Ernestito Celia de la Serna y Llosa ed Ernesto Guevara Lynch
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Ernestito Celia de la Serna y Llosa ed Ernesto Guevara Lynch
Ernestito Il 14 giugno 1928, Ernesto Guevara Lynch e Celia de la Serna y Llosa annunciano felici la nascita del loro primogenito. Com'è tradizione in Argentina, lo battezzano con il nome del padre. Nato un mese prima del previsto a Rosario de la Fe, il bambino eredita anche due diminuitivi: "Ernestito" e "Tetè". Nelle vene di Ernestito scorre una miscela esplosiva irlandese, spagnola e basca. Sua madre Celia è l'erede di una famiglia di proprietari terrieri imparentati con i Grandi di Spagna e del Nuovo Mondo. Ragazza ribelle, la graziosa aristocratica ha abbracciato la causa femminista alla fine della prima guerra mondiale. A Buenos Aires, la più europea tra le capitali dell'America Latina, è una delle prime donne a dare scandalo portando i capelli corti. Guida la macchina, firma assegni e "accavalla le gambe in pubblico", precisa una delle sue cugine. Celia de la Serna y Llosa ed Ernesto Guevara Lynch Celia ha messo gli occhi su un giovanotto del suo ambiente. Ma Ernesto Guevara Lynch le sembra meno arrogante ed impacciato di tutti i suoi corteggiatori dell'aristocrazia locale. Bel ragazzo, simpatico, ha ereditato l'argento vivo di un bisnonno che, costretto all'esilio, senza esitare aveva preso parte alla corsa all'oro in California. Non sopporta di restare dietro una scrivania. Abbandona gli studi di architettura e conduce la giovane sposa e il bambino nel Nord-Est del paese, per occuparsi delle piantagioni di "mate", un'erba il cui infuso è la bevanda più popolare in Argentina e Paraguay Ernestito Ernestito passa i primi due anni della sua vita in un immenso giardino. Fino a un giorno di primavera del 1930 che influenzerà notevolmente la sua futura personalità. Il 2 maggio 1930 il piccolo, assai vivace, prende freddo bagnandosi nell'acqua ghiacciata di una piscina. La prima crisi d'asma segna l'inizio di una maledizione che lo costringerà a forgiarsi di una volontà di ferro per tutto il corso della sua vita. All'epoca non si sapeva molto delle allergie. Una delle prime parole che Ernestito impara a pronunciare è "puntura". Su consiglio dei medici, i Guevara partono alla ricerca di un clima più secco. Si stabiliscono in Alta Gracia, nelle montagne della provincia di Còrdoba, nel nordovest dell'Argentina. La mamma comincia a insegnargli a leggere a quattro anni. La prima lettera di Ernestito è indirizzata alla zia Beatriz nel 1933. "La casa dei Guevara era sempre aperta", ricorda una vicina. "Prima che arrivassero loro, nel quartiere si diceva che fosse infestata dagli spiriti. Ma con loro è diventata casa del popolo. I bambini del posto erano raggianti. Infatti i genitori incoraggiavano Ernestito e i suoi fratelli e sorelle, Celia, Roberto, Ana Maria e Juan Martin, a portare a casa i loro compagni, che fossero della loro classe sociale o venditori di giornali." Come tutti i bambini della sua età, Ernestito gioca agli indiani e ai cowboy. Ma anche - segno dei tempi, siamo nel 1936 - ai franchisti e repubblicani. "Era un vero scavezzacollo!", dirà il padre, "A sette o otto anni, con i figli dei peones delle colline circostanti, era un vero capobanda." Ma Ernestito resta anche ore a divorare i libri della biblioteca di casa. "Leggeva tutto", continua quello che lui chiamava il suo "vecchio". "Ha cominciato con Salgari, naturalmente. E poi ha divorato Jules Verne, Cervantes, Stevenson. Le storie d'avventure lo entusiasmavano. I tre moschettieri..." La madre gli insegna francese, il segno distintivo delle grandi famiglie argentine. A quattordici anni legge Baudelaire, Mallarmè, Pablo Neruda, Anatole France e Jack London, ma anche Freud, Jung e un compendio del Capitale. La pagella di Ernestito alla scuola Dean Funes di Còrdoba nel 1945. Scolaro piuttosto bravo... tranne che in inglese! Dall'incontro con i fratelli Granado e in particolare con quello che diventerà il suo migliore amico, Alberto, nascerà una passione per il rugby. Malgrado l'asma che a volte lo costringe ad abbandonare il campo, Ernesto è soprannominato "Fuser", contrazione di furibando (furioso) e Serna (il cognome della madre). Per questa ragione, i genitori gli impongono di lasciare il club San Isidro di Buenos Aires. Ma lui, cocciuto, prende di nascosto la tessera di un altro club. Con alcuni compagni, dà vita alla rivista Tackle (placcaggio). Ernesto firma i suoi primi articoli giornalistici con un altro dei suoi soprannomi: "Chancho" (porco) o "Chang-Cho". Segnato dall'agonia della nonna, che muore nel 1947, Ernesto decide di studiare medicina all'università di Buenos Aires. Riformato a causa dell'asma, lo studente pratica il tennis, il golf e inizia a pilotare con lo zio Jorge. Ma si fa anche un punto d'onore di guadagnarsi da vivere. Si imbarca come infermiere in una nave cisterna, lavora nei macelli comunali, poi alla biblioteca universitaria. Si ingegna anche, con un suo compagno, di mettere a punto un insetticida, l'"Atila" [In seguito "Vendaval", perchè in commercio esisteva un prodotto dal nome Atila] che spera di commercializzare. Il solo risultato è quello di impestare la casa di famiglia... "Non so come potesse fare così tante cose. Lui, che apparentemente era così disordinato, si mostrava in compenso molto organizzato nel gestire il suo tempo." Ernesto Guevara padre. L'università lo delude. Cercava una vocazione, gli parlano di carriera. Ernesto ha sete di scoprire il mondo. In occasione delle vacanze universitarie, decide di raggiungere Alberto Granado sulla Sierra, a nord di Còrdoba. Più vecchio, soprannominato dai più intimi "Mial" (Mi Alberto), questi si è già laureato in medicina e lavora in un lebbrosario a San Francisco de Chanar. Per divorare gli 850 chilometri che lo separano dall'amico, Ernesto monta un motorino sulla sua bicicletta. Non si porta dietro che una gomma di ricambio a tracolla, coma un corno da caccia, qualche abito e un libro di Nehru. Il 5 maggio 1950, la rivista "El Grafico" pubblica la foto di Ernesto in un inserto pubblicitario dal marchio Cucciolo, il motorino montato sulla sua bicicletta. Le prime esperienze "Va già verso i diseredati come se volesse conoscere in un sol colpo tutta la miseria che si raccoglie nella sua America." Alfredo Reyes Trejo Alla fine delle vacanze di studio al lebbrosario di San Francisco de Chanar, Ernesto ritorna a Buenos Aires per sentieri nella macchia, e quando capita l'occasione condivide la vita dei gauchos. Percorre in tutto 4500 chilometri sulle strade dell'Argentina. Sulla Strada... Los Easy Riders Hermanos Ernesto ha ventitrè anni. Ha quasi finito gli studi di medicina. Smanioso di scoperte e avventure, con l'amico Alberto Granado decide di intraprendere un viaggio iniziatico attraverso tutta l'America Latina. Il 29 dicembre 1951, i due amici inforcano una vecchia motocicletta Norton 500cc, la Poderosa II. Dietro, in cima ai sacchi a pelo, alla tenda e a qualche indumento di ricambio, troneggia un barbecue. I genitori nascondono a stento la loro preoccupazione. Ernesto deve promettere di non dimenticarsi mai il suo ventolin e di ritornare per finire il dottorato. Alla partenza, il padre fa scivolare la sua rivoltella in mezzo all'equipaggiamento. Non si sa mai... Intermezzo Romantico La prima tappa è l'esclusiva stazione balneare di Miramar, dove si trova l'adorabile Maria del Carmen, detta "Chichina", figlia del barona Ferreyra e ragazza di Ernesto. Tra i figli di papà dell'aristocrazia Argentina, Ernesto è considerato come un orso le cui riflessioni piombano quasi sempre come un sasso in uno stagno. Fa eccezione Chichina: "Il suo abbigliamento trasandato ci faceva ridere, e ci faceva un pò vergognare della nostra sottomissione alla moda. Comprava le scarpe ai mercatini, e le sceglieva in modo da dare l'impressione di avere i piedi di dimensioni diverse. Accettava le nostre battute snob con la più assoluta indifferenza". Alla partenza, Ernesto scrive nel suo diario: "Il viaggio era nella bilancia, in un guscio, subordinato alla parola che acconsente e lega". Come regalo d'addio, lei gli dona un braccialetto d'oro. Lui le lascia un cagnolino battezzato "Come-back" (ritorna). Medico del Mondo Medico del Mondo L'edizione di martedì 19 febbraio 1952 del giornale locale di Temuco, una cittadina del Cile, riferisce che "due esperti argentini di leprologia attraversano il Sudamerica in motocicletta". Il dottor Granado e il suo "assistente" Guevara passano il Cile attraversando la cordigliera delle Ande. La Norton è già agonizzante. Raggiungono in autostop Valparaiso, dove si imbarcano clandestinamente, da polizones, su un cargo. Risalgono verso la Bolivia e visitano le gigantesche miniere di Chuquicamata, sfruttate dagli statunitensi. Rivelazione dell'ingiustizia: "Per un gioco di prestigio che sfugge agli indios", racconta Alberto, "La loro terra rossa si trasforma in biglietti verdi". I due compari continuano verso il Perù - il lago Titicaca, Cuzco, il Machu Picchu - poi in direzione dell'Amazzonia, dove sbarcano al lebbrosario di San Pablo. Oltre quarant'anni dopo, gli indios lebbrosi si ricordano ancora di quei due esseri sovrannaturali, che non portavano guanti, gli strigevano la mano e giocavano a calcio con loro. Uno di essi, Silvio Lozano, che ora gestisce un bar chiamato "Che", ha raccontato al giornalista Andy Dressler: "Nel 1952, ero uno dei tanti lebbrosi condannati a morire di lì a poco. Ormai ero pelle e ossa. La lebbra mi divorava lentamente, e il dolore mi strappava le lacrime. Lui era seduto sulla nuda terra, come uno yogi. Ero talmente indebolito che mi mancava la forza di tendergli la mano. Egli l'afferrò, la tastò a lungo e...mi disse: "Il nervo è leso, bisogna operare". Malgrado la sua mano fresca sulla mia fronte che scottava, fui preso dalla paura. "Lei morirà se non si fa niente" insistette. Gridai come un pazzo quando mi infilarono due aghi nella piaga, poi cercai il suo sguardo e svenni. Mi ha salvato. Fu l'inizio di una nuova era nel lebbrosario, i ferri chirurgici non ebbero il tempo di arrugginire!". Medico del Mondo Medico del Mondo Autoritratto di Ernesto fotografo. L'apparecchio è posato a sinistra sulla pila di libri Fine luglio 1952 a Caracas, dopo avere vagabondato insieme per sette mesi, i due compagni si separano. Ernesto non ha in tasca più di un dollaro e promette a Celia, sua madre, di rientrare per finire gli studi. Il cargo che lo riporta a Buenos Aires è costretto ad atterrare a Miami. In attesa delle riparazioni, deve sopravvivere per 20 giorni con un solo dollaro in tasca, in un'America in pieno maccartismo. Ottiene il dottorato in tempo di record, dal settembre '52 al marzo '53. Non ha ancora venticinque anni. Il "dottor" Guevara se ne frega di questo titolo prestigioso. Non vede l'ora di ripartire. Il continente americano necessita di una "sistematica auscultazione politica". Riparte per il Perù, si ferma brevemente in Bolivia, attraversa l'Ecuador, la Costa Rica, dove incontra gli esuli cubani che hanno appena preso parte, il 26 luglio, alla prima azione armata di una certa portata contro il dittatore Batista. Gli parlano del loro capo, un certo Fidel Castro Ruiz. In Guatemala, assiste all'intervento dei mercenari addestrati negli Stati Uniti per abbattere il regime troppo progressista del presidente Arbenz. E' lì che incontra Hilda Gadea Acosta, una militante peruviana in esilio. Lei lo nutre con nuove letture: Lenin, Trotzkij e Mao. Gli amanti prendono parte alla resistenza ma sono costretti a fuggire in Messico. Con il nuovo amico Julio Caceres "El Patojo", Ernesto sopravvive fotografando gli innamorati o le mamme che portano a spasso i bambini nei parchi, "Lottando per convincerle che il piccolo è davvero molto grazioso e che vale la pena di spendere un peso per tale meraviglia". L'agenzia Prensa Latina lo assume come fotografo per coprire i giochi Panamericani. La prima moglie. Hilda Gadea, la sua ninfa Egeria, è incinta. Finalmente nell'agosto del 1955 accetta di sposare Ernesto, ma l'atmosfera coniugale si guasta molto velocemente. Qualche mese più tardi, lui scrive alla zia: "Da qui a poco aspetto un piccolo Vladimiro Ernesto." Ma nasce Hilda Beatriz. Che importa: "La mia anima di comunista si allarga a dismisura", scrive Ernesto, questa volta alla madre. "E' il ritratto sputato di Mao Tse-tung. Mangia come mangiavo io secondo quello che raccontava la nonna, in altre parole poppa senza tirare il fiato finchè le esce il latte dalle narici". Il giovane papà chiama la sua bambina "el petalo mas profundo del amor". Eppure l'anno 1955 è segnato da un incontro che influenzerà il suo destino molto più ancora della paternità. Ernesto Guevara fa conoscenza con il capo degli esuli cubani in Messico, Fidel Castro. Scrive al padre: "Un giovane leader cubano mi ha invitato a raggiungere il movimento armato di liberazione del suo paese, e naturalmente ho accettato. Così il mio dovere è legato alla rivoluzione cubana [...] Nella mia vita, ho trascorso molto tempo a cercare la verità attraverso gli ostacoli ed ecco, con una figlia che mi perpetua, ho fatto la grande svolta. A partire da questo momento, non considero più la mia morte come una perdita. Semmai, come Hikmet, porterò nella tomba solo il dispiacere di un canto non terminato..." L'incontro con i Rivoluzionari Cubani Castro cerca un medico per il gruppo di rivoluzionari che intende sbarcare a Cuba per rovesciare il dittatore Batista. Guevara non esita neanche un secondo. Per il gruppo dei cubani, orami è il Che. "Che" è l'interiezione favorita degli argentini, il loro segno caratteristico nel mondo di lingua spagnola. Agli ordini del generale Alberto Bayo, un vecchio ufficiale dell'esercito repubblicano spagnolo, "Che" Guevara si addestrava a sparare con i cubani in un campo segreto, a una quarantina di chilometri da Città del Messico. L'incontro con i Rivoluzionari Cubani Fidel Castro, Ernesto Guevara e il gruppo degli esuli cubani vengono arrestati e rinchiusi nel carcere di Calle Miguel Schultz di Città del Messico. I prigionieri vengono rilasciati grazie a qualche bustarella e all'intervento del vecchio presidente della Repubblica messicana, Lazaro Cardenas Prima di affrontare la dura vita del guerrigliero, il Che vuole affilare il suo corpo come un pugnale. Ormai la sua vita non gli appartiene più. La consacra alla Rivoluzione. Con i suoi compagni cubani, pratica la lotta e il karate per i combattimenti corpo a corpo, la pallacanestro e il calcio per l'agilità, il canottaggio per la resistenza. Passa i fine settimana a scalare il Popocatepetl o l'Itzaccihuatl, a oltre 5000 metri. Fidel, da parte sua, viaggia negli Stati Uniti per raccogliere fondi presso altri esuli. Il 25 novembre 1956, si imbarcano con 80 cubani sulla Granma, uno yacht costruito per trasportare 25 passeggeri. Ernesto sa che la partenza lo separerà forse per sempre dalla figlia di 9 mesi. Alla madre: "Non sono un Cristo nè un filantropo. Sono tutto il contrario di un Cristo, e la filantropia mi sembra nulla in confronto alle cose in cui credo. Mi batterò con tutte le armi a disposizione invece di lasciarmi inchiodare a una croce o qualunque altra cosa." La Rivoluzione "Non fu uno sbarco, fu un naufragio...", dirà in seguito il Che. Gli 82 che sbarcano sulla costa cubana il 2 dicembre 1956 vengono decimati nei primi scontri con l'esercito regolare. I sopravvissuti, una dozzina, si nascondo nella Sierra Maestra, un massiccio lungo 130 km e largo 50, dominato dal monte Torquino perso tra le nubi. Di fronte a un moderno esercito di 4000 uomini, i "barbudos" imparano il mestiere. Trasandati e armati alla meno peggio, allacciano rapporti con i contadini, i "campesinos", che vengono progressivamente a ingrossare i loro ranghi. Il Che cambia la sua vocazione di medico, per diventare prima di tutto un combattente: In piena sparatoria "mi trovai davanti uno zaino pieno di medicinali e una cassa piena di munizioni. Il peso mi impediva di portarle via tutte e due. Presi la cassa di munizioni, lasciando lo zaino..." "E' un artista della guerriglia, un capo esigente con se stesso come con gli altri. Pratica una morale egualitaria che dà senso alla lotta contro una dittatura di corrotti", dirà Fidel Castro. "Il dottore è cojonudo, un vero guerriero." Fidel Castro Impulsivo, impara a controllarsi per poter dare gli ordini alle sue truppe, per diventare un vero "comandante". Tra un'imboscata e l'altra, si prende cura dei malati e dei feriti. Fa lezione agli analfabeti e insegna il francese a Raùl, il fratello di Fidel Castro. I "barbudos" fanno grande uso di sigari. Ne fumano una parte e fanno macerare il resto nell'acqua, come Ernesto ha loro insegnato. Applicato sulla pelle, il liquido giallastro è un'efficace protezione contro le zanzare. Su Radio Rebelde l'intera isola sente parlare del "guerrillero heroico". Guevara è nominato Comandante, il grado più alto tra i guerriglieri. Costretto a mettersi a letto per una crisi d'asma, il Che rilegge Goethe nel suo covo fortificato di El Hombrito, che sarà ridotto in cenere dall'esercito. Ricostruisce una nuova base permanente a La Mesa. I suoi uomini vi installano il trasmettitore di Radio Rebelde e la tipografia del giornale "El Cubano Libre". Sulle onde e attraverso le colonne, il messaggio è semplice: LIBERTA' O MORTE. Il Comandante Guevara ha creato una vera e propria fabbrica d'armi, che produce proiettili, granate e addirittura un'arma "fatta in casa", l'M-26, chiamata anche Sputnik, che va lanciata per mezzo di una specie di catapulta costruita con le molle di un fucile da pesca subacquea. All'interno della zona "liberata" che dominano e amministrano, i ribelli pagano i loro acquisti con dei buoni che Guevara firma già Che, come quando diventerà presidente della Banca Nazionale di Cuba, dopo la presa del potere. Il 21 agosto 1958, su ordine di Fidel Castro, comandante capo, ha inizio l'invasione del resto dell'isola. Attraverso montagne e paludi, sfidando non solo i bombardamenti dell'aviazione ma anche due cicloni, il Che percorre a piedi parecchie centinaia di chilometri alla testa di una colonna di 220 uomini, la "ocho". Il 5 ottobre: "La truppa non ne può più. Il morale a pezzi, famelici, hanno i piedi sanguinanti e tanto gonfi che non entrano più nei brandelli delle scarpe. Solo, nella profondità delle loro orbite, appare una fioca, minuscola luce che scintilla nella deosolazione. Marciando in mezzo a loro, ho sentito il fervido desiderio di aprirmi le vene per offrire qualcosa di caldo alle loro labbra, qualcosa che non hanno avuto dopo tre giorni passati senza mangiare nè dormire" I due "comandantes" più popolari e più ricercati: Che Guevara e Camilo Cienfuegos Sulla strada dell'Avana, Santa Clara è l'ultima fortezza di Batista. Il Che può contare su 364 uomini. Di fronte a lui, l'esercito regolare schiera diverse migliaia di soldati con un treno blindato, che il dittatore considera la sua arma segreta contro la rivoluzione. I binari vengono sabotati prima dai "barbudos". La locomotiva deraglia. Dalle feritoie aperte nella blindatura, i soldati rovesciano un nutrito fuoco d'armi automatiche. Dalle torrette, le mitragliatrici sputano morte. Ma commando suicidi innaffiano il treno di cocktail "molotov" pieni benzina in fiamme. Le piastre di blindatura si trasformano rapidamente in un gigantesco forno per i soldati, che decidono di arrendersi. La seconda moglie "La donna è straordinariamente importante nel processo rivoluzionario. E' capace di svolgere i lavori più difficili, di combattere insieme agli uomini. [...] Nella rude vita del combattente, la donna porta le virtù proprie del suo sesso e può lavorare come l'uomo [...] con una tenerezza maggiore di quella dei suoi compagni d'armi. Tenerezza oh! quanto necessaria nei momenti di sofferenza." Una notte, mentre si avvicina a una caserma passando per i tetti, il Che mette un piede in fallo e scivola. Un'antenna televisiva lo sfregia alla tempia e si sloga il polso. Per paura di una reazione asmatica, rifiuta l'iniezione anestetica dell'infermiere. Con il braccio al collo, riprende subito a combattere dopo avere mandato giù qualche compressa d'aspirina. Ernesto ha appena conosciuto una militante rivoluzionaria piena di fascino, la bionda Aleida March, che diventerà la sua seconda moglie. La Rivoluzione Il 31 dicembre 1958, si arrende il colonnello della polizia provinciale. Il 1° gennaio, l'ultima guarnigione di Santa Clara depone a sua volta le armi. All'Avana, la notte del veglione, il dittatore Batista fugge alla chetichella a Santo Domingo. I "libertadores" si precipitano verso la capitale, preceduti dalla loro leggenda romantica e cavalleresca. "No levantes himnos de Victoria / En el dia sin sol de la batalla." [Non si cantino inni di gioia nel giorno senza sole della battaglia.] Il 2 gennaio 1959 la Rivoluzione fa il suo ingresso all'Avana che offre ai "barbudos" un supplemento di capodanno, una java tonante, un carnevale anticipato. Sono passati venticinque mesi dal catastrofico sbarco del Granma. Il Che ha 30 anni. "Non sono un libertador. I libertadores non esistono. Sono i popoli che si liberano da sè." Da Buenos Aires, i Guevara volano per raggiungere il figlio, che non vedono da sei anni. Li aveva lasciati un giovane giramondo, ritrovano un eroe agguerrito e festeggiato da un intero popolo. In seguito suo padre scriverà: "Si era trasformato in un uomo la cui fede nel trionfo delle proprie idee toccava il misticismo" La Nuova Cuba Il 9 gennaio 1959, il nuovo consiglio dei ministri conferisce la cittadinanza cubana "dalla nascita" a Ernesto Guevara. In un primo tempo il Che è governatore militare della fortezza della Cabana, dove hanno sede i tribunali rivoluzionari. Vi vengono processati i carnefici di Batista, spesso condannati a morte. Alla fine degli anni Cinquanta, gli americani hanno trasformato Cuba in casa d'appuntamenti. A soli 200 chilometri della Florida, L'Avana è un centro del gioco e della prostituzione dove regnano Meyer Lansky e Santos Trafficante, due padrini mafiosi. E ora un avventuriero argentino, tale Guevara, pretende di espellere i giocatori, debosciati e protettori. Gli Stati Uniti controllano il 75% degli scambi commerciali. Possiedono anche il 90% delle miniere del paese e il 50% delle terre. Nella capitale e nelle grandi città, la classe media gode di un tenore di vita paragonabile a quella del grande vicino a nord. Si va spesso in Buick o Chevrolet immense, che vengono parcheggiate di fronte a scintillanti parchimetri. In compenso la disoccupazione tocca 500.000 cubani su una popolazione di 6,5 milioni. Nelle campagne, solo il 4% dei tagliatori di canna da zucchero è in grado di consumare della carne, il 2% delle uova. Circa un quarto della popolazione è analfabeta. Fidel Castro si dice nazionalista e riformista. Si reca negli Stati Uniti, dove incontra il vicepresidente Richard Nixon, che pensa senza dubbio di ammansirlo. Ma il 17 maggio 1959 il nuovo governo proclama una legge di riforma agraria che sopprime i latifudias, le coltivazioni che superano i 400 ettari. I servizi pubblici come i trasporti e il telefono vengono nazionalizzati, così come le piantagioni da zucchero e di tabacco. Un ambizioso programma sociale viene lanciato nella sanità e nell'istruzione. Un banchiere diverso dagli altri Una barzelletta che diventerà famosa gira per l'isola. Alla domanda di Fidel, rivolta a un'assemblea di militanti, "In sala c'è un'economista?", il comandante Guevara alza la mano. "Bene, tu sarai presidente del Banco Nacional". Ma lui aveva capito: "In sala c'è un comunista?". In segno di disprezzo per il denaro, Guevara firma i biglietti con il suo soprannome "Che". Il matrimonio La bella combattente Aleida March non abbandona più il Che dopo il loro primo incontro nella Sierra Escambray, poco prima della battaglia di Santa Clara. I suoi modi, la sua intelligenza, il suo attivismo hanno sedotto colui il cui fascino è allora leggendario quanto prodezze militari. Il 2 giugno 1959 si sposano in presenza di pochi intimi. Il Che porta via Aleida per una breve luna di miele in una Studebaker nera avuta in prestito. Il salario del presidente della banca nazionale è di soli 125 dollari al mese. La famosa foto Il 4 marzo 1960, nel porto dell'Avana, a bordo del mercantile francese La Coubre, arriva il primo carico d'armi (belghe) che i cubani sono riusciti ad acquistare malgrado le pressioni americane. Ma un'enorme esplosione scuote la città. L'attentato, che i rivoluzionari attribuiscono alla CIA, fa 75 morti tra i lavoratori del porto. Un fotografo della rivista "Verde Olivo", Gilberto Ande, scopre il Che che presta soccorso ai feriti. Ma questi gli proibisce di fotografarlo. Gli sembra osceno essere oggetto di curiosità in simili circostanze. Due giorni dopo, nel corso di un'adunata di protesta, Fidel lancia la parola d'ordine che diventerà il motto della nuova Cuba: "Patria o muerte". Nello stesso momento, il fotografo del giornale "Revoluciòn", Alberto Korda, scatta due foto del Che presente nella tribuna. Anni dopo, questa immagine diventerà un simbolo per la gioventù del mondo intero. Jean-Paul Sartre "Che Guevara fa parte dei grandi miti di questo secolo: la sua vita è la storia dell'uomo più perfetto della nostra epoca." Jean-Paul Sartre Quello stesso giorno del marzo 1960, JeanPaul Sartre e Simone de Beauvoir sono tra la folla che ascolta i discorsi di Fidel Castro. Sono venuti per rendersi conto di persona questa esperienza caraibica che appassiona il mondo intero. Le divergenze con Washington diventano sempre più profonde. In risposta alle nazionalizzazioni, gli americani abbassano radicalmente le quote di importazione dello zucchero, provocando un riavvicinamento con i sovietici che si impegnano a dare il cambio. Il 19 ottobre, aumentando lo strangolamento, gli Stati Uniti promulgano un embargo sul commercio con l'isola. "Cuba s'accorse all'improvviso che tutto quello che si consumava sull'isola era prodotto dagli Stati Uniti. [...] Le uova d'allevamento, che le padrone di casa disprezzavano per il loro giallo pallido e il loro gusto di medicinale, portavano sul guscio il marchio del Nord Carolina, ma qualche dorghiere le lavorava cone del solvente e le imbrattava di sterco di pollo per venderle più care, come fossero nostrane." Gabriel Garcia Marquez Un ambasciatore con gli anfibi Fino all'aprile 1961, la rivoluzione rifiuta di dichiararsi socialista. Ma le simpatie dei dirigenti cubani naturalmente vanno tutte ai nemici dei loro arroganti vicini. Il Che diviene ambasciatore itinerante. Fidel lo incarica di stabilire relazioni economiche con il campo socialista e i paesi non allineati. Incontra Nasser in Egitto, Tito in Iugoslavia, Nerhu in India, Sukarno in Indonesia, accolto dovunque festosamente. Con l'entusiasmo di un'esploratore, Guevara firma a Mosca dei contratti commerciali che, spera, impediranno agli americani di esercitare un ricatto sulla loro ex "colonia" caraibica. Rifiutando di farsi coinvolgere nelle polemiche tra i partiti comunisti, Che Guevara continua il suo giro del mondo, alla volta di Pechino innevata dove viene ricevuto da Mao e Chu En-Lai. Naturalmente, i cinesi rivaleggiano in ospitalità con i sovietici. Per Ernesto, che aveva chiamato la figlia Hildita "la mia piccola Mao", si avvera un vecchio sogno. In compenso, non apprezza affatto che nel corso di un banchetto in suo onore uccidano una scimmietta, tranciandole la calotta cranica, per servirgli il cervello ancora caldo... Ministro dell'Industria Il 23 febbraio 1961, Ernesto Guevara è nominato Ministro dell'Industria. Il Che pensa che sia necessario industrializzare a qualsiasi costo per garantire l'indipendenza politica di Cuba. Il compito è titanico: "Lavorava dalle 8 di mattina...fino alle 4 del mattino dopo" ricorda la moglie Aleida, che precisa: "Oltre al lavoro del ministero, agli articoli e ai libri che scriveva, si impegnava negli studi di matematica per 17 ore alla settimana..." Nel suo ufficio, seduto scomodamente per terra per evitare di addormentarsi, passa le notti a sgobbare. Il Che spinge per la meccanizzazione della "zaffra", il taglio della canna da zucchero. "Un giorno - racconta il fotografo Alberto Korda - volle provare l'Alzadora, la prima macchina inventata dagli ingegneri cubani sotto il suo impulso. Appena prima di prendere il volante, mi apostrofò: Sà tagliare la canna col macete? No... Dategliene uno perchè contribuisca alla zaffra... Ho dovuto ubbidire... lui la chiamava "la prova del fuoco"..." "Era un visionario che pianificava l'avvenire. Aveva progetti per il petrolio, il nucleare, l'energia del futuro. Il Che era sensitivo. Leggeva per tenersi informato sull'automazione e la fisica nucleare. Era uno con una cattiva respirazione e con una fantastica ispirazione." Tirso Saenz, collaboratore del Che al ministero dell'Industria nel 1961. El senor ministro preferisce sudore e fango. Al nuovo ministro mancano l'esercizio fisico e i grandi spazi. Per sfogarsi gioca a baseball, lo sport nazionale cubano. Inizia Fidel al golf, a cui giocava da bambino. Fidel invita il Che e sua madre a partecipare al torneo di pesca Ernest Hemingway. Ma lui preferisce fare fotografie o leggere piuttosto che titillare il pesce spada. Hildita e gli altri figli "Bisogna indurirsi senza perdere la propria tenerezza." Hildita, la figlia avuta con Hilda Gadea, è la maggiore dei figli di Ernesto Guevara. Aleida March le dà quattro tra fratellini e sorelline: Aleidita, Camilo, Celia ed Ernesto. Dopo l'embargo, ogni famiglia cubana ha diritto a qualche refrescos per festeggiare un anniversario. All'inizio degli anni '60, resta ancora qualche bottiglia di Coca-Cola. Gli scacchi ed i sigari Suo padre gli ha insegnato a muovere i pezzi degli scacchi fin dall'età di 6 anni e racconta che da ragazzo è riuscito a pareggiare una partita con il maestro argentino Miguel Najdorf. All'interno del ministero dell'industria, addirittura, il Che organizza un torneo simultaneo con il campione sovietico Victor Korcnoj. Nel 1963, gioca per telefono con il futuro campione del mondo, l'americano Bobby Fischer. Il Che fuma troppo. Al ministero, i suoi collaboratori sono preoccupati per la sua salute. Alla fine dichiara: "D'accordo, non ne fumerò più di uno al giorno." L'indomani arriva con un sigaro lungo più di mezzo metro... Il lavoro "Uomo-lupo, no! Uomo nuovo, si!" [Hombre lobo, no! Hombre nuevo, si!] Il Che fa del lavoro volontario un atto quasi sacro della Rivoluzione. La domenica dà lui stesso l'esempio. Lo si vede caricare sacchi di zucchero, costruire alloggi, tagliare la canna. Come un crociato, incarna quell'"uomo nuovo" che sogna. "Lasciatemi dire, a rischio di sembrare ridicolo, che il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d'amore. E' impossibile concepire un autentico rivoluzionario privo di questa caratteristica. Forse è proprio questo uno dei drammi più grandi del dirigente politico. A uno spirito appassionato deve unire una mente fredda e prendere le decisioni più dolorose senza che gli si contragga un solo muscolo. [...] In queste condizioni, è necessario avere molta umanità, un grande senso della giustizia e della verità, per non cadere in eccessi di dogmatismo, in freddi scolasticismi, nell'isolamento delle masse. Ogni giorno bisogna lottare perchè questo amore verso l'umanità vivente si trasformi in fatti concreti, in atti che valgano da esempio." L'11 dicembre 1964, il rivoluzionario cubano è a New York. Dalla tribuna delle Nazioni Unite, pronuncia un discorso violentemente anti-"yankee". Indirettamente denuncia anche la politica di coesistenza pacifica seguita dal Cremlino: "La coesistenza pacifica tra nazioni non esiste tra sfruttatori e sfruttati, tra oppressori e oppressi." Il Che si proietta nel futuro: "Quando sarà giunta l'ora, sarò disposto a dare la vita per la liberazione di uno o dell'altro paese sudamericano, senza chiedere niente a nessuno, senza sfruttare nessuno, senza domandare niente in cambio." Dopo New York, il rivoluzionario prosegue il viaggio verso l'Africa. Prima per l'Algeria, poi Mali, Congo-Brazzaville, Guinea, Dahomey, Ghana, Tanzania ed Egitto. Gli africani lo soprannominano il "Mao" dell'America Latina. Di ritorno da Algeri, il 24 febbraio 1965 critica nuovamente in un suo discorso l'"egoismo" della politica estera sovietica. "Come si può parlare di reciproci benefici quando si vendono al prezzo del mercato mondiale le materie prime prodotte dal sudore e dall'infinita sofferenza dei paesi poveri, e quando si comprano al prezzo del mercato mondiale le macchine fabbricate nei grandi stabilimenti automatizzati moderni?" Scriverà il presidente algerino Ahmed Ben Bella (che qualche mese dopo sarebbe stato rovesciato da Houari Boumediene): "Tra Cuba e l'Algeria s'instaurò un baratto a carattere non commerciale, sotto il segno del dono e della solidarietà. [...] Noi davamo, ma abbiamo anche ricevuto molto. Non abbiamo mai saputo quanto. [...] Questo sistema di baratto piaceva molto al Che, perchè era basato sull'amicizia sincera; questo si accordava bene con il suo temperamento." Il ritorno Al suo ritorno il 14 marzo 1965, viene accolto all'aeroporto da Fidel Castro. I due uomini si rinchiudono a discutere animatamente per 40 ore. Nessuno sa cosa si dicono. E poi il Che sparisce. Al riguardo circolano tra la gente le voci più pazzesche. C'è chi sostiene di averlo visto nel Vietnam, in un manicomio a Cuernavaca in Messico, in Argentina... altri lo credono morto, o a marcire in una prigione dell'Avana... Il 20 aprile, Castro dichiara a dei giornalisti: "Tutto quello che posso dire del comandante Guevara è che sarà sempre là dove è più utile alla rivoluzione..." Solo il 3 ottobre Fidel Castro rende pubblica una lettera che il Che gli ha spedito in aprile: "...Sento che ho compiuto la parte di dovere che mi legava alla rivoluzione cubana sul suo territorio [...] Altre terre nel mondo reclamano il contributo delle mie modeste forze. Io posso fare ciò che a te è negato per via delle responsabilità alla testa di Cuba, ed è venuta l'ora di separarci [...] Lascio qui la parte più pura delle mie speranze di costruttore e quello che ho di più caro tra coloro che amo..." Nello stesso periodo ha scritto ai genitori: "Sento di nuovo sotto i talloni i fianchi di Ronzinante. Riprendo la strada, scudo al braccio [...] Credo nella lotta armata come unica soluzione per i popoli che vogliono liberarsi [...] Molti mi tratteranno da avventuriero, e lo sono, ma di un genere diverso, di quelli che rischiano la pelle per difendere le proprie convinzioni. Può darsi che stavolta sia l'ultima. Non la cerco, me è nel calcolo logico delle probabilità. Se così fosse vi abbraccio per l'ultima volta..." I preparativi per la partenza "Accendere due, tre, molti Vietnam." Mentre tutto il mondo si interroga sulla sua scomparsa, Che Guevara in realtà ha scelto il cuore dell'Africa per tentare di accendere un nuovo focolaio rivoluzionario e obbligare gli statunitensi a disperdere le loro forze. A Cuba un gruppo di soldati, che hanno in comune il fatto di essere tutti di pelle nera, viene riunito in una caserma a Pinar del Rio. Del futuro capospedizione non conoscono che delle foto. Si chiedono chi sia quest'uomo così elegante, con i capelli impomatati, accuratamente rasato, che fuma i Cohibas, i sigari prediletti da Fidel Castro... Tatu in Congo Nell'ex Congo belga, le popolazioni chiamano il Che "Muganda, colui che cura il male". Per i guerriglieri è il comandante "Tatu". "Il mio sogno è di creare un esercito per portare alla vittoria le armi congolesi." Ma dopo undici mesi l'operazione finisce nel nulla, a causa dell'irresponsabilità dei rivoluzionari africani, dei "turisti" (tra cui un certo Laurent Dèsirè Kabila), che "preferiscono fare la bella vita nelle capitali del mondo intero". In seguito a violente crisi d'asma, di dissenteria e di malaria, il Che pesa meno di cinquanta chili. Prima di ritornare in segreto a Cuba, si cura a Dar-es-Salaam e poi a Praga. L'ultima partenza Appena è di nuovo in piedi, Guevara questa volta vuole tentare di estendere a tutto il continente sudamericano il fuoco della Rivoluzione, trasformando la cordigliera delle Ande in un'immensa Sierra Maestra. Come focolaio insurrezionale, il Che ha scelto la Bolivia, un crocevia nel cuore dell'America Latina. Mentre la CIA lo crede in ospedale nell'Unione Sovietica, con l'aiuto dei servizi segreti cubani Guevara si trasforma in un bravo borghese abbondantemente oltre la quarantina. Porta occhiali dalle lenti spesse, è mezzo calvo, in compenso gli hanno impiantato dei peli nelle sopracciglia per farle sembrare più folte. Per diminuirne la statura, è stato scavato l'interno dei talloni delle scarpe. Fidel esamina i suoi documenti falsi. Per viaggiare fino in Bolivia per vie traverse, gli sono stati fabbricati due passaporti uruguayani. Il primo è a nome Ramon Benitez Fernandez, nato a Montevideo il 25 giugno 1920 (otto anni prima di Ernesto Guevara), di professione commerciante. Il secondo a nome di Adolfo Mena Gonzàlez. Il Che in Bolivia Autoritratto in una camera dell'hotel di Copacabana di La Paz. La jeep fila contro un albero sul bordo della strada quando il guidatore riconosce il suo passeggero con il berretto: non ha potuto impedirsi di lasciare il volante per saltare al collo del Che: "Cono, d'accordo che mi vuoi bene, ma così mi ucciderai prima di iniziare a combattere!" In questo inizio di novembre 1966, Guevara è appena arrivato a La Paz, la capitale boliviana, munito di documenti falsi. I due uomini si dirigono verso Nacahuasu, una regione deserta e inospitale nel sudovest del paese, che i guerriglieri hanno scelto come base. Il Che in Bolivia Con una cinquantina soltanto di uomini, tra cui 18 dei suoi fidi cubani, lo socpo del Che è di stabilire una base nella regione di Nacahuasu per addestrare dei guerriglieri che sciameranno in tutta l'America Latina. Il 7 novembre 1966, comincia a tenere un diario, su un'agenda rossa di marca tedesca. Intorno a una baracca isolata, la Calamina, installa un campo d'addestramento. Il clima è torrido, gli alberi stenti e grigiastri, le spine lacerano i vestiti e la pelle. Gli uomini costruiscono un tunnel per nascondere i viveri e il materiale. Ci sono nugoli di insetti: "Le yaguasas, i jejen, i mariguì, le zanzare e le zecche", precisa il Che nel suo diario. "Le punture provocano piaghe. [...] La barba comincia a crescere. In circa due mesi sarò di nuovo me stesso." Invece di sostenere i guerriglieri come previsto, il partito comunista boliviano svolge un'opera di dissuasione su quanti intenzionati a darsi alla clandestinità. Mosca non vuole turbare la coesistenza pacifica che si è stabilita tra i due Grandi. Il Che deve arruolare in fretta e furia degli uomini che non tardano a disertare e tradire. In marzo, l'accampamento viene occupato mentre il Che è in missione esplorativa. Comincia allora "la fase della guerriglia propriamente detta". Tania la guerrigliera. La Mata Hari del Che Heidi Tamara Bunke Binder, alias Laura Gutièrrez Bauer, Maria Aguilera o Laura Martinez, detta Tania, è nata a Buenos Aires nel 1937. E' figlia di un tedesco e di un'ebrea polacca emigrati in Argentina e tornati nella RFT dopo la guerra. Il primo incontro con il Che avviene a Lipsia nel 1959. Lei è la sua interprete. Due anni dopo, arriva a Cuba per stabilirvisi. Nel 1964, Guevara le chiede di infiltrarsi in Bolivia e diventare una "talpa". Come copertura assume l'identità di una graziosa studentessa di farmacia, introducendosi fino alla cerchia più ristretta del palazzo presidenziale. Una volta che il Che è in Bolivia, lei serve da ufficiale di collegamento per i guerriglieri. E' sempre lei a portare da Che Guevara un giovane francese, professore di filosofia e giornalista impegnato, Règis Debray, nome in codice per la guerriglia "Danton". La cattura Règis Debray e un guerrigliero argentino, Ciro bustos, vengono catturati. Dopo un processo che fa scalpore, il francese è condannato a trent'anni di prigione. Quanto a Bustos, crolla quando minacciano di prendersela con la sua famiglia. Disegna il ritratto dei guerriglieri. Ormai alle loro calcagna ci sono 5000 soldati inquadrati da consiglieri nordamericani. Il 31 settembre 1967, vengono uccisi sette uomini del Che. A quelli che rimagono egli offre la possibilità di abbandonare, perchè sa che l'esito non può essere che fatale. Solo uno sceglie di andarsene. Il diario del Che si ferma il sette ottobre. L'8, circondato da due compagnie di rangers boliviani nella gola del Churo, e ferito ad una gamba e catturato. Con le braccia a croce, appoggiandosi a due soldati, l'uomo più ricercato del mondo deve marciare zoppicando fino al piccolo villaggio di La Higuera. Viene rinchiuso nella scuola, con il pavimento in terra battuta. La decisione di sopprimere il Che è stata presa già da molto tempo a Washington. L'ordine del presidente boliviano, il generale Barrientos, arriva a La Higuera il mattino del 9 ottobre. Un agente della CIA, Fèlix Rodrìguez, si fa ritrarre accanto a un essere cupo, irsuto, cencioso. E' l'ultima fotografia del Che vivo. La cattura Il corpo crivellato da una raffica di fucile mitragliatore è saldamente legato al pattino di un elicottero per un ultimo viaggio. Quando arriva a Vallegrande, i suoi occhi sono spalancati. A mo' di corteo funebre, i militari boliviani lo mostrano alla stampa e alla popolazione su un lavatoio nella lavanderia dell'ospedale. Per i contadini, è già San Ernesto de La Higuera. El Che vive!
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