le schede dettagliate dei libri in concorso

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le schede dettagliate dei libri in concorso
Schede dei libri selezionati
Dalla parte del fuoco
Di Romolo Bulgaro
(Rizzoli, 2003, pp. 167)
Il libro fa riferimento, se non storicamente almeno
come linea ideale, ai fatti di Genova, qualcosa che è
rimasto nella nostra memoria, e che probabilmente
resterà ancora per molto tempo, con il suo spettro di
cieca violenza.
Nel racconto si avverte come un presagio di dolore
verso il quale si stanno incamminando le due vittime di
questa storia.
Una di esse, l’io narrante, ha terminato la giornata di
scontri arrestato e, probabilmente, anche accusato di
avere una responsabilità, diretta o indiretta, nella morte
del dott. Felici. Quest’ultimo è un uomo sull’orlo del
fallimento, senza più nessuno a cui appoggiarsi e privo
di interesse per la vita.
Bulgaro costruisce la narrazione degli avvenimenti
tramite il racconto del ragazzo allo psicologo del
carcere nel quale è rinchiuso. Il giovane non è del
movimento, non dimostra neanche un grande interesse
per i temi della globalizzazione. Tutto si limita ad una
generica simpatia, rafforzata dall’amicizia con Ramon,
uno dei leader. Il punto di inizio è proprio la richiesta
di questo a nascondere nel suo garage i volantini da
distribuire il giorno dopo. A portargli il materiale è una
ragazza, Francesca. Nel vederla lui sente subito una
forte attrazione. Lei è arrivata con il suo vespino e
senza guanti, così le mani sono freddissime. Per
permetterle di riprendersi dal freddo, la invita a
prendere un tè in un piccolo bar vicino. Parlano, ma ad
ogni parola cresce il suo interesse per lei. Eppure la
lascia andare via senza chiederle il numero di telefono
o l’email.
Benché non avesse previsto di parteciparvi, il desiderio
di rivedere Francesca lo spinge a partecipare alla
manifestazione.
Contemporaneamente il dott. Felici constata il proprio
fallimento, non solo economico. La sua unica
possibilità è un prestito che lo salvi dalla bancarotta.
Inutile! Il giovane direttore gli nega questa possibilità,
ma lo indirizza presso una finanziaria, una di quelle che
nascondono spesso l’attività usuraia. Tutto questo
avviene poco distante da dove si stanno verificando gli
scontri tra manifestanti e polizia.
Gli eventi sono subito precipitati e il giovane sta
cercando di portare in un posto sicuro Francesca, che
non si sente bene a causa dei lacrimogeni.
È in questa situazione che i destini dei due personaggi
si incontrano tragicamente, cambiando le loro storie
personali.
Bambole cattive
a Green Park
di Andrea Malabaila
(Marsilio, 2003, pp 140)
Quello di Malabaila è sicuramente un intelligente e
piacevole romanzo di formazione.
La storia inizia con tre ragazzi che stanno vivendo
l’ultimo giorno di scuola alla Antonio Oldscul, un liceo
di ispirazione cattonazista della Torino perbene.
Il protagonista, Bardo e Schopenhauer hanno deciso di
andare in Inghilterra subito dopo gli orali, ma un
ritardo fissa le loro interrogazioni un paio di giorni
dopo la data della partenza. Loro non ci stanno,
decidono di partire lo stesso. Un atto di ribellione, ma
poiché l’interrogazione avrebbero comunque potuto
sostenerla a settembre, un atto di ribellione con effetti
controllati.
Eccoli dunque a Londra, l’ombelico del mondo.
Hanno già programmato le uscite. I monumenti, i
musei, ecc… Ma, naturalmente, non tutto è
programmabile, non di certo l’incontro con tre ragazze,
apparentemente disponibili, al Green Park. Decidere di
abbordarle è sicuramente un gesto coraggioso, tenuto
conto che il loro inglese è tutto in un open the windows
o the pen is on the table. Ma a volere parlare con loro è
soprattutto il protagonista, perché Bardo mette subito le
mani avanti con la fidanzata gelosa che l’aspetta a
Torino e Schopenhauer è troppo timido e introverso per
lanciarsi in un’avventura. In ogni caso, più con i gesti
che con le parole, il narratore riesce a strappare un
appuntamento a Sally.
Il resto del tempo è riempito da attività che tentano di
accorciare l’attesa e diminuire l’ansia.
Il primo appuntamento, nonostante qualche ritardo, va
a buon fine, non così il secondo. Sally è turbata e arriva
a minacciarlo con una pistola. In realtà la sua amica
Anne, una delle tre incontrate al Green Park, è stata
uccisa.
A questo punto gli avvenimenti si susseguono sempre
più veloci ma, alla fine, possono essere focalizzati in
due principali: la confessione del delitto da parte di
Schopenhauer e l’infatuazione per Sally da parte del
protagonista.
Ora gli avvenimenti si spostano in Italia, dove vengono
raggiunti dalla notizia del suicidio di Schopenhauer.
Un atto di resa alla paura di crescere, di fermare il
tempo. Nel biglietto che lascia, infatti, ammette di non
essere stato lui il colpevole della morte di Anne. Ora i
ragazzi devono tornare in Inghilterra per riprendersi il
corpo del loro amico. C’è anche un incontro con Sally
che avviene con la malinconia della consapevolezza
dell’addio.
Ma a questo punto si devono fare le scelte e quelle del
protagonista e di Bardo sono molto differenti.
L’incontro con la morte viene eluso da Bardo che
preferisce immergersi nel conformismo rassicurante di
Torino, l’altro, invece, inizia un percorso doloroso di
ingresso nella vita nella piena consapevolezza di sé.
Una scelta che si trova nel finale a sorpresa che
Malabaila prepara per il lettore.
Morte di un diciottenne
perplesso
di Marco Bosonetto
(Baldini & Castaldi Dalai, 2003, pp.192)
Il libro di Marco Bosonetto è una raccolta di racconti.
Quello più interessante è sicuramente il primo, che da
anche il titolo al libro.
Si tratta di due storie parallele, di due ragazzi a cui
l’autore dà lo stesso nome, Matteo; che frequentano la
stessa classe, con gli stessi professori e gli stessi
compagni; che iniziano la loro storia dalla stessa
stazione, entrambi dopo essere stati lasciati da una
ragazza che, per tutti e due, si chiama Valeria; che
hanno la medesima stima per il professore Murgias e la
stessa disistima per il professore di italiano Lecci.
Ma questa somiglianza è solo una metafora per dire che
i protagonisti della narrazione di Bosonetto sono
ragazzi qualunque, perché le loro vite sono piene di
queste ripetizioni.
Ma i punti di contatto si limitano a questo e a un sogno
che entrambi fanno e che scandisce l’esaurimento del
loro tempo e il bisogno di una scelta. Per tuto il resto i
due Matteo sono diversissimi. Il primo è solare,
impulsivo, frequenta i centri sociali senza però essere
un alternativo (a un certo punto dice che lui è
sicuramente contro ogni oppressore, ma gli oppressi
non hanno tutti sempre ragione), si innamora di Sonia,
una ragazza che ha bisogno di impegnarsi, partecipa
alle manifestazioni, progetta la propria vita, esplora
quanto più possibile (classico è il viaggio con Sonia in
Spagna e Portogallo). Quando viene chiamato per la
visita di leva decide di scegliere il servizio civile.
Molto diverso da lui è l’altro Matteo. Viene subito
presentato con le sue fobie per ogni contatto con la
gente, non ha alcun interesse dello studio e ogni suo
atto ha dietro un calcolo, come quando, dovendo fare il
soldato e sprecare un anno della propria vita al servizio
dello Stato, decide di far domanda per adempiere alla
leva nei carabinieri.
Il punto di separazione delle loro vite parallele, il
momento della scelta, avviene in occasione della
manifestazione antiproibizionista. Di fronte alla
possibilità di essere interrogato in informatica perché
manca Vertano (quello che volantina e organizza la
partecipazione alle manifestazioni) il primo preferisce
il corteo, il secondo calcola il male minore e si fa
interrogare.
Da questo punto discendono gli avvenimenti che
porterà al finale, un epilogo coerente con la narrazione
propostaci da Bosonetto.
come fuochi fatui dinanzi allo scorrere dei destini
umani.
Nel terzo racconto, "L'altra parte", sono raccontate le
giornate di Genova del G8 che divengono una
controsoffittatura ad un incontro conflittuale, quello tra
Beatrice e Vittorio, personaggi dialetticamente opposti.
Braucci in questo racconto utilizza tipologie caratteriali
cariche, con il progetto di mostrare come il contributo
soggettivo di ciascuno dei personaggi sia capace di
rompere le gabbie comportamentali formatesi
attraverso le scelte di vita e le costruzioni ideologiche.
Il centro della scrittura di Braucci è il mare, che è però
lontano, lontanissimo dall'essere un’occasione di
viaggio, un punto di partenza ed approdo, un luogo di
scambio. Semmai è un pantano che separa, limita,
segna una fine.
È un mare vuoto quello in cui si tuffa Tony al termine
della sua sopportazione della vita.
Una barca di uomini
perfetti
di Marco Braucci
(Edizioni E/O, 2004, pp. 184)
Il libro di Maurizio Bracci è un testo composto da tre
racconti che scandagliano il tempo presente
introducendosi nelle ferite non mortali del tessuto
sociale. I racconti di Braucci sono ferite vitali, capaci
di almanaccare in un universo molteplice, diverse
identità di esseri umani che divengono modelli di
esistenza. Il primo racconto è ambientato nel golfo di
Napoli, su di una barca, è una gita nel golfo partenopeo
tra Gianni, il capitano della barca, la sua compagna
Laura e Nico, Giuseppe ed Alfredo, i ragazzi fuoriusciti
dal ventre sempre gravido dei quartieri miseri, nati
vittime e destinati a divenire carnefici.
Vi è nelle prime pagine uno scenario ampio, aperto, un
respiro interminabile che tende però a diventare ansia
quando il pittoresco mondo del golfo diventa scuro,
pericoloso. La barca infatti subisce una tempesta che si
trasforma in un’occasione per i passeggeri di
scandagliare se stessi, facendo emergere le loro passate
esperienze, i ricordi indecenti, le paure impellenti che
la tempesta non permette di rimuovere.
Nel secondo racconto, "L'età breve", è la storia, tra
l’epico e il tragico, di Michele che tenta con il lavoro
ed un'inflessibile dignità di sottrarsi al destino di
miseria e ingiustizia del suo quartiere. Michele però
sbatte contro l'esperienza di suo nipote Tony,
tossicodipendente e ladro. La volontà, il coraggio,
l'ardimento sembrano in questo racconto appiccarsi
Quando eravamo in tre
di Aidan Chambers
(Fabbri, 2003, pp. 363)
Il romanzo di Chambers è quel tipo di racconto capace
di catturare l’attenzione del lettore fin dalle prime
pagine e di coinvolgerlo fino alla fine.
“Quando eravamo in tre” è la storia di tre ragazzi, tre
adolescenti, che sono alla ricerca di qualcosa, senza
sapere, come è naturale che sia, cosa.
Piers (ma per tutto il romanzo viene chiamato Jan,
derivato da Janus il dio romano dei ponti, che è il nome
affibbiatogli dall’altra protagonista, Tess), fugge dalla
propria famiglia, nella quale si sente come schiacciato
dal modello di figlio che gli è stato imposto, seppure
con l’infinito amore di due genitori. Sta passando un
momento difficile che è contraddistinto da uno stato di
profonda depressione. Quando lo smarrimento in cui si
sente diventa dolore fisico, oltre che psicologico, Piers
trova un lavoro come guardiano di un ponte e decide di
separarsi fisicamente e mentalmente dalla vita fin lì
vissuta, dagli ambienti (compresa la scuola) che lo
hanno visto sempre attento a recitare la propria parte di
bravo figlio, bravo studente, bravo ragazzo.
Indubbiamente i primi tempi sono difficili. La baracca
nella quale vive non ha niente di tutto quello a cui era
stato abituato e deve quindi modificare profondamente
le sue abitudini. È solo e difende questa condizione
perché ha bisogno di ascoltarsi, di prendersi cura di se
stesso, di assumersi la responsabilità di se stesso.
In questa fase la sua vita vede l’apparizione di una
ragazza, la figlia del suo datore di lavoro: Tess. Tess è
una ragazza allegra, intraprendente, apparentemente
sicura di sé, ma anche con tutte le contraddizioni che
sono naturali alla sua età.
Quando apparirà il terzo personaggio, Adam, Tess
diventerà anche il punto di equilibrio nel trio.
Adam è una terza forma di adolescenza, quella ai limiti
della devianza, apparentemente priva di inibizioni e
limiti (non si vergogna di apparire nudo, non si
preoccupa di quello che dice o di quello che fa, appare
e scompare senza porsi problemi). Entra nella
narrazione senza una storia alle spalle, senza
un’identità delineata, come nascondesse qualcosa.
Tuttavia quella situazione, che spesso noi condanniamo
con la definizione di “superficialità” è portatrice di una
sofferenza molto profonda, spesso drammatica.
Il racconto si snoda in modo piacevole senza ricorrere
ad avventure mirabolanti o poco verosimili, fino al
punto di rottura, costituito dalla festa a sorpresa
organizzata da Tess per Piers.
Piers riuscirà a risolvere il suo rapporto con Gill, la
ragazza che aveva lasciato a casa, e, finalmente, sentirà
di uscire dall’adolescenza. Adam rivelerà la propria
storia. Tess ne inizierà una con Piers.
gruppi underground che spesso vivono lo spazio di una
canzone, magari di quella che amano di meno, come
“Crepuscolo”, l’unico successo dei Despero.
Kabra è il protagonista di questo bel libro, uno che non
riesce a diventare adulto. Uno che non riesce a staccarsi
dal liceale che suona con la sua band. I tempi del rock
demenziale e del loro pezzo più famoso: “Imene”.
Kabra si innamora di Sarah, che diventa la sua basista,
ma che rappresenta anche la metafora del suo approdo
all’età adulta.
Sarah, infatti, si innamora prima della voce solista dei
Despero, poi del Mitico, il chitarrista dei Burning party
e, infine, di Tex degli Zeronero, il gruppo con il quale i
Despero si sono spesso confrontati, con risultati non
sempre positivi.
In tutto questo tempo Kabra non smetterà mai di
sperare e continuerà a scriverle lettere che non spedisce
mai.
La parabola di questo sentimento irrisolto si conclude
con un tour in Irlanda, dove anche i Despero si
dissolvono, lasciando il solo Kabra ad esibirsi.
Ma come spesso accade il punto più basso è anche
quello da cui ripartire.
Tornavamo dal mare
di Luca Doninelli
(Garzanti, 2003, pp.181)
Despero
di Gianluca Morozzi
(Fernandel, 2003, pp. 157)
Kabra, Zanna, Lero, Sarah e tutti gli altri protagonisti
di questo libro sono anche gli attori principali di una
storia che è anche un lungo viaggio nell’adolescenza.
Un periodo che è scandito dall’amore non corrisposto
di Kabra per Sarah, un amore che non è tale, ma una
vera e propria fissazione adolescenziale.
Ma il libro è anche un interessante racconto della
musica italiana negli anni novanta, soprattutto di quei
Luca Doninelli, l’autore di questo racconto, ha
sicuramente la dote di guardare nel profondo dei suoi
personaggi, dandoci sfumature che altrimenti non
sospetteremmo. Alla fine della lettura si ha come la
sensazione che i protagonisti chiedano solo di essere
perdonati e essere amati.
Soprattutto Ester, che ci viene presentata come
portatrice di un disagio che si placa solo con la
dichiarazione della verità da parte dei figli, Irene e
Alberto, sulla loro partecipazione alla lotta armata e il
terrorismo. Così come per Ester che finalmente riesce a
parlare di sé, di quello in cui ha creduto e per cui un
giorno aveva accettato l’ordine di uccidere il fratello
fascista. Un ordine che avrebbe portato a compimento
se lui non avesse deciso di togliersi di mezzo prima.
C’è un filo di continuità nelle storie dei personaggi ed è
rappresentata da Fly, quello che ha ordinato ad Ester di
uccidere il fratello, quello che è anche il capo della
cellula terroristica di Irene e Alberto, quello che ha
avuto una relazione con Ester ed è il padre di Irene.
Con queste premesse, il muro di silenzio e di
sofferenza che opprime personaggi e costituisce il
nemico da vincere è l’odio.
La pace a cui giungono viene anche dal rifiuto di
trovare giustificazioni oggettive alle loro azioni.
Ed è proprio attorno a lei che si costruisce il finale, un
finale inaspettato che vedrà Elisa sistemarsi
definitivamente a Parigi, il padre tornare a casa per
restare e Marco, divenuto grande, andare via.
Una delle cose piacevoli del modo di narrare di
Carmine Abate è anche quello di mischiare l’italiano
con forme dialettali, aiutando il lettore ad entrare
meglio nel paesaggio e nel contesto del racconto
La festa del ritorno
I veleni della dolce Linnea
di Carmine Abate
(Mondadori, 2004)
di Arto Paasilinna
(Iperborea, 2003)
Quello di Carmine Abate è un racconto originale nel
quale si alternano i racconti del padre, emigrato in
Francia, e del figlio. Le vicende si svolgono a Hora, un
paesino della Calabria dove si parla arbèresh, una
lingua che deriva dall’albanese arcaico.
Uno dei luoghi ricorrenti della narrazione de “La festa
del ritorno” è il falò di natale davanti alla chiesa del
paese. Sono i momenti nei quali ritorna il padre e la
famiglia si riunisce e Marco si sente finalmente figlio e
non orfano.
Il padre era emigrato in Francia come tanti altri
giovani, prima a lavorare in una miniera dove non era
riuscito a resistere a lungo e poi nei cantieri e a
fabbricare blocchi di cemento. Molto prima, a Parigi,
aveva conosciuto una ragazza siciliana e con lei si era
sposato e aveva avuto una figlia:Elisa. Ma, dopo
qualche tempo, la madre era morta ed Elisa era stata
portata al paese. Qui l’uomo si era risposato, ma aveva
continuato a tornare in Francia a lavorare. Ogni volta
che tornava era una festa, non solo per la famiglia, ma
per la comunità.
Quando era a casa, il padre portava Marco in giro per la
campagna, insieme a Spertina la loro cagnetta, gli
insegnava a giocare a carte o a sparare, giocava con lui.
Elisa, nel frattempo era cresciuta e frequentava
l’università di Cosenza. Per Marco la sorella
rappresenta una continua scoperta, a partire dal
personaggio misterioso che frequenta: un uomo sposato
e molto più vecchio di lei.
la storia comincia in una casetta con giardino nei pressi
di Helsinki. Qui c’è una dolce anziana signora che sta
annaffiando le violette. Linnea Ravaska è la vedova
ottuagenaria di un colonnello eroe di guerra. La sua
vita, in genere quieta e tranquilla, è turbata dal nipote
Kuko e dalla sua banda, formata da Jari e Pera. Un
gruppo sicuramente scombinato che rappresenta bene
una copia mal riuscita di Arancia Meccanica, tuttavia
in grado di costituire un costante incubo per la
vecchietta. Ogni mese, infatti, questi balordi le si
presentano a casa e pretendono la sua pensione. Poi,
non paghi, devstano tutto quanto, saccheggiano,
sporcano, torturano il povero gatto, senza che Linnea
possa ribellarsi.
Tutto questo si verifica con costante regolarità, almeno
fino a quando non la costringono a firmare un nuovo
testamento a loro favore. Linnea, a questo punto, sente
di essere in pericolo, è terrorizzata che ora la vogliano
uccidere. Decide allora di chiamare la polizia e di
fuggire ad Helsinki, dove c’è il suo amico e medico, da
sempre segretamente innamorato di lei.
Per Kuko il comportamento di Linnea equivale ad una
dichiarazione di guerra, è inevitabile, quindi, che
inizino ad elaborare un piano per eliminarla.
Intanto Linnea, nella casa del medico, inizia a pensare
alla propria difesa, che consiste soprattutto nella
preparazione di un veleno da iniettarsi qualora si debba
trovare in balia del nipote e dei suoi orribili amici.
Linnea ha deciso che piuttosto che sopportare ancora
una volta le umiliazioni di quegli scapestrati è meglio
suicidarsi.
A questo punto inizia una paradossale e comica
sequenza di avvenimenti che porterà la vecchietta a
ribaltare la situazione e ad eliminare, uno alla volta e
innocentemente, Kuko e gli altri.
Un libro ironico e irriverente, come sono sempre i libri
di Paasilinna, ma anche una critica senza ipocrisia dei
mali della società finlandese, che lascia troppo soli sia
gli anziani che i giovani. Una società che è sempre più
preda dell’alcolismo, della droga, della violenza, in un
contesto di sempre maggiore sgretolamento sociale.
Una barca nel bosco
di Paola Mastrocolo
(Guanda, 2004, pp. 257)
Questa è la storia di Gaspare Torrente, un ragazzino
che viene da un isola e approda a Torino per studiare in
un Liceo Scientifico. È la storia di un ragazzo che tenta
con tutte le sue forze di omologarsi, senza mai riuscirci
completamente. Quindi è la storia che, a seconda della
prospettiva in cui ci si colloca, racconta un fallimento o
una salvezza.
Io preferisco la seconda ipotesi.
Gaspare viene a Torino con sua madre, che lascia solo
suo marito nell’isola per poter aiutare meglio il figlio,
sul futuro del quale entrambi investono la propria
esistenza. A Torino trovano ospitalità presso la sorella
di lei, zia Elsa, che è rimasta vedova. Per vivere, la
madre di Gaspare riapre il negozio della sorella e lo
trasforma in una Gastronomia dove imperano le sue
polpette.
Per il ragazzo l’inserimento in classe è subito difficile.
In lui nasce la profonda convinzione che ciò sia dovuto
ai simboli che caratterizzano i giovani e di cui lui è
privo.: le scarpe, la felpa, i jeans, la play station ecc…
Ma su di lui, che legge Orazio e Verlaine, pesano anche
i 10 in latino, mentre resta in attesa di quella durezza
degli studi che gli è sempre stata prospettata e che non
sembra giungere mai. Il simbolo di questa attesa è il
cronico ritardo con il quale i professori iniziano le
lezioni. Altro ostacolo sono le espressioni gergali che
non capisce.
Eppure ogni volta che tenterà e riuscirà, almeno in
parte, ad omologarsi resta deluso. Così è per Corinne,
la ragazza francese che gli viene assegnata nell’ambito
di uno scambio culturale organizzato dalla scuola. Il
suo malessere si evidenzia nella proiezione che realizza
in un alter ego che prende forma nelle email: biondo,
occhi azzurri, alto un metro e ottantasei …. Lui che è
scuro, bassino, che non ha neanche un computer e con
una madre sempre intenta a preparare polpette. Per lei
diventerà Felix Torrent. L’attesa di questo arrivo
costituirà anche la premessa di una svolta determinante
nella sua vita. Per coprire alcune macchie sul muro e
rendere più attraente la casa finirà per comprare un
pioppo e, il suo amico Furio (anche lui una barca nel
bosco) gli regalerà addirittura una quercia molto
giovane. Questi alberi gli faranno nascere una passione
che continuerà nel tempo, ben oltre il catastrofico
incontro con Corinne.
Ma le sue delusioni nello studio proseguiranno anche
all’Università, nonostante il suo personale successo
negli esami. Tipico è il caso della tesi che intende
preparare e che si incentra sulla figura di Rutilio, un
poeta latino che aveva scritto un’opera, De reditu, nel
quale parla di un provinciale, nato nella Gallia
narbonese, che giunge a Roma e si innamora della città
e della sua vita. Tuttavia le incursioni dei barbari e le
cattive notizie che gli giungono dalle sue proprietà, lo
costringono a tornare. Il viaggio sarà compiuto in barca
e da lì potrà vedere il decadimento e la scomparsa
dell’Impero. Ma è un autore che nessuno sembra
conoscere e quando finalmente trova il professore che
gli consente di lavorare a questo tema, ecco che la
propria opera viene rifiutata perché troppo originale.
Ancora una volta Gaspare è costretto a smussare ogni
espressione di originalità.
Intanto gli alberi sono cresciuti e hanno finito per
occupare ogni spazio della casa, mentre lui ha finito per
aprire un piccolo bar. Qui viene a trovarlo Furio, lo
sfigato del Liceo, come era stato lui. Oggi è diventato
architetto e ha realizzato il suo sogno di aprire una
fabbrica di peluches (pilucchi, cme li chiama lui). Furio
lo aiuterà a trasformare la sua casa nella “Casa Mondo”
nella quale le piante avranno ogni spazio per crescere,
compreso un tetto in plexiglass che può aprirsi per dare
aria e luce alle piante. Questa opera diventa un
richiamo per la città, ma lui resta nel suo piccolo bar,
cultore di una lentezza che è fatta di relazioni e di
ammirazione della natura e del bello.
Alla fine, dunque, i tentativi di Gaspare di omologarsi
hanno prodotto l’esatto contrario: un alternativo.
Mosca più balena
di Valeria Parrella
(Minimum fax, 2003, pp.103)
Un'aspirante "signora bene" appena maggiorenne
trascorre il suo tempo in compagnia di un camorrista
sognando di gestire una boutique in franchising. Un
trentacinquenne cocainomane vive con la mamma e
organizza sgangheratissime campagne elettorali. Il
progressismo "volteriano" di due genitori è costretto a
naufragare davanti allo scetticismo della giovane figlia
e alle convinzioni di comari, fattucchiere, bidelle. La
Napoli raccontata da Valeria Parrella ha poco della
città indolente, statica, incastrata nelle sabbie mobili di
un meridione da cartolina. È al contrario un posto
febbrile; un vero e proprio "generatore di storie" che
contiene appartamenti di lusso e discariche a cielo
aperto, terremoti e gare di appalto, concorsi pubblici e
centri sociali.
Opera prima di una giovane scrittrice napoletana
(appena trentenne), “Mosca più balena” ha il merito di
non scendere mai in luoghi comuni, i racconti
scivolano via con facilità, sono precisi e senza difficili
interpretazioni. Lo stile è abbastanza ricercato ed attrae
permettendo alle parole di farsi leggere con piacere. Il
libro ha una freschezza che rende piacevole la lettura.
Resistenza rasta
di Horace Campbell
(Shake, 2003, pp. 256)
Dalle colline giamaicane alle strade di Brixton, i rasta
rappresentano da decenni un riferimento costante nel
panorama controculturale globale. I dreadlock, i sound
system, la musica reggae e le sue infinite varianti, dal
dub alla dance hall, si sono ormai diffusi a livello
planetario. Resistenza rasta si presenta come la più
autorevole ricostruzione delle vicende del movimento
rastafari. Campbell ripercorre l'itinerario che, partendo
dalle lotte anticoloniali giamaicane e dal nazionalismo
nero di Marcus Garvey, attraverso incontri e
ibridazioni, ha condotto all'elaborazione di uno stile di
vita e di una cultura di resistenza destinati a superare la
dimensione caraibica per contagiare il mondo intero.
Il leone, il tamburo, la ganja, la tipica capigliatura e il
linguaggio ricercato sono i simboli dell'opposizione a
Babylon. Accompagnati da potenti e ipnotici ritmi
musicali, i rasta sono sempre stati in prima linea nella
protesta contro la società neocoloniale e razzista.