Untitled - Rizzoli Libri
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Edward N. Luttwak Strategia La logica della guerra e della pace Proprietà letteraria riservata © 1987, 2001 by the President and Fellows of Harvard College first published by The Belknap Press of Harvard University Press © 1989, 2001 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-17-06477-4 Titolo originale dell’opera: Strategy. The logic of war and peace Traduzione di Enzo Peru Consulenza tecnico-militare di Maurizio Pagliano Prima edizione Rizzoli 1989 Prima edizione BUR Best marzo 2013 Per conoscere il mondo BUR visita il sito www.bur.eu Strategia A mio figlio Joseph Emmanuel Prefazione Nessuno stratega sarebbe stato in grado di prevedere gli at tacchi dell’11 settembre 2001 al World Trade Center di New York e al Pentagono di Washington. Lo scopo principale della strategia è vincere, la sua logica stabilisce chi sarà il vincitore, i suoi metodi cercano di definire il modo con cui conseguire la vittoria, i suoi limiti determinano le dimensioni della vittoria. Poiché il terrorismo è sempre autolesionistico, la logica della strategia è del tutto inutile per cercare di capirlo. A differenza della guerriglia, delle guerre regolari, delle rivoluzioni, dei colpi di Stato e di ogni altro uso finalizzato della forza, il terrorismo rivela la propria natura attraverso l’uso della violenza e lascia tracce sotto forma di distruzione e spargimento di sangue. Esso potrà procurare emozioni ed esultanza a coloro che si nutrono di odio, forse soddisfazione a chi è spinto da propositi di ven detta, o persino piacere fisico ai sadici, ma non può conseguire la vittoria sotto alcun aspetto, si tratti della resa del nemico, del la conquista materiale, o tramite concessioni estorte. Da parte sua il terrorismo finisce per danneggiare la causa che i terroristi affermano di sostenere, in una misura che varia da una distorta immagine pubblica fino all’annientamento della causa stessa. Poiché i terroristi dell’11 settembre erano islamici, i quali cre dono nell’uso della forza per convertire intere nazioni all’islam, sarà la loro fede a dover pagare il prezzo delle loro azioni in termini di sconfitta e di umiliazioni. Casi di vittorie apparenti di terroristi che vengono in men te si dissolvono non appena si prendono in considerazione gli elementi essenziali, come nel caso dell’Algeria francese. A partire dal 1954 il suo territorio fu sconvolto da un’intensa campagna terroristica antifrancese, con uccisioni, attentati e 8 Strategia incendi dolosi contro coloni europei residenti nel Paese, con bombe nei locali pubblici e improvvise raffiche di armi auto matiche nelle città principali e anche nelle località più piccole. Ma quel tentativo da parte di pochi attivisti violenti di terroriz zare i francesi per costringerli ad abbandonare l’Algeria venne sconfitto nel 1958, l’anno della «battaglia di Algeri», non con combattimenti nel significato militare del termine ma con azio ni di repressione molto efficaci da parte di esperti, e brutali, paracadutisti francesi. Una volta sconfitto il loro tentativo di vincere con il terrorismo, gli insorti algerini dell’Fln – Front de Libération Nationale – si concentrarono sulla mobilitazio ne in massa della popolazione musulmana, preponderante per numero rispetto ai coloni, e sull’organizzazione di consistenti forze di guerriglieri in Marocco e in Tunisia per infiltrarsi in Algeria da due lati. Incapaci di assoggettare una popolazione ostile con lo stru mento della democrazia, costretti a difendere le loro frontiere con coscritti riluttanti, i francesi evitarono di trovarsi in una situazione senza via d’uscita grazie alla decisione del presiden te De Gaulle di abbandonare l’Algeria. Ma ciò diede inizio ad un’altra ondata di terrorismo, questa volta da parte degli estre misti francesi dell’Oas – Organisation Armée Secrète – che cer carono di costringere i leader politici e la popolazione a mante nere il controllo della Francia sull’Algeria uccidendo esponenti sia algerini sia francesi, e tentando di eliminare lo stesso De Gaulle. Naturalmente, i loro piani fallirono. Come sempre, il terrorismo risultò controproducente e le violenze dell’Oas riu scirono solo a convincere l’opinione pubblica francese dell’ine luttabilità dell’abbandono dell’Algeria e di tutti i suoi problemi il più presto possibile. Lungi dal fornire un esempio del succes so del terrorismo, l’Algeria fu per ben due volte il teatro del suo assoluto fallimento, in quanto prima i terroristi dell’Fln e poi l’Oas francese furono nettamente sconfitti. È inutile cercare esempi di vittorie dei terroristi. La ferrea logica della strategia ne determina la loro impossibilità: la vio lenza di pochi non può cambiare l’equilibrio delle potenze. Anche se essi riescono a provocare morte e distruzione, i de boli che attaccano i forti rimangono sempre deboli, e i forti Prefazione 9 rimangono sempre forti. Ma il terrorismo stimola i forti a per seguire i terroristi e, se possibile, annientarli. Tutta la storia di Israele è stata caratterizzata dal terrorismo, che ha accompa gnato nell’arco di decenni la costante crescita della sua popola zione, della sua ricchezza, della sua cultura e della sua potenza militare. Non fu solo il fatto che il terrorismo si rivelò incapace di bloccare l’immigrazione, lo sviluppo economico, il progres so tecnologico e l’evoluzione delle forze armate. Il terrorismo contribuì concretamente alla potenza di Israele, e vi contribui sce tutt’ora, rendendo unita la popolazione del Paese, superan do le rivalità politiche e migliorando la coesione sociale, come negli Stati Uniti a partire dall’11 settembre 2001. Se la causa in favore di uno Stato palestinese fosse stata sostenuta soltanto da una resistenza non violenta, vi sono pochi dubbi che oggi essa avrebbe avuto successo. Quando i deboli attaccano i forti tendono naturalmente ad evitare obiettivi difficili, come i reparti militari e le loro basi. Essi attaccano indiscriminatamente i civili e le strutture civili. Eppure il terrorismo non viene identificato in quanto tale per l’uso deliberato della forza, per i suoi bersagli o per il genere di violenza che esso provoca. Gli attacchi indiscriminati con tro i civili possono trovar posto nella guerriglia, nelle guerre regolari, nelle rivoluzioni e persino nei colpi di Stato, che non hanno bisogno di essere incruenti per aver successo. Quel che distingue il terrorismo e lo condanna alla sconfitta è la pro fessione della violenza. Un pugno di estremisti può effettuare attacchi terroristici anche molto gravi, come ha dimostrato l’11 settembre, e gruppi di terroristi formati da poche centinaia di individui hanno alimentato per molti anni la tensione in Grecia e in Spagna. Ma nessuna guerriglia può essere condotta da un pugno di estremisti, così come nessuna rivoluzione o colpo di Stato militare. Questa è la ragione fondamentale dell’inutilità del terrorismo: nessuna vittoria politica o militare può essere conseguita da pochi estremisti che agiscono in isolamento, co me tanti piccoli Hitler senza un partito nazista che li sostenga. e.n. luttwak Novembre 2001 Premessa Forse perché sono nato in Transilvania, contesa terra di confine, durante la più grande e più tragica delle guerre, la strategia è stata sempre la mia unica occupazione, e anche la mia passione. È una parola forte, per un soggetto mal definito e addirittura sospetto, in quanto incoraggia alla lotta. Ma lo scopo di questo libro è proprio quello di dare una definizione della strategia, e quando ci si rende conto che il termine ha a che vedere con il mantenimento della pace almeno quanto con la condotta di una guerra, le scuse diventano inutili. In questo libro non vengono proposte strategie per il ruolo degli Stati Uniti né di altre nazioni. Il mio scopo è piuttosto quello di scoprire la logica universale che condiziona tutte le forme di conflitti, oltre alle attività antagonistiche delle nazioni anche in tempo di pace. Gli uomini hanno fatto, in guerra e nell’arte di governo, tutto ciò di cui erano capaci, per quanto assurdo e autodistruttivo, magnifico o sordido sia stato, e nei fatti in sé non si riesce a scoprire alcuna logica. Ma la logica della strategia si manifesta nel risultato di quello che si fa o non si fa, e la natura e il funzionamento della logica si possono comprendere soltanto esaminando le conseguenze, spesso non previste. A questo punto il lettore dotato di senso critico avrà ragione di sorprendersi della smodata ambizione della nostra ricerca. Sapendo che i fatti, in guerra e in pace, sono troppo irregolari per poter essere spiegati dalla scienza nel suo unico vero significato, cioè dalle teorie in grado di fornire previsioni, si può sospettare che si incontreranno soltanto banalità, o, peggio, vane elucubrazioni di pseudoscienza. Io posso soltanto chiedere di formulare un giudizio a lettura ultimata. Ma forse sarà opportuna qualche spiegazione. 12 Strategia Quello che è diventato un lungo viaggio verso una destinazione obbligata non è cominciato con un proposito tanto ambizioso. Con la lettura di libri di storia militare antica e moderna, in particolare quella degli imperi romano e bizantino, con lo studio professionale di problemi militari contemporanei, e nel corso di svariate visite a teatri bellici, anch’io, come molti altri prima di me, ho potuto concludere che ogni esperienza di conflitto è qualcosa di unico, il prodotto di un’irripetibile convergenza di aspirazioni politiche, emozioni, limitazioni tecniche, mosse tattiche, schemi operativi e situazioni geografiche. Eppure, nel corso degli anni, cominciarono ad affiorare vari elementi di continuità, che venivano a formare schemi sempre più definiti, alcuni destinati a essere chiariti da documenti sulla strategia come studio – soprattutto dal Della Guerra di Clausewitz –, altri no. Ciò che ha reso stimolante la ricerca è il fatto che questi schemi non corrispondevano alle aspettative del buon senso: non erano prodotti da alcuna logica causale diretta e familiare. Man mano che dal buio delle parole lette, dei problemi studiati e degli eventi vissuti emergeva una visione della strategia, ho scoperto che il suo contenuto non era il tritume prosaico delle banalità, ma piuttosto il paradosso, l’ironia e la contraddizione. Per di più, la logica della strategia sembrava dispiegarsi in due dimensioni: le opinioni «orizzontali» degli avversari che cercano di opporsi, di parare le mosse dell’altro e di farle fallire e – questo è ciò che rende paradossale la strategia – il rapporto «verticale» tra i diversi livelli del conflitto – tecnico, tattico, operativo e superiore – fra i quali non esiste alcuna armonia naturale. Quel che segue, dunque, è l’itinerario di un’esplorazione. La ricerca comincia con una serie d’incontri con le forze dinamiche della dimensione orizzontale; prosegue come una scalata, un livello dopo l’altro, della dimensione verticale della strategia e si conclude quando si raggiunge la confluenza di entrambe le dimensioni, al livello della grande strategia, quello dei risultati finali. Dopo aver consegnato alle stampe la versione originale, non ho smesso di studiare la strategia e la guerra, e nemme- Premessa 13 no di lavorare, da professionista, in modo attivo sul campo e come consigliere. L’idea originale ha continuato a svilupparsi, in parte dalla teoria in parte dalla pratica, fornendo i risultati che state leggendo in questa nuova edizione. In particolare, la novità della guerra «posteroica» – il tentativo di combattere senza perdite, con le sue impreviste complicazioni –, un’analisi delle conseguenze di un’interruzione dei conflitti ad opera di un intervento esterno e, in modo radicalmente diverso, una nuova valutazione del potenziale e dei limiti del bombardamento aereo dopo l’avvento della routine degli attacchi di precisione. Ecco perché, anche se la struttura del volume è rimasta invariata, buona parte del testo è nuova, mentre il rimanente è stato rivisitato e aggiornato. La fine della Guerra fredda non ha modificato la logica della strategia, ma richiede un’esposizione diversa degli esempi.