"I RICORDI DELLA MIA INFANZIA" articolo di

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"I RICORDI DELLA MIA INFANZIA" articolo di
"I RICORDI DELLA MIA INFANZIA" articolo di Michael Jackson
ARTICOLO SCRITTO DA MICHAEL JACKSON PER LA RIVISTA “OLAM” anno 2000
-TRADUZIONE DI EMANUELA AREZZI-
fonte: http://www.facebook.com/photo.php?fbid=187053228006149&set=a.133275450050594.
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Quando guardo alla mia infanzia,non vedo un paesaggio idilliaco di ricordi. Il rapporto con mio
padre era teso e la mia infanzia è stata un periodo emotivamente difficile per me. Ho iniziato ad esibirmi quando avevo cinque anni, e mio padre - un uomo duro - ha spinto me e
i miei fratelli,fin dalla più tenera età, a diventare i migliori interpreti che potevamo essere. Anche
se abbiamo sempre lavorato duramente,non mi ha mai fatto veramente un complimento. Se
facevo un grande show,lui mi diceva che lo spettacolo era stato bello e se facevo uno
spettacolo OK,non mi diceva niente. Sembrava intento, soprattutto, a fare di noi un successo
commerciale. E in questo è stato più che abile. Mio padre era un genio manageriale,ed io e i
miei fratelli gli dobbiamo il nostro successo professionale, in misura non trascurabile, per il
modo forte in cui ci ha spinto. Lui mi ha formato come uomo di spettacolo, e sotto la sua guida
non potevo perdere un passo. Quelli di voi che hanno familiarità con i Jackson Five sanno che
fin da quando ho iniziato a quella tenera età non ho mai smesso di ballare e cantare. Ballare e
fare musica rimangono sicuramente tra le mie gioie più grandi, ma quando ero piccolo volevo
solo essere un ragazzo come tutti gli altri. Avrei voluto costruire case sugli alberi, avrei voluto
fare la lotta con i palloncini pieni d'acqua e avrei voluto giocare a nascondino con i miei amici.
Ma il destino aveva in serbo altre cose per me, così non potevo far altro che invidiare le risate
dei bambini che vedevo giocare intorno a me.
La mia vita professionale non mi dava tregua,ma la domenica andavo a fare proselitismo per i
Testimoni di Geova ed era allora che potevo osservare la magia dell'infanzia in altre persone.
Dal momento che ero già una celebrità, andavo in giro indossando un travestimento-mi
ingrassavo e portavo parrucca, barba e occhiali- e passavamo la giornata nei sobborghi della
California del Sud, andando di porta in porta o a fare il giro dei centri commerciali per distribuire
la nostra rivista Torre di Guardia.
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Amavo entrare in quelle piccole case di periferia e guardare i tappeti e le poltrone in tessuto
felpato e i ragazzi che giocavano a Monopoli e le nonne che facevano da baby sitter e tutte
quelle scene meravigliose di una semplice vita quotidiana. Molti,lo so, diranno che non sono
questi i grossi problemi,ma per me era ipnotizzante, perchè simboleggiavano per me una vita
familiare che sembrava mancarmi.
Mio padre non era apertamente affettuoso con noi, ma ci mostrava il suo amore in modi diversi.
Mi ricordo di una volta, quando avevo circa quattro anni, mi portò alle giostre e mi prese in
braccio e mi fece sedere su un pony. Fu un gesto piccolo, probabilmente un gesto che
chiunque dimenticherebbe cinque minuti dopo, ma essendo stato l'unico, lo conservo in un
posto speciale del mio cuore. Perché i bambini sono così, le piccole cose significano tanto per
loro e per me,quel momento, significava tutto. Con quel gesto mi dimostrava il suo amore e la
sua cura ed avendolo fatto solo quella volta, mi fece provare amore verso di lui e verso il
mondo.
Ho anche altri ricordi, di altri gesti che, per quanto imperfetti, ci mostravano il suo amore per
noi. Quando ero un ragazzino, ero veramente tanto goloso- lo saremo stati tutti. Mi piacevano le
ciambelle con la glassa e mio padre lo sapeva. Così,ogni due settimane, appena mi alzavo la
mattina sul bancone della cucina c'era un sacchetto pieno di ciambelle con la glassa- nessun
gesto, nessuna spiegazione, solo le ciambelle. Era come se una fata madrina avesse visitato la
nostra cucina. Era come se fosse venuto Babbo Natale. A volte,sarei voluto rimanere sveglio
tutta la notte per vederlo mentre lasciava il sacchetto ma, come per Babbo Natale, non volevo
rovinare la magia per paura che non lo avrebbe fatto di nuovo. Ancora adesso ripenso a mio
padre che di notte lascia le ciambelle di nascosto in modo che nessuno lo vedesse. Aveva
paura delle emozioni umane, non le capiva e non sapeva come affrontarle. Ma ci faceva sapere
che ci voleva bene con le ciambelle. E quando mi permetto di riaprire i cassetti della memoria,
affiorano altri ricordi, altri gesti imperfetti, altri piccoli gesti che ci dimostravano che lui faceva
quel che poteva.
Con la maturità e il senno di poi, ho capito che anche la durezza di mio padre era una specie di
amore. Un amore imperfetto, certo, ma amore comunque. Mi ha spinto perché mi amava. Mi ha
spinto perché voleva che io avessi tutto quello che non avevamo mai avuto e voleva che la mia
vita fosse migliore di quanto non lo fosse mai stata la sua. Ci ho messo molto tempo per
realizzare questo, ma ora sento che il risentimento per la mia infanzia si può finalmente mettere
a riposo. La mia amarezza è stata sostituita dalla benedizione, e al posto della mia rabbia, ho
trovato l'assoluzione. E con questa conoscenza, che mio padre amava i suoi figli, ho trovato la
pace.
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