GIOVANNI GROTTANELLI de` SANTI, Cronaca di famiglia, Siena, Tip
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GIOVANNI GROTTANELLI de` SANTI, Cronaca di famiglia, Siena, Tip
GIOVANNI GROTTANELLI pp.214 (ed. fuori commercio). de’ SANTI, Cronaca di famiglia, Siena, Tip. Senese, 2007, Ricordando i racconti del padre e della nonna, l’Autore scrive nel Prologo di questa cronaca familiare che non ha avuto bisogno di “troppa immaginazione per sentire il passato molto vicino” (p.7). Questa sensazione è stata agevolata anche da un ben articolato complesso di fonti, raccolto soprattutto nell’archivio di famiglia, a partire da un ‘libro di casa’ dove Eugenio Stanislao Grottanelli de’ Santi (1788-1874) riunì i risultati di ricerche genealogiche sulla casata, a partire dal secolo XII con Santi e Accorso di Santi da Pozzolatico. Dopo una lunga serie di discendenti – lanaioli e notai – che operavano in quel di Firenze, con Santi di Francesco il nucleo familiare si trasferì , all’inizio del XVI secolo, ad Onano, nell’alto Lazio, dove uno dei cinque figli di Santi, Pierantonio, sposò Alfina dalle Grotte nel 1603. Da allora agli eredi di Pierantonio fu aggiunto il cognome Grottanelli, ufficializzato nel 1744. Una trentina d’anni dopo un ramo della famiglia si radicò definitivamente a Siena, soprattutto grazie a don Giuseppe Antonio, che seguì il vescovo di Soana Tiberio Borghesi quando questi fu nominato arcivescovo della città. Il patrimonio di don Giuseppe e quello dei suoi nipoti Domenico e Filippo Brandimarte assunse una certa consistenza, con le proprietà nella zona delle attuali vie Stalloreggi e del Capitano. Nel 1795 all’ancora minorenne Eugenio Stanislao di Domenico andò l’eredità di don Giuseppe e fu proprio Stanislao , insieme con lo zio Filippo Brandimarte - anch’egli ordinato sacerdote – a ottenere dal granduca di Toscana la patente di nobiltà per la famiglia nel 1831. La figura di Stanislao domina d’ora in avanti il racconto, cadenzato da avvenimenti che vanno dalla rivoluzione francese, scoppiata un anno dopo la sua nascita, fino alla proclamazione del Regno d’Italia e di Roma capitale. Stanislao muore, infatti, nel 1874, dopo una lunga vita piena di interessi, di successi professionali e di un amore, che lo portò ad imparentarsi con la famiglia inglese dei Rowe, discendenti di sir Everard Rowe, al quale – per aver servito nelle crociate – fu assegnato da Riccardo Cuor di Leone lo stemma con i tre simboli dell’Agnus Dei, poi inquartati con il leone rampante dei Grottanelli de’ Santi. Laureatosi nel 1808 in filosofia e medicina, Stanislao iniziò a fare il medico condotto e dieci anni dopo pubblicò un suo primo studio sulla gravidanza extrauterina, ottenendo poi la cattedra di Fisiologia e patologia nell’Arcispedale di Firenze. Chiamato nell’Ateneo senese nel 1823, difese l’anno seguente all’Accademia di Parigi Paolo Mascagni e la sua opera sulle tavole anatomiche, pubblicata per tre quarti a Parigi da Francesco Antonmarchi, divenuto medico di Napoleone a S. Elena. Antonmarchi era stato l’ultimo dissettore anatomico del Mascagni e si era attribuito la paternità delle tavole. Nello stesso 1824 un viaggio ‘galeotto’ in Inghilterra per accompagnare un fratello di Mary Ann Rowe ammalatosi a Roma, si concluse col matrimonio di Stanislao con la giovane inglese, anche se non tutti i parenti di lei accettarono di buon grado l’unione, che pure fu assai felice fino alla prematura morte della sposa nel 1839. Insieme col prestigio acquistato da Stanislao nella società senese , anche le sostanze della famiglia migliorarono e permisero l’acquisto della tenuta e della villa di Uopini, nei dintorni di Siena. Nella sala da pranzo della villa Stanislao, certo in omaggio alla moglie, fece dipingere alcuni paesaggi del Devonshire. Uopini rimase, anche nel lungo periodo di vedovanza, la dimora preferita di Stanislao, come per il figlio Edoardo, nato nel 1828, sarà il palazzo del Capitano a Siena, acquistato dallo zio Filippo Brandimarte nel 1822 e pagato ai Placidi 999 scudi. In quel palazzo Edoardo fece eseguire importanti restauri, tanto da renderlo uno dei migliori esempi di neogotico da ammirare in città. Purtroppo una “catastrofica perdita al gioco” (p.181) di Luigi Bargagli, cognato di Domenico, figlio di Edoardo, costrinse i Grottanelli a svendere il palazzo, dove una lapide nel cortile principale ricorda l’appassionato restauratore. Una cospicua documentazione archivistica ha permesso di ben delineare anche la figura di Francesco Grottanelli, figlio di Giuseppe, cugino di Stanislao. Portato a Siena da Onano all’età di nove anni sotto la protezione dello ‘zio’ Stanislao, Francesco annotò in cinque volumi di diari – dal 1843 al ’56 – le vicende personali, che si intrecciano con quelle della politica, offrendo interessanti notizie sui periodi più vivaci della storia toscana di quel periodo. Laureato in medicina, nel 1856 Francesco lasciò la carriera medica per diventare vice-bibliotecario nella Comunale di Siena. Il drastico cambiamento di rotta lo portò a soddisfare quelle che, evidentemente, erano le sue passioni: gli studi di storia, di archeologia e di letteratura, di cui ha lasciato vari lavori a stampa e manoscritti. Per quanto si può intendere, Francesco, non ostante il forte legame affettivo con lo ‘zio’ Edoardo, considerato un ‘codino’, doveva essere più in sintonia con Lorenzo Grottanelli, il fratello di Edoardo schierato manifestamente con i liberali e autore nel 1860 di uno scritto, dove si citano Pio IX “assiso sopra un trono lordato di sangue dei suoi sudditi” e la “Civiltà cattolica”, capace di “spargere la menzogna con sfacciata impudenza” (p.159). Gli ultimi due capitoli di questa ricca Cronaca, corredata da ritratti e fotografie che accompagnano opportunamente il percorso genealogico dell’Autore nella fitta trama della storia nazionale e locale, sono dedicati agli ultimi tre lustri dell’Ottocento e alla prima metà del Novecento, in cui spicca la figura di un altro Eugenio Stanislao, che la sera prima di essere ucciso mentre guidava un attacco alla baionetta sul Monte Kucco, scrive in una lettera alla madre il 20 luglio 1915: “Non affliggetevi troppo della mia morte […] Pensate che può giovare alla causa del nostro Paese e dell’Europa tutta, e che se non muoio senza rimpianti, mi consola in parte il pensiero che lascerò ai miei cari una buona memoria di me” (p.200). GIULIANO CATONI