scontrarono immediatamente con una realtà terribile: amputazioni eseguite
senza anestesia, mancanza di posti letto nell’ospedale per cui molti soldati ricoverati venivano
lasciati per terra, assenza di fognature, nessun servizio di lavanderia, cibo e utensili scarsi.
Addirittura la Nightingale denunciò la presenza in ospedale di soli venti vasi da notte per mille
soldati colpiti da dissenteria. Il primo intervento fu proprio sull’ambiente che accoglieva i feriti
e sulle loro condizioni di vita. Florence e le sue compagne, alle quali nel frattempo se ne erano
aggiunte altre 50, si misero al lavoro alacremente e in breve riuscirono a migliorare il vitto, le
corsie, le fognature e i servizi igienici. Successivamente descrisse in maniera approfondita
l’importanza di questi fattori sulla salute delle persone in “Notes on nursing”.
Vennero assistite anche mogli e vedove di molti soldati, alle quali fu concesso di vivere nei
pressi dell’ospedale. Florence non solo dirigeva l’attività delle colleghe e dei lavori di
miglioramento della struttura ospedaliera, ma svolse personalmente anche un’intensissima
attività di assistenza. Come Cristina di Belgioioso si occupava direttamente dei malati e dei
feriti più gravi, e assistette i moribondi per tutto il corso della loro agonia. Le sue visite notturne
nelle corsie per cui verrà denominata “la signora della lampada” sostennero psicologicamente i
ricoverati. Contrasse il tifo, ma questo non la fece desistere dalla sua opera, riuscì ad ottenere
“la costruzione di scuole e di locali di ricreazione per i soldati; dietro suo suggerimento venne
aperta nella zona anche una scuola di medicina”22.
Il suo contributo alla nascita dell’assistenza infermieristica e della figura dell’infermiere fu
fondamentale. “Mai più l’infermiera sarebbe stata descritta come un’ubriacona, una vecchia
bisbetica e immorale. Florence Nightingale aveva improntato della sua immagine la professione
dell’infermiera”23.
Florence visse a lungo (morirà all’età di 90 anni nel 1910) e, nonostante la salute precaria,
continuò a profondere il suo impegno “in studi, iniziative e contatti tendenti al raggiungimento
21
Brown P. Florence Nightingale. Editrice Elle Di Ci - 10096 Leumann (Torino), 1991.
22
Calamandrei C. “L’assistenza infermieristica. Storia, teoria, metodi”. La Nuova Italia Scientifica, 1993, Pag.30.
23
Smith W. “Florence Nightingale”. Sansoni, Firenze, 1954, Pag. 258.
di molteplici obiettivi di riforma in campo sanitario”24. Dette un fondamento scientifico a tutto
ciò che affermava nei suoi innumerevoli scritti utilizzando la statistica, cosa che ancora pochi
facevano nella sua epoca25. Proprio per questo venne accolta nella Royal Statistical Society (per
una donna era impensabile all’epoca!) e più tardi divenne membro onorario della American
Statistical Association26.
Annessa al Saint Thomas Hospital nel 1860 costituì il primo centro di formazione
infermieristica di tipo moderno, la Scuola Nightingale. Delineò il percorso formativo delle
infermiere nella durata, nei contenuti e nella ferrea disciplina.
Abbiamo presentato molto brevemente queste due grandi figure femminili dell’ottocento.
Entrambe per la loro intelligenza si sono scontrate con il sesso maschile, non solo dell’epoca ma
anche delle generazioni future. E’ incredibile, ma anche ai giorni nostri è possibile trovare
articoli sui giornali che mettono di nuovo in discussione questi personaggi come è successo per
Florence solo qualche anno fa27. Per Cristina il trattamento è stato ancora più duro, essendo stata
una donna che ha vissuto appieno la sua condizione femminile. Si rammaricava Cristina e si
chiedeva perché l’originalità è un pregio nell’uomo e un difetto nella donna. Il filosofo francese
Victor Cousin la definì “foemina sexu, genio vir”, di sesso femminile ma di intelligenza
maschile.
Non si sa se Florence e Cristina si siano conosciute, certo non si sono incontrate per poco.
Infatti Cristina si trovò a passare da Scutari nella sua fuga in Turchia dopo la caduta di Roma in
mano ai francesi e la sua restituzione al Papa.
Entrambe queste donne avevano capito l’importanza dei determinanti della salute e in
particolare l’importanza delle condizioni ambientali sullo sviluppo della salute individuale e
collettiva. Florence affermava che “L’infermieristica consiste nel farsi carico della salute
personale di qualcuno: ciò che essa deve fare è mettere il paziente nelle migliori condizioni
affinché la natura agisca su di lui”28. Curava molto le condizioni ambientali dei ricoverati: aria
pulita, acqua pura, sistema fognario efficiente, igiene personale e ambientale, luce, cibo,
temperatura ecc. erano considerati da Florence (a ragione) elementi essenziali per la salute. Del
lavoro svolto da Cristina negli ospedali di Roma, William Wetmore Story, scultore americano
che visse l’assedio di Roma, ci racconta: “Siamo andati all’ospedale di Trinità dei Monti per
consegnare la sottoscrizione americana per i feriti dell’ultima battaglia. Tutto era in perfetto
ordine, pavimenti e letti puliti, buona ventilazione, inservienti gentili e nessuna confusione.
Tutte queste cose si devono alla Principessa: sono tre giorni e due notti che non dorme ed è
ancora energica”29. Un’altra analogia tra le due donne è proprio questa, nonostante entrambe
abbiano sofferto cattive condizioni di salute, si sono dimostrate all’atto pratico infaticabili,
devote e generose nell’assistenza.
Entrambe erano animate da un forte spirito religioso, più convenzionale Florence, senz’altro
più personale, battagliero e meno allineato, ma non per questo meno sincero, Cristina.
Entrambe hanno scritto moltissimo.
24
Calamandrei C. “L’assistenza infermieristica. Storia, teoria, metodi”. La Nuova Italia Scientifica, 1993, Pag. 31.
25
Lancia L., Petrucci C. Florence Nightingale: l’Efficacia dell’Assistenza Infermieristica. L’Infermiere. 2005, 4, 6.
26
McDonald L. Florence Nightingale. Passionate statistician. J Holist Nurs 1998; 16(2):267-277.
27
Franceschini E. ”L’altra faccia della prima crocerossina. Una bisbetica in cerca di notorietà”. La Repubblica. 4
settembre 2007.
28
Nightingale F., Notes on Nursing. 1859.
29
in Petacco A. La Principessa del nord. A. Mondadori ed., 1993, pag 172.
Per nostra fortuna queste due donne di elevata cultura e intelligenza, hanno messo nero su
bianco il loro pensiero lungimirante e ci hanno lasciato questa preziosissima eredità che nella
lettura, si dimostra oggi più che mai attuale.
Bibliografia

Badura, B - Scientific foundations for a public health policy in Europe - Juventa, Weinheim, 1995.

Brown Pam. Florence Nightingale. Editrice Elle Di Ci - 10096 Leumann (Torino), 1991.

Calamandrei C. L’assistenza infermieristica. Storia, teoria, metodi. La Nuova Italia Scientifica, 1993.
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