le schede dettagliate dei libri in concorso
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le schede dettagliate dei libri in concorso
Schede dei libri selezionati Dalla parte del fuoco Di Romolo Bulgaro (Rizzoli, 2003, pp. 167) Il libro fa riferimento, se non storicamente almeno come linea ideale, ai fatti di Genova, qualcosa che è rimasto nella nostra memoria, e che probabilmente resterà ancora per molto tempo, con il suo spettro di cieca violenza. Nel racconto si avverte come un presagio di dolore verso il quale si stanno incamminando le due vittime di questa storia. Una di esse, l’io narrante, ha terminato la giornata di scontri arrestato e, probabilmente, anche accusato di avere una responsabilità, diretta o indiretta, nella morte del dott. Felici. Quest’ultimo è un uomo sull’orlo del fallimento, senza più nessuno a cui appoggiarsi e privo di interesse per la vita. Bulgaro costruisce la narrazione degli avvenimenti tramite il racconto del ragazzo allo psicologo del carcere nel quale è rinchiuso. Il giovane non è del movimento, non dimostra neanche un grande interesse per i temi della globalizzazione. Tutto si limita ad una generica simpatia, rafforzata dall’amicizia con Ramon, uno dei leader. Il punto di inizio è proprio la richiesta di questo a nascondere nel suo garage i volantini da distribuire il giorno dopo. A portargli il materiale è una ragazza, Francesca. Nel vederla lui sente subito una forte attrazione. Lei è arrivata con il suo vespino e senza guanti, così le mani sono freddissime. Per permetterle di riprendersi dal freddo, la invita a prendere un tè in un piccolo bar vicino. Parlano, ma ad ogni parola cresce il suo interesse per lei. Eppure la lascia andare via senza chiederle il numero di telefono o l’email. Benché non avesse previsto di parteciparvi, il desiderio di rivedere Francesca lo spinge a partecipare alla manifestazione. Contemporaneamente il dott. Felici constata il proprio fallimento, non solo economico. La sua unica possibilità è un prestito che lo salvi dalla bancarotta. Inutile! Il giovane direttore gli nega questa possibilità, ma lo indirizza presso una finanziaria, una di quelle che nascondono spesso l’attività usuraia. Tutto questo avviene poco distante da dove si stanno verificando gli scontri tra manifestanti e polizia. Gli eventi sono subito precipitati e il giovane sta cercando di portare in un posto sicuro Francesca, che non si sente bene a causa dei lacrimogeni. È in questa situazione che i destini dei due personaggi si incontrano tragicamente, cambiando le loro storie personali. Bambole cattive a Green Park di Andrea Malabaila (Marsilio, 2003, pp 140) Quello di Malabaila è sicuramente un intelligente e piacevole romanzo di formazione. La storia inizia con tre ragazzi che stanno vivendo l’ultimo giorno di scuola alla Antonio Oldscul, un liceo di ispirazione cattonazista della Torino perbene. Il protagonista, Bardo e Schopenhauer hanno deciso di andare in Inghilterra subito dopo gli orali, ma un ritardo fissa le loro interrogazioni un paio di giorni dopo la data della partenza. Loro non ci stanno, decidono di partire lo stesso. Un atto di ribellione, ma poiché l’interrogazione avrebbero comunque potuto sostenerla a settembre, un atto di ribellione con effetti controllati. Eccoli dunque a Londra, l’ombelico del mondo. Hanno già programmato le uscite. I monumenti, i musei, ecc… Ma, naturalmente, non tutto è programmabile, non di certo l’incontro con tre ragazze, apparentemente disponibili, al Green Park. Decidere di abbordarle è sicuramente un gesto coraggioso, tenuto conto che il loro inglese è tutto in un open the windows o the pen is on the table. Ma a volere parlare con loro è soprattutto il protagonista, perché Bardo mette subito le mani avanti con la fidanzata gelosa che l’aspetta a Torino e Schopenhauer è troppo timido e introverso per lanciarsi in un’avventura. In ogni caso, più con i gesti che con le parole, il narratore riesce a strappare un appuntamento a Sally. Il resto del tempo è riempito da attività che tentano di accorciare l’attesa e diminuire l’ansia. Il primo appuntamento, nonostante qualche ritardo, va a buon fine, non così il secondo. Sally è turbata e arriva a minacciarlo con una pistola. In realtà la sua amica Anne, una delle tre incontrate al Green Park, è stata uccisa. A questo punto gli avvenimenti si susseguono sempre più veloci ma, alla fine, possono essere focalizzati in due principali: la confessione del delitto da parte di Schopenhauer e l’infatuazione per Sally da parte del protagonista. Ora gli avvenimenti si spostano in Italia, dove vengono raggiunti dalla notizia del suicidio di Schopenhauer. Un atto di resa alla paura di crescere, di fermare il tempo. Nel biglietto che lascia, infatti, ammette di non essere stato lui il colpevole della morte di Anne. Ora i ragazzi devono tornare in Inghilterra per riprendersi il corpo del loro amico. C’è anche un incontro con Sally che avviene con la malinconia della consapevolezza dell’addio. Ma a questo punto si devono fare le scelte e quelle del protagonista e di Bardo sono molto differenti. L’incontro con la morte viene eluso da Bardo che preferisce immergersi nel conformismo rassicurante di Torino, l’altro, invece, inizia un percorso doloroso di ingresso nella vita nella piena consapevolezza di sé. Una scelta che si trova nel finale a sorpresa che Malabaila prepara per il lettore. Morte di un diciottenne perplesso di Marco Bosonetto (Baldini & Castaldi Dalai, 2003, pp.192) Il libro di Marco Bosonetto è una raccolta di racconti. Quello più interessante è sicuramente il primo, che da anche il titolo al libro. Si tratta di due storie parallele, di due ragazzi a cui l’autore dà lo stesso nome, Matteo; che frequentano la stessa classe, con gli stessi professori e gli stessi compagni; che iniziano la loro storia dalla stessa stazione, entrambi dopo essere stati lasciati da una ragazza che, per tutti e due, si chiama Valeria; che hanno la medesima stima per il professore Murgias e la stessa disistima per il professore di italiano Lecci. Ma questa somiglianza è solo una metafora per dire che i protagonisti della narrazione di Bosonetto sono ragazzi qualunque, perché le loro vite sono piene di queste ripetizioni. Ma i punti di contatto si limitano a questo e a un sogno che entrambi fanno e che scandisce l’esaurimento del loro tempo e il bisogno di una scelta. Per tuto il resto i due Matteo sono diversissimi. Il primo è solare, impulsivo, frequenta i centri sociali senza però essere un alternativo (a un certo punto dice che lui è sicuramente contro ogni oppressore, ma gli oppressi non hanno tutti sempre ragione), si innamora di Sonia, una ragazza che ha bisogno di impegnarsi, partecipa alle manifestazioni, progetta la propria vita, esplora quanto più possibile (classico è il viaggio con Sonia in Spagna e Portogallo). Quando viene chiamato per la visita di leva decide di scegliere il servizio civile. Molto diverso da lui è l’altro Matteo. Viene subito presentato con le sue fobie per ogni contatto con la gente, non ha alcun interesse dello studio e ogni suo atto ha dietro un calcolo, come quando, dovendo fare il soldato e sprecare un anno della propria vita al servizio dello Stato, decide di far domanda per adempiere alla leva nei carabinieri. Il punto di separazione delle loro vite parallele, il momento della scelta, avviene in occasione della manifestazione antiproibizionista. Di fronte alla possibilità di essere interrogato in informatica perché manca Vertano (quello che volantina e organizza la partecipazione alle manifestazioni) il primo preferisce il corteo, il secondo calcola il male minore e si fa interrogare. Da questo punto discendono gli avvenimenti che porterà al finale, un epilogo coerente con la narrazione propostaci da Bosonetto. come fuochi fatui dinanzi allo scorrere dei destini umani. Nel terzo racconto, "L'altra parte", sono raccontate le giornate di Genova del G8 che divengono una controsoffittatura ad un incontro conflittuale, quello tra Beatrice e Vittorio, personaggi dialetticamente opposti. Braucci in questo racconto utilizza tipologie caratteriali cariche, con il progetto di mostrare come il contributo soggettivo di ciascuno dei personaggi sia capace di rompere le gabbie comportamentali formatesi attraverso le scelte di vita e le costruzioni ideologiche. Il centro della scrittura di Braucci è il mare, che è però lontano, lontanissimo dall'essere un’occasione di viaggio, un punto di partenza ed approdo, un luogo di scambio. Semmai è un pantano che separa, limita, segna una fine. È un mare vuoto quello in cui si tuffa Tony al termine della sua sopportazione della vita. Una barca di uomini perfetti di Marco Braucci (Edizioni E/O, 2004, pp. 184) Il libro di Maurizio Bracci è un testo composto da tre racconti che scandagliano il tempo presente introducendosi nelle ferite non mortali del tessuto sociale. I racconti di Braucci sono ferite vitali, capaci di almanaccare in un universo molteplice, diverse identità di esseri umani che divengono modelli di esistenza. Il primo racconto è ambientato nel golfo di Napoli, su di una barca, è una gita nel golfo partenopeo tra Gianni, il capitano della barca, la sua compagna Laura e Nico, Giuseppe ed Alfredo, i ragazzi fuoriusciti dal ventre sempre gravido dei quartieri miseri, nati vittime e destinati a divenire carnefici. Vi è nelle prime pagine uno scenario ampio, aperto, un respiro interminabile che tende però a diventare ansia quando il pittoresco mondo del golfo diventa scuro, pericoloso. La barca infatti subisce una tempesta che si trasforma in un’occasione per i passeggeri di scandagliare se stessi, facendo emergere le loro passate esperienze, i ricordi indecenti, le paure impellenti che la tempesta non permette di rimuovere. Nel secondo racconto, "L'età breve", è la storia, tra l’epico e il tragico, di Michele che tenta con il lavoro ed un'inflessibile dignità di sottrarsi al destino di miseria e ingiustizia del suo quartiere. Michele però sbatte contro l'esperienza di suo nipote Tony, tossicodipendente e ladro. La volontà, il coraggio, l'ardimento sembrano in questo racconto appiccarsi Quando eravamo in tre di Aidan Chambers (Fabbri, 2003, pp. 363) Il romanzo di Chambers è quel tipo di racconto capace di catturare l’attenzione del lettore fin dalle prime pagine e di coinvolgerlo fino alla fine. “Quando eravamo in tre” è la storia di tre ragazzi, tre adolescenti, che sono alla ricerca di qualcosa, senza sapere, come è naturale che sia, cosa. Piers (ma per tutto il romanzo viene chiamato Jan, derivato da Janus il dio romano dei ponti, che è il nome affibbiatogli dall’altra protagonista, Tess), fugge dalla propria famiglia, nella quale si sente come schiacciato dal modello di figlio che gli è stato imposto, seppure con l’infinito amore di due genitori. Sta passando un momento difficile che è contraddistinto da uno stato di profonda depressione. Quando lo smarrimento in cui si sente diventa dolore fisico, oltre che psicologico, Piers trova un lavoro come guardiano di un ponte e decide di separarsi fisicamente e mentalmente dalla vita fin lì vissuta, dagli ambienti (compresa la scuola) che lo hanno visto sempre attento a recitare la propria parte di bravo figlio, bravo studente, bravo ragazzo. Indubbiamente i primi tempi sono difficili. La baracca nella quale vive non ha niente di tutto quello a cui era stato abituato e deve quindi modificare profondamente le sue abitudini. È solo e difende questa condizione perché ha bisogno di ascoltarsi, di prendersi cura di se stesso, di assumersi la responsabilità di se stesso. In questa fase la sua vita vede l’apparizione di una ragazza, la figlia del suo datore di lavoro: Tess. Tess è una ragazza allegra, intraprendente, apparentemente sicura di sé, ma anche con tutte le contraddizioni che sono naturali alla sua età. Quando apparirà il terzo personaggio, Adam, Tess diventerà anche il punto di equilibrio nel trio. Adam è una terza forma di adolescenza, quella ai limiti della devianza, apparentemente priva di inibizioni e limiti (non si vergogna di apparire nudo, non si preoccupa di quello che dice o di quello che fa, appare e scompare senza porsi problemi). Entra nella narrazione senza una storia alle spalle, senza un’identità delineata, come nascondesse qualcosa. Tuttavia quella situazione, che spesso noi condanniamo con la definizione di “superficialità” è portatrice di una sofferenza molto profonda, spesso drammatica. Il racconto si snoda in modo piacevole senza ricorrere ad avventure mirabolanti o poco verosimili, fino al punto di rottura, costituito dalla festa a sorpresa organizzata da Tess per Piers. Piers riuscirà a risolvere il suo rapporto con Gill, la ragazza che aveva lasciato a casa, e, finalmente, sentirà di uscire dall’adolescenza. Adam rivelerà la propria storia. Tess ne inizierà una con Piers. gruppi underground che spesso vivono lo spazio di una canzone, magari di quella che amano di meno, come “Crepuscolo”, l’unico successo dei Despero. Kabra è il protagonista di questo bel libro, uno che non riesce a diventare adulto. Uno che non riesce a staccarsi dal liceale che suona con la sua band. I tempi del rock demenziale e del loro pezzo più famoso: “Imene”. Kabra si innamora di Sarah, che diventa la sua basista, ma che rappresenta anche la metafora del suo approdo all’età adulta. Sarah, infatti, si innamora prima della voce solista dei Despero, poi del Mitico, il chitarrista dei Burning party e, infine, di Tex degli Zeronero, il gruppo con il quale i Despero si sono spesso confrontati, con risultati non sempre positivi. In tutto questo tempo Kabra non smetterà mai di sperare e continuerà a scriverle lettere che non spedisce mai. La parabola di questo sentimento irrisolto si conclude con un tour in Irlanda, dove anche i Despero si dissolvono, lasciando il solo Kabra ad esibirsi. Ma come spesso accade il punto più basso è anche quello da cui ripartire. Tornavamo dal mare di Luca Doninelli (Garzanti, 2003, pp.181) Despero di Gianluca Morozzi (Fernandel, 2003, pp. 157) Kabra, Zanna, Lero, Sarah e tutti gli altri protagonisti di questo libro sono anche gli attori principali di una storia che è anche un lungo viaggio nell’adolescenza. Un periodo che è scandito dall’amore non corrisposto di Kabra per Sarah, un amore che non è tale, ma una vera e propria fissazione adolescenziale. Ma il libro è anche un interessante racconto della musica italiana negli anni novanta, soprattutto di quei Luca Doninelli, l’autore di questo racconto, ha sicuramente la dote di guardare nel profondo dei suoi personaggi, dandoci sfumature che altrimenti non sospetteremmo. Alla fine della lettura si ha come la sensazione che i protagonisti chiedano solo di essere perdonati e essere amati. Soprattutto Ester, che ci viene presentata come portatrice di un disagio che si placa solo con la dichiarazione della verità da parte dei figli, Irene e Alberto, sulla loro partecipazione alla lotta armata e il terrorismo. Così come per Ester che finalmente riesce a parlare di sé, di quello in cui ha creduto e per cui un giorno aveva accettato l’ordine di uccidere il fratello fascista. Un ordine che avrebbe portato a compimento se lui non avesse deciso di togliersi di mezzo prima. C’è un filo di continuità nelle storie dei personaggi ed è rappresentata da Fly, quello che ha ordinato ad Ester di uccidere il fratello, quello che è anche il capo della cellula terroristica di Irene e Alberto, quello che ha avuto una relazione con Ester ed è il padre di Irene. Con queste premesse, il muro di silenzio e di sofferenza che opprime personaggi e costituisce il nemico da vincere è l’odio. La pace a cui giungono viene anche dal rifiuto di trovare giustificazioni oggettive alle loro azioni. Ed è proprio attorno a lei che si costruisce il finale, un finale inaspettato che vedrà Elisa sistemarsi definitivamente a Parigi, il padre tornare a casa per restare e Marco, divenuto grande, andare via. Una delle cose piacevoli del modo di narrare di Carmine Abate è anche quello di mischiare l’italiano con forme dialettali, aiutando il lettore ad entrare meglio nel paesaggio e nel contesto del racconto La festa del ritorno I veleni della dolce Linnea di Carmine Abate (Mondadori, 2004) di Arto Paasilinna (Iperborea, 2003) Quello di Carmine Abate è un racconto originale nel quale si alternano i racconti del padre, emigrato in Francia, e del figlio. Le vicende si svolgono a Hora, un paesino della Calabria dove si parla arbèresh, una lingua che deriva dall’albanese arcaico. Uno dei luoghi ricorrenti della narrazione de “La festa del ritorno” è il falò di natale davanti alla chiesa del paese. Sono i momenti nei quali ritorna il padre e la famiglia si riunisce e Marco si sente finalmente figlio e non orfano. Il padre era emigrato in Francia come tanti altri giovani, prima a lavorare in una miniera dove non era riuscito a resistere a lungo e poi nei cantieri e a fabbricare blocchi di cemento. Molto prima, a Parigi, aveva conosciuto una ragazza siciliana e con lei si era sposato e aveva avuto una figlia:Elisa. Ma, dopo qualche tempo, la madre era morta ed Elisa era stata portata al paese. Qui l’uomo si era risposato, ma aveva continuato a tornare in Francia a lavorare. Ogni volta che tornava era una festa, non solo per la famiglia, ma per la comunità. Quando era a casa, il padre portava Marco in giro per la campagna, insieme a Spertina la loro cagnetta, gli insegnava a giocare a carte o a sparare, giocava con lui. Elisa, nel frattempo era cresciuta e frequentava l’università di Cosenza. Per Marco la sorella rappresenta una continua scoperta, a partire dal personaggio misterioso che frequenta: un uomo sposato e molto più vecchio di lei. la storia comincia in una casetta con giardino nei pressi di Helsinki. Qui c’è una dolce anziana signora che sta annaffiando le violette. Linnea Ravaska è la vedova ottuagenaria di un colonnello eroe di guerra. La sua vita, in genere quieta e tranquilla, è turbata dal nipote Kuko e dalla sua banda, formata da Jari e Pera. Un gruppo sicuramente scombinato che rappresenta bene una copia mal riuscita di Arancia Meccanica, tuttavia in grado di costituire un costante incubo per la vecchietta. Ogni mese, infatti, questi balordi le si presentano a casa e pretendono la sua pensione. Poi, non paghi, devstano tutto quanto, saccheggiano, sporcano, torturano il povero gatto, senza che Linnea possa ribellarsi. Tutto questo si verifica con costante regolarità, almeno fino a quando non la costringono a firmare un nuovo testamento a loro favore. Linnea, a questo punto, sente di essere in pericolo, è terrorizzata che ora la vogliano uccidere. Decide allora di chiamare la polizia e di fuggire ad Helsinki, dove c’è il suo amico e medico, da sempre segretamente innamorato di lei. Per Kuko il comportamento di Linnea equivale ad una dichiarazione di guerra, è inevitabile, quindi, che inizino ad elaborare un piano per eliminarla. Intanto Linnea, nella casa del medico, inizia a pensare alla propria difesa, che consiste soprattutto nella preparazione di un veleno da iniettarsi qualora si debba trovare in balia del nipote e dei suoi orribili amici. Linnea ha deciso che piuttosto che sopportare ancora una volta le umiliazioni di quegli scapestrati è meglio suicidarsi. A questo punto inizia una paradossale e comica sequenza di avvenimenti che porterà la vecchietta a ribaltare la situazione e ad eliminare, uno alla volta e innocentemente, Kuko e gli altri. Un libro ironico e irriverente, come sono sempre i libri di Paasilinna, ma anche una critica senza ipocrisia dei mali della società finlandese, che lascia troppo soli sia gli anziani che i giovani. Una società che è sempre più preda dell’alcolismo, della droga, della violenza, in un contesto di sempre maggiore sgretolamento sociale. Una barca nel bosco di Paola Mastrocolo (Guanda, 2004, pp. 257) Questa è la storia di Gaspare Torrente, un ragazzino che viene da un isola e approda a Torino per studiare in un Liceo Scientifico. È la storia di un ragazzo che tenta con tutte le sue forze di omologarsi, senza mai riuscirci completamente. Quindi è la storia che, a seconda della prospettiva in cui ci si colloca, racconta un fallimento o una salvezza. Io preferisco la seconda ipotesi. Gaspare viene a Torino con sua madre, che lascia solo suo marito nell’isola per poter aiutare meglio il figlio, sul futuro del quale entrambi investono la propria esistenza. A Torino trovano ospitalità presso la sorella di lei, zia Elsa, che è rimasta vedova. Per vivere, la madre di Gaspare riapre il negozio della sorella e lo trasforma in una Gastronomia dove imperano le sue polpette. Per il ragazzo l’inserimento in classe è subito difficile. In lui nasce la profonda convinzione che ciò sia dovuto ai simboli che caratterizzano i giovani e di cui lui è privo.: le scarpe, la felpa, i jeans, la play station ecc… Ma su di lui, che legge Orazio e Verlaine, pesano anche i 10 in latino, mentre resta in attesa di quella durezza degli studi che gli è sempre stata prospettata e che non sembra giungere mai. Il simbolo di questa attesa è il cronico ritardo con il quale i professori iniziano le lezioni. Altro ostacolo sono le espressioni gergali che non capisce. Eppure ogni volta che tenterà e riuscirà, almeno in parte, ad omologarsi resta deluso. Così è per Corinne, la ragazza francese che gli viene assegnata nell’ambito di uno scambio culturale organizzato dalla scuola. Il suo malessere si evidenzia nella proiezione che realizza in un alter ego che prende forma nelle email: biondo, occhi azzurri, alto un metro e ottantasei …. Lui che è scuro, bassino, che non ha neanche un computer e con una madre sempre intenta a preparare polpette. Per lei diventerà Felix Torrent. L’attesa di questo arrivo costituirà anche la premessa di una svolta determinante nella sua vita. Per coprire alcune macchie sul muro e rendere più attraente la casa finirà per comprare un pioppo e, il suo amico Furio (anche lui una barca nel bosco) gli regalerà addirittura una quercia molto giovane. Questi alberi gli faranno nascere una passione che continuerà nel tempo, ben oltre il catastrofico incontro con Corinne. Ma le sue delusioni nello studio proseguiranno anche all’Università, nonostante il suo personale successo negli esami. Tipico è il caso della tesi che intende preparare e che si incentra sulla figura di Rutilio, un poeta latino che aveva scritto un’opera, De reditu, nel quale parla di un provinciale, nato nella Gallia narbonese, che giunge a Roma e si innamora della città e della sua vita. Tuttavia le incursioni dei barbari e le cattive notizie che gli giungono dalle sue proprietà, lo costringono a tornare. Il viaggio sarà compiuto in barca e da lì potrà vedere il decadimento e la scomparsa dell’Impero. Ma è un autore che nessuno sembra conoscere e quando finalmente trova il professore che gli consente di lavorare a questo tema, ecco che la propria opera viene rifiutata perché troppo originale. Ancora una volta Gaspare è costretto a smussare ogni espressione di originalità. Intanto gli alberi sono cresciuti e hanno finito per occupare ogni spazio della casa, mentre lui ha finito per aprire un piccolo bar. Qui viene a trovarlo Furio, lo sfigato del Liceo, come era stato lui. Oggi è diventato architetto e ha realizzato il suo sogno di aprire una fabbrica di peluches (pilucchi, cme li chiama lui). Furio lo aiuterà a trasformare la sua casa nella “Casa Mondo” nella quale le piante avranno ogni spazio per crescere, compreso un tetto in plexiglass che può aprirsi per dare aria e luce alle piante. Questa opera diventa un richiamo per la città, ma lui resta nel suo piccolo bar, cultore di una lentezza che è fatta di relazioni e di ammirazione della natura e del bello. Alla fine, dunque, i tentativi di Gaspare di omologarsi hanno prodotto l’esatto contrario: un alternativo. Mosca più balena di Valeria Parrella (Minimum fax, 2003, pp.103) Un'aspirante "signora bene" appena maggiorenne trascorre il suo tempo in compagnia di un camorrista sognando di gestire una boutique in franchising. Un trentacinquenne cocainomane vive con la mamma e organizza sgangheratissime campagne elettorali. Il progressismo "volteriano" di due genitori è costretto a naufragare davanti allo scetticismo della giovane figlia e alle convinzioni di comari, fattucchiere, bidelle. La Napoli raccontata da Valeria Parrella ha poco della città indolente, statica, incastrata nelle sabbie mobili di un meridione da cartolina. È al contrario un posto febbrile; un vero e proprio "generatore di storie" che contiene appartamenti di lusso e discariche a cielo aperto, terremoti e gare di appalto, concorsi pubblici e centri sociali. Opera prima di una giovane scrittrice napoletana (appena trentenne), “Mosca più balena” ha il merito di non scendere mai in luoghi comuni, i racconti scivolano via con facilità, sono precisi e senza difficili interpretazioni. Lo stile è abbastanza ricercato ed attrae permettendo alle parole di farsi leggere con piacere. Il libro ha una freschezza che rende piacevole la lettura. Resistenza rasta di Horace Campbell (Shake, 2003, pp. 256) Dalle colline giamaicane alle strade di Brixton, i rasta rappresentano da decenni un riferimento costante nel panorama controculturale globale. I dreadlock, i sound system, la musica reggae e le sue infinite varianti, dal dub alla dance hall, si sono ormai diffusi a livello planetario. Resistenza rasta si presenta come la più autorevole ricostruzione delle vicende del movimento rastafari. Campbell ripercorre l'itinerario che, partendo dalle lotte anticoloniali giamaicane e dal nazionalismo nero di Marcus Garvey, attraverso incontri e ibridazioni, ha condotto all'elaborazione di uno stile di vita e di una cultura di resistenza destinati a superare la dimensione caraibica per contagiare il mondo intero. Il leone, il tamburo, la ganja, la tipica capigliatura e il linguaggio ricercato sono i simboli dell'opposizione a Babylon. Accompagnati da potenti e ipnotici ritmi musicali, i rasta sono sempre stati in prima linea nella protesta contro la società neocoloniale e razzista.