Posizione di un punto su un piano
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Posizione di un punto su un piano
Posizione di un punto su un piano Come è noto, per definire la posizione di un punto su un piano, si usa introdurre una coppia di assi cartesiani ortogonali. Ognuno dei 2 assi è messo in corrispondenza biunivoca con l’insieme dei numeri reali, stabilendo per entrambi gli assi lo 0 in corrispondenza del loro punto di incontro (detto origine), fissando una unità di misura, la stessa su entrambi gli assi, e individuando su ciascun asse un verso positivo, che definisce la direzione di crescita dei numeri corrispondenti ai punti di ciascuna retta. Viene inoltre fissato un ordine degli assi, stabilendo che il semiasse positivo del primo asse (spesso, ma non obbligatoriamente, detto asse x), si sovrappone al semiasse positivo del secondo asse (detto asse y) con una rotazione di un angolo retto in verso antiorario. Introdotto il sistema di assi cartesiani, la posizione di un punto qualsiasi del piano è definita da una coppia ordinata di numeri (detti coordinate cartesiane), che corrispondono alle proiezioni ortogonali del punto sui 2 assi. (fig.1). yP α r P xP fig.1 – coordinate cartesiane e polari nel piano Si può vedere facilmente che, fissato un sistema di assi cartesiani, la posizione di qualsiasi punto del piano è individuata dalla direzione della semiretta congiungente l’origine con il punto (a meno che il punto non sia esso stesso l’origine) e dalla distanza del punto dall’origine (che è strettamente positiva per ogni punto diverso dall’origine). La direzione di una semiretta uscente dall’origine, a sua volta, è individuata dall’angolo fra uno dei 2 semiassi positivi e la semiretta stessa. In topografia si usa considerare l’angolo in verso orario dal semiasse y positivo e la semiretta (fig.1). Questi 2 numeri sono detti coordinate polari. La relazione fra le coordinate cartesiane ( x, y ) e le coordinate polari (α , r ) di un punto è x = r sin α y = r cos α (1) Posizione di un punto nello spazio 3D Nello spazio 3D viene introdotta una terna xyz di assi cartesiani ortogonali, il cui ordine è definito dal fatto che, se il piano dei primi 2 assi viene osservato dal lato del semiasse positivo del terzo asse, si vede che il semiasse positivo del primo asse si sovrappone al semiasse positivo del secondo asse con una rotazione di un angolo retto in verso antiorario (fig.2). In analogia con il caso piano, le coordinate cartesiane di un punto sono definite dalle sue proiezioni ortogonali sui 3 assi. Inoltre, come nel caso piano, la posizione di un punto è individuata dalla direzione della semiretta congiungente l’origine con il punto e dalla distanza del punto dall’origine. Nel caso 3D per individuare la direzione di una semiretta uscente dall’origine sono necessari 2 angoli, per esempio z r ς α y x fig.2 – coordinate nello spazio 3D l’angolo ζ dal semiasse z positivo alla semiretta e l’angolo α dal semiasse y positivo alla proiezione ortogonale della semiretta sul piano xy (fig.2). Questi 2 angoli, insieme con la distanza r del punto dall’origine, costituiscono le coordinate polari del punto. La relazione fra le coordinate cartesiane ( x, y, z ) e le coordinate polari (ζ ,α , r ) di un punto è x = r sin ζ sin α y = r sin ζ cos α (2). z = r cos ζ Unità di misura degli angoli In matematica gli angoli vengono in generale misurati in radianti. La misura in radianti di un angolo è data dalla lunghezza dell’arco della circonferenza di raggio unitario con centro nel vertice dell’angolo, delimitato dai 2 lati dell’angolo. Quindi l’angolo giro misura 2π , l’angolo piatto π , l’angolo retto π / 2 . Questa unità di misura consente di calcolare immediatamente la lunghezza l di un arco di circonferenza di raggio R a partire dalla misura α dell’angolo al centro corrispondente: l = Rα . Inoltre, essa semplifica il calcolo infinitesimale e integrale, in virtù della relazione lim x →0 sin x / x = 1 , valida se x è in radianti, da cui segue che la derivata di sin x è cos x , ecc. Tuttavia, essendo π un numero irrazionale, questa unità di misura non è facilmente utilizzabile per scopi pratici. Per i calcoli pratici in geometria viene in generale usato come unità di misura il grado sessagesimale, che è la novantesima parte dell’angolo retto. Il grado sessagesimale è diviso in 60 primi, a loro volta suddivisi in 60 secondi (a volte detti secondi d’arco o arcosecondi per distinguerli dai secondi di tempo). Un angolo di m gradi, n primi e k secondi viene denotato con 0 m 0 n' k ' ' . Questa quantità è uguale a (m + (n / 60) + (k / 3600) ) , e talvolta questa frazione viene espressa come numero decimale. Viceversa, se un angolo è espresso in gradi sessagesimali in forma decimale, il numero n di primi si ottiene moltiplicando la parte decimale per 60 e prendendo la parte intera; moltiplicando poi la parte decimale di quest’ultimo numero per 60, si ottiene il numero di secondi. ESEMPIO: 12 0 37'28' ' = (12 + (37 / 60) + (28 / 3600) ) = (12 + 0.6167 + 0.0077) 0 = 12.6244 0 . 0 Viceversa 23.4387 0 = 230 (0.4387 * 60)' = 230 26.322' = 230 26' (0.322 * 60)' ' = 230 26'19.32' '. In topografia viene più frequentemente usato il grado centesimale (gon, denotato con g), che è la centesima parte dell’angolo retto, a sua volta diviso in 100 centesimi (c). Questi vengono poi ulteriormente suddivisi in 100 centesimi (cc). La notazione è m g n c k cc . La traduzione in forma decimale è qui immediata: ad esempio, 42 g 7 c 38 cc = 42.0738 g . Per convertire i gradi sessagesimali in radianti, si tenga conto che, se α è la misura di un angolo in radianti e A è la sua misura in gradi, deve valere la relazione α / A = π / 180 . In modo analogo si eseguono tutte le conversioni fra unità di misura diverse. 1 π rad = 4.85 *10 −6 rad , ossia 1 secondo è circa un duecentomillesimo di 3600 180 radiante, il che significa che un arco di circonferenza corrispondente all’angolo al centro di 1’’ è lungo 1mm se il raggio della circonferenza è circa 200m. Ad esempio, 1' ' = 0 g cc ⎞ ⎛ 1 100 ⎛ 1 100 ⎞ ⎛ 1 ⎞ 10000 ⎟ = 3.09 cc . Per fare un altro esempio, 1' ' = ⎜ ⎟ =⎜ ⎟ =⎜ ⎠ ⎝ 3600 90 ⎝ 3600 90 ⎠ ⎝ 3600 ⎠ Misure topografiche Misure di angoli Si è visto che, fissata una terna di assi cartesiani ortogonali, una direzione (e un verso) nello spazio è determinata da 2 angoli: per esempio, come si è già detto, l’angolo ζ dal semiasse z positivo alla semiretta che individua direzione e verso e l’angolo α dal semiasse y positivo alla proiezione ortogonale della semiretta sul piano xy. Lo strumento per la misura di questi angoli è detto teodolite; il suo principio di funzionamento risponde da un lato alla necessità di visualizzare in modo preciso una direzione congiungente 2 punti nello spazio, dall’altro all’esigenza di materializzare gli assi di riferimento. La direzione di una semiretta uscente da un punto P0 e contenente un punto P può essere visualizzata in modo estremamente preciso mediante un cannocchiale il cui asse passa per P0 e la cui direzione di collimazione è individuata da un vertice di un reticolo costituito da linee molto sottili e visibile nell’oculare del cannocchiale. Il sistema di assi legato al cannocchiale viene realizzato fissando il cannocchiale stesso ad un supporto (detto alidada) capace di ruotare attorno ad un asse (detto asse principale), e costruito in maniera che il tubo del cannocchiale possa ruotare attorno ad un asse (detto asse secondario) ortogonale all’asse principale (fig.3). La direzione di collimazione, a sua volta, deve mantenersi ortogonale all’asse secondario. Inoltre l’asse principale, l’asse secondario e la direzione di collimazione devono incontrarsi in un punto, che è il vertice degli angoli misurati. Le rotazioni dell’alidada e del cannocchiale consentono di realizzare una qualsiasi direzione di collimazione nello spazio. Gli angoli che individuano questa direzione vengono misurati da 2 cerchi graduati, uno centrato sull’asse secondario (cerchio verticale), l’altro sull’asse principale (cerchio orizzontale). Nella pratica delle misure, la direzione dell’asse principale viene fatta coincidere con la direzione della verticale, che è fisicamente determinabile (è la direzione indicata dal filo a piombo, che è un filo vincolato ad una estremità, a cui è fissata una massa all’estremità opposta). E’ quindi naturale fig.3 - teodolite orientare uno degli assi della terna (che viene indicato come asse z) in questa direzione; come verso positivo viene di solito scelto quello opposto al verso della gravità (ossia verso l’alto). L’angolo ζ fra il semiasse z positivo e la direzione di collimazione è detto angolo zenitale, e la misura viene letta sul cerchio verticale, in cui l’origine della graduazione viene fatta coincidere appunto con il semiasse z positivo. Di fatto, nelle campagne di misura, lo strumento viene messo in stazione poggiando la sua base, a cui è vincolato il cerchio orizzontale, su un apposito supporto, generalmente un treppiede; la verticalità dell’asse principale viene realizzata agendo su 3 viti calanti che sostengono la base e controllata con una livella a bolla incorporata nello strumento. Generalmente si usa una livella torica, che è un recipiente di vetro a forma di porzione di toro (ossia di anello), riempito con un liquido in modo da lasciare spazio per una bolla gassosa, che si dispone nella parte superiore del recipiente. La superficie del recipiente è graduata, e la livella è inserita nel corpo del teodolite in modo tale che il centro della bolla è posizionato sull’origine della graduazione (e quindi gli estremi della bolla sono simmetrici rispetto all’origine) quando l’asse principale del teodolite è verticale. La livella è tanto più sensibile quanto più fitta è la sua graduazione e quanto più grande è il raggio dell’anello (perché in questo caso, a parità di distanza lineare fra 2 linee successive della graduazione, è minore la corrispondente deviazione angolare). Per gli strumenti più sofisticati, è garantita una precisione nella messa in stazione dello strumento di pochi secondi d’arco. E' inoltre possibile, nel caso che si voglia riferire le misure ad un punto segnalizzato a terra con un chiodo, fare in modo che la verticale sia centrata sul punto. E' inoltre necessario conoscere con precisione l'altezza del centro dello strumento rispetto il punto a terra. Per l’orientazione degli altri 2 assi, contenuti in un piano ortogonale alla direzione della verticale, ossia orizzontale, non è altrettanto semplice trovare una direzione di riferimento fisicamente individuabile. In realtà una direzione ben determinabile esiste, ed è la direzione del meridiano, ottenibile proiettando su un piano orizzontale la direzione del centro di rotazione apparente della volta celeste. Questa direzione può essere determinata con osservazioni astronomiche notturne, e non è quindi utilizzabile nelle campagne di misure topografiche, che si svolgono solitamente nelle ore diurne. In alternativa, si potrebbe usare un giroscopio, che è una grossa massa ruotante, con l'asse di rotazione libero di ruotare nel piano orizzontale; in virtù della conservazione del momento angolare, per effetto della rotazione terrestre, l'asse di rotazione del giroscopio tende a orientarsi nel piano del meridiano. Si tratta però di un’apparecchiatura ingombrante e poco maneggevole, che per di più non consente di ottenere precisioni paragonabili a quella della collimazione con il cannocchiale; essa perciò viene usata solo in campagne di tipo particolare, come gli scavi in galleria, in cui offre l’unica possibilità di individuare una direzione di riferimento. In pratica, quindi, la direzione dell’origine della graduazione del cerchio orizzontale non viene fissata, ed è in generale diversa per punti di stazione diversi. Si vedrà in seguito come sia possibile, nonostante questa indeterminatezza, fissare una terna di assi comune a tutte le misure topografiche di una campagna. Si può tuttavia osservare fin d’ora che, se da uno stesso punto vengono collimate più direzioni, gli angoli fra le loro proiezioni su un piano orizzontale (angoli azimutali), determinati come differenze fra le letture sul cerchio orizzontale corrispondenti alle varie direzioni, sono in realtà indipendenti dalla direzione dell’origine (fig.4), ed hanno quindi una precisione paragonabile a quella delle collimazioni. O O’ D1 ϑ D2 α 1 : angolo fra O e D1 α 2 : angolo fra O e D2 α '1 : angolo fra O’ e D1 α ' 2 : angolo fra O’ e D2 ϑ = α 2 − α 1 = α ' 2 −α '1 : angolo fra D1 e D2 fig.4 – indipendenza dell’angolo azimutale dalla direzione dell’origine Le letture angolari sul cerchio orizzontale corrispondenti alle direzioni collimate sono dette direzioni azimutali. Una volta fissata sul piano orizzontale una coppia di assi cartesiani, l’angolo in verso orario dal semiasse y positivo alla direzione collimata è detto angolo di direzione. Nel caso particolare che il semiasse y positivo coincida con la direzione del meridiano, in cui il verso positivo è fissato verso nord, l’angolo di direzione è detto azimut. Le accuratezze raggiungibili sono molto elevate, fino ad 1'' per gli angoli azimutali determinati per differenza fra due letture del cerchio orizzontale in corrispondenza a due collimazioni, dell'ordine di qualche secondo d'arco per gli angoli zenitali, a causa della curvatura del cammino ottico, difficilmente modellizzabile con questi livelli di precisione. Poiché su una circonferenza del diametro di 10 cm un grado corrisponde a circa 1mm e 1'' ad una frazione di micron, la graduazione del cerchio deve essere estremamente accurata e la lettura richiede strumenti sofisticati. fig.5 – errori sistematici del teodolite Per compensare gli errori dovuti ad imprecisioni della graduazione, è bene ripetere più volte le misure degli angoli azimutali cambiando la direzione dello zero della graduazione, e calcolare la media dei valori ottenuti. Questa operazione è detta reiterazione. Essa non è però possibile negli strumenti più recenti, in cui la lettura viene eseguita automaticamente e riportata su un display, e non è possibile controllare l’orientazione del cerchio orizzontale. Errori sistematici possono essere dovuti ad una imprecisa messa in stazione dello strumento con l'asse principale deviato rispetto alla verticale (errore di verticalità), oppure a difetti costruttivi dello strumento, come una non perfetta ortogonalità fra asse principale e asse secondario (errore di inclinazione) o fra asse secondario e asse di collimazione (errore di collimazione). La geometria di questi errori e le corrispondenti formule sono riportate in fig.5. La deviazione dell’asse principale di un angolo ν rispetto alla verticale determina un errore non soltanto, come è ovvio sull’angolo zenitale, ma anche sulle direzioni azimutali, dato che la proiezione sul cerchio orizzontale avviene in un piano contenente l’asse principale e non la verticale (a meno che la verticale, l’asse principale e l’asse di collimazione non siano complanari). Di conseguenza, questo errore è tanto più grande quanto maggiore è l’elevazione della linea di collimazione sul piano orizzontale. Esso è dato dalla formula ε = ν sin A cot ζ (3) dove A è l’angolo azimutale fra la direzione dell’asse principale e la linea di collimazione. Poiché nella maggior parte dei casi pratici le linee di collimazione non sono molto elevate sull’orizzonte, si ha cot ζ << 1 , e quindi ε è in generale molto piccolo. Quanto agli errori di inclinazione e di collimazione, invece, si può osservare che, se viene eseguita una seconda collimazione dopo avere ruotato l’alidada di π (200 g ) (posizione coniugata), essi cambiano di segno. Quindi, se le 2 letture delle direzioni azimutali sono α e α ' (supponendo α < 200 g ), il valore α = (α + (α '−200)) / 2 non è affetto da tali errori e può essere assunto come valore corretto, mentre l’entità dell’errore è data da ε = (α − (α '−200)) / 2 . Questa procedura è detta rettifica. Misure di distanza Si definisce distanza euclidea fra 2 punti dello spazio la lunghezza del segmento rettilineo che li congiunge. Se i 2 punti hanno rispettivamente coordinate ( x1 , y1 , z1 ) e ( x 2 , y 2 , z 2 ) rispetto ad una terna di assi cartesiani, la loro distanza è data dalla formula d = ( x 2 − x1 ) 2 + ( y 2 − y1 ) 2 + ( z 2 − z1 ) 2 (4) che discende direttamente dal teorema di Pitagora. La misura diretta della distanza mediante regoli o nastri graduati è estremamente difficile da eseguire con accuratezza elevata, dato che non è semplice seguire esattamente il percorso rettilineo fra 2 punti.. D’altra parte, come si vedrà più dettagliatamente in seguito, in un rilievo topografico la misura delle distanze ha essenzialmente lo scopo di determinare la scala della rete e può essere eseguita per un numero relativamente piccolo di lati. Disponendo di un regolo graduato, la cui lunghezza è nota con grande accuratezza, è possibile con semplici calcoli determinare la distanza del suo punto di mezzo da un punto di stazione misurando con il teodolite l’angolo fra le direzioni di collimazione dei suoi estremi. Naturalmente, data la limitata lunghezza di un regolo graduato (2 o 3m), non è possibile con questo metodo misurare distanze molto grandi. Negli ultimi decenni la misura delle distanze è stata resa molto più semplice e veloce dall’introduzione dei distanziometri a segnale elettromagnetico, che si basano sulla propagazione di un segnale elettromagnetico emesso da uno strumento posto ad un’estremità della distanza da misurare e riflesso verso lo strumento stesso da una superficie posta all’altro estremo. Le condizioni ottimali di operatività si realizzano quando all’altro estremo è posto un prisma riflettente, che fa in modo che una gran parte dell’energia emessa venga riflessa in direzione dello strumento e possa essere da questo rilevata (fig.6). Le superfici degli oggetti da rilevare non sono in generale riflettenti, ma diffondono l’energia incidente in tutte le direzioni, di modo che soltanto una minima frazione viene rilevata dallo strumento. Molti strumenti moderni utilizzano un segnale laser, che è in grado di concentrare l’energia emessa in un fascio molto ristretto, cosicché anche la piccola frazione di energia diffusa è sufficiente per attivare lo strumento, se la distanza da misurare non è troppo grande. In questo modo non è più necessario l’uso del prisma riflettente, con grande vantaggio di praticità e rapidità dell’operazione di misura. Un fascio laser a luce visibile coassiale al segnale consente di visualizzare il punto battuto. Questa tecnica è praticata diffusamente nel rilievo architettonico. fig.6 – schema di distanziometro Il segnale elettromagnetico è costituito da un’onda portante sinusoidale nella banda del vicino infrarosso, con una lunghezza d’onda dell’ordine del micron, la cui ampiezza è modulata da un’onda sinusoidale con lunghezza d’onda molto più grande, che può variare da pochi cm a qualche km. La forma analitica del segnale è del tipo s (t ) = A cos Ωt cos ωt (5) dove ω e Ω sono rispettivamente la pulsazione dell’onda portante e della modulazione (fig.7). fig.7 – modulazione sinusoidale La differenza di fase fra la modulazione dell'onda riflessa e di quella emessa dallo strumento è l'osservabile utilizzata per la determinazione della distanza. La relazione fra differenza di fase e la distanza è espressa dall'equazione d = (n + ψ ) λ (6) 2 dove n è un numero intero e ψ è legato alla differenza di fase ϕ ψ = ϕ / 2π ; ψ è quindi un numero compreso fra 0 e 1. (0 ≤ ϕ < 2π ) dalla relazione La quantità ψ è facilmente misurabile con un dispositivo elettronico; il numero intero di cicli n invece non è osservabile. Si determina quindi un'ambiguità che deve essere rimossa. L'idea più semplice è quella di usare lunghezze d'onda λ tali che λ / 2 > d , in modo che n=0. Bisogna però tenere conto che la misura della differenza di fase comporta un errore strumentale dell'ordine di 10 −3 su ψ , che si traduce in un errore di 10 −3 λ / 2 sulla distanza; l'uso di lunghezze d'onda molto grandi può quindi portare ad errori inaccettabili, e d'altra parte la necessità di limitare la lunghezza d'onda comporta che la distanza massima misurabile senza ambiguità sia piccola rispetto alla portata dello strumento, cioè alla distanza massima per cui il segnale riflesso viene ricevuto dallo strumento con intensità sufficiente. La strategia usata per superare questa limitazione è detta metodo delle decadi: si usano lunghezze d'onda grandi, tali che d < λ / 2 , per una prima determinazione grossolana della distanza, e successivamente lunghezze d'onda molto più piccole (in genere scelte in modo che il loro rapporto con la lunghezza d'onda iniziale sia una potenza di 10) per una determinazione più fine; l'ambiguità viene risolta imponendo che la distanza ottenuta nella seconda misura cada nell'intervallo di incertezza della prima misura. Questa circostanza deve ovviamente verificarsi per un solo valore del numero intero di cicli n 2 . Per ottenere questo risultato, considerando l'intervallo di incertezza [d1 − 3σ , d1 + 3σ ] , dove d1 è il risultato della prima misura e σ il suo scarto quadratico medio, si deve imporre λ 2 > 6σ . Imponendo, come in precedenza, σ ≅ 10 −3 λ / 2 , si vede che è accettabile il valore λ 2 = λ1 / 100 . L'accuratezza della seconda misura è quindi 100 volte migliore di quella della prima. Per determinare n 2 , si divide d 1 per λ 2 / 2 , e si sceglie per n 2 la parte intera di tale quoziente, oppure la parte intera aumentata di 1, oppure la parte intera diminuita di 1; una sola di queste tre possibilità è compatibile con la necessità che la seconda misura stia nell'intervallo di incertezza della prima. ESEMPIO - Si supponga di usare λ1 = 2000m , λ 2 = 20m ; quindi σ 1 = 1 m , σ 2 = 1 cm. - ψ 1 = 0.7812 , ψ 2 = 0.9423 , risulta Se si ottengono le misure d1 = 781.2 ± 3m , d 2 = 779.423 ± 0.03m (n2 = 77) ; Se si ottiene ψ 1 = 0.7812 , ψ 2 = 0.2247 , risulta d1 = 781.2 ± 3m , d 2 = 782.247 ± 0.03m (n 2 = 78) ; Se si ottiene ψ 1 = 0.7884 , ψ 2 = 0.0645 , risulta d1 = 788.4 ± 3m , d 2 = 790.645 ± 0.03m (n 2 = 79) ; Infine, il risultato ψ 1 = 0.7842 , ψ 2 = 0.8453 è impossibile: infatti d1 = 784.2 ± 3m , e le determinazioni d 2 = 778.453 ± 0.03m (n 2 = 77) , d 2 = 788.453 ± 0.03m (n 2 = 78) sono entrambe al di fuori, la prima per difetto e la seconda per eccesso, dell'intervallo di incertezza per d 1 . Da quanto visto sopra potrebbe sembrare che l'errore di misura dei distanziometri a segnale elettromagnetico dipenda unicamente dalla lunghezza d'onda usata per la determinazione più fine, e sia indipendente dalla distanza misurata. In realtà, a causa dell'instabilità dell'oscillatore che produce la frequenza modulante, e anche a causa dell'incertezza nella velocità di propagazione del segnale nell'atmosfera, si ha un'incertezza nel valore della lunghezza d'onda, che determina una componente dell'errore proporzionale alla distanza misurata. Usualmente si assume per l'errore di misura risultante la forma ε = c0 + c1 d , dove c 0 è compreso fra 0.1cm e 0.5cm, c1 è compreso fra 10 −6 e 5 ∗ 10 −6 . Ad esempio, ponendo c0 = 0.2cm , c1 = 2 ∗ 10 −6 , ad una distanza di 50m l'errore risulta essere di (0.2+0.01)cm. Come si vede, per piccole distanze il termine proporzionale alla distanza è trascurabile rispetto al termine costante. fig.8 – una moderna stazione totale NOTA 1: Esistono anche distanziometri a impulsi, che misurano direttamente l'intervallo di tempo fra l'invio di un impulso laser di durata molto breve e la ricezione dell'impulso riflesso. NOTA 2: Ai giorni nostri le misure di angoli e quelle di distanza vengono eseguite da un unico strumento integrato, detto stazione totale (fig.8), costituito da un teodolite e da un distanziometro accoppiati su un unico supporto. I risultati delle misure vengono visualizzati su un display, e possono anche essere memorizzati e scaricati in un computer. Laser Scanner Il laser scanner è uno strumento che negli ultimi anni ha assunto un ruolo sempre più rilevante nel campo delle misure topografiche essenzialmente per la sua capacità di acquisire in tempi molto brevi grandi quantità di dati. Questa caratteristica rappresenta un aspetto radicalmente innovativo rispetto alla prassi tradizionale dei rilevamenti topografici, basata su procedure di misurazione che privilegiavano l’estrema cura nell’acquisizione di ogni singola misura, con la conseguente necessità di operare in tempi piuttosto lunghi. L’uso del laser scanner riguarda sia rilievi in ambito territoriale, con lo strumento montato su aereo, sia rilievi architettonici e di oggetti di dimensione relativamente piccola (ad esempio statue). Lo strumento tipico usato per rilievi a terra con stazione fissa consiste essenzialmente di un distanziometro che utilizza un fascio laser (e quindi può ricevere il segnale riflesso da superfici qualsiasi, senza bisogno del prisma), ed è in grado di eseguire un numero molto elevato di misure (centinaia, o anche migliaia, al secondo) mentre la direzione di collimazione si sposta automaticamente sia in orizzontale, sia in verticale, ricoprendo intere porzioni di superficie. Le lunghezze d’onda utilizzate sono in generale nel vicino infrarosso, intorno a 1 µ m. La determinazione della distanza può risultare dalla misura del tempo di volo dell’impulso laser, oppure dalla misura di differenze di fase, come per i normali distanziometri. Poiché per ogni misura oltre alla distanza viene registrata anche la direzione di collimazione, viene determinata la posizione tridimensionale del punto collimato in un sistema di riferimento legato allo strumento. Quindi, essendo la densità dei punti misurati piuttosto elevata, finché la stazione rimane fissa in un punto, è possibile determinare la forma tridimensionale della superficie rilevata. Tipicamente l’energia del fascio laser è concentrata in un cono con vertice nell’emettitore, il cui angolo al vertice ha una semiampiezza dell’ordine del milliradiante (corrispondente a circa 200’’); un valore tipico della risoluzione (ossia della distanza angolare fra le collimazioni corrispondenti a 2 acquisizioni successive) è di 2 mrad. Il campo visivo è variabile da strumento a strumento, e può essere dell’ordine di alcune decine di gradi, sia in orizzontale sia in verticale. Il risultato grezzo di una sessione di misura consiste in una nuvola di punti che contiene un numero molto elevato di punti misurati direttamente, con i loro errori, fra cui è probabile che siano presenti anche errori grossolani, e non è direttamente utilizzabile, ma richiede una validazione e un pretrattamento. Queste operazioni consistono generalmente di uno sfoltimento dei punti fino ad una risoluzione predefinita e inferiore a quella di acquisizione, con l’utilizzazione di opportune procedure statistiche per riconoscere ed eliminare gli errori grossolani ed attribuire i valori alle diverse celle (ad esempio la media dei valori corrispondenti ai punti misurati che cadono in ciascuna cella, esclusi quelli riconosciuti come errori grossolani). Successivamente, a partire dai punti determinati nella fase di pretrattamento, viene costruita una superficie interpolante. Diversi algoritmi possono essere utilizzati per questa operazione. Una procedura molto usata è la cosiddetta triangolazione di Delaunay, che, a grandi linee, consiste nei seguenti passi: - si individua un piano di riferimento e si considerano le proiezioni dei punti su tale piano; - fra queste proiezioni si scelgono delle terne tali che le circonferenze passanti per i 3 punti di tali terne non racchiudano al loro interno alcun altro punto di misura. Si può verificare che questa scelta produce in generale sul piano di riferimento triangoli non troppo allungati. - i vertici delle terne così selezionate vengono riportati in quota, e vengono prese le porzioni di superficie piane triangolari nello spazio con vertici in tali punti; si ottiene così una superficie 3-dim costituita di facce triangolari. Ovviamente una superficie così costruita (indicata con la sigla TIN: triangulated irregular network, con riferimento al fatto che non necessariamente la distribuzione dei punti è uniforme) fornisce una buona approssimazione di quella misurata se la densità dei punti selezionati è sufficientemente elevata in relazione alle irregolarità della superficie che si vuole rappresentare. Per ottenere, anche nel caso di superfici complesse, una buona fedeltà evitando un’eccessiva ed inutile occupazione di memoria, è possibile adottare un passo variabile, più ampio dove la superficie è liscia e più piccolo in corrispondenza delle irregolarità; opportuni algoritmi sono stati costruiti per eseguire automaticamente questa operazione. Per evitare la presenza di spigoli, è possibile fare ricorso a procedure di interpolazione che comportano l’adozione di superfici curve, per esempio con andamento polinomiale. Va tuttavia rilevato che, dove sono presenti notevoli irregolarità della superficie, ad esempio spigoli o discontinuità, è opportuno che queste siano esplicitamente tenute in conto nell’eseguire l’interpolazione. Per l’elaborazione dei dati dei rilevamenti eseguiti con il laser scanner sono disponibili in commercio numerosi pacchetti software, fra cui quelli forniti dalle stesse ditte costruttrici degli strumenti. Esistono in commercio molti tipi di laser scanner per rilevamenti terrestri, con caratteristiche tecniche diverse che li rendono adatti per differenti utilizzazioni. In particolare, la portata (ossia la massima distanza operativa) può variare da qualche decina di cm a diverse decine di metri; in corrispondenza, si raggiungono accuratezze differenti, da pochi decimillimetri per strumenti a breve portata, fino a diversi mm per strumenti a portata più lunga. Se per il rilevamento di un unico oggetto è necessario disporre lo strumento in posizioni diverse, è necessario operare una registrazione, per inquadrare le diverse scansioni (che devono avere delle porzioni di superficie a comune) in un unico sistema di riferimento. Molto spesso viene utilizzata la segnalizzazione mediante marche, per poter disporre di punti comuni alle diverse scansioni individuabili facilmente e con elevata precisione. Queste marche possono avere una forma particolare (ad esempio sferica), oppure essere dotate di proprietà riflettenti particolari. I laser scanner montati su aereo per rilevamenti territoriali in generale eseguono la scansione in direzione perpendicolare alla traiettoria di volo, mentre è il movimento stesso dell’aereo che determina lo scorrimento della scansione nella direzione del volo. E’ necessario che l’aereo disponga di strumenti a bordo (GPS e INS, che è un apparato per la misura dell’accelerazione) per determinare istante per istante la propria posizione. Una tipica quota di volo è dell’ordine di 1000m; in questo caso, una risoluzione angolare di 2mrad corrisponde a 2m sul terreno. L’accuratezza nella misura della distanza (e quindi della quota del punto rilevato) è dell’ordine di 10cm, mentre l’accuratezza nella posizione planimetrica è dell’ordine di 1m. Interferometria Radar Fra le tecniche che vengono oggi usate per rilevare l’andamento del terreno (DEM: Digital Earth Model, o DTM: Digital Terrain Model) è da citare l’interferometria Radar. Il Radar funziona essenzialmente come un distanziometro a segnale elettromagnetico che lavora nella banda delle microonde (frequenze ν dell’ordine di 5GHz, corrispondenti a lunghezze d’onda λ di circa 6cm, che consentono le misure in qualsiasi condizione atmosferica), montato su aereo o su satellite. La quantità misurata è la variazione di fase dovuta al percorso di andata e ritorno del segnale riflesso dal terreno. Naturalmente, per determinare la posizione dei punti sul terreno su cui il segnale incide, è necessario che sia nota la posizione dell’emettitore istante per istante. Quando il Radar viene usato in modalità interferometrica, viene determinata la differenza delle distanze fra un punto P sul terreno e 2 stazioni A1 e A2 corrispondenti a 2 diversi passaggi dell’aereo o del satellite. Una schematizzazione piana della geometria della misurazione è rappresentata in figura. Se ρ è la distanza di P da A1 , ρ + δρ la distanza di P da A2 , la differenza fra le variazioni di fase è data da δφ = 2π λ [2( ρ + δρ ) − 2 ρ ] = 4π δρ (1) λ D’altra parte, se θ è l’inclinazione rispetto alla verticale della linea visuale da A1 a P , B è la lunghezza del vettore congiungente A1 con A2 (baseline) e α la sua inclinazione rispetto a un piano orizzontale, si ha ( ρ + δρ ) 2 = ρ 2 + B 2 − 2 ρB cos( π2 − θ + α ) , da cui, trascurando i termini del secondo ordine in δρ , si ottiene δρ = − B sin(θ − α ) + B2 2ρ ⇒ δφ = B2 ⎞ 4π ⎛ ⎟ ⎜⎜ − B sin(θ − α ) + λ ⎝ 2 ρ ⎟⎠ (2) La quota z di P è legata a δρ in quanto da essa dipende l’angolo visuale θ . Precisamente, se θ 0 è l’angolo visuale da A1 al punto P0 con la stessa posizione planimetrica di P e quota 0 , e θ = θ 0 + ∆θ , la variazione ∆φ di δφ dovuta alla differenza di quota fra P e P0 è data, al primo ordine in ∆θ , da ∆φ = − 4π λ B[sin(θ 0 + ∆θ − α ) − sin(θ 0 − α )] ≅ − 4π λ B cos(θ 0 − α )∆θ (3) La relazione fra z e ∆θ è data, in approssimazione sferica, indicato con R il raggio terrestre e con h l’altezza dell’aereo o del satellite, da ( R + z ) 2 = ρ 2 + ( R + h) 2 − 2 ρ ( R + h) cos(θ 0 + ∆θ ) , R 2 = ρ 2 + ( R + h) 2 − 2 ρ ( R + h) cosθ 0 da cui, per differenza,trascurando i termini in z2 e linearizzando rispetto a ∆θ , si ottiene Rz = ρ ( R + h) sin θ 0 ∆θ ⇒ ∆θ = z (1 + )ρ sin θ 0 h R (4) Infine, sostituendo nella (3) , si ottiene ∆φ = − 4π B cos(θ 0 − α ) z λ (1 + Rh )ρ sin θ 0 (5) Una tipica situazione operativa è quella in cui si utilizzano 2 passaggi di un satellite al di sopra di una stessa area, con un’altezza orbitale tipica di alcune centinaia di km e un angolo visuale che può arrivare a circa 200. La lunghezza tipica della baseline può essere di decine o anche centinaia di metri, e la sua inclinazione è variabile; è quindi difficile dare una valutazione dell’ordine di grandezza del coefficiente di z , che determina l’accuratezza della quota calcolata in funzione dell’errore nella misura di fase. Si assume che possano essere ottenute accuratezze nelle quote dell’ordine del metro. Un’altra applicazione dell’interferometria Radar è lo studio di deformazioni del terreno, che si possono ricavare analizzando le rilevazioni eseguite in epoche diverse (a distanza di mesi o di anni). In questo caso, dopo che è stata determinata la quota, una deformazione del terreno nella direzione della linea di visuale dal satellite al punto P (che è quasi verticale) produce una variazione di distanza ∆ρ il cui contributo alla fase è dato semplicemente da (4π / λ )∆ρ . Di conseguenza, la determinazione dell’entità della deformazione è molto più accurata di quella della quota, con incertezza dell’ordine di pochi mm. Il risultato di una misura di differenza di fase è sempre un numero compreso fra 0 e 2π , e rimane il problema dell’ambiguità del numero intero di cicli. In questo caso, se il rilevamento ricopre un’intera area senza soluzione di continuità, si presentano sul territorio delle linee di discontinuità delle differenze di fase misurate, con un salto di 2π . Questi salti possono essere colmati, e la continuità può essere ricuperata, aggiungendo ai valori misurati in ogni striscia compresa fra le linee di discontinuità un opportuno multiplo di 2π , partendo da una striscia in cui i valori misurati sono lasciati invariati (svolgimento di fase – phase unwrapping). A questo punto rimane un’unica ambiguità su tutta l’area, che può essere risolta ad esempio disponendo di un punto di appoggio di quota nota, o in cui si è certi che non si siano verificate deformazioni. NOTA: le condizioni atmosferiche influiscono sulla propagazione del segnale e le caratteristiche fisiche del terreno possono influire sulla riflessione; sono quindi causa di errori sistematici, che si può cercare di modellizzare, oppure possono essere cancellati o fortemente ridotti per differenza, come in effetti avviene quando si opera in modalità interferometrica.