l`osservatore romano
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLIV n. 161 (46.703) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano giovedì 17 luglio 2014 . Mahmoud Abbas in missione al Cairo mentre proseguono i bombardamenti e i lanci di razzi L’omelia di Severo d’Antiochia sul Trisaghion Le iniziative diplomatiche non fermano le violenze a Gaza Colui che nella debolezza mostra la sua forza TEL AVIV, 16. Le iniziative diplomatiche non fermano le violenze nella Striscia di Gaza. La notte scorsa le forze aeree israeliane hanno colpito le abitazioni di alcuni leader di Hamas. Al nono giorno dell’offensiva, i caccia israeliani hanno lanciato diversi missili a Gaza contro la casa di Mahmoud Al Zahar e di Bassem Naim. Secondo testimoni sul posto, al momento del bombardamento non ci sarebbero state persone nell’edificio di quattro piani, centrato da almeno due razzi. Colpite anche una moschea e le abitazioni dell’ex ministro della Sanità, Fathi Hammad, e del deputato di Hamas, Ismail al-Ashqar, a Jabalia, nel nord della Striscia. Il bilancio provvisorio dei bombardamenti è salito a 205 palestinesi uccisi — di cui ventiquattro donne e trentanove tra bambini e adolescenti — e 1.500 feriti, mentre per la prima volta dall’inizio della grave crisi si registra anche una vittima israeliana: un civile ucciso da un razzo al valico di Eretz. «Una soluzione diplomatica sarebbe stata preferibile, è ciò che abbiamo cercato di fare quando abbiamo accettato la proposta di tregua dell’Egitto. Ma Hamas non ci ha lasciato altra scelta che quella di estendere ed inasprire la nostra of- fensiva», ha affermato il premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Intanto, l'esercito israeliano ha intimato a centomila palestinesi che vivono nei popolosi rioni di Zaitun e di Sajayah, nel nord e nell’est di Gaza, vicino al confine con Israele, di abbandonare oggi le proprie abita- zioni. Secondo i media israeliani, l’esercito ha usato messaggi telefonici registrati per avvertire gli abitanti dei due rioni dove, secondo fonti dell’esercito, verranno intensificati gli attacchi. Secondo i militari, i due centri abitati sono sistematicamente utilizzati dai gruppi armati Un bambino palestinese tra le macerie di Gaza (LaPresse/Ap) palestinesi come zona di lancio per i razzi verso Israele. L’agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi ha annunciato la disponibilità di ventuno suoi centri per ospitare i tanti civili in fuga. Molti, però, sono rimasti. Si tratta — rilevano gli analisti — di famiglie che vivono in povertà e che non possono trovare ospitalità presso parenti o permettersi di affittare appartamenti a Gaza. «Hamas ha ordinato loro di ignorare gli avvertimenti», ha invece accusato in una nota un portavoce militare israeliano. Dal punto di vista diplomatico, il ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, ha sollecitato oggi il presidente israeliano uscente, Shimon Peres, affinché faccia ogni sforzo perché si arrivi a una tregua con Hamas, condizione imprescindibile perché possa riprendere il dialogo tra le due parti. E nel tentativo di trovare una soluzione per uscire dalla crisi, il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, si recherà oggi in visita al Cairo. L’obiettivo della missione è arrivare al successo dell’iniziativa egiziana per porre fine alle ostilità. Subito dopo, Abbas andrà in Turchia per altri incontri con i leader politici di Ankara. Eletto il nuovo presidente del Parlamento In via di superamento lo stallo politico iracheno BAGHDAD, 16. Alla fine si è usciti dallo stallo. Ieri, infatti, è stato eletto il nuovo presidente del Parlamento iracheno: è il sunnita Salim Al Juburi, leader del partito islamico iracheno. L’elezione, riferiscono fonti locali, è avvenuta nel corso di una sessione a porte chiuse. Juburi, segnalano le agenzie di stampa internazionali, poteva contare sul’appoggio del presidente del Parlamento uscente, Osama Al Najafi, suo allea- to all’interno della coalizione Al Mutahiddun in occasione delle elezioni legislative. Najafi aveva annunciato nei giorni scorsi l’intenzione di rinunciare a un secondo mandato per spingere anche il primo ministro Nasce la banca dei Brics y(7HA3J1*QSSKKM( +[!"!/!#!_! La presidente brasiliana all’apertura del vertice (Reuters) Il Santo Padre ha nominato, per un quinquennio, Consultori della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica gli Eccellentissimi Monsignori: Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto (Italia); Angelo Vincenzo Zani, Arcivescovo titolare di Volturno, Segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica; i Reverendi: Suor Marcella Farina, F.M.A., Docente Ordinario di Teologia Fondamentale e Sistematica nella Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione «Auxilium», Roma; Padre José Cristo Rey García Paredes, C.M.F., Vice Direttore dell’Istituto Teologico di Vita Religiosa di Madrid (Spagna); Padre Robert J. Geisinger, S.I., Docente di Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana, Procuratore Generale della Compagnia di Gesù, Roma; Padre Loïc-Ma- BRASILIA, 16. Al termine, ieri, della prima giornata del vertice del Brics a Fortaleza, i leader di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica hanno deciso di dare attuazione all’annunciato progetto della banca di sviluppo comune da cento miliardi di dollari. La nuova banca avrà sede a Shanghai, in Cina, e il primo presidente di turno sarà un indiano. Ai ministri delle Finanze dei cinque Paesi Brics spetterà il compito di costituire un consiglio di amministrazione, che, per primo, sarà presieduto dal Brasile. NOSTRE INFORMAZIONI rie Le Bot, O.P., Decano della Facoltà di Diritto Canonico dell’Istituto Cattolico di Toulouse (Francia); Suor Maria Domenica Melone, S.F.A., Rettore Magnifico della Pontificia Università «Antonianum», Roma; Padre Pier Luigi Nava, S.M.M., Docente di formazione alla vita consacrata nella Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione «Auxilium», Roma; Sacerdote Jesu Maria James Pudumai Doss, S.D.B., Docente straordinario nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Salesiana, Roma; Padre Bruno Secondin, O.CARM., Docente ordinario emerito di Spiritualità moderna e Fondamenti di vita spirituale presso la Pontificia Università Gregoriana, Roma; Padre Yuji Sugawara, S.I., Decano della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana, Roma; le Illustrissime Signorine: Dottoressa Elena Lucia Bolchi, consacrata nell’«Ordo Virginum» dell’Arcidiocesi di Milano, Patrono stabile del Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo, Milano (Italia); Dottoressa Lourdes Grosso García, M. ID., Direttrice del Segretariato della Commissione Episcopale per la Vita Consacrata della Conferenza Episcopale Spagnola, Madrid (Spagna). Il Santo Padre ha nominato Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’O rganizzazione degli Stati Americani (O.A.S.) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Bernardito C. Auza, Arcivescovo titolare di uscente, lo sciita Nouri Al Maliki, a farsi da parte nella corsa alla guida del nuovo Governo. Ma stando alle ultime indiscrezioni, non sembra proprio che Al Maliki abbia intenzione di defilarsi. Al contrario, proprio qualche giorno fa il premier ha ribadito la volontà di candidarsi alla guida dell’Esecutivo che dovrebbe essere formato entro tempi brevi così da contribuire a dare una sufficiente stabilità al quadro politico in un territorio alle prese con la graduale avanzata dei miliziani dello Stato islamico (Is). Da tempo e da più parti si chiede la formazione di una nuova compagine governativa che comprenda tutte le componenti del Paese, ma l’impresa non è facile considerando le sempre forti rivalità tra gli sciiti, i sunniti e i curdi. Anche la comunità internazionale sta facendo pressione per un Governo di unità nazionale. E in questo contesto si registrano pure le pronunciate spinte da parte del Kurdistan iracheno ad allontanarsi sempre più dal potere centrale di Kabul. Suacia, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’O rganizzazione delle Nazioni Unite (O.N.U.). Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ordinario Militare per il Perú Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Juan Carlos Vera Plasencia, M.S.C., finora Vescovo Prelato della Prelatura Territoriale di Caravelí (Perú). Nomina di Vescovo Coadiutore Il Santo Padre ha nominato Vescovo Coadiutore della Diocesi di Santos (Brasile) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Tarcísio Scaramussa, S.D.B., finora Vescovo titolare di Segia ed Ausiliare di São Paulo. «Deposizione dalla croce», evangeliario siriaco di Mor Gabriel (XIII secolo) di MANUEL NIN a centoventicinquesima omelia cattedrale di Severo d’Antiochia, pronunciata nel 518, è l’ultima di quelle predicate durante i suoi sei anni di episcopato nella capitale dell’Oronte. Il patriarca commenta il trisàghion (letteralmente, “tre volte santo”) secondo la formula «santo Dio, santo forte, santo immortale (hàghios ho theòs, hàghios hischyròs, hàghios athànatos), crocefisso per noi, abbi pietà di noi». Acclamazione liturgica tratta da testi veterotestamentari (Isaia, 6, 3 e Salmi, 41, 3) e attestata al concilio di Calcedonia (451), il Trisaghion era divenuto controverso per l’aggiunta «crocefisso per noi» introdotta dal patriarca antiocheno Pietro Fullone (468-488). All’inizio l’omelia parla di Paolo, modello di apostolo ed esempio di uomo di fede nelle lotte e nella predicazione, ma poi Severo presenta se stesso, vescovo della Chiesa di Antiochia che, come Pietro, confessa Cristo: «Ho messo davanti ai vostri occhi la fermezza della fede ortodossa e ho rifiutato quello che è estraneo alla confessione di fede apostolica». E qui inizia il commento vero e proprio, in chiave cristologica, al canto del Trisaghion: «Alcuni hanno osato togliere dalla dossologia del Trisaghion l’aggiunta “crocefisso per noi”. Ma questa dossologia è perfetta con l’aggiunta “crocefisso per noi” perché è al nostro salvatore Cristo che si canta». Questa lettura rimarrà fino a oggi nelle tradizioni di molte antiche Chiese cristiane orientali. Severo, considerando il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio, passa al commento della prima acclamazione del Trisaghion: «Per questo confessiamo e professiamo — e, direi, ci meravigliamo di fronte alla gloria di questo mistero — che, dopo aver svuotato se stesso, Cristo non ha smesso di essere Dio. Anzi, facendosi uomo senza cambiamento, non ha oscurato lo splendore della divinità e fa quello che è proprio di Dio e quello che conviene all’economia della nostra redenzione. Per questo innalziamo a lui la lode e diciamo: santo D io». La passione del Verbo di Dio incarnato illumina poi la seconda ac- L clamazione del Trisaghion: «E poiché si è fatto uomo, ha preso su di sé volontariamente le malattie della carne, le ingiurie, le sofferenze, la flagellazione, la crocefissione e così ha fatto vedere che è forte e ci ha salvati, lui il forte che ha vinto Satana, per questo lo acclamiamo: santo forte». La risurrezione di Cristo spiega infine la terza acclamazione del Trisaghion: «E dopo che nella carne ha subito la morte ed è disceso nello sheol, il terzo giorno è risuscitato, perché era immortale per natura, benché nel suo corpo potesse soffrire e morire; a lui quindi che abbiamo visto immortale nella morte, a lui nella lode diciamo: santo immortale». Infine Severo commenta l’aggiunta al Trisaghion: «Noi abbiamo visto l’Emmanuele che, messo in croce, mani e piedi inchiodati, messo a morte per mezzo della croce, ha vinto Satana. Perciò annunciamo anche il mezzo con cui è messo a morte, cioè la croce, confessando la grandezza della sua forza e dicendo apertamente: santo immortale, crocefisso per noi, abbi pietà di noi». Il vescovo di Antiochia conclude l’elogio del Trisaghion presentandolo come sintesi di tutto il mistero della fede cristiana: «Questa lode quindi viene detta all’unigenito di Dio, al Verbo, che per noi si è incarnato e si è fatto uomo. Infatti che il Padre è per natura Dio e forte e immortale, e allo stesso modo lo Spirito, è chiaro a tutti. Così, rifiutando la stoltezza e l’incredulità, diciamo: santo Dio, che per noi ti sei fatto uomo senza cambiamento e rimani Dio; santo forte, tu che nella debolezza hai mostrato la forza; santo immortale, crocefisso per noi, che nella carne hai sopportato la morte in croce e hai fatto vedere che sei immortale anche quando sei morto». Concludendo l’omelia Severo difende l’origine molto antica di questa formulazione del Trisaghion, che è antiochena proprio come il nome dato ai discepoli di Cristo secondo il racconto degli Atti degli apostoli: «E questa lode è iniziata nella nostra città di Antiochia, allo stesso modo in cui qui ha avuto inizio il nome dei cristiani, lode che già è arrivata alle Chiese dell’Asia e cammina verso tutte le altre Chiese». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 A Bruxelles la riunione del Consiglio europeo Intervento della Santa Sede a New York L’ora delle nomine ai vertici delle istituzioni dell’Ue Energia centro nevralgico di tante sfide attuali BRUXELLES, 16. Quella di oggi dovrebbe essere la giornata decisiva per dipanare la complicata matassa delle nomine ai vertici delle istituzioni dell’Unione europea, a partire dalla scelta di chi guiderà la politica estera dell’Ue dopo Catherine Ashton. All’indomani dell’elezione di Jean-Claude Juncker a capo della Commissione (con 422 voti a favore e 250 contrari) l’attenzione si sposta ora da Strasburgo a Bruxelles dove a tenere banco al summit dell’Ue sarà il negoziato dei candidati per le poltrone più importanti. Ma prima di affrontare la questione del pacchetto delle nomine, i leader dei Ventotto dovranno comunque discutere della critica nel Vicino Oriente e di possibili, nuovi sanzioni contro la Russia. Dagli esiti delle riunioni pomeridiane e dalla cena di lavoro si capirà finalmente il grado di tenuta della collaborazione bipartisan Ppe-Pse, anche nel quadro delle scelte di altri top job, cioè su chi sarà il futuro presidente del Consiglio e dell’Eurogruppo. Riguardo alla nomina del nuovo alto rappresentante per la politica Estera e di Sicurezza, sta circolando con insistenza, nelle ultime ore, il nome del ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini. Ma in merito a tale nomina, rilevano le agenzie di stampa internazionali, vi sa- Pubblichiamo in una nostra traduzione italiana l’intervento pronunciato il 6 giugno a New York dal vescovo Mario Toso, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace in occasione del primo forum annuale sull’Energia sostenibile per tutti che celebra l’avvio del Decennio 2014-2024 per l’Energia sostenibile per tutti. Signor Presidente, Eccellenze, Signore e Signori, Il ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini (Ansa) rebbero le riserve di alcuni Paesi. Gli stessi osservatori concordano nel rilevare che quella della nomina del nuovo alto rappresentante per la politica Estera e di Sicurezza rappresenta un passaggio politico pieno di incognite. C’è infatti anche chi ipo- tizza che, in mancanza di un accordo, l’unica via d’uscita sarebbe prendere tempo e convocare un altro vertice, il 23 luglio. Ma si verrebbe così a configurare uno scenario che rischierebbe di risultare più un terreno di scontro che di dialogo. Non a caso ieri le prime affermazioni del nuovo presidente della Commissione Ue hanno richiamato l’esigenza di procedere con unità di intenti così da favorire e rilanciare la competitività dell’Unione europea. Critiche dal gruppo di contatto Sentenza di un tribunale locale I separatisti ucraini rifiutano il dialogo Olanda condannata per Srebrenica KIEV, 16. Il gruppo di contatto sulla crisi ucraina (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, Russia e Ucraina) ha denunciato questa mattina la «mancanza di buona volontà» per un dialogo da parte dei separatisti filo-russi, riferendo che la videoconferenza proposta per ieri è saltata. «Purtroppo l’appuntamento previsto non ha avuto luogo», si legge in un comunicato del gruppo di contatto pubblicato sul sito dell’Osce. «Questo — prosegue la nota — mostra la mancanza di volontà da parte dei separatisti per avviare delle discussioni sostanziali su un cessate il fuoco reciprocamente accettabile». Dal canto suo, il presidente ucraino, Petro Poroshenko, ha assicurato di avere il sostegno di Germania e Stati Uniti per l’operazione antiterrorismo che le forze di Kiev stanno portando avanti nell’est del Paese. Il capo dello Stato ucraino ha avuto ieri colloqui con il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e con il vicepresidente statunitense, Joe Biden, per discutere il sostegno che la comunità internazionale può garantire all’Ucraina alla vigilia del Consiglio europeo. E mentre resta alta la tensione nell’est dove non si fermano i combattimenti (11 militari di Kiev sono stati uccisi nelle ultime 24 ore) il presidente statunitense, Barack Obama, ha chiamato il cancelliere tedesco, Angela Merkel. Secondo quanto ha reso noto oggi la Casa Bianca, i due leader — che hanno parlato anche «di cooperazione in materia di intelligence tra Stati Uniti e Germania» — si sono trovati d’accordo sulla necessità che la Russia adotti misure immediate che portino a una de-escalation della situazione nell’Ucraina orientale, fermi il flusso di armi pesanti, equipaggiamento e combattenti verso quella zona. Gli Stati Uniti, inoltre, stanno considerando di imporre sanzioni unilaterali nei confronti della Russia. Lo riporta la stampa statunitense citando alcune fonti, secondo le quali l’Amministrazione di Washington si prepara a muoversi da sola se l’Unione europea non dovesse decidere per sanzioni forti nell’odierno vertice. Novità anche sul fronte energetico. Nel contesto attuale non c’è posto per la ripresa dei negoziati sul gasdotto South Stream, ora sospesi, e «tenendo conto dell’evoluzione della situazione in Ucraina la nostra posizione non può cambiare per il momento». Lo ha detto il direttore generale per l’Energia della commissione europa, Dominique Ristori. Quando migliorerà la situazione con l’Ucraina — a cui Mosca ha chiuso i rubinetti del gas da oltre un mese per il contenzioso sul prezzo delle forniture — allora, secondo l’esponente europeo, sarà possibile rivedere la posizione con la Russia su South Stream. Ma, ha avvertito, «su un punto siamo chiarissimi: l’applicazione delle regole europee deve essere del 100 per cento, e su questo non si negozia». I problemi erano sorti lo scorso autunno quando i sei Paesi dell’Unione europea attraversati dal gasdotto (Bulgaria, Ungheria, Grecia, Slovenia, Croazia, Austria più Serbia) avevano siglato accordi intergovernativi con Mosca non in linea con le norme europee del pacchetto energia sull’accesso e l’utilizzo dell’infrastruttura e sul sistema di tariffazione. Era stato creato un gruppo di lavoro tecnico per risolvere i nodi ma, con l’aggravarsi della crisi ucraina, è da febbraio che non si è più riunito. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum giovedì 17 luglio 2014 POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt 00120 Città del Vaticano [email protected] http://www.osservatoreromano.va Una donna nel memoriale di Potocari (Ansa) L’AJA, 16. Lo Stato olandese è responsabile per la morte di trecento delle oltre ottomila persone uccise a Srebrenica, l’enclave musulmana bosniaca dove nel luglio del 1995 si consumò la maggiore strage in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. A Srebrenica, a suo tempo dichiarata zona protetta dall’Onu, la popolazione restò inerme di fronte all’attacco delle milizie serbo-bosniache, che trucidarono uomini, vecchi e bambini dopo averli separati dalle donne. Un tribunale olandese, accogliendo un ricorso presentato dall’associazione Madri di Srebrenica, ha deliberato oggi che lo Stato è responsabile della morte di trecento uomini deportati dai serbo-bosniaci dalla base di Potocari dei caschi blu olandesi. I caschi blu, infatti, fecero uscire quanti vi avevano cercato rifugio, esponendoli al massacro. Desidero unire la mia voce a quanti mi hanno preceduto per ringraziare gli organizzatori di questo Summit. Il documento finale della Conferenza di Rio+20 esprime la determinazione dei partecipanti «a lavorare affinché l’energia sostenibile per tutti diventi una realtà, e contribuire così a sradicare la povertà e ad avanzare verso lo sviluppo sostenibile e la prosperità mondiale» (n. 129). La Santa Sede condivide questa determinazione. Auspica e incoraggia nell’ambito del “D ecennio” azioni efficaci e in grado di offrire soluzioni. Di fatto, per la Santa Sede rivestono grande importanza il benessere e la felicità di ogni persona umana, specialmente di quelle più povere e vulnerabili, di tutti coloro che non hanno opportunità per studiare, per lavorare, per partecipare all’attività economica e per vivere con dignità. Realizzare il diritto-dovere di ogni essere umano allo sviluppo integrale e ottenere realmente l’energia sostenibile per tutti richiede un cambiamento radicale di paradigma nel modo di comportarsi gli uni con gli altri, nella maniera di percepire l’economia e lo sviluppo, e nella gestione, a tutti i livelli, delle sfide della famiglia umana. Un simile cambiamento di paradigma è atteso da lungo tempo e proprio l’energia può essere un driver fondamentale per contribuirvi. Il creato con le sue risorse, tra le quali anche quelle energetiche, come ha spiegato di recente Papa Francesco, «è un dono meraviglioso che Dio ci ha dato, perché ne abbiamo cura e lo utilizziamo a beneficio di tutti, sempre con grande rispetto» (Catechesi nell’Udienza generale, 21 maggio 2014). È pertanto fondamentale che, proprio nello sforzo di fornire energia sostenibile per tutti, si promuovano una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Devono essere altresì abbandonati atteggiamenti come somministrare energia a livello sufficiente solo per evitare conflitti, solo per ottenere più consumatori; o solo per sembrare “verdi”, o per non mettere in pericolo i guadagni futuri. La responsabilità sociale delle imprese, i criteri degli investitori e le decisioni politiche, in particolare, devono liberarsi dell’opportunismo, del cinismo, e impegnarsi con sincerità e responsabilità per il bene comune a lungo termine. Ottenere la sostenibilità per tutti richiede anche che si rifletta sull’uso dell’energia, ossia sui nostri modi di trasformarla, di consumarla e anche di sprecarla. Perciò è necessario stabi- lire una gerarchia tra le priorità di consumo e di distribuzione in base a criteri di necessità, giustizia, equità e solidarietà, il che contribuirà a generare cambiamenti significativi e responsabili negli stili di vita. Signor Presidente, La Santa Sede è nella migliore disposizione per collaborare, in base alle proprie competenze, con tutti i promotori del “D ecennio” e con quelli che vi aderiranno. Occorre coltivare un’ampia e ambiziosa visione delle modalità con cui fornire energia. Tali modalità devono soddisfare condizioni non solo tecniche ed economiche, ma anche sociali, ambientali, culturali e politiche. Una visione ristretta e parziale condurrebbe a insuccessi e delusioni. Questo non sarebbe accettabile, perché l’energia è il centro nevralgico di numerose sfide che oggi si rivelano sempre più interconnesse. La famiglia umana in molti luoghi soffre a causa di tragedie sociali, politiche, economiche ed ecologiche le cui soluzioni dipendono, almeno in parte, da una volontà rinnovata, audace e di ampio respiro da parte della comunità internazionale. Questo Foro e questo “D ecennio” sono un momentum particolarmente favorevole per l’energia. Occasioni simili non possono essere sprecate! Riprendendo lo spirito dell’Appello (cfr. Appello all’umanità, Ouagadougou, 29 gennaio 1990, n. 4) lanciato nel 1990 da san Giovanni Paolo II, ci possiamo chiedere: Come giudicherebbe la storia questa nostra generazione che, avendo tutti i mezzi per fornire energia sostenibile alla popolazione della terra, si rifiutasse di farlo con indifferenza fratricida? Seminario organizzato a Roma dalla Focsiv Confronto tra no profit e imprese sullo sviluppo sostenibile ROMA, 16. Una cooperazione tra il variegato mondo del no profit e quello delle imprese economiche può contribuire a uno sviluppo sostenibile nel rispetto dei diritti umani. Da questa convinzione prende le mosse il seminario di oggi alla Pontificia Università Lateranense, organizzato dalla Federazione organismi cristiani di servizio internazionale volontario (Focsiv). Il seminario conclude il ciclo di lezioni del master in «Nuovi orizzonti di cooperazione e diritto internazionale», che quest’anno ha affiancato alla Lateranense il corso di perfezionamento GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Carlo Di Cicco vicedirettore Piero Di Domenicantonio post-laurea della Focsiv, giunto alla XXIII edizione. L’attuale situazione internazionale, segnata da una crisi pagata soprattutto dai popoli più poveri e dai ceti meno abbienti anche nei Paesi ricchi, sollecita il settore privato a riflettere su come «i mercati si siano allontanati dalla morale». Perché, come sostiene Mario Benotti nella sua relazione al seminario, bisogna rimettere l’uomo al centro delle scelte politiche. Anche in ambito economico. In questo, secondo Benotti, l’Europa può tradurre il suo tradizionale ruolo di «faro di democrazia Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va e di rispetto dei diritti umani in una forte politica capace di rovesciare lo status quo dominato dalla finanza, soprattutto nel creare lavoro, investendo nell’economia reale, nella ricerca e sviluppo, nella cultura e nel turismo». A rendere di stretta attualità il seminario non è dunque solo la situazione italiana, come dimostra la dimensione europea dell’apertura del mondo del volontariato alla cooperazione con le aziende. Una tendenza questa confermata dal recente incontro di Firenze tra i ministri dello Sviluppo dell’Unione europea, in- Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale contro che si è concentrato proprio sul nuovo ruolo del settore privato nella cooperazione allo sviluppo. Da sempre attenta alla dottrina sociale della Chiesa, la Focsiv proprio in questa prospettiva sta riesaminando l’impegno a favore delle popolazioni più povere, secondo quanto dichiarato dal suo presidente, Gianfranco Gattai. C’è infatti la necessità di rendere più efficaci gli spazi di collaborazione virtuosa tra no profit e imprese, responsabilizzando queste ultime sulla cruciale questione del rispetto dei diritti umani per uno sviluppo davvero equo e sostenibile. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 A Fukushima un muro di ghiaccio TOKYO, 16. Nella centrale nucleare giapponese di Fukushima, praticamente distrutta l’11 marzo del 2011 dal terremoto e dal successivo tsunami, tra pochi giorni sarà attiva l’ultima grande struttura. Si tratta di un enorme edificio di due piani di quattordicimila metri quadrati, antisismico e senza finestre esterne, destinato a ospitare i 1.200 tecnici e ingegneri, che già lavorano senza sosta nella battaglia quotidiana di contenimento dell’acqua contaminata. Si trova appena fuori dal perimetro originario dell’impianto e anticipa quella che, al momento, resta l’emergenza primaria: la spianata di centinaia di serbatoi da mille tonnellate l’uno, circondati da muri di contenimento. La Tepco, il gestore della disastrata centrale, ha permesso a un gruppo di giornalisti stranieri l’accesso al cantiere dove sono in corso le attività per realizzare un ambizioso muro di ghiaccio sotterraneo, uno strato di permafrost per isolare i quattro reattori distrutti e per ridurre gli enormi volumi di acque reflue radioattive. I lavori sono partiti dall’unità numero quattro e per il completamento ci vorrà la sistemazione di 1.550 pali d’acciaio fino a trenta metri di profondità lungo il perimetro di 1.500 metri: un liquido di raffreddamento, da marzo del 2015, circolerà nei tubi per congelare il terreno isolando i reattori dall’acqua della falda freatica. Allo stesso tempo, la Tepco lavora per bloccare, con il principio del congelamento, le acque reflue in un tunnel di servizio del reattore numero 2 e impedire così lo sfogo finale in mare. Incontrando i giornalisti, il manager della centrale, Akira Ono, ha confermato che i test hanno confermato il funzionamento del muro di ghiaccio. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO giovedì 17 luglio 2014 pagina 3 Fondo a favore della Repubblica Centroafricana Già duemila civili uccisi quest’anno in Nigeria Finanziamenti europei a Bangui Le vittime di Boko Haram BRUXELLES, 16. L’Unione europea intensifica l’impegno per la stabilizzazione e la ricostruzione della Repubblica Centroafricana, stremata da oltre un anno di conflitti tra i gruppi armati rivali. Lo fa con uno strumento chiamato Bêkou («speranza» in lingua locale sango), un fondo fiduciario istituito con il contributo di alcuni Paesi donatori. il Bêkou sarà inizialmente dotato di 64 milioni di euro, di cui 39 dal Fondo europeo per lo sviluppo e due milioni dal bilancio umanitario Impedito in Costa d’Avorio il rimpatrio di profughi YAMOUSSOUKRO, 16. Sono stati respinti alla frontiera del loro Paese quattrocento cittadini della Costa d’Avorio che l’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) si apprestava a far rimpatriare dopo tre anni di esilio in Nigeria. Il convoglio organizzato dall’Unhcr è stato fermato al confine e costretto a tornare indietro. A nulla sono serviti i contatti allacciati con le autorità ivoriane che avrebbero dovuto dare il via libera al rientro dai quattrocento rifugiati. «È una situazione drammatica e inammissibile. Il ritorno nel Paese di origine è un diritto fondamentale della persona. È stata commessa una violazione del diritto interno e internazionale. È un incidente grave che può avere conseguenze significative» ha denunciato il rappresentante dell’Unhcr in Costa d’Avorio, Mohamed Touré, ricordando che lo stesso Governo ivoriano ha più volte invitato i rifugiati a fare ritorno in patria. Finora le autorità ivoriane hanno spiegato, in via soltanto ufficiosa, il rifiuto con l’esigenza di scongiurare il contagio del virus ebola che da mesi ha colpito la Liberia, oltre alla Guinea e alla Sierra Leone. «Non è un argomento serio, visto che il rimpatrio viene monitorato dall’Unhcr che procede a tutti i controlli sanitari del caso, sia al momento della partenza dalla Liberia sia all’arrivo in territorio ivoriano», ha sottolineato Touré. In merito, il responsabile dell’Unhcr ha ricordato che il confine con la Liberia chiuso per i rifugiati di fatto rimane aperto per tutte le altre categorie di persone in transito. Durante e dopo la crisi seguita alle elezioni presidenziali del 2010, circa trecentomila ivoriani, per lo più politicamente vicini all’ex presidente Laurent Gbagbo, hanno trovato rifugio nei confinanti Liberia e Ghana. Il flusso di profughi, in realtà era incominciato anni prima, dopo il mancato colpo di Stato del 2002 e lo scoppio di una crisi interna politica e militare che ha diviso il Paese per oltre un decennio. dell’Unione. Venti milioni saranno forniti, in due anni, da Francia e Germania e altri tre dai Paesi Bassi. Il fondo sarà successivamente alimentato da nuove donazioni per contribuire alla ricostruzione del Paese, con la riabilitazione dell’amministrazione nazionale e di quelle locali, la ripresa delle attività economiche e dei servizi essenziali, come energia elettrica, trasporti, sanità e istruzione. Inoltre, secondo quanto comunicato dalla Commissione europea, questo nuovo strumento offrirà un sostegno ai Paesi confinanti — Camerun, Ciad, Congo e Repubblica Democratica del Congo — colpiti dalla crisi centroafricana. Come noto, tali Paesi hanno accolto decine di migliaia di rifugiati oltre a dover fronteggiare minacce alla propria sicurezza interna. Dal dicembre 2012 l’Unione europea ha già sbloccato 84,5 milioni di euro di aiuti umanitari a favore della Repubblica Centroafricana, dove dallo scorso aprile ha anche dispiegato una forza militare per la sicurezza dell’aeroporto e di due quartieri della capitale Bangui. La costituzione del fondo di Bêkou è stata annunciata a pochi giorni dall’apertura del Forum sulla riconciliazione nazionale tra Governo di transizione, forze politiche, società civile e principali gruppi ribelli Studentesse a Maiduguri (Afp) ABUJA, 16. Sono già oltre duemila i civili nigeriani uccisi dall’inizio dell’anno in attacchi armati e attentati terroristici del gruppo islamista Boko Haram. Lo afferma un rapporto pubblicato ieri dall’organizzazione umanitaria Human Rights Watch (Hrw) che parla di 2.053 morti accertati in quasi un centinaio di attacchi di Boko Haram in varie zone della Nigeria. Nel solo Stato nordorientale del Borno, che di Boko Haram è la roccaforte, i morti sono stati 1.446, mentre negli Stati dello Yobe e dell’Adamawa — gli altri due dove da quattordici mesi il Governo federale di Abuja ha proclamato lo stato d’assedio — i morti sono stati rispettivamente 143 e 151. Hrv ricorda inoltre che il rapimento delle 276 liceali di Chibok, a metà aprile, non è stato l’unico attacco alle scuole sferrato da Boko Haram. A febbraio i miliziani islamisti avevano infatti bruciato vivi 59 ragazzi in un collegio di Buni Yadi. Sempre ieri l’esercito ha comunicato la cattura, avvenuta sabato nello Stato di Bauchi, di uno dei più feroci capi di Boko Haram. Si tratta di Mohammed Zakari, responsabile, tra l’altro, di un eccidio di donne e bambini nel villaggio di Kaigamari. Il segretario generale dell’Onu condanna la strage al mercato Kabul tra violenze e ricerca della stabilità politica Il luogo del sanguinoso attentato nella provincia di Paktika (LaPresse/Ap) La Thailandia espelle rifugiati del Myanmar BANGKOK, 16. Con un’operazione giustificata da necessità di ordine pubblico e stabilità, la giunta militare della Thailandia — al potere da maggio con un colpo di Stato — ha deciso il rimpatrio di molti profughi del Myanmar. Al momento, non sono stati diffusi i particolari dell’operazione di rientro, che dovrebbe comunque durare un anno in diverse fasi, ma le organizzazioni umanitarie segnalano che la Thailandia dovrà sottostare alle regole internazionali che regolano la materia. Inoltre, Bangkok dovrà prevedere adeguate strutture per il rimpatrio e — in accordo con il Governo del Myanmar — garantire sicurezza nel Paese d’origine. Apparentemente, invece, l’Esecutivo di Naypyidaw del presidente riformista, Thein Sein, non sarebbe stato coinvolto nella decisione. rivali del Paese africano, fissato dal 21 al 23 giugno a Brazzaville, la capitale della Repubblica del Congo. A mettere in forse gli obiettivi del forum, peraltro, è intervenuta una spaccatura della Seleka («alleanza» in sango), la coalizione degli ex ribelli in lotta con gli antibalaka (balaka, sempre in sango, significa machete, l’arma dei miliziani Seleka). Al forum è favorevole l’ala guidata da Abdoulaye Hissène, nominato a maggio coordinatore nazionale della Seleka. È invece contraria l’ala dissidente guidata da Michel Djotodia, che nel marzo 2013 guidò il colpo di Stato contro il presidente François Bozizé e si autoproclamò capo di Stato prima che le pressioni internazionali lo obbligassero a ritirarsi. Intanto la presidente di transizione, Catherine Samba-Panza, ha destituito il ministro delle Miniere, Olivier Malibangar, e affidato la direzione ad interim del dicastero al primo ministro, André Nzapayéké. Secondo la stampa locale, a Malibangar sono rimproverate la gestione del blocco delle esportazioni di diamanti, in vigore dallo scorso anno per iniziativa del cosiddetto Kimberley Process, l’accordo internazionale sul commercio e sulla tracciabilità delle pietre preziose, e alcune malversazioni riscontrate nel bilancio del ministero. Il capo della giunta militare thailandese, generale Prayuth Chanocha, ha infatti solo segnalato di avere personalmente raggiunto un accordo con il comandante dell’esercito del Paese vicino, Min Aung Hlaing, incontrato a Bangkok nei giorni scorsi. Attualmente, una moltitudine di profughi del Myanmar vive da oltre vent’anni nei nove campi allestiti dalle numerose organizzazioni internazionali nelle aree di confine, in territorio thailandese, molti dei quali nel distretto di Mae Sot. Fonti umanitarie locali rilevano che le loro condizioni economiche e sociali sono in media pessime. Quei pochi che hanno un’occupazione sono spesso sfruttati e lavorano in nero, per paghe da fame, nelle imprese agricole e nelle industrie della zona, per lo più gestite da cinesi. KABUL, 16. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha espresso ferma condanna per l’attentato suicida compiuto ieri in un mercato nella provincia afghana di Paktika: più di novanta i morti. Ban Ki-moon ha definito l’attacco «un atto criminale ignobile», che è costato la vita anche a numerosi bambini. Il segretario generale dell’Onu ha poi condannato l’attacco, avvenuto sempre ieri a Kabul, nel quale sono morti due dipendenti del Governo. «Tali azioni contro i civili rappresentano gravi violazioni del diritto umanitario internazionale» ha dichiarato Ban Kimoon. Nello stesso tempo il segretario generale dell’Onu ha elogiato ancora una volta il coraggio del popolo afghano che nell’arco di breve tempo ha partecipato in massa a due turni elettorali mostrando nel modo più chiaro la volontà di rifiutare la violenze e di continuare a lavorare per un futuro di pace. E mentre nel territorio afghano le violenze non danno tregua, sul piano politico si segnala l’inizio del riconteggio dei voti del ballottaggio presidenziale che vede in corsa, per la successione ad Hamid Karzai, l’ex ministro degli Esteri Abdullah Abdullah, e l’ex ministro delle Finanze Ashraf Ghani. Il riconteggio è stato deciso — con la paziente mediazione del segretario di Stato statunitense, John Kerry — dopo che Abdullah aveva denunciato presunti brogli. Da principio si era pensato di procedere a una revisione parziale delle schede, Filippine colpite dal primo tifone della stagione MANILA, 16. Oltre 450.000 filippini hanno passato la notte nei centri di raccolta per sfuggire al primo tifone della stagione che si è abbattuto sull’arcipelago, il cui occhio è passato stamani sul sud di Manila. Il tifone è stato accompagnato da venti che hanno raggiunto i 250 chilometri orari quando, ieri sera, ha colpito le isole orientali dell’arcipelago. Il bilancio delle vittime è al momento di 15 morti tra cui un bambino di 11 mesi. Circa 450.000 persone hanno dovuto lasciare le loro abitazioni in cerca di rifugio nei centri di accoglienza. Il tifone — secondo il servizio meteorologico del Paese — ha colpito l’area centro-orientale dell’arcipelago, una zona densamente popolata, e anche la capitale. Oltre duecento voli nazionali e internazionali sono stati cancellati, mentre nel- l’area di Manila, una metropoli con 12 milioni di abitanti, è stato sospeso il servizio ferroviario. «Ci stiamo preparando al peggio. È fondamentale che l’evacuazione sia portata a termine», aveva affermato ieri sera Alejandro Rafaelito, responsabile della protezione civile di Bicol, una regione povera che vive di pesca e agricoltura, con una popolazione di 5,4 milioni di persone. Spesso i tifoni che attraversano le Filippine provocano la morte di migliaia di persone. Nel novembre scorso, il tifone Haiyan — uno dei più violenti abbattutosi sull’arcipelago — provocò 6.245 morti accertati, 28.625 feriti e 1.039 dispersi, la maggior parte nella regione di Visayas, nella zona di Samar e nell’intera provincia di Leyte. Le case colpite furono 1.140.000, di cui mezzo milione completamente distrutte. ma Abdullah si era opposto: allora, per uscire dallo stallo, si è deciso di tagliare il nodo gordiano stabilendo la verifica di tutti i voti. Questa operazione, come ha spiegato lo stesso Kerry, richiederà circa tre settimane: di conseguenza subiranno uno slittamento l’annuncio del vincitore del ballottaggio, previsto per il 22 luglio, e il suo insediamento, fissato per il 2 agosto. L’auspicio adesso è che una volta completato il processo elettorale, non si verifichino nuove proteste e non si alimenti ulteriormente un clima di sospetto, l’ultima cosa di cui ha bisogno un Paese sempre segnato dalle violenze e da tempo alla ricerca di una stabilità, anzitutto sul piano politico. Il dopo Karzai, che il popolo afghano sperava potesse coincidere con un periodo di calma e di progresso lungo il cammino della piena democrazia, si sta invece rivelando un momento molto critico, che sta condizionando anche il rilancio dell’immagine dell’Afghanistan sulla scena internazionale. Entrambi i candidati, durante la campagna elettorale, hanno espresso l’intenzione di firmare l’accordo sulla sicurezza con gli Stati Uniti: passo che Karzai si era rifiutato di compiere. La firma dell’intesa, con tutta probabilità, rilevano gli analisti, aiuterà il Paese a recuperare un importante ruolo strategico nell’ambito delle complesse dinamiche regionali. Rischio inquinamento a New Delhi NEW DELHI, 16. New Delhi, seconda metropoli più popolosa al mondo con venticinque milioni di abitanti, è sull’orlo del collasso per gli enormi problemi di inquinamento legati soprattutto al trasporto urbano inadeguato. Con ottanta milioni di veicoli circolanti e mille nuove immatricolazioni ogni giorno, la rete stradale è insufficiente nonostante la costruzione di sopraelevate. Le nuove linee della metropolitana, che trasporta circa due milioni di pendolari al giorno, contribuiscono solo in parte al grosso problema della mobilità. Di conseguenza, da alcuni anni si registra un aumento record dell’inquinamento dell’aria, soprattutto di polveri sottili, le più pericolose per la salute. Ispezioni dell’Onu ai convogli umanitari inviati in Siria DAMASCO, 16. Il coordinatore per gli aiuti umanitari dell’Onu alla Siria, Nigel Fisher, ha detto ieri che le Nazioni Unite si incaricheranno di ispezionare le spedizioni di aiuti dai Paesi vicini, dopo che lunedì il Consiglio di sicurezza ha adottato una risoluzione che consente l’invio dei convogli anche senza il permesso del Governo di D amasco. Fisher ha sottolineato che è dovere dell’Onu sigillare i carichi prima della loro partenza, per scongiurare la possibilità che possano servire a far entrare armi nel Paese. Proprio questo era stato il motivo che il Governo siriano aveva dichiarato quando si era opposto all’ingresso dei convogli non ispezionati dalle proprie truppe. «Le Nazioni Unite controlleranno tutti i convogli in partenza dalla Giordania, dalla Turchia e dall’Iraq per accertare che contengano esclusivamente aiuti umanitari», ha detto l’esponente dell’Onu al quotidiano «Al Qhad», specificando che squadre di ispettori sono attese nei Paesi confinanti con la Siria per organizzare le operazioni. Le affermazioni di Fisher sono in linea con quanto contenuto nella risoluzione approvata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza nella quale si stabilisce — oltre all’apertura di quattro valichi, due in Turchia, uno in Giordania e uno in Iraq — di istituire un meccanismo di controllo sotto l’autorità del segretario generale dell’O nu per monitorare la consegna degli aiuti. Non è tuttavia chiaro quando le spedizioni cominceranno e quale tipo di forza militare garantirà la loro protezione, necessaria in quanto i convogli dovranno attraversare aree presidiate dai belligeranti, non solo forze governative, ma anche gruppi ribelli spesso in lotta tra loro. Nel frattempo è atteso per le prossime ore il giuramento di Bashar Al Assad per l’inizio del suo terzo mandato presidenziale settennale al quale era stato eletto all’inizio di giugno, con una consultazione considerata dalle opposizioni e da diversi Paesi stranieri non credibile, in quanto non è stato possibile votare nelle aree controllate dai ribelli. La presidenza siriana non ha indicato la data e il luogo esatto del giuramento, ma ha comunicato che il discorso del presidente servirà a definire le priorità e la strategia politica ed economica per i prossimi sette anni. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 giovedì 17 luglio 2014 Indicato come emblema del tradizionalismo rivoluzionò in chiave pastorale l’assetto delle diocesi italiane Compresa la curia romana rimasta ferma a strutture ed esigenze dello Stato pontificio Uno degli incontri con i romani che Pio X ebbe nel cortile di San Damaso in Vaticano Nella monografia di Romanato si recupera il vero Pio X fuori dalle ideologie E lo chiamavano Papa di provincia di ALEJANDRO MARIO DIEGUEZ* n Papa passato alla storia per il suo catechismo, ma che da giovanissimo cappellano scrisse un dialogo catechistico per promuovere socialmente la classe contadina, inculcando principi di galateo, di economia e igiene domestica, di puericultura: «Non ninnate tanto il bambino, né gli date la pezzetta collo zucchero. I U Don Sarto si riferiva al romanzo del giornalista garibaldino Franco Mistrali Maria Maddalena, gli amori della peccatrice. Storia del Vangelo di Cristo, pubblicato a Milano nel 1860: il giovane cappellano aveva quindi appena venticinque anni. Un Papa percepito come “distante”, ma che da giovane vescovo passeggiava ogni sera per la città fermandosi a chiacchierare con la gente, salendo sulle barche dei pescatori e interessandosi dei problemi di cia- una gondola”, ma che in realtà ha dotato la Chiesa di un corpus giuridico all’avanguardia e aggiornato la altri cardinali non l’avessero tratteformazione dei sacerdoti alle esigen- nuto. Un Papa che, in quell’occasione, ze del Novecento. Un Papa adottato a emblema del rispondeva a un vescovo che «si tertradizionalismo, ma che rivoluzionò rà conto dei bisogni materiali spein chiave pastorale l’assetto delle diocesi italiane, Roma comEra ritenuto culturalmente impreparato presa, e la stessa curia romana rimasta ma da giovanissimo cappellano ferma alle strutture aveva il permesso di leggere libri proibiti ed esigenze dello Stato Pontificio. dalla Congregazione dell’Indice Non a caso, nei priper poterli confutare dal pulpito mi suoi appunti per la riforma della curia romana il dicastero che poi avrebbe ricevuto il nome di cialmente delle chiese quando si sarà Congregazione per la disciplina dei provveduto all’urgenza dei malati e sacramenti era stato da lui denomi- dei senza pane» e che fu oggetto di nato Congregazione del matrimonio, ammirazione, anche della stampa ancon la chiara intenzione di imprime- ticlericale del tempo, per aver garanre un’accelerazione alla soluzione di tito di tasca propria un tetto e un questioni così delicate come quelle mestiere a più di 600 orfani di questa calamità. In queste, e tante altre matrimoniali. Un Papa associato alla caccia alle contrapposizioni, si racchiude la figura di un Papa, san Pio X, per streghe della crisi modernista, ma qualche decennio rimasta schiacciata che non mancò di riaccogliere i satra gli eccessi dell’apologetica agiocerdoti ravveduti e di consigliare loro di «trovare nel ministero le più care consolazioni». Un Papa che non promosse mai suoi segretari e li ammonì che se avessero cercato di far soldi li avrebbe «cacciati via con un calcio». Anzi, un Papa che si riteneva raggirato Pubblichiamo uno degli dai suoi collaboratori, ma che in interventi tenuti nel corso del realtà si serviva di essi per dare riconvegno «San Pio X . Un sposte efficaci e veloci, scrivendo a Papa riformatore di fronte alle volte anche a nome loro. sfide del nuovo secolo» Un Papa che sarebbe accorso di organizzato dal Pontificio persona, recandosi in treno, a conComitato di Scienze Storiche fortare le vittime del tremendo terrein occasione del centenario moto di Calabria e Messina del 1908, se il suo segretario di Stato e della morte di Giuseppe Sarto. Centenario Il patriarca Sarto esce dalla Scuola Grande di San Tocco a Venezia (16 agosto 1902) bambini col ninnare s’addormentano bensì, ma solo perché si cagiona loro una specie di vertigine troppo dannosa al loro tenero cervello. La pezzetta poi collo zucchero (il ciuccio) non lo offrite, perché lo zucchero indurisce le gengive e rende più difficile la dentizione, perché corrompe i denti sul loro spuntare. Non date il latte ogni qual volta piange, perocché potrebbe darsi che pianga per incomodo di replezione allo stomaco il quale inconveniente si farebbe più grave. A tutto questo aggiungete un bagno freddo quotidiano (tiepido all’inverno) e diventeranno sani e forti come orsotti». Un Papa ritenuto “culturalmente impreparato”, ma che da giovanissimo cappellano aveva il permesso di leggere e conservare libri proibiti dalla Congregazione dell’Indice per poterli confutare dal pulpito e nel confessionale. Come in questa predica sui “Libri cattivi”: «Non v’incresca, o Signori, di prender meco per poco in esame alcuni di codesti libri, che appunto per essere tanto accreditati in istima, non v’ha sacente del popolo, che quasi non si vergogni di non averli letti. Quà, miei Signori, cominciamo dove meglio vi piace, non andiamo in cerca del più irreligioso, o più lubrico, ma dal primo che sotto le mani vi cada. Vorreste veder con raccapriccio derisi i Santi beati del Cielo? Non avete che a guardar le prime pagine di quell’empio italiano, che dopo d’aver divinizzata la sensualità a conferma del parto mostruoso della sua mente metteva la mano sacrilega nel sacrosanto deposito del Vangelo, e accozzando i fatti a suo modo apponeva la più nera calunnia a quegli esemplari di castità e pudicizia nei quali noi veneriamo l’eroismo della vera virtù: Gli amori della Maddalena. Ma senza dilungarci di troppo fra quelli stessi che si dicono i più castigati, i più buoni, troverete, in una, difesa la religion naturale; in un altro propugnato il sistema del comunismo, in questo dichiararsi solubile il matrimonio, in quello arbitrario l’esercizio della giustizia, in quasi tutti sostituirsi al pudore la sfacciataggine, alle nozze altra cosa, all’ubbidienza la ribellione, all’equità la soperchieria, alla fedeltà il tradimento». scuno, e che da Papa spalancò le porte del Vaticano per incontrare la domenica la popolazione e gli oratori ricreativi romani. Un Papa “di provincia”, accusato di “trasformare la barca di Pietro in vamente come un momento di repressione, di chiusura al nuovo, di rottura con il mondo moderno, ma il rinnovamento della Chiesa. Il volume di Gianpaolo Romanato, Pio X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo (Torino, Lindau, 2014, pagine 584, euro 32), tiene conto di queste nuove acquisizioni e ci offre più che una biografia, «la descrizione di una personalità, di uno stile, di una cultura, di un mondo interiore che segnarono una svolta nella conduzione della Chiesa». Un’opera che aiuta a «ripensa- grafica e della denigrazione preconcetta. Ciò è stato possibile grazie alla pubblicazione delle fonti da parte dell’Archivio Segreto Vaticano, a studi sistematici e approfonditi da parte di storici qualificati e a convegni di studi che hanno consentito di ricuperare «il Pio X della storia e non quello del mito, il Pio X del governo e delle riforme ecclesiastiche e non quello della pietà popolare», ricomponendo la complessa e affascinante personalità di questo Pontefice, liberando la sua figura sia da coloro che l’avevano innalzata a baluardo del tradizionalismo piu ottuso sia da coloro che l’avevano resa bersaglio obbligato di ogni accusa di antimodernismo intemperante. Le fonti oggi disponibili offrono infatti validi spunti per un’analisi onesta e pacata degli atti dell’intenso pontificato piano e ribadiscono il taglio estremamente personale ed eminentemente pastorale dell’attività di un Pontefice che, se dopo la domenica “dei quattro Papi” non è più l’ultimo Papa santo delGiuseppe Sarto sulla salita del Monte Grappa la Chiesa, è sempre l’unico dove andò a benedire che prima di sedere sul sola statua della «Madonna con il Bambino» (1901) glio di Pietro, abbia percorso tutte le tappe del servizio ecclesiastico. Gli studi hanno allargato il campo re Pio X fuori dalle ideologie, dai di indagine estendendolo tanto agli pregiudizi e dalle nostre personali anni precedenti l’ascesa al papato, opinioni sulla Chiesa, su ciò che è, all’origine veneta, alle radici locali dovrebbe essere o vorremmo che fosdel suo stile pastorale quanto al conse», e perciò aiuta non solo a capire testo interno e internazionale, civile ed ecclesiastico, del suo operato. il passato, ma a comprendere meglio Hanno potuto così rimettere al cen- il presente. tro del suo pontificato non la condanna del modernismo, vista esclusi- *Archivio Segreto Vaticano Nino Costa, il poeta piemontese caro a Bergoglio Quanta Torino c’è a Córdoba di ALBINA MALERBA e GIOVANNI TESIO Nino Costa (Torino 28 giugno 1886 – 6 novembre 1945) si può considerare per eccellenza il poeta di Torino e del Piemonte: il più conosciuto, il più amato. Capace di affascinare tanto Luigi Einaudi (che nel 1955 scrisse un’intensa presentazione alla raccolta completa delle sue poesie per le edizioni del Cenacolo) Cento poesie Pubblichiamo stralci della prefazione al libro Nino Costa. Cento poesie piemontesi inserito nella collana «La biblioteca di Papa Francesco», diretta da Antonio Spadaro (edizioni Rcs per il «Corriere della Sera», in collaborazione con «La Civiltà Cattolica»). quanto i cuori più semplici che recitano a memoria i suoi versi, entrati a far parte di un vero e proprio genius loci, quando non di un culto naturalmente profano, di cui è stato l’editore Andrea Viglongo a cogliere in primis — e non a caso — la dimensione regional popolare. A patto che si tenga però conto di un dato essenziale: che Costa — pur partecipando dell’attività legata alla sua passione di poeta “in piemontese” — non si è mai rinchiuso in un regionalismo semplicemente emotivo e meno che mai grettamente provinciale, ma ha mirato ad aprire con la poesia le più ampie finestre al sentimento della vita (ossia poesia come vita che resta impigliata in una trama di parole). Come stupirsi, allora, che il piemontese-argentino Papa Bergoglio abbia imparato e ami i versi del poeta più nostro? In Argentina ci fu un tempo in cui nelle zone più profonde e remote — le zone strappate alla sterpaglia e coltivate da mani di emigranti piemontesi — il piemontese era la lingua “ufficiale”. Tanto che — come racconta De Amicis nel suo libro In America — «nel consiglio comunale si parla piemontese; i tedeschi, gli inglesi, i francesi che hanno affari con la colonia, bisogna che imparino il dialetto, e lo imparano» e perfino «una vecchia indiana, ravvolta in un mantello di cento colori, una strana faccia color di terra, gli occhi obliqui e fissi, e un sorriso di fattucchiera» poteva rispondere in piemontese («Mai pì!, mai pì!», ossia “ma no, ma no”) a una domanda di predizione meteorologica. Nino Costa non ha mai visitato i piemontesi d’Argentina, ma nei versi di Rassa nostran-a, dedicata «Ai Piemontèis ch’a travajo fòra d’Italia» (e non solo lì) ha dipinto forse l’affresco più lucido e sicuramente appassionato del fenomeno migratorio legato al Piemonte. Una storia fino a poco tempo fa quasi priva di una narrazione, a differenza delle migrazioni dalle altre parti d’Italia: «Ò bionde ’d gran, pianure dl’Argentina, / “fazende” dël Brasil perse ’n campagna, / i sente mai passé n’ “aria” monfrin-a / ò ’l ritornel d’una canson ’d montagna?». (“O pianure d’Argentina bionde di grano, / ‘fazende’ del Brasile perse nella campagna, / non sentite mai passare un canto monferrino / o il ritornello d’una canzone di montagna?”). Retorica? Non diremmo proprio. E diremmo piuttosto passione, passione ardente. Versi che recano una loro memoriosa luce di verità. E che anche oggi riescono come tali a motivare l’esplosione di gioia che ha unito in un attimo le due parti di mondo — la piemontese e l’argentina — alla notizia dell’elezione di Papa Bergoglio. Non ci sarebbe stato tanto contento senza la persistenza di una memoria non ancora oscurata e vinta dalla «dësmentia», dalla dimenticanza. Chi di noi ha incontrato l’Argentina di oggi e i piemontesi che vi si sono Nino stanziati, plasmandone la terra e modificandone la rotta storica (se ha senso, come crediamo, non diremo di fare la storia con i se, ma di servirsene per ipotizzare i più diversi futuri) ha potuto constatare le tracce di una ben nota affermazione ancora di De Amicis: «L’opera gigantesca dei nostri, a cui un giorno o l’altro la storia dell’Argentina dovrà solennemente pa- gare il debito di gratitudine». Senza i «piemontesi» d’Argentina, quella storia sarebbe stata un’altra storia, mentre è diventata una storia nostra, anche nostra. Attraversato l’oceano, è un po’ come trovarsi a casa: la cattedrale barocca di Córdoba, per esempio, con i campanili illustrati dalle stesse «teste di indio» di palazzo Carignano (non per nulla Córdoba è gemellata con Torino, e sarà anche perché, quali che siano le torsioni d’oggidì, in quella curva antica di Argentina c’è la Fiat). Ma la vera sintonia è nei volti, negli occhi, nei pensieri nei sogni di tante persone che portano i cognomi della loro origine. Incontri con gente d’aria nostrana, gesti, profili, andature Costa delle terre di Piemonte, con un sorriso, una dolcezza in più. Storie scritte nella semantica dei nostri nomi: Casalis, Tribaudino, Bergoglio. Ognuno è un luogo, un paese mai visto, un crocicchio di strade, di vite — la commozione dei nomi, come annotava Canetti — che raccontano luoghi. Tutto appare così lontano e a un tempo così presente, così vicino. giovedì 17 luglio 2014 L’OSSERVATORE ROMANO pagina 5 Il campione toscano inseguito da Fausto Coppi L’epigrafe che apre Villa Borghese Progetto estetico inciso nel marmo di ANTONIO PAOLUCCI a qualche giorno è collocata nel salone d’ingresso della Galleria Borghese, prestata dai Musei Vaticani per una esposizione per ora temporanea, una iscrizione latina di particolare interesse. Non sappiamo perché e a opera di chi quel documento marmoreo è finito nel Lapidario Vaticano. Probabilmente il trasferimento è avvenuto agli inizi del Novecento quando la villa dei Borghese, con tutte le opere d’arte contenute al suo interno, passava in proprietà allo Stato italiano per la somma che allora sembrò vertiginosa di 3.600.000 lire, mentre il Parco sul Pincio affidato in gestione al Comune, diventava il giardino pubblico dei romani. La lapide collocata in origine all’ingresso della villa che il gran cardinale Scipione Borghese volle colmare di meraviglie (la grande statuaria romana e Gian Lorenzo Bernini, Raffaello e Correggio, Caravaggio e Domenichino) per il piacere suo e dei suoi amici, parla di ospitalità e di felicità, del piacere dei sensi, della gioia dell’intelletto e D troverai nelle chiese e nei palazzi di Roma; Roma che ti aspetta appena fuori Porta Pinciana. È proprio in questo modo, come ci insegna l’esortazione latina della lapide, che bisogna godere la Galleria Borghese. La quale non è un museo didattico come gli Uffizi (la grande storia dell’arte italiana ed europea raccontata per exempla), non è un museo generalista come i Vaticani dove sono ordinati per sezioni (gli Etruschi e gli antichi Egizi, l’Etnografia e l’Arte Moderna, la statuaria greco-romana e il Rinascimento) i documenti della umana artisticità. La Galleria Borghese è un’altra cosa. Non è governata da un progetto museografico ma da un collezionismo onnivoro e tuttavia infallibile nel gusto e nella percezione e nella scelta della qualità. L’accumulo La Sala degli imperatori nella Galleria Borghese prodigioso della Borghese, la sua «meravigliosa condel cuore di fronte alla seduzione fusione», come scriveva, con una della bellezza della natura mescola- bellissima immagine, lo Haskell, sota a quella dell’arte. no la ragione principale del suo faCi è ignoto l’autore che all’inizio scino. Bisogna perdersi dentro la del Seicento dettò il testo, scritto in Borghese, lasciandosi guidare da uno splendido latino che ha la te- niente altro che dalla seduzione del nerezza luminosa di Ovidio e di luogo e delle cose. Virgilio. Chiunque sia stato (forse Occorre, come scrive l’esortaziolo stesso cardinale Scipione) egli ne latina, chiedere e cercare, ogni era un genio della sensibilità artisti- volta, quae cupis, le cose che più ca e insieme della comunicazione, ami e che vuoi rivedere. Questo è vero per tutti. Ogni volta che io torno nella Galleria Borghese «Gira dove ti pare voglio rivedere certe cose. Per esempio il levigato chiedi splendore delle membra cerca quello che ami di Dafne che diventano rami e foglie nella statua e poi vattene quando vuoi» del Bernini, per esempio Ecco come il cardinale Scipione il liocorno che la dama di Raffaello stringe in bracinvitava allo «stupore armonioso» cio come se fosse un affettuoso gattino, per esempio la Danae di Corperché ci ha detto, come nessuno reggio, capolavoro di squisito erotiha saputo fare meglio di lui dopo, smo, o il cielo velato di nubi che le ragioni del fascino di Villa Bor- sta sopra l’incontro fra Tobiolo e ghese e il modo giusto per attraver- l’Angelo, nel noto quadro del Sasarla e per goderla. voldo. Ito quo voles, petito quae cupis, Soffermandomi anche, senza conabito quando voles; questo dicono le trasto, senza contraddizione, sui parole di accoglienza e di benvenu- mosaici tardoantichi che parlano di to scolpite nel marmo e rivolte al venatores e di iugulatores: atroci racvisitatore: «Gira dove ti pare, chie- conti di massacri di belve e di uodi, cerca quello che ami» (petito mini. quae cupis) e poi vattene quando Se esiste un luogo al mondo abivuoi. Sapendo che quello che hai tato dallo “stupore armonioso”, due visto e ammirato dentro la Galleria parole che sono sinonimo della pu(Caravaggio e Raffaello, Gian Lo- ra felicità, questo è la Galleria Borrenzo Bernini e il Lanfranco, Anni- ghese. Ce lo dice la lapide vaticana bale Carracci e Rubens, la statuaria ora in esposizione e chiunque potrà romana con il bianco marmo, il ne- facilmente verificare che ciò che lì è ro basalto e il rosso porfido) lo ri- scritto è perfettamente vero. Erano mesi e mesi che pistava sulle strade toscane e umbre con documenti contraffatti E in un giorno afosissimo di luglio le cose precipitarono di OLIVIERO BEHA opo la guerra, a chiunque gli avesse domandato, sapendo qualcosa di vago oppure nulla di nulla sulle sue missioni di corriere, se ci fosse stato un momento peggiore degli altri in cui aveva visto la morte in faccia, Gino rispondeva senza esitare: «La prigione e la banda Carità». Questione di momenti. Nella storiografia partigiana occupa un posto significativo il concetto di “momento buono” sviluppato negli episodi e nelle fasi di una guerra diventata civile dopo l’8 settembre. C’era un “momento buono” per un’incursione o un assalto, c’era un “momento buono” per l’occupazione di un luogo con i tedeschi in ritirata, c’era, più in generale, “il” momento buono per antonomasia, quello in cui la sollevazione popolare sarebbe stata matura per avere il sopravvento. Ovviamente il “momento buono” presupponeva una sfilza spesso ininterrotta di “momenti cattivi”. Per Gino, postino degli ebrei, era quasi l’opposto: con la Provvidenza sulle spalle e gli Angeli che lo sollevavano insieme alla sua bicicletta, come avrebbe scritto Malaparte in una sofisticata distinzione con Coppi, invece interpretato come Angelo di suo nei duelli “ignari” (delle imprese belliche di Bartali) del dopoguerra, lui aveva infilato una lunga serie di momenti buoni per sé e quindi per gli altri. Come valutare altrimenti la straordinaria continuità positiva delle sue “missioni segrete”? Anche se, a ben guardare, quei giri speciali di Gino nel macroscopico contesto bellico non ne facevano un’epopea, nel momento in cui il pericolo volteggiava sulla testa di tutti, o quasi. Certo, bombardamenti e mitragliate erano frequenti, ma poteva sembrare che non ci fosse poi grande differenza tra un Gino in allenamento e uno in missione particolare. Aveva insomma normalizzato un’impresa eccezionale assimilandola a una sorta di routine nel modo di portarla a termine. Aveva inanellato una catena di “momenti buoni” che lui aveva fatto diventare tali, e l’eccezione era il “momento cattivo”. Che venne, e fu pessimo. D La sola cosa certa era che se potevano dimostrare che lui collaborava con una rete di falsari era destinato all’esecuzione Erano mesi e mesi che Gino pistava sulle strade toscane e umbre, latore dei documenti contraffatti ma anche di informazioni preziose sugli spostamenti di tedeschi e repubblichini. E quando poteva reperiva cibo per i più deboli, i “poveracci”, nella fame dilagante. Tra ciò che era permesso fare, come ad esempio aiutare i più disgraziati magari nell’ambito di iniziative che partivano dalla diocesi e dai vari ordini religiosi, e ciò che invece non era permesso, dall’“operazione documenti” alle informazioni cruciali per i partigiani e i profughi in genere, lo spartiacque cambiava di volta in volta, secondo le circostanze. Nel termometro del rischio il mercurio andava a balzi, così da stressare chiunque. Gino compreso, naturalmente, giacché la sua forza morale doveva fare i conti con la sua razionalità che l’adrenalina caricava a mille. Lo dice lui, sempre in quella forma pudica delle sue memorie “reticenti”. «Dovunque andassi mi pareva che mi seguissero. Io, che già dormivo poco, smisi completamente di farlo. Rimanevo tutta la notte ad ascoltare lo sfrigolio dello stoppino di una lampada a petrolio». Da quando monsignor Dalla Costa gli aveva affidato “la” missione ovviamente era cambiato tutto, anche se all’esterno doveva simulare una continuità con il Gino di Cento anni fa, il 18 luglio 1914, nasceva Gino Bartali La sfida più difficile? Con la banda Carità prima. Ma dire che non si aspettasse migerata banda che correvano sulla bocca qualche brutta sorpresa, quello no, non dei fiorentini, a opera dei sopravvissuti o era cretino: impazzavano le squadracce fa- per vanteria pubblica degli scherani. Si fisciste più zelanti addirittura dei nazisti e gurò le scene di Carità con le finte esecuun campione di ciclismo e di popolarità zioni, cui seguivano lunghe risate sganche girava con una simile libertà non po- gherate di fronte ai superstiti, privati se teva non dare nell’occhio. Almeno così te- non ancora della vita certo di ogni dignimeva, e a ragione, nella Firenze infestata tà. Oppure il Grand Guignol degli struda spie, che in quell’estate del 1944 si av- menti di tortura a vista, nella vasta sala viava all’ultimo atto dell’occupazione te- che fungeva da stanza per gli interrogatodesca. ri e da luogo di bisboccia, prima e dopo: Fu allora, in un giorno afosissimo di lu- fruste, verghe d’acciaio, pinze, manette, glio, che le cose precipitarono e arrivò ap- arnesi di rozza falegnameria destinati ai punto il “momento pessimo” di Gino, lobi delle orecchie delle vittime, un trianneppure troppo inaspettato, come detto. golo in legno cui venivano appese e fruIl paradosso, intrigante nel raccontarlo state. Non mancava neppure la modernizma affilato nel viverlo, fu che il Bartali zazione delle scariche elettriche in una postino non c’entrava moltissimo con il stanza apposita. Molto presto toccò a lui, motivo per cui venne arrestato dalla ban- in quella sala: somigliava davvero a come da Carità, interrogato e programmato per se l’era immaginata. Mentre aspettava, gli un’esecuzione. L’“Himmler italiano” godeva di quel soprannome perché tale avrebbe voluto essere. Girava bardato fino all’inverosimile di tutti gli orpelli “gotici” del comando, “nero” d’anima e di aspetto, era o si faceva passare per maggiore, era sempre circondato da un drappello di fedelissimi che facevano a gara nel dimostrarsi più feroci del capo. Il suo nome era Mario Carità, laddove il nomen omen del destino diSaranno diversi gli appuntamenti, il disomen ventava 18 luglio, per ricordare Gino Bartali. volgendosi quasi Tra gli altri, a Firenze, in Palazzo sempre tragicamenVecchio, si svolgerà una celebrazione te nel suo contracommemorativa e a Ponte Ema, rio. luogo di nascita del campione, il In quel periodo cardinale Giuseppe Betori, di transizione tra il arcivescovo di Firenze, aprirà il 1943 e il 1944, priMuseo del ciclismo dedicato alla ma dell’arrivo degli memoria di “Ginettaccio”. Tutte le Alleati, in cui l’odio e la paura si informazioni si possono trovare in attizzavano l’un rete (www. fondazionebartali.it). l’altra, Carità faceva In questa pagina pubblichiamo praticamente il belalcuni stralci dal libro appena uscito, lo e il cattivo temUn cuore in fuga. Il romanzo di po, con un punto Bartali, eroe silenzioso d’onore nel terro(Milano, Piemme, 2014, pagine 320, rizzare le persone e euro 14,90). uno zelo nell’interrogarle, torturarle e spesso farle uccidere che seminava spavento ovunque. Convocare Gino Bar- cadde l’occhio su una lettera, in vista sul tali, con l’alone che il campione garantiva, tavolo, di cui scorse il destinatario: era infu per il leader della banda Carità un vero dirizzata a lui. Non fece in tempo a reapiacere. C’era almeno una lettera detta- lizzare compiutamente che cosa significagliata indirizzata a lui, ne avrebbe dovuto va perché entrò il temutissimo “Himmler rispondere. Così un giorno pessimo di lu- d’Italia”, e l’attenzione di Gino si spostò glio dovette presentarsi in quella a forza su di lui. Era un individuo grottefamigerata Villa Triste, teatro di sco. L’avrebbero descritto con la «bocca mille nequizie, quartier generale da rana» e le «palpebre a mezz’asta sugli di Carità e dei suoi sgherri, ov- occhi freddi, verde lucertola». Aveva una viamente senza conoscere il mo- sua forza, seppure caricaturale. La prima tivo della convocazione né parte dell’interrogatorio se ne andò con le l’eventuale capo di imputazione. banali intemerate del maggiore Carità La sola cosa certa era che se contro la Chiesa e i cattolici. Gino rimase potevano dimostrare «ragione- in silenzio. Quindi Carità prese con gesto volmente» (e tale avverbio lo fe- teatrale la lettera dal tavolo e cominciò a ce rabbrividire) che lui collabo- leggerla a voce alta. Era per lui, dal Vatirava con una rete di falsari, era cano: si citava «il suo aiuto». «Quale aiudestinato all’esecuzione. Bastava to?» chiese il bislacco graduato stropicche qualcuno avesse parlato, ba- ciandosi le mani prima e schiaffeggiandosi stava un torturato che avesse gli alti stivali neri con una frusta poi. Siraccontato dei suoi viaggi a te- curamente la considerava una lettera cifrata. laio pieno... «Armi, vero? Tu hai mandato armi al E poi c’era la storia dei Goldenberg, asilo a una famiglia Vaticano. Posso farti uccidere per questo» ebrea, non avrebbe saputo a che insistette. «No, no, niente armi» proruppe Gino santo votarsi, che è un modo di dire perché c’era sempre la pa- con decisione, quasi sollevato, ma senza trona dei carmelitani, santa Te- darlo a vedere, con la sua voce ancora più roca. «Non è vero, stai mentendo» fece resa di Lisieux. Nella penombra gli vennero gelido Carità. «Non mento, è la verità» in mente tutti i racconti sulla fa- rispose Gino reggendo lo sguardo. Un cuore in fuga L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 giovedì 17 luglio 2014 L’efficacia dei sacramenti Tutto proviene da Gesù di GIANCARLO MARIA BREGANTINI Don Mazzolari è stato una di quelle figure, chiare e preziose, che ci hanno accompagnato negli anni decisivi della nostra formazione verso il sacerdozio e la vita consacrata, in seminario. Specie negli anni roventi della contestazione del dopo concilio, anni fecondi pur se sofferti. Anni in cui la parola profetica di don Primo, letta con avidità e interiorizzata con la forza che ha lo studio giovanile, era diventata un sicuro punto di riferimento, una luce, una risposta per maturare scelte decisive nella vita, che dovevano essere fatte “nostre” e non imposte da fuori, per ovvietà o stanchezza intellettuali. La storia ha i suoi tempi, di non facile lettura. Ma di certa maturazione. Come potremmo subito cogliere dal cammino di questi 50 anni di dopo concilio, preparato appunto da voci profetiche come quella di don Primo. Oggi, con benedizione, questo cammino di lenta ma fiduciosa maturazione ha in Papa Francesco la sicura certezza che quanto i profeti avevano intuito era esatto, era già una primavera che faceva intravedere feconde stagioni di frutti. Questo libro ha un pregio impagabile: quello di far emergere, con rigorosa documentazione (quella documentazione di chi don Mazzolari l’ha studiato fin sui banchi dell'università, per farne tesi di laurea, appassionata e vitale), che se don Mazzolari è stato un “profeta” che ha saputo intravedere la presenza del Signore in tempi difficili e in condizioni ostili, è stato proprio perché ha vissuto come parroco. Da qui, quella luce che ancora oggi emanano le sue opere. Specie quelle più appassionate che parlano del Cristo come impegno di vita. Parola, questa, che tanto mi ha aiutato nella mia scelta, insieme alla voce e alla testimonianza di don Lorenzo Milani e di padre Turoldo. Ecco perché cogliere il taglio di don Primo come «parroco d'Italia» è di certo un'intuizione preziosa. E stato parroco d'Italia, proprio perché è stato parroco di piccoli paesi, a Cicognara e Bozzolo. Qui, nel piccolo, nel quotidiano, nell’umiltà e nella povertà è diventato quella «tromba dello Spirito Santo in terra mantovana» (come finalmente lo ebbe a proclamare papa Giovanni nell’atteso incontro, poco prima di morire, il 5 febbraio 1959). C'è infatti un modo diverso di vedere le stesse cose. C’è chi le osserva superficialmente. C’è invece chi va oltre. Imparando proprio dai contadini di Bozzolo, don Primo intuì che non bastava osservare passivamente i rami, apparentemente secchi, di filari di viti durante l’inverno. Certo, sembrano sterili, tesi al nulla, perduti. E invece, quando l’esperto contadino pota, già «intravede sui rami secchi il grappolo. Non vede, ma intravede». Questo è il profeta. Questo è stato don Primo. Ma se ha saputo intravedere tempi futuri, per la Chiesa e per l’Italia, lo ha fatto imparando proprio dalla sua gente, dai contadini delle sue parrocchie di Cicognara e di Bozzolo. Li amava, ne condivideva le fatiche e la fame in tempo di guerra e di miseria; li serviva e ammoniva, insegnando dal pulpito con voce chiara, ogni sera, di INOS BIFFI Don Primo Mazzolari Il parroco d’Italia partendo sempre dal Vangelo, proclamato con chiarezza e bellezza. Si impara a intravedere poiché si ama la gente, il suo linguaggio, si ascoltano le sue lacrime. Come fece don Primo nei dieci anni di parroco a Cicognara e poi nei lunghi anni di Bozzolo. Ma poi, seppe volare alto, oltre i confini ristretti della sua stessa parrocchia, come ricorda nel suo stesso testamento spirituale: «Se ho lavorato anche fuori, il Signore sa che non sono uscito per cercare rinomanza, ma per esaurire una vocazione, che, pur trovando nella parrocchia la sua più buona fatica, non avrebbe potuto chiudersi in essa (...) ed il tornare a Bozzolo fu sempre per me tornare a casa e rimanervi con gioia affettuosa e ilare». Intravede chi ama. Come fece l’apostolo Giovanni, davanti al «fantasma» sulla riva. Fu lui, per primo, che intravide in quell’ombra: «È il Signore» (Giovanni, 21, 7). E lo gridò con gioia e certezza, tanto da creare nel cuore preoccupato di Pietro lo slancio ardito verso Gesù. Poi, con calma e pienezza, giunse anche la barca, con i suoi 153 grossi pesci. Tutti i protagonisti incontrano Gesù. Ma con cuore diverso, con tempi differenti e scaglionati. Don Mazzolari è quel Giovanni che intuisce e proclama. Per questo la sua voce si è fatta profetica. Perché tanto ha amato. Proprio nella linea che, in questi giorni, Papa Francesco ci ha regalato, nella sua concretissima esortazione apostolica Evangelii gaudium. Scrive, quasi eco dello stile e della vita di don Primo: «Il predicatore deve porsi in ascolto del popolo, per scoprire quello che i fedeli hanno bisogno di sentirsi dire. Un predicatore è un contemplativo della Parola ed anche un contemplativo del popolo» (n. 154). Non poteva esserci conferma migliore. Così don Primo oggi trova luminosa conferma da Papa Francesco, come già ieri ne aveva provvi- I destini del mondo maturano in periferia Il servizio alla parrocchia e l’impegno «oltre la parrocchia» per una pastorale missionaria e una testimonianza coraggiosa ispirata al convincimento che «i destini del mondo si maturano in periferia»: tutto questo è racchiuso nella biografia che Bruno Bignami dedica a una delle figure più significative del cattolicesimo italiano nella prima metà del Novecento (Don Primo Mazzolari. Parroco d’Italia, Bologna, Dehoniane, 2014, pagine 188, euro 15). Pubblichiamo la prefazione a firma dell’arcivescovo di Campobasso-Boiano. L’annuncio del Vangelo sulle alture etiopi I piccoli missionari di Kofale di EGIDIO PICUCCI † Nella fede in Cristo Risorto, il Vescovo, mons. Beniamino Pizziol, il presbiterio e l’intera comunità diocesana, annunciano la morte, avvenuta martedì 15 luglio all’Ospedale di Vicenza, di Monsignor PIETRO GIACOMO NONIS Vescovo Emerito Ricordando con riconoscenza il suo servizio episcopale alla Chiesa vicentina dal 1988 al 2003, lo affidano alla misericordia del Padre invocando per lui il premio promesso ai servi fedeli. Le esequie si terranno sabato 19 luglio alle ore 10 nella Chiesa Cattedrale di Vicenza. La salma sarà esposta nella Chiesa di San Bartolomeo nel Chiostro antico dell’Ospedale di Vicenza fino alle ore 12 di giovedì 17 luglio e successivamente dalle ore 17 all’Oratorio del Gonfalone in Piazza Duomo. Vicenza, 16 luglio 2014. denzialmente avuto sostegno e riabilitazione da Papa Giovanni. Quel papa che di certo pensava a lui quando iniziava il Concilio, nella sua celebre omelia dell’11 ottobre 1962: «Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l'umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi, attraverso l’opera degli uomini e spesso al di là delle loro aspettative e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa!». Il suo soffrire ha fecondato il suo parlare e agire. Ci è di monito serio ed efficace per tutti. Specie per chi, come un vescovo, deve proclamare, deve parlare, deve prendere posizione e non può restare neutrale. Deve schierarsi. Ma sempre, posso anch’io umilmente attestare, proprio in quel crogiuolo della sofferenza, nasce l’oro purissimo della fede, il frutto oltre la potatura, la pesca con le reti piene oltre le reti vuote. Dio premia chi ama e chi lo ama e chi lo fa amare, con verità e coerenza. Grazie a don Bruno, per questo libro, che esce ora, nel solco approfondito dall’Anno della fede. Sono certo che anche questo libro ci aiuterà, oggi, sulla scia della nuova evangelizzazione, a essere coraggiosi, fantasiosi, aperti al nuovo incontrato nello studio e nella passione di biblioteca. Ma soprattutto incontrato nella voce di un popolo, con cui condividiamo il dramma della crisi, in povertà e sacrificio, ma anche in letizia e gioia perché sorretti da quel Cristo, con cui ci siamo impegnati per amore, per sempre. C’è voluta molta pazienza, ma l’iniziativa ha avuto successo. Parliamo di quanto è accaduto sulle alture etiopiche di Kofale, il luogo in cui i famosi e temibili maratoneti etiopi si allenano per le gare di atletica leggera cui partecipano (spesso vincendo) in tutto il mondo. Qui ci sono i verdi acrocori degli Oromo, folti di vegetazione che sul far del giorno gronda lacrime di rugiada. I monti svettano tutti sopra i duemila metri, un’altitudine quanto mai adatta a preparare gli scatti felini dei 100-200 e 400 metri o le distanze del mezzofondo, discipline in cui gli etiopi fanno ormai scuola. Proprio a Kofale c’è una missione cattolica che appartiene alla prefettura apostolica di Robe, affidata al cappuccino Angelo Antolini. Parroco è il suo confratello padre Bernardo Coccia che vi lavora insieme a una piccola comunità di suore francescane missionarie di Cristo, impegnate nell’assistenza dei bambini e nella promozione della donna. La gente è religiosamente divisa tra ortodossi e musulmani, con una notevole prevalenza di questi ultimi; i cattolici sono lo 0,03 per cento, ma godono di una considerevole stima perché la Chiesa li ha formati secondo i principi del Vangelo: essere vicino ai poveri e rispetto per gli altri, compreso quello per le culture, le tradizioni e le lingue. Da Kofale dipende il piccolo villaggio di Gode, in cui manca quasi tutto: acqua, energia elettrica, ospedale, scuola e chiesa: la gente, compresi i catecumeni, si riuniscono o all’ombra di un mango o sotto una tenda polivalente. Oltre alla catechesi, a padre Bernardo preme anche l’istruzione dei piccoli che parlano e capiscono solo la lingua oromo che egli ha imparato rapidamente sia studiandola sulla grammatica scritta a suo tempo da monsignor Guglielmo Massaja, sia alla scuola di un giovane oromo, prima ancora di arrivare fra la tribù. Non sapendo a quale realtà appigliarsi per facilitare l’insegnamento dei piccoli, insieme alla suora ha trovato, finalmente, un metodo “fatto in casa”. Ha fatto disegnare dai bambini di Kofale e riunire in unico quaderno, piante, insetti, animali, utensili domestici, corredati dal nome oromo e da far colorare ai coetanei di Gode. Pare una cosa da nulla, ma ha richiesto un anno di lavoro attento e paziente. Al quaderno, il parroco e la suora hanno poi abbinato un secondo quaderno (un lavoro immane, considerando che si tratta di centinaia di quaderni) che riporta le immagini e le scene più comprensibili della Bibbia con didascalie in lingua oromo. L’intento è quello di servirsi della Bibbia per insegnare a leggere e a conoscere la Sacra Scrittura come si faceva un tempo, cioè con una piccola “Bibbia dei poveri” a portata di mano. La “catechesi” è stata affidata naturalmente ai piccoli cattolici che hanno accettato con entusiasmo e facendo un’evangelizzazione a tappeto, passando da una capanna all’altra con la spontaneità dei bambini e la serietà dei maestri. Quando la Chiesa pellegrina sulla terra celebra la liturgia, e in particolare l’Eucaristia, è persuasa che alla sua lode prenda parte anche la Chiesa celeste. Essa conclude abitualmente i prefazi proclamando di essere unita «agli angeli e agli arcangeli e a tutti i santi del cielo» nel canto gioioso dell’inno della gloria, e pregando che le sue «umili voci» si possano associare al loro inno eterno. La stessa persuasione ritorna lungo il canone: così, nel ricordo della Vergine Maria, dei santi apostoli e martiri e di tutti i santi; nella supplica di poter «godere della loro sorte beata»; nell’implorazione che l’offerta eucaristica «sia portata sull’altare del cielo». Tutta la popolazione celeste, invisibilmente ma realmente, presenzia ai riti della Chiesa di quaggiù in preghiera. I sensi non la avvertono, ma la percepisce la fede. Viene in mente la convinzione di Newman, che nel caso della liturgia è ancora più fondata. Nel 1831, in un sermone per la festa di san Michele, scriveva: «Ogni alito d’aria, ogni raggio di luce o di calore, ogni bella vista è, per così dire, l’orlo della veste [degli angeli], l’ondeggiare del manto di coloro i cui volti contemplano Dio». Egli considerava «la santa Chiesa coi suoi sacramenti e la sua scala gerarchica, fino alla fine del mondo», come «un simbolo di quelle realtà celesti che riempiono l’eternità», e «i suoi misteri soltanto un’espressione, in termini umani, di verità che la mente umana non è in grado di spiegare». Ma non basta riconoscere questa compagnia della Chiesa celeste concelebrante con la Chiesa terrena. In realtà, se noi possiamo celebrare quaggiù la nostra liturgia, è perché la celebra lassù la Comunità beata: il nostro sacrificio è imitazione e riflesso di quello del cielo; la memoria dell’immolazione del Calvario arriva a noi, passando attraverso l’esaltazione del Crocifisso glorioso. Incominciamo, anzitutto, a osservare che la Chiesa esiste sulla terra perché esiste la Chiesa gloriosa, la quale fonda e precede la Chiesa ancora nel tempo. Infatti, la Chiesa trova il suo principio e la sua ragione nel Cristo risorto, che è in assoluto il Capo della Chiesa, suo Corpo. Dove c’è il Risorto, là c’è la Chiesa, là ci sono tutti i giusti che la compongono, tra i quali primariamente la Vergine Maria, e c’è lo stesso mondo angelico, del quale Gesù risorto è ugualmente Signore, capo di ogni Principato e di ogni Potenza. La figura della Chiesa è ora esemplarmente avverata nella Chiesa celeste, dove la grazia, che deriva tutta dal Crocifisso risuscitato, è trasfigurata e ultimata in gloria. Non è, quindi, la Chiesa del compimento, a seguire le orme della Chiesa del divenire, bensì la Chiesa del divenire che si ispira a quella del compimento. D’altra parte, ogni grazia e ogni ministero nella Chiesa terrena derivano dal Risorto: da Colui che con la risurrezione ha ricevuto «ogni potere in cielo e sulla terra» (Matteo, 28, 18) e, «innalzato da terra», trae «tutti» a sé (Giovanni, 12, 32). Tutte le azioni ecclesiali salvifiche sulla terra, finalizzate «a edificare il corpo di Cristo» — apostolato, profezia, evangelizzazione, attività pastorale e magisteriale — sono dono del Signore risorto assiso alla destra del Padre e operano dello Spirito da lui inviato. Ne consegue che anche ogni atto liturgico è possibile e valido per la presenza attiva della signoria di Gesù e per l’azione del suo Spirito che, perfettamente in atto in cielo, si inseriscono nella storia della Chiesa in terra. I nostri riti sono — secondo il linguaggio di Ambrogio e di Newman — un’im- magine della verità dei “riti” celesti, dove, in realtà, ormai si sono sciolti i simboli. L’efficacia dei “sacramenti” proviene tutta da Gesù, che è il Signore vivente, che colma i nostri segni o i nostri servizi. In altre parole: se per liturgia si intende la celebrazione della lode divina, il ringraziamento per la redenzione, l’esultanza per la comunione col Cristo glorioso e per la contemplazione, in lui e con lui, della Santissima Trinità, chiaramente è in cielo che questa liturgia si trova nella condizione perfetta. Anzi, dobbiamo riconoscere che i nostri riti, che ancora si svolgono nel tempo, sono possibili, perché a presiederli è Gesù, il Sommo Sacerdote, capace di «salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore» (Ebrei, 7, 25). La nostra liturgia è sostanziata esattamente dall’intercessione celeste del Figlio di Dio, costituito sacerdote e «reso perfetto per sempre» (Ebrei, 7, 28). Mancasse questa presenza di Cristo e questa sua persistente intercessione, essa si troverebbe estenuata e impotente. Questo vale in particolare per la celebrazione eucaristica. Né per ciò verrebbe compromesso il valore storico dell’immolazione della Croce. Al contrario. Nella messa è presente il sacrificio del Calvario nella sua verità storica. Solo che quel sacrificio, a differenza di tutti gli altri sacrifici, destinati a esaurirsi e a ripetersi, ricevette un compimento e una perfezione, o una condizione celeste, che lo riscattavano da una pura storicità e temporalità terrene. Il sacrificio della Croce è il sacrificio del Risorto; un intimo legame connette la morte di Gesù con la sua risurrezione: se Gesù non fosse risorto, il suo sacrificio sarebbe stato inefficace. In questo senso si potrebbe dire che il sacrificio storico della Croce è un sacrificio “celeste”, e per la condizione celeste del Risorto, nella sua reale e singolare storicità, può essere sempre e irripetibilmente presente nella liturgia della Chiesa terrena. Alla celebrazione liturgica della Chiesa, e in modo speciale alla celebrazione dell’Eucaristia, fosse pure la più solitaria, la popolazione celeste, con Gesù risorto, tutti i santi e l’intera corte angelica, non solo prende parte, ma ne costituisce il modello. Il nostro culto è ancora «immagine e ombra delle realtà celesti» (Ebrei, 8, 5), tutto animato dal loro desiderio, in attesa che trapassi in esse, con la venuta del Signore. L’OSSERVATORE ROMANO giovedì 17 luglio 2014 pagina 7 Nella diocesi di Malang il raduno nazionale degli scout cattolici indonesiani Unità nella diversità L’invocazione a Dio del patriarca caldeo Sako in una lettera ai parlamentari iracheni Aiutaci a diffondere la pace BAGHDAD, 16. Una lettera-appello per chiedere a tutte le forze politiche di prendere atto che il Paese sta scivolando nel caos, con un numero sempre crescente di morti e di rifugiati, e che dunque non c’è più tempo da perdere nella formazione di un nuovo Governo, è stata indirizzata ai parlamentari iracheni dal patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphaël I Sako. Il patriarca — così si legge nell’appello — unisce la sua «umile voce di responsabile cristiano» a quelle dei capi musulmani, sciiti e sunniti, per chiedere di «accelerare le elezioni delle tre presidenze e salvare il Paese dai pericoli dell’anarchia e della disgregazione». Il leader spirituale della Chiesa caldea propone ai membri del Parlamento anche il testo di una preghiera, breve e intensa, da leggere all’inizio delle riunioni dell’assemblea parlamentare: «Dio — così recita l’invocazione suggerita dal patriarca — aiutaci affinché possiamo dialogare tra noi e possiamo comprenderci gli uni gli altri, così da sciogliere gli equivoci tra noi, lontano da ogni restrizione e settarismo. Dio, aiutaci a diffondere la pace e la tranquillità tra il nostro popolo, così che l’Iraq possa uscire vittorioso da tutti i suoi problemi. Amen». L’appello del patriarca Sako è solo l’ultimo dei tentativi intrapresi dai responsabili della comunità cristiana locale per richiamare l’attenzione sul clima di violenza e di insicurezza che attraversa il Paese, soprattutto a seguito dell’avanzare delle forze jihadiste. Nei giorni scorsi lo stesso patriarca caldeo, insieme all’arcivescovo di Mossul dei Siri, Yohanna Petros Moshe, e all’arcivescovo di Kerkūk dei Caldei, Yousif Thomas Mirkis, si è recato a Bruxelles per lanciare un appello ai responsabili dell’Unione europea affinché si pongano in essere i necessari aiuti internazionali per impedire una guerra civile che metterebbe in pericolo il futuro del Paese e di una minoranza «fragile» come quella cristiana. L’ultimo censimento iracheno del 1987 stimava il numero dei cristiani nel Paese in circa un milione e 400.000. Oggi la comunità cristiana conta approssimativamente 300.000 fedeli. La maggioranza vive a Baghdad, sebbene le migrazioni interne verso il più sicuro Kurdistan iracheno non accennino a diminuire. L’iniziativa, promossa da Aiuto alla Chiesa che soffre, rientra — afferma un comunicato — nell’ambito della collaborazione che la fondazione pontificia ha da tempo avviato con le istituzioni comunitarie europee e che ha visto lo svolgersi di altri incontri con testimoni delle Chiese in difficoltà, quali quelle di Pakistan, Egitto, Siria e Repubblica Centroafricana. Parlando di fronte al presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy, e ad altri rappresentanti dell’Unione, il patriarca Sako ha descritto l’estrema debolezza e la fragilità della minoranza cristiana. «Se non verrà trovata una soluzione pacifica, non resterà che una simbolica presenza cristiana. E ciò metterà la parola fine alla nostra storia in Iraq». Nonostante i cristiani non rappresentino un chiaro obiettivo dei fondamentalisti, il leader caldeo ha raccontato come, in seguito all’invasione da parte dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis), tanti dei suoi fedeli siano stati costretti a lasciare le proprie case alle forze jihadiste. Assieme a loro anche molti musulmani che hanno trovato rifugio in alcune strutture della Chiesa o presso le famiglie cristiane di villaggi vicini. «L’opera pastorale della Chiesa — ha sottolineato il patriarca Sako — non è rivolta soltanto ai cristiani». I membri della delegazione irachena hanno inoltre illustrato il fondamentale ruolo che la loro comunità può ancora giocare nel Paese, nonostante anni di violenze e persecuzioni sistematiche. La presenza cristiana, seppur minoritaria, può infatti contribuire alla mediazione tra le parti coinvolte nel conflitto settario e agevolare le relazioni con la comunità internazionale. L’aver mantenuto un’assoluta neutralità e avere promosso soluzioni pacifiche, fa dei cristiani degli ottimi mediatori che cercano di costruire ponti di pace attraverso il dialogo. «Tutti sanno che il nostro unico interesse è il bene del Paese. Ed è per questo che gli esponenti delle diverse fazioni accolgono sempre con favore il nostro invito a incontrarsi e discutere nelle nostre chiese». I tre leader religiosi temono che le continue violenze possano mettere fine a duemila anni di cristianità in Iraq. «Sotto Saddam avevamo sicurezza, ma non libertà religiosa. Oggi abbiamo libertà religiosa ma non sicurezza», ha affermato il patriarca Sako. JAKARTA, 16. Quasi tremila ragazzi e ragazze provenienti da quindici diocesi dell’arcipelago indonesiano hanno partecipato nei giorni scorsi al raduno nazionale degli scout cattolici svoltosi a Malang, nella provincia di Giava orientale. L’incontro ha evidenziato l’anima pluralista del Paese, caratterizzato da una varietà di etnie, lingue, religioni e culture diverse. Non a caso il tema era «Unità nella diversità», sviluppato attraverso seminari, gruppi di lavoro, momenti ludici tenutisi nella sede dell’Associazione educatori cattolici. Presenti numerosi sacerdoti che hanno contribuito in modo attivo alle iniziative in programma. «È un evento che si ripete ogni due anni», ha spiegato ad AsiaNews Dionisius Agus Puguh Santosa, docente in una scuola superiore della diocesi di Banjarmasin, da tempo impegnato nell’organizzazione degli incontri. Per l’edizione 2014 si è scelta la diocesi di Malang, mentre la prossima, nel 2016, avrà luogo nell’arcidiocesi di Semarang. Almeno duemilasettecento i giovani presenti, provenienti da sette diocesi e territori speciali dell’isola di Java; vi erano poi rappresentanze da altre isole dell’arcipelago. I partecipanti sono stati suddivisi in cinque diverse zone della diocesi, sotto il controllo di dodici sacerdoti per ogni gruppo. All’incontro ha partecipato il capo del movimento scout nazionale, Adhyaksa Dault, ex ministro per lo Sport e le Politiche giovanili del Governo di Jakarta, che si è detto «orgoglioso» di collaborare alle iniziative dell’Associazione educatori cattolici. Oltre allo spirito di condivisione e di valorizzazione delle diversità, la settimana di seminario ha dedicato una particolare attenzione al tema della globalizzazione, con un workshop dedicato allo «sviluppo del villaggio globale», con materiali e contributi provenienti da religioni e fedi diverse. In Indonesia, la nazione musulmana più popolosa al mondo, i cattolici sono una piccola minoranza composta da circa sette milioni di persone, pari al 3 per cento circa della popolazione totale. La Costituzione sancisce la libertà religiosa ma non mancano episodi di discriminazione e violenza sulle minoranze, soprattutto nelle aree dove più è radicata la visione estremista dell’islam, come ad Aceh. I cattolici rappresentano una parte attiva nella società e contribuiscono, sotto varie forme, allo sviluppo della nazione. Singolare iniziativa di cristiani e musulmani in Pakistan Quando il rispetto s’impara regolando il traffico ISLAMABAD, 16. Mutare l’atteggiamento conflittuale dei cittadini, superare tradizioni sociali e comportamenti consolidati e sostituirli con iniziative di pace, armonia e rispetto della vita umana. E, ancora, trasformare la società partendo dai problemi di tutti i giorni: un processo di sviluppo che non avviene con «ritocchi di cosmesi», ma mediante modifiche «radicali e sostanziali» che guardano alla modernità e che devono adattarsi a un modello culturale così particolare come quello del Pakistan. Con questo spirito, un centinaio di studenti delle superiori e universitari, cristiani e musulmani, hanno partecipato — riferisce l’agenzia AsiaNews — a un simposio di due giorni dedicato a «Strategia e pedagogia per una trasformazione sociale». L’evento, svoltosi nei giorni scorsi a Faisalabad, nella provincia di Punjab, è stato organizzato dal movimento cristiano Learn-Empower-Act-Promote (Leap) e da Transparency Network, una rete di ong locali. In una società caratterizzata da forti e non raramente violente tensioni tra le diverse comunità religiose, da ripetuti casi di abusi verso le minoranze — basti citare la controversa questione della legislazione sulla blasfemia, spesso utilizzata per regolare conti in sospeso — da discriminazioni e violenze sulle donne, un piccolo passo verso il cambiamento sociale può partire anche da un diverso atteggiamento nella vita pubblica. Una trasformazione alla quale tutti i cittadini, e in particolare i credenti, sono chiamati a contribuire — sottolineano i promotori del simposio — agendo in modo «responsabile». George Clement, ex parlamentare, filosofo e attivista sociale, è uno dei responsabili della due giorni di formazione. Egli spiega di avere impiegato metodi che ricalcano i modelli dei filosofi e dei saggi dell’antica Grecia e degli educatori moderni, adattati al contesto sociale. In questa prospettiva, una delle prime attività proposte agli studenti è stata quella, all’apparenza singolare, di contribuire a regolare il traffico caotico della città. Perciò i giovani sono stati inviati presso i principali incroci e arterie per regolare il flusso di auto e motocicli. Li hanno seguiti in questa originale attività i vertici della polizia locale e dei vigili urbani, che hanno mostrato loro i metodi utilizzati dagli agenti nello svolgimento del proprio lavoro. Un’iniziativa, è bene ripeterlo, solo all’apparenza curiosa e marginale, perché anche in Pakistan, come in quasi tutto il mondo, il traffico è una delle principali fonti di stress, ansia e di tensione sociale. E proprio dal modo in cui ci si avvicina alla strada può derivare un primo, importante segnale di cambiamento culturale visto che anche le persone con un livello elevato di istruzione si mostrano spesso insofferenti alle norme del codice stradale. E quanti commettono di proposito delle infrazioni vengono in genere considerati più «furbi» degli altri se non addirittura meritevoli di stima. Attraverso questo particolare metodo pedagogico, i giovani di diversi fedi religiose sono stati messi alla prova e hanno tentato di regolare il traffico, assimilando e diffondendo i concetti di «tutela e sicurezza» e il bisogno di disciplina personale sulla pubblica via. La speranza è che le nuove generazioni possano diventare «modelli di cambiamento», rafforzando il senso di responsabilità e diventando fonte di «ispirazione» per il resto della cittadinanza. «Questo potrebbe essere il primo passo — conclude uno degli organizzatori del simposio — in direzione del cambiamento sociale e della trasformazione per i cittadini pachistani». Una legge in Burundi disciplina il proliferare delle denominazioni religiose Ce ne vuole per essere «Chiesa» BUJUMBURA, 16. In Burundi le confessioni religiose e loro denominazioni sono passate nel giro di vent’anni da quarantacinque a seicento (in gran parte comunità evangeliche) rendendo necessaria una regolamentazione. Per questo il Parlamento — riferisce la Misna — ha approvato all’unanimità una legge in base alla quale, per vedersi riconosciuta dalle autorità, una “chiesa” dovrà dimostrare di raggruppare almeno cinquecento membri, mille se la sua origine è straniera. Le comunità del Burundi hanno due anni di tempo per mettersi in regola dalla promulgazione del provvedimento, che intende contrastare la proliferazione dei gruppi religiosi. «La legge — osservano fonti locali contattate dall’agenzia — dovrebbe rimettere ordine in una sfera in continua espansione e dai contorni poco chiari. In realtà per molti gruppi la religione è solo una scusa per ricevere finanziamenti, soprattutto dall’estero, trasformandosi in un vero e proprio business e alimentando un’economia parallela. C’è una rincorsa ai soldi e al potere fra questi gruppi, chiamati da tempo “sette” e ormai fuori dal controllo delle autorità». In Burundi, secondo dati ufficiali, il sessantacinque per cento della popolazione è cattolica, il 3-4 per cento musulmano, il resto si divide tra metodisti e pentecostali. Il provvedimento era chiesto da tempo da varie parti. Probabilmente — secondo gli osservatori — è stato adottato ora in vista delle presidenziali del 2015, appuntamento cruciale ma a rischio. Certamente in questo momento confuso il proliferare di cosiddette chiese viene visto come un altro fattore di insicurezza che potrebbe strumentalizzare i fedeli in chiave politica. L’ultimo episodio di cronaca significativo è del marzo 2013 quando sette persone vennero uccise e trentacinque ferite in scontri con la polizia che voleva disperdere i seguaci di una setta pseudo-religiosa cristiana nella città di Businde, in provincia di Kayanza. Il gruppo cercava di raggiungere la cima di una collina per pregare. La giustizia ha emesso condanne a cinque anni di carcere a carico di 182 seguaci di questa setta, riconosciuti colpevoli di disubbidienza civile per non aver rispettato il divieto di raduno. Anche per evitare nuovi episodi del genere, per mettere ordine nell’ambito delle confessioni religiose caratterizzate da pratiche incontrollate, l’Assemblea nazionale ha quindi adottato all’unanimità il disegno di legge. «Abbiamo voluto delineare questo quadro giuridico — ha spiegato il ministro dell’Interno, Edouard Nduwimana — per tentare di ridurre tale proliferazione ma anche per regolare il modo in cui queste fedi operano, nel rispetto della tranquillità dei cittadini». Come detto, le condizioni per approvare qualsiasi nuova denominazione religiosa diventano più articolate e ci vorranno almeno cinquecento «fondatori» se l’entità è creata da cittadini burundesi, mille se di origine straniera. L’attività di culto si deve anche svolgere «in un posto dignitoso». Le misure contenute nel provvedimento sembrano prendere di mira in particolare gli animisti, le cui pratiche sono state definite dal ministro «retrograde». Anche secondo i rappresentanti cattolici in Parlamento «la scelta di praticare una religione deve essere una libera scelta» che «non può violare i diritti degli altri». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 giovedì 17 luglio 2014 Il saluto tra i cardinali Parolin e Rivera Carrera, arcivescovo di México, durante la messa Oggi sono gli immigrati «il volto del Cristo sofferente». Naturale, dunque, che la Chiesa abbia particolarmente a cuore la loro situazione e reclami nei più alti consessi del mondo il rispetto della loro dignità umana e di tutti i loro diritti naturali, la cessazione di ogni tipo di violenza fisica o morale nei loro confronti. Per questo prega e chiede di pregare. È il senso della celebrazione della messa presieduta ieri, martedì 15 luglio, dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, nel santuario mariano di Nostra Signora di Guadalupe, ultima tappa del suo viaggio nella capitale messicana. Il porporato si era recato nel Paese latino-americano per partecipare al «Colloquio Messico - Santa Sede su mobilità umana e sviluppo», organizzato dal ministero degli Affari esteri messicano lunedì 14. Prima di lasciare il Paese, dunque, il cardinale Parolin ha desiderato pregare nel santuario guadalupano e celebrare la messa con vescovi e sacerdoti della regione. «Non poteva mancare nella mia visita a questo amato Paese — ha spiegato all’inizio dell’omelia — un momento in cui la Madre mi permettesse di stare, come una sola famiglia, con tutti voi attorno a suo Figlio. E, sentendomi parte di questo popolo che si pone filialmente sotto la sua celestiale protezione, vengo anch’io a renderle omaggio, come fanno tanti pellegrini, ma soprattutto vengo a chiederle insistentemente quello che Lei sempre ci offre, suo Figlio Gesù». Commentando il brano del Vangelo in cui si parla «della Vergine pellegrina», il porporato ha sottolineato proprio che la «Chiesa ha im- Nel santuario di Guadalupe il segretario di Stato prega per i migranti Il volto di Cristo oggi Documento conclusivo del colloquio Messico - Santa Sede Quindi il segretario di Stato si è rivolto direttamente ai pastori messicani per ricordare loro che «l’impegno a favore dell’unità e della riconciliazione — assunto per rigenerare la convivenza nazionale, il dialogo con i diversi agenti sociali, chiamati a incontrarsi e a collaborare — è l’occasione propizia per contribuire con i valori e le radici cristiane all’edificazione di una società più giusta e solidale, una società basata sulla cultura dell’incontro, sul rispetto assoluto per la vita umana, sul favorire instancabilmente ciò che unisce tutti e promuove l’intesa reciproca». E ha chiesto loro di unirsi in «un’intenzione particolare per gli immigranti nella preghiera alla nostra Madre», parato da Maria che la vera evangelizzazione consiste nel “magnificare il Signore”, nell’annunciare e scoprire i frutti della redenzione con cuore rinnovato dall’ardore del Vangelo. In Lei — ha spiegato — possiamo vedere il modo in cui la Chiesa si rende presente, con la luce del Vangelo, nella vita dei popoli, nelle trasformazioni sociali, economiche e politiche». E santa Maria di Guadalupe rappresenta il modello di riferimento di una Chiesa pellegrina, che «non cerca se stessa» ma «cammina con il suo popolo e non vuole restare estranea alle sue sfide e ai suoi progetti, alle sue angosce e alle sue speranze. Per questo, fa parte della nostra storia e la sentiamo nel più profondo del nostro cuore». sulla scia del suo esempio di «servizio ai più bisognosi». A questo punto il cardinale Parolin ha ricordato la sua partecipazione al «Colloquio». Obiettivo, ha spiegato, è stata la messa a punto di una strategia comune per «la difesa dei diritti e della dignità delle persone che, nella loro ricerca di lavoro e di migliori condizioni di vita, si vedono costrette ad abbandonare la propria famiglia e non di rado sono vittime di un modello economico escludente, che non pone al centro la persona umana». Una difesa che si rende necessaria, ha aggiunto, perché «mentre da un lato si aprono sempre più le frontiere al commercio, al denaro, alle nuove tecnologie, dall’altro le persone subiscono molteplici restrizioni, violazioni e soprusi, restando in situazioni di vulnerabilità. Gli immigranti spesso sono il volto sofferente di Cristo ai giorni nostri, che commuove il cuore di sua Madre». Prima di concludere ha quindi voluto ribadire «i legami di affetto e di comunione che uniscono questo amato paese alla Santa Sede, legami che hanno sempre distinto il cattolicesimo in Messico». Quindi, dopo aver rappresentato i saluti e trasmesso la benedizione di Papa Francesco, ha voluto affidare tutti al «Cuore immacolato» di Maria, ma «soprattutto — ha detto — i ministri del Vangelo, i consacrati, i giovani che si preparano al sacerdozio o alla vita religiosa, affinché sentano la gioia di donarsi completamente a Dio e ai fratelli». Frattanto gli organizzatori del «Colloquio» hanno reso pubblico il documento sottoscritto al termine dell’incontro. Esso sostanzialmente si articola seguendo le sottolineature proposte dal cardinale segretario di Stato, ricalcando il pensiero di Papa Francesco, espresso anche nel messaggio fatto pervenire ai partecipanti. Si richiama in primo luogo la corresponsabilità di tutti nella ricerca di strategie innovative «per favorire la piena inclusione umana e sociale» dei migranti. Questo nel pieno riconoscimento del fatto che la dignità di una persona non deriva da fattori economici, politici, etnici, religiosi, né tanto meno dalla condizione di migrante: «Ogni essere umano — si legge nel documento congiunto — per il solo fatto di essere una persona merita la stessa dignità e lo stesso rispetto». In questo quadro rientra anche la necessità di «privilegiare Il cardinale Baldisseri a Lisieux per la festa dei beati Zélie e Louis Martin Monsignor Vincenzo Paglia ai vescovi dell’Africa centrale Matrimonio sentiero di fede Centralità della famiglia Lei era merlettaia, lui orologiaio: insomma appartenevano alla piccola borghesia della Normandia del XIX secolo i coniugi Zélie e Louis Martin, meglio conosciuti per essere i genitori di santa Teresa di Lisieux. Cosa hanno da dire a tante coppie del mondo di oggi? Che la santità può essere vissuta all’interno del matrimonio, come due in una sola carne. In tal senso, la loro vita di educatori, genitori, collaboratori laici di Dio è quanto mai attuale in vista del prossimo Sinodo sulla famiglia. Lo ha sottolineato il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi, presiedendo l’Eucaristia nella cattedrale di Alençon, sabato scorso 12 luglio, memoria liturgica dei due sposi, beatificati 19 ottobre 2008. In particolare, il porporato si è soffermato sulla figura di Zélie, «che conduceva quasi la vita di una donna di oggi, dividendo il proprio tempo tra la vita familiare e quella professionale», essendo madre di nove bambini e alla testa di una piccola impresa di merletti del famoso punto d’Alençon. «Senza alcun dubbio — ha detto il celebrante — è lei l’ispiratrice della bella massima teresiana: “Amare è donarsi interamente e donare se stessi”». Conosciuta nel suo ambiente «per la competenza professionale e l’integrità» morale, la madre di santa Teresina aveva un alto «senso della giustizia e dell’attenzione agli altri», ha spiegato il porporato. Soprattutto in lei colpisce «lo “sguardo spirituale” che metteva in tutto ciò che la circondava». Infatti, ha aggiunto, «la sua capacità di amare non si limitava, come troppo spesso succede, alla sola sfera familiare, ma si estendeva come una macchia d’olio alle sue operaie e ai bisognosi» che incontrava. Il segretario generale del Sinodo dei vescovi ha poi messo in luce la «responsabilità di Zélie verso i suoi dipendenti e le loro famiglie», che si concretizzava per esempio «assicurando il mantenimento e l’autonomia finanziaria delle donne» che lavoravano per lei. Insomma, «prima ancora delle grandi encicliche sociali del magistero», Zélie «aveva preavvertito questa verità proveniente dalla nostra fede: il lavoro è prima di tutto “per l’uomo” e non Jyoti Sahi, «Nozze di Cana» (2011) l’uomo “per il lavoro”, come diceva Giovanni Paolo II nella Laborem exercens». Cioè per dirla con il linguaggio di Papa Francesco ogni lavoro compiuto dall’uomo deve essere stimato soprattutto nella misura della dignità del soggetto stesso del lavoro, cioè della persona, dell’uomo che lo esegue. Il cardinale Baldisseri ha quindi offerto una riflessione sull’episodio evangelico delle nozze di Cana — che fa parte della liturgia della Parola per la celebrazione della festa dei beati Martin — sottolineando come Maria per facilitare l’inizio della vita pubblica del suo Figlio, «fa quello che ogni donna e ogni madre fa: posa uno sguardo d’amore sugli avvenimenti e sulle persone». Infatti, come diceva Papa Wojtyła nella Mulieris dignitatem: «La dignità della donna si misura nell’ordine dell’amore che è essenzialmente un ordine di giustizia e di carità». E a questo proposito, il porporato ha affermato che solo la persona può amare, e solo la persona può essere amata. A maggior ragione ciò vale per la donna, la cui dignità è «intimamente legata all’amore che riceve in ragione stessa della sua femminilità e, d’altra parte, all’amore che ella dona a sua volta. È proprio l’attenzione agli altri, segno eminente dell’amore caritativo — nel caso delle nozze di Cana l’amore verso i giovani sposi — che muove la santa Vergine e la spinge a intervenire». Così, ha proseguito il cardinale Baldisseri, «nel caso di Zélie, è l’amore che la muove ad aprirsi e a donarsi agli altri». E nel loro ambiente familiare vivificato dall’amore reciproco, i beati hanno saputo testimoniare, e continuano a farlo nei confronti di quanti sono sposati e di chi si prepara a esserlo, che «il matrimonio è un sentiero di fede». Non solo: essi incoraggiano «a riscoprire per la vita di coppia la centralità di Gesù Cristo e del cammino nella Chiesa». Come Maria, la quale insegna che «il bene di ciascuno dipende dall’ascolto docile della Parola del suo Figlio». Cana, in effetti, ha concluso il cardinale Baldisseri, è «l’annuncio e l’anticipazione del dono del vino nuovo dell’Eucaristia, sacrificio e banchetto nel quale il Signore ci unisce, ci rinnova e ci trasforma». L’episodio evangelico delle nozze di Cana è stato poi ripreso dal porporato anche nella celebrazione eucaristica di domenica mattina 13 luglio, proprio nella basilica di Lisieux. «Fate tutto quello che vi dirà» dice la Vergine in quell’occasione. «Non è senza interesse — ha spiegato all’omelia — notare brevemente che i beati Louis e Zélie Martin hanno fatto di questa frase della Vergine, il leitmotiv della loro vita di coppia, della loro vita familiare, della loro vita di cristiani, tanto il loro ascolto e la loro obbedienza a Cristo e a tutti i suoi rappresentanti sulla terra ai quali ha affidato la sua Chiesa, erano grandi!». C’è la cultura individualista esasperata alla radice della crisi della famiglia, che segna ormai anche la realtà africana. Perciò anche in questo continente occorre riproporre il valore dell’istituto familiare al centro della vita della Chiesa e della società. Ne è convinto l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, intervenuto nei giorni scorsi alla decima assemblea generale dell’Associazione delle conferenze episcopali dell’Africa centrale (Acerac), svoltasi a Brazzaville, in Congo. Il presule ha citato lo studioso africano Albert Tévoédjrè, che in un suo libro afferma: «Per i cristiani laici, nell’Africa agitata da varie correnti, difendere la famiglia come l’ha voluta Dio, non è solo un atto coerente con la loro fede», ma significa «preservare le fondamenta stesse della società e di un autentico sviluppo». Purtroppo invece le minacce alla famiglia in Africa oggi sono innumerevoli, tipo: «la dissoluzione della morale — ha fatto notare l’arcivescovo — gli attacchi alla unicità del matrimonio; l’allentamento dei legami tra i membri della famiglia; la proliferazione delle unioni di fatto, ma anche la povertà e l’aumento della disoccupazione che non permettono ai genitori di adempiere alle loro responsabilità». E la situazione è ancor più grave in un continente in cui la famiglia è sempre stata il fondamento della società, un luogo di formazione e di trasmissione dei valori culturali e spirituali. Ecco allora l’esortazione dell’arcivescovo Paglia a riaffermare «con forza che c’è un grande bisogno di costruire forti relazioni tra le generazioni, di tessere una rete di solidarietà tra bambini, giovani e anziani». Ma questo vale per l’Africa, come per l’Europa, come per il resto del mondo. Non a caso Papa Francesco ha voluto dedicare alla famiglia due Sinodi dei vescovi: quello speciale del prossimo ottobre e quello ordinario in programma nel 2015. Le «altre istituzioni pubbliche, politiche, economiche, giuridiche e culturali — ha quindi concluso il presule — dovrebbero prendere esempio dalla Chiesa cattolica, nel mettere la famiglia al centro dei loro pensieri e delle loro decisioni». Da ricordare infine che oggi, mercoledì 16, si apre a Lilongwe, in Malawi, la diciottesima assemblea plenaria dell’Associazione delle conferenze episcopali dell’Africa orientale (Amecea). Il tema scelto è «La nuova evangelizzazione attraverso una vera conversione e la testimonianza della fede cristiana». Tra i relatori ci sarà anche monsignor Paglia che nella sessione di venerdì 18 luglio interverrà sul tema «La pastorale familiare oggi». Corteo nuziale in un villaggio africano non solo la dignità della persona umana ma anche quella della famiglia» nel contesto normativo dei singoli Stati. Un capitolo a parte è stato dedicato alla condivisione delle preoccupazioni della Chiesa per la difesa dei bambini che varcano da soli i confini del proprio Paese. La loro tutela, si legge, deve essere «criterio prioritario in ogni politica migratoria». Analoga adesione è stata espressa alla ferma condanna da parte della Chiesa a proposito della tratta delle persone e del traffico illecito dei migranti. E sono stati invocati provvedimenti e politiche nazionali che servano a eliminare abusi e ulteriori sofferenze. Infine, dopo il riconoscimento della preziosa opera svolta dalla Chiesa cattolica nella società messicana, soprattutto in campo sociale, il documento ribadisce la reciproca volontà di collaborazione tra Messico e Santa Sede in difesa e a sostegno dei migranti. Nomine episcopali Le nomine di oggi riguardano la Chiesa in Perú e in Brasile. Juan Carlos Vera Plasencia ordinario militare per il Perú Nato a Trujillo, arcidiocesi di Trujillo (Perú) il 25 giugno 1961, dopo aver ricevuto la formazione secondaria presso il locale collegio pubblico, è entrato nella congregazione dei missionari del Sacro cuore di Gesù dove ha emesso la professione religiosa il 15 agosto 1984. Ha compleato gli studi di filosofia e teologia presso l’istituto superiore Juan XXIII di Lima. Ordinato sacerdote il 22 luglio 1988, ha ricoperto diversi uffici pastorali: vicario parrocchiale, formatore ed economo del seminario dei missionari del Sacro cuore nella capitale, superiore ad interim della regione peruviana della congregazione, rettore del seminario e superiore regionale. Il 18 giugno 2005 è stato nominato vescovo prelato della prelatura territoriale di Caravelí. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 28 agosto. Nella Conferenza episcopale è membro del consiglio permanente. Tarcísio Scaramussa coadiutore di Santos (Brasile) È nato il 19 settembre 1950 a Prosperidade, diocesi di Cachoeiro de Itapemirim, stato di Espírito Santo. Il 31 gennaio 1969 ha emesso la prima professione nella società salesiana di san Giovanni Bosco e il 24 gennaio 1977 i voti perpetui. Ordinato sacerdote il successivo 11 dicembre, è licenziato in teologia alla Pontificia università cattolica di Minas Gerais e in pedagogia alla facoltà Don Bosco di São João del Rey. È stato coordinatore degli studi dell’istituto di pedagogia e filosofia di São João del Rei (1978-1979); vice direttore dell’istituto Anchieta, a Jaciguá (1979-1983); parroco di São João Batista e direttore della casa salesiana a Jaciguá (19841988); parroco e coordinatore diocesano delle comunità ecclesiali di base (Ceb) di Cachoeiro de Itapemirim (1985-1988) e nel contempo consigliere ispettoriale (fino al 1990). Quindi è stato direttore dell’istituto regional de pastoral catequética del regionale Leste II a Belo Horizonte (19871997); vice provinciale dell’ispettoria salesiana di Minas Gerais, Rio de Janeiro, Espírito Santo, Goiás e Distrito federal, e delegato ispettoriale per i cooperatori (1990-1996); superiore dell’ispettoria salesiana di Minas Gerais, Rio de Janeiro e Espírito Santo (19962002); membro della direzione della Conferenza dei religiosi del Brasile – regionale Leste II (20012002); consigliere generale dei salesiani per le comunicazioni sociali (2002-2008). Il 23 gennaio 2008 è stato nominato vescovo titolare di Segia e ausiliare di São Paulo, ricevendo l’ordinazione episcopale il successivo 19 aprile.
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