l`introduzione di nuove tecnologie per l`ambiente
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L’INTRODUZIONE DI NUOVE TECNOLOGIE PER L’AMBIENTE Angelo Bonomi Aprile 2010 1. INTRODUZIONE Lo sviluppo e industrializzazione di nuove tecnologie più compatibili con l’ambiente è riconosciuto come un’esigenza importante e riguarda in primo luogo la generazione di energia in modo rinnovabile, senza emissione di gas serra, ma anche il problema di avere nuove tecnologie che riducano od eliminino l’emissione di inquinanti, riducano i consumi energetici e il consumo di materie prime fino ad affrontare il problema di trovare tecnologie alternative che non usano materie prime in via di esaurimento. Uno degli ostacoli allo sviluppo e all’industrializzazione di queste nuove tecnologie è l’opinione che esse siano antieconomiche e che generino costi molto superiori a quelli delle tecnologie attualmente usate. D’altra parte si riconosce che spesso la non economicità delle nuove tecnologie non è intrinseca ad esse ma conseguenza dei bassi livelli iniziali di produzione o di costi elevati derivanti da altre tecnologie poco sviluppate da cui dipendono nel tessuto tecnologico in cui sono inserite. In questo lavoro vogliamo giustamente affrontare questo ultimo tema per dimostrare in che modo esso sia di ostacolo all’introduzione di nuove tecnologie e come questo impedisca anche il cambiamento del nostro ecosistema tecnologico verso un nuovo sistema molto più efficiente ed economico. D’altra parte la conoscenza della natura di questi ostacoli può suggerire orientamenti più efficienti ed interessanti alla ricerca & sviluppo nel suo compito di sviluppare nuove tecnologie, argomento già affrontato in un precedente articolo sulla relazione tra ricerca & sviluppo e le tecnologie per l’ambiente (1). 2. NATURA DELL’ECOSISTEMA TECNOLOGICO Il termine ecosistema tecnologico è raramente usato quando si parla di tecnologie e di industrializzazioni ma è giustificato dalle forti analogie che esistono tra le dinamiche evolutive del sistema delle tecnologie umane e quelle ben conosciute degli ecosistemi biologici. Questo fatto è stato da tempo segnalato negli studi transdisciplinari tipici della scienza della complessità. In effetti l’origine del concetto di ecosistema tecnologico può essere fatta risalire a una conversazione avvenuta nell’estate del 1987 tra Brian Arthur, economista ben conosciuto per i suoi studi sui rendimenti crescenti in economia, e Stuart Kauffman, biologo teorico, professore dell’Università di Pennsylvania, ben conosciuto per i suoi studi nel campo delle reti genetiche, entrambi ospiti del Santa Fe Insitute, fondato nel 1985 e dedicato agli studi nel campo della scienza della complessità. La conversazione, riportata da Waldrop nel suo libro sulla storia della fondazione del Santa Fe Institute (2), era partita dalla constatazione dell’assenza di una teoria fondamentale dello sviluppo tecnologico. Nel passato si è sempre pensato che le tecnologie nascessero dal nulla, grazie a persone geniali come gli inventori, e che quindi esse non facessero parte dell’economia ma che al più la influenzassero in modo esogeno. Nel XX secolo si è poi sviluppata l’idea che la tecnologia possa essere prodotta in maniera endogena, all’interno stesso del sistema economico, attraverso investimenti in attività come la ricerca & sviluppo alla stregua di qualsiasi altra merce. Questa visione, pur non essendo erronea, non è tuttavia completamente soddisfacente poiché la tecnologia non somiglia affatto a una merce e si osservava che essa raramente può nascere dal nulla ma è piuttosto preparata da innovazioni procedenti e che una nuova tecnologia non sarebbe concepibile se non fossero state sviluppate precedentemente altre tecnologie da cui dipende. In breve le tecnologie formano un tessuto altamente interconnesso, ovvero una rete che presenta dinamiche e instabilità che si possono comparare a quelle di un ecosistema in evoluzione da cui la nascita del termine di ecosistema tecnologico. Le reti di questo ecosistema possono presentare esplosioni di creatività evoluzionistica o estinzioni di massa come avviene anche negli ecosistemi biologici. Classico è il caso della tecnologia dell’automobile per il trasporto umano che ha soppiantato il cavallo. Con questo sono scomparse stalle, stazioni di posta, mestieri come il maniscalco mentre al contrario sono apparse tecnologie per la produzione di benzina e pneumatici e stazioni di servizio creando nuove reti di beni e servizi. Quello che occorre quindi, ritornando all’esigenza di una teoria per spiegare lo sviluppo tecnologico, non è un modello che può trattare una tecnologia alla volta ma un modello di rete di tecnologie che possa spiegare le dinamiche dell’ecosistema tecnologico. Per quanto detto sopra risulta evidente come sia complesso il processo di introduzione di una nuova tecnologia che sostituisca vecchie tecnologie nell’ecosistema modificando la rete tecnologica in cui si inserisce. Questo processo è in generale sottoposto alle libere forze del sistema che riorganizzano la rete accettando la nuova tecnologia o rigettandola impedendone la sua diffusione. L’introduzione di nuove tecnologie può quindi essere più o meno rapida e l’ecosistema che ne risulta può essere più o meno adatto a risolvere i reali problemi ambientali in maniera efficiente e in tempi accettabili, interrogativi importanti quando si considera ad esempio il problema del riscaldamento globale. Vi è poi un’altra osservazione che può essere fatta sull’ecosistema considerando di nuovo le analogie con gli ecosistemi biologici. Questa riguarda il significato reale di evoluzione che noi usiamo sia per la biologia che la tecnologia. Questo significato è stato discusso da Maturana e Varela (3), due biologi teorici cileni, che hanno fatto notare come il concetto che si ha di evoluzione attraverso la selezione e che porta alla sopravvivenza solo delle specie più adatte non corrisponda nella realtà a dei processi interni all’ecosistema biologico. Questo è sottoposto alle perturbazioni caotiche dell’ambiente e si modifica attraverso suoi processi interni anche casuali per sopravvivere ma il risultato è solo uno dei moltissimi possibili e non necessariamente il migliore. Si può quindi concludere che l’ecosistema si è si adattato ai cambiamenti ma non che sia necessariamente il più adatto. In realtà il processo che comunemente chiamiamo evoluzione è secondo questi autori piuttosto quello di una deriva a causa dell’influenza caotica dell’ambiente e dei processi casuali che determinano almeno in parte i cambiamenti. L’ecosistema biologico che si evolve (cambia) nel tempo è si sempre più complesso ma risulta dipendente dal percorso evolutivo (o di deriva) che ha subito ed è solo uno dei moltissimi sistemi possibili adatti a sopravvivere. Questo particolare modo di vedere l’evoluzione biologica può essere trasposto facilmente anche all’evoluzione tecnologica. In questo caso abbiamo un ambiente caotico che perturba il sistema e che è costituito dai cambiamenti economici, sociali, politici, climatici, di disponibilità di materie prime come pure l’apparizione di nuove scoperte scientifiche. Come nell’ecosistema biologico l’ecosistema tecnologico evolve diventando sempre più complesso e ricco di tecnologie ma l’evoluzione e la selezione che l’accompagna non perde il suo carattere di deriva che porta alla conclusione che l’ecosistema esistente non è necessariamente il miglior ecosistema possibile ma solo uno degli ecosistemi possibili, non necessariamente il migliore, la cui struttura dipende dal percorso casuale che ha effettuato nella sua evoluzione. Questo modo di vedere ha conseguenze in campo ambientale sui rapporti tra vecchie e nuove tecnologie dimostrando un inconsistenza fondamentale che si manifesta nell’opposizione alle nuove tecnologie viste come stravolgimento dell’attuale sistema tecnologico con gravi conseguenze economiche quando in realtà si potrebbero benissimo immaginarle in nuovi ecosistemi che possono rispondere meglio alle esigenze di sviluppo umano sulla terra e avere il coraggio di iniziarne la trasformazione. 3. COMPETIZIONE TECNOLOGICA NELL’ECOSISTEMA L’introduzione di nuove tecnologie rappresenta un processo di grande importanza nel quadro dell’evoluzione tecnologica e si manifesta essenzialmente attraverso una competizione tra tecnologie nell’ecosistema. La rete di interazioni tra le tecnologie è come abbiamo vista molto complessa e nel descrivere la competizione tecnologica ne possiamo fornire solo un modello molto semplificato che però è utile per comprendere alcuni processi essenziali che si svolgono. La rappresentazione semplificata della competizione tra due tecnologie nell’ecosistema è rappresentata schematicamente nella Fig. 1. Abbiamo qui due tecnologie indicate rispettivamente con la lettera A e B e che forniscono al mercato due prodotti che possono essere articoli ben distinti come automobili ovvero con una natura continua come l’energia elettrica. Nella semplificazione adottata si assume che i risultati della competizione che portano all’estinzione dell’uso di una delle tecnologie dipenda essenzialmente dai costi di produzione anche se nella realtà il risultato della competizione può dipendere anche da fattori non necessariamente economici. Assumendo questa regola le tecnologie A e B sono in grado di fornire il prodotto con un costo unitario c e rispettivamente cA per la tecnologia A e cB per la tecnologia B che è venduto al prezzo p del mercato. Possiamo allora definire un margine m che è dato da: m=p–c Se nella competizione una delle due tecnologia si ritrova con un margine m che diventa molto piccolo o addirittura negativo essa verrà abbandonata mentre l’altra è utilizzata sopravvivendo alla competizione. Il costo unitario c del prodotto/servizio di una tecnologia può essere espresso come una somma di vari termini che nel nostro caso possono essere scelti come: c = cm + ce + co + cr + cf + cg + ca dove: cm : costi delle materie prime o semilavorati usati ce : costi dell’energia necessaria per l’utilizzo della tecnologia co : costo della manodopera utilizzata dalla tecnologia cr : costi di manutenzione cf : costi finanziari corrispondenti a vari oneri riguardanti ammortamenti, interessi su prestiti, ecc. cg : costi di gestione e amministrativi ca : costi ambientali per ridurre l’inquinamento e lo smaltimento dei rifiuti della tecnologia secondo le norme I vari termini che costituiscono il costo unitario derivato dall’utilizzazione di una tecnologia sono poi influenzati da vari fattori, alcuni endogeni alla tecnologia come la dimensione dell’impianto produttivo dai miglioramenti operativi che costituiscono il cosiddetto learning by doing. Altri esogeni che dipendono da altre tecnologie che forniscono ad esempio materie prime o semilavorati ed energia ma anche le attrezzature e i componenti dell’impianto necessari per l’uso della tecnologia Considerando dapprima i fattori esogeni, adottando una grossolana semplificazione, possiamo immaginare per ognuna delle tecnologie A e B esistano due sole tecnologie rispettivamente C e D per A e E e F per B che fornicano una, rispettivamente C ed E per A e B, le materie prime e l’energia necessaria e rispettivamente D e F per A e B le attrezzature e i componenti per l’impianto come rappresentato nello schema della Fig. 1. Possiamo cosi stabilire la connessione d per indicare l’influenza sui costi diretti di una tecnologia da parte di un’altra tecnologia che fornisce materie prime, semilavorati, energia e una connessione t per indicare l’influenza sui costi di investimento di un’altra tecnologia riguardo ad attrezzature e componenti che costituiscono gli impianti. Così, come si può vedere dalla Fig. 1 possiamo indicare con dCA l’influenza della tecnologia C su A in termini di costi diretti o tFB per indicare l’influenza della tecnologia E sugli investimenti per la tecnologia G H I M N D C d A P E t DA tD t FB dE A Q F dEB C dC O tF B cA cB Prezzo p Margine m = p - c MERCATO Fig.1. Schema semplificato della competizione tecnologica in un ecosistema B. Occorre notare che le tecnologie C, D e E, F non necessariamente influenzeranno rispettivamente solo le tecnologie A e B ma anche altre tecnologie presenti nell’ecosistema Naturalmente anche le tecnologie C, D, E ed F avranno costi che sono a loro volta dipendenti, oltre ai fattori endogeni che abbiamo già citato, anche da altre tecnologie che, adottando la stessa semplificazione grossolana, abbiamo indicato nella Fig. 1 con G e H per C, I e M per D, N e O per E e infine P e Q per F per le quali può essere ripetuto lo stesso discorso di influenza di ancora altre tecnologie. Considerando ora i fattori endogeni alla tecnologia abbiamo prima di tutto l’influenza della dimensione dell’impianto sull’investimento per realizzarlo. Questa dipendenza non è quasi mai proporzionale e si ripercuote sui costi unitari di produzione e può essere indicata come un effetto scala. In generale il costo dell’investimento aumenta meno del livello di produzione riducendo la sua incidenza man mano che la dimensione dell’impianto aumento. Esiste una relazione empirica che lega l’entità dell’investimento I con la capacità di produzione P data da: I = KPn Dove n è un coefficiente esponenziale che normalmente varia tra i valori di 0,6 e 0,9 a seconda del tipo di impianto mentre K è una costante di proporzionalità che dipende dalle unità di misura di I e P. Normalmente conoscendo l’investimento I1 per un impianto di capacità P1 è possibile calcolare l’investimento I2 che ha una capacità P2 superiore o inferiore attraverso la relazione: I2/I1 = (P2/P1)n Adottando un valore di n tipico dell’impianto considerato. Questa formula è applicata soprattutto per impianti chimici e ha una giustificazione fisica dovuta al fatto che il volume contenuto in un recipiente, che è in relazione con la produzione, aumenta con il cubo delle sue dimensioni mentre l’involucro, che costituisce gran parte del costo di investimento, aumenta come la superficie e quindi con il quadrato delle dimensioni. Abbiamo così un coefficiente n basso, vicino a 0,6 per impianti in cui è possibile ingrandire facilmente le dimensioni come reattori, torri di distillazione ecc. ma non in quelli in cui esistono limiti fisici all’ingrandimento come nel caso delle celle elettrolitiche dove il livello di produzione è raggiunto moltiplicando il numero di celle piuttosto che la dimensione della cella, come nel caso dell’elettrolisi dell’alluminio, dove il coefficiente n è vicino a 0,9. L’influenza della dimensione dell’impianto sull’investimento può essere molto importante se gli aumenti di capacità sono di vari ordini di grandezza. Ad esempio considerando la variazione di n tra 0,9 e 0,6 per un aumento di capacità di dieci volte abbiamo una riduzione di investimento per unità di prodotto che va rispettivamente dal 20% al 60%, per un aumento di un fattore cento la riduzione passa rispettivamente dal 37% al 84% e per un fattore mille rispettivamente dal 50% al 94%. Si tratta quindi di riduzioni importanti che possono influire fortemente sui costi in particolare per certe nuove tecnologie di produzione dell’energia, come quella solare, dove il costo degli investimenti e preponderante ma il cui costo unitario potrebbe abbassarsi notevolmente per grandi dimensioni di impianto nonostante che per questo tipo di impianti il coefficiente n sia vicino a 0,9. L’altro fattore endogeno che influenza il costo unitario di produzione di una tecnologia è rappresentato dai miglioramenti continui della sua utilizzazione che ne riducono i costi, fenomeno ben conosciuto dal punto di vista ingegneristico come curva di apprendimento. L’importanza macroeconomica di questo fenomeno venne riconosciuta nel 1962 da un economista e premio Nobel americano, K. Arrow (4) che osservò, da statistiche dell’economia americana, che i costi di produzione unitari cadevano senza l’intervento di nuovi capitali e nemmeno di investimenti in R&S attribuendo questo fenomeno all’attività di operai, tecnici e manager sugli impianti a cui diede il nome di learning by doing. In realtà questo fenomeno era già stato evidenziato a livello microeconomico negli anni trenta del secolo scorso da T. P. Wright studiando l’evoluzione dei costi di fabbricazione di parti aeronautiche (5) stabilendo una legge che regola quella che oggi è conosciuta come curva di apprendimento. Questa legge considera ad esempio il costo orario di produzione unitario L. ma che può essere anche il costo unitario totale o addirittura il valore aggiunto, corrispondente a una serie di lotti di produzione consecutivi da L1. L2, L3 … a Lt. Ad ogni lotto corrisponde una quantità fabbricata di prodotto Q1, Q2, Q3,…Qt. Se ora si considera Y(t-1) la somma di tutte le quantità prodotte da Q1 a Q(t-1) il costo del lotto successivo Lt sarà dato statisticamente dalla formula: Lt = aY-b(t-1) Dove a è una costante positiva di proporzionalità e b un parametro positivo che dipende dal tipo di fabbricazione e che è detto coefficiente di apprendimento. L’espressione matematica della formula indica che più elevato è il coefficiente di apprendimento più elevata sarà la caduta dei costi e che questa caduta comunque diverrà sempre minore con l’aumentare del numero dei lotti prodotti e quindi del tempo. Questa legge è stata dimostrata statisticamente per numerosi tipi di tecnologie e anche se non può prevedere, data una specifica nuova tecnologia, quale sarà il suo abbassamento di costi nel tempo, l’esperienza ha dimostrato che il coefficiente di apprendimento b nella maggior parte dei casi è tra 0,1 e 0,4 corrispondente a una riduzione che si stabilizza tra il 20% e il 60% dei costi iniziali. Inoltre essa ci indica evidentemente che le potenzialità di riduzione dei costi per il learning by doing di una nuova tecnologia è normalmente ben superiore a quello possibile per una vecchia tecnologia su cui si è ormai quasi esaurito l’effetto dell’apprendimento. Ritornando ora allo schema di ecosistema tecnologico in cui le tecnologie A e B entrano in competizione dobbiamo fare alcune osservazioni sui limiti della grande semplificazione che abbiamo adottato nello schema. Prima di tutto è improbabile che solo due tecnologie influenzino rispettivamente i costi diretti e quelli di investimento. Nella realtà vi sono numerose tecnologie che intervengono nel campo di questa influenza, inoltre lo schema presenta una struttura gerarchica tra i vari livelli di tecnologie che mostra chiaramente l’effetto cascata delle influenze che provengono dall’insieme dell’ecosistema, tuttavia nella realtà non siamo in presenza di una semplice struttura gerarchica ma di una vera e propria rete in cui le tecnologie si influenzano anche tra di loro allo stesso livello con la conseguente complessità che nasce dalla rete delle influenze. Parlando più specificatamente dell’influenza tra le varie tecnologie rappresentata nello schema dalle connessioni tra le tecnologie dobbiamo precisare che essa si manifesta attraverso i prezzi che sono collegati indirettamente con i costi unitari specifici delle tecnologie da cui anche il ruolo dei margini di ricavo caratteristico di ogni tecnologia che, quando è troppo basso o negativo, può, come abbiamo giä visto, portare dal punto di vista economico anche all’estinzione dell’uso di una particolare tecnologia. Volendo dare una forma matematica all’influenza di una tecnologia su un’altra, si potrebbe considerare un operatore in grado di moltiplicare ogni elemento del costo della tecnologia per un parametro in grado di aumentare o diminuire o anche lasciare inalterato ogni elemento del costo. Questi parametri sono poi dipendenti dalla natura e situazione contingente della tecnologia che manifesta la sua influenza. I fattori esogeni o endogeni ai costi di una particolare tecnologia influenzano naturalmente in modo diverso questi parametri. I costi diretti tendono a influenzare naturalmente soprattutto i costi delle materie prime o energetici mentre i costi di investimento tendono a influenzare i costi finanziari attraverso gli ammortamenti e gli interessi passivi eventualmente presenti su prestiti usati per l’investimento. Riguardi i fattori endogeni l’effetto scala può avere un’influenza importante sugli investimenti e quindi come già detto sui costi finanziari ma anche un’influenza importante sul costo della manodopera, infatti l’aumento della dimensione di un impianto non genera necessariamente un aumento proporzionale del personale che in molti casi può essere pressoché invariato da cui una forte caduta del costo unitario di manodopera che ne consegue. L’altro fattore endogeno che riguarda il learning by doing è in grado di modificare in senso positivo numerosi elementi di costo. Esso può infatti ridurre i consumi di materie prime e di energia, ridurre il bisogno di manodopera, migliorare in varie forme i costo ambientali riducendo il bisogno di trattamento degli inquinanti e smaltimento di rifiuti. A partire da queste premesse è possibile discutere più in dettaglio come si presenta la competizione tra le tecnologie A e B del nostro schema di ecosistema tecnologico. Possiamo distinguere tre casi: Competizione tra due vecchie tecnologie Si tratta di un caso di minore interesse dal punto di vista dell’introduzione di nuove tecnologie ma che merita qualche riflessione. Tipicamente due vecchie tecnologie presenti ambedue nell’ecosistema non possono non essere assestate in termini di costi e dimensioni di impianto. La nascita di una competizione non può quindi basarsi generalmente sui fattori endogeni come questioni di scala, che è ormai assestata, né di influenza del learning by doing che ormai è nella parte finale del suo effetto. Non può generalmente neanche basarsi sui costi di investimento che sono già stati affrontati ma solo in caso di rinnovo di impianti mentre può dipendere dall’evoluzione dei costi diretti come materie prime, energia o costi di manodopera che aumentando annullano i margini della tecnologia soccombente. Competizione tra nuova e vecchia tecnologia Si tratta di un caso importante e, premesso che l’incidenza dei vari elementi di costo può essere alquanto differente e dipendere in particolare dalla compatibilità della nuova tecnologia con l’ecosistema in cui si inserisce, questi elementi di costo possono poi subire evoluzioni in favore o a sfavore dell’una o dell’altra tecnologia. Vi sono poi i fattori endogeni che giocano un ruolo importante poiché la nuova tecnologia all’inizio non è utilizzata subito a grande scala e ha possibilità di buoni miglioramenti nel campo del learning by doing. Al contrario la vecchia tecnologia è già in uso su scale elevate ed ha esaurito quasi tutte le possibilità di miglioramento attraverso il learnin by doing. Questo fatto produce una situazione in cui una nuova tecnologia che appare all’inizio con margini economici ridotti rispetto alla vecchia tecnologia diventi poi nettamente più economica con il manifestarsi degli effetti di scala e di learning by doing. Questo fatto si può rappresentare facilmente con un percorso in un diagramma del piano di produzione in si riportano i costi unitari e le scale di produzione per entrambe le tecnologie come è già stato discusso in un precedente lavoro ( 1). Competizione tra due nuove tecnologie Anche in questo caso la compatibilità con l’ecosistema tecnologico e l’evoluzione dell’incidenza dei vari elementi di costo influenzano il decorso della competizione mentre il fattori endogeni come l’effetto scala o il learning by doing agiscono in linea di principio sullo stesso piano. Nel caso di competizione tra due nuove tecnologie vi è un particolare effetto studiato da B. Arthur (6), lo stesso economista della discussione sull’ecosistema tecnologica che abbiamo presentato precedentemente, e che viene chiamato lock in. In questo effetto una fluttuazione casuale di qualche fattore di mercato o di produzione provoca una cascata di ritorni crescenti che favoriscono una delle tecnologie fino a far soccombere l’altra. Un caso conosciuto di questo effetto è stata la competizione tra i sistemi di videoregistrazione VHS e Betamax. Una momentanea disponibilità maggiore di flim nel formato VHS ha spinto a un vendita del sistema VHS leggermente superiore. D’altra parte le aziende di registrazione di film vedendo una per quanto piccola ma maggiore diffusione del sistema VHS hanno privilegiato quest’ultimo a scapito del sistema Betamax. Il risultato è stato una sempre maggiore vendita e disponibilità per film e registratori VHS che hanno inibito la diffusine del sistema Betamax. 4. CAMBIAMENTO TECNOLOGICO E PREVISIONI TECNOLOGICHE Il cambiamento tecnologico, di cui abbiamo discusso precedentemente alcuni aspetti della fase di industrializzazione, e la sua previsione sono un innegabile importante fattore potenziale per risolvere i problemi ambientali su larga scala e a lungo termine come ad esempio quelli dovuti ai cambiamenti climatici del cosiddetto effetto serra. Come abbiamo già discusso manca tuttora una vera e propria teoria fondamentale cge spiega lo sviluppo tecnologico da cui un’incertezza su come veramente avvengono i cambiamenti tecnologici che devono essere considerati quando si vuole integrare la tecnologia ad esempio in modelli di previsione economica a lungo termine. Vi è ancora una certa diffusione dell’idea che la tecnologia evolva autonomamente rispetto all’economia e quindi debba essere considerata come una variabile che la influenza in maniera esogena. Tuttavia moltissimi studi dimostrano il contrario e stabiliscono come il cambiamento tecnologico sia indotto da investimenti in R&S dovuti ad esempio a cambiamenti dei mercati o a politiche governative e disponibilità di nuove scoperte scientifiche diventando quindi una variabile endogena dell’economia. La disponibilità di un modello affidabile di cambiamento tecnologico potrebbe suggerire raccomandazioni, aiuti finanziari e nuove normative per le politiche da condurre mentre un modello non corretto può portare a conclusioni sbagliate sulla capacità di risolvere i problemi ambientali e finalmente a raccomandazioni che possono essere controproducenti. In un interessante lavoro (7) presentato a un Workshop dell’OCSE a Parigi nel 2001 dedicato alle politiche tecnologiche e l’ambiente e pubblicato nel 2002, M. Grubb e J. Koehler hanno discusso il ruolo del cambiamento tecnologico nel campo energetico e ambientale sviluppando una critica su una trentina di modelli macroeconomici o settoriali in cui era considerata in vario modo l’influenza del cambiamento tecnologico sulle previsioni, e quindi le implicazioni che ne risultano sulle politiche governative da condurre. In questo lavoro gli autori hanno cercato dapprima dimostrare come il cambiamento tecnologico sia un fenomeno endogeno all’economia, citando vari esempi e studi sull’evoluzione a lungo termine delle tecnologie energetiche (8) (9), che dimostrano come il raddoppio della capacità di produzione possa ridurre i costi del 10% - 20% e che riduzione superiori al 20% sono osservate nelle nuove tecnologie, tutti dati che sono coerenti con le nostre osservazioni fatte sull’effetto scala e il learnig by doing nell’ecosistema tecnologico. Volendo sottolineare la grande incertezza nella quale si situano le previsioni sui possibili cambiamenti tecnologici nel medio e lungo termine è interessante anche esaminare un esempio di quanto è stato scritto nel passato confrontandolo con la realtà tecnologica attuale. A questo proposito abbiamo scelto un’opera di George Thomson sul futuro prevedibile pubblicata a metà degli anni 50 del secolo scorso ( 10). George Thomson, professore all’Università di Cambridge, Premio Nobel per la fisica, è stato sicuramente una figura di rilievo per dare uno sguardo al futuro sviluppo della scienza e della tecnologia a cui si è interessato anche presiedendo commissioni governative britanniche per l’energia atomica e per le comunicazioni radio. Un aspetto interessante delle sue previsioni è che sono avvenute appena prima di grandi evoluzioni radicali della scienza e tecnologia del XX secolo quali la scoperta della struttura e funzione del DNA che ha permesso lo sviluppo delle biotecnologie attuali, la miniaturizzazione e l’integrazione dell’elettronica che ha portato al PC e al campo attuale dell’ITC, e infine lo sviluppo di applicazioni della meccanica quantistica che ha generato le nanotecnologie. Occorre subito dire che l’autore riconosce ampiamente la grande incertezza che accompagna fatalmente le sue previsioni che afferma di fare in un possibile scenario di relativa stabilità del mondo, senza future guerre mondiali, il che corrisponde abbastanza a quello che si è realizzato. Le previsioni riguardano vari campi come l’energia i trasporti e le comunicazioni e il campo medico e alimentare trattando separatamente per ultimo il campo nascente dell’informatica che è vista come base per sviluppo di potenza di calcolo e di una possibile intelligenza artificiale. Nel campo energetico Thomson crede in un forte sviluppo dell’energia atomica, cosa che si è realizzata solo parzialmente, ed estende il suo uso anche ai trasporti come nelle navi che invece non si è realizzato. Accenna al campo delle energie rinnovabili come la legna e lo sfruttamento delle maree, in previsione di un possibile esaurimento dei combustibili fossili, ma non cita il fotovoltaico anche la fisica di questa applicazione è conosciuta dalla fine del XIX secolo. Nel campo delle telecomunicazioni l’autore non vede l’importante integrazione con l’informatica e al contrario prevede i limiti della quantità di comunicazione legati alla trasmissione analogica. Nel campo dei materiali strutturali e del settore biologico prevede grandi possibilità di sviluppo anche se non può precisarle in termini di nanotecnologie o biotecnologie. A questo punto ci si può chiedere come mai nuove tecnologie radicali come l’ITC o le biotecnologie e le nanotecnologie non erano prevedibili negli anni 50 del XX secolo nonostante che la genetica e la biochimica fossero in pieno sviluppo, le basi dei moderni calcolatori gettate già da tempo da Turing e Von Neumann e le leggi della meccanica quantistica alla base delle nanotecnologie già conosciute dagli anni 30 dello stesso secolo. Forse una risposta risiede nella natura combinatoria delle tecnologie dove ad esempio l’elettronica dei calcolatori si miscela con i sistemi di comunicazione nell’ITC o dove la biotecnologia e le nanotecnologie nascono da strumentazioni e manipolazioni simili a livello molecolare. A questo punto per lo studioso che vuole fare previsioni è difficile prendere in considerazioni tutte le combinazioni possibili e soprattutto selezionare quella che in realtà si potranno sviluppare. Il risultato è che se una previsione in un tempo di 5 anni può avere qualche validità vi è la più grande incertezza su previsioni nell’arco di 10 – 20 anni. L’evoluzione tecnologica a lungo termine si può quindi considerare largamente imprevedibile risultato, come abbiamo già accennato precedentemente, di una deriva il cui stato dipende dal percorso fatto in uno spazio di possibilità troppo grande perché possa essere prevista. 5. CONCLUSIONI In questo lavoro abbiamo cercato di dimostrare come le tecnologie si organizzino in un ecosistema attraverso relazioni e interdipendenze la cui competitività e quindi sopravvivenza nell’ecosistema dipenda sia da fattori interni come le scale di produzione o il learning by doing come da fattori esterni rappresentati dalle tecnologie che forniscono energia, materie prime o semilavorati e anche attrezzature e impianti per il suo funzionamento. Complicata da fattori sociali, politici e ambientali, la competizione tra vecchie e nuove tecnologie risulta come un processo complesso alcune volte addirittura influenzato da fattori casuali come nel caso del lock in. Dovendo valutare le potenzialità di nuove tecnologie in fase di sviluppo come nel caso ambientale in cui si vogliono sostituire vecchie tecnologie con nuove tecnologie ambientalmente più compatibili e sicure abbiamo cercato di dimostrare come sia praticamente impossibile fare previsioni sull’evoluzione tecnologica possibile a medio o lungo termine a causa della natura combinatoria delle tecnologie che limita le previsioni a solo qualche scenario evolutivo rispetto ai molti possibili. Considerando che l’attuale ecosistema tecnologico è si il risultato di una selezione ma nel quadro di in un processo di deriva che non lo rende necessariamente il migliore possibile ma solo uno dei tanti possibili, risultato di una storia di percorso piuttosto che di un’ottimizzazione. Considerando ora l’attività di ricerca & sviluppo ci si può chiedere se ci si debba limitare a seguire uno sviluppo centrato sulle varie tecnologie scelte o sia utile anche prender in considerazione e studiare possibili scenari di ecosistema futuri in cui queste tecnologie si possono inserire al fine di migliorare l’efficienza del lavoro di valutazione e selezione degli investimenti. BIBLIOGRAFIA 1. A. Bonomi “Ricerca & sviluppo e le tecnologie per l’ambiente” L’Ambiente 2006, 1, pp. 24-31 2. M. Waldrop “Complessità” Instar Libri, 1996 3. H. Maturana, F. Varela “L’Albero della Conoscenza” Garzanti, 1992 4. K. Arrow “The economic implications of learning by doing” Review of Economic Stidies, 1962, 29, pp. 155-173 5. T.P. Wright “Factors affecting cost of airplanes” Journal of Aeronautical Sciences” 1936, 2, pp. 122-128 6. B. W. Arthur “Increasing Returns and Path Dependance in the Economy” University of Michingan Press, 1994 7. M. Grubb, J. Koehler “Technical ch’ange and Energy/environmental Modelling” dal Workshop Technology Policy and Environment Parigi 21.06.2001, OCDE 2002, pp. 27-59 8. A. Grübler, S. Messner “Technological Ch’ange and Timing of Mitigation Measures” Energy Economics, 1998, 20(5-6), pp. 247-280 9. A. Grüber, N. Nakicenovic, D.G. Victor “Dynamics of Energy Technologies and Global Ch’ange” Energy Policy, 1999, Vol. 231, 3, pp. 309-321 10. G. Thomson “Il Futuro Prevedibile” Arnoldo Mondadori Editore, 1957