La colonna vertebrale della fantasia

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La colonna vertebrale della fantasia
La colonna vertebrale della fantasia
Luigi Pantaleo
CENSIMENTO DEGLI INVISIBILI di Cesare Davide Cavoni
Fuorilinea, pp. 144, marzo 2016, € 13, 9788896551295
Ho terminato di leggere un prezioso libro di Poesie, quello di Cesare Davide Cavoni e già mi manca, le
voglio rileggere, assaporarne ancora la genuinità, l'aroma, il buon odore ed anche l'amaro retrogusto.
Queste sono delizie per chi cerca altro, per chi non si accontenta. Questa è l’essenza dell'infinita gioia della
lettura e dobbiamo ringraziare il Cavoni per il dono dei suoi pensieri più intimi e delle riflessioni sulla vita, il
mondo, la drammatica contemporaneità e molto ancora che scopriamo nelle sue parole come tra le righe del
testo.
Il libro si divide in due parti e la prima dà anche il titolo al volume, “Censimento degli invisibili”. Se sappiamo
cos’è un censimento, ci domandiamo, dovremmo farlo, chi sono gli “invisibili” ed invisibili per chi? Quindi, già
dal solo titolo della raccolta di poesie, l’Autore ci sprona a porci una domanda...e siamo solo al titolo. Prima
di addentrarci nel lungo cammino illuminato dalle parole dell’Autore, il Cavoni ci accoglie all’ingresso e con
“Scripta volant verba manent” presenta la sua opera e svela il fine ultimo di questa: “lo sforzo di queste
poesie, è quello di raccontare storie e dare senso e nome alla realtà”.
Un obiettivo che mi pare titanico perché tutti parlano su tutto e pontificano su qualsiasi cosa, ma “saper
raccontare storie e dare senso e nome alla realtà” è un’impresa assai difficile che necessita coraggio,
determinazione, molta attenzione e spirito riflessivo ossia doti particolari che non appartengono se non a
pochi che lavorano molto su di sé e che non stanno a perdere tempo in chiacchiere. Quindi, nella prima
parte del libro, ci immergiamo nel reale ed in quanto di più drammatico sta avvenendo nel nostro tempo e
che viene descritto con questa metafora surreale e graffiante tratta da “Deriva” (pagina 21): “è proibito
gettare in acqua gli immigrati che non abbiano una pietra al collo perché c’è il rischio che riaffiorando
possano spaventare i bambini.”
Dunque, gli “invisibili” sono, primi fra tutti, gli immigrati ossia coloro che abbandonano la loro terra natia per i
motivi più diversi (guerra, fame, desiderio di cambiare vita, cultura…) ma soprattutto i profughi che scappano
dalla follia distruttiva della guerra e dal morso più feroce della fame che porta alla disperazione. Per chi, per
quali occhi, tutte queste persone sono invisibili? Non ho che una risposta: per tutti noi. Allora si legge “Morte
per acqua” e “Rovine” e non puoi fare a meno di sentire un colpo allo stomaco ed un crampo che ti lacera le
viscere. Se si resta insensibili alla morte tragica di tanti disperati, allora siamo proprio miseri esseri affogati
nell’egoismo dell’indifferenza più becera.
Iniziando a leggere la seconda parte del libro, “Ulisse all’idroscalo”, ecco che non siamo più accompagnati
dal Cavoni ad osservare le realtà di questo mondo, ma “entriamo” dentro l’Autore stesso, nella sua intimità di
uomo, figlio e marito. Queste rivelazioni così speciali, necessitano molta sensibilità e rispetto da parte del
lettore altrimenti non si sonderebbero le profondità delle parole ispirate e dedicate alle persone più care di
un’esistenza. Leggere “il sorriso di mia madre e quell’ombra che ancora mi accompagna”, mi emoziona sino
alle lacrime ed è così che la vera poesia tocca le corde sensibili del nostro animo.
Adesso, grazie alle sue poesie, l’Autore ci fornisce due strumenti per proseguire il nostro viaggio: un
binocolo per vedere più chiaramente le persone, comprese quelle di cui sentiamo l’alito ma che forse non
conosciamo per niente e i fatti, anche quelli che ci accadono quotidianamente ma che non abbiamo ancora
compreso nella loro essenzialità; ed un microscopio per osservare dentro noi stessi e scoprire quanto c’è di
bello e misero, di vitale e di mortifero, di divertente e di tremendamente apatico.
Per molti il solo pronunciare la parola Poesia fa venire in mente solo tristezza, descrizioni languide di amori
falliti o cose simili. In parte è vero ma il Cavoni, con magistrale abilità, è riuscito a darci l’immagine della
Poesia come il caleidoscopio dell’esistenza per cui vi troviamo anche i riflessi buffi della nostra vita e
quotidianità. Con la Poesia, grazie ad essa, si può anche sorridere con gusto, come ho fatto io leggendo i
versi iniziali di “Ultima fermata” (pagina 71): “Ho aspettato l’autobus tra gente che diceva di attendere la vita
eterna e visto che siamo a Roma chissà quale dei due arriverà prima.” O come in “Difendere la vita” (pagina
78): “Persino i coccodrilli dovranno dar conto delle lacrime di fine pasto per evitare che qualcuno le prenda
come segno di un’apparizione”.
Abbiamo in mano un libro per riflettere nelle maniere più diverse e così passiamo dal sorriso alle lacrime
date dalla commozione di chi è riuscito a far emergere ricordi condivisibili e tra i più preziosi, come quelli per
la madre. Non è un caso allora se, tra tutte le parole ben usate dall’Autore, sono tre quelle che in particolare
mi colpiscono e che spesso vengono usate: Amore, soprammobili e nodi.
Infine, anche se penso che potrei non finire mai di descrivere la ricchezza di questo libro e quanto bene mi
ha fatto il leggerlo, ecco che vorrei fare una cosa che forse è banale ma è tanto umana e carnale per cui la
scrivo ugualmente: le due poesie che preferisco. Non è stato facile decidermi ed anche per questo ho voluto
rileggerle tutte ed alcune più e più volte ma, per vari motivi, voglio ringraziare tanto il Cavoni per aver scritto
e fatto pubblicare “Notturno” (pagina 100) e “Volo pindarico” (pagina 101).
In “Notturno” mi sono ritrovato sia come uomo che ancora non è riuscito ad uscire da diverse difficoltà ma
anche e soprattutto come padre di una bambina che, come sanno fare magicamente i bambini, è capace di
farti fare pace con te stesso e sorridere alla vita, anche nei suoi momenti più aspri. In “Volo pindarico” c’è
racchiusa tutta una vita di sofferenze ed amarezze che hanno trovato conforto in una “magia”, in un dono
che l’Autore ha descritto in una maniera unica e con la quale vorrei terminare questo scritto, invitando tutti a
leggere questo meraviglioso libro.
“Dio stavolta ha fatto meglio di un – alzati e cammina – gli ha dato la colonna vertebrale della fantasia.”